Alias supplemento del Manifesto 05/11/2012

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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 29 OTTOBRE 2011 ANNO 14 - N. 41 LE EVASIONI CELEBRI DELLA STORIA, DA CASANOVA A DILLINGER. «IN UN PAESE IL CUI GOVERNO IMPRIGIONA INGIUSTAMENTE - SCRIVEVA THOREAU - IL VERO POSTO DEL GIUSTO È LA PRIGIONE». PERCHÉ IL GRADO DI CIVILIZZAZIONE DI UNA SOCIETÀ CHE CONCEPISCE CERTE GALERE PUÒ ESSERE GIUDICATO SOLO USCENDO DALLE QUESTE SUE PRIGIONI. EVADENDO. L’arte L’arte della fuga della fuga SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 5 NOVEMBRE 2011 ANNO 14 • N. 42 ULTRAVISTA: BATMAN, IL VIDEOGIOCO OLIVETTI CONTRO FIAT, GRAPHIC NOVEL ULTRASUONI: I VIOLENTI DEL POP LA NASCITA DELLO SCOPITONE TALPALIBRI: RICH EUGENIDES BELLI M. SACHS BASSANI WEISS DEBENEDETTI MORREALE

Transcript of Alias supplemento del Manifesto 05/11/2012

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»SABATO 29 OTTOBRE 2011 ANNO 14 - N. 41

LE EVASIONI CELEBRI DELLA STORIA,

DA CASANOVA A DILLINGER. «IN UN PAESE IL CUI

GOVERNO IMPRIGIONA INGIUSTAMENTE - SCRIVEVA

THOREAU - IL VERO POSTO DEL GIUSTO È LA PRIGIONE».

PERCHÉ IL GRADODI CIVILIZZAZIONE

DI UNA SOCIETÀ CHE CONCEPISCE CERTE GALERE

PUÒ ESSERE GIUDICATO SOLO USCENDO DALLE QUESTE

SUE PRIGIONI. EVADENDO.

L’arteL’arte della fuga della fuga

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»

SABATO 5 NOVEMBRE 2011 ANNO 14 • N. 42

ULTRAVISTA: BATMAN, I L V IDEOG IOCO • OLIVETTI CONTRO FIAT, GRAPH IC NOVEL • ULTRASUONI: I V IOLENTI DEL POP • LA NASCITA DELLO SCOP ITONE • TALPALIBRI: R ICH • EUGEN IDES • BELLI • M. SACHS • BASSAN I • WEISS • DEBENEDETTI • MORREALE

di Lanfranco Caminiti*

Nel giugno del 1942 Vr-ba era stato mandato a Auschwitz I.Il suo primo lavoro fu aiutare a sca-vare fosse per i corpi che dovevanoessere bruciati. Poi, passò a quelloche nello slang del campo era nomi-nato «Canada», una fila di baracchedove ogni oggetto di valore trovatoaddosso ai prigionieri veniva ricon-fezionato e spedito in Germania. Al«Canada» c’era anche cibo, vestiti,medicine, scarpe e coperte. Per i pri-gionieri, un paradiso.

L’altro, Wetzler, a Trnava c’eranato, nel 1918, ed era un operaio.Si conoscevano e si fidavano l’unodell’altro.

«Sai di quelle assi che i polacchi stanno impilando per il nuovo campoche devono costruire?», chiese Fred. Rudolf annuì. Servivano per BirkenauTre e sarebbe stato parallelo a Birkenau Due, per fare posto alla marea di un-gheresi in arrivo. Lui aveva visto che stavano posando anche nuovi binari.

«Devono aver corrotto qualche kapò per impilarle in modo che rimangauna cavità all’interno». All’improvviso, Vrba concepì il piano di fuga. Le tavo-le stavano nel campo esterno, e di notte erano completamente incustoditedato che tutti i prigionieri erano nell’area interna, al di qua del filo spinatoad alto voltaggio e delle torrette. Se ce l’avessero fatta a rimanere nascostiper tre giorni, mentre tutte le guardie erano mobilitate e il luogo era statoperquisito, potevano avere una possibilità.

Alla fine dei tre giorni si poteva ra-gionevolmente pensare che ormaierano lontani da Auschwitz e la cac-cia ai fuggiaschi passava di mano.L’allarme nell’intero campo sareb-be stato ritirato e loro avrebbero so-lo dovuto aspettare la notte per sci-volare via oltre le torrette esterne,che non erano piantonate.

Decisero di fuggire. Si accordaro-no. Era il momento.

Adesso, potevano vedere le cata-ste di legna e i polacchi sulla sommi-tà, che sembravano lavorare. Nessu-no disse una parola. I polacchi spo-starono le assi e fecero loro un im-percettibile segno. Per un attimo,Rudolf e Fred esitarono. Sapevanoche una volta infilati là sotto, non po-tevano più tornare indietro. Insiemesalirono velocemente sulla pila e sci-volarono nello spazio. Le tavole ven-nero spostate sulla loro testa. I polac-chi sparsero intorno del tabacco im-bevuto di gasolio, per depistare i ca-ni, un trucco che avevano imparatodai prigionieri di guerra russi.

I movimenti del campo – movi-menti che intuivano entrambi – arri-vavano debolmente nel loro buco,come rumori alla deriva, e in qual-che modo tutto sembrava lontanonel tempo. La sirena di allarme fecea pezzi i loro pensieri, disperdendo-li, polverizzandoli, sbattendo via lapaura, spazzando il loro buco pienodi depressione, spingendo la sfidadentro fin dentro il cuore e lo spiri-to. Scarponi si trascinavano sulle ta-vole sopra di loro, mandando loroaddosso una piccola pioggia di sab-bia. L’andirivieni degli uomini solle-vava polvere e si coprirono il nasoper non starnutire. Ancora scarponie respiri affannosi di uomini. Poi, icani, che sbuffavano, ansimavano,

raschiavano le tavole con le lorozampe, scivolando e ricominciando.

Rudolf aveva tirato fuori un coltel-lo, e poteva vedere la faccia di Fredstorpiata in un ghigno di una tensio-ne fortissima. Poi i rumori si affievoli-rono. Lentamente, il silenzio riempìil loro nascondiglio, un silenzio cheportava uno strano senso di sicurez-za. Avevano vinto il primo round.

Il secondo giorno fu cruciale. Lanotte non aveva portato sollievo. Leguardie avevano continuato a fare sue giù per il campo e fu soltanto all’al-ba che la pressione sembrò allentar-si un po’. «Ancora un giorno e mez-zo», disse Fred. «Non dovrebbe an-darci male. Per allora, si saranno con-vinti che siamo miglia lontani daqui». Alle due di quel pomeriggio,sentirono due tedeschi parlare vici-no al loro nascondiglio. Uno diceva:«Non devono essere scappati. Saran-no ancora nel campo». Per un po’snocciolarono strane ipotesi su dovesi potessero essere nascosti i fuggiti-

vi, finché uno dei due disse: «Otto… che ne pensi delle cataste di legname?Pensi che potrebbero nascondersi sotto una di queste? Forse sono riusciti a far-si un buco all’interno o qualcosa di simile».

Li sentirono scalare la catasta di legna e impugnarono i coltelli. Quei duesollevarono un’asse e la sistemarono di lato, poi una seconda, una terza, unquarta. Solo una decina di centimetri separava adesso i due fuggiaschi dalnemico. Non respiravano neppure. Improvvisamente, ci fu uno schiamazzodall’altro lato del campo. Dal nascondiglio si potevano sentire urla sovrecci-tate e un veloce accorrere di uomini. I due tedeschi sopra di loro rimasero insilenzio, senza muoversi. Quindi, Otto disse: «Li hanno presi, andiamo, pre-sto». Scivolarono dalla catasta e si precipitarono per rispondere al falso allar-me che aveva salvato la pelle ai due fuggitivi.

Le altre ventiquattro ore passarono abbastanza tranquille. La caccia conti-nuava, ma c’era meno lena. Le ore scivolavano via e la loro tensione aumen-tava, aspettando il momento in cui si sarebbero mossi, quando il cordoneesterno sarebbe stato tolto. Sbuffando, sudando, sforzandosi, usarono ognigrammo della loro forza. Lentamente, quasi impercettibilmente, comincia-rono a sollevare le assi. Le spostavano lateralmente.

Di colpo, poterono vedere le stelle sopra di loro, in un cielo nero, freddo,senza luna. Per la prima volta, Rudolf e Alfred guardavano Auschwitz dall’ester-

no, vedendolo come potevano veder-lo le vittime che arrivavano. I fari di-pingevano un alone giallo nell’oscuri-tà, dando all’intera zona un’aura mi-steriosa, quasi fantastica. Loro, però,sapevano che si trattava di una orribi-le bellezza, che in quelle baracche lagente veniva uccisa, la gente morivadi fame, la gente era disposta a tuttoper sopravvivere, e l’assassinio regna-va sovrano su ogni angolo. Giraronole spalle al campo, scivolarono ade-rendo il più possibile al terreno e co-

■ LIBRI ■ LE EVASIONI DIVENTATE STORIA ■

1942, fugada Auschwitz

«A una cinquantina di metri, su una

collina di fronte c’era una pattuglia

tedesca con i loro cani. Si misero

a correre, affondando nella neve.

Se fossero riusciti a raggiungere

la sommità e passare dall’altra parte,

scomparendo alla vista, avrebbero

avuto una possibilità..»

Dal 5 novembre in libreria «Fuga dal carcere» a curadi Lanfranco Caminiti (DeriveApprodi) con le evasioni

di Casanova, Cagliostro, Libby Prison (1864),Mesrine, Vallanzasca, Vrba, Dillinger, dallo Stalag Luft III

(«La grande fuga»), Billy Hayes, Prima Linea,la non fuga di Bill Goldfinch e Jack Best, Morris

e gli Anglin (Alcatraz), Seamus Twomey, i 38 dell’Ira, LincolnBurrows e Michael Scofield...

2) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

Il ManifestoDIRETTORE RESPONSABILENorma RangeriVICEDIRETTOREAngelo Mastrandrea

AliasA CURA DIRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Federico De Melis,Roberto Andreotti(Talpalibri)ConMassimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

REDAZIONEvia A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAfax 0668719573ULTRASUONIfax 0668719573TALPA LIBRItel. 0668719549e [email protected]:http://www.ilmanifesto.it

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minciarono a strisciare lentamente,muovendosi con estrema attenzio-ne, allontanandosi poco a poco dalletorrette e addentrandosi nel bosco dibetulle con i suoi vecchi pozzi di fuo-co che avevano dato il nome al po-sto, Birkenau. Non osavano sollevar-si e continuavano a avanzare sullapancia, aggrappandosi a ogni cavità,ogni avvallamento, ogni piccolo fos-so che trovavano. In linea d’aria, ilconfine polacco era a circa 130 chilo-metri. Sfortunatamente loro eranoebrei e non uccelli, il che significavache dovevano camminare. E la stra-da che dovevano percorrere era interritorio pericoloso.

Mentre stavano sdraiati a occhichiusi sul fianco di una collina, sisentì un colpo di fucile e un proietti-le fischiò sopra le loro teste. In unistante furono in piedi. A una cin-quantina di metri, su una collina difronte la loro c’era una pattuglia tedesca con i lo-ro cani. Si misero a correre, affondando nella ne-ve. Se fossero riusciti a raggiungere la sommità epassare dall’altra parte, scomparendo alla vista,avrebbero avuto una possibilità. Dovevano copri-re quella distanza sotto il tiro dei tedeschi.

Wetzler era davanti, e riuscì a raggiungere unlargo masso e mettersi dietro. Vrba lo seguiva, in-ciampò, cadde. Il masso era a soli pochi metri dalui, ma era come se ci fosse stato un milione di

chilometri in mezzo, perché i proiet-tili gli ronzavano intorno e andava-no a scheggiare le pietre.

«Andiamo!», gridò Fred. «Versogli alberi». A metà della collina difronte c’era un boschetto. E sul fon-do della valle scorreva un piccoloimpetuoso torrente. Si diressero ver-so quello, spinti dall’abbaiare dei ca-ni. S’immersero nell’acqua gelida elottarono per raggiungere la riva. Ilmorso del gelo gli entrò nel midol-lo. Il flusso dell’acqua trascinava ivestiti pesanti. Alla fine ce la fecero,tirandosi sul bordo ghiacciato e cor-rendo verso gli alberi, con la neveche arrivava ai fianchi. Raggiunserogli alberi prima che i tedeschi affron-tassero la discesa e ora il vantaggioera dalla loro parte. I cani non sape-vano come superare il torrente e ilritardo dava ancora vantaggio ai fug-gitivi. Zigzagarono fra gli abeti fin-ché non sentirono più il latrato deicani e si lasciarono scivolare esaustiin una fossa piena di arbusti e felci.

Dopo quei minuti di terrore, deci-sero di andare avanti il più veloce-mente possibile, certi che presto sa-rebbero stati fuori dal confine polac-co. La libertà, comunque, non eratutto. Non era la prima ragione del-la loro fuga. Avrebbero dovuto entra-re in contatto con i comitati ebreicon cui i tedeschi programmavanole deportazioni. Significava entrarein città senza documenti, trovare gliindirizzi giusti, rivelarsi. Probabil-mente sarebbe stato più saggio re-stare nella foresta, raggiungere i par-tigiani, combattere con loro; tuttoquesto avrebbe dovuto però aspetta-re ancora: avevano un compito dasvolgere. La rapidità adesso era vita-

le. Sapevano che non sarebbe passa-to troppo tempo prima che carichidi ungheresi iniziassero il loro tristeviaggio verso Auschwitz. Un conta-dino che lavorava in un campo siraddrizzò e stette a guardarli men-tre si avvicinavano. I due fuggiaschi,che ora erano in territorio amico, de-cisero che potevano fidarsi di lui.

«Dove siamo?», gli chiesero - «Vici-no al villaggio di Skalite. Non lontanodalla città di Cadca», rispose il conta-dino. «Abbiamo bisogno di aiuto.Dobbiamo arrivare a Cadca», gli dis-sero Rudolf e Fred. Il contadino cono-sceva un dottore ebreo, il dottor Pol-lak. Li avrebbe guidati fino a lui. Unavolta a Cadca, arrivarono a una gran-de costruzione dove il dottore avevail suo studio. E si bloccarono. All’in-gresso principale stazionavano duesoldati dell’esercito slovacco, di fattonelle mani dei nazisti. In realtà, era-no proprio davanti il quartier genera-le dell’esercito slovacco, dove il dotto-re aveva una stanza per le visite.

«Al diavolo», bofonchiò Fred. «Nonpossiamo essere malati come chiun-

que altro?» La sentinella non li degnòdi uno sguardo mentre gli passaronodavanti. Pochi minuti dopo, erano en-trambi seduti in una stanza antisetti-ca, raccontando la loro storia al dottorPollak. Lui ascoltò attentamente, poidisse: «Stanotte, dormirete da me. Do-mani, vi porterò dai leader della co-munità di Zilina. Loro sapranno qualè la cosa migliore da fare».

Il giorno dopo, Rudolf e Fred sor-seggiavano sherry alla sede centraledel Consiglio ebraico, e raccontavanodi nuovo la loro storia, ora al dottorOscar Neumann, portavoce di tuttigli ebrei slovacchi. Vrba e Wetzlerguardarono negli occhi gli uomini in-torno al tavolo e ebbero una terribilesensazione: che non credessero auna sola parola del loro racconto. Per-ché avrebbero dovuto, dopotutto? Co-me avrebbero potuto? Nessuna men-te riusciva ancora a immaginare l’as-sassinio di massa sulla scala di Au-schwitz. Continuarono a parlare.

Il rapporto Vrba-Wetzler è un do-cumento di 32 pagine meglio notocome Auschwitz Protocols, anche se

in realtà i Protocolli contengono tre documenti dicui quello scritto da Vrba e Wetzler è solo uno. Fuscritto a mano, dettato in slovacco e battuto a mac-china tra il 25 e il 27 aprile. Vrba e Wetzler furonomessi in due stanze diverse e fu chiesto loro di ini-ziare a scrivere i loro racconti. Il rapporto fu scrittoe riscritto più volte. (...) Tre settimane prima dellafuga di Vrba, l’esercito tedesco aveva invaso l’Un-gheria, alleata della Germania, e un ufficiale delleSS, Adolf Eichmann, era arrivato a Budapest persovrintendere le deportazioni a Auschwitz. I tra-sporti cominciarono il 15 maggio del 1944, a un rit-mo di circa diecimila persone al giorno. Alcuni det-tagli del rapporto per allertare il mondo su quello

che davvero stesse accadendo a Au-schwitz furono trasmessi per radioin ceco e slovacco dalla Bbc e diversigiorni più tardi furono pubblicati dalNew York Times, spingendo alcunileader mondiali a intimare al reggen-te ungherese Miklós Horthy a ferma-re le deportazioni, altrimenti consi-derandolo responsabile in primapersona alla fine della guerra. Il 7 lu-glio del 1944 Horthy sospese le de-portazioni. 437.000 ebrei ungheresifurono mandati a Auschwitz tra il 15maggio e il 7 luglio del 1944, quandole deportazioni cessarono. Con ogniprobabilità, se ne salvarono 200mila,che non salirono su quei treni blin-dati. Grazie anche alla fuga di Vrba eWetzler. Dopo aver redatto il rappor-to, Vrba si fermò a Bratislava. Nel-l’agosto del 1944 l’esercito slovaccoinsorse contro i tedeschi. Vrba rag-giunse un’unità partigiana nel set-tembre e combatté come mitraglie-re. Si conquistò una medaglia per ilcoraggio in battaglia.

*tratto dal libro «La fuga dal carcere»(DeriveApprodi)

CONTRO IL CARCERE

Come smantellare ogni galeradi Lanfranco Caminiti *

Non c’è detenuto di qualsiasi prigione del mondo che nonsogni gli capiti come a Pietro di Alife, che venga san Francesco a scio-gliergli i ceppi e aprirgli le porte verso la libertà. I miracoli, però, non suc-cedono mai ai detenuti o accadono di rado. E per evadere, come dice Re-nato Vallanzasca, «ci vogliono almeno cinque minuti», cioè ci voglionoorganizzazione, amici fuori che ti sostengono prima e dopo, complici, ar-mi, strutture, soldi, corruzione, tutto un ambaradam che non metti inpiedi in cinque minuti e dove non basta il fegato o il culo. Io lo so. Ci hoprovato anch’io nei miei anni di carcere. Da solo. Senza successo. A Na-poli, a Poggioreale, m’avevano sbattuto al padiglione San Paolo, che fun-zionava da ospedale interno, dopo un lunghissimo sciopero della fameper evitare di finire negli speciali (dove, invece, dopo un primo accomo-damento, dalla Chiesa ci spedì) che m’aveva ridotto uno scheletro; e lìc’era una maggiore libertà di movimento. Quasi tutti ci stavano per moti-vi che poco avevano attinenza con le malattie, erano dei privilegiati oper motivi propri o per motivi graditi alla direzione del carcere. Il padi-glione era a ridosso del portone di accesso di Poggioreale. Una posizio-ne strategica. Da una finestra con le inferriate vedevo proprio il portone,un pezzo di camminamento e la garitta delle guardie. Non era impossibi-le arrivarci. E avrei potuto fare tutto da solo. O quasi. Però, a Napoli, unavolta scappato, potevo contare su appoggi esterni, mi avrebbero nasco-sto e protetto, per il periodo necessario. E questo, dove andare subito do-po l’evasione, è proprio un elemento fondamentale, che devi program-

mare prima. Cominciai a muover-mi su e giù nel padiglione, conprudenza ma forse troppo, e ebbila sventatezza – ero ancora frescodi galera – di parlarne con qualcu-no. Mi spedirono negli speciali inquattro e quattr’otto. Ancora a Na-poli anni dopo, di passaggio perun processo in una sorta di specia-lino, da fuori erano riusciti a farmientrare una lima nascosta in unblocco notes, sottilissima ma effi-cientissima, professionale. Non sa-pevo bene dove era meglio sega-re, dove sarei finito uscito dallacella, però da dove stavo io si rag-giungevano dei tetti e magari dalì... Cominciai a provarci, senza ta-gliare a fondo le sbarre perché lesbattevano ai turni di controllo.Funzionava. Avevo poco tempo,perché il processo sarebbe duratopoco. Ero indeciso se provarci su-bito o tenermi l’occasione perun’altra volta, organizzandola me-glio, magari non da solo. L’incer-tezza mi fregò. Fui rispedito neglispeciali, d’improvviso e di notte enon potei portarmi dietro la limache avevo nascosto nel bagno per-ché furono le guardie della squa-dretta a mettere assieme le mie co-se – facevano così: arrivavano insette, otto e ti prendevano co-m’eri nel letto e ti impacchettava-no senza il tempo di dire bah. Ionon ci tornai più là e non l’ho maidetto a nessuno. Magari è ancoralà, quella lima.

* Pubblichiamo parte dell’introduzione«Abolire il carcere» da La fuga dal

Carcere - Le evasioni diventate Storia.Volume I. In attesa della Timothy Leary....

Le foto in alto, su vari congegnidi fuga, sono tratte dalla mostra «The other view»,il muro di Berlino visto da est. La mostra,nel cinquanterario della costruzione del muro,dopo Berlino, raggiungerà Aix en Provence(dal 20 gennaio 2012) e Lublino, nella primavera2012. In basso, da sinistra, guardie Ddrportano via un fuggitivo catturato; la copertinadel libro «Fuga dal carcere»; ottobre 1961,fuga dal muro. In mezzo Alfred Wetzer,Rudolf Vrba, il piano di fuga e il reticolodi Auschwitz scavalcato

In copertinaun immagine trattadal catalagodella mostra«Aus anderer sicht -The other view»

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (3

di Federico Ercole

Isupereroi dei fumetti non so-no superuomini come li intese Frie-drich Nietzsche ma uomini qualun-que che, usufruendo di poteri che lipongono oltre i limiti delle facoltàumane, decidono di compiere attieroici a tutela della propria specie,assurgendo a simbolo di grandezzamorale e eroismo. Ci sono alcuneeccezioni, come gli instabili e soffe-renti mutanti di X-Men, prodigi de-vianti dell’evoluzione, o Supermanche, come spiegò Bill a Beatrix Kid-do nel finale di Kill Bill 2 di Taranti-no, è un Superuomo a priori e «lasua identità segreta, la sua masche-ra, è quella dell’uomo».

