BloGlobal Weekly N°3/2015

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www.bloglobal.net N°3, 18-31 GENNAIO 2015 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (18-31 gennaio 2015)

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N°3, 18-31 GENNAIO 2015

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 1° febbraio 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°3/2015 (18-31 gennaio 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2015, www.bloglobal.net

Photo credits: Getty Images; Bülent Kılıç/Getty Images; AFP; Reuters/al-Youm al-Saabi Newspaper; Reuters; Presi-dency of the Republic of Turkey;

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FOCUS

IRAQ/SIRIA ↴

È la battaglia su Mosul, caduta in mano jihadista nel giugno 2014, a fornire una chiave

di lettura del conflitto scatenato dall’insorgenza dello Stato Islamico (IS) nello scena-

rio siro-iracheno.

Nonostante l’arretramento sul Sinjar determinato dall’avanzata curda dello scorso

dicembre, nelle prime settimane del 2015 i militanti islamisti hanno lanciato ri-

petute e cruente scorrerie nel governatorato nord-occidentale di Ninive. Il

21 gennaio i Peshmerga hanno contraccambiato con una duplice operazione: la prima

nei pressi della diga di Mosul, la seconda nell’area di Kisak allo scopo di interdire le

linee di comunicazione che attraverso Tal Afar congiungono Mosul alle roccaforti jiha-

diste in Siria. Tuttavia, la rinnovata pressione curda ha sollecitato l’inaspettata esca-

lation della reazione militare del Califfato. Mentre i Peshmerga prendevano il villaggio

di Iski Mosul, a nordest di Tal Afar, il 26 gennaio le forze jihadiste scagliavano un

primo assalto nelle aree di Tal al-Rim e Sultan Ali, considerate la prima linea difen-

siva del Kurdistan iracheno – infliggendo pesanti danni al ponte di Sabuniya, si-

tuato sulla strada che immette verso l’ingresso occidentale nel capoluogo di Ninive.

È però nella notte del 30 gennaio che i guerriglieri dell’IS hanno concretizzato quello

che fonti locali descrivono come il più violento attacco dalla caduta di Mosul. L’esplo-

sione di tre autobombe contro le postazioni curde nella periferia di Kirkuk è

stata seguita da intensi e prolungati scontri a fuoco, in cui hanno perso la vita almeno

ventotto Peshmerga (tra cui il Generale di Brigata Shirko Fatih, uno dei maggiori

ufficiali dell’esercito curdo) e ne sono rimasti feriti oltre centosettanta. Una quarta

autobomba è esplosa nel centro di Kirkuk, in prossimità di una centrale di polizia.

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Nella mattina della stessa giornata, attentati dinamitardi avevano già colpito un

mercato a Baghdad, i cui sobborghi sono stati raggiunti anche da colpi di mortaio,

e alcuni posti di blocco a Samarra e Jalawla. Pur presi alla sprovvista dalla fulminea

offensiva su Kirkuk, i Peshmerga sono infine riusciti a contrastarne l’urto, ma i jiha-

disti hanno ripiegato nel vicino giacimento petrolifero di Mula-Abdullah, a trenta chi-

lometri dalla città curda che rappresenta un polo energetico di primo piano. Malgrado

le forti perdite, l’attacco del Califfato ha avuto successo nel costringere le forze

curde ad un riposizionamento difensivo a protezione delle infrastrutture petroli-

fere di Kirkuk e della vicina Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno dove già il 14

gennaio il Presidente Masoud Barzani aveva disposto lo schieramento di nuove unità.

Il risultato strategico cui guarda la leadership islamista è infatti l’indebolimento

della presenza curda nell’area di Mosul, dove le recenti manovre dei Peshmerga

e i bombardamenti della coalizione internazionale sono funzionali a degradare le ca-

pacità operative dei miliziani che controllano la città in vista dell’annunciata risalita

dell’esercito iracheno. Se l’aumento delle esecuzioni di massa nella provincia di Ninive

è un indicatore implicito della crescente avversione della popolazione locale al giogo

califfale, è tuttavia improbabile che nel breve periodo le forze di sicurezza siano in

grado di pianificare un’operazione su vasta scala per la riconquista di Mosul – che la

dirigenza curda e il Pentagono prevedono possa scattare soltanto nell’autunno 2015.

Del resto, benché le autorità irachene abbiano paventato un attacco imminente, le

truppe regolari sono prioritariamente schierate lungo le c.d. “Baghdad

Belts” che circondano la capitale, oltre che a Ramadi e Diyala – tutte aree ancora

sotto scacco dei terroristi di matrice islamica.

È proprio nel governatorato di Diyala che l’esercito iracheno, di concerto con le forze

di polizia e le milizie sciite, ha concentrato le proprie attenzioni per piegare i fortilizi

dell’IS a nord di Muqdadiyah, mentre operazioni separate sono state condotte nella

periferia meridionale di Falluja e lungo la strada Baghdad-Haditha. Da questo punto

di vista è significativo annotare che per la prima volta dall’inizio del conflitto

gruppi paramilitari sciiti sono entrati nell’Anbar sunnita su sollecitazione

delle autorità locali. La milizia Katai’b Hezbollah di Abu Mahdi al-Muhandis (uno dei

punti di riferimento di Teheran nel conflitto iracheno) ha accolto la richiesta di pro-

teggere l’area di Sjariya, a est di Ramadi. Il coinvolgimento sciita nel cuore sunnita

dell’Iraq è tuttavia controverso e rischia di acuire le tensioni settarie, laddove nell’ul-

tima settimana gli esponenti di alcune tribù nella provincia di Diyala hanno accusato

le milizie sciite di aver massacrato settantadue cittadini sunniti. L’episodio, sui cui le

autorità governative stanno ancora indagando, testimonia gli enormi ostacoli di un

processo politico di riconciliazione nazionale che il vice Presidente iracheno Iyad Al-

lawi vede già votato al fallimento, giacché la violenza indiscriminatamente esercitata

dai gruppi armati di estrazione sciita aggrava la distanza della popolazione civile dalle

istituzioni centrali.

Recatosi a Londra il 22 gennaio per presiedere alla conferenza internazionale che ha

dato seguito all’incontro preliminare di Bruxelles in dicembre, il Primo Ministro Haider

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al-Abadi ha nuovamente biasimato l’esiguità e la lentezza del sostegno of-

ferto dall’alleanza multilaterale patrocinata dagli Stati Uniti, sottolineando le

conseguenze disastrose del crollo nel prezzo del petrolio su un sistema produttivo

totalmente dipendente dalle esportazioni energetiche. Alle parole di al-Abadi hanno

fatto eco le dichiarazioni di Philip Hammond, Segretario di Stato per gli Affari Esteri

britannico, il quale ha affermato senza mezzi termini che l’esercito iracheno non di-

spone delle risorse necessarie a rovesciare il Califfato. Sia Regno Unito che Stati Uniti

hanno puntualizzato come i raid aerei abbiano decisivamente arrestato e degradato

l’avanzata jihadista; tuttavia, l’imperativo di annullare la minaccia dello Stato Isla-

mico è tuttora affidata unicamente alle fragili e impreparate forze irachene.

