Alias supplemento del Manifesto 22/12/2012

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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 22 DICEMBRE 2012 ANNO 15 N. 50 EFFETTO ANNA di ALESSANDRA VANZI ●●●Anna. È un paese strano il nostro, un paese cattolico, pieno di sensi di colpa, addirittura quello, dal peso insopportabile, del peccato originale, quello che , secondo i cattolici, ci portiamo appresso fin dalla nascita. Sarà per questo che, soprattutto nel mondo dell'arte, per poter riconoscere fino in fondo la grandezza di un artista tendiamo a rendergli la vita impossibile, vogliamo toccare con mano il sacrificio, come fossimo un accolita di medici sadici, perchè solo dopo la sofferenza estrema si giunge alla redenzione cioè, nella nostra contemporaneità, alla fama, al riconoscimento, al successo. Purtroppo spesso e volentieri qui da noi, escludendo favoritismi e nepotismi, solo due sono le strade per l'affermazione della propria arte: l'emigrazione, con curiosità ed interesse viene accolto chi torna dall'estero con un nome già rodato dai mercati oltre confine (meglio ancora se oltreoceano); o la morte, un'artista defunto vale molto più di un vivente e, soprattutto, lascia la possibilità a chi gli sopravvive (generalmente critici e mercanti) di libera interpretazione e valutazione e, naturalmente, tradimento. È una regola quasi sempre valida. Alberto Grifi la conosceva e cercò con tutte le sue forze di sfuggirne l'inesorabilità. Quando, alla fine della sua vita un mese esatto prima di morire, gli diedero, per mano di Goffredo Bettini all'Auditorium di Roma, un premio alla carriera io non sapevo se ridere o piangere. Per fortuna Alberto ne fu contento. Adesso, a cinque anni dalla sua morte, assisto al suo riconoscimento internazionale, adesso Anna, primo film girato con uno dei primi esemplari di video registratore, ha intrapreso il suo viaggio nel mondo accolto con meraviglia ed interesse grazie ai sottotitoli che la Viennale ha provveduto a far mettere, al restauro fatto dalla Cineteca Nazionale con il Laboratorio La camera ottica di Gorizia e alla collaborazione dell'associazione AlbertoGrifi che ha messo a disposizione tutto il materiale. Il lavoro di restauro comprenderà il salvataggio (ancora in corso) di tutte le 11 ore di girato, anche i pezzi non montati quindi, che man mano che saranno pronti accompagneranno in «tournée» il film. Così dal 2011 ad adesso Anna è passata per Rotterdam, Montreal, Londra (alla Tate Modern), New York, Marsiglia, Parigi e Vienna, dove sono stati proiettati altri nove lavori di Grifi insieme a Anna. Finalmente ho potuto vedere alcuni spezzoni che mi erano sconosciuti e capire meglio. Proprio la visione di questo girato che era stato eliminato dal montaggio definitivo mi ha spinto a FUORI CAMPO Il segreto degli spezzoni mancanti: la verità del cinema contro MICHAEL MARGOTTA BRASILE HIP POP LAURIE ANDERSON, INTERVISTA CARMELO BENE RICCARDO CUCCIOLLA VIRGINIA RYAN SERGIO BARBADORO OSCAR NIEMEYER Immagine da «A proposito degli effetti speciali» di Alberto Grifi (2001) Sconosciuto fuori dall’Italia, «Anna» di Grifi e Sarchielli racchiude ogni seme e componente segreta di un periodo mitico e espolsivo, l’Italia degli anni 70. Dopo Londra lo riscopre Artforum e l’America SEGUE A PAGINA 4

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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 22 DICEMBRE 2012 ANNO 15 N. 50

EFFETTO ANNAdi ALESSANDRA VANZI

●●●Anna. È un paese strano ilnostro, un paese cattolico, pieno disensi di colpa, addirittura quello, dalpeso insopportabile, del peccatooriginale, quello che , secondo icattolici, ci portiamo appresso findalla nascita. Sarà per questo che,soprattutto nel mondo dell'arte, perpoter riconoscere fino in fondo lagrandezza di un artista tendiamo arendergli la vita impossibile,vogliamo toccare con mano ilsacrificio, come fossimo un accolitadi medici sadici, perchè solo dopo la

sofferenza estrema si giunge allaredenzione cioè, nella nostracontemporaneità, alla fama, alriconoscimento, al successo.Purtroppo spesso e volentieri qui danoi, escludendo favoritismi enepotismi, solo due sono le stradeper l'affermazione della propriaarte: l'emigrazione, con curiosità edinteresse viene accolto chi tornadall'estero con un nome già rodatodai mercati oltre confine (meglioancora se oltreoceano); o la morte,un'artista defunto vale molto più diun vivente e, soprattutto, lascia lapossibilità a chi gli sopravvive

(generalmente critici e mercanti) dilibera interpretazione e valutazionee, naturalmente, tradimento. È unaregola quasi sempre valida. AlbertoGrifi la conosceva e cercò con tuttele sue forze di sfuggirnel'inesorabilità. Quando, alla finedella sua vita un mese esatto primadi morire, gli diedero, per mano diGoffredo Bettini all'Auditorium diRoma, un premio alla carriera ionon sapevo se ridere o piangere. Perfortuna Alberto ne fu contento.Adesso, a cinque anni dalla suamorte, assisto al suoriconoscimento internazionale,

adesso Anna, primo film girato conuno dei primi esemplari di videoregistratore, ha intrapreso il suoviaggio nel mondo accolto conmeraviglia ed interesse grazie aisottotitoli che la Viennale haprovveduto a far mettere, alrestauro fatto dalla CinetecaNazionale con il Laboratorio Lacamera ottica di Gorizia e allacollaborazione dell'associazioneAlbertoGrifi che ha messo adisposizione tutto il materiale. Illavoro di restauro comprenderà ilsalvataggio (ancora in corso) di tuttele 11 ore di girato, anche i pezzi non

montati quindi, che man mano chesaranno pronti accompagnerannoin «tournée» il film. Così dal 2011 adadesso Anna è passata perRotterdam, Montreal, Londra (allaTate Modern), New York, Marsiglia,Parigi e Vienna, dove sono statiproiettati altri nove lavori di Grifiinsieme a Anna. Finalmente hopotuto vedere alcuni spezzoni chemi erano sconosciuti e capiremeglio. Proprio la visione di questogirato che era stato eliminato dalmontaggio definitivo mi ha spinto a

FUORI CAMPO

Il segretodegli spezzonimancanti: la veritàdel cinema contro

MICHAEL MARGOTTA

BRASILE HIP POP LAURIE ANDERSON, INTERVISTA

CARMELO BENE RICCARDO CUCCIOLLA VIRGINIARYAN SERGIO BARBADORO OSCAR NIEMEYER

Immagine da «A propositodegli effetti speciali»di Alberto Grifi (2001)

Sconosciuto fuori dall’Italia, «Anna» di Grifi e Sarchielli racchiudeogni seme e componente segreta di un periodo mitico e espolsivo,l’Italia degli anni 70. Dopo Londra lo riscopre Artforum e l’America

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(2) ALIAS22 DICEMBRE 2012

di RACHEL KUSHNER *Traduzione e cura di Gianluca Pulsoni

●●●«Ospedali, prigioni, e casermesono così. Una volta che sei dentro,sei fregato… sei malato perché noncapisci la loro medicina», diceVincenzo Mazza, al momento in cuiincontra e diagnostica consorprendente chiarezza la naturarepressiva della vita in Italia per unproletario come lui nell’anno 1972.Lui è un personaggio secondario ereale di un film che ha soprattuttocome protagonista una ragazza dinome Anna, il cui cognome nessunosembra ricordare, o che è possibilenessuno abbia mai saputo – senzacontare il fatto che si caratterizzacome centro di gravità e stella diquesto film di quasi quattro ore, cheporta il suo nome e nel quale lei,come Mazza, recitano solo se stessi.

