BloGlobal Weekly N°24/2014

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www.bloglobal.net N°24, 28 NOVEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (2-8 novembre 2014)

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N°24, 2–8 NOVEMBRE 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 9 novembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°24/2014 (2–8 novembre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: BBC; RIA Novosti/Andrei Stenin; Ahmad Gharabli/AFP/Getty Images; RIA Novosti/Alexey Kudenko; Getty Images; AFP; Algerie Presse Service; Getty Images/S. Gallup; Reuters; Daily Sabah; Reuters/Larry Downing;

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FOCUS

ISRAELE↴

Non accennano a placarsi le tensioni a Gerusalemme e in Cisgiordania dopo lo

scambio di accuse tra governo israeliano, Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e Ha-

mas circa le misure restrittive nei confronti dei fedeli per accedere alla Spianata delle

Moschee.

Dopo l’attentato contro il rabbino estremista Yehuda Glick il governo israeliano aveva

deciso infatti di impedire l’accesso al luogo sacro a tutti i palestinesi dopo che alcuni

nazionalisti religiosi israeliani vi avevano fatto irruzione chiedendo la distruzione della

Moschea della Roccia e la ricostruzione del Tempio di Salomone. Una situazione esplo-

siva che ha provocato diversi scontri tra polizia israeliana e palestinesi a Geru-

salemme Est e che il 5 novembre scorso ha conosciuto il momento di maggior ten-

sione dopo che un furgone, guidato da un giovane palestinese, ha investito un gruppo

di pedoni israeliani uccidendone due e ferendone tredici. Nelle stesse ore un altro

attacco era avvenuto a Gush Etzion, nei pressi di Hebron, dove un membro di Hamas

aveva attaccato la folla con un auto uccidendo un poliziotto. Attentato molto simile a

quello che era avvenuto solo pochi giorni prima (23 ottobre) sempre a Gerusalemme.

L’attentatore Ibrahim Akari – ucciso dagli agenti israeliani subito dopo l’attacco – era

un affiliato alla cellula gerosolomitana di Hamas ed era residente a Shuafat, quartiere

nella parte orientale di Gerusalemme. All’attentato è seguita un inasprimento delle

tensioni tra palestinesi e polizia israeliana nella città vecchia: in particolare i prin-

cipali incidenti sono avvenuti alla porta di Damasco. «L'attacco effettuato oggi

a Gerusalemme da un palestinese è il risultato del continuo incitamento da parte del

Presidente palestinese Mahmoud Abbas e dei suoi partner di Hamas», ha detto il

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Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Immediata la risposta palestinese,

per voce di Mustafa Barghouti, membro del comitato centrale dell’OLP che accusa

«Netanyahu [di essere] il vero protagonista di questa escalation e sta già progettando

nuove elezioni per avere il supporto della destra religiosa [...] Israele sta provocando

l'impennata di tensione e di violenza nella città di Gerusalemme facilitando l'ingresso

alla Spianata delle Moschee di nazionalisti di estrema destra». Parole ancora più nette

quelle di Mahmoud al-Habash, Consigliere per gli Affari religiosi dell’ANP, che mette

in guardia Israele dal lanciare una nuova offensiva contro i palestinesi: «Il perdurare

dell’invasione ad al-Aqsa è una dichiarazione di guerra religiosa. […] Una guerra di

religione significa che ogni israeliano diventerà un nemico diretto di ogni musulmano

in tutto il mondo». Intanto, anche Hamas minaccia di intervenire nella disputa con

un proprio comunicato nel quale avvisa gli estremisti religiosi ebrei dei pericoli che

potrebbero incontrare se si rifiutassero di seguire le regole vigenti sulla Spianata delle

Moschee. Una situazione incandescente che ha portato più analisti – ad esempio

l’israeliano Barak Ravid – a parlare di una Terza Intifada alle porte.

Proprio le tensioni di Gerusalemme e la questione dello status della Spianata delle

Moschee – regolato dal trattato di pace tra Israele e Giordania del 1994 – sono stati

i temi al centro di un vertice segreto che si sarebbe tenuto ad Amman tra il Premier

Netanyahu e il Re di Giordania Abdallah II. Una ricostruzione dei fatti è stata fornita

dal quotidiano kuwiatiano al-Jarida, anche se non confermate dalle autorità israeliane

e giordane. Al di là del presunto avvenuto incontro, Amman ha deciso di ritirare da

Tel Aviv il proprio Ambasciatore Walid Obeidat a causa dell’atteggiamento «provoca-

torio» israeliano in merito allo status del luogo sacro e alla continua costruzione di

abitazioni per i coloni nella parte orientale di Gerusalemme. Una situazione che il

Ministro degli Esteri giordano Nasser Judah, ha deciso di portare dinanzi al Consiglio

di Sicurezza delle Nazioni Unite chiedendo un intervento di condanna nei confronti

dello Stato Ebraico.

Nel frattempo la diplomazia europea prova a inserirsi nel vuoto politico lasciato dagli

Stati Uniti dopo il fallimento dei negoziati sul processo di pace. A tal proposito con un

viaggio ufficiale il 7 e l’8 novembre, Federica Mogherini, Alto Rappresentante

dell'Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza, ha effettuato una

visita a Gerusalemme e a Gaza con l’intento di dare nuova linfa al processo di pace

in stallo. Nell’incontro in Israele, Mogherini ha incontrato Netanyahu, il quale ha di-

feso la politica unilaterale degli insediamenti chiudendo subito qualsiasi spiraglio di

dialogo con le controparti palestinesi. A Gaza, invece, l’ex Ministro degli Esteri italiano

avrebbe dovuto incontrare il Premier palestinese Rami Hamdallah, il quale ha poi

rinunciato ad incontrarla a causa di una serie di attentati nella Striscia provocati da

Hamas contro uomini vicini a Fatah, fazione di Abu Mazen e dello stesso Premier.

Intanto, la Corte Penale Internazionale dell’Aja ha deciso di non perseguire Israele

per il blitz contro la nave turca Mavi Marmara facente parte della Freedom Flotilla

attaccata mentre cercava di aggirare il blocco di Gaza nel maggio 2010. Nell’opera-

zione militare morirono nove attivisti turchi.