Sarebbe stato interessante ascol-tare l’assassino esperto di fumetti in-terpretato da David Carradine (sesolo la mossa letale di Beatrix gliavesse lasciato più tempo per viveree parlare) esprimersi con la stessa il-luminata dialettica sull’altro grandeprotagonista degli albi della DC Co-mics: Batman. Batman non ha nes-sun superpotere e di fatto non è unsupereroe ma ha a disposizione i mi-liardi ereditati dalla sua famiglia,pratica con la perizia di un ninja learti marziali, possiede abilità circen-si da acrobata ed è dotato di un ta-lento speculativo e creativo dascienziato che gli permette di crea-re utili tecnologie. Inoltre l’uomo pi-pistrello è vicino alla mitologia noirdegli anni ’40 e si affida all’indagineper risolvere i suoi casi, è un detecti-ve mascherato.

Se si vuole davvero capire chi è

Batman bisogna entrare nella suapsiche, illuderci di muoversi con ilsuo corpo, vedere la realtà comeegli la vede; un po’ come investiga-tori, o meglio profiler, psicologi e de-tective insieme. E non c’è mezzo mi-gliore della simulazione virtuale of-fertaci dai videogame, che ci con-sentono di essere Batman, soprattut-to quando si tratta di un gioco realiz-zato ad arte, in grado di trasformar-ci nel cavaliere oscuro dopo nean-che un minuto.

Batman Arkham City, appenauscito per PS3, XBox360 e prestoper PC, è il seguito ancora più effica-ce e profondo di Arkham Asylum,capolavoro del 2009. Lo scenario èquello tetro fino all’esasperazioneiperbolica di una città recintata e ri-dotta a manicomio criminale dovela neve cade spettrale senza posarsie la luna, gigantesca, non cala mai,riempiendo il cielo nero come l’oc-chio sbarrato di un cadavere. Un in-treccio che rimanda, quasi come sefosse un intelligente remake o unadichiarazione d’amore, a 1997 Fugada New York di John Carpenter echi lo gioca si accorgerà che le simili-tudini non si fermano sulla superfi-cie e non sono solo una corrispon-denza ambientale.

Muoviamo i nostri primi passinell’inferno urbano di questa goticacittà-prigione, dalle architettureespressioniste che ricordano quelledi Batman Returns di Tim Burton, eabbiamo le mani legate: non siamoBatman ma il suo alter-ego, Bruce

Wayne, arrestato con un pretesto.Questo è il primo livello dell’identifi-cazione con l’eroe e l’idea di farcigiocare anche con la sua fragilità èun’intuizione geniale degli sviluppa-tori di Rocksteady perché nel mo-mento in cui indossiamo la masche-ra siamo prima stati l’uomo dietrodi essa. Quando iniziamo a muover-ci nei panni nero-grigi del pipistrel-lo il mondo acquista un’altra pro-spettiva ma è con naturalezza checi impadroniamo delle abilità di Bat-man perché possiamo anche non af-frettarci verso il prossimo obiettivoma iniziare ad esplorare e testare lanostre nuove facoltà.

Arkham City deve essere giocatocon lentezza. Viaggiare negli anfrat-ti più bui, più misteriosi, più sotter-ranei di questa folle città, anchequando non è necessario per prose-guire nella trama principale del vi-deogame, premia il giocatore conincontri fantastici e momenti di gio-co che sarebbe davvero un peccatoperdere, nella fretta di giungere allaconclusione. Come quando si vola,si plana e ci si appende al bat-ram-pino per raggiungere un telefonopubblico che squilla: se non arrivia-mo in tempo il serial killer VictorZsasz ucciderà un innocente. È unacorsa contro il tempo da un appa-recchio all’altro e quando sentiamoi trilli minacciosi del telefono ci ac-corgiamo di vivere in un altroomaggio alla storia del cinema, unacitazione da Dirty Harry di Don Sie-gel, quando l’ispettore Callaghancorre nella notte per rispondere al-

le chiamate dell’omicida.Gli avversari di Batman sono spa-

ventosi e ognuno di essi è fornito diun proprio esercito personale di ma-niaci: Two-Faces, l’ex procuratorecon mezza faccia sciolta dall’acido econ l’ossessione per la dualità; il Pin-guino, con il fondo di una bottiglia in-castrato nella carne a guisa di mono-colo. C’è ovviamente Joker, la neme-si per eccellenza di Batman, che nel-la versione originale del gioco è dop-piato da Mark-Luke Skywalker-Ham-mill che gli dona un perfido e dolen-te senso di grandezza tragica. Ci so-no altri arci-nemici e personaggi sto-rici della serie ma è bello scoprirlimentre si gioca, provare il senso disorpresa, lo stesso che prova Bat-man, quando ci si imbatte in loro.

Possiamo anche abbandonarel’uomo pipistrello per trasformarcinella donna-gatto, Cat-Woman,peccato che per giocare i suoi livellidobbiamo scaricare un codice onli-ne, che ha dato problemi un po’ovunque, e non siano già inseritidentro la storia. Oltretutto chi com-pra il gioco usato è costretto ad ac-quistarli o a rinunciare ad un espe-rienza di gioco diversa e sensuale.

Le azioni a disposizione del gioca-tore sono diverse e variano a secon-da della propria soggettività ma èdifficile che si respiri un senso di ri-petizione, questo perché ci sonomomenti d’azione convulsa, di stasie riflessione enigmatica, di infiltra-zione tesissima in cui ci nascondia-mo per prendere alle spalle un ne-mico alla volta e in cui la nostra vul-

nerabilità ai colpi d’arma da fuocopuò risultare fatale. Per tutto il gio-co porteremo le ferite su di noi, per-ché la tuta di Batman non si «aggiu-sta» e alla fine sarà piena di squarcie bruciature, vere e proprie cicatriciche ribadiscono ancora una voltal’umanità del personaggio e ci ricor-dano i nostri errori.

Batman Arkham City è un giococupo e violento, dalle atmosfereche tendono a scivolare verso unadimensione più horror che dark,un’avventura che non esclude la di-sperazione, la malinconia, la tristez-za e il dolore. Un’epopea che ci par-la del caos del nostro mondo e dallafollia che lo domina. Tuttavia nontutto è tenebra e orrore perchél’aspetto drammatico più affasci-nante e luminoso della storia virtua-le di Arkham City sta nell’accentoposto dagli autori al fatto che Bat-man ripudia totalmente l’omicidio,anche quello dello squilibrato piùorrendo. Solo nei primissimi episo-di anni ’30 del fumetto Batman ucci-deva, ma Bob Kane, il suo creatore,cambiò presto e drasticamente l’at-teggiamento dell’eroe.

Nemmeno al cinema si era vistatanta enfasi nel ribadire questopunto: Batman non condanna amorte nessuno, preferisce sacrifica-re se stesso. È una cosa notevole,soprattutto in un videogioco doveal contrario si sarebbe potuta ac-centuare la violenza sanguinaria, ola brama vendicativa dell’eroe.L’eroismo di Batman, ciò che lorende super, è la sua pietà.

LA KRYPTONITENELLA BORSADI IVAN COTRONEO, CON LUCA ZINGARETTI E

VALERIA GOLINO. ITALIA 2011.

0Peppino ha 7 anni e vive nellaNapoli del 1973. La sua vitacambia quando la madre en-

tra in depressione, avendo scoperto itradimenti del marito, e lo affida agli ziiventenni. Da questo momento Peppinoconosce un mondo nuovo, tra le festeimprovvisate negli scantinati e collettivifemministi, ma anche contrabbandieri,droghe e alcol.

IL DOMANI CHE VERRÀDI STUART BEATTIE, CON RACHEL HURD-WOOD E

LINCOLN LEWIS.USA 2011

0Film tratto dal primo librodella saga di John Marsden.Otto amici di scuola vivono in

un paese rurale, fino a quando la lorotranquillità viene spezzata da un’improvvi-sa invasione militare. Costretti ad allonta-narsi da amici e familiari, i ragazzi dovran-no combattere contro le forze nemicheper sopravvivere.

SEX LIST (WHAT’S YOURNUMBER?)DI MARK MYLOD; CON ANNA FARIS E CHRIS EVANS.

USA 2011

0Un giorno Delilah legge un’in-chiesta: una donna americanaha in media allacciato 6 rela-

zioni con altrettanti uomini, prima delmatrimonio. Lei è a quota diciannove, edè single. Delilah decide di trovare il vente-simo uomo, che dovrà essere anche l’ulti-mo. Le cose però non andranno comeprevisto, e la ragazza decide di ricontatta-re tutti i suoi ex per capire se in passatoha scartato il suo principe azzurro.

I SOLITI IDIOTIDI ENRICO LANDO; CON FRANCESCO

MANDELLI,FABRIZIO BIGGIO,. ITALIA 2011

0Dalla famosa sit-com «i solitiidioti» trasmessa su Mtv edalla successiva tournée tea-

trale ora anche il film. Gianluca, ragazzodall’animo sensibile e rispettoso delleleggi, decide di sposarsi con Fabiana, mail padre di Gianluca, Ruggero De Ceglie,uomo sprezzante e disonesto, pensa chenon si debba sposare perché deve anco-ra conoscere la vita vera e per colpa suasi ritrovano in mille situazioni rocambole-sche e pericolose.

SEGUE A PAG 6

■ VIDEO GAME ■ BATMAN ARKHAM CITY, PER PS3 E XBOX360 ■

Batman nontocca Caino

Il gioco è cupo e violento, le atmosfere tendono a scivolare

verso una dimensione più horror che dark. L’epopea ci parla

del caos del nostro mondo e dalla follia che lo domina.

Tuttavia Batman non uccide mai ed è contro la pena di morte

Immagini del videogame «BatmanArkham City» per PS3, XBox360

e presto per PC, sequel di «ArkhamAsylum», capolavoro del 2009

LETALE

INSOSTENIBILE

RIVOLTANTE

SOPORIFERO

CLASSICO

BELLO

COSI’ COSI’

CULT

MAGICO

4) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

■ GRAPHIC NOVEL ■ OLIVETTI, UN SECOLO TROPPO PRESTO■

Un sogno diventato progettoLuciano Del Sette

Cliccando su GoogleMaps per calcolare la distanza daTorino a Ivrea, il quesito trova rispo-sta in 52,7 chilometri. Identica rispo-sta avrebbe dato una mappa su car-ta degli anni ’50 del secolo scorso.Ma la Torino della Fiat e l’Ivrea del-la Olivetti, erano, in quegli anni ’50,assai più lontane della semplice di-stanza fisica. Il ruolo dell’industria-le, il rapporto e il confronto del «pa-drone» con operai e impiegati den-tro e fuori la fabbrica, l’idea stessadi fabbrica, rappresentavano perVittorio Valletta, dal 1946 al 1966presidente della Fiat, e per AdrianoOlivetti, che dal 1930 alla sua morte,il 27 febbraio 1960, guiderà l’azien-da fondata dal padre, due concettiesattamente agli antipodi. Il pugnodi ferro di Valletta nei confronti de-gli allora settantamila occupati allepresse e dentro gli uffici, risultavatanto più brutale se confrontatocon quanto Olivetti andava co-struendo nella propria realtà di im-prenditore. Al sogno di una vita nuo-va, inseguito da decine di migliaiadi emigranti dal Sud della penisola,il presidente di Mirafiori e del Lin-gotto rispondeva con turni di lavorodurissimi, capi reparto asserviti,controlli spietati di tempi e modi diproduzione. Nella cittadina diIvrea, Adriano aveva già conferitomateria a quella che molti imprendi-tori non solo piemontesi relegava-no nel reparto utopie. Diceva «Spes-so il termine utopia è la manierapiù comoda per liquidare quelloche non si ha voglia, capacità o co-raggio di fare... Un sogno sembraun sogno fino a quando non si co-mincia da qualche parte... Solo allo-ra diventa un proposito, cioè qual-cosa di infinitamente più grande».Sulle spalle, questo figlio di padreebreo e madre valdese (forse, pro-prio la storia tragica di queste dueminoranze, sarà impulso all’atten-zione verso i più deboli) portava unpassato di politica nel nome del so-cialismo; un lungo soggiorno inAmerica, con la visita di oltre centofabbriche; il carcere di Regina Coelia Roma, nel 1943, per «intelligenzacon il nemico»; la fuga in Svizzeraun anno dopo, e la scrittura de L’or-dine politico delle Comunità; la fon-dazione delle Nuove Edizioni diIvrea (1941) e, nel 1946, delle Edizio-ni Comunità.

Sul versante imprenditoriale, Oli-vetti, dopo aver rilevato il ruolo pa-

terno, aveva accostato, alla produzione di macchine da calcolo, quella dellemacchine per scrivere, prima la portatile MP1. Proprio la MP1 segna la nasci-ta del cosiddetto «Stile Olivetti». Adriano concretizza l’idea di un rapporto di-verso tra operaio e padrone. Lo fa con i mezzi di trasporto gratuiti per anda-re al lavoro, l’assistenza sanitaria, i nove mesi di permesso retribuito in ma-ternità (contro i due della legge), un salario superiore del venti per cento aquello contrattuale; con la costruzione di asili, mense e biblioteche dentro lafabbrica, di quartieri abitativi. Diceva «Se teorizzo qualcosa di irrealizzabile,incontrerò sicuramente consenso in qualche salotto. Se vado oltre, spiegan-do come realizzarlo tecnicamente, nel dettaglio, rischio di rendermi imme-diatamente ridicolo. Se poi lo realizzo, quel qualcosa, vengo trattato con osti-

lità». Imprenditore e intellettuale,uomo che deve guardare al profittoe uomo che non vuole sacrificare alprofitto la vita di chi lo produce: sa-rà questa felice duplicità a guidare ilpensiero di Olivetti fino alla mortesolitaria, su un treno; sarà questa fe-lice duplicità a portarlo ad accusaregli industriali del dopoguerra diaver approfittato degli aiuti del Pia-no Marshall «Per rafforzare burocra-zie e monopoli, che avevano creatoo accettato il fascismo», e «di perse-guire la fallace e limitata logica delmassimo profitto». Nell’arco di undecennio, dal 1948, la Olivetti assur-ge al ruolo di azienda internaziona-le. Prima la calcolatrice Divisum-ma, poi la macchina per scrivereLettera 22 proiettano la fabbrica diIvrea ai vertici del mercato. Al suc-cesso contribuiscono la grafica deimanifesti pubblicitari, il design deiprodotti, l’architettura a misurad’uomo delle nuove fabbriche. Econtribuiscono coloro che Adrianoha scelto per guidare settori nevral-

gici della sua impresa: gli scrittoriPaolo Volponi e Ottero Ottieri sonorispettivamente capo e responsabi-le del personale, il poeta Franco For-tini dirige il settore pubblicità. Leiniziative culturali vedono parteci-pare Moravia, Pasolini, De Sica, Gas-sman, De Filippo, Chagall. Nel1954, ovvio sbocco sul cammino diun uomo capace di guardare cosìlontano, inizia l’avventura nell’elet-tronica. La guida il ricercatore italocinese Mario Tchou (morirà in unincidente stradale il 9 novembre del1961), si concretizza negli stabili-menti di Pozzuoli e nel quartiereabitativo Ina – Olivetti, si ampliacon l’acquisto della malandataazienda americana di metalmecca-nica Underwood e della sua retecommerciale, si esprime con il pri-mato di realtà più avanzata nel set-tore della ricerca elettronica. Lascomparsa di Adriano lascia un per-corso incompiuto e ancora econo-micamente fragile, portando a gio-

chi senza riguardo da parte di corda-te industriali, e alla fine del sogno.

Il lungo excursus biografico ciconsente di comprendere appienoil valore della graphic novel, appe-na uscita, Adriano Olivetti. Un seco-lo troppo presto (Edizioni BeccoGiallo, pagg. 157, 19 euro) con i testi di Marco Pe-roni e le tavole di Riccardo Cecchetti. La sceltanarrativa dei due autori mette da parte, infatti, lavita di Olivetti, preferendo, con ragione, allestireuna storia in cui, di quella vita, si evidenziano itratti di un’utopia che divenne concreta, senzamai, purtroppo, trovare autentici discepoli. Scel-ta tanto più condivisibile in questo 2011, dove tra-smissioni televisive e radiofoniche, pagine di gior-nali, libri modello instant book, hanno reso so-vraffollato, e a volte superficiale omaggio, al mez-zo secolo trascorso dalla scomparsa di Adriano.La graphic novel parte da un assunto ben preci-so. Afferma Peroni «La figura di Olivetti è stata inalcuni casi banalizzata, in altri strumentalizzata,e in altri ancora analizzata per categorie: l’indu-striale generoso con gli operai, il primo industria-le italiano di statura internazionale, il mecenate,l’utopista, l’imprenditore intellettuale, e via di-cendo. Penso, invece, che esista un’organicità ditutti questi Olivetti. Ciò che ci è stato consegnato,l’eredità davvero importante, sta non tanto nel-l’uomo, quanto piuttosto nell’insieme della suaidea». E in tema di idee, quella fondante, su cuipoggia il racconto, parte da una telefonata che ar-riva alla segretaria dell’imprenditore. Chi chia-ma, dall’anno 2061, è Miriam Lo Cascio, studen-tessa. Vorrebbe un’intervista con Olivetti per lasua tesi di laurea. La segretaria è a dir poco attoni-ta, ma alla fine passa la telefonata, e ovviamenteAdriano accetta. Una chiamata dal 2061 non puòstupire lui, che si definiva nato troppo tardi otroppo presto rispetto al suo tempo. L’appunta-

mento è a Milano, nello scomparti-mento di un treno, di cui Olivettinon vedrà mai la stazione di arrivo,Losanna.

L’incontro con Miriam dà vita aun dialogo fitto, costruito su do-mande semplici e dirette. Le rispo-ste sono riflessioni, dubbi, delusio-ni, dolori, certezze, speranze attesee disattese, sconfitte, motivi di or-goglio e di dolore, ricordi cosparsidi dolcezza e di rabbia. Peroni è as-sai bravo nell’uso di citazioni te-stuali (alcune le abbiamo riportatein questa sede), che tessono la tra-ma della graphic novel sulla pellesensibile del protagonista. Affian-cando al ruolo di storico, il compi-to di cronista creativo, l’autoresvuota le pagine di ogni retorica, esuggerisce stimoli ad andare oltre,magari facendo proprio uno o piùtitoli della ricca bibliografia pubbli-cata in coda al volume.

Questo, però, costituisce solouna metà del lavoro. L’altra metà,non meno importante per valore, sideve alle tavole di Riccardo Cecchet-ti. Della sua esperienza con l’ironiadissacrante delle pagine di Frigidai-re, gli è rimasto l’aspetto, scapiglia-to anche nella barba, che tormentasenza sosta. Dopo la bella storia sulcalciatore Gigi Meroni, sempre intandem con Peroni e sempre pub-blicata per «Becco Giallo», Cecchet-ti ha compiuto un salto grafico chelo ha fatto atterrare felicemente sul-la sponda di una visione onirica, fis-sata con tecniche e cromie comples-se. L’uso dell’aerografo, dei pastelli,delle matite, del computer in photo-shop, la «smaterializzazione» dellefotografie; le note dominanti dell’az-zurro, dell’arancione, del nero; leimmagini delle fabbriche e degliscorci urbani non di rado ai limitidell’astratto, i dettagli insistiti deivolti, la grande clessidra che apreogni capitolo; il carattere da macchi-na per scrivere impiegato per i testi;tutto questo si muove in perfettasimbiosi con il cinquanta per centodi Marco Peroni.

Per tornare alla distanza fra Ivreae Torino, Olivetti dichiarò «La fab-brica non può guardare solo all’indi-ce dei profitti... deve distribuire ric-chezza, cultura, servizi, democra-zia». Vittorio Valletta, dopo la scom-parsa dell’imprenditore, affermòconvinto: «L’elettronica è un cancroda estirpare».

CHISSÀ FORSE DI NUOVO«THE TIMES THEY ARE A-CHANGIN'»Il più clamoroso, già finito sulleprime pagine, è quello che andràal voto in Mississippi. Promossodagli antiabortisti, chiede di intro-durre un emendamento alla Costi-tuzione che dichiari che la vitainizia con il concepimento, per laprecisione nel momento in cui siincontrano uno spermatozoo eun ovulo. Se fosse mai introdotto,metterebbe fuori legge, anzi tra-sformerebbe in un omicidio nonsolo l'aborto, ma persino buonaparte dei contraccettivi, visto chela spirale e la pillola del giornodopo intervengono a fecondazio-ne già avvenuta. Si può capire co-me persino i vescovi cattolici ame-ricani e la «National Right of life»si siano già dichiarati contrari. An-che se in effetti non per il benedelle donne, ma perché temonoche si trasformi in un autogol. Pro-poste analoghe sono state presen-tate infatti anche in molti altri Sta-ti americani, dal Montana al Michi-gan, e se la vicenda dovesse finirealla Corte suprema ci sarebbe unasolenne bocciatura. Ma forse ilreferendum più interessante, trale decine che saranno nelle urnenegli Stati uniti l'8 novembre, as-sieme a una manciata di elezionisuppletive, è quello presentato inOhio.Dopo aver raccolto la bellezza diun milione e 300mila firme, i sin-dacati, le associazioni per i diritticivili e i democratici, chiedonoinfatti ora di abolire la nuova leg-ge sui diritti sindacali degli impie-gati pubblici. O sarebbe megliodire «contro i diritti sindacali», vi-sto che le nuove norme non solovietano ogni forma di scioperoma riducono al lumicino la possi-bilità stessa di una contrattazionecollettiva. È persino più dura diquella approvata, nonostante unagrande battaglia popolare duratamesi e mesi, in Winsconsin, vistoche in Ohio tocca non solo impie-gati e insegnanti ma anche poli-ziotti e vigili del fuoco. Due cate-gorie amatissime anche dalla ba-se repubblicana. Come diconodel resto anche i sondaggi. L'ulti-mo, svolto dalla Qiunnipiac Uni-versity, ha scoperto che quasi il60% dei cittadini dello Stato sidichiara ora contrario alla legge.Ma se il referendum passerà, iguai saranno seri non solo per ilgovernatore repubblicano che inprimavera l'ha firmata con tantoentusiasmo, ma persino per MittRomney. Non a caso l'ex governa-tore del Massachusetts, oggi ilfavorito nelle primarie repubblica-ne, si è esibito in una serie infinitadi «flip flop», come si dice da que-ste parti, prima di essere costrettodal suo partito a pronunciare unsecco no al referendum. L'Ohio sisa è uno degli stati chiave dellepresidenziali del 2012, vinto daBarack Obama nel 2008 per unsoffio. Poi però, anche qui comenel resto del paese la popolaritàdel presidente è precipitata. Mase l'8 novembre i sindacati ce lafaranno, il segnale sarà forte. Eforse dirà che, come molti spera-no dopo l'esplosione della rivoltapopulista di sinistra lanciata daOccupy Wall Street, che il climapolitico americano sta finalmentecambiando.

