BloGlobal Weekly N°20/2014

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www.bloglobal.net N°20, 14 27 SETTEMBRE 2014 ISSN: 2284-1024

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Rassegna settimanale di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale (14-27 settembre 2014)

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N°20, 14 – 27 SETTEMBRE 2014

ISSN: 2284-1024

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BloGlobal Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo

Milano, 29 settembre 2014 ISSN: 2284-1024 A cura di: Eleonora Bacchi Davide Borsani Danilo Giordano Maria Serra Alessandro Tinti

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Weekly Report N°20/2014 (14-27 settembre 2014), Osservatorio di Politica Internazionale (BloGlobal – Lo sguardo sul mondo), Milano 2014, www.bloglobal.net

Photo credits: Getty/BBC Hausa; Ansa; UN News Centre; Reuters; La Presse; AP Photo; Kevin Frayer/Getty Images; US Navy; al-Jazeera English; Getty Images; SKY Tg 24;

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FOCUS

ALGERIA ↴

Mercoledì 24 settembre è stato ucciso Hervé Gourdel, il cittadino francese rapito

in Algeria tre giorni prima nei pressi della provincia di Tizi Ouzou, nella regione mon-

tuosa della Cabilia. I militanti islamisti responsabili del sequestro hanno rilasciato un

video il giorno successivo al rapimento in cui chiedevano che, «in conformità con

quanto richiesto dal [loro] leader il califfo Abu Bakr al-Baghdadi», François Hollande,

definito «Presidente dello Stato criminale francese», dichiarasse ufficialmente fine

alle ostilità contro lo Stato Islamico (IS) entro 24 ore, altrimenti la sorte di

Gourdel sarebbe stata la morte.

Nel video, Gourdel stesso, esortava l’Eliseo ad assecondare le richieste dei terroristi

e ad aiutarlo ad uscire da tale situazione. Parigi ha dichiarato che non si sarebbe

piegata al ricatto e che l’azione di supporto all’esercito regolare iracheno sarebbe

continuata fintanto che questo non avrebbe ripreso il completo controllo del territorio.

Dal 19 settembre, infatti, il governo di Hollande ha iniziato la propria azione, al fianco

degli Stati Uniti in Iraq, diretta contro le truppe IS tramite raid aerei condotti nei

pressi di Mosul.

Il rapimento è avvenuto nel villaggio di Ait Ouabane mentre il francese viaggiava in

un veicolo insieme ad altri due uomini algerini. Gourdel, proveniente da Nizza, era un

esperto escursionista, guida di montagna e appassionato di fotografia recatosi in Al-

geria per una vacanza di escursione e al fine di esplorare nuove strade per arrampi-

cate, come dichiarato da un suo conoscente. In seguito al primo video è arrivato,

meno di 48 ore dopo, un altro filmato contenente le immagini della decapitazione di

Gourdel intitolato “Messaggio di sangue per il governo francese”.

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Si tratta del quarto ostaggio rapito da militanti affiliati all’IS ad essere decapitato

nell’ultimo periodo. Le altre vittime sono stati gli americani James Foley e Steven

Sotloff e il britannico David Haines. A compiere l’uccisione di Gourdel è stato l’ancora

poco noto movimento Jund al-Khilafah fil al-Jazaïr (I soldati del Califfato in Al-

geria), sorto il 14 settembre con l’affiliazione allo Stato Islamico di al-Baghdadi da un

distaccamento del gruppo militante al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM).

Il movimento nordafricano AQIM, dal quale provengono dunque i militanti di Jund al-

Khilafah, dopo aver subìto un progressivo indebolimento dovuto al distaccamento di

uno dei suoi personaggi più importanti, Mokhtar Belmokhtar, aveva condotto nei mesi

scorsi due attentati significativi per riaffermare la propria presenza nel territorio al-

gerino. Tuttavia nell’ultimo periodo sono nati dei dissidi all’interno del movimento

stesso in merito al riconoscimento dello Stato Islamico; mentre, infatti, una

parte ha condannato l’azione del Califfo, l’altra ha mostrato l’intenzione di voler so-

stenere l’azione dell’IS. Proprio questa seconda fazione, guidata dal leader Abdelma-

lek Gouri, ha portato avanti la scissione da AQIM nel mese di luglio scorso e il 14

settembre ha ufficialmente proclamato lealtà ad al-Baghdadi. Questo nuovo legame

tra lo Stato Islamico e parte delle fazioni militanti algerine non fa che aggiungere un

ulteriore elemento di complessità alla lotta contro l’IS.

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IRAQ/SIRIA ↴

Nella notte di martedì 22 settembre una vasta ondata di bombardamenti si è abbat-

tuta sulle roccaforti dello Stato Islamico a Raqqa ed Aleppo, estendendo il teatro

delle operazioni allo scenario siriano. Ai raid delle forze statunitensi hanno preso

parte le potenze sunnite avverse al disegno eversivo di al-Baghdadi (Arabia Saudita,

EAU, Giordania, Bahrain, Qatar). L’offensiva è il primo atto della coalizione inter-

nazionale che a Parigi (14 settembre) ha disposto la pressante necessità di

arrestare il Califfato «con ogni mezzo necessario». L’attacco segna un mutamento

di scala nella risposta concertata da Washington ed ha colpito anche i quartier gene-

rali di Jabhat al-Nusra e del cosiddetto “gruppo Khorasan” – cellula jihadista che se-

condo l’intelligence americana era in procinto di realizzare attentati contro bersagli

occidentali. Francia, Regno Unito, Australia, Canada, Danimarca e Belgio hanno in-

viato forze di aria e di terra (quest’ultime con sole funzioni di assistenza), tuttavia

escludendo la partecipazione ad incursioni nello spazio territoriale siriano.