Intanto, il Parlamento iracheno ha approvato il bilancio per l’anno 2015. A

fronte dei minori proventi della vendita di greggio, il documento prevede un passivo

di venti miliardi di dollari. Quantunque il passaggio del testo legislativo sia stato ac-

colto come uno spartiacque verso il ripristino della legalità costituzionale, la bozza è

stata in prima battuta aspramente criticata per la sanzione dei benefit commerciali

accordati alla regione autonoma del Kurdistan nello scorso dicembre, mentre i parla-

mentari sunniti hanno minacciato di boicottarne la votazione in virtù del mancato

finanziamento della guardia nazionale programmaticamente annunciata dal nuovo

governo quale strumento principale dell’integrazione delle tribù sunnite nelle Forze

Armate del Paese.

Contrariamente a quanto raffigurato in Iraq dalla recente ondata di attacchi, il Calif-

fato sembra invece denunciare delle crepe in Siria, dove i combattenti curdi

hanno liberato la città di Kobane e la leadership jihadista ha stretto le misure di

controllo su Raqqa. Fonti locali hanno raccontato che diversi membri dell’IS siano

stati giustiziati dietro l’accusa di diserzione; nella città siriana adibita a quartier ge-

nerale dell’organizzazione terroristica sono stati inoltre allestiti posti di blocco ed ap-

plicato il coprifuoco.

Per quanto invece concerne la guerra civile siriana, Jahbat al-Nusra (JN) è impe-

gnata a consolidare la supremazia nel fronte ribelle. L’arresto di diversi miliziani

del Fronte Sham ha dato luogo tra il 24 e il 25 gennaio a una serie di scontri a fuoco

nel centro di Aleppo. Intanto, sempre nella giornata del 24, le forze congiunte di JN,

della milizia Ahrar al-Sham e di altri gruppi ricondotti all’Esercito Siriano di Libera-

zione hanno conquistato la base della 82° Brigata dell’esercito di Damasco nei pressi

di Sheik Miskin.

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UCRAINA ↴

L'escalation delle tensioni innescata dopo la ripresa dei combattimenti intorno all'ae-

roporto di Donetsk – ufficialmente sotto il controllo dei separatisti filo-russi – e l'of-

fensiva lanciata da questi ultimi nelle zone meridionali dell'Ucraina e in par-

ticolare sulla città di Mariupol, hanno definitivamente segnato la rottura dei pro-

tocolli di tregua firmati a Minsk a settembre e timidamente riproposti alla fine del

2014.

Il lancio di missili Grad e Uragan (24 gennaio) – scagliati, secondo le operazioni di

monitoraggio dell'OCSE, dalle aree orientali di Oktiabr e Zaicenko, entrambe control-

late dai separatisti – su un mercato della città portuale sul Mar d'Azov, provocando la

morte di almeno 30 persone e il ferimento di oltre 70, ha reso vano anche l'accordo

del 22 gennaio tra Kiev e filo-russi (con la mediazione di Germania e Francia) sul

ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di controllo nell'est del Paese. Il ritiro

dell'artiglieria e la cessazione dei bombardamenti sono stati oggetto anche dei ne-

goziati di Minsk del 31 gennaio, anch'essi conclusi con un nulla di fatto, men-

tre i combattimenti più aspri sembrano ora verificarsi intorno alle cittadine di Svitlo-

darsk (dove l'ospedale è stato distrutto) e di Debaltseve, nodo stradale e ferroviario

strategico che mette in collegamento Donetsk e Lugansk e che compatterebbe, dun-

que, i due fronti di conflitto. Il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite in Ucraina,

Neal Walker, ha espresso preoccupazione per il deterioramento della situazione uma-

nitaria nell'est, richiamando le parti ad un'immediata cessazione delle ostilità per

consentire i soccorsi e l'evacuazione dei civili.

In linea con i timori espressi dall'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicu-

rezza comune, Federica Mogherini, circa un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra

Bruxelles e Mosca, e non senza profonde diversità di vedute interne tra i Paesi membri

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(spicca in particolare lo scetticismo del nuovo governo greco), il Consiglio Affari

Esteri straordinario del 29 gennaio ha approvato l'estensione delle sanzioni

economiche nei confronti della Russia fino al prossimo settembre (la sca-

denza era infatti prevista per marzo). I ventotto si sono inoltre accordati sul discutere

nuovamente dell'argomento – nonché della nuova possibile lista di persone o enti da

sanzionare – nel corso della prossima riunione dei Ministri degli Esteri fissata

per il 9 febbraio (a questa seguirà il 12 febbraio l'incontro tra Capi di Stato e di

governo sugli stessi temi). Oltretutto, come dichiarato dal portavoce del Dipartimento

di Stato americano, Jen Psaki, gli USA avrebbero allo studio l'imposizione di nuove

restrizioni nei confronti del Cremlino che riguarderebbero in particolare il trasferi-

mento di apparecchiature idonee per l'estrazione del gas, oltre a nuove limitazioni

per persone e società e all'esclusione di Mosca – il cui debito è stato fissato al livello

"spazzatura" da parte dell'agenzia di rating Standard & Poor's – dal circuito interna-

zionale di pagamenti interbancari Swift (quest'ultimo aspetto è tuttavia oggetto di

discussione fin dall'approvazione del pacchetto di misure dello scorso mese di set-

tembre).

SITUAZIONE DEL CONFLITTO IN UCRAINA AL 31 GENNAIO 2015

FONTE: NATIONAL SECURITY AND DEFENSE COUNCIL OF UKRAINE

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Il Commissario europeo per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi, il cipriota

Christos Stylianides, ha inoltre annunciato un supplemento di 15 milioni di euro

in aiuti (il sostegno umanitario complessivo ammonta a 95 milioni). Dal canto suo,

il Presidente Petro Poroshenko, in un incontro con lo stesso emissario europeo, ha

dichiarato che è sua intenzione fornire a Bruxelles tutte le informazioni circa lo svi-

luppo delle operazioni anti-terrorismo condotte dalle forze ucraine e di fare ricorso

alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra (pur essendo firmataria,

Kiev non ha tuttavia ancora ratificato lo Statuto di Roma che istituisce la CPI).