FUMETTI Immagini tratteda «Adriano Olivetti. Un secolotroppo presto» (Ed. Becco Giallo),testi di Marco Peroni,tavole di Riccardo Cecchetti

Una graphic novel con i testi di Marco Peroni e le tavole di Riccardo Cecchetti

(Ed. Becco Giallo) che della vita di Adriano Olivetti evidenzia i tratti di un’utopia

che divenne concreta, senza mai, purtroppo, trovare autentici discepoli

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (5

TORMENTI - FILMDISEGNATODI FILIBERTO SCARPELLI, VOCI DI VALERIO

MASTANDREA, ALBA ROHRWACHER, LUCA

ZINGARETTI. ITALIA 2011.

0Dai disegni del sceneggiatoreFurio Scarpelli scomparso loscorso anno, il nipote Filiber-

to ha realizzato il suo esordio, vicendadrammatica e comica ambientata duran-te il Ventennio. L’avvocato Rinaldo MariaBonci Paonazzi seduce per gioco unagiovane stiratrice, Eleonora Ciancarellidetta Lolli. Successivamente lei s'innamo-ra di Mario Marchetti, pugile e studenteuniversitario, e Rinaldo si scopre pazza-mente innamorato, perde il senno, depe-risce, diviene ossessivo e aggressivo.Chiamato nell'esercito, viene speditocon le Camicie Nere nella Spagna dellaGuerra Civile. Nel frattempo Lolli ha rag-giunto a Parigi Mario, fuoriuscito e ingiu-stamente perseguitato: decidono di parti-re per la Spagna, per combattere perònelle file delle Brigate Internazionali.

IMMORTALSDI TARSEM SINGH, CON FREIDA PINTO E HENRY

CAVILL. USA 2011

0Nella Grecia antica i protago-nisti sono gli dei e i personag-gi mitologici. Dalle avventure

della sacerdotessa Phaedra, e del prota-gonista Teseo, dipendono i destini delmondo. Devono scongiurare una guer-ra fra gli dei dell'Olimpo e i Titani capeg-giati da Iperione (nel cast anche MickeyRourke). (in sala dall’11 novembre)

I PRIMI DELLA LISTADI ROAN OCCAM ANTHONY JOHNSON, CON

CLAUDIO SANTAMARIA E FRANCESCO TURBANTI.

ITALIA 2011

0Tratto da una storia vera, acca-duta il 1 giugno 1970. Dopole manifestazioni degli studen-

ti e gli scioperi a Pisa, nell'ambiente delmovimento studentesco, arriva la notiziache sta per aver luogo un colpo di stato.Gli studenti più esposti decidono di espa-triare. Tra loro c'è anche Pino Masi, uncantautore che ha scritto le canzoni dilotta più famose, come l'inno di LottaContinua. Con due liceali, Renzo Lulli eFabio Gismondi si mettono in viaggioverso il confine. (in sala l’11 novembre)

BAR SPORTDI MASSIMO MARTELLI; CON CLAUDIO BISIO E

GIUSEPPE BATTISTON, ITALIA 2011

7Da «Bar Sport» di Benni (1976).Il film funziona come un teatri-no, un palcoscenico dove i

personaggi sono chiamati a fare il loronumero. Frequentare il Bar Sport è un po’come andare a scuola e allora l’appello èimportante per conoscere tutta l’umanitàdei personaggi raccontati nel libro. Oggiinvece sono lì, visibili, mai risibili perché alfondo c’è affetto, tenerezza, comprensio-ne, quasi compassione per tutti quei per-sonaggi, che offrono risate perché quellache rappresentano è la commedia dellavita, solo un tantino scombinata.(a.c.)

MELANCHOLIADI LARS VON TRIER, CON ALEXANDER

SKARSGARD E KRISTEN DUST. DANIMARCA 2011.

6Film apocalittico di fanta-scienza senza 3d, e la piùinfelice delle sue opere, divi-

so in tre parti, un prologo, che riassumein 5 minuti tutto il film in suggestivi qua-dri pittorici, e due lunghe parti narrative.La prima, compatta e concentrata, èdedicata a Justine (Kirsten Dust), agentesegreto in azione contro ogni sontuosomatrimonio borghese, anche se si èappena sposata, e svolazza, nasconden-dosi, col suo abito bianco e lungo, dallospettacolo avido e egoista di invitati efamiliari. La seconda, più poema sinfoni-co libero, arabescato, necrofilo e intimi-sta, è dominata da Claire (CharlotteGainsbourg), la sorella di Justine, donna«incapace di attendere», officiante del-l’estenuante rito pagano che porterà(forse) alla catastrofe definitiva, allaTerra che esplode dopo la collusionecon il più gigantesco e vorace pianetaMelancholia. Un requiem al mondocapovolto dalle donne, rappresentateda due sorelle sterminatrici. (r.s.)

IL MIO DOMANIDI MARINA SPADA, CON CLAUDIA GERINI E

RAFFAELE PISU.ITALIA 2011.

7Marina Spada sceglie ancorauna volta come centro narra-tivo ed emozionale una figu-

ra femminile. Anzi la macchina da pre-sa non lascia mai il personaggio diMonica, interpretato da Claudia Gerini,bravissima e sorprendente nel confron-to con un registro molto diverso daquello della commedia in cui l’abbia-mo vista finora. Ma il punto di vista(del film) sul mondo è Gerini/Monicae Milano, in una strana dicotomia conuna campagna assai poco solare. Leimmagini di Marina Spada, negli inter-ni della finanza intrecciati al fantasmadi una madre ribelle, e per questo pu-nita, declinano la prima persona alnostro tempo, dichiarando in manieraquasi spudorata, un universo poeticoche è quello del suo cinema. (c.pi.)

FAUSTDI ALEKSANDR SOKUROV; CON HANNA

SCHYGULLA E ISOLDA DYCHAUK, RUSSIA 2011

9Tra i grandi personaggi delnovecento dai celebri latioscuri, protagonisti dei prece-

denti film di Aleksandr Sokurov (Taurus,Moloch, Il sole) se ne aggiunge un quar-to, il Faust, Leone d'oro a Venezia, sor-prendente per la perfezione della suaimmaginazione e profondità, quasi unasfida tra il creatore e il suo oggetto, tra

Sokurov e Faust. Il dottore ottocentescolaureato in più discipline, appartenentea un'era grama, dove la cultura è tenutain scarsissimo conto e non dà da man-giare a patto che non si faccia il fatidicopatto con il diavolo. Un povero diavolo.Qui ogni scena è un'affermazione del-l'uomo su Mefistofele, diabolico usuraio,considerato semplice accessorio perl'uomo colto, compagno di strada dasopraffare e irridere, senza il quale nonc'è da divertirsi. (s.s.)

LA PEGGIOR SETTIMANADELLA MIA VITADI ALESSANDRO GENOVESI; CON FABIO DE

LUIGI, CRISTINA CAPOTONDI. ITALIA 2011

7Assolutamente gradevole,pieno di buoni attori e privodi volgarità, è il tipo di com-

media in cui De Luigi, sembra ricono-scersi meglio. Ispirato direttamentedalla serie inglese, The Worst Week OfMy Life, scritta da Mark Bussell e JustinSbresni nel 2004. Alla fine, è vero chesiamo anche dalle parti del remakealla Benvenuti al Sud, vero che si respi-ra un tipo di slapstick surreale o da sitcom, ma è vero pure che tutto è costru-ito con una certa grazia, le inquadratu-re non sono mai banali, gli attori cifanno ridere tutti, ed è un sollievo nonvedere Michelle Hunzinker accanto aDe Luigi. (m.gi.)

UNA SEPARAZIONEDI ASGHAR FARHADI, CON PEYAM MOAADI,

LEILA HATAMI, BABAK KARIMI. IRAN 2010

7Orso d'oro della Berlinale,dramma contemporaneofamiliare, implacabile nel se-

gnalarci il pericoloso grado di controllobiopolitico sui microcomportamenti deicittadini in una democrazia moderna. Maè anche un film che, approvato dallacensura islamica, attraverso lo scontrodomestico vuole essere la metafora delladivisione del paese, tra una parte, piùagiata e colta, che aspira all'esodo o alcambiamento radicale, e una più schiac-ciata perché più povera, disinformata ebigotta, che vuole difendere un esistentesuperstiziosamente corretto. (r.s.)

SUPERDI JAMES GUNN; CON RAINN WILSON E KEVIN

BACON, USA 2010

1Frank per tutta la vita è statotormentato da visioni. A ottoanni ha visto Gesù sulla pare-

te della cameretta, a dodici ha scopertoche il suo amico di giochi non era quelloche sembrava ma un demone. E quan-do ha conosciuto Sarah ha sentito lavoce di Dio («Sposala!»). Compreso egiustificato nell'ambito evangelico-mes-sianico, Frank Darbo trova la sua ragiond'essere. Svincolare gli umili, gli oppressi,tutte quelle «maschere e mestieri» de-cantate dalla società. A metà tra Kick-Asse Taxi Driver, tinto di Alan Moore, Taranti-no e Moodysson, il neo-supereroema-scherato Saetta Purpurea, fa piazza puli-ta armato di chiave inglese combatte ilcrimine in un Kaboom poco realistico,molto fumettistico, ultra-splatter. (fi.bru)

IL FESTIVAL

FESTIVAL INTERNAZIONALEDI CINEMA E DONNEFIRENZE, CINEMA ODEON, 4-9 NOVEMBRE

Si intitola «Il Valore e la speranza» l’edizione2011 di Cinema e donne XXXIII edizione orga-nizzata dal Laboratorio Immagine donna diPaola Paoli e Maresa d’Arcangelo nell’ambitodei 50 giorni di cinema a Firenze. In program-ma 50 film, tra corti, medi e lungometraggi,da Iran, Spagna, Messico, Argentina, Turchia,Germania, Marocco, Polonia, Italia, Usa. Tra itanti My Perestroika, dell’americana RobinHessman, il più recente successo della NewDay, la distribuzione americana di film indi-pendenti che compie 40 anni, Passione, diJohn Turturro, Il corpo delle donne di LorellaZanardo, La 5ème corde di Selma Bargach e La buena nueva, di Helena Taberna. Inol-tre dibattiti, eventi, due Focus su argomenti di attualità coinvolgenti due o tre paesipresenti, e tre Premi: il Sigillo della Pace, che dà un riconoscimento alle registe cheutilizzano il cinema come strumento di risoluzione dei conflitti del nostro tempo, il Pre-mio Gilda all’attrice e il Premio Anna Magnani a una nuova autrice italiana. (s.s.)

MONI OVADIAOLTRE I CONFINI (PROMO MUSIC RECORDS)

«Senza confini – Ebrei e Zingari» si intito-la lo spettacolo concerto di Moni Ovadia,artista famoso per il suo impegno politi-co che è stato a lungo in tournée dal2009. Lo ha definito lui stesso: «un picco-lo ma appasionato contributo alla batta-glia contro ogni razzismo. È un recital dicanti, musiche, storie Rom, sinti ed ebrai-che che mettono in risonanza la comunevocazione delle gente in esilio, una voca-zione che proviene da tempi remoti eche in tempi più vicino a noi si fa solita-ria, si carica di un'assenza che sollecitaun ritorno, un'adesione, una passione,una responsabilità urgenti, improcrastinabili». Ora è uscito il Cd «Oltre i confini- Ebrei e zingari» per la Promo Music Records che con la sua Stage Orchestradi dieci elementi raccoglie le canzoni dello spettacolo. Il prossimo appunta-mento con lo spettacolo è al teatro Elfo di Milano dal 15 al 27 novembre. (s.s.)

filippo brunamontia. catacchio

mariuccia ciottagiulia d’a. vallan

marco giusticristina piccinoroberto silvestrisilvana silvestri

PINA 3DDI WIM WENDERS, CON PINA BAUSCH. GRAN

BRETAGNA 2011

Nel 2009, dopo la visione a Cannes di undocumentario in 3d sugli U2, finalmenteWenders ha trovato la chiave per il film chedesiderava fare da tempo su Pina Bausch.Si era ormai colmato il gap tra le tecnologiedi ripresa e i movimenti naturali del Tan-ztheater. Ne parlò con lei, entusiasta, cheperò, otto giorni dopo, durante un ricoveroin ospedale di routine, morì. I ballerini e leballerine della sua compagnia hanno poifortemente voluto realizzare nonostante lamorte della loro coreografa. «Credo che iltermine danza moderna sia inappropriatoper Pina, dice Wenders, lei ha creato una parola, Tanztheater, «il teatro danza».Allestiva infatti drammi che non potevano essere interpretati da attori, ma solo daballerini. Ha elaborato sulla comunicazione non verbale, su ciò che (si) dice lagente attraverso i movimenti. Lei aveva un approccio scientifico. Riprendere i dan-zatori di Pina è come osservarli mentre si fondono alla flagranza del vissuto». (r.s.)

SINTONIEIL FILM

LO SPETTACOLO, IL CD

CALLED OUT IN THEDARKUk, 2011, 4’25”, musica: Snow Patrol, regia:

Brett Simon, fonte: Deejay Tv

8Non è il solito metavideo-clip, ma qualcosa di più edè anche piuttosto diverten-

te questo Called Out in the Dark. Du-rante le riprese del video, il front mandella band scozzese, Gary Lightbody,si diverte a fare la controfigura di sestesso – o meglio di quello che nellafinzione è la popstar (un belloccioalla moda) che canta la canzone alposto suo – combinandone di tutti icolori: un po’ sabotando volutamentela lavorazione per il fatto di sentirsiespropriato, e un po’ per reale goffag-gine. Ma la regista, anziché incazzarsie sbatterlo fuori dal set, pazientemen-te cerca di risolvere di volta in volta lasoluzione, ripresa dopo ripresa. E’interessante vedere come Simon gio-ca sottilmente con la struttura autori-flessiva inserendo, per esempio, nelclassico balletto che accompagna ilcantante, l’idea stessa del ciak cheviene battuto dalle peformer (le core-ografie sono firmate da Noemie La-france). Merito della riuscita del clip èanche del cantante di Dundee e dellasua aria tra l’impassibile e lo straluna-to che ricorda il Peter Sellers di Hol-lywood Party.

QUESTA ESTATE STRANAItalia, 2011, 4’20”, musica: Zero assoluto, regia:

Cosimo Alemà, fonte: Video Italia

6Qualche fan degli Zero asso-luto è rimasto sconcertatodall’avanguardismo del clip

di Questa estate strana, qualcun altro,sempre in rete, ha sottolineato cheprobabilmente trattasi di un plagiodel video Heaven Can’t Wait realizza-to da Schofield per Gainsbourg eBack, ma in definitiva ci troviamo difronte al classico genere dei musicvideo strutturati su quadretti forte-mente surreali e slegati tra loro. Nonc’è bisogno di scomodare modellistranieri, anche in Italia vi sono parec-chi esempi del genere, pensiamo aTutti vogliono viaggiare in prima diLigabue. Ad ogni modo il duo De Ga-speri-Maffucci (in alcune sequenzecon il volto digitalmente deformato)si ritrova al centro di una galleria dibizzarri personaggi (un uomo ricoper-to di post-it) e stranianti situazioni(un enorme pesce al posto di un pal-lone da rugby) perlopiù al ralenti.Certo non originalissimo, anche seAlemà è abile nella creazione di que-ste visioni deliranti.

SEGUE DA PAG 4 di Bruno Di Marino

6) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (7

di Simona Frasca

Negli anni Sessanta ilmovimento femminista era impe-gnato nel divulgare un’altra viapossibile per le donne, un’opzio-ne esistenziale che fosse praticabi-le, alla portata di tutte se solo si co-minciava a pensare con una testanuova frutto di una cultura nuovae di nuove aspettative in terminisociali e sentimentali. Betty Frie-dan aveva teorizzato ne La misti-ca della femminilità il malessere«senza nome» della donna del No-vecento perché i presupposti del-l’esistenza femminile non si pote-vano esaurire negli assunti tradi-zionali di figli, marito e impegnidomestici. Negli stessi anni Ri-chard Yeats aveva raccontato ilportato di quelle riflessioni quan-do nel suo inarrivabile romanzoRevolutionary Road descrive l’altatossicità dell’ambiente familiarein cui si consuma la vicenda diApril Wheeler mamma evanescen-te e suicida consapevole.

In quei delicati anni la musicapop prende strane vie, abbracciaidee varie e contraddittorie e tie-ne a battesimo un brano che peralcuni all’epoca suonò come unsaggio di ribellismo adolescenzia-le e reazionario in aperta opposi-zione alle tesi del movimento fem-minista. He Hit Me (It Felt like aKiss), il brano del 1962 delle Cry-stals è una canzoncina in appa-renza innocua e divertente ma nel-la sostanza sposta le lancette deltempo in un passato lontano anniluce dalle posizioni sostenute dal-la Friedan e compagne. Una don-na esulta perché la sua infedeltàha provocato una reazione violen-ta nel suo compagno che la mal-tratta ripetutamente ma lei ne go-de. «Se non se ne fregasse di me/non avrei mai potuto farlo impaz-zire/ma lui mi picchia/e io ne so-no felice». Il testo era opera dellacoppia Gerry Goffin e Carole Kingche si erano ispirati a un raccontodella loro baby sitter la cantanteLittle Eva, per la quale avevanocomposto The Locomotion unodei loro più grandi successi.

Nelle intenzioni dei due il bra-no doveva essere un bozzetto di vi-ta intima, niente di più di un inof-fensivo divertissement in musicamentre invece la canzone fu im-mediatamente percepita comeun’approvazione incondizionatadi un maltrattamento consumatotra le mura di casa e il fatto checomparisse il nome di PhilSpector come arrangiatore e pro-duttore del brano aggiungeva alcaso musicale un’inquietudine ul-teriore perché il suo interventosembrava amplificare il carattereselvaggio e violento del raccontocontenuto nel testo.

Ma il panorama delle canzoniche analizzano il perverso e sadi-co meccanismo che si innesca inuna coppia e che poco ha in co-mune con quel sentimento liberodi amore reciproco dei romanzimedievali ha alimentato la storiadella musica molto prima degli an-ni Sessanta. Il blues di Bessie Smi-th è intriso di storie d’amore ridut-tive e frustranti e la sua stessa bio-grafia ne è una testimonianza fino

al punto di stabilire un topos delgenere. «Mi è capitato l’uomo piùmiserabile della terra - canta lapiù imponente interprete di bluestra i solchi della registrazione diOutside of that del 1923 - ma ilsuo amore è un marchio che nonsi stacca/la gente dice che sonopazza/lui non ha cuore ed è crude-le/ma a parte questo è ok/mi pic-chia ma quanto mi ama!/Io nonho mai amato così da quando so-no nata/per scherzo gli ho dettoche non lo volevo più/quandogliel’ho detto/ho fatto star male ilmio dolce papi/lui mi ha fattodue occhi neri e non ci ho più vi-sto/ha dato in pegno tutte le coseche mi ha regalato/ma a partequesto lui è ok».

Il tema della violenza di coppiaemigra facilmente in altri generi enel 1946 appare riproposto in unachiave ironica e sdrammatizzanteda Ella Fitzgerald e Louis Jordannel calypso dal titolo Stone ColdDead in the Market. I due celebricantanti duettano nei toni dablack comedy interpretando lastoria di una donna che uccidepubblicamente suo marito stancadelle sue ubriacature e della suaviolenza. Sia Fitzgerald che Jor-dan avevano esperienza di storiedegradanti e il tono leggero dell’in-terpretazione era probabilmentedettato da questa consapevolez-za. «Non mi picchierà più», giuralei canticchiando in un accentogiamaicano. «E te lo dico, non miimporta se morirò su una sediaelettrica per questo!», continua vi-gorosa. Infine, con una trovatache sconfina in un numero comi-co paradossale Jordan conclude:«Piccola, io sto per tornare e tisfondo quella testa di nuovo!».

Sicuramente la carica di hu-mour, la celebrità dei nomi asso-ciati alla canzone, il ritmo caden-zato e ballabile del pezzo furonoelementi decisivi che resero piùsemplice affrontare apertamenteun tema del quale difficilmente siparlava in quegli anni. Sulla stessalinea si ritrovano molti anni dopo,alla fine dei Novanta, le Dixie Chi-cks che in Goodbye Earl cantanocon una soddisfazione tutta fem-minile la storia di Earl, marito vio-lento ucciso dalla moglie e dallasua migliore amica con una mine-stra di fagioli avvelenati. Nessunosi preoccupa di stabilire le causedella morte di quest’uomo me-schino che non merita nemmenouna breve indagine da parte dellapolizia. Natalie Maines la cantan-te della band femminile dichiaranel ritornello con gioia: «Non cimisero troppo tempo per decide-re che Earl doveva morire!».

Antony and the Johnsons toc-cano il tema in Fistful of Love bra-no tratto da I’m a Bird Now, al-bum quasi interamente ispirato al-l’analisi del dolore inteso comefonte di piacere in una sorta diapoteosi del masochismo in musi-ca di cui il pezzo in questione co-stituisce il momento culminante.

