BloGlobal Weekly N°10/2015
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N°10, 29 MARZO – 11 APRILE 2015
ISSN: 2284-1024
I
BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 29 marzo 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Giuseppe Dentice Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°10/2015 (29 marzo – 11 aprile 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: AFP; AP; AFP-Getty Images; Reuters; La Stampa; PressTV.
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FOCUS
KENYA ↴
Giovedì 2 aprile un commando di cinque terroristi legati al gruppo di militanza salafita
somalo, al-Shabaab, ha fatto irruzione in un campus universitario di Garissa,
nell’est del Kenya, uccidendo 147 persone, di cui 142 studenti, e ferendone 79. Si
tratta del secondo attacco terroristico più sanguinoso nella storia del Paese
africano, dopo quello del 1998 condotto da al-Qaeda all’Ambasciata USA di Nairobi
in cui le vittime furono 212.
Nel sito universitario di Garissa i militanti sono entrati all’alba e si sono diretti verso
la zona riservata alle preghiere mattutine degli studenti cristiani. Secondo le testimo-
nianze di alcuni studenti sopravvissuti, i terroristi hanno inizialmente separato coloro
che erano in grado di recitare il Corano da coloro che non lo erano per poi uccidere
questi ultimi. Quattro dei responsabili dell’attentato, una volta arrivate le forze mili-
tari, si sono fatti esplodere e il quinto terrorista è stato arrestato. Secondo quanto
riportato dai servizi di sicurezza l’ideatore dell’attentato è Mohamed Kuno, un
keniano ex-insegnante di una madrasa (scuola coranica) arruolatosi nel 2007 nelle
milizie radicali somale.
Nel rivendicare l’attentato gli al-Shabaab hanno affermato che si è trattato di un atto
di guerra contro il Kenya, il quale dal 2011 sta combattendo in territorio so-
malo per sradicare la minaccia terroristica nell’ambito della missione AMISOM (Afri-
can Union Mission in Somalia) dell’Unione Africana. Il motivo principale per cui Nairobi
si trova in prima linea nella lotta contro il terrorismo è l’elevata porosità del confine
con la Somalia che ha permesso ai militanti negli anni passati di varcare ripetuta-
mente la frontiera per condurre rapimenti e attentati. Tali azioni, rendendo meno
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sicuro il Paese ne danneggiano gravemente l’attività turistica, seconda maggiore
fonte di guadagno per il Kenya.
Il Presidente keniano, Uhuru Kenyatta, ha immediatamente richiamato l’atten-
zione sulla necessità di rafforzare l’addestramento delle forze di sicurezza
affermando: «abbiamo sofferto ingiustamente a causa della carenza di personale di
sicurezza adeguato». Kenyatta ha annunciato poi l’intenzione di rispondere «il più
duramente possibile» all’attentato, inasprendo inoltre i controlli a coloro che sono
ritenuti finanziatori del gruppo. Le misure prese nella settimana successiva sono state
pertanto il congelamento dei conti correnti di 85 persone ed entità sospette
di sostenere economicamente i terroristi e attacchi aerei a due campi di ad-
destramento degli al-Shabaab avvenuti tra domenica 5 e lunedì 6. In merito a
questi ultimi, tuttavia, il portavoce dell’esercito keniano, il Col. Obonyo, ha sostenuto
che non sono stati attuati in ritorsione all’attentato di Garissa, ma che si è trattato di
un’operazione decisa da tempo nell’ambito di AMISOM.
Barack Obama ha confermato la volontà di dare sostegno a Nairobi per sconfiggere
la minaccia terroristica rappresentata dagli al-Shabaab, continuando a collaborare
inoltre con gli altri attori regionali. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-
moon, dal canto suo ha commentato l’accaduto definendolo come «un atto terrori-
stico» ed ha dichiarato che «le Nazioni Unite sono pronte ad aiutare il Paese africano
al fine di prevenire e combattere il terrorismo e gli estremismi violenti». In seguito
all’accaduto il governo keniano ha chiesto in particolare alle Nazioni Unite di
chiudere il campo profughi di Dadaab – non lontano da Garissa, a meno di 90km
dal confine con la Somalia – in quanto viene ritenuto uno dei rifugi dei terroristi che
si mescolerebbero agli sfollati, eludendo i controlli governativi e potendo agire libe-
ramente in territorio keniano. Si tratta del campo profughi più grande al mondo:
ospita più di 500mila rifugiati somali.
Il gruppo terroristico Harakat al-Shabaab al-Mujahideen (Movimento dei Giovani Mu-
jahideen), sorto nel 2006 nell’ambito della guerra con l’Etiopia, era inizialmente una
delle milizie armate che sostenevano l’Unione delle Corti Islamiche (in contrapposi-
zione al governo federale di transizione somalo), organizzazione, questa, che inten-
deva instaurare uno Stato fondato sulla Sharia. In seguito al-Shabaab ha iniziato ad
avere contatti con la cellula di al-Qaeda, confermandone ufficialmente l’alleanza nel
2009. Sebbene nel corso dei mesi passati il movimento ha subito notevoli colpi da
parte di attacchi di AMISOM e delle forze statunitensi (tra cui l’uccisione del leader
Ahmed Godane nel settembre 2014), detiene tuttora una forte influenza soprattutto
nelle zone rurali della Somalia ed ha dimostrato, con il massacro di Garissa, di non
essere disposto a cedere sotto gli attacchi militari. Alcuni analisti segnalano pertanto
come la guerra a tale minaccia non potrà svolgersi solo su un piano militare quanto
piuttosto sarebbe necessario un intervento di tipo ideologico-politico.