Per contro, Bashar al-Assad ha esibito una pragmatica comunione di intenti

dichiarando un previo coordinamento con i vertici statunitensi (negato dal Pentagono

che si è avvalso dei caccia stealth F-22 al fine di eludere la contraerea siriana), così

tentando di trasfigurare l’annosa guerra civile che ne intacca la legittimità in una

guerra globale contro il terrorismo islamista. Intanto, le truppe governative (soste-

nute da Hezbollah) hanno piegato la resistenza dei ribelli nella città di Andra al-Oma-

lia (a 30 Km dalla capitale) e sembrano trovare fondamento le indiscrezioni su un

nuovo impiego di armi chimiche.

A rafforzare il ruolo di Assad è la stessa leadership irachena che, attraverso il consi-

gliere alla sicurezza nazionale Faleh al-Fayad, recatosi a Damasco il 16 settembre, ha

ribadito la collaborazione bilaterale contro la minaccia comune dello Stato Islamico

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(IS). Analogamente, il Primo Ministro Haider al-Abadi intrattiene contatti co-

stanti con Teheran (deliberatamente assente dal vertice di Parigi). Stante l’inade-

guatezza dell’esercito iracheno, sono infatti le milizie sciite finanziate da sponda ira-

niana a proteggere Baghdad dalle infiltrazioni jihadiste. La centralità militare di questi

gruppi armati, non riconducibili a stretto controllo governativo, si ripercuote sul gioco

politico interno: è il veto della milizia Asaib Ahl al-Haq ad aver incoraggiato il voto

negativo del Parlamento sulle delicate nomine proposte da al-Abadi per i Ministeri

della Difesa e degli Interni.

Malgrado l’intensificarsi dei raid, un vento di opportunità spira a favore del Califfato

che incassa i dividendi delle migliaia di foreign fighters accorsi dal confine turco

a sostegno della campagna jihadista e dell’approvazione esplicitata da espres-

sioni regionali di al-Qaeda (al-Qaeda nel Maghreb Islamico e al-Qaeda nella Penisola

Arabica) e da altri gruppi islamisti (da ultimo, Jund al-Khilafah in Algeria e Abu Sayyaf

nelle Filippine), pronti ad esportarne la spirale di violenza.

Mentre l’ambiguità della Turchia (che ha ottenuto la liberazione dei 49 ostaggi impri-

gionati a Mosul lo scorso giugno e che rifiuta un coinvolgimento armato nella crisi)

danneggia la coerenza del fronte anti-IS, Baghdad e Washington premono per la

cooptazione delle tribù sunnite nel costituente progetto di Guardia Nazio-

nale declamato da al-Abadi: ad Amman ed Erbil si susseguono incontri, mediati

dalle autorità statunitensi, che prefigurano la possibile integrazione nelle file gover-

native di 22mila-60mila guerriglieri sunniti, ma la fragilità delle istituzioni irachene e

l’impossibilità di un coordinamento effettivo con gli altri soggetti armati (i peshmerga

curdi, i miliziani sciiti ed i pasdaran iraniani) inficiano lo sviluppo dei negoziati.

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UCRAINA ↴

Nonostante si siano verificati alcuni scontri a Donetsk, i quali hanno provocato la

morte di 6 civili (15 settembre), sembra reggere la tregua siglata a Minsk lo scorso

5 settembre. Come dichiarato dal Presidente di turno dell'OCSE, Didier Burkhalter, la

de-escalation del conflitto è iniziata e l'intensità dei combattimenti si è ridotta di

almeno il 70%. Proprio sotto l'egida dell'Organizzazione di Parigi il 19 settembre le

autorità ucraine rappresentate dall'ex Presidente Leonid Kuchma, i leader delle Re-

pubbliche separatiste Igor Plotnitsky e Alexander Zakharchenko, oltre all'Ambascia-

tore russo a Kiev, Mikhail Zurabov, hanno raggiunto sempre nella capitale bielorussa

un accordo in 9 punti per la creazione di una zona smilitarizzata nella regione

orientale del Paese: le parti si sono impegnate a rispettare un cessate il fuoco e a

ritirare di 15 Km dalla cosiddetta "linea di contatto" l'artiglieria pesante, le batterie

di missili e i mercenari stranieri, consentendo così la realizzazione di una buffer zone

di 30 Km; in questa zona di sicurezza sono inoltre vietati voli di ricognizione da parte

di velivoli militari o qualsiasi operazione d'attacco; a garanzia di tali condizioni viene

infine istituita una missione di monitoraggio da parte dell'OCSE. Il 22 settembre le

forze governative hanno dunque avviato il proprio ritiro, mentre sono stati rilasciati i

primi prigionieri.

A contribuire ad un allentamento delle tensioni potrebbe occorrere anche un accordo

di massima raggiunto a Berlino tra Kiev e Mosca sulla conduzione di gas (26

settembre). Al termine di un trilaterale con l'Unione Europea, Gazprom si sarebbe

detta d'accordo a fornire all'Ucraina almeno 5 miliardi di metri cubi di gas nei prossimi

sei mesi a un prezzo di 385 dollari per mille metri cubi, a patto però che Kiev saldi 2

miliardi di dollari arretrati entro ottobre e altri 1,1 miliardi di dollari entro la fine

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dell'anno. Il Commissario UE all'Energia, Guenther Oettinger, si è detto inoltre d'ac-

cordo con la condizione russa di un divieto al reverse flow, ossia la possibilità che gli

altri Paesi europei rigirino all'Ucraina parte del gas proveniente dalla Russia.