Nel febbraio 1972, MassimoSarchielli, un attore professionistache vive a Roma, raccoglie Anna –sedici anni, senza casa,tossicodipendente, e incinta di ottomesi – e la lascia stare nel suoappartamento. Gli viene in mente difare un film su di lei e chiamaAlberto Grifi, ormai una figuraimportante nel cinema sperimentale(il suo film stile Bruce Conner, Laverifica incerta, realizzato conGianfranco Baruchello nel 1964, èconsiderato un esperimentoinnovativo con il foundfootage).Grifi filma le ricostruzioni delpassato di Anna e gli incontri inizialidi Sarchielli con lei. «Da dovevieni?», Sarchielli le domanda in unadi queste ricostruzioni di scena,essendosi avvicinato a un tavoloall’esterno di un bar nel quale lei èseduta. «Cagliari», lei dice, unarisposta che Sarchielli le domandadi ripetere, suggerendo quasi chequell’impoverita Sardegna, dellaquale Cagliari è il capoluogo, sia untantino fuori dal suo orizzonte.

Queste scene hanno luogo doveAnna incontrò Sarchielli, a piazzaNavona – ritrovo di fannulloni,chiassosi, capelloni, tutte quellepersone facenti parte delproletariato romano che Pasoliniaveva in un primo tempo celebratoe feticizzato ma che dal 1972 iniziò acondannare. Anna, sebbene facenteparte del genere sbagliato perincarnare l’archetipo perduto diPasolini, rifiuta nonostante tutto lateoria del cineasta che vuole che laclasse sottoproletaria italiana avessesubito una «mutazioneantropologica», una degenerazionefisiognomica portata dalle abitudiniconsumistiche. Lei possiede invecela beatitudine di una madonnarinascimentale, come la mdpriconosce, fissandola con unadilatata persistenza warholiana. ConAnna è capitato come con certisoggetti di Warhol, non ne sentiamopiù notizia, come il PatrickTilden-Close di Imitation of Christ(1967), dove l’elettrizzante presenzadi una bellezza filmata e di unosguardo stesso ossessivo formanoun vivido e misterioso documentostorico: di «stelle» che esistonopuramente come stelle, lasciandonessuna traccia delle loro vite fuoridallo schermo, fuori dal loromomento di celebrità di celluloide.Il loro unico ricordo è quello supellicola.

Quasi sconosciuto per i successivitrentasei anni fuori dal Paese dove èstato realizzato, come se fossesottochiave, Anna racchiudeapparentemente ogni seme ecomponente segreta di quel periodomitico ed espolsivo, l’Italia degli

anni settanta. Recentementerestaurata dalla Cineteca Nazionalee dalla Cineteca di Bologna, la copiaè stata vista l’anno scorso al Festivaldi Rotterdam e nel 2011 a Venezia,dove il film era stato proiettatooriginariamente nel 1975. Inoltre, èstata vista questa primavera scorsaalla Tate Modern, in simultanea conla retrospettiva dedicata ad AlighieroBoetti, il cui stesso lavoro negli annisettanta guarda alle agitazionipolitiche italiane di quegli anni.Questo restauro e rinascita sono inlinea con il crescente interesse neiconfronti del complesso maggioitaliano. Anna, infatti, illumina conunicità un momento storico cheriguarda fenomeni contemporaneicome Occupy, i movimenti europeidi anti-austerity, e forse persino laprimavera araba, che è ancora pococompresa. Dovremmo quindi esseregrati alle contingenze della sorte,che, per molti anni parevanooscillare tra il riportare Anna a unaluce pubblica e il lasciare il film nelbidone della spazzatura. Dopo averviaggiato nel circuito dei festivaldegli anni settanta, da Berlino aVenezia a Cannes, il film è cadutonel dimenticatoio per ragioni pocochiare (c’è persino una speculazioneche fosse stato tolto dallacircolazione a causa delle potenzialicomplicazioni legali derivanti dallostatus di minore della ragazza).

Estrapolato da undici ore digirato, Anna è stato il primo film inItalia ad essere realizzato suregistratore video a bobina aperta(più tardi trasferito su 16 millimetricon l’uso di una macchina, ilvidigrafo, inventata da Grifi), e ilformato si dimostrò cruciale nellosvolgimento del film. Come Grifispiega in una sequenza introduttiva(curiosamente assente dallaversione restaurata), il video hamodificato la sua relazione coltempo e la sua rappresentazione diquesto. Il tempo non era piùdenaro, come per i film costosi, maqualcos’altro: era diventato unmatrix attraverso cui un cineastapoteva in ultimo muoversi senzalimitazioni, catturando non solo imomenti della vita più quieti eapparentemente insignificanti, maanche interi tratti nonconsequenziali. Nella sua relazionecoi cineasti, vengono concessi adAnna tempo e comodità, perchénon era più sulla strada. E la mdpaveva così altrettanto tempo ecomodità per osservarla, grazie albasso costo del video. Ma come gliantropologi hanno insegnato,osservare è contaminare, e in questocaso, Grifi e Sarchielli non furono

semplicemente osservatori. Sipresentarono come i salvatori delloro soggetto.

La storia – il «soccorso» di Anna –fu originariamente concepito daGrifi e Sarchielli nello spirito delcinema diretto, lungo le tracce deilavori di Jean Rouch, Cronaca di unaestate (1961), del Chris Marker di Lejolie mai (1963), e del concettoneorealista di «pedimentamento»come lo aveva sviluppato losceneggiatore Cesare Zavattini, cheGrifi considerava un mentorespirituale. Ma i cineastiabbandonarono rapidamente la lorostessa sceneggiatura e lasciaronoche le loro interazioni con Annaguidassero a cosa sarebbe stato ilfilm, cioè un esperimento socialevicino al lavoro di Marker, co-direttocon Mario Marret, À bientôt, j’espére

(1968), che documentava laformazione della coscienza di classenegli scioperi degli operai del tessilea Besançon,Francia. Anna racconta lagravidanza del personaggio deltitolo e le relative circostanze e, diriflesso, la sua stessa gestazione. Lamaggior parte della durata del film èdata alle intervistedocumentaristiche a diversepersone in piazza Navona, ognunadelle quali giudica con una propriaopinione la situazione di Anna. Unagiovane spiega che i sindacati e ilpartito comunista non aiuterannoAnna perché non è propriamenteuna proletaria – non è né pulita, nésposata, né può lavorare. I giovaniinvece dicono che è una puttanaribelle. «Ha bisogno di rompersi latesta», dice il ragazzo che leiidentifica come il suo ragazzo. Lasola persona borghese intervistatanel film, un avvocato, dice con ariadivertita che è contro la legge«raccogliere» una minorenne e chesarebbe stata meglio in un istituto(anche se lui stesso non nasconde dipreferire i fucili da caccia alleistituzioni). O forse – suggerisce –potrebbero battezzare il bambinoproprio lì, nella piazza, alla fontanadel Bernini, scatenando le risate ditutti gli astanti.

Attraverso queste voci, si ascoltal’Italia in fermento di allora. Annaviene realizzato sulla scia dell’«autunno caldo» del 1969 e 1970,con i suoi continui scioperi nellegrandi fabbriche al nord e l’attentatomortale dei fascisti a Pizza Fontana.Per questo crimine è erroneamente

LA VERIFICA INCERTA●●●Nel 1964 Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi strapparono almacero 150.000 metri di film hollywoodiani, dopo i 5 anni disfruttamento legali (per 15 mila lire). Rimontarono con scienza dadà iltutto (finendolo in spider verso Parigi, dove Duchamp presenziavaall’anteprima) e produssero un capolavoro d’avanguardia che inebriòanche John Cage, con cast e ritmica dell’avventura ineguagliabile. Cosìnacque il film dei film, «La verifica incerta», alle scaturigini di Blob,raccontata in un libro del 2004 a cura di Carla Subrizi (DeriveApprodi)con scritti di Aprà, Baruchello, Eco, Ghezzi, Grifi, Pivano, Paolozzi.

Sedici anni,tossicodipendentesenza fissadimora,incinta di ottomesi, nell’occhiorivoluzionariodel cinemasperimentale

In pagina immagini da «Anna»:a sinistra con Massimo Sarchielli,

a destra con Alberto Grifi

La sparizionedi una donnain rivolta

UNDERGROUND

COME FARE A PEZZIHOLLYWOOD

1972-2012

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(3)ALIAS22 DICEMBRE 2012

GERENZA

incolpato un anarchico, PietroValpreda, la cui detenzione èdiscussa dalle persone chebighellonano a piazza Navona, quasitutte con un passato in prigione, peraccuse che dicono essereindirettamente politiche (persinoGrifi era stato da poco dentro).