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IRAQ/SIRIA ↴
Le forze di sicurezza irachene hanno strappato Tikrit ai miliziani dello Stato
Islamico (IS). I passaggi dei caccia statunitensi sui quartieri centrali della città
hanno ridestato l’avanzata delle truppe di Baghdad, che tra il 30 e il 31 marzo sono
infine riuscite a riprendere il controllo del complesso presidenziale nel cuore della
città, dove i miliziani islamisti avevano organizzato una tenace e irriducibile resi-
stenza. Il 1° aprile il Primo Ministro iracheno Haider al-Abadi e i vertici militari hanno
sfilato nelle strade del centro urbano, sanzionando la riconquista del capoluogo della
provincia di Salah ad-Din, mentre il 4 aprile l’esercito regolare ha consegnato alla
polizia locale la responsabilità dell’ordine pubblico.
I bombardamenti chirurgici dell’alleato statunitense sono stati decisivi nel
promuovere l’ultima fase della controffensiva su Tikrit, che da oltre tre settimane era
accerchiata dalle forze irachene. Il seppur tardivo coinvolgimento degli Stati Uniti ha
messo in ombra il ruolo delle milizie sciite, che sino ad allora avevano in gran
parte determinato il successo dell’operazione. L’autonomia dei potenti gruppi para-
militari sciiti, il veto americano sulla collaborazione con soggetti dichiaratamente so-
stenuti da parte iraniana e i numerosi precedenti d’intolleranza settaria nei riguardi
della comunità sunnita hanno consigliato il governo presieduto da al-Abadi a smor-
zare la centralità operativa del Fronte di Mobilitazione Popolare, composto in
maggioranza dalle milizie invise agli alleati occidentali e sunniti. Significativamente,
il Ministro degli Interni Mohammed al-Ghaban ha celebrato l’azione della polizia fe-
derale e dei corpi speciali nella liberazione di Tikrit. Al contrario delle milizie legate
agli interessi iraniani, le formazioni paramilitari sciite vicine all’Ayatollah Alì al-Sistani
(quali le Brigate Firqat al-Abbas al-Qitaliyah, Liwa Ansar al-Marjeia e Liwa Ali al-Ak-
bar) hanno preso parte alla capitolazione della città a fianco dell’esercito regolare. Se
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ciò evidenzia l’eterogeneità del Fronte di Mobilitazione Popolare, occorre tuttavia te-
nere presente che la Brigata Badr e i maggiori gruppi sciiti si sono schierati a presidio
della periferia settentrionale di Tikrit, dove il Califfato mantiene il controllo di nume-
rosi villaggi e snodi logistici.
Nonostante il duro contraccolpo della perdita di Tikrit, l’IS ha moltiplicato gli at-
tacchi nell’area compresa tra il capoluogo di Salah ad-Din e il polo petrolifero
di Baiji, minacciando in particolare i giacimenti di Alas. Inoltre, l’intatta capacità dei
fondamentalisti islamici di colpire la capitale e le provincie formalmente in pieno con-
trollo delle forze governative rivela la robustezza delle risorse del Califfato, le cui
incessanti e violente azioni di guerriglia nell’Anbar sunnita hanno costretto i ver-
tici iracheni a rivedere l’ordine delle priorità strategiche della campagna contro l’IS.
Poiché la persistente instabilità della provincia di Salah ad-Din ostacola l’avanzata
verso Mosul, le autorità di Baghdad hanno infatti deciso di aumentare gli effettivi
nell’area di Ramadi, epicentro di intensi scontri con i miliziani islamisti dove
già il 31 marzo, in concomitanza con la fase culminante della battaglia di Tikrit, due
divisioni dell’esercito regolare erano sopraggiunte nella base di Habbaniyah in vista
di una prossima operazione su larga scala. Nella prima settimana di aprile, il Ministro
della Difesa Khalid al-Obeidi e il governatore dell’Anbar Suhaib al-Rawi hanno con-
cordato i provvedimenti per armare e integrare le tribù sunnite in quattro
brigate di diecimila unità complessive a sostegno dell’esercito regolare, che
l’8 aprile ha ufficialmente annunciato l’inizio dell’operazione. Tuttavia, la fulminea
reazione dell’IS, i cui guerriglieri hanno preso possesso di Albu Faraj a nord di Ramadi
e attaccato al-Dujail nella periferia settentrionale di Baghdad, indica che la diversione
nell’Anbar è attesa a una prova di forza che sembra eccedere le capacità operative e
politiche del governo iracheno. Laddove le istituzioni centrali non raggiungano l’obiet-
tivo a lungo mancato di coinvolgere le comunità sunnite, la vastità della distesa de-
sertica dell’Anbar e la solidità delle avanguardie islamiste potrebbero pregiudicare
l’azione di contrasto dell’esercito regolare. Mentre il Comando Centrale degli Stati
Uniti non ha ancora notificato alcun bombardamento nell’area interessata dall’opera-
zione di terra, le influenti milizie sciite Kataib Hezbollah e Asaib Ahl al-Haq, come
pure la Brigata Badr, hanno offerto assistenza alle truppe governative, tuttavia dietro
la sottaciuta condizione di un ruolo passivo della coalizione internazionale. Intanto,
tra il 6 e l’8 aprile, fonti locali riportano che i miliziani islamisti abbiano giustiziato
almeno 330 individui appartenenti a varie tribù sunnite perché sospettati di complicità
con le forze di sicurezza irachene. La visita a Washington di al-Abadi prevista per la
prossima settimana sarà un appuntamento fondamentale per definire il prosegui-
mento dell’operazione; in particolare, il Primo Ministro iracheno sottoporrà al
Presidente statunitense Barack Obama la richiesta di dilazionare il paga-
mento delle commesse militari autorizzate dal Congresso, in virtù del pesante
passivo di bilancio aggravato dalla caduta del prezzo del petrolio.