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LIBIA ↴

La recrudescenza del conflitto libico sembra indirizzarsi verso un punto di non ritorno

che, con alte probabilità, rischia di fluire in un processo di “somalizzazione”, che

nel lungo periodo potrebbe caratterizzarsi per continui conflitti tra fazioni tribali in

lotta tra di loro data anche l’assenza di istituzioni che possano assumere una legitti-

mità sufficiente da poter imporre norme e leggi sulla popolazione e sugli attori nazio-

nali libici.

Ad alimentare nuove tensioni è giunto il 6 novembre un verdetto della Corte Suprema

Libica, situata a Tripoli, dichiarante incostituzionali le elezioni tenutesi il 25 giu-

gno scorso. La conseguenza della pronuncia dovrebbe essere lo scioglimento del

Parlamento di Tobruk, ma la risposta della Camera dei Rappresentanti è stata la ne-

gazione della validità della dichiarazione a causa dell’influenza delle milizie armate

sulla Corte. Secondo quanto affermato da Farraj Hashem, portavoce dell’Assemblea

di Tobruk, «il verdetto è stato emanato sotto la minaccia della pistola». Da parte sua

l’ONU ha dichiarato che valuterà attentamente la decisione della Corte Suprema Li-

bica. Alla base della pronuncia dell’Alta Corte vi sarebbe il fatto che la nuova Camera

di Tobruk non avrebbe formalmente tenuto un giuramento e in quanto tale

l’istituzione politica è come se non si fosse mai insediata. Una sentenza che come ha

sottolineato il neo Ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, fa temere «un ulte-

riore deterioramento della situazione».

Dopo le elezioni del 25 giugno la Libia ha visto il verificarsi di una crescente spirale

di violenza, sebbene il voto avrebbe dovuto portare alla creazione di istituzioni, so-

stitutive del Congresso Generale Nazionale (CGN) giunto al termine del proprio man-

dato il 4 agosto scorso, in grado di guidare la nazione verso la transizione democra-

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tica. Tuttavia, il nuovo Parlamento eletto, la Camera dei Rappresentanti di cui il ri-

spettivo Primo Ministro è Abdullah al-Thani, non soddisfacendo le aspettative di molte

delle fazioni islamiche libiche, ha subìto numerosi attentati e minacce fino ad essere

costretto a spostarsi dalla capitale, Tripoli, alla cittadina di Tobruk, situata a 200 km

dal confine egiziano. Nel frattempo a Tripoli le milizie islamiche, non riconoscendo il

Parlamento eletto, hanno ristabilito in forza il decaduto CGN in cui le fazioni reli-

giose godevano della maggioranza, designando a capo del relativo governo Omar al-

Hasi. Si è venuta a formare così, di fatto, una situazione di conflitto tra due istituzioni

politiche che si contendono la legittimità e l’autorità nel Paese.

Nel caos generale che si è creato e che continua ad autoalimentarsi, inoltre, tra le

varie parti in lotta sta spiccando la figura dell’ex-generale Khalifa Haftar. Quest’ul-

timo, invero, è riuscito di recente, col merito di successi avuti sul campo contro le

milizie islamiche armate, ad ottenere il riconoscimento del governo di al-Thani quale

forza militare competente a garantirne la sicurezza in assenza di un esercito

regolare in grado di assolvere a tale funzione. Haftar, capo delle forze armate del

regime di Gheddafi all’inizio degli anni Settanta, fu rinnegato dal Colonnello in seguito

alla perdita della Guerra in Ciad e costretto all’esilio negli Stati Uniti. Dagli USA Haftar

è rientrato in Libia per combattere il regime soltanto nel 2011 lottando al fianco dei

militanti islamici. Di questi ultimi, tuttavia, è divenuto il nemico numero 1 con il lan-

cio, nel maggio scorso, di Operazione Dignità, offensiva volta ad attaccare le milizie

di Tripoli e quelle di Bengasi. In particolare a Bengasi le truppe di Haftar da agosto,

col sostegno della Libyan National Army, fronteggiano il gruppo terroristico Ansar al-

Sharia e tale battaglia per il controllo della cittadina cirenaica ha visto nelle

ultime settimane una notevole escalation degli scontri con un bilancio dei morti su-

periore alle 200 vittime in meno di un mese.

Contemporaneamente, nei primi giorni di novembre in seno al Consiglio di Sicurezza

delle Nazioni Unite, Francia, Regno Unito e Stati Uniti hanno presentato una richiesta

per inserire Ansar al-Sharia, già nella lista di Washington dei gruppi terrori-

stici, nell’omologo elenco delle Nazioni Unite, dati i legami del gruppo con al-Qaeda.

La decisione del CdS dovrà arrivare il 19 novembre prossimo. Le conseguenze di tale

classificazione, nel caso in cui venga approvata, sarebbero un embargo totale sulle

armi dirette alla milizia, un divieto di circolazione per i singoli individui legati al mo-

vimento e un congelamento dei rispettivi beni. Da sottolineare, in merito alle connes-

sioni di Ansar al-Sharia con altri gruppi terroristici, che nell’ultimo mese la fazione

di Derna del gruppo ha dichiarato apertamente il proprio sostegno e affiliazione allo

Stato Islamico di al-Baghdadi.

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SIRIA-IRAQ ↴

L’arrivo dei 150 peshmerga iracheni ha provvisoriamente arrestato l’assedio

dello Stato Islamico (IS) su Kobane: l’introduzione sul terreno di scontro di alcuni

pezzi di artiglieria ha colmato una delle principali lacune dei resistenti, che dall’inizio

dell’attacco hanno subito una costante inferiorità tattica sul piano degli armamenti.

Lo stallo della battaglia ha indotto le fazioni curde a rinnovare gli appelli per un mag-

gior coinvolgimento della comunità internazionale: dinanzi al Parlamento europeo (4

novembre) Masoud Barzani ha chiesto il rafforzamento dell’assistenza mili-

tare ed ha invitato alla rimozione del PKK dalle organizzazioni terroristiche

riconosciute da Bruxelles. Mentre Erdoğan esibisce la linea della fermezza, assimi-

lando il Partito dei Lavoratori del Kurdistan allo Stato Islamico, il governo turco ha

riaperto i colloqui con la leadership del movimento al fine di rilanciare il pro-

cesso di pace dopo le frenate provocate dalla crisi di Kobane.