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YEMEN ↴

Il Presidente yemenita Abd Rabbu Mansour Hadi e il Primo Ministro Khaled Bahah

hanno presentato le proprie dimissioni dalle rispettive cariche il 21 gennaio in

seguito ad un assedio condotto per mano dei ribelli sciiti del movimento Hou-

thi al palazzo presidenziale nella capitale Sana’a. Nella lettera di dimissioni, il Presi-

dente Hadi ha dichiarato che non sarebbe più potuto restare in carica a causa della

sfida condotta contro la sua autorità dagli Houthi. La presidenza di Hadi è stata di

fatti messa in crisi allorché i militanti sciiti hanno preso sostanzialmente il controllo,

il 21 settembre scorso, della capitale, arrivando a controllare in tal modo una fetta di

territorio che va dalla roccaforte sciita di Sa’ada nel nord, al confine con l’Arabia

Saudita, alla provincia di Thamar a sud della capitale. L’azione degli Houthi contro il

governo è stata definita dal Ministro dell’Informazione, Nadia Sakkaf, un vero e pro-

prio colpo di Stato.

Il gruppo di militanza sciita-zaydita, protagonista della rivoluzione in corso, prende il

nome dalla famiglia dei membri fondatori, gli Houthi, a cui appartiene l’attuale leader

Abdel-Malik al-Houthi. Malik, dopo aver succeduto alla guida del movimento il fratello

Hussein, ucciso nel 2004, ha aumentato le potenzialità del movimento sia dal lato

politico sia da quello militare, al punto da rappresentare la migliore organizzazione

attualmente esistente nello Yemen. Molti analisti ritengono tuttavia che l’ascesa

degli Houthi al potere non sarebbe potuta avvenire senza un consistente supporto

militare e finanziario proveniente da una potenza straniera. In questo caso potrebbe

essere il potente attore sciita della regione, l’Iran, a supportare il movimento. Il

governo di Teheran approfitterebbe, infatti, della situazione incerta in Yemen quale

ulteriore suolo di scontro con l’Arabia Saudita, Stato con il quale l’Iran si trova in

competizione per il controllo della regione. A supportare gli Houthi sarebbe inol-

tre l’ex Presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh. Quest’ultimo ha governato il

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Paese per 33 anni e gode della fedeltà di importanti capi-tribù, comandanti militari e

rappresentanti del business yemenita. Saleh starebbe apertamente sostenendo

l’azione degli sciiti in modo da poter beneficiare dell’uscita di scena di Hadi e tornare

egli stesso al vertice dello Stato o di porvi personalità ad egli più gradite rispetto ad

Hadi, dopo che quest’ultimo lo ha accusato più volte di essere la longa manus desta-

bilizzatrice dello scenario nazionale.

A complicare la questione si aggiunge la presenza nello Yemen di uno dei più potenti

bracci della rete qaedista, al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP). Si tratta del

gruppo terrorista che ha di recente reclamato, tramite un video, la responsabilità per

gli attacchi al giornale satirico parigino Charlie Hebdo. AQAP è prevalentemente stan-

ziato nelle province di Abyan e Shabwa dove ha creato forti alleanze con i capi-tribù

locali e nonostante i numerosi attacchi condotti da droni americani, rimane una mi-

naccia nel Paese, in competizione a sua volta con gli Houthi.

PIANI DI INSTABILITÀ YEMENITA - FONTE: THE NEW YORK TIMES

L’instabilità in cui versa il Paese trova le proprie origini nelle proteste di massa del

2012 che hanno portato alla destituzione del precedente Presidente Saleh e all’ele-

zione di Hadi, con il consenso delle varie fazioni in campo, il partito d maggioranza al

governo, il Congresso Generale Popolare e la coalizione di opposizione formata da

Islamici, Socialisti e Nazionalisti arabi yemeniti. Insita nell’elezione di Hadi era la

volontà di non sconfinare in una guerra civile tra i gruppi yemeniti. Nonostante le

speranze iniziali riposte in Hadi, tuttavia, ben presto il processo di transizione politica

si è dovuto scontrare con l’incapacità della nuova classe dirigente di affrontare

le sfide in atto. Ciò che si sarebbe dovuto realizzare nel corso della presidenza di

Hadi sarebbero dovuti essere una nuova Costituzione e un nuovo sistema politico. Il

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motivo dello scontro in corso tra gli Houthi e il governo yemenita riguarda

infatti il progetto di Costituzione presentato dal gabinetto di Hadi che prevede la

creazione di sei nuove regioni federali, mentre le richieste degli sciiti vertevano sulla

formazione nel Paese di soli due distretti, uno nord e uno sud.

Alcune mancanze imputabili al Presidente Hadi sono state in primis l’espulsione

dall’esercito di personalità chiave legate a Saleh. Una mossa questa che si è rivelata

controproducente in quanto ha causato la ribellione in più occasioni da parte

dell’esercito che ancora oggi in alcune unità esegue ordini del solo Saleh. La

conseguenza di ciò è stata la perdita di controllo di varie parti del Paese a vantaggio

degli Houthi a causa della fragilità dell’apparato militare, ivi compresa la capitale.

Un’ulteriore mossa falsa si è rivelata l’ostilità nel cercare un compromesso politico tra

i vari attori presenti, con la conseguente creazione di un malcontento diffuso tra i

gruppi sciiti. Infine le strategie adottate da Hadi sono andate a detrimento dei rap-

porti esistenti con gli attori che ne hanno permesso l’elezione a Capo dello Stato.

In conclusione, nella situazione che si va delineando di controllo dello Yemen da parte

degli Houthi, la questione da tenere sotto monitoraggio è la resistenza

dell’improbabile alleanza che si è creata tra i militanti e Saleh. Va osservato

dunque se riusciranno a continuare la loro collaborazione riportando la stabilità nel

Paese senza sfociare in ulteriori conflitti interni. Un elemento di ostacolo alla loro

guida del Paese sarà inoltre la difficoltà nel trovare il consenso popolare neces-

sario a tale scopo. A riprova di ciò nel fine settimana si sono susseguite diverse

manifestazioni contro la presa del potere degli Houthi, con la denuncia da parte della

popolazione civile delle violente misure attuate dai militanti. Un importante ruolo

nella fase attuale sarà quello svolto dall’esercito stesso che dovrà scegliere a chi

garantire il proprio sostegno e dunque far volgere l’ago della bilancia da una parte o

all’altra. Infine appare evidente come si renderà necessario l’intervento di attori in-

ternazionali nella soluzione della crisi, allo scopo di evitare la trasformazione dello

Yemen in un failed-state.