L’incursione nel campo profughi di Yarmouk è invece lo specchio del rinnovato
protagonismo del Califfato nello scenario siriano. Il quartiere alle porte di Damasco,
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che accoglie circa 18mila profughi palestinesi, è caduto nelle mani dei guerriglieri
dell’IS, che hanno vinto facilmente la resistenza della formazione jihadista palesti-
nese Aknaf Bayt al-Maqdis e dei gruppi ribelli accorsi nel campo. I bombardamenti
indiscriminati dell’aviazione siriana, che sembra aver fatto uso di barili-bomba,
hanno ulteriormente aggravato l’estrema crisi umanitaria nel campo, che da due set-
timane non riceve rifornimenti di cibo e acqua. Mentre le Nazioni Unite hanno lanciato
l’appello per l’istituzione di un corridoio umanitario per portare soccorso e assistenza
ai profughi, Jabhat al-Nusra (JN) ha riaffermato l’antagonismo con il Calif-
fato, seppur intimando ai gruppi islamisti che ne riconoscono la preminenza nel
fronte ribelle di non portare rinforzi nel campo di Yarmouk. Gli stessi quartier-generali
di JB e di gruppi minori a questo associati sono stati colpiti da una serie di attacchi
orchestrati dall’IS nei pressi di Aleppo.
Intanto, la conquista di Idlib, caduta dopo quattro giorni di intensi combattimenti,
segna un crocevia importante nel contesto della guerra civile, rappresentando una
pesante perdita per le forze governative e un ulteriore riconoscimento della leader-
ship di JN. Quest’ultimo aspetto è destinato ad esercitare ripercussioni rilevanti sulla
prospettiva di una eventuale transizione politica e negli stessi equilibri all’interno del
fronte ribelle.
SITUAZIONE SUL CAMPO IN IRAQ – FONTE: INSTITUTE FOR THE STUDY OF WAR
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YEMEN ↴
Mentre continuano le evacuazioni del personale delle rappresentanze diploma-
tiche e dei cittadini stranieri di India, Cina, Pakistan e Arabia Saudita da Aden, sul
campo di battaglia non conoscono sosta gli scontri tra milizie filo-sciite Houthi, truppe
regolari e azioni aeree della coalizione arabo-sunnita a guida saudita in Yemen.
Attualmente i due maggiori fronti di combattimento si stanno registrando a
nord, nel governatorato di Sa’ada, una delle roccaforti storiche delle milizie filo-
sciite Houthi, e nel sud, ad Aden e nel governatorato di Shabwah.
Nei territori di confine, l’Arabia Saudita sta combattendo i miliziani Houthi impegnati
sia in un’azione di sfondamento, sia di consolidamento e controllo del proprio retro-
terra strategico. In una di queste iniziative, più precisamente nella provincia meridio-
nale saudita di Asir, si è registrato il primo caduto tra le fila saudite. Nonostante la
potenza di fuoco maggiore e i raid continui delle forze aeree saudite abbiano distrutto
diverse postazioni militari e depositi di approvvigionamento degli Houthi, le azioni
di Riyadh si sarebbero rivelate fin qui parzialmente inefficaci a causa anche
degli aiuti e delle forniture giunte dall’Iran, grazie all’invio della 34esima flotta com-
posta dalle navi Alborz e Busher e dislocate tra il Golfo di Aden e lo Stretto
di Bab al-Mandeb ufficialmente in azioni di anti-pirateria internazionale. L’invio delle
due navi, avvenuto l’8 aprile scorso, sarebbe mirato da un lato a garantire la prote-
zione degli interessi strategici iraniani nell’area – come ha spiegato all’agenzia di
stampa IRNA il Comandante della Marina iraniana, l’Ammiraglio Habibollah Sayyari –
, dall’altro a favorire a sud una copertura dal mare agli Houthi, contenendo in parte
l’iniziativa egiziana che nelle stesse acque vede dispiegati quattro vascelli
che hanno già colpito le postazioni meridionali dei ribelli.
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Sempre l’Iran, per voce del Ministero degli Esteri, ha smentito categoricamente la
notizia diffusa nei giorni scorsi da Reuters circa la presenza di due uomini delle forze
speciali al-Quds, le truppe di elite dei Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) e re-
sponsabili delle operazioni speciali all’estero, che sarebbero stati catturati dalle milizie
sunnite ad Aden. Secondo le ricostruzioni di stampa, i due soggetti avrebbero agito
come consiglieri militari per i ribelli Houthi, ma non esistono conferme a questa noti-
zia.