I primi mandati di catturaconnessi ai militanti di sinistra dellebrigate rosse, una organizzazionenata alla Pirelli impianti pneumatici,hanno luogo un anno prima, nel1971. Col 1972, il clima in Italia

diviene repressivo, tanto che lepersone in Piazza Navona iniziano afar battute del tipo «su dieci di noi,ci sono otto poliziotti o spie». Tuttiloro sono o di Roma oppurevengono dal sud d’Italia e incarnanouna cultura che non ha alcunarelazione storica reale col lavoroindustriale, col nord e le suefabbriche. Sono una precoceiterazione della corrente criticaitaliana, dalle lotte di fabbrica ad unlargo rifiuto controculturale, nonsolo dei sindacati e dei partiti

tradizionali della sinistra, ma anchedel lavoro. Col 1977 questaattitudine verrà a esprimersi comel’impulso allo stare insieme – l’unirsie il costruire una nuova vita,operando contro la riproduzionedella struttura di classe e cercandol’appagamento dei desideri e bisogniche non potevano essere soddisfattidentro un tale dato stato di cose(«L’erba che voglio, come dice loslogan, non cresce nel giardino delre»).

La gente della piazza sipavoneggia come artisti. «Fai unquadro, e Agnelli lo comprerà per unmilione!» una giovane scherza.Parlano una lingua confusa, ai limitidella coerenza ma alla fine, dentro lospecifico e nero contesto, logica: èuna lingua che parla di rivoluzione,violenza, disperazione.

A differenza di tali «ruffiani», glioperai di Besançon nel film diMarker À bientôt, j’espére hannoopportunamente desideri proletari:andare a casa e pranzare con leproprie mogli, avere delle vite fuoridalla fabbrica. Tali operai avevanopersino preso il controllodell’apparato filmico attraverso ilcollettivo cinematografico Slon(«Société pour le Lancement desOeuvres Nouvelles»), cofondato daMarker nel 1967, passando a tutti glieffetti dall’essere oggetto allo stato disoggetto e alla fine condividendol’onere della stessa produzione conMarker. Anna, di contro, non èpropriamente soggettivizzabile. Nonsolo è sottoproletaria, ma è ancheuna ragazza che ha problemipersino nel voler vivere. Una oscurae iperbolica figura anticipatoria diun movimento di lì per esplodere, èqualcuna che manda a quel paesetutti. Prova a far telefonate con lacornetta sotto sopra. Alle volte ècatatonica. Non partecipa quando lamdp registra la marcia delle donne aCampo de’ Fiori, dove Jane Fondaattraversa fugacementel’inquadratura (nello stesso anno –sicuramente non una coincidenza –la stessa «appare» nei film delgruppo Dziga Vertov, Tutto va bene eLettera a Jane). Le donne cantanoche la moglie è la proletaria dellafamiglia – un problema privilegiatoche ha poco a che fare con lepreoccupazioni di qualcuno comeAnna che, per parafrasare la formulausata dalle donne in marcia, sarebbequalcosa come la proletariadell’orfanotrofio.

E in effetti lei è questo. Gliorfanotrofi sono stati la sua primaintroduzione alle istituzioniextra-familiari, e le istituzioni sonociò da cui Anna, che porta sui polsi isegni dei numerosi tentativi disuicidio, è da poco fuggita. Ha spesola sua vita dentro e fuori di questi econosce intimamente ciò chel’avvocato che «preferisce i fucili»finge di chiamare, nel suggerirle ditornarci, come aiuto. Le suore lestrofinavano la senape su tutto ilcorpo per bagnarle il letto quandoaveva cinque anni – spiega – efrustavano le ragazze «di uno o dueanni». In Anna, le istituzioni –manicomio, reparto maternità,galera – demarcano orizzonti elimiti, simbolici e attuali, in modototalizzante. Il film, la suacontinguità col mondo che raffigura,presenta se stesso in un sensougualmente totalizzante, sia per ilsuo soggetto che per i suoirealizzatori, le cui vite vi sonoincorporate e non separate dalcampo delimitato dall’opera. E perAnna, il film diventa la sola opzionepraticabile. È fortunata a stare daSarchielli, uno scapigliato tardotrentenne che si prende cura di lei,sebbene con sollecitudine sospetta,toccandola occasionalmente e in unpunto «deliziandosi» nel latte che leigli spreme dai seni. Ma dato che lasua sola altra opzione è la strada, hapoca scelta pratica: stare con lui etollerare la realizzazione del film, lacui forma di verità fa affidamentosulla sua vitalità e, in egual misura,sulla sua dissoluzione come polaritàattrattiva.

Grifi e Sarchielli non stavanoprovando a politicizzarla. Nonsembrano dare alcuna speranza divalorizzare Anna attraverso l’atto difilmarla. Alla fine di À bientôt,j’espére di Marker un processodialettico di auto-iscrizione ha avutoluogo così da permettere a Marker,come cineasta, di scomparire.Gli operai di Besançon formano illoro proprio collettivocinematografico, il gruppo

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SEGUE A PAGINA 4

OLTRE LE REGOLE DEL CINEMA●●●È il titolo di un libro del 2008 dedicato a Alberto Grifi, il terzo uscito dopo ilpionieristico quaderno del festival di Bellaria del 1993. Il titolo completo è «Oltre leregole del cinema - Rainbows & Shining Stars Beyond the Windows» ed curato daManuela Tempesta in collaborazione con Elisa Baldini. È una pubblicazione dei Quadernidi Cinemasud, Edizioni Laceno. Tra i contributi scritti di Tonino De Bernardi, RaffaeleMeale, Paolo lapponi, Irene Pantaleo, Gianfranco Pannone, Giacomo Ioannisci, FedericoCuccari, Paolo Speranza, Miko Meloni, Davide Zanza, Monica Dall’Asta Silvana Silvestri,Alberto Castellano e Bruno Di Marino. Le interviste sono a Alessandra Vanzi, PaoloLapponi, Roberto Perpignani, Romano Scavolini, Michele Schiavino e Giordana Meyer.

A trentasei annidalla suarealizzazioneil film, restauratoda poco,rappresenta stile,voci e presenzedelle lottedegli anni ’70

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SEGUE DA PAGINA 3 SEGUE DALLA PRIMA

Foto in alto: Alberto Grifi alcentro e alla sua destraCesare Zavattini (foto deiprimi anni ’70)In basso Alessandra Vanzinella sequenza di «Aproposito degli effettispeciali» (2001)

Medvedkin, e con gli scioperiazzardati del maggio del 1968 siritrovano dietro la camera, afilmare. Anna, al contrario, è soloun esemplare, una «cavia», comeGrifi si riferirà a lei vent’anni piùtardi, in una intervista nella qualeha ammesso «il sadismomalamente nascosto» del film. Mada certi punti di vista Anna è più unfantasma che una cavia, unsintomo del cambiamento nellacomposizione della sinistra italiana,dalle condizioni materiali dellaclasse operaia al mondo deglihippies, degli studenti, deilavoratori precari, deitossicodipendenti, e degli altriemarginati che sarebbero andati acostituire il movimento del 1977.

Il primo atto di rivincita di Annacome cavia: contagia coi pidocchitutta la troupe. Ma questo provocasolo umiliazione e paternalismo, inquanto Sarchielli la forza adenudarsi e far la doccia,rimproverandola per avere i piedisporchi: ad un certo momento, lamdp punta sulle sue dita chegiocano distrattamente con i suoipeli publici, come se fosse ungorilla allo zoo. Mentre la troupe èalle prese col problema deipidocchi, l’elettricista del film«lascia il suo ruolo ed entra incampo», come una didascaliaannuncia. L’elettricista – viene fuori– è Vincenzo Mazza, le cui proprieidee sulle istituzioni sono statecitate all’inizio. Un ventunenne exdipendente della Pirelli che avevapartecipato ai famosi scioperi aBicocca fa un passo versol’obiettivo e dichiara il suo amoreper Anna. Questo momento, e laromantica relazione che ne seguì,più tardi venne definito da Grificome un atto di rivolta da partetanto di Anna che di Vincenzo.Anna, ha detto Grifi, «voleva amore,non pietà» (sebbene non sia chiaroche era pietà ciò che i cineasti lestavano offrendo, salvo poi trattarsidi una pietà crudele, nietzschiana).Nell’ultimo posto della gerarchiacinematografica, Vincenzo –secondo Grifi – stava prendendo ilcontrollo dell’apparato coll’andaredi fronte alla mdp, agendo nonfuori dalle condizioni del suo roloma mosso dal desierio. Come ilmovimento autonomista che erasul punto di rivelarsi – gioioso eincredibile, ma assalito dalledepredazioni dell’eroina e dellaprigione – la dichiarazione diVincenzo è tanto emozionantequanto infausta. Si intuisce chepotrebbe finire male.