AREA SMILITARIZZATA SECONDO L’ACCORDO DEL 19 SETTEMBRE

(FONTE: EURACTIV.COM; REUTERS)

La necessità di proseguire sulla strada della distensione è stata comunque probabil-

mente determinata anche dal mancato raggiungimento di alcuni degli obiettivi che

Poroshenko si era posto nel corso della sua visita negli Stati Uniti il 18 set-

tembre: intervenendo di fronte al Congresso, il Presidente ucraino aveva infatti chie-

sto un maggior sostegno militare e finanziario. Relativamente al primo punto

egli ha richiesto non solo la fornitura di materiale letale e non letale, ma anche che

venga conferito a Kiev uno statuto speciale al di fuori dell'Allenza Atlantica (Major

non-NATO Ally, MNNA), condizione che permetterebbe la conduzione di operazioni

congiunte - specialmente di anti-terrorismo - oltre a vantaggi nel campo dell'adde-

stramento. Poroshenko ha dunque chiesto che Washington crei un fondo speciale per

sostenere gli investimenti delle aziende USA in Ucraina, contribuendo, in ultima

istanza, al processo di riforme economiche. Pur ribadendo la vicinanza a Kiev, la ri-

sposta degli Stati Uniti è stata tiepida: essi continueranno ad offrire assistenza non

letale, mentre verranno stanziati 53 milioni di dollari, di cui 46 per la sicurezza

- specialmente quella di frontiera - e 7 per gli aiuti umanitari.

Il 25 settembre il Capo di Stato ucraino ha dunque annunciato "Strategia 2020",

un dettagliato piano di 60 riforme strutturali – riguardanti in particolare il decentra-

mento dei poteri, la revisione del sistema giudiziario, la lotta alla corruzione, la ga-

ranzia dell'indipendenza energetica e il rafforzamento della difesa – con l'obiettivo

di portare l'Ucraina dentro l'Unione Europea nel 2020. Soprattutto la legge

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anti-corruzione rappresenta, nell'ottica di Poroshenko, il più importante biglietto da

visita per la riuscita del processo di integrazione europea e per tale ragione egli punta

alla sua approvazione entro il prossimo 14 ottobre. Il 16 settembre, inoltre, il Parla-

mento europeo e il Parlamento ucraino hanno simultaneamente ratificato

l'Accordo di Stabilizzazione e Associazione (siglato lo scorso 27 giugno), anche

se esso non entrerà in vigore prima dell'inizio del 2016.

Sempre il 16 settembre, e nell'ambito dell'attuazione dell'intesa del 5 settembre, la

Rada ha approvato la legge che garantisce uno statuto speciale e tre anni di

autonomia per alcuni distretti delle regioni separatiste di Donetsk e Lu-

gansk, fissandone elezioni locali per il prossimo 7 dicembre. Il protocollo prevede

inoltre un'amnistia per i filorussi che hanno consegnato le armi, che non hanno at-

tentato alla vita dei dirigenti statali, che non siano coinvolti nell'incidente del volo

MH-17 della Malaysia Airlines e che non si sono macchiati del reato di omicidio pre-

meditato o di terrorismo. Kiev si impegna infine a garantire l'uso della lingua russa.

I ribelli hanno tuttavia rifiutato questo documento, annunciando di aver programmato

per il 2 novembre le loro elezioni per il Consiglio Supremo.

Si sono intanto svolte in Crimea le prime elezioni amministrative – dichiarate

illegittime dall'Unione Europea – dopo l'annessione alla Russia: il partito di Putin,

Russia Unita, ha conquistato 70 seggi su 75 (gli altri 5 sono andati al partito liberal-

democratico di Vladimir Zhirinovski), mentre a Sebastopoli 22 su 24. La partecipa-

zione elettorale è stata del 52%, più alta rispetto all'affluenza registrata nelle altre

regioni della Federazione Russa chiamate alle urne lo stesso giorno.

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YEMEN ↴

La firma dell’accordo tra i ribelli sciiti Houthi e il governo dello Yemen sembra

non aver portato alcuna pacificazione politica nel Paese arabico. La ribellione che da

tempo gli Houthi stanno portando avanti contro il governo centrale sembrava essere

giunta ad una svolta positiva quando il 21 settembre il Presidente Abd Rabbo Mansour

al-Hadi aveva annunciato di aver raggiunto un accordo con i ribelli sciiti. L’intesa

prevedeva l’immediato cessate il fuoco, la formazione di un nuovo governo tecnocra-

tico di unità nazionale, l’abbassamento delle accise sui carburanti e la nomina di una

personalità Houthi da affiancare al Presidente quale consigliere speciale.

Per molti analisti l’accordo avrebbe consegnato ai ribelli sciiti il controllo sul governo

e la possibilità di dettare le scelte da compiere e gli accordi da stringere nel futuro.

L’accordo «riflette la nuova realtà del terreno, dove gli Houthi sono molto più forti di

prima» ha affermato Ibrahim Sharqieh, ricercatore del Doha Brookings Center, pre-

cisando che al momento «non sono talmente forti da decidere senza le altre parti in

causa». Nonostante il raggiungimento di un’intesa, nei giorni successivi gli insorti

hanno preso il controllo di numerosi edifici pubblici, tra cui la sede della tele-

visione di Stato, e di diversi siti militari, compresa la sede della polizia militare, la cui

indipendenza dal governo centrale gli è spesso valsa l’accusa di collaborazionismo

con i manifestanti. Gli insorti si sarebbero impossessati anche di ingenti quantità di

armi e veicoli corazzati, sottratti all’esercito regolare, che avrebbero inviato nelle loro

roccaforti nel nord del Paese.