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BREVI

ARABIA SAUDITA, 23 GENNAIO ↴

Dopo settimane di voci contrastanti sulle reali

condizioni di salute del sovrano saudita, il 23 gennaio

2015 la televisione di Stato ha annunciato la morte del

91enne Re Abdullah. Salito al trono nel 2005 alla morte

di Fahd, Abdullah è stato per almeno tre decenni una

figura centrale dell’organizzazione saudita avendo

rivestito tutti i principali incarichi di riferimento della struttura di potere saudita.

Abdullah è stato considerato da molti un riformatore, soprattutto per il suo coraggio

nell’aver provato a modificare la chiusa società saudita con alcune riforme in senso

meno illiberale e favorendo qualche opportunità anche per le donne, aprendo loro il

Majlis al-Shura e concedendo il diritto di voto nelle elezioni municipali. Da tempo

malato, le condizioni di salute del monarca saudita si erano aggravate in maniera

irreversibile il 31 dicembre 2014 quando con un comunicato ufficiale della casa

regnante si definiva Abdullah ospedalizzato ma in buone condizioni. A succedergli il

chiacchierato e anch’egli malato, l’80enne fratellastro Salman, ex Ministro della

Difesa. Proprio le cagionevoli condizioni di salute dell’attuale sovrano avevano spinto

già nel marzo scorso Abdullah a indicare un secondo successore, il fratello più giovane

Muqrin (69 anni), ex capo dell’intelligence saudita. Le origini umili di Muqrin – sua

madre era una cameriera di origini yemenite – lo avevano tuttavia inviso ad una parte

della famiglia aprendo di fatto una lotta intestina per il trono. Già nei mesi precedenti

si era aperta appunto una faida all’interno dell’”affollata” famiglia al-Saud (sono

almeno 10.000 i principi direttamente legati da un legame di parentela). Da un lato

il ramo familiare legato ai cosiddette “sette Sudairi”, ossia i figli del fondatore dello

Stato saudita (1932) Abdul Aziz al-Saud, sostenitori di un sostanziale status quo al

fine di evitare pericolose derive moderniste che possano mettere a rischio il delicato

equilibrio interno esistente tra il clero wahhabita e la famiglia reale, che si innesta

con la stessa struttura intrinseca di potere e che ha garantito per decenni la

sostanziale pax saudita. Dall’altro lato, le cosiddette nuove generazioni (della quale

ne fanno parte paradossalmente sia l’erede al trono, il quasi 70enne Muqrin, e i

cinquatenni principi Turki al-Faysal e Talal Bin Abdul Aziz) convinti sostenitrici di un

maggiore riformismo, di maggiore modernità, dinamicità e democrazia intuendo il

pericolo di possibili nuove proteste popolari dopo quelle del febbraio 2011. Se per il

momento la questione della successione e delle sfide al cambiamento ad essa

connessa sono state accantonate, il nuovo Re Salman nei suoi primi passi ufficiali ha

promosso un piccolo ma significativo rimpasto di governo, sollevando dai loro

incarichi due figli del defunto Abdullah (il principe Meshaal, governatore della regione

della Mecca, e il principe Turki, che ha governato Riyadh). Sostituiti dai loro incarichi

anche Khalid al-Saud, capo dell'inteligence, e il principe Bandar bin Sultan, già

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Segretario Generale del Consiglio di Sicurezza Nazionale e consigliere del Re.

Rimarranno invece ai loro posti i Ministri chiave come Ali al-Naimi, il principe Saud

al-Faysal e Ibrahim al-Assaf, rispettivamente ai dicasteri del Petrolio, degli Esteri e

delle Finanze. Infine, Salman negli incontri con i principali alleati regionali e

internazionali ha ribadito la sua volontà di voler proseguire il cammino di Abdullah in

politica estera, ponendo al centro la lotta al terrorismo islamista del sedicente Stato

Islamico e un contenimento dell’Iran sciita nel Golfo.

SUCCESSIONE DINASTICA IN ARABIA SAUDITA - FONTE: OXFORD ANALYTICA

EGITTO, 25-30 GENNAIO ↴

Nel quarto anniversario della Prima rivoluzione

egiziana che ha visto la caduta del Presidente Hosni

Mubarak non si sono arrestate le violenze e gli scontri

tra le forze sicurezza di sicurezza e i manifestanti anti-

regime. Il bilancio ufficiale registrato dal Ministero

della Salute e da quello degli Interni recita 17 morti e

una cinquantina circa i feriti. I maggiori scontri si sono

verificati al Cairo, Alessandria e nelle altre città del Delta del Nilo. Nella capitale i più

importanti incidenti si sono avuti a Gamaliya, Matareya e Ain Shams, tradizionali

roccaforti della Fratellanza Musulmana. I manifestanti, che sono poi confluiti con

diversi cortei nella “piazza della rivoluzione”, Piazza Tahrir, scandivano slogan contro

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il Presidente al-Sisi denunciandone come le sue ultime azioni politiche in senso

illiberale facciano presagire il rischio di un ritorno all’autoritarismo. Negli incidenti è

stata uccisa in circostanze non del tutto chiarite Shaimaa al-Sabbag, una nota

attivitsta dei diritti umani e membro del partito Alleanza Popolare Socialista. Mentre

il governo ritiene legittime le manifestazioni ma rifiuta gli atti violenti, questo si trova

in difficoltà nel Sinai nel condurre la sua war on terror contro i jihadisti alleati dello

Stato Islamico (IS) di Ansar Bayt al-Maqdis (ABM). Dopo la loro affiliazione a IS, ABM

aveva deciso di cambiare il loro nome in Stato

Islamico della Provincia del Sinai,

testimoniando appunto la diretta emanazione

dell’organizzazione di Abu Bakr al-Baghdadi.

Sebbene il governo continui le sue operazioni

di counter-terrorism e abbia deciso di

prolungare di altri tre mesi il coprifuoco

imposto sul Sinai settentrionale dopo il

sanguinoso attentato dinamitardo del 24

ottobre scorso, la situazione sul campo si

dimostra ancora lontana da un possibile ritorno

alla legalità. Il 29 gennaio ABM ha lanciato una

serie di attacchi multipli contro checkpoint

militari e palazzi del potere tra al-Arish, Sheikh Zuweid, Port Said e Suez. Il bilancio

ufficioso delle vittime parla di 27 morti, sebbene da alcune fonti se ne conteggino

addirittura 40, tra cui due bambini. Le maggiori novità dei recenti attacchi consistono

sia nell’alta sofisticatezza e accuratezza della scelta degli obiettivi (i porti del Canale

di Suez e in generale un ritorno ai target economici in nome di quella jihad economica

già combattuta da AQAP in Yemen e nuovamente rilanciata dal portavoce di IS, Abu

Mohammed al-Adnani), sia nelle modalità di condotta degli attacchi sempre più

complessi e probabilmente orchestrati di concerto con gli emissari dell’IS nell’area.

