Weekly Report N°26/2015
-
Upload
osservatorio-di-politica-internazionale -
Category
Documents
-
view
221 -
download
1
description
Transcript of Weekly Report N°26/2015
www.bloglobal.net
N°26, 27 SETTEMBRE-10 OTTOBRE 2015
ISSN: 2284-1024
I
Weekly Report Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) © BloGlobal – Lo sguardo sul mondo
Milano, 11 ottobre 2015 ISSN: 2284-1024 A cura di: Davide Borsani Agnese Carlini Giuseppe Dentice Danilo Giordano Vittorio Giorgetti Antonella Roberta La Fortezza Giorgia Mantelli Violetta Orban Maria Serra Alessandro Tinti
Questa pubblicazione può essere scaricata da: www.bloglobal.net
Parti di questa pubblicazione possono essere riprodotte, a patto di fornire la fonte nella seguente forma:
Weekly Report N°26/2015 (27 settembre-10 ottobre 2015), Osservatorio di Politica Internazionale (OPI), Milano 2015, www.bloglobal.net
Photo credits: AP Photo/Jacques Brinon; Burhan Ozbilicipi/AP; Associated Press; Reuters; Baz Ratner, Reuters/Con-trasto; Sky News.
1
FOCUS
AFGHANISTAN ↴
Gli avvenimenti di queste settimane a Kunduz, con la città conquistata dai Talebani –
poi ripresa dalle forze afghane – ed il bombardamento per errore dell’ospedale di
Medicins Sans Frontieres (MSF), hanno riacceso l’interesse dei media internazionali
per le vicende del Paese asiatico, in guerra ormai dal 2001.
La conquista di Kunduz da parte delle forze talebane, avvenuta lo scorso 29
settembre, è avvenuta dopo mesi di intensi scontri e violenze nell’area tribale tra
forze di sicurezza e gruppi insorgenti. L’attacco conferma ancora una volta la forza
sul campo dei Talebani non indeboliti dopo la diffusione e la conferma della notizia
della morte del Mullah Omar e dei problemi legati al riconoscimento del suo succes-
sore, Il Mullah Mansur. Invece dalla sospensione degli accordi di pace con il governo
centrale, il movimento talebano ha rafforzato la propria azione con una serie
di attentati terroristici nel nord del Paese, rimarcando così la sua presenza e
mandando, indirettamente, un messaggio di sfida all’intraprendenza dei miliziani
dello Stato Islamico, che hanno dimostrato già nel recente passato di essere capaci
di attaccare anche una città di medie dimensioni come può essere Kunduz.
Kunduz con i suoi 300 mila abitanti, ha un’importante valore simbolico per i Talebani
in quanto è stata l’ultima loro roccaforte dopo l’inizio della guerra nel 2001. La con-
troffensiva delle truppe afghane, sostenute dai raid aerei americani, ha per-
messo di riprendere in pochi giorni la città, anche se i Talebani hanno comunicato di
essere in controllo di alcune aree strategiche. Nei giorni successivi, i Talebani hanno
risposto alla controffensiva cambiando la loro tattica, ovvero attaccando brevemente
2
alcuni obiettivi militari, sfuggendo all’eventuale risposta delle truppe afghane, per poi
nascondersi all’interno delle aree residenziali.
PRINCIPALI AREE DELL’INSORGENZA TALEBANA – FONTE: VOICE OF AMERICA
Il 3 ottobre, mentre era in pieno svolgimento la controffensiva afghana, è stato col-
pito più volte l’ospedale gestito da MSF a Kunduz, e nel bombardamento sono morte
12 persone appartenenti allo staff e 10 pazienti. Il comandante statunitense delle
forze internazionali impegnate in Afghanistan, il Generale John Campbell, ha affer-
mato, durante un’audizione dinanzi alla Commissione Difesa del Senato, che il bom-
bardamento dell’ospedale di MSF è stato un tragico errore, nato esclusivamente
all’interno della catena di comando USA. Le affermazioni del Generale Campbell, ac-
cusato nelle ore immediatamente successive all’accaduto di aver fornito diverse e
contrastanti versioni, non sono servite a placare gli animi dei rappresentanti di MSF,
che hanno chiesto a gran voce l’istituzione di una commissione indipendente per fare
chiarezza sull’accadimento. Nonostante la tragicità dell’evento, è da sottolineare che
la città di Kunduz era, al momento, sotto attacco da parte dei Talebani e la stessa
area nei dintorni dell’ospedale era circondata da terroristi.
Christopher Stokes, Direttore Generale di MSF, ha comunque annunciato che l’orga-
nizzazione umanitaria lascerà la città di Kunduz, per garantire l’incolumità del proprio
personale, ma non lascerà il Paese afghano dove ci sono altre due strutture ospeda-
liere. Barack Obama si è scusato personalmente dell’accaduto con il Presidente inter-
nazionale del gruppo umanitario, Joanne Liu, nel corso di una telefonata privata, e
ha garantito che saranno fatti i dovuti accertamenti e riviste le regole di ingaggio dei
militari per evitare il ripetersi di altre spiacevoli avvenimenti.
Le recenti azioni dei Talebani hanno portato molte diplomazie occidentali a riconside-
rare i propositi di ritirata delle truppe dall’Afghanistan: il Segretario della Difesa
3
USA Ashton Carter, durante un meeting della NATO a Bruxelles, ha chiesto agli alleati
di mostrare maggiore flessibilità, nel momento in cui gli stessi Stati Uniti stanno pen-
sando di rivedere il loro progetto che prevedeva la dipartita dei rimanenti 10.000
soldati. Durante lo stesso Vertice il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg
ha espresso la volontà dell’organizzazione di rimanere ancora per altro tempo, se
necessario; subito gli ha fatto eco il Ministro della Difesa tedesco Ursula von der
Leyen che ha sottolineato la necessità di rimanere più a lungo nel Paese e la possibi-
lità della Germania di estendere di almeno un altro anno il proprio impegno, consi-
stente in 850 soldati, dediti all’addestramento delle truppe afghane.