Vicende di ordinaria violenzadomestica sono quelle descrittedai Cheap Trick, tra le più ruspan-ti e «vanagloriose» band del firma-mento hard rock americano, inThe House Is Rockin’ (with Dome-stic Problems). In uno sferraglian-te boogie‘n’roll Tom Petersson,bassista e frontman del gruppo eRick Nielsen, chitarrista e compo-sitore, imbastiscono una storiaconvenzionale sui litigi tra coniu-gi, mentre il ragazzo testimone di-sperato canta il suo desiderio dievasione: «Io so, tu sai che qualcosa non va/eppure devo tor-nare a casa/lui sa, lei sa/chiudi tutte le porte e blocca le fine-stre/pesanti, pesanti, pesanti difficoltà/la casa è sottosopra,eppure ci devo andare/non trovo le parole perché sono cosìdannatamente difficili, dei pazzi e non ne hanno mai abba-stanza/difficoltà, sì, non riesco a spiegare quello che vedo/

oh, ragazzo, la casa è sottosopra».Tra le canzoni più belle che af-

frontano il tema va ricordata lasplendida Behind the Wall diTracy Chapman che riferisce unavicenda di violenza privata capta-ta attraverso il muro a cui nemme-no la polizia dà seguito perchénon vuole interferire tra moglie emarito mentre un’ambulanza siallontana trasportando la donnaferita in ospedale. Dalla prospetti-va maschile è il contributo dei

Green Day con Pulling Teeth dal loro epocale album Dookie (1994), que-sta volta è un uomo preso nella morsa di una terribile infatuazione e vit-tima di una relazione mortificante. Nella moltitudine di band che con-tribuiscono a moltiplicare il prisma dei racconti possibili in fatto di abu-si domestici ci sono i Sonic Youth che in Shoot restituiscono una vicen-da di amore meschino con i toni propri del mood narrativo da provin-cia Usa. Una donna incinta chiede al compagno macchina e soldi, in-venta bugie per ottenerli ma in verità fantastica di correre ad abortire eessere libera da quella relazione mortificante. Kim Gordon con la vocescreziata e disturbata e il suonocongestionato da interferenze,marchio di fabbrica di gran partedella produzione del quartetto diNew York, entra nel dramma fem-minile in prima persona fino alpunto di giustificare l’uccisionedel nascituro:. «Ssssh, silenzio/ec-colo visualizzato/sì, è così/pregapiccolo/uno, due, tre/spara, spa-ra, spara». Ma la morte in questicasi può essere risurrezione?

■ STORIE ■ «MI HA PESTATO, A PARTE QUESTO LUI È OK» ■

Fenomenologiadell’orrore pop

Canzoni

all’apparenza

innocue

che nascondono

istanti di violenza

domestica. Schiaffi,

pugni e occhi neri

che anziché turbare

diventano il segno

di «un amore

forte». E vanno

pure in classifica.

Altri denunciano

e mettono a nudo

drammi e tormenti

A sinistra Antony Hegarty, al centroi Sonic Youth, a destra Bessie Smith. Qui sotto,a sinistra, Rick Nielsen (Cheap Trick) e due45 giri «a rischio»

■MITI ■LA BREVE STAGIONE DELL’ANTENATO DEI VIDEOCLIP ■

Se il jukeboxha le visioni

❙ ❙ M O N D O E X O T I C A ❙ ❙

Camminate Zulu.Sul muro del funkFrancesco Adinolfi

Il debutto con la vocalist Gizelle Smith(This Is Gizelle Smith & The MightyMocambos) era una perla: fitto di pezzireattivi, fisici, altamente stimolanti. Unelettrodo new funk che si ripete anchecon il nuovo disco in proprio dei tede-schi The Mighty Mocambos che in TheFuture Is Here (Legere rec. LEGO 036;2011) abbandonano Gizelle Smith (dibase a Londra) e imbarcano leggendehip hop come Afrika Bambaataa eCharlie Funk, la vocalist francese Caroli-ne Lacaze e la regina tedesca del raregroove Su Kramer. Il risultato è un di-sco pressoché strumentale incardinatodentro un'ortodossia funk che lasciaspazio anche a stimolanti fantasie: inparticolare il soul surf di Transcenden-tal Express. Tra i pezzi vocali irresistibileproprio la collaborazione con Bambaa-taa, padrino dell'hip hop e Charlie Funk(alias Afrika Islam, membro originariodella Zulu Nation e produttore diIce-T). Entrambi i pezzi in cui si coinvol-gono (Zulu Walk e Battle) accendonofantasie retro hop senza mai scivolarein tirate sonore nostalgiche: c'è il funkdella band a tenere il timone moderni-sta. Avvolgente la voce di Lacaze. Lastoria dei Mighty Mocambos di Ambur-go parte da lontano e non è sfuggita alproduttore Kenny Dope che apprezzòla loro versione di The Message (Gran-dmaster Flash & the Furious Five) reinti-tolata semplicemente The Next Messa-ge e subito pubblicata nel 2008 sullasua etichetta (a nome Mocambo, men-tre in Finlandia era uscita come MightyMo & the Winchester Seven). In TheFuture Is Here torna nella versione origi-nale. I 12 pezzi evidenziano una bandche è stata in grado di strutturarsi neltempo e dopo una sfilza di singoli usci-ti con gli pseudonimi più variegati. Ilfuturo comincia adesso.UN SINGOLO da amare. Un classico deljazz ritrattato in chiave ultrafunky daAnita Moore and The Tsu Jazz Ensemble. Siintitola Compared to What (Advent/Tramp JTR 5007; 2011) e compariva inorigine in Swiss Movement (1969), unlive del pianista Les McCann e del sas-sofonista Eddie Harris. Scritta da GeneMcDaniels (autore, insieme a Burt Ba-charach, del classico Tower of Stren-gth), è una canzone di protesta esegui-ta da una schiera di artisti: Ray Charles,Della Reese, John Legend, The Roots.Tra le versioni più elettriche e funky c'èquella di Anita Moore, già vocalist diDuke Ellington e del figlio Mercer Ellin-gton. Un 45 giri imperdibile, il settimopubblicato dalla Tramp nella sue serieJazz Dance.TRE ANNI di tour zigzagando per il mon-do e The Dynamics tornano con 180000Miles & Counting (Favourite rec. BIGS1014 CD), un lavoro realizzato cooptan-do quattro diversi produttori e altrettan-ti studi di registrazione. Il suono - purcon divagazioni molto più personalisti-che - mantiene la solita attenzione asoul, dub, reggae mancando però diquella incisività funky conferita in passa-to alla formazione da Bruno 'Pa-tchworks' Hovart (Mr President, MrDay, Uptown Funk Empire) che stavol-ta si chiama fuori.

di Guido Michelone

Basta andare su YouTu-be e digitare ad esempio Calen-dar Girl di Neil Sedaka, un master-piece di glam, pop, camp: anno1962 e l’allora ventitreenne can-tante di Brooklyn, capelli impo-matati, fondotinta vistoso, si esibi-sce a un pianoforte bianchissimocon smoking colorati che cambia-no a ogni scena, davanti un enor-me calendario; queste scene sonoalternate a dodici ragazze - ap-punto le calendar girls - ognunaper un mese e pronte a danzareassieme a lui in abiti succinti,qualcuna anche «svestita» da co-niglietta di Playboy. Che cos’èquesto proto videoclip dalle tintesquillanti e caramellate? Un filmi-no di due minuti per Scopitone,neologismo composto dal grecoscopein (guardare) e tonos (tonali-tà): un jukebox che unisce l'imma-gine al suono. Per quasi tutti i Six-ties lo Scopitone inteso comemarchingegno e gli scopitones (irelativi filmati) vanno alla grandenelle coffee house frequentateperlopiù da sfaccendati, impiega-ti, pensionati, neolaureati ancoradisoccupati. Ce n’è per tutti i gu-sti (maschili). Un altro esempio:Julie London in Daddy; l’ancor av-venente jazz singer, dai trascorsihollywoodiani, declama sensual-mente una blues ballad nei salonidi una maison d’haute couture,dove sfilano, dietro lei, cinque bal-lerine in slip e reggiseno (spessodi pelliccia) surclassandola in sexappeal. Ancora un caso, ai limitidell’incredibile: lo scopitone Ba-

by Face di Bobby Vee, classico tor-mentone estivo, inizia con un as-solo di batteria abbinato a seni eculi in primissimo piano a muo-versi al ritmo di un facile rock;campo lungo ed ecco la «mercan-zia» per intero: sei splendide ra-gazze in costume da bagno inten-te a mostrarsi in provocatori con-torcimenti.

Lo Scopitone risulta perciò l’ul-timo (o per altri versi, il penulti-no) anello di una lunga catena dioggetti d'uso per la musica ripro-dotta, il completamento idealenello sviluppo elettrico della mec-canica partita dai carillon e prose-guita con pianole, teatrofoni, nic-kelodeon, music-box. Tecnica-mente parlando, a monte del-l’idea di un film-jukebox c'è il Mo-vietone o Panoram prodotto dallaMills Novelty Company di Chica-go che presenta negli anni Qua-ranta brani jazz, country, pop, icosiddetti «soundies» in bianco enero: all'interno di questi enormijukebox (con uno schermo rettan-golare posto in alto) possono en-trare solo otto filmati a 16mm ditre-quattro minuti ciascuno, chevanno in loop, tutti di seguito, per

ricominciare poi da capo, dun-que senza possibilità di scelta daparte dell’utente. Il passo succes-sivo, grazie ai brevetti europeiconsiste proprio nella possibilità,introducendo una moneta nellafessura, di optare per un filmatomusicale a richiesta tra i diciottoinseriti (e di durata leggermenteinferiore ai precedenti, per motividi capienza). Inoltre sia il nostra-no Cinebox (divenuto poi Colora-ma) sia l’analogo parigino Scopi-tone, durante gli anni Sessanta,garantiscono una buona resa cro-matica (a colori) e un discreto rap-porto tra qualità artistica e opera-zione mercantile, pescando viavia nel mare magnum della musi-ca leggera, dei primi vagiti cantau-torali, delle giovani tendenze so-nore dal r'n'r al beat, dal soul allapsichedelia.

Momenti di gloriaTuttavia, a considerare il boomdei cine-jukebox americani, chepreferiscono il brevetto franceseall’italiano, qualcuno restringe ilperiodo di gloria al solo triennio1962-1965, nonostante sia meglioattenersi alla vulgata dei filmatidiffusi sino al 1968 compreso: al-la stessa stregua della musica bri-tannica anche a quella statuniten-se in Scopitone viene a mancareil sostegno dei nuovi talenti inambito rock, soul, folk, jazz, chepreferiscono altre modalità comu-nicative: la musica dal vivo, il con-tatto diretto dai piccoli club aimega raduni, la scena casual, lateatralità spoglia, l'impatto pura-mente sonoro delle prime emit-tenti libere. La nascente contro-cultura hippie, freak, under-ground insomma non ama l’ideo-logia-scopitone, benché indiretta-mente quest’ultima si apra ai pri-mi contestatori mediante qual-che timido ingrediente scenogra-fico: ma gli allestimenti in chiavepop-art o psichedelica sembranoestranei alla scelta dei musicisti,che concerne ancora la lounge ge-neration a rappresentare anagra-ficamente i genitori o i fratellimaggiori dei figli dei fiori. C’è tut-tavia un breve periodo, prima del-l'arrivo dei Beatles o del Bob Dy-lan elettrico, in cui si può parlare

di trionfo dello Scopitone ameri-cano; sono davvero pochi i gran-di titoli da hit parade e ancor me-no gli autentici capolavori dellaforma-canzone - Ruby Baby diDion, The Lady is a Tramp di Bud-dy Greco, Spanish Harlem di BenE. King, These Boots... di Nancy Si-natra, Love for Sale di Frank Sina-tra Jr., The Lion Sleeps Tonightdei Tokens, Walk on By di Dion-ne Warwick, If di Timi Turo - maquanto basta alla sociologa Su-san Sontag per farle scrivere, nel1964, con il saggio Note sul camp,che i filmati in Scopitone sonouna parte imprescindibile dei ca-noni della cultura camp, la cui es-senza per lei «consiste nell'amoreper ciò che è innaturale: l'amoreper l'artificiale e per l'esagerato(...). Una sensibilità è quasi, manon del tutto, indescrivibile. Ognisensibilità che può essere racchiu-sa nella forma di un sistema, op-pure maneggiata con i grezzi mez-zi della prova, non è più una sen-sibilità. Si è concretizzata inun’idea». Tuttavia l'uso delibera-to, consapevole e talvolta sofisti-catissimo del kitsch nell'arte e ne-gli atteggiamenti, così come si de-linea nella «camp culture», valesolo in parte per gli scopitones.

Le parole della Sontag infatti suonano alcontempo come il canto del cigno perché -nonostante alcune migliorie tecniche come lascelta fa trenta titoli in ogni apparecchio op-pure l’immagine nitidissima con il sistemaColor-Sonics a 8mm dell’Official Films (cheusa persino i Paramount Studios a Hollywo-od) - lo Scopitone cede il passo al film-con-cert nelle sale ormai dotate di dolby-stereocon i successi dei lungometraggi MontereyPop (’68) di D.A. Pennebaker e di Woodstock(’70) di Michael Wadleight, seguiti da decinedi altre pellicole ora chiamate docu-rock, al-l’epoca neo camp (e definite appunto film-concert), oggi dimenticate o disponibili indvd, ma presentate come monografie di grup-pi o cantanti. Nonostante la carenza di dati ela cronica mancanza di un serio lavoro catalo-gatorio, sembra inoltre che l'ultimo scopito-ne ufficiale risalga al 1978, cronologicamente

a metà fra Bohemian Rhapsodydei Queen (‘75) e Video Killed theRadio Star dei Buggles (‘81) chesimbolicamente marcano i dueestremi della genesi dei videocliptelevisivi o in videocassetta, checambieranno radicalmente l’im-

maginario del sound giovanile,come non accade nemmeno conl’avvento più o meno coevo delcompact disc: avverrà solo in an-ni recentissimi grazie alla musicascaricabile. I clip prodotti nelmondo in questi trent’anni sonomilioni, mentre gli scopitones sicontano a decine, forse centina-ia, stando alla maggior raccoltadi filmati (e apparecchi) che sitrova al Belcant Theatre diNashville (Tennessee); la ristam-pa di questi materiali in dvd anto-logici o l'inserimento in internet,ne garantiscono la circuitazionee la conoscenza: un fenomeno co-munque legato al fervore media-le, artistico, commerciale e tecno-logico degli anni Sessanta.

Lo Scopitone, come già detto,raccoglie solo qualche divo pop,recuperando addirittura le stelledello swing e della torch song, per-sino del burlesque e dello strip-te-ase, tanto per rendere doppia-mente esplicite le intenzioni sexydei filmetti già pullulanti di go-go-dancer accanto ai musicisti;memorabili, nel senso della dram-maturgia, le performance dellaspogliarellista Joi Laising in Webof Love, contornata da altre seifanciulle, tra exotica e b-movie odi January Jones nel blues arm-stronghiano Up a Lazy River chediventa uno shake da lei cantatoe ballato «rigorosamente» in duepezzi. Il fine degli scopitones ame-ricani è di conquistare la popolari-tà con musichette fintamente ec-centriche, ma che possano risulta-re alla moda o sottilmente camp,come direbbe la Sontag; eccoquindi la prevalenza di motivi al-legri, veloci, ballabili, mentre lamessinscena insiste grosso modo

SCOPITONE

8) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

❙ ❙ P I A T T I A L V I N I L E ❙ ❙

Il fado elettricodella sardina tristedi Pi Erre

PARIGIChez L’Ami JeanRue Malar 27 (tel. 0033 01 47 0586 89). I francesi son maestri, sisa, nel vendere fuffa. Ma i tova-glioli griffati di questa piccola,straordinaria, trattoria, in questocaso sono il risultato della curadel dettaglio. Perché l’Ami Jeannon sbaglia un colpo. Lo chefStéphane Jégo propone, in undécor rustico e familiare, una cuci-na basca ardimentosa, in bilicotra tradizione e sperimentazionespinta. Purè di sedano e rapa,zuppe di verdura, carne eccezio-nale e salse di ogni tipo. C’è an-che un menu carta blanche, adiscrezione di Stéphane. La cartaè un rompicapo, con piatti comequesto (traduzione puntarelle-sca): «La donna del panettiere insamba, confettura di cipolla e cer-vello nocciolinato». Al di là dellebizzarrie, è una delle trattorie piùdivertenti e calorose di Parigi,omaggiata anche dalla nostra gui-da di riferimento, Le Fooding. Hail calore di un Bertrand Belin (no-vello Gainsbourg) e l’allegria diuna Zaz. Bonus: il menu a 38 eu-ro. Malus: bisogna prenotare duesettimane in anticipo (meglio an-dare a pranzo). Voti: cucina 8, am-biente 8, servizio 7.BARCELLONAMundialPlaça de Sant Agustí Vell, 1 (tel.0034 933 199 056). In una splen-dida piazzetta a un passo dal Mer-cato di Santa Caterina e dal Mu-seo Picasso, nel centro del Barriodel Born di Barcellona, si nascon-de il vociante Bar Mundial. Esistedal 1925 a conduzione familiaree nella sua confusione di luogoaffollato, trasuda godereccia alle-gria. Alle pareti, foto in bianco enero di pugili, lampade anni ‘30 euna miriade di tavolini piccoli eravvicinati. Il menu è a base ditapas di mare, seppie, merluzzi,baccalà, il buonissimo polpo arro-sto, gamberetti bolliti, gamberi eun tripudio di frutti di mare. Im-perdibile il «pan amb tomaquet»,ovvero il saporito pane e pomodo-ro catalano. Champion Sound deiCrystal Fighters, dai gusti spagno-leggianti, è il perfetto pendantd’allegria. Malus: prenotazionenecessaria. Bonus: pesce buono eben cucinato a prezzi modici. Voti:cucina 7, ambiente 7, servizio, 6.5LISBONAPateo 13Calçadinha de Santo Estêvão 13(tel 00351 218 882 325). È Alfa-ma il quartiere di Lisbona nel qua-le a ogni angolo ci si sente prigio-nieri di un fado ineluttabile e do-ve la malinconia atlantica raggiun-ge il massimo del suo splendoreingestibile. E allora eccola la ver-sione elettronica di Oxalà dei Ma-dredeus con la pungente voce diTeresa Salgueiro che si erge nel-l’aere. Qui tra le viuzze che salgo-no su dal Museo del Fado, non sipossono non gustare le sardinearrostite all’aperto di un angolodi felice sospensione nel tempo. Itavoli sono disposti sotto il cieloe sotto gli effluvi del barbecue,che non si spegne mai. Oltre allesardine, orate, tranci di pesce spa-da ma anche bistecche, pollettischiacciati e saporiti. Insieme aipiatti, tanta freschissima sangria.Bonus: atmosfera autenticamentelisboeta. Malus: poca varietà dipiatti. Voti: cucina 7, ambiente 8,servizio, 6.5.

www.puntarellarossa.it

su due filoni: da un lato illustra ve-rosimilmente il testo della canzo-ne; dall'altro inserisce al posto oaccanto a tale «realismo» tuttauna gamma di elementi femmini-li ultra-sexy, con immagini spintee licenziose, mai «oscene» secon-do la morale calvinista yankee,tra pin-up e donnine-calendario.Infatti quasi tutti gli Scopitone sta-tunitensi risultano un trionfo esa-gerato e un'ostentazione eccessi-va di procaci ragazze in bikini suc-cinti che si scatenato in twist oshake provocanti in mezzo a si-tuazioni orgiastiche, quasi a simu-lare coiti e orgasmi. La differenzacon i ben più castigati e un po’sessuofobi colorama italiani o imeno censurati scopitones fran-cesi e nordeuropei sta nella moda-lità d'uso e nel luogo di fruizione,con relative abissali divergenzenelle tipologie di clientele ches'avvicinano ai cine-jukebox.Mentre nelle città europee i caffèsono appannaggio di un pubbli-co generico per età, sesso, cultu-ra, ceto sociale, negli States i barhanno frequentazioni perlopiùmaschili: in particolare quelli do-ve, tra il ’62 e il ’68, vengono piaz-zati gli scopitone restano la metaprediletta di uomini adulti, sin-gle, maschilisti dalla bassa estra-zione socioculturale; presentan-do filmati con donne mezze nu-de, in un sistema dove ancor oggiè vietata la pubblicità di bianche-ria intima e con l'industria delporno ancora in fase embrionale,il consumatore assume una dop-pia complicità, viene attratto dal-le immagini (e dai suoni) a sosta-re a lungo nel bar, fermandosi aspendere in bevande e in gettoniper gli scopitones medesimi.

E tra questi scopitones, oltre lebellezze femminili da contempla-re voyeuristicamente, si trova an-che buona musica: il jazz anzitut-to con la tromba e l’orchestra diRay Anthony nel dixieland annac-quato Winchester Cathedral (al-l’epoca un successone, interpreta-to persino da Frank Sintara), labella voce di Kay Starr, per BillieHoliday «l’unica bianca in grado

di cantare i blues» nella swingan-te Around the World; ilrhythm’n’blues con il grottescoScreamin’ Jay Hawkins che restadietro le quinte per far posto auno stilizzato cartoon in Frenzy; ildoo-wap con i mitici DeltaRhythm Boys nei due So High soWide so Low e Come Softly to Me,entrambi senza donnine e con icinque «blacks» a bucare lo scher-mo; il surf con gli Hondells nel ve-loce Sea Cruise un po’ a imitazio-ne dei Beach Boys; il soul nerocon Vicky Anderson nella beatle-siana Yesterday e soprattutto LouRawls in una raffinata versionejazzata del vecchio St. LouisBlues; la pop song con Vikki Carrin Everything I’ve Got con unamessinscena che richiama il musi-cal West Side Story, in un effettivoclimax di parodistica citazione.Sotto quest’ultimo aspetto si tro-vano anche due autentici capola-vori di arte cinematografica, nona caso firmati dal regista RobertAltman (già autore dei telefilm Bo-nanza e Peter Gunn, ma assai pri-ma di Mash, Images, Nashvilleecc.). Altman, che pur si adatta agirare Ebb Tide, scopitone di mu-sica strumentale con la spogliarel-lista Lili St. Cyr, in posa da odali-sca, che lascia ben poco all’imma-ginazione, nell’attesa di un misterioso cavalie-re arabo che giunge a cavallo per sedurla nellatenda sul mare. Ma a guardare il cantante Bob-by Troup in Girl Talk e il trombettista Herb Al-pert in Bitterseet Samba si resta meravigliati difronte alla regia di Altman che pare riassume-re già tutto il suo cinema successivo: scene dimassa, profondità di campo, camera a mano,

riprese dal basso, angolazionisghembe, montaggio complesso,ritmo serrato (e al contempo esta-tico), fotografia curatissima nelletonalità, giochi ottici con la mac-china da presa, vicende spesso co-rali; in più c’è una forte vena ironi-ca in Bettersweet Samba dove unsimil Mr. Bean s’aggira al party incerca di facili conquiste; o comepure in Girl Talk in cui il cantante/pianista in smoking contempla icambi d’abito di splendide diverti-te modelle tra i camerini in unopsichedelico atelier, non senza ildebito di riconoscenza al Miche-langelo Antonioni di Blow Up.