Nel frattempo una Corte del Cairo ha dichiarato fuorilegge le Brigate Ezzedine al-

Qassam, l’ala militare del movimento islamista palestinese Hamas, ritenendo questo

gruppo parte attiva nelle violenze in corso nella Penisola sinaitica.

FRANCIA, 21 GENNAIO ↴

A seguito degli attentati terroristici dei primi giorni di

gennaio nella capitale francese, il Premier Manuel Valls

ha annunciato un nuovo piano di sicurezza nazionale.

Questo prevede lo stanziamento di 425 milioni di euro

per i prossimi tre anni, la creazione di 2.680 posti di

lavoro nelle agenzie e nei dipartimenti di polizia ed

intelligence, nonché un'altra serie di misure accessorie tra cui la realizzazione di un

database per la tracciabilità delle persone condannate per terrorismo e l'acquisto di

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nuove forniture come giubotti anti-proiettili più efficaci e armi pesanti. Ulteriori 60

milioni saranno investiti per la prevenzione della radicalizzazione giovanile anche

grazie alla creazione di un sito volto a meglio informare l'opinione pubblica

sull'arruolamento e sul contrasto ai fenomeni jihadisti. Valls ha allo stesso tempo

promesso la presentazione per il prossimo mese di marzo di un disegno di legge sulla

riforma dei servizi segreti, sull'uso delle intercettazioni e sulla rimodulazione delle

attività di sicurezza all'interno delle carceri. Non si sono nel frattempo arrestate le

retate anti-terrorismo, per lo più condotte nelle zone meridionali del Paese: il 20

gennaio sono stati fermati a Béziers, nel dipartimento dell'Hérault, cinque russi di

origine cecena sospettati di pianificare un attentato (a Grozny, in Cecenia, regione

caucasica a maggioranza musulmana, sono state peraltro numerose le manifestazioni

di protesta contro le vignette di Charlie Hebdo); a Lunel, nel medesimo dipartimento

e da dove almeno 20 giovani sarebbero partiti per la Siria, il 27 gennaio le forze

speciali hanno scoperto e smantellato una cellula jihadista composta da cinque

persone sospettate di reclutamento. Altri arresti sono stati effettuati in Belgio, nella

città fiamminga di Kortrijk, anche se sono ancora da verificare i presunti collegamenti

con la cellula di Verviers smantellata il 16 gennaio in un'operazione in cui sono morti

due ceceni.

INDIA-STATI UNITI, 25 GENNAIO ↴

In occasione della visita di Barack Obama a Nuova

Delhi, i governi di Stati Uniti e India hanno sottoscritto

una dichiarazione congiunta che riflette l’adesione

delle “due maggiori democrazie mondiali” a una lettura

condivisa delle relazioni asiatiche. La Casa Bianca ha

descritto il rinsaldato accordo con l’alleato indiano

come l’aspetto caratterizzante il Ventunesimo secolo. Il discorso strategico aperto

con il governo presieduto da Narendra Modi è tanto una delle direttrici privilegiate su

cui Washington intende sviluppare l’espansione nell’arena dell’Asia-Pacifico, quanto

uno strumento del bilanciamento dell’influenza cinese nella regione. Su quest’ultimo

versante, il Joint Strategic Vision firmato dalle parti afferma la salvaguardia della

sicurezza marittima e della libertà di navigazione, aggiungendo un riferimento

esplicito al Mar Cinese Meridionale. A dare immediata concretezza al rilancio dei

rapporti bilaterali è la conclusione di un accordo quadro di durata decennale nel

settore della difesa che prevede il trasferimento di tecnologia bellica e la produzione

congiunta di armamenti (in particolare, di aeromobili a pilotaggio remoto). È inoltre

di grande importanza il raggiungimento di un’intesa sul nucleare civile che risolve la

questione della responsabilità dei fornitori di tecnologie nucleari in caso d’incidente –

un punto sul quale l’incompatibilità delle rispettive legislazioni ha lungamente

impedito la conclusione di transazioni per la costruzione d’impianti nucleari da parte

d’imprese americane. L’India ha in precedenza stretto accordi commerciali in materia

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con Australia e Federazione Russa. L’azione diplomatica dell’amministrazione Obama

riprende e sviluppa il filo-negoziale che già sotto l’esecutivo Bush aveva portato nel

2008 al riconoscimento dello status nucleare indiano, seppur al di fuori del Trattato

di non proliferazione nucleare.

IRAN-RUSSIA, 20 GENNAIO ↴

Il 20 gennaio il Ministro della Difesa russo Sergej

Shoigu e il suo omologo iraniano Hossein Dehghan

hanno firmato a Teheran un accordo intergovernativo

di cooperazione militare. L’accordo prevede

l’espansione della cooperazione nelle attività di contro-

terrorismo, scambi nel personale militare con finalità

di addestramento e un compromesso per permettere

alle rispettive marine militari di usufruire dei reciproci porti. Viene inoltre menzionato

l’impegno nel mantenimento della sicurezza e stabilità sia regionale che

internazionale e la lotta contro i separatismi e gli estremismi. Durante quella che è

stata la prima visita ufficiale in 15 anni di Shoigu in Iran, i due rappresentanti politici

hanno confermato dunque di essere intenzionati a stringere maggiormente i rapporti

militari e diplomatici tra i rispettivi Stati. Le relazioni si erano difatti raffreddati in

seguito alla causa giudiziaria internazionale avviata da Teheran nei confronti di Mosca

in merito al mancato rispetto da parte della Russia di un contratto stipulato nel 2007

per la vendita di missili russi terra-aria S-300 all’Iran. Il motivo che ha portato la

Repubblica Islamica a ricorrere alla Corte di Conciliazione e di Arbitrato dell’OSCE è

stato il blocco da parte del Cremlino della consegna delle armi. La decisione russa

derivava tuttavia dall’emanazione della risoluzione delle Nazioni Unite che imponeva

sanzioni sull’acquisto iraniano di armamenti moderni a causa del controverso

programma nucleare di Teheran. Il motivo che negli ultimi mesi ha spinto Mosca a

rivolgersi nuovamente verso l’alleato iraniano è certamente la situazione di tensione

che si è venuta a creare con la NATO in seguito agli eventi in Ucraina. Come ha

affermato l’iraniano Dehghan «i due stati hanno punti di vista comuni sulle questioni

politiche regionali e globali». Iran e Russia vedono infatti entrambi di cattivo occhio

la politica estera statunitense in Medio Oriente ritenuta di ingerenza negli affari di

politica interna dei vari Stati, nonchè causa delle attuali crisi nei Paesi arabi. Entrambi

i Paesi inoltre sono alleati del regime siriano di Bashar al-Assad.