Rapporti della stampa locale hanno evidenziato l’assenza di qualsiasi servizio di

sicurezza lungo le strade di Sana’a e il consolidamento della presenza Houthi nei

principali punti strategici della capitale, dove sono state eretti numerosi checkpoint

da loro controllati. L’unica forza che sembra opporsi all’avanzata degli Houthi è rap-

presentata dalla divisione dell’esercito comandata dal generale Ali Mohsin al-Ahmar:

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il Generale al-Ahmar proviene da una potente famiglia dello Yemen, parte della con-

federazione tribale degli Hashid, che ha forti legami con il maggiore partito sunnita

del Paese, al-Islah, storico antagonista degli Houthi e principale responsabile della

cacciata del Presidente Ali Abdullah Saleh nel 2011.

La ribellione Houthi non è confinata soltanto allo Yemen ma inizia a far sentire le sue

ripercussioni anche nei confronti degli immediati vicini saudita e omanita.

L’Arabia Saudita e gli altri Stati sunniti del Golfo ritengono che i ribelli siano sostenuti

dall’Iran sciita di Ali Khamenei e Hassan Rouhani. Il confronto “religioso” nello Yemen

si andrebbe, pertanto, ad aggiungere a quelli in corso in vari focolai della regione che

hanno portato alcuni analisti a parlare di “guerra fredda regionale” tra sunniti e sciiti.

È bene precisare che il caos nello Yemen affonda le sue radici nella storia lontana: fin

dai tempi di Nasser e della rivoluzione yemenita del 1962 e poi sin dall’unificazione

del Paese negli anni Novanta, gli Houthi si oppongono alle politiche del governo cen-

trale, colpevole di trascurare la componente sciita nazionale, favorendo indiscrimina-

tamente la componente sunnita. Altro fattore di instabilità è dato dal sud dello

Yemen, storicamente autonomista, e negli ultimi anni reso una polveriera a causa

della presenza di due gruppi jihadisti, di fede sunnita, come al-Qaeda in the Arabian

Peninsula (AQAP) e Ansar al-Sharia Yemen, entrambi fortemente legati ad al-Qaeda

centrale. La debolezza del governo e l’insicurezza attuale hanno permesso ad AQAP

di proliferare nelle aree rurali del Paese, nonostante le offensive dell’aviazione statu-

nitense ne avessero ridotto l’influenza nelle aree più popolate del sud.

La ribellione Houthi e quella di AQAP non sono collegate tra di loro, ma mostrano,

inesorabilmente, l’incapacità del governo centrale di gestire le crisi.

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BREVI

AFGHANISTAN, 22 SETTEMBRE ↴

Dopo un protrarsi di alcune settimane, è stato infine

raggiunto un accordo per un governo di unità nazionale

tra i candidati del ballottaggio presidenziale, tenutosi il

14 giugno scorso, Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani.

Dopo che la Commissione elettorale indipendente ha

annunciato che il vincitore alle urne era risultato l’ex

Ministro delle Finanze Ghani con oltre settecentomila voti di scarto, sono seguiti giorni

di trattative con l’ex titolare degli Esteri di Kabul Abdullah (anche grazie alla

mediazione degli Stati Uniti e della missione delle Nazioni Unite) per giungere ad una

soluzione che riconoscesse un ruolo politico di spicco ad entrambi nel futuro del

Paese. Ghani e Abdullah si sono accordati sulla base di una divisione di poteri tra

Capo dello Stato e Primo Ministro, carica che verrà ricoperta da Abdullah o da uno

dei suoi fedelissimi, e di una riforma costituzionale sui poteri del Premier, altrimenti

chiamato Chief Executive. Il Segretario di Stato americano, John Kerry, ha accolto

con grande soddisfazione lo sblocco di un impasse che durava da troppo tempo e che

complicava il dispiegamento della missione internazionale post-ISAF. Kerry ha così

commentato che «i due candidati nel ballottaggio presidenziale hanno mostrato di

avere realmente una levatura da statisti: hanno assicurato che la prima transizione

democratica nella storia del loro Paese cominci con un progetto di unità nazionale».

Non sono state risparmiate però critiche nei confronti di Washington dal Presidente

uscente, Hamid Karzai. Nel suo ultimo discorso da Capo di Stato afghano ha puntato

il dito su Stati Uniti e Pakistan affermando che «gli afghani sono vittime di una guerra

straniera sul proprio territorio»: da un lato «gli USA non hanno mai portato la pace

e la stabilità all'Afghanistan, ma hanno agito per i loro interessi e obiettivi», dall’altro

«il Pakistan vuole controllare la nostra politica estera, ma il governo afghano non

permetterà mai che questo accada».

CAMERUN-NIGERIA, 26 SETTEMBRE ↴

Non conosce sosta il flusso di rifugiati nigeriani verso il

confine del Camerun. Secondo l’UNHCR, l’agenzia ONU

che si occupa dei rifugiati in tutte le aree del mondo,

la crescita del dato rappresneta un fattore allarmante.

Un incremento ascrivibile soprattutto agli attacchi dei

miliziani di Boko Haram nel nord della Nigeria. Durante

uno degli ultimi attacchi lanciati dai miliziani islamisti contro la caserma della

gendarmeria di Tourou, a pochi chilometri dal confine con la Nigeria, è stato ucciso

un militare del genio camerunense. L’episodio non ha lasciato indifferenti le autorità

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di Yaoundè che hanno risposto agli attacchi di Boko Haram lanciando una forte

offensiva. Gli scontri tra i miliziani di Boko Haram e i militari camerunesi sono stati

descritti dalla stampa come episodi di "inaudita violenza" e si sarebbero svolti anche

oltre la frontiera, quindi in territorio nigeriano, dove gli jihadisti in fuga sarebbero

stati braccati. Al termine degli scontri, secondo un comunicato ufficiale del governo

camerunense, sarebbero rimasti uccisi almeno 77 islamisti. Secondo il sito Koaci, i

morti sono il bilancio di due giorni di combattimenti (il 21 e 22 settembre) nel villaggio

di Ldma, nel dipartimento di Mayo Tsanaga, nella regione dell'estremo nord del

Camerun. Stando alla stessa fonte, nel corso dei combattimenti sarebbero stati

catturati un centinaio di miliziani. Parallelamente, l’esercito nigeriano ha dato vita ad

una violenta offensiva nei dintorni della città di Konduga, nello Stato di Borno, a

seguito della quale sarebbero stati catturati più di 150 miliziani, ma soprattutto

sarebbe stato ucciso il loro leader Abubakar Shekau. L’uccisione non è stata ancora

confermata, e lo scetticismo è molto forte, perché l’uccisione di Shekau è già stata

annunciata con una certa enfasi dalle autorità nigeriane già nel 2009 e nel 2013. In

realtà, durante l’offensiva nigeriana sarebbe stato ucciso Mohammed Bashir che,

secondo il Dipartimento di Sicurezza, fingeva da alcuni anni di essere Abubakar

Shekau.