Rapido declinoCiò che è ancora poco chiaro, nel-la storia dello Scopitone Usa, ri-guarda il declino del fenomeno intutti gli States, un declino rapido,cocente, forse imprevisto, che asua volta si può far risalire anzitut-to a problemi tecnico-economici:da un lato ci sono il costo di acqui-sto e di mantenimento di un ap-parecchio che all’epoca vale circal'equivalente di diecimila euro erichiede mezzo dollaro al giornoper il copyright dei brani. Dall’al-tro lo Scopitone crea qualche pro-

blema meccanico: per ammortiz-zare le cifre, le pellicole vannoproiettate di continuo, portandoa un rapido deterioramento e alconseguente blocco della macchi-na stessa; per spesare il possessodi una pellicola, va proiettata al-meno 160 volte in tutto, e per ilcopyright 10 passaggi al giorno.

Ma la questione va posta allesorgenti, ovvero a chi fin da subi-to crede e investe nel mezzo e nelbusiness che dovrebbe favorire abreve o lungo termine. Sono quat-tro gli attori di questa «comme-dia»: c'è innanzitutto George Wo-od che ottiene dalla William Mor-ris Agency la licenza per i primiduecento apparecchi da distribui-re nei bar: una cifra che entro die-ci anni, nelle sue intenzioni, do-vrebbe salire in fretta, superandoil numero di cinquemila. Tuttaviaa questo punto insorge il secondoattore, che, stando alle cronache,risulta essere la mafia americananel tentativo di controllare la ge-stione dello Scopitone sull'EastCoast. E ci sono infine gli attorimaggiormente inseriti nel mon-do dello spettacolo, con un giova-nissimo Francis Ford Coppola,già alle prese con i problemi del ci-

nema e dei media, ma entusiastadel mezzo e così ottimista per un«futuro scopitonico» da investiresomme ingenti nel commercializ-zare l’apparecchio a New York;sembra fargli da pendant, a LosAngeles, l'attrice/cantante Deb-bie Reynolds, protagonista undicianni prima del musical Singin’ inthe Rain (Cantando sotto la piog-gia), unica a operare davanti e die-tro lo schermo sonoro: oltre levendite dei cine-jukebox, è suo ilprimo scopitone americano, conuna versione jazzy mid-tempo diIf I Had a Hammer, che, pur affa-scinante per gli impasti timbrici ealla messinscena glamour, snatu-ra l’ordinario assunto dell’autorePete Seeger: un confronto con laversione acustica ritmata e urlatadi Peter, Paul & Mary al Folk Festi-val di Newport è schiacciante (afavore di quest’ultimi: anche inItalia, da canto di protesta diverràl’hit yé-yé Datemi un martello diRita Pavone). Dei quattro attori èla Cosa Nostra, legata a un paio diaziende di Scopitone, a creareproblemi alla Commissione Anti-mafia, presieduta da Robert Ken-nedy, che porterà tutti a chiuderei battenti attorno al 1969.

Cinquant’anni fa

nasceva

in Francia

una strana

«macchina

cinemusicale».

Rivale

della nostrana

Cinebox, prenderà

presto piede

anche negli Usa.

Ma era destinata

a scomparire

Alcuni esempidi Scopitonee di Cinebox.A sinistra con due«testimonial»d’eccezione,Gianni Morandie Neil Sedaka

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (9

10) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

❙ ❙ I T A L I A ❙ ❙

Sogni elettroniciper respiri noise

ON THE ROAD

Tre dischi ribadiscono gli ormai fre-quenti contatti fra Occidente e Giap-pone nelle nuove musiche soprat-tutto improvvisate. Il primo rientraperò nell’alveo classico, Landscape(Ecm) di Toshio Hosokawa, cinquan-tenne di Hiroshima, contempla in-fatti tre composizioni su quattro(1993, 2000, due 2008) in cui pro-tagonista è il shô, un fiato di originicinesi, qui superbamente suonatoda Mayumi Miyata, che rimanda aculture ancestrali, mentre le orche-strazioni dirette da Alexander Liebri-ch con la Münchener Kammeroche-ster conducono verso una suadentepost-dodecafonia dagli aromi nippo-nici. In Visions (Abeat) dei Gaia Qua-tro sono di scena gli argentini Gerar-do Di Giusto e Carlos Buschini ac-canto ad Aska Kaneko e TomohiroYahiro che qui (2004) si rifanno aun jazz moderno condito con spe-zie ethno-world dal sapore romanti-co. Infine, Marilena Paradisi e MichikoHirayama Prelude for Voice and Si-lence (Silta Records) presenta lavocalist italiana che s’avvicina inve-ce al concetto di free contemporaryimprovisation dove le due voci, fem-minile e maschile, offrono spazialitàai suoni e alle pause, fra respiri, atte-se, coinvolgimenti in ventidue brevi«capitoli» tanto estremi e struggen-ti. (Guido Michelone)

John GrantIl leader degli Czars in versionesolista torna in Italia per presenta-re dal vivo il suo disco d'esordio,Queen of Denmark.MILANO GIOVEDI' 10 NOVEMBRE (TEATRODAL VERME)ROMA VENERDI' 11 NOVEMBRE(AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA)

BOLOGNA SABATO 12 NOVEMBRE (COVO)

Aidan Moffat & Bill WellsL'ex Arab Strap e il compositore epolistrumentista presentano il di-sco Everything's Getting Older.ROMA LUNEDI' 7 NOVEMBRE (CIRCOLODEGLI ARTISTI)VILLANOVA DI CASTENASO (BO)MARTEDI' 8 NOVEMBRE (CHIESASANT'AMBROGIO)

Ryuichi SakamotoDi nuovo in Italia il grande musici-sta giapponese in un concerto perpiano, violoncello e violino, con luiJacques Morelembaum.FIRENZE GIOVEDI' 10 NOVEMBRE (TEATROVERDI)MILANO SABATO 12 NOVEMBRE(CONSERVATORIO SALA VERDI)

ApparatL'artista tedesco, guru dell'elettro-nica, in una versione live accompa-gnato da una vera band per pre-sentare il suo The Devil's Walk.BOLOGNA SABATO 5 NOVEMBRE (LINK)

Other LivesSono in cinque ma sembranoun'orchestra. Tra folk, psichedeliae pop, una delle rivelazioni del2011.MILANO MARTEDI' 8 NOVEMBRE (TUNNEL)

The RaptureUnica data italiana per il punk-funk e l’elettro-rock della band diNew York.MILANO LUNEDI' 7 NOVEMBRE (TUNNEL)

Explosions in the SkyUna sola data in Italia per la postrock band texana che presenta ilnuovo album, Take Care, TakeCare, Take Care. In apertura TheDrift.TREZZO D'ADDA (MI) MERCOLEDI'9 NOVEMBRE (LIVE)

EmaLa giovane e già apprezzata can-tante, autrice e chitarrista statuni-tense in Italia per presentare l'al-bum d'esordio.MILANO VENERDI' 11 NOVEMBRE(LA SALUMERIA DELLA MUSICA, CON WYEOAK E CALLERS)ROMA SABATO 12 NOVEMBRE (CIRCOLODEGLI ARTISTI)

Bob Dylan + MarkKnopflerSullo stesso palco il menestrello diDuluth e il chitarrista e leader deiDire Straits.PADOVA MERCOLEDI' 9 NOVEMBRE(PALASPORT)FIRENZE VENERDI' 11 NOVEMBRE(MANDELA FORUM)

ROMA SABATO 12 NOVEMBRE(PALALOTTOMATICA)

Butcher the BarAl secolo Joel Nicholson, cantauto-re delicato e intimista.MADONNA DELL'ALBERO (RA)MERCOLEDI' 9 NOVEMBRE (BRONSON)

BalmorheaLa band texana che fa capo a RobLowe e Michael Muller proponeun mix di post rock, folk e musicaclassica.PISA SABATO 5 NOVEMBRE (CARACOL)

CARPI (MO) DOMENICA 6 NOVEMBRE(MATTATOIO)

ROMA LUNEDI' 7 NOVEMBRE (INIT)

Grandmaster FlashUno dei precursori dell'hip hop.SEGRATE (MI) VENERDI' 11 NOVEMBRE(MAGNOLIA)

VerdenaTour invernale per la rock band.MARGHERA (VE) SABATO 5 NOVEMBRE(CS RIVOLTA)MILANO VENERDI' 11 NOVEMBRE(CS LEONCAVALLO)

RIMINI SABATO 12 NOVEMBRE (VELVET)

Virginiana MillerLa band livornese è tra le miglioriespressioni del pop rock italiano.BOLOGNA MERCOLEDI' 9 NOVEMBRE(ARTERIA)MILANO GIOVEDI' 10 NOVEMBRE (BIKO)

Time ZonesIl festival barese «sulla via delle mu-siche possibili» ha in programmaAzita e Vladislav Delay.BARI SABATO 12 NOVEMBRE (SANTA TERESADEI MASCHI)

Eastpak Antidote TourIl tour itinerante dedicato al posthardcore. Sul palcoA Day to Remem-ber, August Burns Red, The GhostInside e Living with Lions.MILANO DOMENICA 6 NOVEMBRE(ALCATRAZ)

Mojo StationIl blues festival propone per staseraThe Blues Against Youth e MarcoPandolfi Duo (a seguire dj set diGianluca Polverari) e, domani OneMan 100% Blues e Neo.ROMA SABATO 5 E DOMENICA6 NOVEMBRE (CLOCKWORK, JAILBREAK)

Aperitivo in concertoLa rassegna milanese apre con ildebutto italiano di Dave Holland &Pepe Habichuela Flamenco Quintet.MILANO DOMENICA 6 NOVEMBRE (TEATROMANZONI, ORE 11)

Nuovi campioni del jazzUn breve tour in tre date del sasso-

fonista americano di origine indianaRudresh Mahanthappa. Il pianistaindostatunitense Vijay Iyer si esibi-sce in solo per Musicus Concentus.PESCARA LUNEDI' 7 NOVEMBRE (TEATROMASSIMO)PADOVA MARTEDI' 8 NOVEMBRE(DA DEFINIRE)

MAROSTICA (VI) MERCOLEDI'9 NOVEMBRE (PANIC JAZZ CLUB)

FIRENZE VENERDI' 11 NOVEMBRE (SALAVANNI)

Roma Jazz FestivalXXXV edizione per la rassegna capi-tolina. In programma Dave Holland& Pepe Habichuela Flamenco Quin-tet, Mike Stern Band , Roberto Gattonel suo omaggio al rock progressi-ve.ROMA MARTEDI' 8, GIOVEDI' 10E VENERDI' 11 NOVEMBRE (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Jazz GrooveLa rassegna si apre con il FrancescoBearzatti Tinissima Quartet nellasua X (Suite for Malcolm).MESTRE (VE) GIOVEDI' 10 NOVEMBRE(AUDITORIUM CENTRO CULTURALE CANDIANI)

C(h)ordePrimo appuntamento per la rasse-gna «Suoni tra cielo e terra». In pro-gramma il cantautore britannicoFink.ROMA LUNEDI’ 7 NOVEMBRE (CHIESAEVANGELICA METODISTA)

BrancaleoneLo storico centro sociale romano hain programma questa sera SpeedyJ, e ancora dal Sudafrica Haezer(l'11) e il re della dubstep made inUk, Kode 9 (il 12; questa sera saràal Bronson di Madonna dell’Albero,provincia di Ravenna).ROMA SABATO 5, VENERDI' 11 E SABATO12 NOVEMBRE (CS BRANCALEONE)

a cura di Roberto Peciola con Luigi Onori (jazz)(segnalazioni: [email protected])

Eventuali variazioni di date e luoghi sonoindipendenti dalla nostra volontà.

Mettete insieme Sammy Hagar,colui che ha preso il posto di DavidLee Roth nei Van Halen, il bassistadi quella stessa band, Michael An-thony, un batterista come ChadSmith, da sempre nei Red Hot ChiliPeppers, e Joe Satriani, uno deichitarristi più gettonati tra chi ama ivirtuosismi e avrete un supergrup-po. Una formazione che rispondeal nome di Chickenfoot e che ha ap-pena pubblicato per Reprise il se-condo lavoro, dal fuorviante titoloIII... Puro rock in salsa hard, nientedi più niente di meno. Chi ama ilgenere apprezzerà, tutto è fattocon misura e con i segreti del me-stiere che i quattro portano in dote.Ma a noi sfugge il senso... Altro giroaltro supergruppo, si chiamanoKing Mob e il loro esordio è Force 9(Steamhammer/Audioglobe).Rock’n’roll à go-go. D’altronde inomi che compongono questo su-pergruppo non lasciano dubbi:Chris Spedding alla chitarra, il gran-de Glen Matlock al basso, il redivi-vo Martin Chambers alla batteria eSnips alla voce, accompagnati dauna nuova stella del chitarrismo,Sixteen. Force 9 è uno di quei di-schi che metti nel lettore e nonfanno danni ma che, altrettantodifficilmente, ti resteranno nellatesta e nel cuore. (Roberto Peciola)

Le Maschere di Clara sono tre ragazzidi Verona. Il loro album d’esordio,Anamorfosi (Black Widow), è un’in-teressante sintesi tra rock dalle ve-nature heavy, noise e reminiscenzeclassiche (con derive che fanno pen-sare anche al prog). Qualche peccanella voce, non sempre «in tono» enei testi a volte troppo «ricercati».Altre latitudini per il secondo lavorodei napoletani Atari, Can Eating HotStars Make Me Sick? (Suonivisioni/Audioglobe). Indietronica dal marca-to sapore pop, decisamente benstrutturata, che potrebbe compete-re con molti più celebrati lavori diartisti stranieri; da ascoltare WhiteDreams e If My Brain was a Pro-gram. Risaliamo fino a Pavia pertrovare il nuovo lavoro dei News forLulu, They Know (Urtovox/Audioglo-be). Dal post rock degli esordi vira-no verso un gradevole (ma nientepiù) indie pop-rock di matrice statu-nitense, con Wilco nel cuore e nellamente. Qualche chilometro e si arri-va a Milano, città cantata con intelli-genza e acutezza (nei testi e neisuoni) da Fabrizio Coppola nel suoWaterloo (Artevox/Venus), tantoche il brano Respirare lavorare èstato scelto per la sua campagnaelettorale dall’attuale assessore allacultura del capoluogo lombardoStefano Boeri. (Brian Morden)

Active Child - You Are All I See (Vagrant/Go-odfellas)Adele - Live at the Royal Albert Hall, dvd +cd (Xl Recordings/Self)Brett Anderson - Black Rainbows (Ear Music/Edel)Olof Arnalds - Olof Sings (One Little Indian/Self)Atlas Sound - Parallax (4AD-Beggars/Self)The Beets - Let the Poison Out (Hardly Art/Audioglobe)Bonnie Prince Billy - Wolfroy Goes to Town(Domino/Self)Kate Bush - 50 Words for Snow (Emi)Caged Animals - Eat Their Own (Lucky Num-ber/Cooperative Music)Fabrizio Cammarata & The Second Grace -Rooms (Via Audio Records/Venus)Neal Casal - Sweeten the Distance (Fargo-Naïve/Self)Dirty Projectors & Björk - Mount WittenburgOrca (Domino/Self)Brian Eno - Panic of Looking, ep (Warp/Self)Five Finger Death Punch - American Capita-list (Spinefarm/Cooperative Music)Frei - Sulle tracce della volpe (Aidoru/Au-dioglobe)Joker - The Vision (4AD-Beggars/Self)Kele - The Hunter, ep (Wichita-Pias/Self)King’s Daughters & Sons - If Then not When(Chemikal Underground/Audioglobe)Leningrad Cowboys - Buena Vodka SocialClub (Spv/Audioglobe)Cass McCombs - Humor Risk (Domino/Self)Meshell Ndegeocello - Weather (Naïve/Self)Odonis Odonis - Hollandaze (Fat Cat/Self)Mike Patton - The Solitude of Prime Num-bers (Ipecac/Goodfellas)Peaking Lights - 936 (Domino/Self)Piccoli Omicidi - Ad un centimetro dal suolo(Still Fizzy Records)Piet Mondrian - Purgatorio (Urtovox/Audio-globe)Bill Ryder-Jones - If... (Domino/Self)Sick Tamburo - A.I.U.T.O. (La Tempesta)Sigur Rós - Inni, dvd + 2 cd (Krank/Self)Laura Veirs - Tumble Bee (Bella Union/Coo-perative Music)Voivod - To the Death 84 (Alternative Ten-tacles/Goodfellas)

YuckPower pop in salsa lo-fi per laband inglese.MILANO LUNEDI' 7 NOVEMBRE (ROCKET)

Dub SyndicateIl reggae e il dub rivisto alla manie-ra del combo londinese.BOLOGNA SABATO 12 NOVEMBRE(LOCOMOTIV)

William FitzsimmonsUna data per il cantante e autore.TORINO SABATO 5 NOVEMBRE (BLAH BLAH)

SightingsNoise estremo per il trio Usa.JESI (AN) SABATO 5 NOVEMBRE (TNT)

ROMA DOMENICA 6 NOVEMBRE(DAL VERME)

MILANO LUNEDI' 7 NOVEMBRE (LO-FI)

The Subways + TwinAtlanticIndie rock'n'roll con le due forma-zioni britanniche.MILANO GIOVEDI' 10 OTTOBRE (TUNNEL)

CONEGLIANO VENETO (TV) VENERDI'11 NOVEMBRE (APARTAMENTO HOFFMAN)

DownpilotLa creatura del polistrumentista diSeattle Paul Hiraga, tra folk e «ame-ricana sound.BOLOGNA SABATO 5 NOVEMBRE (ILRIFUGIO DEL NEURONE)

The FuzztonesLa storica garage rock band di RudiProtrudi.SAN FORTUNATO DELLA COLLINA (PG)SABATO 5 NOVEMBRE (NORMAN)SAVIGNANO SUL RUBICONE (FC)DOMENICA 6 E LUNEDI' 7 NOVEMBRE(SIDRO)

And so I Watch You fromAfarLa band irlandese si dedica a unpost rock sull'onda dei Mogwai.ROMA DOMENICA 6 NOVEMBRE (TRAFFIC)

SEGRATE (MI) LUNEDI' 7 NOVEMBRE(MAGNOLIA)

UlverIl progetto di Stian Westerhus deiJaga Jazzist.TORINO GIOVEDI' 10 NOVEMBRE (SALAESPACE)ROMA VENERDI' 11 NOVEMBRE (CIRCOLODEGLI ARTISTI)

PARMA SABATO 12 NOVEMBRE (TEATROREGIO)

Xeno & OaklanderUna data per il duo minimal wavefranconorvegese.MIRANO (VE) SABATO 12 NOVEMBRE(MOON)

Gala DropPsichedelia e funk per la band diLisbona.TORINO DOMENICA 6 NOVEMBRE (VELVET)

FORLI' MERCOLEDI' 9 NOVEMBRE(DIAGONAL)

GENOVA GIOVEDI' 10 NOVEMBRE(LA CLAQUE)

VALEGGIO SUL MINCIO (VR) VENERDI'11 NOVEMBRE (VILLA ZAMBONI)

Is TropicalIl trio electro inglese in Italia perpresentare l'album Nativ to.MILANO VENERDI' 11 NOVEMBRE (PLASTIC)

As I Lay DyingMetal core dalla California.RONCADE (TV) MARTEDI' 8 NOVEMBRE(NEW AGE)

Mika VainioLo sperimentatore elettronico fin-landese, metà dei Pan Sonic.MILANO GIOVEDI ' 10 NOVEMBRE(CS LEONCAVALLO)TORINO VENERDI' 11 NOVEMBRE(EL BARRIO)

ROMA SABATO 12 NOVEMBRE(DA DEFINIRE)

The SkatalitesSka, rocksteady, reggae, la band daquarant’anni cavalca l’onda musica-le giamaicana.MILANO SABATO 12 NOVEMBRE(CS LEONCAVALLO)

AA. VV.DUBSTEP ALLSTARS VOL. 08 - MIXED BY DISTANCE

(Tempa)

★★★ Qual è la concezione del dubstepdi Distance? Per il dj e producer londine-se si tratta di un ritmo teso, spigoloso eoltremodo oscuro - vari i brani firmatidall’autore del mix e, come nei suoi al-bum, in più di uno viene fuori il suo pas-sato heavy metal. E fin qui nessuna novi-tà di rilievo. L'aspetto originale di questomix è che il dubstep per lo più non spin-ge a movimenti elettrici ma si occupa dicreare un'atmosfera, un sottofondo sini-stro, da film horror più che mai contem-poraneo. Una fotografia originale deldubstep che spinge a concentrarsi suisuoni di un ritmo ancora in salute. (l.gr.)

AA. VV.RUGGINE (Gibilterra/Radiofandango/Edel)

★★★ La colonna sonora del film di Da-niele Gaglianone, Ruggine, contienemusiche di Evandro Fornasier, WalterMagri e Massimo Miride. Musiche di at-mosfera, spesso cupe e inquietanti. Cisono poi i titoli di coda, con la stupendacanzone Un campo lungo cinematografi-co, scritta e cantata da Vasco Brondi,alias Le Luci della Centrale Elettrica. Ilpezzo è irrobustito dalla collaborazionecon Rachele Bastreghi, bassista e secon-da voce dei Baustelle. Da custodire comeuna gemma preziosa. (g.lu.)