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ISRAELE-LIBANO, 28 GENNAIO ↴

Si registrano da alcuni giorni violenti scontri e incidenti

fra l’esercito israeliano e il movimento sciita Hezbollah,

lungo la Blu Line, la linea confinaria riconosciuta da

Libano e Israele nel 2000. Alla base delle tensioni – le

maggiori dalla seconda guerra tra Israele e Libano del

2006 – vi è stato un attacco lanciato dal gruppo sciita

libanese contro due mezzi corazzati israeliani della Brigata Givati che ha provocato la

morte di due soldati dell’IDF e il ferimento di altri e sette nella zona delle fattorie

Shebaa, nei pressi della regione del Golan. In risposta Israele ha lanciato un

bombardamento colpendo in particolare i villaggi di Ghajar, Majidiyeh, Abbasiyeh e

Kfar Chouba, da dove sarebbero partiti i bombardamenti di Hezbollah, e ha

proclamato zona militare interdetta un tratto di 20 Km lungo il confine libanese, fra

il kibbutz israeliano di Dafna in Cisgiordania e il villaggio druso di Massade nel Golan.

Nel primo attacco, quello rivendicato da Hezbollah attraverso la sua tv al-Manar, è

morto anche un militare spagnolo inquadrato nei caschi blu della missione

internazionale UNIFIL. L’attacco di Hezbollah rappresenta una ritorsione contro il raid

aereo effettuato da Tel Aviv alcuni giorni prima nei pressi di Quneitra, sempre sul

Golan, contro un convoglio militare di Hezbollah, nel quale sono morti 7 miliziani, tra

cui due suoi comandanti: Abu Issa, responsabile delle operazioni in Siria del gruppo

libanese, e Jihad Mughniyah, figlio di Imad, leader militare e responsabile della

sicurezza di Hezbollah morto nel febbraio 2008. Nei raid sarebbero morti anche alcuni

Pasdaran iraniani – secondo fonti ufficiose israeliane 5 o 7 unità –, tra cui il Generale

Mohammed Ali Allahdadi, capo dell’intelligence e delle attività all’estero delle Forze

al-Quds, ufficialmente in missione di consulenza alle forze libanesi impegnate nella

guerra siriana. Gli attacchi preventivi israeliani sul Golan erano stati motivati dal

pericolo di un possibile attentato alla sicurezza contro lo Stato Ebraico.

LIBIA, 29 GENNAIO ↴

Si è concluso il 29 gennaio il secondo round di

negoziati condotti a Ginevra in seno alle Nazioni Unite

per trovare una soluzione alla crisi libica. Il Paese

maghrebino si trova di fatti in presenza di due

Parlamenti e due Governi che reclamano la legittimità

nel controllo del Paese. In aggiunta a ciò, dalla caduta

del Colonnello Gheddafi nel 2011, sono dilagati in Libia gruppi di militanza locale in

continua lotta tra di loro che rendono la situazione del Paese decisamente instabile.

In un comunicato stampa, rilasciato alla fine degli incontri di Ginevra, la missione

delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha affermato che «vi è stato un accordo per

continuare le sessioni di negoziati in Libia, qualora le condizioni di logistica e sicurezza

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lo permettano». Nonostante le richieste dei delegati libici di spostare il tavolo degli

incontri in Libia, esiste infatti una crescente preoccupazione in merito alla sicurezza

nel Paese in seguito ad un attacco avvenuto martedì 27 gennaio in un Hotel della

capitale Tripoli. Si tratta dell’Hotel Corinthia, struttura ospitante prevalentemente

personale diplomatico e consolare. L’attentato, avvenuto nella mattinata, ha visto lo

scoppio di un autobomba e l’irruzione di un commando di quattro militanti islamici

nell’Hotel, due dei quali si sono fatti esplodere una volta circondati dalle forze di

sicurezza. Le vittime sono state nove, di cui cinque stranieri. A reclamare la

responsabilità dell’attentato è stato il gruppo affiliato al califfato islamico di Abu Bakr

al-Baghdadi, il Califfato di Derna, gruppo jihadista sorto nel novembre scorso. Il

motivo dichiarato è stata la rivendicazione per la morte di Abu Anas al-Liby, un

militante deceduto il 2 gennaio ed accusato di essere responsabile di due attacchi alle

ambasciate americane di Tanzania e Kenya nel 1998. Nel merito dell’attentato, l’Alto

Rappresentante europeo per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, Federica

Mogherini, ha dichiarato che «l’attacco all’hotel Corinthia è un altro atto di terrorismo

che costituisce un grave colpo agli sforzi di portare pace e stabilità in Libia. L’unione

Europea esprime soliarietà alle vittime e ai loro familiari [...] e supporta fermamente

gli sforzi dei negoziati che si stanno svolgendo in seno alle Nazioni Unite per trovare

una soluzione politica basata sul rispetto e sul dialogo». Il 25 gennaio inoltre un altro

gruppo jihadista attivo nel Paese nordafricano, Ansar al-Sharia, ha confermato

l’avvenuta morte del leader Mohammed al-Zahawi. A causare il decesso sono state

le ferite riportate nella battaglia per il controllo della città di Bengasi nello scorso

ottobre. Ansar al-Sharia è uno dei gruppi libici inseriti nel corso del 2014 nella lista

dei movimenti terroristici dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti. A questo movimento

è attribuita in particolare la responsabilità dell’attacco del 2012 all’Ambasciata USA

di Bengasi in cui è stato ucciso l’ambasciatore J. Christofer Stevens.

TURCHIA, 21-26 GENNAIO ↴

A partire dal 21 gennaio, il Presidente turco Recep

Tayyip Erdoğan ha intrapreso una serie di incontri

politici con i governanti dei Paesi del Corno d’Africa. Il

viaggio dell’ex Primo Ministro è iniziato dall’Etiopia

dove ha incontrato il Presidente etiope Mulatu

Teshome e il Primo Ministro Hailemarian Desalegn.