4
IRAQ/SIRIA ↴
Dal 30 settembre l’aviazione russa sta conducendo un’intensa offensiva in Si-
ria per sostenere le forze leali al Presidente Bashar al-Assad contro la pressione dello
Stato Islamico (IS). Il 7 ottobre anche la flotta dispiegata nel Mar Caspio ha iniziato
a colpire obiettivi del gruppo terroristico islamista. Tuttavia, secondo fonti locali e
ufficiali statunitensi, i bombardamenti hanno in gran parte interessato le provincie
nordoccidentali di Hama, Homs, Idlib e Latakia sotto controllo delle opposizioni siriane
in lotta con il governo di Damasco, piuttosto che attaccare in profondità le strutture
del gruppo jihadista. Dietro il paravento ufficiale della repressione del Califfato isla-
mico, l’intervento armato russo sembra perciò privilegiare la priorità strate-
gica di rafforzare la dirigenza alawita contro l’avanzata delle formazioni ribelli
che dal 2011 combattono per la destituzione di al-Assad. Con la copertura aerea
assicurata dal Cremlino e il sostanziale apporto dei Pasdaran iraniani e di Hezbollah,
l’8 ottobre l’esiguo esercito regolare siriano ha intrapreso un attacco di terra
su più direttrici al fine di strappare terreno ai gruppi di opposizione che negli ultimi
mesi avevano inflitto durissime perdite alle divisioni di al-Assad. Non a caso il Jaish
al-Fatah, la maggiore formazione ribelle che dietro la direzione di Jabhat al-Nusra ha
piegato le truppe governative nella provincia di Idlib, è presto divenuta il primo ber-
saglio dei raid russi esplicitamente richiesti da Damasco, così come alcuni gruppi
moderati finanziati e assistiti da parte americana. Peraltro, i miliziani dell’IS sono
invece avanzati a nord di Aleppo conquistando alcune posizioni difese dagli insorti
siriani.
Se il muscolare intervento di Mosca rende Vladimir Putin arbitro della complessa par-
tita siriana e ambisce a rilanciare vigorosamente la politica estera russa dopo l’af-
fondo scoccato in Crimea, i recenti sviluppi militari sono letti con preoccupazione dagli
5
Stati Uniti e dalle potenze NATO. Washington e Mosca si sono scambiate de-
nunce reciproche sulle ambiguità delle rispettive operazioni belliche nel tea-
tro siriano. La diplomazia russa ha addebitato alla controparte statunitense di aver
direttamente operato in chiave anti-Assad nell’ambito della campagna votata all’an-
nullamento dell’IS nello scenario siro-iracheno, dunque rovesciando le accuse di com-
plicità con il despota siriano che le cancellerie occidentali hanno associato alla pre-
senza armata russa in Siria. Il Ministero degli Esteri russo ha inoltre dichiarato
illegittimi gli attuali bombardamenti francesi, poiché né sorretti dall’autorizza-
zione del Consiglio di Sicurezza ONU, né richiesti dal governo siriano.
Ad accrescere la tensione ha contribuito la reiterata violazione dello spazio aereo
turco da parte di caccia MiG-29 presumibilmente russi, che il 3 e il 4 ottobre
sono sconfinati nella provincia meridionale di Hatay entrando in contatto con alcuni
F-16 turchi che pattugliavano la frontiera. L’incidente, condannato dal Presidente
turco Recep Tayyp Erdoğan che ha minacciato la sospensione degli approvvigiona-
menti di gas russo e della collaborazione in ambito nucleare, ha immediatamente
portato alla convocazione a Bruxelles di una riunione d’emergenza del Consiglio
Atlantico NATO, che ha inoltrato a Mosca la richiesta di cessare gli attacchi contro
le opposizioni e i civili siriani. Nella circostanza, il Segretario Generale Jens Stolten-
berg ha avvertito che l’Alleanza è pronta a dispiegare le proprie forze in Turchia,
stante la «problematica escalation di azioni militari russe». Il monito è stato rincarato
6
dall’annuncio del Ministro della Difesa britannico Michael Fallon dell’invio di
un piccolo contingente militare nei Paesi baltici «per rispondere a ogni ulteriore
provocazione e aggressione russa». A margine della riunione ministeriale NATO, il
vertice del Pentagono Ashton Carter ha inoltre dichiarato l’indisponibilità degli Stati
Uniti a cooperare in Siria con le forze russe qualora il Cremlino non ritratti il veto su
una transizione politica che necessariamente comporterebbe l’allontanamento della
famiglia Assad, che tuttavia per voce del Ministro degli Esteri Walid Muallem ha aperto
alla partecipazione del governo di Damasco ai colloqui preliminari per un ne-
goziato di pace sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Nonostante l’irritazione per le manovre militari, l’amministrazione Obama ha dovuto
riconoscere nella Russia di Putin un attore decisivo per la risoluzione della crisi siriana
e la definizione dei nuovi equilibri regionali. Dopo l’incontro a New York tra i due capi
di Stato, le parti sono convenute sulla necessità di un coordinamento tecnico tra i
comandi militari al fine di evitare pericolose sovrapposizioni nello scenario bellico. A
questo proposito, il Pentagono ha comunicato che già in un’occasione un aereo di
combattimento statunitense è stato costretto a una correzione di rotta per mantenere
le distanze con un velivolo russo. Tuttavia, le prospettive politiche delle due potenze
divergono ampiamente non solo sul futuro assetto siriano, ma anche in relazione agli
allineamenti regionali che vedono contrapporsi l’intesa russo-iraniana alla tradizionale
comunione di interessi tra Stati Uniti e Arabia Saudita.