Sul fronte iracheno, nelle ultime due settimane le divisioni fedeli a Baghdad hanno

rotto l’accerchiamento della capitale, all’interno della quale, però, l’attività ever-

siva delle cellule terroriste irrompe quotidianamente in violenti attentati. Le autorità

centrali, di concerto con il governo regionale del Kurdistan, stanno definendo la pre-

parazione di due battaglioni speciali per la riconquista di Mosul, nei cui ranghi

saranno integrate unità volontarie (4500 le registrazioni riportate) e ufficiali di polizia.

Al contempo, i peshmerga di Barzani hanno recuperato il controllo di Zumar e

delle arterie stradali che congiungono Mosul a Rabia.

Tuttavia, il Califfato impone legge e consolida la propria autorità su buona parte

dell’Iraq nord-occidentale, a partire dall’heartland sunnita dell’Anbar, laddove l’entità

delle divisioni settarie proibisce al governo di al-Abadi il ricorso alle milizie sciite,

mentre la vastità del governatorato costringerebbe il fragile esercito iracheno ad una

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dispersione fatale – anche in virtù della corruzione dei legami tra il tessuto tribale ed

il governo centrale. I recenti massacri (sarebbero 322 i membri della tribù Albu Nimr

trucidati a Hīt) attestano la durezza e l’efficacia del dominio instaurato dall’IS, che

sotto la scure della persecuzione ideologica e della pronta repressione delle tribù non

allineate al disegno califfale svolge ormai funzioni tipicamente statali nelle aree oc-

cupate. Da questo punto di vista, l’istituzione di brigate nazionali in cui far confluire

le diverse anime di un Iraq già profondamente lacerato dai conflitti etnici e confes-

sionali incontra i tempi lunghi delle negoziazioni parlamentari, mentre l’opzione im-

mediata di armare le tribù sunnite – benché incoraggiata da Washington – è ostaco-

lata dalle resistenze della dirigenza sciita che tiene le redini del ricostituito ordine

iracheno. A conferma delle spaccature emerse tra le fazioni politiche irachene

si prenda ad esempio la reiterata dilazione nel rilascio dei permessi d’ingresso alle

forze speciali australiane (circa 200 unità) che attendono lo schieramento nel Paese

per condurre attività di addestramento; il ritardo nello svolgimento delle pratiche

burocratiche rende manifesta l’opposizione interna alla presenza di ulteriori contin-

genti stranieri.

In breve, l’andamento delle ostilità e le debolezze strutturali degli apparati politici e

militari saldano progressivamente il radicamento tra Raqqa e Ramadi delle

schiere di al-Baghdadi, la cui offensiva trova nel teatro siriano una sponda for-

midabile in Jabhat al-Nusra – che sembra definitivamente associata alla strategia

del Califfato. Il Fronte ha espanso la propria impronta nella provincia siriana di Idlib,

a lungo baluardo delle opposizioni moderate anti-Assad. Non a caso i bombardamenti

della coalizione internazionale hanno iniziato a colpire diffusamente i miliziani di al-

Nusra, i quali tuttavia nelle ultime settimane hanno inferto gravi perdite al Fronte

Rivoluzionario Siriano e al movimento Hazm – entrambi sostenuti dalle potenze

occidentali ma isolati dall’asse di convenienza venutosi a creare tra Washington ed il

regime di Bashar al-Assad, la cui aviazione conduce attacchi sia contro gli insorti, sia

contro i miliziani jihadisti.

Da questo versante l’amministrazione Obama incede nella distinzione, strategica-

mente problematica ed operativamente fallace, tra l’aggressione in territorio siriano

ai gangli vitali dell’IS e la risoluzione del sanguinoso conflitto parallelo combattuto da

e per Damasco. I raid statunitensi mirano ad eliminare la testa del Califfato: fonti

CENTCOM confermano che i bombardamenti effettuati nella notte dell’8 no-

vembre hanno centrato i quartier generali jihadisti a Mosul, riuscendo forse a

colpire lo stesso al-Baghdadi, benché tali indiscrezioni non possano trovare una di-

retta conferma sul campo.

Tuttavia, negli ambienti del Pentagono prende corpo la consapevolezza che l’esposi-

zione americana potrebbe eccedere lo stesso mandato presidenziale e, stante l’im-

possibilità di degradare la minaccia jihadista con la sola guerra aerea, Obama sarà

pertanto costretto a risolvere la discordanza della mutevole linea rossa che conforta

la permanenza del regime alawita. Il voto che ha ridisegnato la maggioranza del

Senato americano potrebbe in tal senso incidere sensibilmente sugli obiettivi

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dell’operazione Inherent Resolve, poiché (in corrispondenza del termine dei ne-

goziati sul nucleare intavolati con Teheran) la maggiore influenza repubblicana po-

trebbe spostare il dibattito congressuale sul mandato degli sforzi bellici condotti in

Medio Oriente verso una determinazione manifestatamente anti-Assad – che tuttavia

enfatizzerebbe l’antagonismo di Mosca, oggi ai margini della crisi iracheno-siriana.

Nel frattempo, l’esecutivo Obama ha autorizzato il dispiegamento di altre 1500

unità, raddoppiando il contingente incaricato di assistere le Forze Armate irachene.

Ciò nonostante, nel teatro siriano convergono interessi strategici e piani di conflitto

assai distanti tra gli stessi avversari del Califfato. In tal senso è assai indicativo il

progetto iraniano di aggregare sotto un’unica organizzazione paramilitare

sul modello di Hezbollah le milizie sciite che tuttora assistono le forze regolari di

Assad nella repressione dei ribelli. Dunque, è nei teatri di battaglia di Siria ed Iraq

che procedono non solo il destino di entrambi i Paesi contro la pressione islamista,

ma anche la più ampia ed incerta ridefinizione dei rapporti regionali.