Dopo una breve interruzione del viaggio, dovuta alla morte del principe saudita

Abdullah bin Abdulaziz, alle cui esequie Erdoğan ha partecipato, la serie di colloqui

istituzionali è ripartita con gli incontri con il Presidente gibutino Ismail Omar Guelleh

e quello somalo Hassan Sheikh Mohamud. La visita in Somalia è stata particolarmente

gradita dai somali, in quanto dal 1989 Erdoğan è stato il primo leader non africano a

compiere una visita in questo Paese (2011). Durante la sua visita il Presidente turco

ha inoltre partecipato all’inaugurazione di un’ala del nuovo aeroporto internazionale

17

di Addis Abeba, costruito da compagnie turche, e di un nuovo ospedale, finanziato

dall’Agenzia di coordinamento economico della Turchia. L’importanza del viaggio in

Somalia è stata sottolineata ulteriormente dalla volontà del Presidente turco di non

rinunciarvi nonostante la minaccia dei terroristi islamici di Al-Shabaab che nei giorni

antecedenti la visita avevano compiuto un attentato ad un hotel di Mogadiscio, dove

risiedeva la delegazione turca che stava, appunto, predisponendo la visita del proprio

Presidente. Nonostante nessuno dei delegati turchi sia rimasto coinvolto, l’attentato

ha causato la veemente reazione di Erdoğan che ha espresso parole dure nei confronti

degli al-Shabaab, definendoli non islamici. L’interesse della Turchia per il continente

nero è il frutto di una scelta politica propria di Erdoğan che da Primo Ministro ha

praticamente raddoppiato il numero di Ambasciate in loco e, da Presidente, ha

promesso che effettuerà almeno altre due serie di viaggi in altri Paesi dell’Africa.

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ALTRE DAL MONDO

ARGENTINA, 19 GENNAIO ↴

È stato trovato morto, nel quartiere di Puerto Madero a Buenos Aires, ucciso da un

colpo di pistola alla testa, il procuratore argentino Alberto Nisman. Mentre all’inizio si

era parlato di suicidio, le indagini preliminari sembrerebbero far propendere per l’omi-

cidio. Alberto Nisman era molto conosciuto in Argentina poiché si stava occupando

delle indagini relative all’attentato terroristico ai danni del centro ebraico Asociaciòn

Mutual Israelita, che il 18 luglio 1994 causò la morte di 85 persone. Nisman riteneva

il governo di Teheran il mandante dell’attacco e Hezbollah l’esecutore materiale e,

secondo molti, avrebbe presentato prove compromettenti a carico della Presidentessa

argentina Cristina Kirchner, rea di voler coprire le responsabilità iraniane per finalità

economiche.

FILIPPINE, 25 GENNAIO ↴

Scontri tra le forze governative e i ribelli musulmani del Fronte di Liberazione Islamica

Moro (MILF) hanno provocato la morte di 44 poliziotti. Fonti dell'esercito hanno so-

stenuto che la polizia era entrata in una comunità musulmana dove si ritiene fossero

operativi il MILF, ILF (Fronte di liberazione intellettuale) e la sua fazione rivale,

Fighters Bangsamoro Islamic Freedom, per arrestare Zulkifli Bin Hir, un esperto di

esplosivi e bombe malese che ha una taglia 5.000 mila dollari sulla sua testa messa

dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Nonostante lo sdegno per quanto accaduto,

il Presidente Benigno Aquino si è impegnato a salvaguardare l’accordo di pace siglato

nel marzo 2014 con il MILF.

GRECIA, 25 GENNAIO ↴

Come ampiamente previsto dai sondaggi le elezioni politiche greche si sono concluse

con un’ampia vittoria di Syriza, il partito di sinistra guidato da Alexis Tsipras, che ha

ottenuto oltre il 36% dei voti, seguito da Nea Demokratìa con il 27,8% e dai neona-

zisti di Alba Dorata che si affermano come terzo partito con poco più del 6% dei

consensi. Tsipras ha ottenuto 149 seggi sui 300 disponibili, mancando per due seggi

l’ottenimento della maggioranza assoluta in Parlamento. Per giungere alla maggio-

ranza assoluta Syriza ha deciso di allearsi con ANEL, partito di destra, che condivide

con Tsipras l’opposizione alle politiche di austerità imposte dalla troika.

HAITI, 19 GENNAIO ↴

Il Presidente Michel Martelly ha annunciato la formazione di un nuovo governo, co-

stituito da 18 Ministri e 16 Segretari di Stato, tra i quali vi sono molti alleati del

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Presidente, dislocati in posizioni chiave. Il Primo Ministro designato è Evans Paul,

passato sindaco della capitale Port-au-Prince, e partecipante alle elezioni presiden-

ziali del 2006. L’annuncio della formazione del nuovo governo giunge dopo settimane

di incertezza politica e di proteste della popolazione che accusava Martelly di voler

creare uno stallo politico, al fine di poter governare il Paese ricorrendo allo strumento

di emergenza dei decreti presidenziali.

KOSOVO, 24 GENNAIO ↴

È di 37 feriti e decine gli arresti il bilancio degli scontri tra forze di polizia kosovare e

manifestanti scesi in piazza tra il 24 e il 27 gennaio per protestare contro la decisione

del governo Mustafa di non procedere più con la nazionalizzazione del complesso

minerario di Trepča – ubicato nel Kosovo del nord e una cui parte è controllata anche

dalla Serbia – a seguito delle pressioni internazionali. I manifestanti chiedevano inol-

tre le dimissioni del Ministro per le Comunità e i Ritorni, Aleksandar Jablanovic, di

etnia serba, per alcune dichiarazioni contro i cittadini albanesi.

MALI, 28 GENNAIO ↴

Un attacco sferrato a Gao da parte di un gruppo armato pro-governativo contro una

postazione dei ribelli tuareg ha provocato la morte di almeno una dozzina di persone.

Secondo fonti locali, i combattenti del GATIA (Tuareg Imghad and Allies Self-Defence

Group), gruppo pro-governativo, accompagnati da due attentatori suicidi, avrebbero

attaccato una postazione tenuta da MNLA (National Movement for the Liberation of

Azawad) e HCUA (High Council for the Unity of Azawad), nei pressi della località di

Tabankort. Fonti della MINUSMA, la missione della Nazioni Unite in Mali, hanno con-

fermato il bilancio dell’attacco, aggiungendo che un terzo attentatore suicida è stato

ucciso poco prima che potesse fare detonare l’esplosivo che deteneva.

MOZAMBICO, 19 GENNAIO ↴

Il nuovo Presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, ha nominato Primo Ministro Carlos

Agostinho do Rosario, alla guida di un governo costituito soprattutto da lealisti tutti

interni al partito. Confermando la volontà espressa di tagliare i costi della politica, il

Presidente Nyusi ha ridotto il numero dei Ministeri, unendoli o eliminandoli, e di con-

seguenza il numero dei Ministri e dei vice-Ministri. Le elezioni hanno assunto una

importanza capitale dopo la recente scoperta di grandi giacimenti offshore di gas, che

potrebbero rendere il Mozambico uno dei principali esportatori di gas naturale lique-

fatto.