Di fronte allo stallo strategico della missione americana ha così ripreso quota in seno
al National Security Council, organo che assiste l’esecutivo statunitense in materia di
sicurezza, la tesi del graduale sganciamento dallo scenario siriano allo scopo di ridurre
l’esposizione militare, seppur al prezzo di lasciare nelle mani di Putin l’ultima parola
sul regime vigente a Damasco. Se la posizione è avversata dal Segretario di Stato
John Kerry, che ha ribadito la priorità di costringere Assad a fare un passo indietro,
ha destato sorpresa la decisione di ritirare la portaerei USS Roosvelt dal Golfo
Persico per ragioni di manutenzione. La rinuncia al primo e maggiore strumento
di proiezione della forza nel teatro mediorientale (dal 2007 gli Stati Uniti hanno sem-
pre mantenuto una portaerei operativa nelle acque del Golfo) è un segno manifesto
del minor peso specifico che la presidenza Obama intende investire nella crisi. In-
tanto, l’esecutivo democratico ha abbandonato il programma di addestra-
mento di una forza ribelle siriana, avendone constatato il sostanziale fallimento.
La dirigenza statunitense ha per contro annunciato l’intenzione di assemblare e ar-
mare una formazione di tremila-cinquemila guerriglieri arabi sunniti che
combattano al fianco dei Peshmerga curdi per liberare il nordest della Siria dalle in-
filtrazioni jihadiste. Tuttavia, tale “adattamento” della strategia americana non sem-
bra poter esercitare effetti risolutivi nel conflitto, laddove è invece significativo l’ac-
cantonamento della costituzione di una zona cuscinetto nel nordovest dove l’Esercito
Libero Siriano, messo alle strette dalla rinnovata offensiva di Damasco, accusa Wa-
shington di aver sconfessato gli accordi negoziati nelle ultime settimane. Tanto più,
l’ostilità dei gruppi di opposizione arabi nei confronti dei Peshmerga – accusati di
trarre vantaggio dal conflitto con l’IS per attuare azioni di pulizia etnica nelle aree a
7
maggioranza curda – non sembra poter preludere alla collaborazione militare inco-
raggiata dall’amministrazione americana. Nel frattempo la National Coalition for the
Syrian Revolution and Opposition Forces ha reso noto che non parteciperà alle inizia-
tive negoziali patrocinate dall’inviato speciale dell’ONU e della Lega Araba per la Siria,
Staffan de Mistura, precisando il netto rifiuto a qualsiasi ipotesi che contempli la so-
pravvivenza del regime di Bashar al-Assad.
Per quanto circoscritto alla Siria, l’intervento russo inevitabilmente avrà delle
notevoli ricadute anche in Iraq, dove le forze di sicurezza non riescono a rompere
l’equilibrio contro i miliziani dell’IS nei due fronti principali a Ramadi e Baiji. Il 25
settembre gli ufficiali russi hanno formato a Baghdad una cellula di coordina-
mento con le controparti siriane, iraniane e irachene per scambiare informa-
zioni in materia di anti-terrorismo e sulle rispettive azioni militari. Intanto, le proteste
popolari che infiammano il Paese si sono estese anche nel Kurdistan, dove le autorità
regionali curde sono fortemente criticate per la gestione dei proventi petroliferi, men-
tre le parti politiche non hanno ancora trovato un accordo sull’eventuale estensione
del mandato presidenziale di Masud Barzani, conclusosi formalmente il 20 agosto.
8
BREVI
BURKINA FASO, 17 SETTEMBRE ↴
Il generale Gilbert Diendéré, capo della Guardia
Presidenziale, ha sciolto il governo e ha fatto
sequestrare da uomini a lui fedeli il Presidente ad
interim Michel Kafando e il Primo Ministro Yacouba
Isaac Zida. Alla base del tentato golpe di Diendéré vi
sarebbe stata la decisione presa alcuni giorni prima dal
Consiglio Costituzionale, che aveva dichiarato
ineleggibili un quarantina di funzionari ed ex sostenitori del regime di Blaise
Compaoré e che quindi non avrebbero potuto candidarsi alle elezioni legislative che
si sarebbero dovute tenere in concomitanza con le presidenziali. Sebbene Diendéré
avesse ricoperto l’incarico di Capo di Stato Maggiore durante il lungo mandato
presidenziale di Blaise Compaoré e fosse stato accusato da più parti di essere una
personalità fedele all’ex Presidente, Diendéré ha negato ogni suo coinvolgimento o
legame con l’ex leader burkinabé e ha giustificato il suo atto «come un’azione utile a
creare un vero ambiente politico inclusivo» in vista del prossimo appuntamento
elettorale. Il rapido intervento dell’ECOWAS (la Comunità degli Stati dell’Africa
Occidentale, guidata dal Presidente nigeriano Muhammadu Buhari), l’appello del
Presidente francese François Hollande e le massicce mobilitazioni popolari hanno
giocato un ruolo fondamentale nella restituzione del potere al Presidente Kafando,
avvenuta il 23 settembre. Avendo appreso del fallimento del colpo di Stato, il
generale Diendéré si era inizialmente rifugiato nel palazzo del Vaticano nella capitale
Ouagadougou, ma successivamente si è consegnato volontariamente alle autorità
nazionali il 1° ottobre. Diendéré e l’ex Ministro degli Esteri di Compaoré, Djibrill
Bassolé – il quale ha negato ogni suo coinvolgimento con il tentato colpo di Stato –
sono stati arrestati con 11 capi d’accusa, tra cui attentato alla sicurezza dello Stato,
collusione con forze straniere per destabilizzare la sicurezza interna, omicidio, lesioni
volontarie, distruzione intenzionale di proprietà. Al momento, le elezioni presidenziali
previste per l’11 ottobre sono state rinviate al prossimo 22 novembre.