A confermare che la logica delfilm è perfettamente avvoltaintorno alle condizioni storiche delsuo soggetto, Anna ha il propriobambino il giorno dello scioperogenerale e in quello che potrebbeessere essere definito il suo secondoatto di rivincita: rifiuta ai cineastil’accesso all’ospedale. Se fino aquesto punto l’instancabileregistratore video è stato unostrumento del potere dei cineasti,ora questo e loro sonoimprovvisamente bloccati. E noinon la vedremo più nel film.«Questa ragazza ci ha fatto sudare»,dice uno della cerchia deifrequentatori abituali di PiazzaNavona. Grifi osserva: «è chiaro chelei ci ha fregato, dal punto di vistadel regista del film.» Segue unadiscussione riguardo l’utilizzo diAnna. «L’avete usata a pieno finoalla fine», una donna dice, «e orasiete arrabbiati.»

Grifi e Sarchielli intervistanoVincenzo fuori dall’ospedale, difronte a un muro con slogan politiciinneggianti scioperi. Racconta loro,sorridendo, che il bebé è unabambina.

«Quali sono i tuoi piani?»,domanda Grifi. «Non lo so», dicesognante lui. «È primavera, poiverrà l’estate.» Il film torna ancorasu Vincenzo, ore più tardi; ilpediatra ha preso il bebé perché

Anna è una minore e ha ancora ipidocchi. Con nessun tutore omarito, lei non può legalmentereclamare la bambina. Vincenzo,sconvolto, pronuncia una concisa,poetica, e sinistra analisi dellasituazione, di una bambina natadove «insegnano solo lasofferenza… violenza e tutto ilresto», in un sistema di lavoratorid’ospedale che «finiscono a nonconoscersi o a lasciare da soli glialtri.»

Alla fine del film c’è un’altraintervista con Vincenzo, un annodopo. È da solo con la bambina,con Anna che ha abbandonatoentrambi. Dice che una donna lo hacastigato per aver richiesto aiuto aguardare la bambina mentre sitrovava a lavoro, dicendogli che ibambini sono una responsabilitàdell’uomo, e che Anna ha fatto lacosa giusta a lasciarlo. Mentre ilmovimento delle donne è statosicuramente il cambiamento piùduraturo e di successo dell’Italiaconvulsa degli anni settanta,l’importanza del rifiuto di Anna, ilsuo allontanamento, sconcertaVincenzo, anche se sente che ladonna che lo ha rimproverato haragione. Il no di Anna, dice,dovrebbe essere un rivoluzionariono. Invece, dice, è rassegnazione emorte, «un rifiuto di vita e amore».Vincenzo ha fatto esperienza direttadi un aspetto della particolare«emancipazione» di Anna – lei nonè mentalmente adatta a esseresubordinata a nessuno, men chemeno a essere una moglie – manon è in grado di vedere che il norivoluzionario e di sì alla vita nonha molto senso per lei come nonl’avrebbe il marciare con JaneFonda in piazza. Anna è un avatardi un tutt’altro femminismo, unaforma di no che viene anche acosto di tutto, anche della suastessa bambina. Lui invece èscoraggiato, una situazione difficileda testimoniare. Ma nessunproblema per il povero VincenzoMazza: lo ritroviamo comunque,ucciso quattro anni più tardi, inCampo de’ Fiori, come scoperto percaso leggendo vecchie copie diLotta Continua. Interviene in unalotta violenta tra un uomo e unadonna e viene pugnalato. Il suoassassino è il fratello di Gian MariaVolonté, e venne poi detenuto nellastessa prigione romana dove Grififu carcerato, Regina Coeli.

E Anna? Che ne è stato di lei? Icineasti, entrambi morti, nonl’avrebbero mai detto. L’ultimavolta che la sentirono – raccontapiù tardi Grifi – fu mentre stavanomontando il film. Lei chiamò,piangendo, da un manicomioromano. Li pregò di salvarla einoltre li minacciò di farli arrestareper aver filmato una minore. «Etutto quello che avemmo saputofare», dice Grifi, «fu registrare latelefonata». Negli anni intercorsi trala realizzazione di Anna e la suamorte nel 2007, Grifi è stato di voltain volta riflessivo e sulla difensiva,incolpando il pubblico del 1975 diVenezia per tenere di più all’Annasullo schermo che a quella inmanicomio, e persino dichiarandoche questo stesso spettatore aveva

trasformato il pubblico in polizia –quando potrebbe essere sostenutoche la forma del film fatto da lui eSarchielli, con il suo coro di estraneigiudicanti, la scena del bagno, haindotto proprio questo effetto.Sarchielli fu più ambivalenteriguardo al fatto se lui e Grifiavessero strumentalizzato Anna,sebbene entrambi si divisero nonsopra disaccordi etici ma sopra ilsolito, banale problema: lapaternità autoriale (la stampaitaliana considerò il film come fattodal solo Grifi).

Gli anni settanta italianicontinuano a ritornare – sembra – apiù di dieci anni dal culmine delmovimento antiglobalizzazione edalla pubblicazione di Impero diHardt e Negri (nonostante gli sforzidi quel libro per cancellare i suoilegami con l’Italia), ognuno deiquali ha provocato uno scavo dellestrategie autonomiste nei circolidegli intellettuali e degli attivisti.Negli ultimi cinque anni,Semiotext(e) ha ripubblicato unaesaustiva raccolta dei documentidel periodo, Autonomia:Post-political Politics (2007), oltre aThis Is Not a Program (2011) diTiqqun, che offre una propriaversione dell’autunno caldo e delmovimento del ’77, secondo leanalisi e la critica di quello stessocollettivo, mentre VersoBooks haappena ripubblicato il freddo e

splendido Gli invisibili di Balestrini, che molti consideranoessere il romanzo del movimento. Gli invisibili non sarebbepotuto essere stato scritto, così si racconta, senza i resocontidi prima mano di Sergio Bianchi, che visse le straziantiesperienze che Balestrini descrive. Se l’autonomia si riferivainizialmente a una rinuncia di tutte le forme di politicaorganizzata di sinistra, e in particolare di quella del partitocomunista, verrebbe inoltre a implicare un soggettoautonomo, qualcosa il cui pensiero e azioni traspaiono senzal’influenza determinante dello Stato. Qualsiasi movimento oazione chiamata autonomista è in realtà una trama complessasenza fine e un flusso di diversi individui che si uniscono indiversi punti e per diverse ragioni. Riassumere l’autonomia,allora, significherebbe banalizzarla. In questo senso, letestimonianze degli individui coinvolti diventano cruciali peranalizzare e ricostruire questo irripetibile periodo di rivolta, eAnna ne fornisce in una singolare abbondanza, in tutta la lorocodificata e passata acutezza.

Anche i precetti formali dello stesso film – le suedrammatizzazioni degli eventi della vita vera, e l’effettospettrale del suo riversamento da video a film in 16 millimetri,che comunica una qualità una volta rimossa – diventanoaspetti involontari della singolarità di Anna, ora visto piùcome curioso memorabilia temporale, in parte cimitero, inparte zoo di vetro. Il film non si conforma né alriconoscimento riflessivo dei momenti catturabili del cinemaverità, né alle pretese di neutralità del cinema diretto. Irealizzatori di Anna sembrano pensare di occuparsi delproblema di Anna, non delle anticipazioni di rivolta che sonocosì palpabili nel film oppure dei problemi stessi dei cineasticol nichilismo che si nasconde dietro i confini del lavoro, inun vacillare tra una possibile rabbia produttiva ed esiti piùcupi: alcuni soggetti di Anna sarebbero sicuramente divenutimilitanti di autonomia operaia a Roma, mentre altriavrebbero ceduto all’eroina, e così si può supporre che con lafine degli anni settanta la maggior parte dei personaggipassati di fronte alla mdp vennero portati allo stato difuggitivi, oppure imprigionati, oppure morirono – in eventi eluoghi dove nessuno li avrebbe filmati.