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BREVI

AF-PAK, 2 NOVEMBRE ↴

Si è tenuta a Pechino la quarta sessione del Processo

di Istanbul, una Conferenza internazionale

sull'Afghanistan co-organizzata nel 2011 da Turchia e

Afghanistan. Il Primo Ministro cinese Li Keqiang ha

aperto i lavori auspicando una rapida soluzione

internazionale della questione afghana attraverso il

definitivo raggiungimento della sicurezza in un quadro

di prosperità regionale. La Cina ha prospettato un piano in più punti per stabilizzare

l’Afghanistan. Pechino manterrà una politica amichevole verso Kabul, sostenendola

nel processo di pace e in quello di ricostruzione attraverso aiuti economici. L’aiuterà,

poi, nel potenziare le proprie capacità di auto-sviluppo, includendola nel contesto

della cooperazione regionale al fine di promuovere la collaborazione e le sinergie nella

regione. L’Asia Centrale, contemporaneamente, è stata però scossa da un nuovo

attentato al confine tra India e Pakistan. È notizia del 2 novembre che un kamikaze

si è fatto esplodere al checkpoint di Wagah provocando la morte di più di cinquanta

persone e oltre cento vittime. L’attacco terroristico è stato rivendicato da un gruppo

estremista islamico sunnita che si fa chiamare Jamatul Ahrar. Il portavoce Ahsanullah

Ahsan ha affermato che l’attentato era diretto contro il governo di Islamabad in un

momento in cui è all’apice lo scontro che, da metà giugno, vede l’esercito nazionale

in repressione sui focolai di insorti talebani che operano al confine tra Afghanistan e

Pakistan. «Gli attacchi continueranno» è stata la minaccia conclusiva di Ahsan. Da

segnalare, infine, la visita del nuovo Segretario Generale della NATO, Jens

Stoltenberg, in Afghanistan il 6 novembre in cui ha ribadito l’impegno dell’Alleanza

Atlantica a contribuire alla stabilizzazione afghana anche dopo il ritiro che sarà

completato a fine 2014.

BELGIO, 6 NOVEMBRE ↴

Sono almeno 14 i feriti negli scontri con tra polizia e

manifestanti scesi nelle principali strade di Bruxelles

per protestare contro la riforma del lavoro promossa

dal nuovo governo di centro-destra guidato dal liberale

francofono Charles Michel. Il piano dell'esecutivo

insediatosi nello scorso mese di ottobre dopo una

lunga fase di stallo politico-istituzionale, prevede un aumento dell'età pensionabile a

67 anni ed una limitazione della portata per i pensionamenti anticipati, oltre

all'annullamento per il prossimo anno dell'aumento dei salari indicizzati all'inflazione

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e al taglio di 11 miliardi della spesa pubblica che toccherà particolarmente la sanità

e la sicurezza sociale. I dimostranti hanno peraltro preso d'assalto la sede della

Federazione delle Imprese del Belgio (FEB), accusata di sostenere il governo. Mentre

il neo Premier ha tenuto a precisare che tali misure sono fondamentali per mantenere

il deficit di bilancio nei limiti previsti dall'Unione Europea e insiste sul fatto che le

imprese belghe necessitano di politiche fiscali più favorevoli per reggere la

competitività nel mercato globale, le prime discussioni tra esecutivo e le principali

sigle sindacali – Federazione Generale dei Lavoratori del Belgio (FGTB),

Confederazione dei sindacati Cristiani (CSC) e Federazione Centrale dei Liberi

Sindacati del Belgio (CGSLB) – sono già iniziati nel pomeriggio del 6 novembre.

Proprio i tre gruppi sindacali, sostenuti da alcuni partiti della sinistra radicale, hanno

annunciato una stagione di manifestazioni almeno fino al prossimo 15 dicembre,

giorno in cui dovrebbe tenersi un nuovo sciopero generale.

BURKINA FASO, 5 NOVEMBRE ↴

Il processo di transizione democratica del Burkina

Faso, iniziato all’indomani della cacciata di Blaise

Compaorè, sembra procedere in maniera spedita verso

una soluzione condivisa da tutte le forze politiche in

campo. Il 5 novembre tre Capi di Stato della Comunità

Economica degli Stati dell’Africa Occidentale

(ECOWAS), il ghanese John Dramani Mahama, il nigeriano Goodluck Jonathan e il

senegalese Macky Sall, si sono recati a Ouagadougou per incontrare il colonnello Zida

e i diversi rappresentanti della società burkinabè con lo scopo di trovare un accordo

per il passaggio dei poteri alle autorità civili. Mentre i tre Capi di Stato si sono poi

recati ad Accra per un summit speciale dell’ECOWAS, che si sarebbe occupato

principalmente della crisi in Burkina Faso, nei giorni successivi una commissione

istituita ad hoc ha redatto un documento per la transizione, in cui sono state

formulate le prerogative del governo transitorio, ovvero la durata di un anno, la sua

composizione e il fatto che dovrà essere diretto da una personalità civile, fino alle

prossime elezioni legislative e presidenziali previste per il novembre 2015. Uno dei

punti più importanti, e forse di più difficile approvazione, è la disposizione che

prevede che tutti coloro che faranno parte di questo governo, dovranno accettare di

non candidarsi alle prossime elezioni. Il documento finale è stato poi sottoposto, a

partire dalla giornata dell’8 novembre, al vaglio di una conferenza plenaria alla quale

hanno partecipato rappresentanti dei partiti di opposizione e della società civile,

nonché alcuni capi religiosi e tribali: l’esercito, assente nelle riunioni mattutine, vi ha

partecipato soltanto nel pomeriggio. Il documento finale, che dovrebbe essere pronto

entro martedì, sarà poi sottoposto al colonnello Isaac Zida: per i rappresentanti della

società civile, il problema principale sarà quello di evitare ogni forma di ostruzionismo

da parte delle forze armate. Nel frattempo, sempre l’8 novembre, è avvenuta la visita

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a sorpresa della Sottosegretaria di Stato aggiunta americana, Bisa Williams, che ha

voluto incontrare il colonnello Isaac Zida ed esprimere il sostegno americano per una

transizione democratica e pacifica.