ISRAELE, 9 OTTOBRE ↴
Non accennano a placarsi le tensioni a Gerusalemme e
in tutta la Cisgiordania dopo la spirale di violenze che
ha colpito indistintamente civili e forze di sicurezza
israeliane e arabe. Dall’inizio di ottobre sono state
uccise oltre 20 persone e le previsioni di policy maker
e analisti fanno propendere per una crescita
9
esponenziale del numero di vittime qualora le minacce di uso della forza giunte da
ambo le parti non dovessero scemare. Non ultima quella di Hamas che per voce del
suo leader Ismail Haniyeh ha incoraggiato apertamente i palestinesi della
Cisgiordania alla ribellione e ha parlato di una Terza Intifada, contraddicendo i
tentativi di distensione promossi nei giorni precedenti da Abu Mazen. Subito dopo
l’appello di Haniyeh, numerosi militanti e cittadini palestinesi di Gaza si sono diretti
verso i confini della Striscia, dove sono immediatamente sorti violenti scontri con i
soldati israeliani vicino i valichi di Nahal Oz ed Erez. Parallelamente sul fronte
israeliano non si è fatta attendere la risposta politica e militare: da un lato, il governo
ha parlato di un alto rischio di attentati e ha definito estremamente elevato il livello
di allerta nell’intero Paese; dall’altro, l’aviazione e l’esercito hanno compiuto alcuni
raid contro sospetti campi di addestramento islamisti nella Striscia di Gaza e in
Cisgiordania. Alla base delle tensioni, che in realtà sono diventate sempre più accese
da almeno un anno, vi è la decisione del governo israeliano di vietare l’accesso per
la preghiera alla Spianata delle Moschee ad alcune categorie di musulmani,
permettendone tuttavia l’entrata solo a gruppi di fedeli che presentano determinate
caratteristiche. Secondo una nota ufficiale delle autorità israeliane «l'accesso al
complesso sacro sarà consentito solo a uomini musulmani sopra i 50 anni e alle donne
di ogni età». La decisione è stata presa a causa della volontà «di giovani palestinesi
di creare tensioni alla Spianata delle Moschee».
LIBIA, 8-9 OTTOBRE ↴
L’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia,
Bernardino Leon, ha annunciato il raggiungimento di
un’intesa tra le delegazioni di Tobruk e Tripoli su una
lista di nomi candidati a ricoprire le quattro
fondamentali cariche del nuovo governo di unità
nazionale. I nomi attualmente al vaglio dei
Parlamenti di Tobruk e Tripoli sono, per quanto riguarda la carica di Premier, quello
di Fayez Serraj, membro del Parlamento di Tobruk ma non nella lista dei candidati
proposta da Tobruk, e per quanto riguarda le tre cariche di vice Premier quelli di
Ahmed Maetiq, Moussa Kony e Fatj Majbari. L’accordo raggiunto a giugno e
modificato a settembre prevede, infatti, la nomina di un organo esecutivo collegiale,
il Consiglio di Presidenza, formato appunto da un Premier e tre vice Primi Ministri.
Una simile previsione persegue chiaramente l’obiettivo principale di garantire una
migliore rappresentanza delle varie regioni del Paese. Ad un anno dall’inizio dei
negoziati e nonostante gli innumerevoli stop e i continui timori circa l’impossibilità di
raggiungere una lista condivisa di nomi e di dover anzi rimettere mano all’accordo di
settembre, comincia ad intravedersi almeno una chance per la Libia. L’accordo
potrebbe essere il primo passo verso la stabilizzazione; spetterà ora al nuovo governo
il compito di guidare il Paese fuori dalla crisi.
10
PORTOGALLO, 4 OTTOBRE ↴
Con il 38,6% dei consensi contro il 32,4% del Partito
Socialista di Antonio Costa, la coalizione di centro-
destra “Portugal à Frente” (formata dal Partito
Socialdemocratico e dal Centro Democratico Sociale)
guidata dal Premier uscente Pedro Passos Coelho ha
vinto alle elezioni politiche dello scorso 4 ottobre.
Tuttavia, a causa del sistema elettorale portoghese che prevede un proporzionale
corretto, questi numeri non permettono un’agevole formazione del governo. I
conservatori conquisterebbero infatti 100 seggi contro gli 80 dei socialisti, a cui
andrebbero sommati i 36 seggi ottenuti complessivamente da Bloco de Ezquerda (che
con il 10,2% e 19 seggi si è attestato come terza forza) e dal Partito Comunista
(8,1% e 17 seggi). Una situazione di instabilità che ha pertanto spinto il Presidente
della Repubblica Aníbal Cavaco Silva ad esprimersi per un’accelerazione delle
operazioni di formazione di un esecutivo. Il primo importante appuntamento è infatti
alle porte: entro il 15 ottobre dovrà essere firmata la Finanziaria 2016, su cui pesa
l’occhio vigile della Troika che, nel 2011, è intervenuta con un pesante piano di
salvataggio. È proprio su questo punto che si scontrano i leader dei principali partiti:
mentre Coelho vorrebbe continuare sulla linea di austerity promossa negli ultimi anni,
facendo leva sugli ultimi dati economici che indicano importanti segnali di ripresa, la
compagine di sinistra è favorevole ad un allargamento delle maglie della politica
fiscale, con una forte attenzione alle classi meno agiate. Le consultazioni tra i primi
due partiti del Paese sono cominciate in settimana, ma finora le parti sono rimaste
molto distanti. Parallelamente, Antonio Costa ha deciso di incontrare i vertici della
sinistra più radicale allo scopo di vagliare i presupposti per un percorso governativo
congiunto. Si tratta tuttavia di un’opzione difficilmente praticabile a causa della
storica divergenza tra socialisti e comunisti su quasi tutti i temi di carattere
economico, sociale e di politica internazionale. Prendendo come riferimento quanto
accaduto nelle ultime legislature lusitane, il governo conservatore potrebbe dunque
ricevere una fiducia ad interim da parte del PS, con la condizione di tornare ad elezioni
il prossimo anno. In questo modo si assicurerebbe l’approvazione della finanziaria in
tempi brevi, ma si lascerebbe il Paese in una situazione di forte instabilità politica.