CINA, 21 SETTEMBRE ↴

Una serie di attentati dinamitardi ha provocato la

morte di almeno 50 persone nella provincia di Luntai,

nella regione autonoma dello Xinjiang. Tra le vittime

sono riportati 40 terroristi, eliminati dalle forze di

polizia o rimasti uccisi nelle esplosioni. Gli eventi sono

attribuiti a gruppi estremisti uiguri e giungono a due

giorni dalla condanna all’ergastolo (fortemente

rimproverata da Stati Uniti e Unione Europea) di Ilham Tohti, professore universitario

di economia ed influente intellettuale schierato a favore della protezione della

comunità uigura, che il tribunale di Urumqi ha processato per incitamento al

separatismo. Gli attentati ricalcano, pertanto, la linea degli scontri etnici che negli

ultimi anni hanno occasionalmente infiammato lo Xinjiang, regione a maggioranza

uigura di importanza strategica per lo sviluppo commerciale ed economico cinese che

le autorità di Pechino vorrebbero costringere all’omogeneità culturale. Nel mese di

settembre la contea di Qiemo ha autorizzato sovvenzioni di discreta entità per

incoraggiare matrimoni misti allo scopo di accelerare l’integrazione degli immigrati di

etnia han, mentre le autorità regionali hanno stabilito il divieto di frequentazione delle

scuole coraniche. Questi provvedimenti volti ad indebolire le specificità linguistiche e

identitarie delle comunità turcofone di fede musulmana hanno inasprito le tensioni

sociali, rafforzando l’ascendente delle cellule terroristiche di matrice islamica ed

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innalzando l’intensità di un conflitto inter-etnico oramai latente, destinato a

conoscere nuovi picchi di violenza.

LIBIA, 23 SETTEMBRE ↴

Dopo mesi di violenze e di stallo politico-istituzionale,

il Parlamento legittimo riunito dal 4 agosto a Tobruk,

a pochi chilometri dal confine egiziano, ha votato con

110 voti a favore su 112 la fiducia al nuovo governo di

Abdullah al-Thani. Il governo, composto da 10 Ministri

e 3 vice Primo Ministro, ha giurato il 24 settembre e si

è immediatamente riunito nella sede temporanea di

Badia, a est di Bengasi, ordinando «la mobilitazione generale delle forze armate, su

richiesta della popolazione di Tripoli, per liberare la capitale dalle milizie filo islamiche

dell'Alba libuca (Fajr Libya)». Infatti a Tripoli e nei suoi dintorni si continua a

combattere e a morire nella guerra che vede contrapposti da un lato governo libico e

forze di Zintan (vicine al partito più secolarista di Mahmud Jibril) e dall’altro i miliziani

islamisti di Misurata, legati alla Fratellanza Musulmana libica. Intanto anche sul fronte

internazionale giungono numerosi gli appelli per una risoluzione pacifica e politica.

Sia il Segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, sia l’Alto Rappresentante in pectore

per la politica estera dell’UE Federica Mogherini, hanno lanciato un nuovo monito per

la pace nel Paese che giunga attraverso un compromesso politico tra le parti in lotta.

Una posizione condivisa anche dai 21 Paesi del Mediterraneo riuniti a Madrid lo scorso

17 settembre in una conferenza delle potenze regionali coinvolte in Libia. Nelle

conclusioni della conferenza internazionale le parti in causa hanno escluso un nuovo

eventuale intervento militare in Libia ribadendo tuttavia la necessità di «riprendere il

dialogo tra le fazioni libiche, ad eccezione di quelle armate».

PAKISTAN, 22 SETTEMBRE ↴

È stata resa nota, lunedì 22 settembre, la nomina di

Rizwan Akhtar a futuro Direttore Generale dei Servizi

Segreti Pachistani (ISI). Il suo predecessore Zaheer ul-

Islam – così come altri quattro vertici dell’ISI – ormai

prossimo al pensionamento, vedrà scadere il suo

mandato il prossimo 1° ottobre. In tale data Akthar

assumerà la seconda carica più importante delle Forze Armate pachistane dopo quella

di Capo di Stato Maggiore della Difesa, attualmente ricoperta da Raheel Sharif.

Sebbene la procedura ufficiale preveda che il capo dell’esercito proponga una lista di

nomi al Primo Ministro dalla quale scegliere chi nominare, nel caso presente si è

trattato di una scelta soprattutto dovuta al capo delle Forze Armate stesso. Akthar è

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in effetti noto per essere uno degli uomini di fiducia di Raheel Sharif. Si tratta di una

scelta dovuta al fatto che il precedente comandante dei Servizi Segreti, Zaheer, è

stato accusato di aver collaborato con uno dei due leader delle proteste anti-

governative che nel mese di agosto hanno ripetutamente chiesto la deposizione del

Primo Ministro Nawaz Sharif. Per tali motivi il Primo Ministro si è rivolto al capo

dell’esercito chiedendo che, allo scadere del mandato di Zaheer, si cercasse un uomo

meno politicamente coinvolto e più propenso a collaborare con il governo in carica. Il

nuovo vertice dell’ISI, Akthar, precedentemente capo del corpo paramilitare dei

Rangers pakistani, si è in passato distinto per le sue operazioni contro la criminalità

organizzata nel centro finanziario pachistano di Karachi e per azioni di contro

terrorismo nel Waziristan dal 2007 al 2010.