Nel sud, intanto, aumenta l’escalation militare nei pressi di Aden, dove le milizie Hou-
thi, dopo aver conquistato l’aeroporto cittadino, starebbero provando diverse azioni
di accerchiamento prima di riuscire ad entrare nella seconda città del Paese. Sempre
i ribelli starebbero portando avanti i loro attacchi nel governatorato di Sha-
bwah. Qui gli insorti avrebbero strappato alle forze regolari il controllo della capitale
Ataq (8 aprile), dell’aeroporto e dei palazzi governativi. Sebbene l’avanzata militare
verso Aden continui in maniera irregolare, il 6 aprile scorso, alcune milizie sunnite
fedeli ad Hadi sarebbero riuscite a conquistare ai ribelli la città strategica di
Lawdar, pochi chilometri ad est di Aden. Intanto nella città deputata ad ospitare quel
che resta del legittimo governo Hadi, le truppe regolari e i bombardamenti degli al-
leati sauditi non sono riusciti ad arrestare le iniziative degli Houthi, favoriti anche
dalle azioni di guerriglia o contro-insorgenza delle forze ancora fedeli all’ex Presidente
Ali Abdullah Saleh, attualmente alleate agli insorti anti-Hadi.
Nel frattempo, nel sud-est del Paese, le truppe jihadiste di al-Qaeda nella Peni-
sola Arabica (AQAP), avrebbero infine rafforzato il proprio controllo dei ter-
ritori sud-occidentali dell’Hadramawt, conquistando alle forze governative la
città di Mukalla, un avamposto rilevante che in passato si era dimostrato un hub di
primo livello per AQAP per il passaggio di armi e uomini da e verso lo Yemen.
Sempre sul piano militare il Brigadiere Asiri, comandante saudita delle forze alleate
anti-Houthi, ha spiegato che l’azione della coalizione potrebbe essere lunga e com-
portare anche diversi mesi (almeno sei) di combattimenti. Lo stesso Asiri ha confer-
mato la notizia diffusa sulla stampa saudita che l’invio di uomini per un’azione
terrestre potrebbe servire solo a consolidare la sicurezza del confine saudita
– attualmente securitarizzato secondo il militare – e ad impedire che Aden possa
cadere definitivamente nelle mani degli Houthi. In questo senso l’invio di truppe po-
trebbe non risollevare le sorti del conflitto, né permettere un ritorno allo status quo
ante guerra.
A rendere ancora più complesso il quadro strategico militare yemenita, vi è anche la
contrarietà del Pakistan all’invio di uomini per combattere nel Paese. Nono-
stante le pressioni saudite e la visita del Ministro della Difesa egiziano Sedki Sobhi in
Pakistan l’8 aprile, il Parlamento di Islamabad ha votato due giorni più tardi una Ri-
soluzione con la quale ha deciso di ribadire la neutralità del Paese nei riguardi della
crisi in Yemen, invitando il Premier Nawaz Sharif a intensificare gli sforzi per trovare
una soluzione pacifica al conflitto.
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Infine, secondo la Croce Rossa Internazionale e le Nazioni Unite cresce quotidiana-
mente il rischio di una crisi umanitaria nel Paese. Secondo dati ONU, dall’inizio
dei bombardamenti della coalizione, il 25 marzo scorso, sarebbero almeno 100mila
gli sfollati interni, circa un migliaio i morti e nelle città (soprattutto a Sana’a e ad
Aden) la popolazione è priva dei beni di prima necessità.
L’Operazione Decisive Storm è una missione regionale guidata dall’Arabia Saudita,
insieme a 10 altri Paesi arabo-sunniti, con l’obiettivo di ripristinare la legittimità po-
litica in Yemen riconosciuta nell’azione di governo del Presidente destituito Abd Rab-
buh Mansour Hadi. Questa operazione militare, che rischia di aumentare le tensioni
e le divisioni clanico-tribali interne e chiudere a qualsiasi tentativo di soluzione politica
negoziata, ha di fatto provveduto a trasformare quello che si connotava per lo più
come un conflitto interno e localizzato al solo Yemen in uno scontro sempre più in-
ternazionalizzato, che espone l’unica Repubblica del Golfo Persico/Arabico a divenire
un nuovo teatro dello scontro settario regionale tra Riyadh e Teheran.
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BREVI
GRECIA, 8-9 APRILE ↴
Mentre le autorità greche hanno annunciato il rimborso
di una nuova tranche (dal valore di 460 milioni di euro)
del debito contratto con il Fondo Monetario
Internazionale ed è ancora in corso l’elaborazione del
programma dettagliato di riforme da presentare al c.d.
“European Working Group” (anche noto come troika)
per lo sblocco di un nuovo pacchetto di 7,2 miliardi entro la fine di aprile, il Premier
Alexis Tsipras si è recato in visita a Mosca, dove ha incontrato Putin, Medvedev e il
Patriarca Kirill. Al centro delle discussioni con il Presidente vi è stato innanzitutto il
dossier energia, alla luce dell’importante ruolo che la Grecia vorrebbe giocare come
Paese distributore del gas proveniente dalla Russia attraverso Turkish Stream, la
nuova pipeline che, giungendo in Turchia, dovrebbe sostituire il fallito South Stream.
Se da un lato Tsipras coglierebbe dunque l'occasione per smarcarsi dai vincoli posti
dall’UE in materia energetica e per ciò che riguarda i rapporti con il Cremlino (specie
in riferimento alle sanzioni economiche), dall’altro Putin stesso ha attualmente
escluso una revoca dell’embargo alimentare russo – posto la scorsa estate come
effetto dell’irrigidimento dei rapporti circa la crisi ucraina – nei confronti di Atene. Il
Presidente russo, che ha tenuto a precisare di non voler utilizzare i rapporti con i
partner greci per fare pressioni nei confronti di Bruxelles, pur confermando la
conduzione di una politica tesa a creare delle fratture tra gli stessi Paesi europei
(come sul tema delle sanzioni), si è limitato perciò a proporre la creazione di joint-
venture agricole greco-russe, alla luce del consistente export (almeno il 40%) di
frutta greca verso la Russia. Putin ha altresì dichiarato che la Grecia non ha per il
momento chiesto il supporto finanziario russo per il ripianamento dei debiti, ma non
ha escluso che ciò possa avvenire sottoforma di prestiti erogabili sulla base di accordi
di cooperazione insieme con la partecipazione ai programmi di privatizzazione greci
(che nonostante le iniziali dichiarazioni dell'esecutivo non si sono arrestati),
soprattutto nel settore delle infrastrutture. Tsipras e Putin hanno dunque firmato un
memorandum che fissa nel 2016 l'anno della valorizzazione culturale tra i due Paesi.