SPAGNA, 27 SETTEMBRE ↴
Il 76,9% dei catalani si è recato alle urne per eleggere
il nuovo governo della Comunità autonoma della
Catalogna. Il fronte pro-indipendenza, formato dalla
sigla “Junts pel Sì” guidato dal CDC (Covergencia
Democratica de Catalunya) e dal CUP (Candidatura
d’Unitat Popular), ha ottenuto la maggioranza dei voti
11
con il 47,8%. Una vittoria schiacciante, utile per consolidare un alto numero seggi
(72 su 135), ma lontana da quel 50% + 1 necessario per indire il referendum sulla
secessione. Se per Artur Mas, Segretario del CDC e già Presidente della Generalitat
catalana dal 2010, si è trattato di una pagina epocale, base per la costruzione di una
nuova indipendenza dalla Spagna, per i partiti più vicini a Madrid, nonostante la
significativa sconfitta (il Partito Socialista si è fermato al 12,8%, il Partito Popolare
all’8,5%), questi numeri hanno assicurato l’unità del Paese. Al secondo posto si è
collocato Ciudadanos (18%), il partito unionista di centrodestra, nato proprio in
Catalogna dieci anni fa ed ora baluardo nazionale del rinnovamento delle istituzioni e
della lotta alla corruzione. Si è invece fermato al 9% Podemos, la formazione guidata
da Pablo Iglesias, che ha preferito impostare la campagna elettorale sui problemi
socio-economici della regione piuttosto che sul tema indipendentista.
L’appuntamento è ora rimandato al 20 dicembre, data delle elezioni legislative. Sarà
questo il vero banco di prova in cui si vedrà quanto il partito del Premier Mariano
Rajoy sarà capace di resistere alle nuove forze che, in tutte le ultime elezioni locali,
ne hanno delegittimato la leadership. Nel frattempo, si parla già di cospirazione
madrilena davanti alla decisione del Tribunale superiore di Barcellona di indagare
Artur Mas per usurpazione di funzioni, cattivo uso di fondi pubblici e prevaricazione
della Costituzione spagnola, con riferimento all’indizione del referendum separatista
del 9 dicembre 2014. Sebbene il referendum sia stato subito declassato a
“consultazione popolare”, secondo i giudici si è trattato di grave comportamento
anticostituzionale. La guerra, in termini politici e territoriali, è aperta. Ora i
protagonisti avranno due mesi di tempo per poter studiare le contromosse e
presentarsi nelle migliori condizioni all’appuntamento nazionale.
STATI UNITI/PACIFICO, 5 OTTOBRE ↴
Dopo cinque anni di negoziati, è stato infine raggiunto
ad Atlanta l’accordo sull’area di libero scambio Trans-
Pacific Partnership (TPP). Dodici i Paesi firmatari e tre i
continenti coinvolti. Per le Americhe, oltre ai grandi
promotori dell’accordo in funzione anti-cinese, ossia gli
Stati Uniti, anche il Canada, il Messico – questi tre già
riunitisi nel 1994 nel NAFTA –, il Cile e il Perù. Per
l’Oceania, Australia e Nuova Zelanda. Per l’Asia, Brunei, Singapore, Vietnam e
Malesia. Il trattato, il cui testo verrà pubblicato nei prossimi trenta giorni, dovrà
essere ratificato dai rispettivi Parlamenti per entrare in vigore. Un fatto non scontato
se si tiene conto, soprattutto, dell’avversità di buona parte del Parlamento
giapponese, compresa la corrente protezionista all’interno del partito del Premier
Shinzo Abe, e della fazione liberal del partito democratico statunitense, un dissenso
che potrebbe forse estendersi per ragioni elettorali al Congresso a maggioranza
repubblicana. Proprio tra le fila del partito del Presidente Barack Obama, si registra
12
la significativa defezione della candidata alla Casa Bianca, Hillary Clinton, la quale
tuttavia durante il suo periodo a capo del Dipartimento di Stato aveva partecipato e
sostenuto i negoziati. Contrario anche il suo sfidante per la leadership del partito,
Bernie Sanders. Tra i candidati repubblicani, che pur generalmente sostengono il
principio del libero scambio, si rileva l’avversità di Donald Trump, ancora in testa ai
sondaggi, mentre invece Jeb Bush si è dichiarato favorevole. Il Congresso, al
momento, pare comunque incline alla ratifica. Secondo quanto affermato da Abe, la
TPP resta aperta all’ingresso della Cina; un fatto che «contribuirebbe largamente»
alla «sicurezza della regione dell’Asia-Pacifico ed avrebbe un significato strategico
ancor più ampio». Il governo di Pechino, tuttavia, ha criticato con forza l’accordo
indicandolo come una mossa inappropriata da parte di Washington nel tentativo di
minare l’influenza economica cinese nell’area, che comunque rimane significativa. La
Cina, infatti, ha in vigore numerosi trattati bilaterali di libero commercio con alcuni
paesi membri del TPP, a partire dall’Australia.