PALESTINA, 25 SETTEMBRE ↴

Mentre sono ufficialmente ripartiti al Cairo i negoziati

tra Israele e la delegazione palestinese per un accordo

di cessate il fuoco permanente che funga da preludio

per una vera e propria trattativa di pace tra le due

realtà, nella capitale egiziana le componenti di Hamas

e Fatah hanno raggiunto un accordo per un governo di

unità nazionale presieduto da Abu Mazen all’interno

della Striscia di Gaza. Un’intesa rilevante che ancora

una volta ha visto giocare all’Egitto un ruolo di primo piano nella mediazione tra le

due componenti antagoniste. Infatti Hamas, che governa la Striscia da sola dal 2007,

a seguito della cosiddetta battaglia di Gaza che vide l’epurazione dal territorio di

Fatah, ha confermato il raggiunto accordo e, secondo ricostruzioni di stampa, avrebbe

acconsentito anche a dare il proprio sostegno al piano diplomatico di Abu Mazen per

stabilire uno Stato palestinese entro i confini del 1967, discorso tra le altre cose ri-

badito dallo stesso leader dell’ANP anche nel suo intervento all’Assemblea Generale

delle Nazioni Unite. Secondo l'intesa raggiunta, il governo di unità nazionale avrà

pieni poteri con la responsabilità di guidare la ricostruzione nella Striscia e gestire i

valichi di transito, tra i punti più spinosi anche nelle trattative complessive con Israele.

Tel Aviv ha comunque fatto sapere di volere garanzie precise per evitare che tutto ciò

che transiterà dai valichi non sarà usato per il riarmo delle fazioni radicali o l'edifica-

zione di nuovi tunnel sotterranei per offendere lo Stato Ebraico. Al momento tra i sei

valichi che permettono l’accesso e l’uscita da e per la Striscia di Gaza viene escluso

dall’intesa quello di Rafah, fra Gaza ed Egitto, ritenuto ancora troppo pericoloso per

via delle tensioni ancora forti nel Sinai settentrionale.

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SCOZIA, 18 SETTEMBRE ↴

Si è tenuto l’atteso referendum sul futuro status della

Scozia. Ai votanti scozzesi è stato chiesto se volessero

che il proprio Paese diventasse indipendente o restasse

all’interno del Regno Unito. Con un’affluenza pari a

circa l’85%, ha vinto il fronte unionista con oltre due

milioni di voti, ovvero il 55,3% degli scozzesi. Gli indipendentisti hanno raccolto un

milione e seicentomila voti, pari a meno del 45% del totale. Gli unionisti hanno vinto

in quasi tutte le aree amministrative, eccezion fatta per quella più popolosa, quella

di Glasgow, e altre tre, tra cui quella di Dundee. A Edimburgo, capitale della Scozia,

i voti a favore dell’unione ha spopolato con una percentuale che ha oltrepassato il

60%. Come promesso dal Primo Ministro britannico, David Cameron, al cui fianco per

l’occasione si sono schierati il leader del partito laburista, Ed Miliband, e quello dei

Lib-Dem, il vice Premier Nick Clegg, alla Scozia sarà garantita una nuova e ben più

ampia autonomia dall’Inghilterra con ulteriori poteri che saranno devoluti ad Edim-

burgo. Dopo la sconfitta, il Primo Ministro scozzese, Alex Salmond, ha rassegnato le

dimissioni. A succedergli sarà probabilmente l’attuale vice Premier di Scozia, Nicola

Sturgeon. A Westminster è iniziato il dibattito se ad un incremento dei poteri nelle

mani di Edimburgo debba corrispondere una limitazione dell’influenza degli scozzesi

sugli affari dell’Inghilterra. In particolare, è stata sollevata la questione della presenza

di deputati in rappresentanza della Scozia alla Camera dei Comuni, un fatto non re-

ciprocato al Parlamento di Edimburgo. La Regina Elisabetta II si è congratulata con

gli scozzesi per l’esito del referendum. In privato, secondo quanto affermato da Ca-

meron in un off record, avrebbe persino «fatto le fusa. Non ho mai sentito», ha af-

fermato il Primo Ministro britannico, «qualcuno più felice».

ONU, 24 SETTEMBRE ↴

É in corso a New York la 69esima Assemblea Generale

delle Nazioni Unite, annuale appuntamento che ha vi-

sto la partecipazione di almeno 140 leader mondiali

per discutere dei principali problemi e delle maggiori

sfide internazionali. L'apertura dei lavori è stata dedi-

cata ad una conferenza sui cambiamenti climatici, con

particolare attenzione ai mutamenti atmosferici di origine antropica, in occasione

della quale il Segretario Ban Ki-moon ha ribadito la necessità di un accordo globale

in materia entro il summit di Parigi del 2015, esortando governi ed istituzioni ad

investire in progetti per la riduzione delle emissioni di gas serra e ad introdurre una

carbon tax per penalizzare le industrie inquinanti. Ma l'assenza del Presidente cinese

Xi Jinping e del Premier indiano Nerendra Modi, leader rispettivamente del primo e

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del terzo Paese produttore di sostanze inquinanti, è stata letta come una reale man-

canza di volontà di risolvere l'emergenza clima. A tener banco anche l'ebola, che,

secondo le ultime stime, avrebbe finora provocato in Africa occidentale la morte di