NIGERIA, 31 MARZO ↴
Le elezioni presidenziali del 28 marzo hanno
consegnato la vittoria a Muhammadu Buhari, candidato
musulmano delle opposizioni che ha sopravanzato il
Presidente uscente, il cristiano Goodluck Jonathan.
Come prevedibile alla vigilia delle consultazioni, il
partito All Progressives’ Congress di Buhari ha
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conquistato gli Stati settentrionali a maggioranza musulmana, ma il programma di
cambiamento promosso dall’ex Generale ha strappato consensi anche nel sud del
Paese, specialmente nelle regioni occidentali. Buhari, che già ha retto il governo
nigeriano dal 1983 al 1985 a seguito di un golpe militare, ha incentrato la propria
candidatura sugli imperativi della lotta alla corruzione e del contrasto al gruppo
terrorista Boko Haram, riscuotendo la fiducia di buona parte dell’elettorato cristiano.
Buhari è stato premiato da oltre 15 milioni di voti, con uno scarto positivo di quasi 3
milioni di voti su Goodluck Jonathan. Malgrado la denuncia di alcune irregolarità, le
operazioni di voto e di scrutinio sono state certificate dagli osservatori internazionali.
L’avvicendamento alla guida del Paese è stato accolto come la premessa di una
profonda discontinuità rispetto alla gestione di Goodluck Jonathan, in carica dal 2010.
Delegittimato dalla minaccia del terrorismo islamico e dai numerosi episodi di
corruzione, la posizione del Presidente uscente è stata pure compromessa dal crollo
dei prezzi petroliferi che ha pesantemente colpito l’economia nigeriana.
PANAMA, 10-11 APRILE ↴
Passerà alla storia il settimo Vertice delle Americhe che
si è tenuto a Panama tra il 10 e l’11 aprile. Per la prima
volta da oltre sessantacinque anni, ovvero da quando
Fidel Castro incontrò a Washington l’allora vice
Presidente statunitense Richard Nixon, il leader di
Cuba, Raùl Castro, e il Presidente statunitense, Barack
Obama, sono tornati al dialogo faccia a faccia
stringendosi la mano. Con una «conversazione schietta e fruttuosa», Obama ha
sottolineato che «questo è ovviamente un incontro storico» per voltare pagina
rispetto ad un passato fatto di diffidenza e ostilità. Da oggi, ha continuato il Presidente
degli Stati Uniti, «è possibile per noi voltare pagina e sviluppare un nuovo rapporto
tra i nostri due Paesi»: «vogliamo stabilire relazioni diplomatiche. Ho chiesto al
Congresso che cominci a lavorare per sospendere l’embargo vigente per decenni.
Guardiamo al futuro». Anche Castro si è detto fiducioso per il futuro delle relazioni
bilaterali: «Obama è onesto» e «umile», ha affermato distinguendolo dai
predecessori; benché differenze tra Washington e L’Avana persistano, «possiamo
essere in disaccordo oggi su qualcosa su cui potremmo trovarci d’accordo domani».
L’incontro tra i due era stato preceduto da una riunione tra il Segretario di Stato USA,
John Kerry, e il Ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, con quest’ultimo che
ha richiesto che L’Avana venga rimossa dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo
per procedere speditamente con la normalizzazione dei rapporti. Un riconoscimento
che, pare, Obama sia incline a consentire. Anche Papa Francesco, regista del disgelo
tra Cuba e Stati Uniti, ha fatto sentire la sua voce in quest’occasione storica. Con un
messaggio letto dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, Bergoglio ha
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invitato i Paesi partecipanti al summit a fare di più per ridurre la disuguaglianza
economico-sociale nelle Americhe.
PAKISTAN, 9 APRILE ↴
Il quotidiano panarabo al-Hayat ha riportato la
dichiarazione di Aymann Dean, ex-militante qaedista,
il quale sostiene che in base alle informazioni in suo
possesso l’organizzazione siriana di Jabhat al-Nusra ha
affermato di essere intenzionata a separarsi da al-
Qaeda «in modo ordinato e secondo piani stabiliti».
Inoltre, sempre secondo Dean, il successore di Osama Bin Laden alla guida di al-
Qaeda, il chirurgo egiziano Aymann al-Zawahiri, avrebbe annunciato la volontà di
sciogliere «l’organizzazione prima della fine dell’anno» rinunciando ai suoi poteri e
dissolvendo il giuramento di fedeltà delle varie cellule ad esso legate consentendone
la confluenza nello Stato Islamico (IS) di Abu Bakr al-Baghdadi. Dietro la decisione
di al-Zawahiri vi sarebbero, oltre alla crescente espansione dell’IS, anche motivi di
tipo economico. L’intento finale potrebbe essere infatti quello di unire i fondi dei
diversi gruppi di militanza al fine di formare una struttura più resistente agli attacchi
delle forze armate internazionali. Giovedì 9 aprile inoltre, l’intera sezione di Bajaur
del movimento terroristico Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), ha riconosciuto la
supremazia di al-Baghdadi ufficializzando la propria lealtà al Califfo dell’IS. A darne
conferma è stato un comunicato del portavoce del TTP, Mohammad Khorasani, in cui
si afferma che il leader della sezione di Bajaur, Maulana Abu Bakar e il suo vice, Qari
Zahid, hanno dichiarato lealtà a Hafiz Saeed Khan, il wali dell’IS (una sorta di
governatore) nella regione Khorasan. La decisione di allearsi con al-Baghdadi giunge
in un momento in cui il TTP pachistano sta sperimentando il sorgere di molteplici
divisioni interne le quali, sommate all’intensificarsi delle operazioni internazionali
contro il terrorismo nella regione, ne stanno compromettendo le capacità operative.