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SOMALIA, 27 GENNAIO ↴

Il Premier Omar Abdirashid Ali Sharmarke ha annunciato la costituzione del nuovo

governo, dopo una serie di consultazioni molto intense che hanno coinvolto, oltre al

Presidente Hassan, anche i rappresentanti regionali e i partner internazionali. Il nuovo

governo sarà costituito da 20 membri, quasi tutti nuovi ad esperienze ministeriali, e

dovrà, una volta ottenuta la fiducia del Parlamento, preparare il Paese per le elezioni

presidenziali del settembre 2016. Sharmarke è il terzo Premier designato in un anno,

dopo che i suoi predecessori erano stati licenziati dal Presidente Hassan.

STATI UNITI, 20 GENNAIO ↴

L’America raccontata dal Presidente Barack Obama nel discorso cerimoniale sullo

stato dell’Unione esce con ottimismo da una stagione marchiata dalla crisi economica,

dalla minaccia del terrorismo e dalle guerre combattute in Medio Oriente. Per quanto

concerne il profilo di politica estera, Obama ha decantato il binomio tra la potenza

militare e una diplomazia forte in grado di promuovere il coalition building quale sta-

bile criterio dell’azione internazionale, adducendo gli esempi virtuosi della conclusione

delle operazioni di combattimento in Afghanistan, il ruolo decisivo assunto contro lo

Stato Islamico, l’opposizione all’aggressione russa in Ucraina, il rinnovato impegno

verso la chiusura del carcere di Guantanamo, il rilancio dei negoziati con l’Iran e

l’apertura verso Cuba – questioni complesse, tuttavia, che restano ancora aperte

nell’agenda dell’amministrazione in carica.

STATI UNITI-CUBA, 22 GENNAIO ↴

Dando seguito allo storico annuncio della normalizzazione delle relazioni diplomati-

che, le delegazioni di Stati Uniti e Cuba si sono incontrate una prima volta a L’Avana.

I due giorni di colloqui sono stati incentrati sul tema particolarmente spinoso delle

politiche in materia d’immigrazione e hanno portato a galla posizioni distanti. Tutta-

via, il confronto ha rinnovato l’intento condiviso verso lo sviluppo dei rapporti bilate-

rali.

ZAMBIA, 20 GENNAIO ↴

La commissione elettorale dello Zambia ha dichiarato Edgar Lungu il vincitore delle

elezioni presidenziali del Paese. Edgar Lungu, rappresentante del Patriotic Front e

Ministro di Difesa e Giustizia nel precedente governo, ha ottenuto il 48,3% dei voti,

sconfiggendo al ballottaggio lo sfidante Hakainde Hichilema dello United Party for

National Development, che ha ottenuto il 46,7% dei consensi. Le elezioni, la cui du-

rata è stata prolungata di alcuni giorni a causa delle forti piogge cha hanno impedito

a molti di votare, erano state anticipate di un anno a causa della morte del Presidente

in carica Michael Sata, avvenuta lo scorso ottobre.

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ANALISI E COMMENTI

L’AZERBAIJAN NELLO SCENARIO STRATEGICO MONDIALE

PAOLO BALMAS ↴

Nei primi anni del Diciannovesimo secolo l’Azerbaijan era il primo esportatore mon-

diale di petrolio. Le guerre e l’adesione all’Unione Sovietica da un lato e la crescita

delle capacità di produzione dei Paesi del Golfo Persico dall’altro, hanno fatto in modo

che tale primato si ridimensionasse e addirittura si dimenticasse per lunghi anni.

Evidentemente, Mosca non riuscì a sfruttarne le potenzialità perché, tra l’altro, era

concentrata piuttosto sullo sviluppo delle attività petrolifere nella regione siberiana.

Un secolo più tardi, in questi giorni, Baku è tornata ad essere un attore di primo piano

nella produzione ed esportazione di idrocarburi e tale condizione è destinata a cre-

scere (…) SEGUE >>>

DOPO CHARLIE HEBDO, LA MAPPA DEL JIHADISMO GLOBALE.

INTERVISTA AD ARTURO VARVELLI

MARIA SERRA ↴

Gli attentati di Parigi e, soprattutto, le modalità con cui essi sono stati condotti, non-

ché la rete terroristica che sembra si stia sviluppando in tutta Europa – benché siano

da verificare i legami tra le cellule finora individuate – hanno risvegliato l’attenzione

dell’opinione pubblica e delle autorità nazionali sui problemi legati alla sicurezza nel

nostro Continente e nelle sue più immediate periferie. In un mondo sempre più in-

terconnesso e pacificato – almeno apparentemente limitatamente all’Occidente –, le

realtà quotidiane e all’apparenza più innocue si riscoprono invece insicure e – forse

– maggiormente esposte ai rischi di nuove ondate di violenze di stampo terroristico

(…) SEGUE >>>

ELEZIONI IN GRECIA: LA VITTORIA DI TSIPRAS ALLONTANA L’AUSTERITÀ?

GIUSEPPE CONSIGLIO ↴

L’ampiamente annunciato trionfo di Alexis Tsipras si è infine palesato. Con numeri

che superano di gran lunga le più rosee previsioni, Synaspismós Rizospastikís Ari-

sterás (SYRIZA), la Coalizione della Sinistra Radicale, è diventata la prima forza po-

litica della Grecia. Un vero terremoto in piazza Syntagma (la sede del Parlamento

ellenico ad Atene). Una vittoria epocale per la sinistra radicale e carica di speranze

per il popolo greco prostrato da una crisi senza fine i cui devastanti effetti sono assurti

alle cronache come archetipo dei tormenti che l’austerità, il feticcio idolatrato dai

teorici del rigore di Bruxelles, è in grado di arrecare ai cittadini e all’economia reale

di un Paese (…) SEGUE >>>

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LA DIMENSIONE SPAZIALE NELLE POLITICHE DI SICUREZZA E DIFESA

VIOLETTA ORBAN ↴

ANALISI DISPONIBILE ANCHE COME RESEARCH PAPER: SCARICA

L’incidenza della dimensione spaziale in numerosi settori di attività ha condotto a

un’acquisizione di consapevolezza dell’importanza del fattore spazio per finalità di

tipo politico, strategico, economico e commerciale. Le potenzialità nel campo delle

telecomunicazioni, della ricerca scientifica, del monitoraggio ambientale e climatico e

della difesa costituiscono rilevanti fattori di stimolo al possesso di infrastrutture e di

sistemi spaziali autonomi da parte dei principali attori internazionali ai fini della proie-

zione del proprio ruolo sulla scena globale (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net