CONDUCTION3CONDUCTION3 (nBn records)

★★★ Il nome dell’album è anche allabase di questo nuovo progetto del giova-ne jazz italiano: maggior responsabile è ilbatterista Carlo Alberto Canevali, il qualechiama, accanto a sé, il russo Yuri Golou-bev al contrabbasso e l’esperto AchilleSucci, qui diviso tra clarinetti e sax alto. Aparte Listen Visa Till Karin (Linton) e Natt(Jormin), gli altri pezzi sono ripartiti fra lasezione ritmica che qui ovviamente hauna funzione propulsiva non solo rispet-to all’unica voce solista, ma soprattuttoverso il senso ultimo dell’intero lavoro,un lavoro in riuscito equilibrio tra scrittu-ra e improvvisazione, côté melodico espunti free. (g.mic.)

DOWNPILOTNEW GREAT LAKES (Tapete/Mutante Inc.)

★★★ Downpilot è la creatura del poli-strumentista di Seattle Paul Hiraga e NewGreat Lakes è il suo quarto album. Quiper la prima volta fa tutto solo (anchemolti degli strumenti sono self-made). Ilmood è intimo e si rifà al sound «ameri-cana», i brani sono tutti di pregevole fattu-ra con un paio di eccellenze, tra questi losplendido pezzo che apre il cd, Edge ofthe Flood, che in alcuni passaggi ricordail neoprog acustico à la Steven Wilson, ela dolce NY Stories. (r.pe.)

KASABIANVELOCIRAPTOR! (Columbia/Sony)

★★ Che Delusione! Sì, proprio con la Dmaiuscola. Se la nostra recensione delprecedente West Ryder Pauper LunaticAsylum cominciava con la stessa formula,ma al posto di «Delusione» c’era «Disco»,dopo vari ascolti di questo nuovo attesoalbum dei Kasabian, proprio non riuscia-mo a convincerci di un tale passo indie-tro, tanto compositivo quanto di arrangia-menti. In Velociraptor! non siamo riuscitia scovare nessuna di tutte quelle qualitàche avevano fatto del precedente unodei migliori lavori del 2009. Tutto risultapiatto e maledettamente scontato, tuttotroppo logico. Paura di osare? (r.pe.)

PABLO LEDESMA & ENZOROCCOSEIS EPISODIOS EN BUSCA DE AUTOR (Setola di

Maiale)

★★★ L’etichetta dedita, per sua stessadefinizione, alle «musiche non convenzio-nali» dà spazio a interessanti protagonistidell’improvvisazione, tutta gente che hamaturato esperienza e capacità empaticanel confronto con l’altro. Come EnzoRocco, chitarrista di Crema, veteranodegli incontri a due: basterebbe rammen-tare quelli con Lol Coxhill o con CarloActis Dato. Il nostro qui è registrato indue distinte occasioni di un recente tourargentino, a La Plata: le corde elettriche aconfronto con il sassofono intenso espericolato di Pablo Ledesma. La concen-trazione assoluta del duo garantisce esitisplendidi. (g.fe.)

❙ ❙ R O C K ❙ ❙

Supergruppiall’attacco

❙ ❙ I M P R O ❙ ❙

Aromi giapponesicontemporanei

GUIDO FESTINESE, LUCA GRICINELLA, GABRIELLE LUCANTONIO, GUIDO MICHELONE, ROBERTO PECIOLA

IN USCITA A NOVEMBRE

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (11

di Matteo Patrono

Il 1961 è un anno nel quale,per la prima volta, succedono unmucchio di cose. Il primo concertodei Beatles al Cavern Club, il primo45 giri dei Beach Boys (Surfin’), il pri-mo contratto discografico firmato daBob Dylan con la Columbia Records.Jurij Gagarin è il primo uomo a vola-re nello spazio, nelle edicole america-ne esce il primo numero dei Fantasti-ci Quattro e Leonard Kleinrock pub-blica il primo articolo sulla commuta-zione di pacchetto, la tecnologia chesarà alla base di internet. A Berlinoposano il primo mattone del muro,in Vietnam sbarcano i primi soldatiamericani. Mentre a Birmingham, inAlabama, Carl Lewis tenta il primosprint della sua vita dentro la culla, aManchester, minuscolo paesino delConnecticut, una ragazza appenamaggiorenne sfida il gli stereotipi del-la società americana. E’ il 23 novem-bre, il giovedì di Thanksgiving, e JuliaChase-Brand partecipa clandestina-mente a una corsa di 7 km e mezzoriservata a soli uomini. E’ la primadonna a cimentarsi non solo con gliuomini ma soprattutto con una garasulla lunga distanza. Fino ad alloraera ottusa opinione comune che ledonne non potessero correre più diun km, pena la perdita della loro fem-minilità e nientemeno della loro ca-pacità riproduttiva. Nonostante i ten-tativi di fermarla da parte dei giudici,Julia completa la sua gara lasciando-si alle spalle una decina di maschi. Fi-nisce sui giornali, indica la strada da(per)correre a quelle che verrannodopo di lei. Dopodichè decide di oc-cuparsi d’altro e saluta.

Cinquanta anni dopo, Julia Cha-se-Brand ha deciso di tornare sullestrade che la resero una piccola pio-niera dello sport femminile. Il 24 no-vembre correrà nuovamente la Man-chester Road Race. Stesso grembiuli-no del college del ’61, qualche toppaqua e là. Le ginocchia un po’ malan-date, 69 primavere e il desiderio di fe-steggiare con chi la accolse allora e

con chi ha raccolto il suo testimone.Il merito di aver riscoperto la bellissi-ma storia di Julia è del New York Ti-mes che l’ha scovata nel reparto dipsichiatria ambulatoriale delLawrence and Memorial Hospitaln(New London, Connecticut) dove la-vora come direttore medico, alla vigi-lia della Maratona di NY che si corredomani. Il Times ha un legame parti-colare con lei. Negli anni cinquanta,il papà della ragazza, lo scrittoreJohn W. Chase, recensiva libri per ilgiornale. Fu lui ad iniziare Julia allacorsa tra gli alberi e i laghetti dellafattoria della nonna a Groton. Lei an-dava a caccia di rane, granchi e tarta-rughe, giocava a baseball coi fratelli,correva fino a scuola (un miglio emezzo) quando perdeva il bus oppu-re ci andava in canoa attraverso unapalude salata. Quando la ragazzinacomincia a vincere le prime gare divelocità, il papà non mostra grandeinteresse. «Forse ti andrebbe di pro-vare il tennis, cara?». Julia allora si in-trufola al circolo del golf e si mette al-le calcagna di due maratoneti che siallenano lungo il green. Uno è il cam-pione nazionale John J. Kelley, giàvincitore della maratona di Boston.L’altro si chiama George Terry e deci-de di allenare personalmente quellaragazzina che mette in imbarazzo isoci del club. Nel luglio del 1960 la fapartecipare ad una gara sui mille me-tri iscrivendola con una falsa residen-za perché le donne del Connecticutnon potevano partecipare. Un assur-do divieto che l’Amateur AthleticUnion (Aau) estende in quegli anni atutto il paese seguendo l’esempiodelle Olimpiadi dove le atlete nonpotevano correre su distanze più lun-ghe di mezzo miglio perché, secon-do una parte della medicina ufficia-le, un simile sforzo poteva portare al-la perdita dell’utero.

Julia la sua corsa la vince a manibasse e pochi mesi più tardi parteci-pa ai trials di qualificazione olimpicain Texas. Il fratello gli presta i panta-loncini, la maglietta e delle scarpe dacorsa enormi, appiccicate ai piedicol nastro adesivo. Vede sfrecciare alsuo fianco Wilma Rudolph, la donnapiù veloce del mondo e per non ave-

re intralci lei gareggia senza reggise-no. Nessuno ci fa caso perché finiscedecima e non si qualifica per i giochi.A fine anno prova per la prima voltaa correre la Manchester Road Race,una gara ideata nel 1927 da tale Fran-cis Duke Araburda, capitano dellasquadra di cross-country della Man-chester High School. E’ una gara fa-mosa, la più importante per parteci-pazione negli stati del nord-est dopola maratona di Boston. I tempi nonsono ancora maturi e gli ufficiali digara le impediscono di gareggiare. Ju-lia però non demorde, la disobbe-dienza civile è nel dna della sua fami-glia. La bisnonna Mary Foulke Morri-son era stata una leader delle suffra-gette e il bisnonno William DudleyFoulke presidente della AmericanWoman Suffrage Association alla fi-ne dell’800. Così nell’autunno del1961 Julia si iscrive ufficialmente allacorsa di Manchester avvertendo gliorganizzatori e la Aau che intende in-fischiarsene del loro divieto. La stam-pa comincia a interessarsi al suo ca-so con occhio accondiscendente euna dose abbondante di paternali-smo. «Fate largo maratoneti, si intro-mette una ragazzina del college», tito-lano i giornali sottolineando che laragazza è carina, intelligente, simpa-tica, assolutamente femminile. Lifele dedica un servizio con lei che si ar-rampica su un albero. Titolo: «Unmaschiaccio sul ramo». Sommario:«La ragazza corre 4 miglia al giorno ecompleta la corsa facendo la ruota eun po’ di ginnastica ritmica, talvoltaarrampicandosi su un albero». DalSud Africa e dal Giappone arrivanoattestati solidarietà, un nudista polac-co reclama un calco del suo piede.

Tutta quell’attenzione, inaspetta-ta, la mette un po’ in difficoltà. «Ledonne non corrono, io corro. Cosasono dunque?». In realtà fuori dagliStati uniti le donne corrono eccomee anche in America qualcosa stacambiando. A sostenere la sua causasi presenta il dottor Charles Rob-bins, due volte vincitore della corsa,uno convinto che anche le donneavessero diritto alla forma fisica pro-messa dal neo-presidente John Fitz-gerald Kennedy. «Lo sport femmini-

le è il futuro, è solo questione di tem-po». Infatti il giorno della gara altredue ragazze si presentano alla par-tenza con Julia, dopo averne lettosui giornali. Una, Chris McKenzie èuna campionessa inglese 30enneche ha appena partorito un bambi-no e arriva coi pantaloni della tutadel marito, Gordon McKenzie, exolimpionico. La moglie esibisce unamaglietta con su scritto «Se possoportare in grembo un bambino pernove mesi, posso correre dieci km».L’altra è una studentessa 18enne diManchester, Dianne Lechausse, dimestiere ballerina. Al via, oltre a lo-ro, ci sono 138 uomini.

Gli organizzatori, preoccupatissi-mi, le fanno accomodare sul marcia-piede. Julia, che ha una fascetta in te-sta, una divisa scolastica e una croceal collo, gesticola, si anima, discute.«Vedete, mica mi sono mascheratada maschio. Sono qui come donna,con la mia gonna, i capelli appenafatti, il rossetto sulle labra. Io oggicorro». Quindi prende le altre due, siconfondono nella folla e alla primaoccasione si buttano in mezzo algruppo dei corridori. Questa voltanon le ferma nessuno. McKenzie èla prima ad arrivare al traguardo mapreferisce correre gli ultimi 20 metrisul marciapiede, trafelata, col timoredi essere squalificata a vita. Julia inve-ce arriva in 33 minuti e 40 secondi,128esima, dieci uomini che arranca-no alle sue spalle. Lechausse chiudeultima in 42’12’’. Il giorno dopo ilNyt titola «Tre donne battono alcuniuomini». In alcune edizioni il dispac-cio dell’Ap non c’è, sostituito da unarticoletto su una corsa di cavalli aNew Orleans.

Julia promette all’Aau che non di-sturberà più i colleghi uomini con-vinta che non si possa più tornare in-dietro dopo quello che è successo. Einvece no, ancora per 13 lunghissimianni gli organizzatori della Manche-ster Road Race continueranno a ne-gare alle donne il sacrosanto dirittodi correre come e quanto vogliono.«Scusate, non abbiamo i soldi perpremiare anche voi. E poi chi paga i

lavori per costruire i vostri spogliato-i…?». Il muro cade finalmente nel’74, grazie a picchetti e azioni di pro-testa la corsa viene finalmente aper-ta a tutti e tutte. Su 1093 iscritti ci so-no una cinquantina di donne. Cyn-thia Wadsworth, campionessa licea-le, vince in 29’10’’. Non la premianessuno, ci penserà tre anni dopoAmby Burfoot, che le regala il televi-sore ricevuto in premio per aver vin-to la gara due volte di fila. Passanoun altro po’ di anni e la maratonafemminile fa il suo esordio alle Olim-piadi di Los Angeles nel 1984. Quelgiorno Julia è davanti alla tv, vede Jo-an Benoit Samuelson tagliare il tra-guardo felice, lei piange come unabambina. «Joan ringraziò tutte ledonne che le avevano permesso diarrivare fin lì. Io l’ho preso come ungrazie molto personale. Fossi natadieci anni più tardi, forse ci sarei sta-ta io al suo posto».

Nel frattempo però Julia ha cam-biato vita. Ha rinunciato all’atleticadopo aver fallito l’appuntamentocon i trials olimpici del ’64 e ha sco-perto una nuova passione. I pipistrel-li. Si laurea in biologia e concentra isuoi studi di dottorato sui chirotteri.Li segue dagli alberi di Central Park fi-no alle montagne di Trinidad, dovearriva a contare 80 specie diversecamminando sopra 5 metri di caccadi pipistrello. Poi li insegue a Pana-ma, in Sud America e in Australia di-mostrando che quelli volano non so-lo grazie agli ultrasuoni ma anche at-traverso la vista. Passa giornate inte-re sdraiata di schiena a osservarli e a28 anni i medici le diagnosticano lasclerosi multipla. E’ costretta a rinun-ciare al sogno di laurearsi anche inmedicina, senonchè dopo 7 anniquegli stessi medici le comunicanoun piccolo errore. «Scusa, ci erava-mo sbagliati. Eri sana come un pe-sce». Poco male, Julia riprende a cor-rere, in strada e nella vita. Dopo 25anni da biologa, decide che vuole fa-re la psichiatra infantile e nel ’96 silaurea all’ Albert Einstein College ofMedicine, nel Bronx. Ha 53 anni, è lapiù vecchia del corso. «Le donne del-la mia famiglia hanno vissuto fino a90 anni e non hanno perso colpi finoa 89 – sorride il giorno del diploma –credo di avere ancora qualche annoper divertirmi».

E infatti rieccola qua pronta a cor-rere di nuovo la corsa che le cambiòla vita. «Completare quella gara fuun momento decisivo per me. Capiiche se fossi riuscita a gestire quel ti-po di pressione, avrei potuto farequalunque cosa nella vita, essereme stessa e sentirmi libera. Propriocome quando correvo e credevo diessere un gran bel animale».

Nel novembre 1961 una ragazzina del Connecticut partecipa

clandestinamente a una gara maschile di 7 km sfidando

gli stereotipi di un mondo che vietava alle donne di correre

le lunghe distanze per non perdere la loro femminilità.

Un atto di disobbedienza civile che cambiò la storia dello sport

Lotta nella Chiesa, Gesù fuori campo.Che diavolo succede nella Chie-sa cattolica italiana? Grosso mo-do, ciò che accade nella Societàpolitica italiana: timide riforme,sfacciate controriforme, divisio-ne, declino.Raffaele A. mi racconta la cresi-ma della figlia in San Marcellinoe Pietro a Roma (la chiesa dellastatua della Madonna fatta a pez-zi dai Black Bloc sabato 15 otto-bre 2011). Ha letto Il progetto diGesù, il libro che ho scritto conLuis Razeto e si trova sui nostrisiti, ed è ancora estasiato dal ve-scovo - che di Gesù ha datoun’immagine umanissima, appa-rentemente vicina a quella coltanel nostro libro.Il parroco di San Marcellino ePietro, ricordato con veemenzal’atto sacrilego, ha rivelato chelascerà la statua rotta, perché ungiorno quei ragazzi possano rive-derla e pentirsene. «È uno chebacchetta».Il vescovo ha parlato, invece, dimisericordia, di partecipazione,di festa, di gioia. Affetto dal mor-bo di Parkinson, gli tremavanole mani, ma nel momento ritua-le cruciale compiva un gesto fer-mo e sorridente. «È uno che ab-braccia».«Mi pare si chiami Brandolini»aveva concluso Raffaele.Tornato a casa, navigo su Wikipe-dia e leggo: Luca Brandolini diMontecompatri, nato nel 1933,«nel 2007 criticò il motu proprioSummorum Pontificum di papaBenedetto XVI». Cerco e trovo unarticolo di Sandro Magister: «16luglio 2007. (…) Tra i liturgisti, ilpiù accorato nel contestare il mo-tu proprio papale è stato LucaBrandolini, vescovo di Sora, Aqui-no e Pontecorvo e membro dellacommissione liturgica della con-ferenza episcopale italiana, inun'intervista al quotidiano la Re-pubblica: «Non riesco a trattene-re le lacrime, sto vivendo il mo-mento più triste della mia vita divescovo e di uomo. È un giornodi lutto non solo per me, ma peri tanti che hanno vissuto e lavora-to per il Concilio Vaticano II. Èstata cancellata una riforma».Il parroco e il papa da una par-te, il vescovo e Raffaele dall’al-tra. E Gesù?Gesù ne ha per gli uni e per glialtri, e nel nostro libro parla ai«discepoli» (agli amici) così: «Noisiamo un movimento itinerante,che non ha un posto fisso, chenon s’arrocca su una montagnadalla quale guardare il mondodall’alto in basso. (…) E in quantoall’identità, questa non si costrui-sce attorno a un centro, a una isti-tuzione, ma si distende e articolacome una rete nella quale ognipartecipante è un centro, ognipiccolo gruppo è un nodo. (…) Vistate immaginando la comunitànostra come esemplata sull’Impe-ro, o improntata su un esercito,uno Stato, un partito, una mafia,con delle strutture burocratiche egerarchiche. Strutture di potereche tendono a conformare le per-sone a un ordine costituito. Diquesto ordine vi auto-eleggetecapi e, per assicurarvi che nessu-no metta in discussione l’organiz-zazione, ne sacralizzate le struttu-re e le procedure. Ma come? Inve-ce di costruire qualcosa che ciavvicini tutti un po’ di più al no-stro Padre celeste, una religionedella conoscenza, della fraternitàe della libertà, nella quale fiorisca-no e crescano donne e uominicreativi, autonomi e solidali, viinventate una religione di creden-ze, di norme e di rituali che produ-ce adepti, docili e praticanti?»

www.pasqualemisuraca.com

Julia Chase-Brand in cima a un albero per «Life».In basso, mentre si allaccia le scarpe il giorno della corsa

■ CHASE-BRAND ■ UNA STORIA AMERICANA ■

Julia, pionieradella corsa libera

di Cecilia Bello Minciacchi

La forza della poesia diAdrienne Rich è nella consapevo-lezza di non potersi tirar fuori dal-la Storia, nel sapere che mai, sot-to nessun cielo, nessuna genera-zione giunta all’età della ragionepotrà pensare/dire/scrivere ditrovarsi in un mondo che non hacontribuito a costruire. Ogni pre-tesa d’innocenza, ai suoi occhi,sarebbe fallace. Da decenni lasua poesia richiama se stessa –autrice e lettori – alla responsabili-tà di un agire politico vasto, chemuove dai minimi gesti del quoti-diano, dalle scelte private. Comedire che la Storia, con tutta la suacomplessità, le sue ambiguità e isuoi nodi che resistono scorsoi,va interpretata, oltre che compiu-ta, nella trasparenza di un dettatomateriale che pone senza sostainterrogativi etici, che illumina ilpubblico col privato e viceversa.Etica è, in lei, la pratica della scrit-tura, assidua, fecondissima se sipensa ai venti libri di poesia e ainumerosi saggi teorico-critici chehanno accompagnato la sua do-cenza in università americane.

Eppure della poesia di Adrien-ne Rich in Italia si sa poco, e pocola si legge, fatti salvi l’ambientespecialistico degli studi di generee le letture di qualche poeta piùavvertito, che l’annovera, comeElisa Biagini, fra le poetesse di ri-ferimento, insieme a Emily Di-ckinson, Sharon Olds, Sylvia Pla-th e Anne Sexton. Negli Stati Uni-ti, dove Rich è nata (Baltimora1929), figlia di madre «gentile» epadre ebreo, la sua fama è mag-giore, ma scomoda la sua figurapacifista. Carismatica la sua mili-tanza nell’evoluzione del pensie-ro femminista e nel riconosci-mento del lesbismo; elaborate econsistenti le sue riflessioni su po-sizioni divergenti, tra femmini-smo bianco statunitense (o lata-mente occidentale) e femmini-smo nero afroamericano. A lungoletto e discusso, da noi, il suo sag-gio sulla maternità: Nato di don-na (traduzione di Maria TeresaMarenco, Garzanti 1977, più vol-te ristampato). Benché focali,questi temi non compendiano,tuttavia, la scrittura poetica diAdrienne Rich. Nella sua produ-zione in versi, che conta ses-sant’anni di attività, avendo leiesordito poco più che ventennenel 1951 con un libro prefato daW.H. Auden, A Change of World, itemi sono vastissimi: insiste, in-tanto, sull’essere nel mondo, sul-

lo scegliersi una «posizione», sul-la presenza diffusa e taciuta dellaguerra, sulla prevaricazione delmercato globale, sulla responsabi-lità personale e collettiva, sul-l’omosessualità, sull’amore – cheriesce a trattare in modo incisivoe non stucchevole –, sul rapportopolitico del soggetto con se stes-so e con l’altro. Sulla coincidenza– e torniamo alla forza evidente,cristallina dei suoi versi – tra attoprivato e atto pubblico. E per que-sto spesso convoca il lettore, gli sirivolge senza mediazione, oppu-re usa voci plurali. Un «teatro divoci», come ha intitolato, citando-la, Maria Luisa Vezzali, l’introdu-zione al volume di poesie diAdrienne Rich curato per Crocet-ti, La guida nel labirinto (pp.157, € 18,00).

Ciò che in Italia si sa e si leggedi Adrienne Rich – contro il pocodi cui si diceva, un poco che purlimitato non è elitario – si deve so-prattutto al lavoro di figure comeMaria Luisa Vezzali, poetessa an-che lei, o come Liana Borghi, do-cente di letteratura angloamerica-na che alla teoria e alla poesia del-la Rich ha dedicato attenzione co-

stante, mettendo in luce, fra l’altro, la ricorrenza di una parola comesalvage: «salvataggio» e insieme «materiale di recupero».