STATI UNITI, 8 APRILE ↴
Prosegue la corsa alla Casa Bianca in vista delle
elezioni presidenziali del 2016 sia per il Partito
Repubblicano che per quello Democratico. Dopo
l’annuncio ufficiale del Senatore del Texas, Ted Cruz,
ha sciolto la riserva, infatti, il Senatore repubblicano
del Kentucky, Rand Paul, che intende calamitare il
consenso delle frange più estremiste della destra
dell’elettorato americano, come il Tea Party, cercando di conciliarle con l’anima più
centrista e, più in generale, di riavvicinare la vecchia ala del partito con quella nuova.
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«Corro per la presidenza per riportare il nostro Paese ai principi di libertà e governo
limitato», ha annunciato Paul, che sulla politica estera ha voluto sottolineare le sue
divergenze con l’influente Senatore John McCain affermando, ad esempio, sul
possibile invio di truppe «in Libia, Iraq, Siria, Nigeria: penso che le persone
dovrebbero fermarsi e pensare che dobbiamo difendere i nostri interessi, ma non
necessariamente inviare truppe dappertutto in ogni momento». È intanto atteso ad
ore l’annuncio ufficiale di ciò che si sa già da mesi: la candidatura a leader del Partito
Democratico dell’ex Segretario di Stato nonché ex First Lady, Hillary Clinton. La
Clinton ha già incassato l’appoggio del Presidente, Barack Obama, che ha affermato
che «Hillary è stata un Segretario di Stato eccezionale» e quindi ha tutte le carte per
essere «un Presidente eccellente». Nella prossima settimana dovrebbe essere il turno
del Senatore della Florida, Marco Rubio, e del governatore del Wisconsin, Scott
Walker, ad annunciare la candidatura. Imminente, inoltre, l’ufficializzazione di quello
che fin qui appare il candidato di maggior peso del Partito Repubblicano: Jeb Bush.
TURCHIA, 31 MARZO ↴
A pochi mesi dalle elezioni del 7 giugno, torna a salire
la tensione politica in Turchia, aggravata dai fatti di
cronaca che l'hanno segnata tra il 31 marzo e il 1°
aprile. Il blitz terroristico compiuto al Tribunale di
Istanbul (31 marzo) da un commando di due uomini
legato al Partito-Fronte Rivoluzionario di Liberazione
del Popolo (DHKP-C) – formazione marxista-leninista annoverata dalle autorità turche
nella lista delle organizzazioni terroristiche per via di numerosi attentati in passato –
, che ha preso in ostaggio il Procuratore Mehmet Selim Kiraz – che stava seguendo
le indagini relative alla morte del giovane Berkin Elvan, ucciso durante gli scontri di
Gezi Park del 2013 –, si è concluso con il fallimento dell'operazione delle forze di
sicurezza turche e dunque con l’uccisione di entrambi i sequestratori e la morte dello
stesso Kiraz. Almeno 32 attivisti legati a DHKP-C sono stati successivamente arrestati
nel corso di una maxi-operazione ad Antalya, Smirne ed Eskisehir. Nello stesso giorno
un vasto blackout elettrico ha colpito per alcune ore numerose città e almeno 40
province dell’intero Paese: il Primo Ministro Ahmet Davutoğlu e il Ministro per
l’Energia Taner Yıldız non hanno escluso nessuna possibilità, nemmeno quella di un
possibile attacco cibernetico. A distanza di poche ore un allarme bomba, rivelatosi
successivamente falso, è stato segnalato sul volo della Turkish Airlines diretto in
Portogallo. Il 1° aprile un tentativo di attacco armato contro una sede della polizia di
Vatan Sokak, al centro di Istanbul, si è concluso con la morte di uno dei due assalitori,
una donna che sembrerebbe aver indossato un giubetto esplosivo, e il ferimento e
l’arresto dell'altro mentre tentava di scappare. In precedenza un uomo armato, poi
arrestato, si era introdotto in una sede del partito AKP nel quartiere di Kartal, ad
Istanbul. Nonostante la concomitanza degli eventi, tutti i fatti sarebbero indipendenti
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l’uno dall'altro. Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha in seguito nuovamente
autorizzato nuove misure censorie: dopo l’ennesima interruzione di Facebook e
Twitter, YouTube e Google risultano ancora bloccati al fine di impedire – hanno
spiegato le autorità – la diffusione della propaganda terroristica.