Nei crediti originali forniti per la proiezione di Anna aVenezia, ogni persona che parla in campo – persino i camei diLouis Waldon e Fonda, che è vista per meno di dieci secondi –è menzionata pienamente. Ma Anna, sulla quale la macchinada presa sta per la maggior parte dei 225 minuti del film? Dilei, solo il nome. Null’altro. Se questa omissione si legge comeuna indicazione della sua fuga dalle istituzioni (o un tentativodel genere), ciò si aggiunge, in maniera notevole, al misterodel suo destino. E se però una questione del genere, la suasorte, è un poco ingenua e immatura, il film è ciò nonostantestrutturato intorno proprio a questa – purché la domandarimanga irrispondibile. L’oggetto di fascino del film – ciò cheappena dissolve una voce disperata al telefono – è il suostesso sacrificio. Ma poi ancora, la domanda irrispondibile è ilterzo e finale atto di rivincita di Anna: una fuga nell’invisibilitàe nell’anonimato, un tipo di rinuncia che non può essererecuperata, compresa con la pietà, oggettivizzata, fissata,oppure sostenuta come un angelico(o almeno formalmente innovativo)lavoro di altri. La sparizione,perfetta – nessuno sembra averealcuna idea di cosa le sia successo,o della bambina che ha tenuto fuoridal film – è lei stessa.

*Si presenta di seguito la versioneitaliana del saggio della scrittricestatunintese, Rachel Kushner – il suoprimo romanzo, Telex da Cuba, èuscito nel 2010 da noi, perMondadori – dedicatoall’importante opera di Grifi eSarchielli. Lo scritto in inglese èapparso sul numero cartaceo diArtforum, novembre 2012. Nellatraduzione e successiva cura, si ècercata la massima fedeltà,rimaneggiando solo quei riferimentiche da noi possono,ragionevolmente, venire dati perscontati.

Si ringrazia la rivista statunintese,in particolar modo AnnieOchmanek, per aver concesso lariproduzione. Oltre, ovviamente,l’autrice del pezzo: per la fiduciaconcessa, e la stima. (G.P.)

riflettere su questa nostra culturacattolica così intrisa di senso dicolpa, è nelle pieghe di quelleregistrazioni rubate e sgradite chesi rivela la mistificazione dellapretesa verità e si capisce benequel che Alberto ribadiva semprecioè che ogni intervento selettivo,nel montaggio così come nelleriprese, modificherà, quindifalsificherà, la «realtà» filmatacome tale, la semplice presenza diuno «spettatore-regista» protetto,anche fisicamente, dalla macchinache registra ciò che avviene è già diper sè un intervento esterno, checoscientemente o meno,condiziona e mistifica i fatti. Annaè un film bello e tremendamenteinquietante che rivela un'umanitàche ondeggia tra utopie esquallore, Anna è una ragazzina di16 anni incinta e drogata che sipresta controvoglia a diventareattrice della propria storia incambio di un letto caldo e qualchepiatto di minestra. MassimoSarchielli, che con Grifi firma laregia oltre ad essere attore, laospita a casa sua dopo averlastudiata e osservata ben bene suimarciapiedi di piazza Navona dovela ragazza passa il suo tempo esperpera il suo destino, gli deveessere sembrata un soggetto moltointeressante e magari più«addomesticabile» data lacondizione di totale indigenza incui si trova, e così coinvolge Grifi,da poco uscito dall'incubo di uningiusto arresto per una chiamatadi correo, e gli sottopone untrattamento scritto, un po’ dipellicola e una cinepresa 16millimetri, che dopo poco verràsostituita dal videoregistratorestrumento di verità. Dove sia ilconfine tra bene e male in tutto ciònon si capisce e neanche chi usachi è chiaro, perchè se nel montatoci assale un senso di sgradevolezzaprofonda nel rapporto che si creatra Anna e gli altri, tranneVincenzo l'elettricista che verso lafine del film entra in campo edichiara il suo amore per lei, neglispezzoni di materiali extra appenarestaurati tutto è più chiaro. Cisono alcune scene, che sembranoveramente spontanee che vediamoinvece ripetere varie volte comenel cinema tradizionale tra cuil'arrivo di due poliziotti inborghese che infastidiscono Annao il dialogo sulle scarpe adatte allafuga tra due ladri, o il primoincontro tra Sarchielli e Anna inpiazza e c'è una parte girata unanno, o forse più d'uno, dopol'uscita del film in cui Vincenzo sirivede e commenta la propriaspontaneità e sincerità neltentativo di salvare Anna dallapropria disperazione con l'amorecome fossero sentimenti lontanianni luce, e racconta dellasconfitta totale, di non essereriuscito a impedirle un tentativo disuicidio né a salvarla dall'essererinchiusa in manicomio e ammettedi non aver saputo o potuto tenerecon sé quella bambina neanchesua che chissà dove sarà finita, ecerca comprensione da Sarchielli eGrifi e dice «eravamo diversi...eratutto diverso» ma Grifi fuori campolo contraddice con la crudeleconsapevolezza di chi ha sempresaputo che anche per raccontare laverità ci vuole qualcuno che laricostruisca e che la reinventi.Questo film causò rotture e litigitra i due autori per molti anni, siriappacificarono solo in occasionedel premio a Grifi, ma credo fosseinevitabile uno strascico dolorosodovuto proprio ai sensi di colpanei confronti di questa ragazza,usata e lasciata andare al propriodestino, Anna sparisce,volontariamente, proprio in quelloche doveva essere il momento cloudel film la nascita della bambina,rifiutando, come raccontaVincenzo, l'amore, la maternità, lavita stessa vera o filmata che fosse.

LA RIVOLTA DI VINCENZO

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(5)ALIAS22 DICEMBRE 2012

di ALBERTO CASTELLANO

●●●Non è mai troppo tardi perricordare in manierafilologicamente e storicamenteadeguata Riccardo Cucciolla,l’attore barese scomparso nel 1999.Ci hanno pensato i due critici VitoAttolini e Alfonso Marrese, curatoridi un corposo volume che raccogliesaggi di critici e studiosi etestimonianze di registi e attori cheripercorrono il complesso,articolato e intenso itinerarioartistico di Cucciolla (RiccardoCucciolla. Ritratto di attore,Edizioni dal Sud, pp. 223, Euro 15).L’iniziativa editoriale fa parte di unpiù ampio omaggio all’attoreorganizzato a Bari per unasettimana (dal 9 al 16 novembre)dall’Associazione «Attraverso loSpettacolo» in collaborazione conl’Università di Bari e con il sostegnodel Consiglio Regionale e

l’Assessorato alla Cultura e Turismodella Regione Puglia, checomprendeva anche una mostra dimanifesti dei più importanti filminterpretati da Cucciolla e di foto discena e un convegno. La poliedricaattività di un uomo di spettacolodavvero multimediale (cinema,teatro, televisione, radio,doppiaggio) viene esplorata in

lungo e in largo con interventicritici, ricordi di compagni dilavoro, esaustive filmografie e unprezioso repertorio radiofonico. Masoprattutto il libro restituisce conpassione e rigore la dimensioneumana e artistica, lo spessoreintellettuale e l’impegno civile epolitico di uno di quei rari casi(almeno per il cinema italiano) diinterprete di cinema, teatro etelevisione di qualità, che hasempre scelto con coerenza ruoliimpegnati(vi) e (un po’ comeVolonté) al tempo stesso di attorepopolare, contribuendo spesso conla sua presenza o con la sola voce adivulgare film e sceneggiatid’autore e documentari.