EGITTO, 5 NOVEMBRE ↴

La tensione è ancora alta in Egitto a causa dei nuovi

attentati che si sono registrati tra il Cairo e il Delta del

Nilo. Le bombe sono esplose ad al-Kouba, a est del

Cairo, provocando diversi feriti, e su un treno partito

dalla capitale e diretto a Menouf, nel Delta del Nilo. In

questo attacco le fonti di sicurezza nazionale hanno

confermato la morte di cinque poliziotti e il ferimento di circa una decina di persone.

Altri attacchi si sono registrati a nord della capitale a Ramadan City, dove

nell’esplosione è morta una donna. Sebbene non rivendicati, secondo l’intelligence

egiziana, gli attentati – ancora una volta avvenuti in coincidenza di un aggiornamento

procedurale di un processo contro i leader della Fratellanza Musulmana – sono stati

condotti da frange di jihadisti e di islamisti radicali per vendicare la destituzione

dell’ex Presidente Mohammed Mursi. Nelle stesse ore al Cairo e nelle altre città del

Paese si organizzavano nuove manifestazioni di protesta dei gruppi pro-Mursi. Nella

capitale, a Fayyoum e ad Ismailia si sono avuti gli incidenti maggiori (quattro morti

e una decina di feriti). Negli scontri con le forze di sicurezza, sono morti quattro

manifestanti e un poliziotto. Intanto nel Sinai, parallelamente alla dichiarazione di

alleanza tra Ansar Bayt al-Maqdis e lo Stato Islamico del Califfo al-Baghdadi –

smentita poche ore dopo sul profilo Twitter dello stesso gruppo jihadista egiziano –,

continuano ad andare avanti le operazioni di counterterrorism/counterinsurgency

dell’esercito egiziano. Istituita definitivamente la buffer zone di 500 metri per 13

chilometri lungo il confine di Gaza e portate a termine le operazioni di demolizione

delle 820 abitazioni, le forze di sicurezza dovranno ora trovare una soluzione alle oltre

mille famiglie sfollate. Proprio questa misura, insieme ad altri atti stringenti e

giustificati dal governo egiziano per combattere il terrorismo interno e regionale (ad

esempio l’istituzione delle corti militari per giudicare i civili), Il Cairo è stato accusato

da Human Rights Watch e dall’Universal Periodic Review delle Nazioni Unite di

utilizzare un doppio standard nel perseguire tali obiettivi: infatti, con l’intento di

reprimere la criminalità e il terrorismo islamista, le autorità starebbero in realtà

perseguendo e reprimendo ogni forma di dissenso in maniera indiscriminata. Secondo

numerosi attivisti dei diritti umani, le misure repressive del governo potrebbero avere

un effetto boomerang favorendo invece le simpatie/solidarietà verso i terroristi attivi

in tutto il Paese.

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MALI, 2 NOVEMBRE ↴

A circa 120 km da Gao, nel nord del Mali, un congegno

esplosivo è stato fatto esplodere nei pressi di una

postazione delle forze armate maliane, provocando la

morte di due soldati e il ferimento di altri quattro. Non

sono ancora stati identificati gli autori, ma il governo

ha subito affermato che questo attentato rappresenta

la fine del cessate il fuoco siglato ad Algeri. Nello stesso tempo a sud di Gao, reparti

dell’esercito si sono scontrati con almeno uno dei gruppi armati di Kidal: 20 ribelli

sono stati arrestati. Le dichiarazioni propagandistiche di entrambi gli schieramenti

non permettono di capire chi sia stato ad infrangere gli accordi di Algeri, ma è

evidente che un processo di pacificazione in Mali è molto difficile da tenere in piedi.

Nel frattempo, dopo la morte del sergente maggiore dell’esercito francese, altre forze

straniere sono state coinvolte nei fatti maliani. Il 30 ottobre scorso, nove soldati delle

forze di sicurezza nigerine sono stati uccisi da assalitori non identificati, nel campo

profughi di Mangaizé situato nell’ovest del Niger, nei pressi della frontiera con il Mali.

Alcune fonti governative hanno dichiarato che in precedenza anche la prigione di

Ouallam, situata nelle vicinanze, era stata assaltata e decine di criminali, tra i quali

alcuni esponenti del MUJAO (Movimento per l’Unicità del Jihad nell’Africa

Occidentale), sono fuggiti. Sebbene molti ritengano che l’attacco fosse diretto

esclusivamente contro le forze di sicurezza nigerine, l’ovest del Niger rappresenta un

importante punto di appoggio per le forze islamiste del Mali che vi dimorano

indisturbate, malgrado la presenza delle forze francesi dell’Operation Barkhane. In

un comunicato pubblicato martedì sera, la MINUSMA, la missione per il mantenimento

della pace dell’ONU in Mali, ha comunicato di aver preso delle misure per valutare

quanto accaduto: una équipe mista di Osservazione e Verifica si è recata nella regione

di Gao per analizzare gli eventi e fornire un relazione alla Commissione Tecnica Mista

di Sicurezza, che dovrà riferire le sue considerazioni al comandante della MINUSMA.

ROMANIA, 2 NOVEMBRE ↴

Le attese elezioni presidenziali nel Paese balcanico si

sono concluse con una vittoria al primo turno del Pre-

mier in carica, il socialdemocratico Victor Ponta con il

40,33%. Un buon risultato ma molto lontano dalla so-

glia del 50%+1 necessaria a conquistare la presidenza.

Al ballottaggio del 16 novembre il Premier se la vedrà

con il candidato conservatore e rappresentante della

comunità germanofona rumena, Klaus Johannis, sindaco della città di Sibiu, cha ha

raggiunto il 30,44% delle preferenze. L’affluenza è stata del 52,56%. La campagna

elettorale, già segnata da scandali e accuse di corruzione, ha visto consumarsi anche

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l’ennesimo scontro tra il Premier in carica e il Presidente della Repubblica uscente, il

conservatore Traian Băsescu, con quest’ultimo che ha accusato Ponta di essere un’ex

spia. Come previsto dalla legge, Băsescu, avendo completato i due mandati presi-

denziali, non era più candidabile.