3.000 persone, almeno 200 al giorno. Il Presidente USA Barack Obama, che il 16

settembre ha approvato l'invio di 3000 soldati americani per sostenere gli sforzi al

contenimento della diffusione del virus, ha ricordato che «se l'epidemia dell'ebola non

sarà fermata potrebbe esserci una catastrofe umanitaria» e che nazioni ed organiz-

zazioni devono agire tempestivamente per evitare un contagio globale. Il punto più

importante del discorso di Obama è comunque stato quello relativo alla lotta al ter-

rorismo e in particolare all'IS, intervento che ha dato il via libera all'approvazione

all'unanimità di una risoluzione che chiede agli Stati membri di «prevenire e repri-

mere» il reclutamento e il flusso dei combattenti terroristi stranieri. Tale documento

opera nell'ambito del Capitolo VII della Carta della Nazioni Unite, che fornisce al Con-

siglio di Sicurezza l'autorità di comminare sanzioni e prevede l'uso della forza. Tale

atto chiede infatti che gli Stati membri rendano illegale recarsi all'estero o facilitare

il viaggio di individui per «pianificare, preparare, perpetrare o partecipare ad atti

terroristici». Spazio infine anche per il dossier nucleare iraniano: si è risolto con un

nulla di fatto il lungo colloquio tra Teheran e il Gruppo 5+1 per la finalizzazione

dell'accordo tracciato lo scorso novembre 2013. Le distanze restano ancora significa-

tive e il Presidente Hassan Rouhani ha dichiarato che conta molto sul ruolo dell'Italia

per una definitiva distensione dei rapporti tra Iran e Occidente.

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ALTRE DAL MONDO

EGITTO, 21 SETTEMBRE ↴

Una doppia esplosione è avvenuta al Cairo nei pressi della sede del Ministero degli

Esteri e in una stazione ferroviaria della capitale in direzione Zagazig, causando la

morte di due poliziotti e di una recluta. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo

islamista Ajnad Misr in una dichiarazione apparsa sul suo profilo Twitter. A seguito

dell’esplosione è morto il colonnello Mohamed Mahmoud Abu Sareeaa che avrebbe

dovuto testimoniare nel processo intentato contro il deposto Presidente Morsi, per

alcuni fatti relativi al 2011.

FILIPPINE, 24 SETTEMBRE ↴

Il gruppo ribelle islamista Abu Sayyaf ha minacciato di uccidere uno dei due ostaggi

tedeschi che detiene dallo scorso aprile se entro quindici giorni la Germania non pa-

gherà il riscatto (oltre 5 milioni di dollari) e non cesserà di fornire supporto logistico

alla coalizione anti-IS capeggiata dagli USA. Secondo gli analisti, i jihadisti detengono

altri dieci ostaggi, di cui due di nazionalità europea e un giapponese. Il mese prece-

dente Abu Sayyaf si era rifiutato di firmare il protocollo di intesa tra il governo del

Presidente Benigno Aquino e i ribelli del MILF, per la creazione di una regione auto-

noma nel Bangsamoro.

INDIA-CINA, 17-19 SETTEMBRE ↴

Il Presidente cinese Xi Jinping ha effettuato un importante viaggio in India, dove ha

incontrato il Primo Ministro di New Delhi, Narendra Modi. Il vertice ha rafforzato i

legami economici tra i due Paesi, con Pechino che ha promesso di investire una cifra

pari a 20 miliardi nel futuro dell’India. La visita di Xi segue di pochi giorni quella di

Modi a Tokyo. Per sigillare il riavvicinamento tra India e Cina, le due parti si sono

accordate per ritirare i propri contingenti militari dai confini territoriali contesi, come

quello sull’Himalaya nella regione di Ladakh.

ISRAELE, 23 SETTEMBRE ↴

Un missile Patriot israeliano ha intercettato e ha abbattuto sulle Alture del Golan – la

cui porzione siriana è attualmente sotto il controllo di Jabhat al-Nusra – un velivolo

appartenente alla forze di Damasco (apparentemente un Mig-21, anche se le fonti di

Tel Aviv non hanno rilasciato ulteriori dettagli). Il portavoce dell'esercito israeliano

ha intanto annunciato l'uccisione – nel corso di un raid notturno ad Hebron – di due

palestinesi sospettati di essere i rapitori e gli assassini dei tre giovani ebrei lo scorso

giugno. L'episodio aveva scatenato la nuova escalation nella Striscia di Gaza.

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NUOVA ZELANDA, 20 SETTEMBRE ↴

Il National Party, di orientamento conservatore, ha ottenuto una netta affermazione

nelle elezioni politiche che consegneranno al suo leader, John Key, il terzo mandato

consecutivo da Primo Ministro. Il National Party ha ottenuto il 48% dei voti nono-

stante numerose accuse di dossieraggio che giungevano dalle opposizioni indigene e

dal blogger milionario e fondatore del sito Megaupload, Kim Dotcom.

SPAGNA, 26 SETTEMBRE ↴

Una doppia operazione coordinata dal Ministero degli Interni e dall’Alto Tribunale

dell’Audencia Nacional nell’enclave spagnola di Melilla e a Nador, in Marocco, ha por-

tato all’arresto di nove persone. Otto marocchini e uno spagnolo erano sospettati di

essere reclutatori e combattenti di una cellula jihadista locale vicina allo Stato Isla-

mico, in partenza per la Siria e l'Iraq. Il leader della cellula sarebbe un ex militare

dell'esercito spagnolo già coinvolto in altre esperienze jihadiste in Mali.