Le testimonianze di GiulianoMontaldo («il suo volto, unagaranzia di qualità», CeciliaMangini («la sua voce aveva dentroil sud, il suo calore»), MilenaVukotic (»un compagno di gioco

ideale che mi ha aiutato con la suadiscrezione») nel primo primocapitolo «L’uomo e l’attore» e gliinterventi dello stesso Attolini, diFelice Laudario e WaldemaroMorgese nel secondo capitolo«Riccardo Cucciolla e il cinema» e ipiccoli saggi critici dedicati adalcuni dei film più significativi deicirca 70 da lui interpretati (Sacco eVanzetti, I sette fratelli Cervi,Antonio Gramsci. I giorni delcarcere, L’istruttoria è chiusa:dimentichi, Nella città perduta diSarzana, La violenza: Quinto potere,Il delitto Matteotti) ribadiscono conforza e convincenti argomentazionila statura di Cucciolla, diventatouno degli attori-simbolo del«cinema politico» italiano nel piùampio filone del cinema d’impegnocivile. Gli altri saggi documentanol’intensa attività dell’attore anchenel campo della televisione, delteatro e del doppiaggio sempre nel

segno di un metodo rigoroso, diun’alta professionalità, di unainvidiabile qualità recitativa. Menoconosciuta ai più ma non perquesto meno importante è laproduzione radiofonica diCucciolla, ricostruita da AngelaAnnese nell’ultimo capitolo. Sonoriportate con cast e credit le circa300 partecipazioni dell’attore aprogrammi di prosa radiofonicadella Rai a partire dal 1949 quandonacque un rapporto artistico maipiù interrotto fino alla morte. Lavarietà di commedie e drammi diautori italiani e stranieri messi inscena dalla Compagnia di Prosa diRoma della Rai, di radiodrammi,sceneggiati a puntate e sempliciletture dà la dimensione di unattore capace anche di rendersiinvisibile, di dare contorni precisi aipersonaggi più diversi con la suasola voce calda, misurata, incisiva,convincente.

IN-VULNERABILITÀ DI ACHILLE

Per almeno venti anni Carmelo Bene lavoròcon il progetto «Achilleide» ad una sortadi funerale del suo stesso non-stare in scena:semidio beffato dagli dei, compare da solo

Non sono maiesistiti i giornidelle rose

di GIANCARLO MANCINI

●●●Di morire in scena non neaveva mai voluto neanche parlareCarmelo Bene, nonostante le tanteferite che da anni gli avevanoistoriato il corpo, occorrequantomeno «essere nati», diceva,per poter pensare alla propriascomparsa. Eppure per venti anni,dal ’79 al 2000, lavorò con il progettoAchilleide ad una sorta di funeraledel suo stesso non-stare in scena, adun punto di non ritorno di quelsottrarre al testo drammaticità,personaggi, epos, al quale aveva datoil via nei primi anni sessantastrappando via le pagine dei testi deigrandi autori.

L’importanza cruciale dellapubblicazione in dvd diIn-vulnerabilità d’Achille (Eyedivision, con un libretto di 40 paginee negli extra Una sera un libro:Carmelo Bene e l’Ulisse di Joyce, •19,90) non ha dunque bisogno diulteriori spiegazioni. La prima tappadi un percorso che poneva in unaradicale riscrittura le versioni delmito di Pentesilea e di Achillesecondo Omero, Stazio e Kleist fuallestita dal 26 al 30 luglio 1989 aMilano nel Cortile della Rocchettadel Castello Sforzesco con Pentesilea.La Macchina Attoriale – Attorialitàdella Macchina. Momento n˚1 delProgetto Ricerca – Achilleide di

Carmelo Bene. Da Heinrich VonKleist, Omero e Post-Omerica nellaversione di CB. L’ultima che coincidecon l’ultimo spettacolo di Bene èIn-vulnerabilità d’Achille ImpossibileSuite tra Ilio e Sciro, andato in scenaal teatro Argentina di Roma dal 24 al30 novembre 2000.

«Questa In-vulnerabilità d’Achille -disse in occasione di un incontro conil pubblico all’Argentina - mi eliminadel tutto: una volta di più, ma - comein un testamento - davvero una voltaper tutte… le altre volte. C’è dentrotutto quanto in me dissente dallarappresentazione, cioè da tuttoquello che si fa nel pianeta e sicontinua a chiamare teatro, da tuttoquello che ha un senso o che tornanel senso, in balia dei significati…».

CB è solo, in una scenacompletamente bianca, dove suampi drappeggi si adagiano membrascomposte di manichini, manigigantesche, un fuso di lana grezza.Mentre cerca di ricomporre senza

apparenza di congruità tutti queipezzi sconvolti dal disfacimento, sisussurrano le vicende di quei duegrandi eroi della nostra tradizione.Non per rievocarli, perché sottrattasenza appello è la possibilità delricordo di alludere ad un’atmosfera,a dei caratteri, quanto per renderlipresenti una volta di meno. Nessunricordo, la ri-scrittura dei testi chesin dagli anni ruggenti delle cantineli svuotava di teatro (personaggi daimpersonare, testo da interpretare,ecc.) per renderli ancora edefinitivamente soltanto poesiagiunge al momento della sua stessadecostruzione. In ciò sta unapossibilità di decodificare quelcontinuo andirivieni in scena, quelvestirsi e svestirsi ogniqualvolta siapre una possibilità al testo eall’attore di esistere, ad Achille e

Pentesilea di amarsi.Achille è l’eroe privato della sua

invulnerabilità, il semidio beffatodagli dei, colui che indossa le armiformidabili forgiate da Vulcano ma ècostretto a convivere con la suadifettosità, da «umano», per via diquel «tallone d’acciaio». «Se a me èbenigna la sorte/ Oh figlio haaccordato le nozze/ quello cheprometteva/ avesse/ tu sarestigrande/ una stella tra le mie braccia/sarei madre d’una stirpe divina/ di làdalla paura sotterranea delle/ Parchee del Fato terrestre/ Figlio tu sei unbastardo/ Vulnerabile/ solo in questaapprensione di madre».

Gettati via gli arti che nonconducevano a nessuna forma oapparenza, ecco svelarsi finalmentePentesilea, regina delle Amazzoni.Adagiata su un letto, dietro di lei unabito nuziale che Bene le getta ingrembo quasi a volerla obbligare aindossarlo e a dare il via a qualcosa.Ma anche lei è un fantoccio, si alza al

comando di un pedale, nient’altroche una macchineria.

I due terribili guerrieri-amanti siscontrano mortalmente nei testiclassici, qui permane qualchelacerto, il tremendo duello tra i due,il fiero corpo della regina riverso interra, Achille che la smascheradell’elmo scoprendone i «riccioliscomposti» e innamorandosenesubito.

La scomparsa dell’eroe e quelladell’attore si sovrappongono,entrambi sono stati fagocitati dallamacchina attoriale chetestardamente si concentra sulla loro

umana imperfezione, sulla ridicolacondizione di dover essere esposti esbeffeggiati da chi li osserva,dall’alto, gli dei, dal basso, noispettatori.

«Avrei potuto essere perfetto/integro come il marmo Salda roccia/Così sono compresso Incatenato/Sono groviglio incastro/ espostoall’insolenza del terrore/ Mai finitoMalnato/ Io sono Lui che la Madreazzurro/ poco mancò che generasseal Padre/ Zeus». È un passoproveniente dal Macbeth, comeanche, siamo poco prima della finedi uno «sconcerto» che dura unacinquantina di minuti, quellobellissimo e doloroso tratto da EmilyBronte: «Ho male Mi fa male Dovequi/ come un dolore che darisvegliati/ non si ricorda».

«È morta», Pentesilea è mortasotto il tallone d’acciaio delguerriero, le rose sulla fronte sonostate schiacciate dal suo passopesante. Achille vuole svanire allavista di ciò che il suo gesto haprodotto. Ultime parole. Ilmanichino non si muove più,Pentesilea era solo un meccanicoalzarsi dal suo bianco giaciglio,Achille un ineffabile sussurroabbracciato nel nulla. I giorni dellerose non sono mai esistiti. «Eabbracciarle i ginocchi è una freccia/che trapassa la voce dentro ilsangue».