STATI UNITI, 4 NOVEMBRE ↴

Le elezioni di metà mandato negli Stati Uniti hanno vi-

sto la vittoria del partito repubblicano ai danni di quello

democratico e, di riflesso, la sconfitta di Barack

Obama. In attesa del ballottaggio in Louisiana, i Re-

pubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Senato,

strappandolo ai rivali. A partire dal gennaio 2015, sa-

ranno 52 i seggi assegnati al Grand Old Party rispetto ai 44 dei Democratici. Anche

la Camera dei Rappresentanti sarà appannaggio della maggioranza repubblicana, che

ne ha ribadito il controllo. La nuova composizione vedrà 244 seggi occupati dai Re-

pubblicani contro i 184 dei Democratici. Con il nuovo Congresso, si votava anche per

eleggere 36 governatori. Il GOP, su questo fronte, ha vinto in tutti gli Stati dove era

considerato favorito e buona parte in cui veniva dato come leggermente sfavorito,

come in Florida, Illinois e Maine. Ha vinto in Kansas e in Maryland, quando si pensava

che potesse avere rispettivamente il 20 e il 6% di potercela fare. Come nelle previ-

sioni, i Democratici hanno mantenuto lo Stato di New York e la California. In totale i

Repubblicani hanno guadagnato tre governatori: sono ad oggi 31 gli Stati governati

dal GOP rispetto ai 17 del partito democratico. Chiuse le urne, Obama si è rivolto alla

nazione affermando che «gli americani hanno inviato un messaggio, quello che

stanno inviando da diverse elezioni a questa parte. Si aspettano che le persone che

eleggono lavorino tanto duramente quanto loro. Vogliono che portiamo a termine il

lavoro. E’ arrivato il momento di prenderci cura dei nostri affari. Ci sono cose che il

nostro Paese deve mettere a posto pensando al futuro. Potremo trovare dei modi per

lavorare insieme su problemi che mettano d’accordo anche tutti i cittadini americani.

Cominciamo dalle cose su cui ci troviamo d’accordo».

TURCHIA, 6 NOVEMBRE ↴

All’avvicinarsi del 1° dicembre, data in cui la Turchia

assumerà la presidenza del G-20 per l’anno venturo, il

Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha annunciato un am-

bizioso programma di riforme economiche. Il piano di

sviluppo che verrà implementato a partire dal 2015 in-

dividua 25 aree di trasformazione, delle quali le prime

nove sono state presentate nella giornata del 6 novembre ad Ankara. Nell’esporre le

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misure Davutoğlu ha affermato: «il nostro processo di trasformazione sarà basato su

5 pilastri. Il primo dei quali è il mantenimento di una relazione bilanciata tra stabilità

politica e prevedibilità economica», e più avanti «i nostri obiettivi sono far crescere il

PIL da 800 milioni di dollari a 1,3 trilioni entro il 2018, diminuire il disavanzo delle

partite correnti dal 6% al 5,2% del PIL e abbassare il livello di disoccupazione al 7%

dal 9.8% attuale». In particolare la prima delle nove aree previste include da sola

ben 417 piani di azione. Questo primo blocco concerne principalmente l’intenzione di

diminuire la dipendenza della Turchia dalle importazioni, finalità da raggiungere au-

mentando la produttività del lavoro, la prevedibilità economica, lo sviluppo costante,

le capacità tecnologiche nonché favorendo una maggiore attendibilità nazionale. Le

ulteriori riforme annunciate riguardano un potenziamento degli investimenti tecnolo-

gici, un maggiore supporto alla produzione domestica, un aumento dell’utilizzo di

energia basata sulle risorse interne del paese unita ad un incremento dell’efficienza

nell’utilizzo energetico, un miglioramento nell’efficienza idrica attraverso la diffusione

di impianti di irrigazione più moderni, la creazione di un comitato per coordinare

l’industria farmaceutica così da garantire la copertura del 60% dei medicinali richiesti

dal mercato turco, un irrobustimento delle capacità degli ospedali nazionali in modo

da incentivare il turismo sanitario (nei primi 6 mesi del 2014 sono stati infatti 162.445

i pazienti stranieri in cura negli ospedali turchi) e infine una valorizzazione delle ca-

pacità logistiche della Turchia così da farla diventare un rilevante hub logistico nel

Mediterraneo. Le restanti 16 aree di intervento verranno presentate dettagliatamente

nei prossimi mesi.

UCRAINA, 2 NOVEMBRE ↴

In un arroventato clima regionale ed internazionale, le

elezioni tenutesi il 2 novembre nelle auto-proclamate

Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lugansk hanno

come da previsioni decretato la vittoria

rispettivamente di Aleksandr Zakharchenko e di Igor

Plotnitsky. Il primo, seguito dal vice Presidente del

Parlamento dell'Unione di Novorossiya, Aleksandr

Kofman, e da un deputato del Consiglio Supremo locale, Yury Sivokonenko, ha

ottenuto il 75% dei voti, confermandosi così alla guida della DPR dopo l'abbandono

nel mese di agosto del russo Aleksandr Borodai. Il secondo ha invece ottenuto il 63%

dei consensi. A livello legislativo, le consultazioni nella DPR hanno visto la vittoria del

Donetsk Republic Party di Denis Pushilin con il 68,3% dei voti contro il 31,6% del

Free Donbass di Yevgeny Orlov; nella LPR ha invece prevalso il Peace for Lugansk

Region Party (69,4%) guidato dallo stesso Plotnitsky sulla Lugansk Economic Union

di Oleg Akimov (22,2%). Mentre i servizi ucraini hanno aperto un'indagine sulla

costituzionalità del voto, l'Unione Europea per mezzo dell'Alto Rappresentante per la

Politica Estera e di Sicurezza comune, Federica Mogherini, ha dichiarato di ritenere

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illegittime le consultazioni, che mettono a rischio l'accordo di Minsk dello scorso 5

settembre. In realtà Kiev, attraverso il portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza

e Difesa, Andriy Lysenko, il 7 novembre è tornata a denunciare nuovi sconfinamenti

da parte di veicoli militari russi – almeno due colonne di mezzi e soldati – nel sud-est

del Paese in direzione del centro di Krasnyj Luch. L'allarme è ora all'esame della NATO.