TURCHIA, 10 OTTOBRE ↴
È di almeno 97 morti e oltre 250 feriti il bilancio di un
attentato terroristico – il più grave mai avvenuto in
Turchia – avvenuto alla stazione ferroviaria di Ankara
nel corso di una manifestazione per la pace. Sebbene
le dinamiche siano ancora da appurare (secondo alcune
ricostruzioni due kamikaze si sarebbero fatti esplodere
nel punto di raccolta dei sostenitori del partito filo-curdo HDP) e non vi siano state
ancora rivendicazioni, nel corso di un vertice di emergenza il Premier Ahmet
Davutoğlu ha indicato tre possibili piste: quella dello Stato Islamico, quella di due
formazioni eversive di sinistra – il Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del
popolo (DHKP-C) e il Partito Comunista Marxista-Leninista (MLKP), già autrici di altri
attentati – e quella del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Nonostante si siano
verificati scontri a fuoco con agenti di polizia nella provincia sud-orientale di
Diyarbakır, PKK ha annunciato una tregua temporanea e unilaterale con il governo
turco. L’attentato avvenuto a Suruç lo scorso 20 luglio, e ufficialmente rivendicato
dall’IS, aveva scatenato una serie di operazioni militari contro lo Stato Islamico in
Siria e contro postazioni di militanti curdi da parte del governo turco. Il nuovo
attentato, che avviene a poche settimane dalla nuova tornata elettorale (1°
novembre) – indetta a seguito del mancato raggiungimento di un accordo per la
formazione di un governo dopo il voto del 7 giugno –, rischia di polarizzare
ulteriormente la scena politica turca e pone il Presidente Erdoğan nella difficile
condizione di dover conciliare la dura campagna anti-curda – oltre che anti-
terroristica – impressa negli ultimi mesi con la necessità di recuperare parte del
13
consenso elettorale perso nell’ultimo anno e di smentire le accuse di ambiguità con
lo stesso IS.
UCRAINA, 2 OTTOBRE ↴
Si è svolto a Parigi il nuovo Vertice tra i leader di
Francia, Germania, Russia e Ucraina con l’obiettivo di
trovare una soluzione definitiva alla crisi in Ucraina ora
che l’attenzione della stessa Mosca e dei Paesi
occidentali è focalizzata sullo scenario siriano. Sulla
scia di una costante de-escalation, del nuovo cessate il
fuoco indetto lo scorso 1° settembre e sostanzialmente
rispettato (solo tre sono stati gli episodi di scontro lungo la linea di controllo nella
prima decade di ottobre), nonché di un accordo tra governo ucraino e separatisti (30
settembre) sul ritiro delle armi di piccolo calibro sul modello di quanto in vigore per
le armi pesanti, il Vertice ha avuto l’effetto di indurre i rappresentanti delle
autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk a rinviare al 2016 le
elezioni locali già programmate per il prossimo 18 ottobre e 1° novembre (a patto di
una piena attuazione degli accordi di Minsk-2) e dunque di contribuire a spostare
sensibilmente il livello del confronto su un piano più politico. Nonostante
l’approvazione della nuova Dottrina militare da parte del Consiglio Nazionale di
Sicurezza e Difesa (2 settembre) e Sebbene il Parlamento di Kiev abbia approvato un
disegno di legge che consente ai soldati stranieri di prestare servizio nell’esercito
ucraino - come "private soldiers" o "non-commissioned officers" delle Forze Armate
ucraine (la legislazione vigente non consente infatti a cittadini stranieri di arruolarsi
nei reparti militari nazionali), scatenando pertanto le critiche dei separatisti, il
conflitto sembra essere destinato ad un sostanziale congelamento. Con la costruzione
di una nuova base in Siria, vicino Latakia, che andrebbe ad aggiungersi a quella già
esistente a Tartous, sembra chiara l’impossibilità per la Russia di sostenere due
conflitti attivi contemporaneamente.
YEMEN, 9 OTTOBRE ↴
L’attacco contro l’hotel Qasr ad Aden, usato come sede
centrale dalle forze armate degli Emirati Arabi Uniti
(EAU), ha causato la morte di 15 soldati e combattenti
pro-governativi. Il Primo Ministro, Khaled Bahah ed
altri membri del governo, che risiedevano nello stabile,
ne sono usciti illesi. Le forze dell’EAU hanno attribuito
il gesto ai ribelli Houthi e alle forze alleate all’ex
Presidente Ali Abdullah Salen anche se lo Stato Islamico ha rivendicato la presenza
14
di attentatori suicidi. Secondo fonti ufficiali, i miliziani si sono confrontati con le
guardie di sicurezza all’entrata dello stabile, così da aprirsi un varco dove condurre,
in un secondo momento, le autobomba e far esplodere l’hotel. Oltre alle forze locali
fedeli al Presidente in esilio, Abd Rabbu Mansour Hadi, gli EAU possiedono la presenza
armata più forte del resto della coalizione all’interno dello Yemen. Dall’inizio del
conflitto circa 4.000 civili sono morti gettando la nazione in uno stato di povertà e
caos. Inoltre, la lotta contro le milizie Houthi, ha rafforzato la presenza dei gruppi
terroristici, come al-Qaeda nella Penisola Arabica e IS, debilitando ulteriormente le
forze di sicurezza.
15
ALTRE DAL MONDO
COLOMBIA, 1° OTTOBRE ↴
Il leader delle milizie ribelli colombiane delle FARC, Rodrigo Londo, ha dato ordine di
sospendere ogni addestramento militare delle nuove reclute precisando contestual-
mente che le strutture militari delle FARC, d’ora in poi, dovranno dedicarsi alla for-
mazione politica e culturale. Il Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, a sua
volta, ha dichiarato che non sarà concessa alcuna estradizione di membri delle FARC
verso gli Stati Uniti. Entrambe le dichiarazioni si inseriscono nel quadro del processo
di pace avviato tra il governo colombiano e le milizie ribelli e che dovrebbe portare,
entro i prossimi sei mesi, al raggiungimento di un accordo definitivo che dovrebbe
mettere fine al decennale conflitto.