RITRATTO

RiccardoCucciolla:la sua voceaveva dentroil sud,il suo calore

Carmelo Bene e il frontespizio del dvd.Sotto, Riccardo Cucciolla

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(6) ALIAS22 DICEMBRE 2012

Nelle superficila profonditàdell’Africa

di MANUELA DE LEONARDISGRAND BASSAM

●●●A due passi dalla spiaggia diGrand Bassam Virginia Ryan (nata aMelbourne nel 1956) ha preso inaffitto una casa d’epoca, che quandoi lavori di ristrutturazione sarannofiniti, avrà oltre al suo studio unospazio adatto per ospitare residenzed’artista. A una trentina di chilometridalla capitale, Abidjan, GrandBassam evoca il ricordo del suo brevepassato di capitale coloniale tra il1893 e il 1900. Oggi è patrimoniomondiale dell’Unesco. Nel suotessuto urbano di eleganti edificicompletamente decadenti sipercepisce una potente vitalità,confermata dalla passeggiata sullaspiaggia di domenica pomeriggio. Lìsi dimenticano gli affanni delquotidiano, lasciandosi andare allaspensieratezza: c’è l’allegria deibambini che saltano sulle onde, legiovani coppie che si tengono permano, le famiglie che mangianoarachidi, frutta e gelati. C’è anche chiindossa il vestito della festa e si faimmortalare dai fotografi ambulanti,mettendosi in posa come nei ritrattidi Clic Clac Baby. Per il momento,però, lo suo studio di Ryan è aAbidjan, all’interno della residenzadell’Ambasciata d’Italia, in quantoépouse dell’ambasciatore GiancarloIzzo. Già in Ghana, dove ha vissutodal 2001 al 2008, e prima ancora adAlessandria d’Egitto e in Serbial’artista è sempre stata fortementecoinvolta dal contesto, realizzandolavori come l’imponente Castaways(2003-2008), installazione di duemilamoduli creati dall’assemblaggio dioggetti/frammenti restituiti dal mare

e trovati sulle spiagge immense delGhana da Pram Pram a Jamestown,Labadi, Anomabo. Ad Accra è statafondatrice della Foundation forContemporary Art, mentre adAbidjan nel 2011 è stata l’ideatrice diL’Esprit de l’Eau alla FondazioneDonwahi, un progetto che ha visto ilcoinvolgimento di artisti africani eoccidentali sul tema di Mami Wata,figura mitologica che rimanda allasirena. Strettamente connessi con larealtà africana anche i due ultimiwork in progress: Selling Dreams eRue de Commerce.

Selling Dreams è una sorta dimappatura semantica dei contrastiattraverso le immagini fotografichedei cartelloni pubblicitari, in cuiambizioni e sogni sono sintetizzatidall’imponente figura della mammaper eccellenza - Madame Maggi -sovrana del dado per il brodo cheinvita al sapore e al gusto più intensocorteggiando le signore con il motto«Chaque Femme est une Etoile» (ognidonna è una stella). Rue deCommerce, invece, è una seriepittorica che si sviluppa intorno allamemoria fotografica dei coloratissimipagne (tessuti «wax printed»), esposticon una logica razionale neglieleganti negozi della via che dà iltitolo a questo lavoro, come sullebancarelle dei mercati. Una ricercaestetica della bellezza, per l’artistaattraverso i significati ches’intrecciano in quello che potrebbeapparire solo ornamento. Con iltentativo di mettere ordine nellavisione caotica dell’Africa, seguendoil richiamo inconscio dei segniprimordiali che appartengono anchealla cultura aborigena della sua terrad’origine.

●La fotografia è il denominatorecomune di Selling Dreams e Rue deCommerce. Quando hai iniziato adusare questo linguaggio?Nel 1979 ho terminato i miei studi inVisual Communications alla NationalSchool of the Arts di Canberra. Eranoorientati soprattutto verso lapubblicità, che all’epoca non miinteressava, ma si studiava anchemolta fotografia. La prima mostrache feci quell’anno all’Arts Council diCanberra, insieme ad altri due artisti,è stata proprio dei miei lavorifotografici. Come assistente di studioavevo accesso alla camera oscura. Vitrascorrevo quasi ossessivamenteanche otto ore al giorno, finché imedici me lo proibirono a causa degliacidi che respiravo. Anni dopo, aTrevi, ho realizzato Cento Passi,un’installazione di cento paia discarpe accompagnata dalladocumentazione fotografica.Attraverso quelle scarpe donate dallagente del posto raccontavo la lorostoria. La documentazionefotografica è stata fondamentaleperché, tra un mio viaggio e l’altro,un trasportatore buttò via il saccocon le scarpe. La fotografia, perciò, ètutto ciò che resta di quel lavoro.

●Il tuo primo progetto fotografico,però, è «Exposures: A White Womanin West Africa». Come nasce?Nasce in Ghana dopo un anno chevivevo lì. All’inizio la macchinafotografica mi serviva per ricordare,come fanno i turisti. L’ho sempreportata con me. L’impatto conl’Africa è molto forte e la macchinafotografica mi serviva anche permettere un po’ di ordine. Proprio adAccra, benché sia una città

«Ho pensato di usare la mia pelle per scriverefotograficamente il mio essere lì, in Africa,in un momento che va dal 2001 al 2006».Intervista in Costa d’Avorio all’artista australiana

VIRGINIA RYANDERIVE E APPRODI

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(7)ALIAS22 DICEMBRE 2012

Virginia Ryan, artista (pittrice e fotografa)australiana e «nomade» e alcuni dei suoilavori realizzati a Abidjan, Costa d’Avorio,tra sogno consumista e miseria estrema

cosmopolita, mi sono subito resaconto che nel momento di scattareuna fotografia tutti cercavano ditogliere i bianchi. Come se una partedella mitologia dell’Africa è che siaabitata solo dagli africani, per cui perfare una foto dell’Africa bisognavafotografare solo la gente di pelle nera.Ma non è affatto così. Prima dipartire per il Ghana, poi, avevo fattouna ricerca per provare a vederequale sarebbe stato il mondo in cuiavrei vissuto, ma ad eccezione diqualche foto dell’epoca coloniale nonho trovato alcuna fotocontemporanea. Mettendo insiemequesto mio desiderio di vedere unarealtà che non mi apparteneva e dicui ero solo una minoranza, insiemeal dato di fatto che tutti toglievano ibianchi dalle fotografie, ho pensato diusare la mia pelle per scriverefotograficamente il mio essere lì, inAfrica, in un momento che va dal2001 al 2006. Quando avevo lasensazione di trovarmi di fronte aduna scena interessante, dal punto di

vista fotografico, aspettavo quello chesuccedeva intorno a me, poi uscivodalla scena e chiedevo a chiunquefosse nei paraggi, magari unpassante, di fotografarmi all’internodi quella situazione. Per cui mirimettevo esattamente nello stessoposto in cui mi trovavoprecedentemente. Ho trovatoparticolarmente interessante illinguaggio corporale: di fronte ad untestimone, ovvero alla macchinafotografica, chi faceva parte dellascena si metteva in posa. Tuttivolevano dare il meglio di sé, tantoche c’è chi, vedendo quelle foto, hapensato che si trattasse di tableauvivent realizzati apposta per ilprogetto. Ma non c’era nulla dicostruito. Il libro è venutosuccessivamente, quando insiemeall’antropologo americano StevenFeld abbiamo scelto una sessantinadi immagini, che sono state espostein vari posti dopo la prima volta inGhana. Il mio lavoro parte sempredal luogo in cui mi trovo e lafotografia, in particolare, è semprestato lo strumento per relazionarmial contesto. Nelle foto di Exposures :A White Woman in West Africa misentivo in minoranza, questo siavverte dalle immagini. Anche sesono presente in ognuna mi sentivosempre molto marginale. Il coloredella mia pelle non mi faceva maidimenticare questa realtà. Ricordo

che appena arrivata tutti michiamavano «obroni». Un tassista acui chiesi spiegazione mi disse chevoleva dire senza pelle, perchéquando arrivarono i primi uominibianchi la gente del posto pensavache fossero stati spellati. Ero stancadi essere me stessa, provavoaddirittura un senso di nausea,perché non potevo nascondermi.Sicuramente in questo caso ho usatoquesto mio disagio anche peresternarlo, liberandomene. Lafotografia è stata una forma diterapia.