Se nuove sanzioni nei confronti di Mosca sembrano per ora escluse, il Segretario di

Stato USA Kerry e il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov hanno annunciato a

margine dell'imminente Vertice APEC di aver raggiunto un accordo sullo scambio di

informazioni su quanto avviene nelle aree di confine dell'Ucraina.

YEMEN, 6-9 NOVEMBRE ↴

Il 6 novembre le forze di sicurezza yemenite hanno

ucciso un importante leader di al-Qaeda in the Arabian

Peninsula (AQAP), in un raid nello Yemen del sud,

avvenuto pochi giorni dopo l’uccisione di un altro

importante leader dell’organizzazione islamista,

compiuta da un drone americano. L’uomo ucciso è Turki al-Asiri, conosciuto anche

come Marwan al-Mekki, ed era un comandante locale di AQAP nella provincia

meridionale di Lahj. La morte di questi due importanti leader rappresenta un duro

colpo per AQAP che nel sud del Paese aveva preso di mira numerosi edifici governativi

e basi dell’esercito, nonché alcuni esponenti politici. Sul fronte politico, il General

People’s Congress (GPC), il partito del Presidente Abd Rabbuh Mansour Hadi, lo ha

dimissionato dalla carica di Segretario Generale, eleggendo, al suo posto, un nuovo

segretario e un vice. La decisione è stata presa dopo che Hadi aveva sollecitato l’ONU

ad intraprendere sanzioni contro l’ex Presidente Ali Abdullah Saleh, considerato la

longa manus dietro le proteste degli Houthi e il principale responsabile delle attuali

turbolenze politiche. Messe da parte le tensioni interne al partito, il Presidente Hadi

ha annunciato, nella giornata del 7 novembre, la formazione di un nuovo governo,

anche questo costituito principalmente da tecnici, con Primo Ministro Khaled Mahfuz

Behah, Ministro della Difesa il Generale Mahmoud al-Subaihi e ben quattro ministri

donna. Il nuovo governo include diversi appartenenti ai ribelli Houthi, ma il GPC ha

dichiarato che non darà il suo voto di fiducia a questo nuovo esecutivo, in quanto non

è aderente ai criteri concordati lo scorso 1° novembre. Incurante della sfiducia del

GPC, il nuovo governo ha prestato giuramento, dinanzi al Presidente Saleh, e subito

dopo si è riunito in sessione straordinaria. Nonostante la nomina di questo nuovo

governo sia stata accolta positivamente dalla comunità internazionale, è evidente che

la mossa di Hadi non serve a stemperare le tensioni

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ALTRE DAL MONDO

BULGARIA, 7 NOVEMBRE ↴

Il Parlamento bulgaro ha ufficialmente concesso la propria fiducia al nuovo governo

di coalizione. Dopo le elezioni del 5 ottobre scorso è stato necessario un mese di

trattative per raggiungere un accordo che potesse dare vita ad un governo. Il voto di

ottobre, infatti, che ha visto la vittoria del partito di centro-destra GERB, guidato da

Boyko Borisov, si è rivelato il più frammentato a partire dalla caduta del comunismo

nel Paese. Il GERB di Borisov, per l’appunto, dal 2013 non gode più della maggioranza

in Parlamento, motivo per cui non è stato semplice riuscire ad avere una coalizione

che potesse ricevere il voto di fiducia dell’Assemblea. Tuttavia il Primo Ministro Bori-

sov, che ha già ricoperto tale carica dal 2009 al 2013 quando fu costretto ad annun-

ciare le dimissioni anticipate in seguito a proteste di piazza contro il carovita, ha

guadagnato il consenso tramite la creazione della coalizione con il Blocco Riformista

e grazie all’appoggio dei partiti bulgari: Fronte Patriottico (centro-destra) e ABV (cen-

tro-sinistra). Le sfide che il nuovo governo di minoranza dovrà affrontare nei prossimi

mesi saranno numerose, soprattutto per quanto riguarda la situazione economica

bulgara caratterizzata da una lenta economia e dal recente collasso della Corpbank,

la quarta principale banca del Paese.

COREA DEL NORD, 6 NOVEMBRE ↴

Il regime di Pyongyang non abbandona i progetti di rafforzamento dell’arsenale bel-

lico. L’intelligence sudcoreana denuncia il completamento di una rampa per il lancio

di missili a lunga gittata. A ciò si aggiungono le conferme sull’operatività di un sotto-

marino di fabbricazione sovietica modificato per lanciare missili balistici. Dopo la par-

ziale e altalenante distensione sperimentata negli ultimi due mesi, le provocazioni di

Pyongyang tendono ad un nuovo inasprimento delle tensioni.

ITALIA-UNIONE EUROPEA, 4 NOVEMBRE ↴

Scambio di accuse tra il Primo Ministro italiano, Matteo Renzi, e il nuovo Presidente

della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. Renzi, nel sottolineare l’esigenza

di cambiare faccia non solo all’Italia ma anche all’Unione Europea, ha affermato che

i «tecnocrati di Bruxelles» sono una «banda di burocrati» volta alla conservazione

dello status quo. Juncker, in risposta, ha invitato il Premier a rispettare la Commis-

sione Europea «una istituzione legittima come i governi dei singoli Stati membri».

MESSICO, 6 NOVEMBRE ↴

Dopo settimane di ricerche sono stati ritrovati in una fossa comune i resti dei 43

ragazzi di Iguala, nello Stato di Guerrero (nel sud del Paese), scomparsi lo scorso 26

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settembre. Il ritrovamento è avvenuto a Colula dopo che tre sicari del gruppo del

narcotraffico locale Guerreros Unidos avevano iniziato a collaborare con le forze di

polizia fornendo i particolari macabri degli omicidi. Dopo gli arresti del sindaco della

città, Josè Luis Abarca, considerato il mandante della strage insieme alla moglie,

Angeles Pineda Villa, e al suo responsabile della sicurezza pubblica, tuttora latitante,

si sono moltiplicate le manifestazioni di denuncia in tutto il Paese contro quella che è

considerata una delle principali piaghe del Messico, ossia la collusione fra Stato e

criminalità organizzata. Alla base dell’omicidio vi sarebbe un futile motivo: Abarca

avrebbe richiesto l’aiuto dei narcos per sbarazzarsi di tutti coloro che sarebbero in-

tervenuti a contestare la signora Pineda Villa impegnata in quei giorni in un comizio

politico pubblico.