GIAPPONE, 7 OTTOBRE ↴
Il Primo Ministro Shinzo Abe ha effettuato un rimpasto di governo, sostituendo dieci
Ministri su diciannove. Tra coloro che hanno conservato la carica vi sono i Ministri
delle Finanze, Taro Aso, degli Esteri, Fumio Kishida, della Difesa, Gen. Nakatani, e
quello della Politica economica e fiscale, Akira Amari. Abe ha nominato dieci nuovi
esponenti, tra cui tre donne. Il rimpasto, in previsione delle elezioni della Camera
Alta nel 2016, avviene a meno di un mese dall’approvazione della contestata riforma
dell’art. 9 della Costituzione, che permetterà ai soldati nipponici di essere impegnati
in missioni di combattimento all’estero in caso di pericolo per un alleato per la prima
volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
MOLDAVIA, 6 OTTOBRE ↴
Secondo un’inchiesta di Associated Press, una rete di organizzazioni criminali, so-
spettate di avere legami con ex agenti segreti russi, avrebbero creato un mercato
nero di materiale nucleare nell’Est Europa. I traffici illeciti avrebbero peraltro tentato
di raggiungere anche formazioni estremiste in Medio Oriente e, in particolare, lo Stato
Islamico. Sarebbero almeno quattro negli ultimi cinque anni i tentativi di vendita –
l’ultimo dei quali risalente allo scorso febbraio con una presunta partita di cesio-137
– sventati dalle autorità nazionali moldave, insieme con agenti dell’FBI e dell’Interpol.
Le prime indagini sulla vendita di uranio arricchito sarebbero partite nel 2009 sulla
base di una segnalazione avvenuta nel corso di un’investigazione su un traffico di
denaro contraffatto dalla Moldavia verso l’Italia. Il caso ha posto nuovamente con
evidenza la criticità della porosità dei confini dell’Europa Orientale – e della Moldavia
in particolare –, della dispersione di materiale sensibile dopo la dissoluzione
dell’Unione Sovietica oltre che della difficoltà da parte delle agenzie internazionali di
monitorare tali fenomeni di contrabbando.
16
RUSSIA, 6 OTTOBRE ↴
I servizi segreti russi hanno arrestato alcuni membri della banda di Shamil Basayev,
defunto leader terrorista ceceno ed esponente dell’ala più radicale dell’insurrezione
islamista anti-russa. Le persone fermate sono ritenute coinvolte nella crisi degli
ostaggi di Budennovsk che ha avuto luogo tra il 14 e il 19 giugno 1995. In quell’oc-
casione Basayev e i suoi seguaci presero in ostaggio 1.600 civili nell’ospedale di
Budennovsk, nel sud del Paese, facendo 129 vittime. Dopo tre interventi falliti delle
forze speciali i sequestratori riuscirono a fuggire servendosi di scudi umani e porta-
rono via dall’ospedale un determinato quantitativo di cesio radioattivo, che fu poi
disseminato nei pressi di Mosca e ritrovato nel novembre seguente. In conseguenza
della crisi fu proclamato un cessate il fuoco in Cecenia e si aprirono negoziati diretti
tra la Russia e il governo separatista, successivamente falliti.
STATI UNITI/UNIONE EUROPEA, 6 OTTOBRE ↴
La Corte di Giustizia europea ha dichiarato invalido l’accordo Safe Harbor sullo scam-
bio di dati tra Unione Europea e Stati Uniti, ritenendo che questi ultimi non offrano
un livello di protezione adeguato. La sentenza mina di fatto la decisione con cui nel
2000 la Commissione Europea aveva accertato, in conformità a quanto previsto
dall’art. 25 della direttiva 95/46 (“Direttiva Data Protection”), che l’ordinamento sta-
tunitense garantisse un livello adeguato di protezione dei dati personali, condizione
per il loro trasferimento verso Paesi terzi. La Corte ha accolto il ricorso dell’attivista
per la privacy austriaco Max Schrems, che aveva fatto causa alla filiale europea di
Facebook accusandola di raccogliere, conservare ed esportare verso gli Stati Uniti i
suoi dati personali senza il suo consenso.
SUD SUDAN, 8 OTTOBRE ↴
Il Presidente Salva Kiir ha annunciato l’emanazione di un decreto che frazionerà le
20 entità territoriali presenti nel Sud Sudan, creandone altre 18. Il decreto è stato
fortemente criticato sia dalla comunità internazionale – in particolare da Stati Uniti,
Regno Unito e Norvegia, i quali hanno invitato le autorità di Juba a sospendere tale
piano –, sia dai ribelli guidati dall’ex vice Presidente Riek Machar, con i quali il Parla-
mento sudsudanese ha ratificato un accordo di pace lo scorso 28 agosto. La fazione
ribelle ha affermato che la suddivisione del Paese in 28 stati avrà ripercussioni nega-
tive nell’implementazione dell’accordo di pace.
TUNISIA, 2-9 OTTOBRE ↴
Il Presidente tunisino Beji Caid Essebsi ha annunciato la revoca dello stato d’emer-
genza su tutto il territorio nazionale, introdotta lo scorso luglio dopo l’attentato ri-
vendicato dall’IS avvenuto a Sousse il 26 giugno scorso, nel quale morirono 38 per-
sone. Negli stessi giorni, è stato inoltre consegnato il Premio Nobel per la Pace 2015
17
al National Dialogue Quartet per il contributo decisivo nell’avviare un dialogo tra le
diverse forze politiche in vista di un più concreto e compiuto processo di transizione
democratica nel Paese, all’indomani delle rivolte di piazza del 2011.