STATI UNITI, 25 SETTEMBRE ↴

Si è dimesso dalla carica di Attorney General degli Stati Uniti, carica che corrisponde

al nostro Ministro della Giustizia, l’afroamericano Eric Holder, il cui mandato era ini-

ziato nel febbraio 2009. A succedergli dovrebbe essere, secondo fonti statunitensi,

un altro afroamericano, Deval Patrick. Un segnale evidente per un Paese ancora

scosso dai fatti di Ferguson, dove un ragazzo di colore è stato ucciso da un colpo di

pistola da un poliziotto bianco. Fatto cui sono seguiti, e permangono tuttora, disordini

e proteste.

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ANALISI E COMMENTI

TRIANGOLAZIONE PACIFICA

PAOLO BALMAS ↴

La grande regione dell’Asia-Pacifico nelle ultime settimane è stata caratterizzata da

un’attività diplomatica particolarmente intensa. Sono state siglate intese che nel fu-

turo più prossimo si ripercuoteranno sugli equilibri dell’intera regione. L’attenzione si

sofferma chiaramente sul vivo dialogo intrapreso fra il nuovo Primo Ministro indiano

Narendra Modi e il governo giapponese di Shinzo Abe, ma anche fra quest’ultimo e il

collega australiano Tony Abbott e, infine, fra India e Australia. Sebbene i rapporti si

siano sviluppati su base bilaterale, i tre Paesi hanno di fatto dato vita a una “triango-

lazione” in cui le relazioni tra l’uno e l’altro risultano complementari e costituiscono

le basi di una cooperazione che, se risulterà solida come i tre leader si aspettano, è

destinata a gettare le basi del nuovo assetto regionale. Tuttavia, le conseguenze non

sono e non possono essere ancora del tutto chiare. Soprattutto perché le sfide sono

talmente impegnative che la conclusione è tutt’altro che ovvia (…) SEGUE >>>

IRAN: ROUHANI, UN ANNO DA PRESIDENTE

STEFANO LUPO ↴

Da più parti si è ritenuto che il primo anno da Presidente della Repubblica Islamica

dell’Iran dovesse essere il momento più difficile del percorso politico di Hassan Rou-

hani, religioso e politico moderato, negoziatore del dossier nucleare tra il 2003 e il

2005 e per ben sedici anni (1989-2005) Segretario del Consiglio Supremo di Sicu-

rezza. Non è così, per una serie ben precisa di motivi. Senza scomodare ingombranti

richiami all’Obama Style del Presidente eletto nel giugno 2013, è verosimile che le

aspettative che hanno circondato il chierico dall’inizio del suo mandato, con le esul-

tanze popolari per la sua vittoria elettorale e la diplomazia da “telefono rosso” per

rinnovare il cammino sul negoziato per il nucleare con le controparti storiche, abbiano

protetto il neo Presidente dalle critiche per almeno sei mesi, senza dimenticare l’ac-

cordo ad interim del 24 novembre 2013 (…) SEGUE >>>

ALL’OMBRA DEI BRICS: LA (RE)CONQUISTA DEL CONTINENTE LATINO-AMERICANO

FRANCESCO TRUPIA ↴

Analisi disponibile anche come Research Paper: SCARICA

Quando gli allarmismi per la crisi finanziaria del 2007 venivano scongiurati dall’eco-

nomista della Goldman Sachs Jim O’Neill poiché fiducioso che lo sviluppo dei BRICS

avrebbe creato un’armoniosa ricrescita dei mercati, nessuno avrebbe immaginato che

a distanza di neanche un decennio tali economie emergenti sarebbero state in grado

di destabilizzare gli assetti dell’economia mondiale. Fin dalla loro nascita, i BRICS

hanno tentato di rappresentare una seria alternativa alle politiche neo-liberali del G7

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ed ai suoi modelli di sviluppo politico ed economico. Sulla scia di una sempre mag-

giore crescita su scala mondiale, la sfida lanciata dai BRICS è concretamente iniziata

a Fortaleza con la creazione della New Development Bank. La nascita del nuovo isti-

tuto finanziario rappresenta solo una minima parte, sebbene la più rilevante, delle

decisioni varate nella città brasiliana capace di stravolgere ciò che gli accordi di Bret-

ton Woods sembravano aver stabilito nell’ormai lontano 1944 (…) SEGUE >>>

TURCHIA-QATAR: LA RICERCA DI UN ASSE PER IL NUOVO MEDIO ORIENTE

FILIPPO URBINATI ↴

All’indomani dell’elezione di Recep Tayyip Erdoğan a Presidente della Repubblica e

della promozione di Ahmet Davutoğlu da Ministro degli Esteri a Primo Ministro, la

Turchia si trova a dover affrontare una non facile situazione dal punto di vista delle

relazioni internazionali. Mentre i rapporti con l’Unione Europea permangono stagnanti

e quelli con gli alleati occidentali vivono una nuova fase di ambiguità, le numerose

crisi che stanno scuotendo il Medio Oriente hanno incrinato la posizione del Paese

nell’area. Unico Stato rimasto allineato alle posizioni di Ankara pare essere il Qatar.

Questa relazione, fondata anche su legami economici crescenti [2] trova la propria

ragion d’essere in una comunione di intenti che è divenuta sempre più marcata dal

2011, ossia dall’esplosione delle cosiddette Primavere Arabe, ed è divenuta più evi-

dente con l’insorgere delle due recenti crisi di Gaza, quelle del 2012 e del 2014.

Durante il mese di luglio, a causa del rifiuto delle due parti in conflitto di accettare le

proposte di tregua egiziane, il Segretario di Stato americano John Kerry ha richiesto

l’intervento di Turchia e Qatar – al momento gli unici sponsor politici ed economici di

Hamas, dopo la defezione della Siria e il ridimensionato supporto dell’Iran – per giun-

gere ad un piano atto a risolvere la crisi (…) SEGUE >>>

A cura di

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE

Ente di ricerca di

“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”

Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale

C.F. 98099880787

www.bloglobal.net