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ALTRE DAL MONDO
AFGHANISTAN, 2-10 APRILE ↴
Un uomo si è fatto esplodere nel corso di una dimostrazione contro la corruzione nella
provincia orientale di Khost. Le vittime dell’esplosione sono state 17 e i feriti più di
50. I manifestanti si erano riversati nelle strade da alcuni giorni per chiedere la rimo-
zione del governatore provinciale. Nessun gruppo terroristico ha rivendicato l’azione
e i talebani afghani ne hanno negato la responsabilità. Il 10 aprile sono stati compiuti
inoltre altri due attentati: il primo – rivendicato dai talebani – contro un convoglio
NATO a Jalalabad con un bilancio di 4 civili morti e 12 feriti, il secondo a Ghazni, dove
un minibus è esploso a causa di una mina causando la morte dei 12 passeggeri.
EGITTO, 2-11 APRILE ↴
Il governo Mahlab ha annunciato l’avvio della terza fase di espansione (di un ulteriore
chilometro) della buffer zone istituita nel nord Sinai, tra la parte egiziana di Rafah e
la Striscia di Gaza, in risposta agli attentati provocati dalla Provincia islamica del
Sinai, già nota in passato come Ansar Bayt al-Maqdis, che il 24 ottobre scorso hanno
provocato la morte di 31 soldati. Proprio la sigla jihadista oggi legata allo Stato Isla-
mico è responsabile di due nuovi attacchi contro alcuni checkpoint militari a Sheikh
Zuweid e ad al-Arish che hanno provocato complessivamente venti morti. Intanto al
Cairo le forze di polizie hanno ucciso in uno scontro a fuoco Hammam Mohamed Attia,
leader di Ajnad Misr, cellula terroristica attiva dal 2013 nella capitale egiziana e nel
suo distretto e autrice di numerosi attacchi contro le istituzioni centrali cairote. Lo
stesso gruppo ha annunciato poche ore dopo via Twitter che Izzeddin al-Masri è il
nuovo leader del gruppo. Sempre al Cairo, infine, una Corte egiziana ha confermato
la pena di morte per il leader dei Fratelli Musulmani Mohammed Badie e altre 13
persone, accusate di aver pianificato con gli scontri di piazza di Rabaa al-Adawiya e
al-Nahda nella capitale egiziana un golpe contro lo Stato nell’agosto del 2013.
IRAN, 6-8 APRILE ↴
A seguito della firma del framework agreement tra i Paesi 5+1 e Iran, i vertici della
Repubblica Islamica e la Francia hanno posto alcuni distinguo sulla effettiva validità
dell’accordo quadro raggiunto a Losanna il 2 aprile scorso e da definire entro il 30
giugno 2015, scadenza ufficiale delle trattative sul nucleare iraniano. La Guida Su-
prema Alì Khamenei e il Presidente della Repubblica Hassan Rouhani hanno affermato
che Teheran non sottoscriverà alcun accordo fino a quando tutte le sanzioni interna-
zionali non saranno revocate. Immediata la risposta di Parigi che per voce del Ministro
degli Esteri, Laurent Fabius, ha spiegato che le sanzioni non saranno eliminate
nell’immediato ma verranno revocate gradualmente non appena l’Agenzia Interna-
zionale per l'Energia Atomica avrà valutato l’effettivo rispetto degli impegni assunti
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dalla Repubblica Islamica a Losanna. Intanto Il Presidente turco Recep Tayyip Er-
doğan si è recato in visita a Teheran dove ha incontrato il collega Rouhani, nonostante
le recenti tensioni tra i due Paesi circa le accuse di Ankara sul ruolo iraniano nella
crisi in Yemen. Oltre a discutere dei numerosi scenari di crisi aperti in Medio Oriente,
l’incontro bilaterale è stato l’occasione per la firma di una serie di accordi nel settore
dell’energia, dell’economia e della sanità mirati a dare sviluppo all’interscambio com-
merciale fra i due Paesi, elevandolo dagli attuali 13,7 miliardi di dollari a circa 30
entro la fine del 2015.
PALESTINA, 1° APRILE ↴
Dopo la concessione da parte delle Nazioni Unite nel novembre 2012 dello status di
osservatore permanente come Stato non membro e dopo aver presentato ufficial-
mente richiesta all’ONU il 2 gennaio scorso la domanda di adesione alla Corte Penale
Internazionale (CPI), il 1° aprile la Palestina ha segnato un nuovo punto nella sua
strategia diplomatica essendo divenuta il 123esimo membro del Tribunale interna-
zionale istituito all’Aja, nei Paesi Bassi. In base allo Statuto di Roma, la Palestina
potrà ora presentare alla CPI uno o più dossier nei quali potrà formalizzare le accuse
crimini contro l’umanità nei Territori Occupati di Gerusalemme Est, Cisgiordania e
Striscia di Gaza contro Israele e i suoi vertici politici e militari.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA, 8 APRILE ↴
I delegati delle fazioni rivali dei musulmani Séléka e dei cristiani anti-Balaka hanno
firmato un accordo per il cessate il fuoco a Nairobi, al termine di due mesi di intensi
negoziati, grazie alla mediazione del Presidente keniano Uhuru Kenyatta. L’intesa tra
i due gruppi armati è volta ad aprire una fase di transizione verso l’auspicata ricom-
posizione politica del conflitto.
TUNISIA, 30 MARZO ↴
Il Ministero degli Interni tunisino ha annunciato l’uccisione di nove uomini presumi-
bilmente appartenenti alla Brigata Okba Ibn Nafaa, accusata dell’attentato a Tunisi
del 18 marzo. Tra questi figurerebbe anche il jihadista algerino Lokmane Abou Sakhr,
sospettato di aver diretto l’attacco al Museo del Bardo. Il blitz, a cui ne è seguito un
altro (3 aprile) che ha condotto all’arresto di altre 21 persone apparentemente legate
a due cellule fiancheggiatrici, è avvenuto nella zona montagnosa occidentale di Sidi
Aich, nel governatorato di Gafsa. Kasserine, a 90 Km da lì, il 7 aprile è stata teatro
di un’imboscata ai danni delle forze di sicurezza tunisine: almeno 3 soldati sono stati
uccisi ad un posto di blocco da un gruppo di militanti non ancora identificato.