18
ANALISI E COMMENTI
LA VIA DELLA SETA: DIFFICOLTÀ E PROSPETTIVE DEL RAPPORTO SINO-TURCO
FILIPPO URBINATI ↴
Alla fine del mese di luglio il Presidente della Repubblica turca Recep Tayiip Erdoğan
si è recato in visita a Pechino incontrando i più alti gradi della Repubblica popolare,
tra cui il presidente Xi Jinping. Al centro dei colloqui un accordo di cooperazione tra i
due Paesi sulla tematica dell’anti-terrorismo. Nonostante le parole di amicizia e vici-
nanza, Ankara e Pechino mantengono ancora notevoli punti di frizione che rendono
quantomeno complessa la ricerca di una partnership più stretta. Il primo complicato
nodo da sciogliere è quello che riguarda la popolazione degli uiguri, minoranza di
etnia turca, e musulmana, che abita la regione cinese dello Xinjiang. Il governo cinese
aveva lanciato durante l’anno passato un’intensa campagna anti-terrorismo nella re-
gione a seguito di una serie di attentati che Pechino aveva attribuito agli indipenden-
tisti uiguri (…) SEGUE >>>
VERSO UNA NUOVA STRATEGIA DELL’UE:
PROBLEMI E PROSPETTIVE DEL PARTENARIATO ORIENTALE DOPO RIGA
ANDREA LEVA ↴
All’ombra dei recenti mutamenti geopolitici sul continente europeo, si prospetta una
modifica sostanziale dei concetti cardine che hanno contraddistinto il Partenariato
Orientale sin dalle sue origini. L’iniziativa, sebbene ambisse a conferire maggiore
stabilità al continente europeo, ha palesato tutti i limiti di un progetto mirante prin-
cipalmente a garantire i progressi democratico-liberali dei partner minori. Lo sviluppo
del Partenariato, per un verso, non ha evitato lo scoppio di crisi e conflitti ai confini
dell’UE; dall’altro, ha fortemente inasprito le relazioni tra Bruxelles e Mosca. Una
ridefinizione della strategia europea, dunque, è divenuta necessaria per confrontarsi
con le effettive dinamiche geopolitiche del vicinato orientale. Il Partenariato Orien-
tale, a dire il vero, era stato promosso con l’intenzione di evitare lo sviluppo di nuove
divisioni in Europa. Le linee guida per la sicurezza dell’UE, tracciate dal Consiglio nel
2003, avevano ribadito l’importanza di un mondo di Stati democratici ben ammini-
strati (…) SEGUE >>>
SHANGHAI COOPERATION ORGANIZATION, TRA ALLARGAMENTO E NUOVI OBIETTIVI.
L’ORGANIZZAZIONE DI FRONTE AD UNA SVOLTA
OLEKSIY BONDARENKO ↴
Il summit annuale della Shanghai Cooperation Organization (SCO), che si è tenuto
dall’8 al 10 luglio scorso parallelamente alla riunione dei Paesi BRICS nella città russa
di Ufa, rappresenta per molti aspetti uno spartiacque nella vita dell’organizzazione.
Dopo anni di discussione interna e cavilli burocratici, è stato ufficialmente intrapreso
19
il percorso formale che porterà il gruppo ad assumere una nuova dimensione conti-
nentale accogliendo al suo interno due nuovi membri, India e Pakistan. La grande
novità di Ufa non è stata solo l’inizio del processo di adesione da parte di New Delhi
e Islamabad, che dovrà essere ratificato dai membri durante il prossimo summit-
2016 in Uzbekistan, ma anche l’ingresso di quattro nuovi partner di dialogo (Armenia,
Azerbaijan, Nepal e Cambogia) e la promozione della Bielorussia a Stato osservatore,
che gli permetterà di unirsi ad Afghanistan, Mongolia e Iran. Proprio la posizione di
Teheran, da anni desideroso di aderire in maniera permanente ai membri dell’orga-
nizzazione, sarà probabilmente il soggetto delle future discussioni in seno al forum
regionale (…) SEGUE >>>
LA RINNOVATA RIVALITÀ POLITICA FRA IRAN E TURCHIA
NEL MEDIO ORIENTE IN DIVENIRE
ALBERTO GASPARETTO ↴
Rivalità sul piano ideologico-politico e cooperazione nel settore energetico sono stati
due fra i principali tratti caratterizzanti delle relazioni fra Iran e Turchia, almeno
nell’ultimo trentennio. Ad un Iran proteso verso quelle aree del Medio Oriente abitate
per lo più da popolazioni aderenti alla variante sciita della religione islamica si è con-
trapposta una Turchia più incline a mantenere l’alleanza storica con la NATO senza
per questo recidere i rapporti con i gruppi sunniti e le minoranze turcofone della
regione. Con l’avvento al potere ad Ankara del gruppo politico filo-islamico dell’AK
Parti agli inizi dello scorso decennio, una visione geopolitica neo-ottomana (che pun-
tava a stringere maggiormente i legami con il mondo islamico) ha informato la nuova
strategia turca in Medio Oriente, inasprendo, sempre dal punto di vista ideologico-
politico, quelle differenze con Teheran tuttora presenti. Il teatro iracheno è stato
l’emblema della competizione geopolitica fra le due potenze regionali fin dalla guerra
del 2003 (…) SEGUE >>>
A cura di
OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE
Ente di ricerca di
“BLOGLOBAL-LO SGUARDO SUL MONDO”
Associazione culturale per la promozione della conoscenza della politica internazionale
C.F. 98099880787
www.bloglobal.net