Il libro appena edito si salda, in lineare proseguimento, con una pri-ma antologia apparsa nel 2000, sempre per Crocetti, con introduzionedi Massimo Bacigalupo e traduzione di Maria Luisa Vezzali, Cartografiedel silenzio. Poesie scelte 1951-1995. Ora La guida nel labirinto prendele mosse cronologicamente da lì, antologizza testi dalle quattro raccol-te successive: «Salvataggio di mezzanotte» (Midnight Salvage. Poems1995-1998), «Volpe» (Fox. Poems 1998-2000), «A scuola fra le macerie»(The School Among the Ruins. Po-ems 2000-2004), «Squilla un tele-fono nel labirinto» (TelephoneRinging in the Labyrinth. Poems2004-2006). Uno dei pregi di que-sta antologia è la sua consistenzadi libro, la linea interpretativa dacui è sostenuto e la compattezzache rivela sotto una versificazio-ne non priva di variazioni. La vo-ce della Rich ne esce quanto maisensibile e politica. Dagli anni del-le raccolte originarie si compren-de facilmente che il decennio rap-presentato è tra i più delicati del-la storia statunitense (dunquemondiale), con l’orrifico verticedell’11 settembre 2001. Ebbene,proprio su questo si può misura-re il calibro della sua poesia: nes-sun patetismo (e quanto difficileevitarlo!) nel testo che vi allude,Equinozio, nessuna esplicitazio-ne a chiare lettere se non un pri-vato settembre percorso «da uncapo all’altro / scalza da una stan-za all’altra / stringendo in pugnoun coltello ben affilato per taglia-re / gambo radice o stoppino».Nessuna descrizione visiva delcrollo. Soprattutto – e molti poe-ti, in ogni lingua, avrebbero da

imparare – nessuna spettacolariz-zazione dell’evento. Affinché siachiaro, finalmente, che usare an-cora una volta quelle immaginitremende, impudiche, usurate,con la loro spettacolarizzazionedel dolore, costituirebbe apolo-gia dell’impero. Piuttosto, in Richdomina, e al centro di questa poe-sia, l’(auto)interrogazione che èsua cifra peculiare: «Posso davve-ro dire di non essere stata io iscrit-ta tra gli Innocenti / a tradirviquando servivo (e sempre prote-stavo) / le ragioni del mio gover-no / convinta che ci fossimo rita-gliati un posto / dove la poesiavecchia forma sovversiva / sorges-se da Nessunluogo qui?». Lam-pante la mancanza di illusione, lacoscienza del dovere assunto edel limite patito dalla poesia. Seun’immagine c’è, in questo testo,è non naturalistica, eppure fisicae potente nei rimandi metaforici,è l’«ondeggiante collana verticaledella spina», «the spine’s verticalnecklace swaying»: vulnerabilitàe precarietà di snodi.

Accanto all’asciuttezza paradig-matica di questa poesia va collo-cata la più distesa A scuola fra lemacerie, dedicata ai danni sugliinermi – bambini e scuole –, allepossibilità di sopravvivenza mate-riale in scuole divenute ricoveri làdove infuria la guerra: «Beirut. Ba-gdad. Sarajevo. Betlemme. Ka-bul. Certo non qui», recita il sotto-titolo in polemica essenziale,stringata e serrata, contro la«guerra fuori dai confini». Ovverocontro le amministrazioni chehanno portato armi in Jugoslaviae in Iraq, per rimanere a due casisoltanto.

Adrienne Rich scrive versi niti-di, si serve in modo parco della re-torica: una sonora sequenza allit-terante come «at work in my wor-meaten wormwood-raftered / sta-teless underground» deve la suaragione d’essere alla funzionalitàcon cui esprime il rodere cupo econtinuo «al lavoro nel mio sotter-raneo mangiato dai vermi / rosodai tarli senza patria».

Se qualcosa si può dire alla tra-duzione di Maria Luisa Vezzali (eforse è un paradosso) è che incli-na all’eleganza, a una vibrante,contenuta altezza. Sì che rende«human debris» (detriti umani),con «membra smembrate». Per ilsuo lavoro di traduzione Vezzaliusa parole della Rich: «la facciocon il mio corpo e con i corpi chehanno fatto il mio», ed è dichiara-zione di concretezza e di umiltàfondate su fine capacità di resapoetica. In dialogo e ospitale,quanto la decisione di coinvolge-re quattro «amiche poetesse» –Stefania Portaccio, Rosaria LoRusso, Loredana Magazzeni e An-tonella Anedda –, affidando a cia-scuna la traduzione di una poe-sia. Condivisione pubblica del pri-vato che ha un sostanziale signifi-cato politico-culturale e di cuimolta gioia deve aver avutoAdrienne Rich.

■ UN’ANTOLOGIA ITALIANA 1995-2006 PER LA POETESSA E TEORICA AMERICANA ■

Detriti e salvataggio

Jeanne Dunning,«Sans titre», 1988

Essere nel mondo;

scegliersi

una «posizione»;

presenza taciuta

della guerra;

prevaricazione

del mercato

globale; lesbismo;

amore. La poesia

forte e cristallina

della Rich

(Baltimora, 1929)

è fondata sull’idea

del «salvage»:

cioè salvataggio

e materiale

di recupero

nella tempesta

della Storia

12) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

■ JEFFREY EUGENIDES, «LA TRAMA DEL MATRIMONIO» ■

Triangolo amorososu sfondo Ivy League

BERSAGLIN I C A R A G U A

GIOCONDA BELLI,LA SINISTRA EROTICAIN UN ROMANZOdi Giulia Siviero

BERSAGLIF R A N C I A

MAURICE SACHS,BIOGRAFIA DARKD’UN TRASFORMISTAdi Luca Scarlini

di Francesca Borrelli

Tanto convenzionale da sfiorare l’ec-centricità, l’ultimo romanzo di Jeffrey Eugeni-des, La trama del matrimonio (trad. di Katia Ba-gnoli, Mondadori «Sis», pp. 478, € 20,00) sembraavvicinare l’autore al suo desiderio adolescenzia-le di «diventare europeo», ossia diradicarsi nella tradizione del gran-de romanzo borghese, meglio di co-me non gli fosse riuscito con le dueprove precedenti, entrambe soste-nute da idee originali tanto quantoquest’ultimo libro ne è privo. Unamancanza che, paradossalmente,rende ancora più evidente la bravu-ra dello scrittore americano, presso-ché immune da cadute di tono epersino capace di farsi perdonare isuoi eccessi di diligenza, quando siattarda nella restituzione di paren-tesi esistenziali non sempre signifi-cative, benché di certo emblemati-che di quel faticoso passaggio allavita adulta che costituisce il suo te-ma prediletto.

Al tempo dell’esordio con Le ver-gini suicide, Eugenides aveva stupi-to non soltanto per la storia singola-re delle cinque giovanissime sorelleLisbon, morte una dopo l’altra dipropria mano, ma per l’idea di affi-darne il racconto a una voce plura-le, una sorta di coro rabbioso for-mato dagli ex spasimanti di quelleragazzine, che nell’arco di un annoavevano inspiegabilmente imboc-cato un comune destino, uscendobrutalmente dai loro sogni. Diecianni dopo, l’idea stessa di rendereun ermafrodito protagonista dellasaga familiare che avrebbe titolatoMiddlesex, e di proiettare il roman-zo in una geografia estesa dalla Tur-chia appena orfana dell’impero Ot-tomano all’America compresa tral’era del proibizionismo e quelladel Watergate, aveva dato la misura

delle ambizioni coltivate da Eugeni-des, i cui tempi di scrittura non po-tevano che adeguarsi ai suoi inten-ti. Altri otto anni gli sarebbero dun-que occorsi per completare il terzoromanzo, più dei precedenti ali-mentato da atmosfere travasate dal-la sua biografia, e in particolare daisuoi anni alla Brown University, lostesso college in cui fa incontrare itre personaggi principali. La sceltadi fare cominciare La trama del ma-trimonio il giorno dell’anno accade-mico 1982 in cui si celebra la ceri-monia delle lauree, consente a Eu-genides di focalizzarsi su un detta-glio spaziale e temporale, e da queldettaglio andare e venire nel tem-po, inquadrando le stesse scene e iprecedenti che le hanno motivateprima dal punto di vista di un per-sonaggio, poi dalla prospettiva diun altro. Così, solo progressivamen-te il lettore si accorge di essere giàstato tra le pareti di una stanza do-ve impara a riorientarsi, riconoscequella festa, quel divano dove ora sisvolge una conversazione che è lastessa di qualche pagina indietro,ma l’ascolto della quale ci suonadel tutto diverso, perché a restituir-cela è un altro personaggio.

Il ragazzo cui Eugenides prestale sue aspirazioni, nonché alcunisuoi dati biografici, si chiama Mi-tchell e tra tutti è il meno attraente:lui stesso sostiene di prosperare«nello squallore», e se rimane indie-tro sulla strada che dovrebbe por-

tarlo alla conquista di Madeleine,catalizzatore femminile di quantoavviene nel romanzo, è perché con-fida talmente poco nelle sue dotida non sperimentarle nemmeno.Si laureerà in storia delle religioni, econ fare clandestino frequenterà icorsi di catechismo che dovrebbe-ro prepararlo alla conversione alcattolicesimo, poi andrà in India esi offrirà volontario al seguito di Ma-dre Teresa di Calcutta, proprio co-me a suo tempo fece Eugenides,che a più riprese si incamminò sul-la strada delle sue inclinazioni reli-giose, per poi abbandonarle. Moltopiù seducente di Mitchell, e perciòprescelto dalla protagonista femmi-nile del romanzo, è il personaggiodi Leonard, uno studente brillanteche finirà in un prestigioso labora-torio di biologia a svolgere un im-piego non proprio entusiasmante,ossia l’osservazione delle celluledel lievito. Ma non è che una delletante deviazioni da quella cheavrebbe potuto essere la sua stradamaestra, se non fosse che Leonardè affetto da un disturbo bipolare, eperciò oscilla tra accessi maniacalie crisi depressive, un disagio gravema non ancora conclamato quantoMadeleine decide di sposarlo. Lei èla tipica ragazza che ama leggere eha le pareti della sua stanza al colle-ge saturate dai migliori titoli dellaletteratura mondiale, tuttavia nonè abbastanza sofisticata da impedir-si di chiedere ai suoi compagni: «di

cosa parla questo libro?».Eugenides sa restituire fedelmen-

te, per averlo lui stesso vissuto, il cli-ma di una università americana altempo della moda decostruzioni-sta e degli ultimi fuochi della semio-tica, intonandosi con grazia alle fra-gilità adolescenziali che a volte siesprimono in affermazioni un po’dogmatiche, per esempio questa:«l’idea che un libro parlasse di qual-cosa era esattamente quello a cui iltesto si opponeva, e ... se propriodoveva “parlare” di qualcosa parla-va delle necessità di smettere dipensare che i libri parlino delle co-se».

Dal triangolo più o meno amoro-so costituito da Mitchell, Madelei-ne e Leonard il romanzo trae la suaimpalcatura, sebbene i tre perso-naggi si ritrovino raramente in sce-na allo stesso tempo, e anzi imboc-chino lunghe tangenziali in cuicompaiono soli, concedendosi allettore in tutti i loro affanni e esi-bendo quei sondaggi delle proprieintenzioni che segnano l’approdoall’età adulta. A Leonard, natural-mente, la sofferenza mentale impo-ne problemi di cui gli altri possonosolo essere testimoni, e nei quali Eu-genides si addentra senza mai cal-care la mano, ottenendo dal lettoreuna empatia mai forzata a tradursiin commozione. La fisionomia diLeonard – che somiglia a un gigan-te buono, porta la bandana, masti-ca tabacco e viene descritto nelmezzo di un grave breakdown de-pressivo – ha fatto pensare che, almomento di mettere a punto il suopersonaggio, Eugenides avesse ri-composto nella memoria frammen-ti di informazioni su David FosterWallace e immagini provenientidal loro unico incontro a Capri,due anni prima che l’autore di Infi-nite Jest si impiccasse.

La supposizione era scontata edè stata debitamente smentita: restail romanzo, più verosimile della vi-ta vera nel suo tentativo di disegna-re consapevolmente personaggi allimite dei rispettivi stereotipi, amarcare l’intenzione di cimentarsiin quella che a molti (ma non a tut-ti, non a Franzen, per esempio)sembra la più disdegnabile delle im-prese: immettersi decisamente esenza pentimenti nel solchi più cal-pestati della tradizione.

Siamo in un paese che «sprigionaodore di carogna» per la diffusacorruzione, «rassegnato a tollerarequalunque infamia, cadavere dellaciviltà, dei valori umani, dell’alle-gria». Un paese inattuale e moder-no, dove i codici antichi convivonocon il progress, che si chiama Fa-guas ed è ovunque e in nessun luo-go. Gioconda Belli ci invita Nel paesedelle donne (Feltrinelli, pp. 264, €17,00) a fare il gioco del ’come se’.Per disegnare il mondo, ri-partendodalla realtà. Per raccontare comeandrebbero le cose se al poterenon ci fossero gli uomini. Ed è guar-dando all’esperienza della rivoluzio-ne in Nicaragua che l’autrice dise-gna la sua favola. «Noi donne abbia-mo partecipato in maniera massic-cia e qualitativamente importante.Ma dopo il trionfo della rivoluzionei compagni non volevano includer-ci, perchè c’erano cose più urgentida risolvere prima delle rivendicazio-ni femminili. Quindi ci riunivamo,avevamo le nostre strategie. E fon-dammo il PIE», Partito della SinistraErotica, e PIEde, metafora del mette-re un piede davanti all’altro, conpuntualità e costanza, «per studiare,attuare strategie e promuovere idiritti delle donne». Quel progettotrova ora, per l’autrice, anche la stra-da della fantasia e nel romanzo lagiornalista tv Viviana Sanson e lesue amiche stravincono le elezionie rivoluzionano il mondo. Il trucconarrativo, per arrivare con facilità alpunto, è farsi aiutare dalla natura: ilvulcano Mitre, a Faguas, erutta pertre giorni e tre notti, le sue esalazio-ni depotenziano i maschi e hannocome effetto la riduzione del testo-sterone. E poi c’è uno scoop giorna-listico: Viviana denuncia la storia diun uomo coinvolto in un giro diprostitute minorenni e diventa fa-mosa in tutto il paese. Il manifestoprogrammatico del PIE, in tutta lasua libera e spiazzante creatività,traccia uno scenario molto serio:«Questa patria abbandonata, diso-norata, venduta, impegnata, sparti-ta ci impegniamo a lavarla, spazzar-la, spazzolarla, sbatterla, ripulirla datutto il fango, affinché torni a brilla-re in tutto il suo splendore. Un parti-to che dia al paese ciò che una ma-dre dà ad un figlio, che si prendacura come una donna si prendecura della sua casa». Ecco allora ilprogetto Felicità: vita dignitosa pertutte e tutti, sviluppo del potenzialeumano e creativo, abolizione dellapena di morte, pubblica esposizio-ne degli stupratori, mansioni dome-stiche svolte dagli uomini, econo-mia basata sull’esportazione di fiori,diffusa alfabetizzazione, lezioni permaschi e femmine di cure materne,asili nido nei luoghi di lavoro e puli-zia delle strade e dei quartieri. «Sia-mo di sinistra», spiegano Viviana,Eva, Martina, Rebeca e Ifigenia ailoro elettori «perché pensiamo chela povertà, la corruzione e le disgra-zie vadano colpite con un sinistroalla mandibola; siamo erotiche per-ché eros significa vita, che è il no-stro bene più prezioso. Ed è solocomportandoci e pensando al fem-minile che possiamo salvare questopaese». Come a dire: la rivoluzioneo sarà femminista o non sarà.P.S. C’è un sito (www.parti-doizquierdaerotica.com) che, al dilà e al di qua della fantasia lettera-ria, vuole diventare luogo di discus-sione per la lotta delle donne.

Maurice Sachs (1906-1945) vivedi una mitologia di scandalo chesi ripropone tutte le volte che lesue opere tornano all’attenzioneo che il suo nome compare inqualche ricostruzione d’epoca.L’autore compare a margine inqualsiasi libro sulla Parigi deglianni venti e il suo nome è semprein odore di scandalo, provocazio-ne sessuale, contraddizione esteti-ca, esattamente com’era accadutotrent’anni prima al suo «gemello»decadente Jean Lorrain. In Italia,qualche anno fa, nel 2002, erastata Meridiano Zero a proporre ilsuo La decade dell’illusione. Vi sitrattava del periodo, fatale perl’immaginario del Novecento eper i destini dei molti che lo ani-marono, che va dal 1918 al 1928,quando Parigi divenne la capitaleculturale del mondo con unaquantità di trame e intrecci checoinvolgono buona parte dei pro-tagonisti della cultura novecente-sca. La tentazione maggiore perSachs è stata sempre quella didiventare personaggio, di avereun «posto al sole» nel tout Paris,ma egli stesso ha efficacementesabotato questa sua primigeniavocazione con un serie di trasfor-mismi spesso radicali. La sua scel-ta fu infatti quella di essere un ex:assommando nell’ordine le identi-tà via via accantonate di ebreo,sacerdote, comunista e spia inuna moltiplicazione di sé. Il sab-ba, che rimane il suo libro piùfamoso, era stato pubblicato perla prima volta da SugarCo nel1972 e ora Adelphi opportuna-mente lo ripubblica in una nuovae assai migliore versione (a curadi Valeria Perrucci, pp. 332, €22,00). Il sottotitolo spiega tutto,stabilendo che si tratta di «ricordidi una giovinezza burrascosa»,dove il personaggio-autore forni-sce tutti gli elementi della propriamitologia negativa, esibendosicome sinistro quanto seducenteentertainer che dà il meglio (o ilpeggio) delle sue malefatte. Il tut-to ribadendo in ogni caso il suofascino di malvagio impenitente,riverito dalle dame e ricercato daisignori. L’episodio più sorprenden-te è forse quello in cui con un tri-plo salto mortale carpiato decidela conversione da ebreo in cattoli-co e stabilisce di entrare in semi-nario, sotto le chicchissime tuteledi Cocteau e Maritain. Salvo poidichiarare che quello che davverolo attrae nell’esperienza è il fattodi poter finalmente indossare unasottana alla luce del sole, provan-done segreti brividi. Ena Marchi,nell’utile postfazione, riassume gliesiti di una mitologia assai fre-quentata, sotto l’etichetta de «ilcandore dell’infamia». Poco vienecelato dei moventi di una creatu-ra che visse sempre cogliendo ilmomento e l’occasione, sfruttan-do molti, prima dell’ultima meta-morfosi, di cui a lungo si è detto,fu spia dei nazisti, prima dellamorte oscura. In sostanza, quindi,un’autobiografia esilarante, maanche spesso in una chiave darke masochista in cui diviene lugu-bre ciò che altrove è picaresco egià questo testo chiude un ciclod’esistenza, con uno sguardo acu-tissimo, ora partecipe, ora distac-cato, su una delle stagioni centralidell’immaginario novecentesco.

EUGENIDES

John Currin,«The Cripple», 1997,Collectionde la Hort Family

Nel terzo romanzo dello scrittore americano, tra atmosfere sature di discussioni sulla semioticae sul decostruzionismo, tre studenti freschi di laurea consumano il loro passaggio all’età adulta...

ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011 (13

■ «GIORGIO BASSANI EDITORE LETTERATO» ( MANNI) ■

Gli orizzontidell’editor

di Massimo Raffaeli

Più volte Enzo Sicilianoè tornato alla scena primaria del-la sua carriera, quando, appenavarcata la soglia della sede roma-na di Feltrinelli in via Arenula,Giorgio Bassani aveva messo perun attimo da parte il quaderno dicomputisteria dove andava redi-gendo Il giardino dei Finzi-Conti-ni per mostrargli il dattiloscrittodei Racconti ambigui (’63) giàpronto per la tipografia e però co-stellato di rare e puntuali correzio-ni a matita rossoblù. Poeta liricoe saggista prima che narratore,Bassani è un editor di fisionomiaaustera, formatosi nella redazio-ne di «Paragone» (patrocinando ivolumetti della annessa «Bibliote-ca», come La capanna indiana diAttilio Bertolucci, Casa d’altri diSilvio D’Arzo, La meglio gioventùdi Pier Paolo Pasolini) e contem-poraneamente in quella di «Botte-ghe oscure», il periodico dellacontessa Marguerite Caetani che,fra il ’48 e il ’60, svolge un lavorodi cross country sulla produzionecorrente presentandola in corpo-se monografie antologiche. L’ap-prodo di Bassani in Feltrinelli risa-le al 1956 e concerne la direzionedi una collana, «Biblioteca di lette-ratura» (presto divisa in due sezio-ni, «Contemporanei italiani» e«Classici moderni stranieri») il cuimassimo esito, anche in terminidi vendite, è notoriamente Il Gat-topardo (’58); la risoluzione delrapporto con l’editore e fondato-re di Casa Feltrinelli, cioè Giangia-como, si compie viceversa nel’63, quando Bassani rifiuta di in-cludere nella propria collana Fra-telli d’Italia di Alberto Arbasino,un autore che peraltro vi era statoospitato: al di là dello sgradevolestrascico legale che ne consegue,è il segno di una precisa opzioneda parte dell’editore Giangiaco-mo a favore del Gruppo 63, la qua-le rende inopportuna la presenzadi un autore che la neoavanguar-dia italiana ha sempre deriso e,talvolta, volgarmente insultato.