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UCRAINA, 10 APRILE ↴
L’investigatore capo del Servizio di Sicurezza dell'Ucraina (SBU), Vasyl Vovk, ha ac-
cusato l’ex capo dello stesso Servizio, Oleksandr Yakimenko, di aver finanziato il ter-
rorismo e fornito aiuti militari – in particolare armi automatiche, proiettili e granate
– ai separatisti filo-russi dell'est. Le forniture sarebbero state consegnate nella re-
gione intorno al Mar d’Azov nel maggio 2014, ossia dopo l'inizio dell'operazione anti-
terrorismo del Premier Arsenyi Yatsenyuk. Yakimenko era stato rimosso dall’incarico
con una mozione parlamentare dopo la destituzione di Viktor Yanukovich. Ha susci-
tato polemiche, intanto, la nomina (8 aprile) di Dmitro Yarosh, leader della forma-
zione neo-nazista Pravy Sektor, come consigliere del Capo di Stato Maggiore
dell’esercito ucraino, il colonnello Viktor Muzhenko.
UNGHERIA, 7 APRILE ↴
I Ministri degli Esteri di Grecia e Turchia, Nikos Kotzias e Peter Szijjarto, hanno in-
contrato a Budapest gli omologhi di Macedonia, Serbia e Ungheria per discutere della
realizzazione di Turkish Stream, il gasdotto che nelle intenzioni di Putin, dopo la de-
cisione del dicembre scorso, dovrebbe sostituire completamente South Stream, la
pipeline preposta alla conduzione di oro blu dalla Russia all’Europa aggirando
l’Ucraina. I cinque Ministri hanno dunque espresso la volontà di supportare questo
progetto con la conduzione del gas attraverso i rispettivi Paesi, chiedendo che l’UE
possa cofinanziare i costi legati alla realizzazione allo scopo di rafforzare la sicurezza
energetica europea. La nuova infrastruttura, la cui costruzione – nonostante i timori
relativi all’economia russa – dovrebbe iniziare entro il 2016 e che attraverso il Mar
Nero dovrebbe raggiungere la città turca di Ipsala, dovrebbe condurre 47miliardi di
metri cubi di gas ai Balcani e all’Europa Centrale.
UZBEKISTAN, 29 MARZO ↴
Si sono svolte in Uzbekistan le elezioni presidenziali che hanno riconsegnato per la
quarta volta consecutiva il mandato a Islam Karimov, nonostante la Costituzione am-
metta la possibilità di ricoprire il ruolo per soltanto due mandati. Il risultato del voto
– il 90,39% dei favori per Karimov – è stato tuttavia fortemente criticato e non rico-
nosciuto come regolare dalla delegazione degli osservatori OSCE, i quali hanno de-
nunciato numerose violazioni nel corso delle votazioni.
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ANALISI E COMMENTI
LA RIFORMA DELL’INTELLIGENCE IN GIAPPONE
PAOLO BALMAS ↴
L’attuale governo giapponese guidato da Shinzo Abe sta affrontando una serie di
riforme che hanno come obiettivo un immediato rilancio dell’economia del Paese.
All’estero, l’attenzione del pubblico è per lo più rivolta alla realizzazione del pro-
gramma economico-politico, noto con il nome di Tre Frecce. Tuttavia, in Giappone,
un’ampia parte del dibattito pubblico è riservata alla nuova interpretazione della Co-
stituzione che permetterà la riorganizzazione delle Forze Armate e la possibilità di
intervento in scenari di guerra per difendere i propri alleati. Ma negli ultimi tempi,
anche un’altra questione sta suscitando l’interesse degli osservatori: la riforma del
sistema di intelligence. Nel 1945, il governo di occupazione statunitense impose lo
smantellamento delle Forze Armate e la creazione di una Forza di Autodifesa nazio-
nale. Il sistema di intelligence fu ridotto al solo settore interno. Sin da allora manca
un servizio esterno di raccolta delle informazioni (…) SEGUE >>>
DRAFTING WITH IRAN: LA LUNGA STRADA VERSO L’ACCORDO PER IL NUCLEARE
STEFANO LUPO ↴
Key Parameters of a “Joint Comprehensive Plan of Action” (JCPOA). Una definizione
che ben rappresenta la complessità e l’ampiezza delle tematiche gestite a Losanna
dal gruppo dei 5+1 e dall’Iran, alla presenza di Federica Mogherini, Alto Rappresen-
tante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. L’intesa rag-
giunta il 2 aprile, introdotta dalla Mogherini stessa e dal visibilmente soddisfatto Mi-
nistro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, è essenzialmente un “framework
agreement”, una sorta di accordo quadro. È di per sé una definizione che non ha
precisi contorni per quanto concerne l’implementazione dei temi evidenziati, ma è
proprio questo uno dei suoi punti di forza. Quanto stabilito indica i parametri dell’ac-
cordo che dovrà essere ultimato entro il 30 di giugno prossimo, stabilendone i punti
cardine (centrifughe, strutture, arricchimento, sanzioni, ispezioni, plutonio, traspa-
renza, fasi d’implementazione, ricerca e sviluppo) e inserisce chiaramente gli archi
temporali di riferimento (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net