MYANMAR, 31 OTTOBRE ↴

Di fronte all’attesa scadenza elettorale del 2015, un incontro presieduto dal Presi-

dente Thein Sein ed aperto a tutte le fazioni politiche, nonché alle gerarchie militari,

ha avvallato l’esame in sede parlamentare di un emendamento costituzionale atto a

permettere la candidatura, oggi preclusa da una norma evidentemente ad personam,

di Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana e simbolo di quel processo di

rinnovamento democratico che ancora non trova traduzione nel Paese. Nell’immi-

nenza del consesso ASEAN, la prevista visita del Presidente Obama potrebbe rivelarsi

necessaria per l’acquisizione dell’elevata maggioranza qualificata (pari al 75%) ri-

chiesta per la modifica della norma incriminata.

RUSSIA-SERBIA, 5 NOVEMBRE ↴

Il Ministero della Difesa russo ha annunciato l'avvio di una serie di esercitazioni mili-

tari congiunte con Belgrado ("Srem 2014"). Queste avranno inizio entro la metà di

novembre e prevedono manovre di tipo tattico anti-terrorismo coinvolgendo i para-

cadutisti russi e le truppe di terra serbe. Nel 2015 sono invece previste esercitazioni

da parte dei reparti dell'aviazione. Le operazioni sono in linea con il piano di coope-

razione militare internazionale delle forze russe per il 2014 e nell'ambito della part-

nership militare con la Serbia siglata nel 2013.

STATI UNITI-IRAN, 6 NOVEMBRE ↴

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, avrebbe scritto alla Guida Suprema, Ali

Khamenei, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, per invitare l’Iran a si-

glare un deal informale che da un lato rafforzi la cooperazione tra Teheran e Wa-

shington nella lotta allo Stato Islamico e dall’altro permetta di raggiungere entro la

deadline del 24 novembre un accordo definitivo sulla questione del nucleare iraniano.

Il Segretario di Stato John Kerry ha però smentito il possibile legame tra questi due

affari.

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SUD SUDAN, 5 NOVEMBRE ↴

I leader di Sudan e Unione Africana, Omar al-Bashir e Thabo Mbeki, si sono incontrati

a Khartoum per discutere le prossime tappe del dialogo nazionale sudsudanese. I

leader africani hanno convenuto sulla necessità di una ripresa immediata dei nego-

ziati tra i gruppi in lotta. Intanto le forze ribelli di Machar hanno accusato il governo

di Juba di aver violato il cessate il fuoco dopo che le due parti si erano impegnate a

fermare nuovamente i combattimenti.

UNIONE EUROPEA-NATO, 5 NOVEMBRE ↴

Primo incontro al vertice tra il nuovo Alto Rappresentante dell'Unione per gli Affari

Esteri e la Politica di Sicurezza dell’UE, Federica Mogherini, e il Segretario Generale

della NATO, Jens Stoltenberg. I due hanno concordato sulla necessità di aumentare

la collaborazione e il coordinamento fra le due istituzioni per completarsi reciproca-

mente in quanto esse condividono i medesimi valori e affrontano le stesse sfide sul

piano globale.

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ANALISI E COMMENTI

US MIDTERM 2014: VITTORIA AI PUNTI PER I REPUBBLICANI

DAVIDE BORSANI ↴

Il processo di polarizzazione del sistema politico americano post-crisi finanziaria è

giunto al suo compimento. L’esito delle elezioni di metà mandato è stato fallimentare

su più fronti per il Partito Democratico di Obama, che ha perso la maggioranza al

Senato dissipando un vantaggio di otto seggi che, negli ultimi quattro anni, gli aveva

permesso di controbilanciare il controllo da parte dei Repubblicani della House of

Representatives. Ad oggi la Camera Alta è tornata, per la prima volta dal 2006, nelle

mani del Grand Old Party (GOP), che, in attesa del ballottaggio in Louisiana, può

vantare un vantaggio di sette seggi, 52 contro 45, uno in più di quelli necessari per

ottenere la maggioranza assoluta. Anche alla Camera Bassa i Repubblicani hanno

stravinto. Non solo ne hanno ribadito il controllo, ma hanno persino incrementato il

gap che li separa dai Democratici. Se, fino all’altro ieri, la differenza era pari a 35

seggi, oggi è quasi raddoppiata. Mitch McConnell, nuovo leader della maggioranza al

Senato, ha decantato il trionfo del GOP affermando che «inizia una nuova gara» a

Washington «per cambiare direzione al Paese, per restaurare la speranza, l’ottimismo

e la fiducia». Il risultato delle midterm è per certi versi sorprendente. Le elezioni

presidenziali del 2012 si erano giocate pressoché interamente sul terreno dell’econo-

mia. Obama, sull’onda lunga dell’immaginario del cambiamento, era riuscito ad otte-

nere la riconferma alla Casa Bianca grazie a quella parte dell’elettorato non bianco,

rappresentato in prevalenza dagli afro-americani e dagli ispanici, che ancora aveva

creduto alla retorica del “Yes, we can” e alle promesse di una maggiore uguaglianza

sociale. Esito sorprendente, quindi, perché gli Stati Uniti nel corso dell’ultimo biennio

hanno dimostrato di essere un Paese economicamente dinamico non solo a parole.

Gli attuali dati macroeconomici mostrano che il prodotto interno lordo sta crescendo

ad un ottimo ritmo tra il 3 e il 4%, l’inflazione si attesta fisiologicamente tra l’1,5 e il

2% e il tasso di disoccupazione è tornato al di sotto della soglia psicologica del 6%.

Ma non è tutto oro ciò che luccica (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

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