Ora, al suo lavoro sulle riviste ein Feltrinelli è dedicato l’utilissi-mo volume Giorgio Bassani edi-tore letterato (Piero Manni, pp.130, € 15,00) a firma di Gian CarloFerretti e Stefano Guerriero, giàcoautori della recente Storia del-l’informazione letteraria in Italiadalla Terza pagina a Internet.1925-2009 (Feltrinelli): l’uno è uncritico militante e saggista di lun-go e complesso itinerario, il pio-niere, in Italia, degli studi sui pro-cessi dell’editoria libraria (e quibasti citare Il mercato delle lettere,’79, Vittorini editore, ’93, e il classi-

co Storia dell’editoria libraria inItalia 1945-2003, 2004, tutti editida Einaudi); l’altro è un giovanestudioso che a Bassani ha dedica-to di recente contributi in «Belfa-gor» e «Otto/Novecento» nonchéun nitido saggio sui rapporti fra loscrittore e la comunità ebraica fer-rarese, incluso nel volume colletti-vo Narrare la storia (Mondadori-Fondazione Bellonci 2006). Bassa-

ni editore letterato si divide in dueparti distinte e complementari.Nella prima, intitolata «Da Botte-ghe oscure al Gattopardo», Ferret-ti fornisce il profilo di un editor dirango eccezionale ma, appunto,di fisionomia tradizionale e non acaso lo oppone a Vittorini in unaspecie di chiasmo critico che di-stingue, incrociandone le rispetti-ve vocazioni, l’autore di Conversa-zione in Sicilia e direttore di «Poli-tecnico» (editore di tendenza e pa-ladino dell’industria culturale,portato alla continua sperimenta-zione, incline al fiancheggiamen-to del «nuovo» e delle poetichedernier cri) dallo scrittore del Ro-manzo di Ferrara nel cui orizzon-te la letteratura resta il luogo diuna lenta incessante metabolizza-zione, un pegno di assoluta neces-sità interiore: «Bassani – scrive lostudioso – manifesta complessiva-mente un atteggiamento e uncomportamento più riservato, piùtradizionale, più interno alla vitadi relazione letteraria e al mondodelle riviste: più interno proprio al-la repubblica delle lettere».

Per questo, se Vittorini è unletterato editore, Bassani è e vuo-le fino in fondo rimanere, all’op-posto, un editore letterato. A par-te il caso di Tomasi di Lampedu-sa (e qui si veda ancora Ferretti-Guerriero, La lunga corsa delGattopardo. Storia di un grande

romanzo dal rifiuto al successo,Aragno 2008), tanto l’insofferen-za per il neorealismo populistaquanto il sospetto per ogni meta-fisica della sperimentazionenon hanno impedito al suo fiu-to, infallibile, di riconoscere epertanto di editare nella «Biblio-teca di letteratura», con libera al-ternanza di prosa e poesia, alcu-ni fuoriclasse talora giovanissi-mi: è il caso di Franco Fortini(Poesia ed errore), Paolo Volponi(Le porte dell’Appennino), Rober-to Roversi (Dopo Campoformio),Luigi Meneghello (Libera nos aMalo), come dei già citati Arbasi-no e Siciliano.

Ai volumi tradotti per l’altrasezione della collana, dunque aLe letterature straniere nei Classi-ci moderni, si intitola invece ilsaggio di Stefano Guerriero nellainterrogazione di una poeticache, ancora una volta, appare in-derogabile: «Le scelte operate daBassani sono sempre coerenticon il discorso critico da lui svi-luppato in saggi e riviste. […]An-tineorealismo e antisperimenta-lismo convergono nel proporrequel realismo filtrato attraversol’esperienza individuale, proble-matico e dalla forte carica simbo-lica, che è la prima e principalecostante della sezione stranie-ra». A partire dal capolavoro diForster, Casa Howard (tradotto

da Luisa Chiarelli e introdottoda Agostino Lombardo nel ’59),che, nel concomitare accanito diarte narrativa e vocazione criti-ca, oggi può sembrare persinoun’orifiamma di Giorgio Bassa-ni; e così (a parte libri conclama-ti quali La mia Africa di KarenBlixen o L’Aleph di Borges) si di-ca anche a proposito dell’unicoromanzo scritto in vita sua dal-l’editor di Marcel Proust, Franço-is Rivière, l’autore di quell’Aiméevoltato in italiano e prefato sem-pre nel ’59 da un suo collega distraordinaria caratura, Niccolò Gallo.

Un debito rilievo (ed è fra gli apporti più co-spicui del saggio di Guerriero) viene dato infi-ne a un romanzo di Edith Wharton, The Age ofInnocence (1930), che esce nel ’60 tradotto daAmalia d’Agostino Schanzer con l’introduzio-ne di Salvatore Rosati. Prediletto da Edmund

Wilson come uno dei capolavoridella narrativa americana del seco-lo ventesimo (nel saggio Giustiziaper Edith Wharton compreso neLa ferita e l’arco – Garzanti 1956 –,ma anticipato dallo stesso Bassanisu «Paragone» nell’ottobre ’51),poi noto al grande pubblico perl’elegante riduzione cinematogra-fica che ne diede diciott’anni faMartin Scorsese, L’età dell’inno-cenza propone il conflitto ambien-tale fra il singolo e il suo gruppo diprovenienza, in questo caso la sto-ria dell’amore impossibile fraNewland Archer, beneducato ram-pollo della borghesia di New York,e una sua congiunta spatriata inEuropa, Madame Olenska, i cuiimpulsi di donna indipendente edi femmina costituiscono una per-petua minaccia alla stabilità e aldecoro di un microcosmo ipocritae puritano. Per davvero possedereMadame Olenska, in un simileambiente, è necessario, anzi è fata-le, rinunciare a lei e annientarla ineffigie in quanto portatrice di dub-bio e disordine, ovvero di un asso-luto d’esistenza che, in quella cer-chia di azzimati filistei e di soprav-vissuti, appare sempre troppogrande e troppo puro per arrivaremai a meritarlo. Perciò non sba-glia chi in lei presagisce qualcosadella giovinetta dai capelli di mie-le, silfide incurante e spettro a fu-tura memoria, che un giorno avràil nome di Micòl Finzi-Contini.

A chi chiedesse un romanzo di Mar-co Weiss in libreria, anche nella piùfornita della città, quasi di certo sa-rà risposto picche. Un vero peccato:veniale solo perché ormai i libri nonsi comprano più solo in libreria, masempre più spesso anche in inter-net. Così, se Il calciatore (Marcos yMarcos 1990) e Sinemà (Guanda1994) restano introvabili, cliccandoal sito dell’editore in un paio di gior-ni ci si può procurare almeno il suoromanzo più recente, Il bravo soldato(Sedizioni, pp. 193, € 21,00), conuna copertina strepitosa – un tragi-comico disegno di Federico Maggio-ni, che l’attraversa da risvolto a ri-svolto con passo celere e impettitoda bersagliere – che val da sola lespese di spedizione e più.Sulla copertina insisto – più cheaccattivante, ispirata – perché, sec’è un genere che non m’ha maiattirato, è quello delle storie di na-ia: non ho mai aperto Pao Pao diTondelli, né la Filologia dell’anfibiodi Mari, e probabilmente sarei statoalla larga anche da questo Bravosoldato, se anche come oggettonon si fosse presentato in modocosì originale, irresistibile. Né, supe-rato il frontespizio, s’assiste a uncalo – anzi. Si tratta della terza epiù sostanziosa puntata della sagaautobiografica di uno scrittore fuoridai giri letterari, che se la sta pren-dendo comoda (Weiss è nato nel’41), divertito, intenerito e assorto.Vuoi che rievochi i suoi misuratisuccessi di centrocampista nellasquadra del liceo (dai gesuiti, comes’addiceva alla buona borghesiamilanese, anche ebraica); la suaesperienza come aiuto regista sulset di Cronaca familiare di Zurlini(di cui traccia un ritratto commossoe severo al tempo stesso, mirabil-mente equanime; regalandoci enpassant un paio di impagabili ca-mei su Visconti e Olmi); e, adesso,l’anno del militare – o meglio, i ven-ti mesi d’allievo e poi comandantedi squadra: primavera ’65-inverno’66, da Milano a Caserta a Novara equasi tutta l’Italia in mezzo.Fin troppo facile lodare quest’ariosoromanzo come spaccato di un’epo-ca andata, con tutti gli ingredienti diuna nostalgia alla «meglio gioven-tù» (Italia-Cile, l’alluvione di Firenze,il primo film a colori di Truffaut, ilsuicidio di Tenco, ecc. ), ma nessuncompiacimento e un passo più ser-rato. O divertirsi degli interludi d’as-surdità, un po’ alla Catch 22. O in-quietarsi delle ombre che l’attraver-sano: l’antisemitismo sempre pron-to a riemergere, la violenza (anchepolitica) a scatenarsi e uccidere,tanto più brutta perché così sprovve-duta, irresponsabile, quasi «incolpe-vole». La cosa più preziosa è, misembra, l’invenzione del personag-gio che dice «io» – il quale, se nelBravo soldato come nel Calciatore,resta innominato, in Sinemà è aper-tamente Weiss (e tanto meglio perl’autore se ha dovuto inventarsi po-co o niente!). Difficile imbattersi inun personaggio, non «vincitore»,ma così soavemente «non sconfit-to»: pressoché invulnerabile, eppu-re pieno di simpatia. Un bravo cal-ciatore, un bravo aiuto regista, unbravo soldato, e poi… e poi non so,ma senza dubbio, adesso, un bravoscrittore.

BASSANIBERSAGLI

I T A L I A N I

MARCO WEISS,IO NON SCONFITTONELLA NAIA ANNI ’60di Francesco Rognoni

Da «Paragone» a Edith Wharton: Gian Carlo Ferretti

e Stefano Guerriero ricostruiscono il lavoro sulle riviste

e alla Feltrinelli dello scrittore ferrarese: anti-neorealista

e anti-sperimentalista quasi per necessità interiore

Un Giorgio Bassani anni cinquanta,con alle spalle il ritratto che gli fece Carlo Levi

14) ALIAS N. 42 - 5 NOVEMBRE 2011

■ «IL TEMPO DEGLI ANGELI E DEGLI ASSASSINI» ■

Debenedetti, stile con grigio BERSAGLIC I N E M A I T A L I A N O

Morreale e il melòcome prova d’autore

di Raffaele Manica

di Giulio Ferroni

Mentre oggi viene sottoposta a dubbio la stes-sa possibilità di una persistenza di quello che intendiamoper «stile», in cui la stessa nozione di «stile» letterario sem-bra evaporare e perdersi nel flusso incontrollato dei linguag-gi, nelle trasversali ed eterogenee ibridazioni, nell’espansio-ne telematica e nella neutralizzazione digitale, i racconti diAntonio Debenedetti dispongono invece in una ostinata efermissima tensione stilistica: in una prosa sempre lucidissi-ma, che scarta qualsiasi possibile sbavatura, in un rigore co-struttivo che si impone sulla stessa accidentalità, sullo stessoevanescente essere della vita e del mondo ansiosamente in-terrogato e rappresentato. Se spesso nei suoi libri precedentiDebenedetti si è rivolto indietro, a scavare nel groviglio vele-noso o nelle reticenti solitudini di una borghesia novecente-sca, soprattutto romana, tra fascismo, guerra mondiale, pri-mo dopoguerra (sotto il segno di Moravia e, più indietro, diPirandello), ora ne Il tempo degli angeli e degli assassini(Fandango libri, pp.128, € 15,00), egli si rivolge al mondo dioggi, a una borghesia che sembra come librata nel vuoto e auna piccola borghesia che mentre slitta verso la più desolatamarginalità, si fissa in qualche delusiva ragione di vita, affida

la propria disgregata identità aqualche improbabile maschera (eora, più che Moravia o Pirandello,viene subito in mente Cechov, ilcui nome è del resto inscritto inuno dei racconti). Quasi sempreanche qui siamo a Roma: ma nonè la Roma di ieri, è quella di oggi,come plastificata nei toni del gri-gio, contaminata dagli scarti illimi-tati di essa depositati dall’ottusitàdi un presente che corre impassi-bilmente verso il nulla.

Angeli e assassini i personaggi,come tutti noi che questa Roma laabitiamo: tra illusorie e angelicheconvinzioni di sé, pretese di affer-mazione emblematica della pro-pria vita, di risoluzione del proprioessere secondo qualche modello il-lusoriamente acquisito, secondoqualche pedestre o artificioso idea-le dell’io (desideri triangolari, co-me nella maggiore narrativa euro-pea!); e atti micidiali che si affaccia-no all’improvviso, senza altra moti-vazione che quella di una insensa-ta risposta alla sorda insensatezzadell’esperienza, a quello «scialo ditriti fatti» in cui si risolve ogni attra-versamento del mondo (ci sonoangeli che si espongono agli assas-sini senza nemmeno renderseneconto, e angeli che compiono im-provvisi gesti assassini, ma ancheangeli che restano sospesi in mos-se, pose, maschere in cui si fissa equasi si pietrifica la loro essenza vi-tale). Si tratta di racconti-situazio-ni, racconti-stazioni, racconti-ri-tratti che, a differenza di quantoaccade nella letteratura che oggisembra andare per la maggiore,non ci propongono dei plot, nonimbastiscono «storie», ma chepiuttosto, grazie alla tensione stili-stica di cui si è detto, sembra librar-si sul filo di una vera e propria«inattualità». È la stessa forma delracconto, in primo luogo, ad allon-tanare dalla imperversante stuc-chevole retorica delle «storie», cheoggi circola tra atteggiate sofistica-tezze, trasgressioni a buon merca-

to, inserzione in «generi» ritenutiattualissimi, come il più inutile ditutti, il noir: ma è poi la compostez-za inattuale e apparentemente dé-modée del rigore stilistico a produr-re un originalissimo sguardosghembo e laterale alle vite qui rap-presentate.

Acuto e crudele questo sguar-do, tanto più che quella sintassiche dispone i suoi termini con mi-surata precisione, quasi levigata erastremata, sa poi intridersi ecompromettersi con frammentilessicali estratti anche dalla piùcorriva quotidianità, con i gerghipostmoderni che corrono nella vi-ta corrente e a cui certo non pos-sono sottrarsi i personaggi con-temporanei. Sia il linguaggio chele situazioni in cui questi vengo-no a trovarsi non si dispongonoperaltro in scorrevole continuità,ma si confrontano frequentemen-te con sospensioni, interrogazioniche evidenziano la complessità ol’impossibilità di ogni identifica-zione: ciò tocca sia le stesse signifi-cazioni di certe parole che le ra-gioni e motivazioni degli atti, le lo-ro radici psicologiche, i loro esiti ei loro ipotetici svolgimenti. Cosìad esempio, a proposito di un An-gelo (anche di nome) che vive insingolare e «strambo sodalizio»col suo vecchio computer e si esal-ta nel «vivere della sua strana vitamegagalattica», si affacciano subi-to due interrogazioni che correg-gono, sospendono quelle parole:«Ma sodalizio che razza di parolaè?», «Perché megagalattica? Boh,che importa dare un senso a unaparola così matta e anche miste-riosa». E restiamo incerti se l’in-vio con cui Angelo manda nellanotte il suo ultimo email indichiuna chiusura mortale o un ennesi-mo prolungamento di uno scon-solato dialogo con il web.

La realtà e il linguaggio si pre-sentano sotto il segno della do-manda, fino alla conclusione del-l’ultimo racconto, E venne un uo-mo in giacchetta spiegazzata, chesi chiude appunto con una doman-da senza risposta, aperta verso unintricato futuro, mentre il titolostesso, che designa un atto violen-to e immotivato compiuto in unastazione della metropolitana aidanni di quell’«uomo» da parte diun malandato scrittore, sembrapiegare un celebre avvento profeti-co («E venne un uomo chiamatoda Dio…») verso lo stravolto e ba-nale prolungarsi delle «pieghed’un complesso futuro coniuga-le». Tra i tanti personaggi che simuovono nell’illusione di se stes-si, del proprio modello di vita, siimpone in particolare all’attenzio-ne L’incantatore, figura di letteratoche si esalta nella propria disposi-zione teatrale, nel proprio giocarea catturare l’ammirazione e l’amo-re delle donne, con l’esibizione delproprio viscerale amore per la let-teratura (nella cui immagine e nel-la struttura del cognome che gli èattribuito, Jandoli, balena il ricor-

do deformato di un personaggio vero e pro-prio): in lui, condotto quasi automaticamente,senza che se ne renda conto, a un esito micidia-le, sembra incarnarsi simbolicamente la corsaverso il nulla di quello che resta della nostra so-cietà letteraria, di un mondo intellettuale che siriavvolge a vuoto su se stesso.

Ma perché piace tanto piangere?La domanda è senza risposta ocon tutte le risposte che vengonoin mente. Sarebbe come chiedereperché piace tanto parlare di di-sgrazie, di guai, di malattie. Per chipratica la messa in scena pare pro-prio che far piangere sia cosa faci-le: molto più che far ridere. Le la-crime si raccontano bene, il mélotiene sempre. E allora: Così piange-vano (Donzelli, pp. 327, € 25,00)si intitola il libro che Emiliano Mor-reale ha dedicato, come recita ilsottotitolo, al «cinema melò nel-l’Italia degli anni cinquanta» e cheporta in copertina, come fosse unprezioso pastello, la locandina diAnna, il filmone di Lattuada(1951) dove a un certo punto,neanche è finita la dissolvenza egià splendidissima Silvana Manga-no, da suora che era, la vediamosubito accattivante cantante-balle-rina – vestita, ma sì, da brava ra-gazza – nella celebre scena dovesi inneggia al «negro Zumbòn cheballa allegro il baion». Come unaspecie di dottor Jekyll e mr. Hydesentimentale.Sono gli anni di colui che, per defi-nizione, meriterebbe una riscoper-ta (si dice sempre così, quandoarriva il suo nome): Raffaello Mata-razzo, con la coppia Amedeo Naz-zari e Yvonne Sanson riempie icinema: chi non vuol far vedereche piange, fuma. E coltri spesse edense di nicotina si installano pri-ma in galleria, poi più giù: all’ulti-mo spettacolo non si vede piùniente, solo nebbia, o al massimole calze che lasciano scoperta unaporzione dall’anatomia malandri-na in Riso amaro (1949) o in Larisaia (1956): anche se tra il neo-realismo in bianco e nero di DeSantis (però erano, come poi inAnna, Raf Vallone, Vittorio Gas-sman e Silvana Mangano) e il me-lodrammone irrealista in Cinema-Scope con Elsa Martinelli e FolcoLulli stanno i colori di La donnadel fiume (1954), per la regia diMario Soldati che segna il lanciodi una nuova diva che balla ilmambo, «la Loren».Oltre le lacrime, il mélo consentea vari registi di mostrarsi comeautori proprio da dentro il genere,come un luogo che consente diesercitarsi a soluzioni impreviste,variamente stravolto e riusato an-che inserendo sotto nuove formenuovi contenuti. Esempio decisi-vo, per farsene un’idea, la vicendadi Antonioni che, osserva Morrea-le, non solo fino al Grido (dove lacosa ha una sua evidenza, e sia-mo al 1957) ma perfino dentro losguardo nuovo portato da L’avven-tura (1960) e da La notte (1961)non sarebbe comprensibile appie-no «senza l’esperienza del mélo,ovvero della scoperta che era pos-sibile esplorare le contraddizionidella nuova borghesia scegliendoil privato e il punto di vista femmi-nile come luogo privilegiato di os-servazione, e utilizzando le con-venzioni del mélo come strumen-to di comunicazione con il pubbli-co, ma anche come repertorio nar-rativo e figurativo, come chiave dilettura di comportamenti e di strut-ture dei rapporti sociali e soprattut-to tra i sessi. La nascita del cinemad’autore degli anni sessanta è an-che, in questo senso, la storia del-la maturazione di un mélo borghe-

se che rilegge criticamente (Vi-sconti) o nega (Antonioni) le pro-prie origini melodrammatiche».Partito con un libro che era anchela prima ricognizione complessivaintorno a Soldati, scrittore e regi-sta (Mario Soldati. Le carriere diun libertino, Le Mani 2006; al qua-le si aggiungerà la cura di MarioSoldati e il cinema, Donzelli2009) e passato per L’invenzionedella nostalgia. Il vintage nel cine-ma italiano e dintorni (ancora daDonzelli, ancora 2009), e per nu-merosi saggi, Morreale aggiungeadesso un altro capitolo alla rico-struzione di un clima la cui tempe-ratura si è forse smarrita – e infat-ti, all’eventuale spettatore, troppocontesto manca oggi alla visionedi quei film che portavano l’Italiadegli anni dell’emigrazione al sem-pre piuttosto illusorio miracoloeconomico – ma le cui conseguen-ze, perfino in certi passaggi chesembrerebbero lontanissimi, sipuò intravvedere nervosa e presen-te, e di riuscita magari discutibile:però il discorso, come si diceva untempo, diventa un altro, ovvero lastanchezza, la ripetizione, la ma-niera, la citazione. Un elenco deifrutti recenti di quell’albero beninnaffiato dalle lacrime si leggenelle ultime pagine del libro.Un primo piano di una donna bel-lissima con occhiali scuri; un’autoa fari accesi nella notte (e una pi-stola che spunta da qualche parte;un telefono che trilla a lungo) so-no gli ingredienti che hanno fattoil cinema per generazioni. Se eraspesso notte e le strade erano ba-gnate si capiva il genere al qualeassegnare il film; se era spessogiorno e c’era il sole, si capiva cheil genere era un altro. E infatti, tol-to il genere, la storia del cinemaresterebbe con vari capolavori, mafin troppo gracile, come queglieserciti di soli ufficiali. L’impressio-nante schedatura di film allegatada Morreale mostra la truppa allavoro, operosa o oziosa poco im-porta. E l’indagine su rapporti, di-scendenze, interessi produttivi,ricezione, attiva quei titoli comefigure di un discorso che riguardaun periodo strategico del costumeitaliano, tra censure e passioni.Non minor risalto hanno i richiamialle case di produzione, dentro lequali, come in una piccola Hol-lywood, si svolgeva un lavoro spe-cializzato a scopo pianto, con ab-bondanti cinismi e forse abbon-danti abbandoni. Dentro tutto ciònasce una covata di piccole e gran-di dive, attorniate da corpi maschi-li talvolta così connotati da sem-brar cedere a un facile lombrosi-smo. E se si mostra che la radicedi tutto è negli anni del muto epassa per il ventennio, l’arco ditempo diventa così ampio da la-sciar dire che, oltre un periodoben circoscritto, il mélo è un bas-so continuo dentro la storia delcinema italiano, e, con certezza,dentro il costume degli italiani,che non si sono negati né i fotoro-manzi né la stampa rosa e neppu-re, alla fine, le lacrime senza sensodi quelli che potrebbero essere idiscendenti da diseredare: le situa-zioni del piccolo schermo dove c’èla lacrima e non c’è il film. Cometante cose, anche il mélo è diven-tata una chiacchiera infinita, nelpaese dei balocchi.

Nel rigore costruttivo e nella tensione stilistica

di questi racconti di Antonio Debenedetti, a fare

da protagonista è la Roma di oggi: librata nel vuoto

di una borghesia oramai desolatamente marginale

Don Brown, «Yoko XIV», 2006,collezione privata

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