●Con «Selling Dreams», invece, cispostiamo ad Abidjan perraccontare i forti contrasti dellacittà.Il mio lavoro nasce sempre daun’esperienza subliminale, oltre cheda quella fisica di trovarmi in uncerto luogo, anche attraverso l’azionedel camminare. Nel dicembre 2011ero a Dubai, dove sono dovutarimanere per qualche giorno. Misentivo frustrata perché il mondo chevedevo non mi dava, a livellosensuale, alcuna soddisfazione. Erosola e anche un po’ triste. Hotrascorso del tempo nella zona delsuq a guardare la gente che mangiavae poi ho camminato, camminato,camminato. Ad un certo punto hocominciato a notare i cartellonipubblicitari di oggetti di lusso,

marche famose. All’inizio misembravano interessanti solovisualmente. Quindi, un po’ comeaide-mémoire e un po’ anche comeforma di protezione - perché avevo lasensazione che scattando fotografieero impegnata in qualcosa e, quindi,meno vulnerabile - ho fotografatomolti di quei cartelloni. Un mesedopo, tornando ad Abidjan, nel trattodall’aeroporto a casa, quello chefaceva parte della confusione urbanaè balzato in avanti e per la primavolta ho notato i grandi eluminosissimi billboard. Mi è venutoimmediatamente in mente che mitrovavo in un pantheon in cui sisovrapponevano diversi livelli diesistenza. Molta gente di Abidjan vivein strada, non ha neanche una casa,ma c’è tutto un mondo di desideri epossibilità rappresentati da questisemidei - i personaggi dellapubblicità - che sono come noicomuni mortali, ma anche al di sopradi noi. Ci guardano, litigano,sorridono… hanno tutte lecaratteristiche degli umani. Semideidi un pantheon, appunto, chesuscitano ammirazione e anche unpizzico di invidia. In quello stessomomento ho pensato che era unmodo molto interessante perraccontare questa città. In questomodo avrei anche potuto acquistarepotere attraverso la coscienza delluogo. Mi sentivo quasi alla pari. Dagennaio 2012 ho scattato tantissimefoto. Mi è stata subito chiara, poi, laconversazione che c’era tra lesperanze della pubblicità vis-à-viscon quelle dell’architettura dei tantiedifici anni Sessanta, costruiti dopol’indipendenza. Oggi questi palazzipossono sembrare estremamentestressati e anche tristi, sia per via deltempo cronologico che di quelloatmosferico: pioggia, sole, sabbiaesasperati da questo clima che creamuffe e danni. Ma, secondo me,contengono ancora molte speranze.Ho visto la pelle di questi edifici indialogo con le pubblicità glamour chedurano al massimo sei mesi, poivengono rimosse e sostituire.

●C’è anche un altro aspetto, poi,che è quello documentaristico…Alcune delle immagini piùemblematiche tra quelle che hofotografato, a distanza di mesi sonoscomparse. Sicuramente adesso sonomolto cosciente di quello che micirconda, osservo più attentamente.Ultimamente, ad esempio, sonoaumentati i cartelloni pubblicitari chereclamizzano i prodotti per schiarire

la pelle, oltre che quelli per la puliziadella casa e della persona. Noto, poi,che una bevanda molto nota stafacendo una campagna sull’orgoglioafricano, mentre in precedenzapuntava più sul piacere personale.Modi diversi di descrivere la realtà. Lapubblicità sa quello che si vuole, masoddisfa anche i desideri.

●Il cartellone pubblicitario èl’erede delle insegne dipinte a manoche sono una caratteristicadell’Africa occidentale…Non credo che qui, in Costa d’Avorio,a differenza del Ghana, del Togo ealtri paesi ci fosse una grandetradizione di «sign painting». Hosaputo che chi faceva le insegnedipinte a mano adesso produceT-Shirt. L’immediatezza dellafunzione, ad ogni modo, è la stessa. Èsempre pubblicità.

●Oltre alla macchina fotograficahai sempre avuto con te deitaccuini. Quanto è entrata lascrittura nel tuo lavoro artistico?Dagli anni ’80 fino a meno di diecianni fa ho sempre scritto. In Ghana,nel 2004, ho anche pubblicato unpiccolo libro, Strangers in Accra conAfram Press. Ho smesso di scriverequando ho cominciato ad usare ilcomputer. Quando scrivevo c’era uncollegamento molto forte tra lascrittura e il mio lavoro artistico.Scrivevo delle persone cheincontravo, degli altri artisti, del miolavoro: uno era l’estensionedell’altro.

●Eccoci, infine, a parlare di «Ruede Commerce», il nuovo ciclopittorico le cui radici sono nellamemoria fotografica.Anche questo lavoro che storealizzando con la collaborazione ditre assistenti, gli artisti YubahSanogho con cui collaboro da tempoe Synthia Lade, a cui si è aggiuntarecentemente Kettie Leandre che hafrequentato l’Università di Cocody,nasce dall’azione del camminareunita all’uso della macchinafotografica, esattamente come SellingDreams. Passeggiando in Rue deCommerce, una via della zonaPlateau di Abidjan, ho cominciato afotografare i pagne africani espostinei negozi. Riguardando quelleimmagini sullo schermo delcomputer, dove l’immagine apparepiù piatta, ho avuto una visioneseparata da quella reale. Immaginiautonome che ho voluto provare atrasformare in pittura sulla tela. Hotrovato quest’idea molto armoniosacon il concetto di riconciliazione chec’è in questo momento in Costad’Avorio, soprattutto dopo la guerradello scorso anno. Mi è venuto inmente il pensiero aristotelico deltutto che è più dell’accumulo dellevarie parti. Un pensiero che è insintonia con il negoziare le frontiere,trovare la totalità con tante unitàseparate. Quanto al titolo non indicasolo la via di Abidjan, ma si ricollegaanche ad un’idea di strada delcommercio, in cui si rintraccia lastoria stessa dei pagne, batik originaridell’Indonesia, portati in Olanda e dalì sulle coste dell’Africa Occidentale.Per cui c’è una storia di commercio edi desiderio della bellezza. Tra l’altroil pagne, al giorno d’oggi stadiventando oggetto del desiderioanche per i non africani e fuori dalcontinente africano. Anche questo èun sintomo di globalizzazione, ma inmaniera molto fluida. Poi c’è un altroaspetto, piuttosto recente, che è iltentativo di imitazione diriproduzioni scadenti ed economicheche si fanno in Cina.

●Quanto alla sorta di horrorvacui?Normalmente le mie superfici sonosempre piene, coperte da elementiche si ripetono. «Rue de Commerce»è una continuazione dei progettiprecedenti. Non posso, poi, nonconnettere tutto ciò ad un’idea disensualità, perché c’è il piacere dellosguardo che da lontano cattura laforma, ma vuole avvicinarsi pervedere il disegno estremamenteelaborato. Questo, per me, è ancheun modo per cercare di portare laparola meraviglia nel lavoro. Quandobellezza e meraviglia esistonocontemporaneamente allora ci sitrova in una zona di desiderio. Nelmio caso desiderio significa trovare labellezza soprattutto in Africa, dove faparte della sopravvivenza insituazioni non sempre facili. Lostesso insieme urbano può avere unimpatto di confusione, ma prestandoattenzione c’è molta cura neldettaglio, una maniera per dire «ioesisto» con grande dignità.

moderati arabi < 201 202 203 >

«La Francia è responsabile dell’occupazione marocchina del Sahara Oc-cidentale. È alla Francia che si deve la mancata decisione dell’Onu di ga-rantire il rispetto dei diritti dell’uomo nelle città sahrawi» (Chahid El Hafed).

Page 8: Alias supplemento del Manifesto 22/12/2012

(8) ALIAS22 DICEMBRE 2012

GANLUIGI TOCCAFONDO●●●A dieci anni dalla sua nascita, la galleria D406 di Modena (via Cardinal Morone 31), da pochimesi rinnovata in «D406 fedeli alla linea» a seguito dell'unione con l’esperienza espositiva AviaPervia, presenta una importante mostra di Gianluigi Toccafondo. Dal 22 dicembre 2012 al 12febbraio 2013, si potranno ammirare i celebri disegni di Toccafondo dedicati alla «letteratura»,frutto di oltre dieci anni di lavoro, molti dei quali sono stati realizzati e pubblicati per le copertinedella nota collana di narrativa della casa editrice Fandango con cui l'artista ha stretto unacollaborazione fra cinema ed editoria. Immagini ispirate dalla letteratura americana (da Melville aCheever), alla più recente narrativa italiana, fino al mondo del calcio. Nella foto: «Il nuotatore»libro in edizione speciale e a tiratura limitata (ed. Franco Cosimo Panini)

SALISANO ■ LA PISCINA ALTERNATIVA STRAPPATA ALLA SPECULAZIONE

Il Robin Hooddella PolisportivaSherwood

NON NASCONDERELA FOLLIA, BEAT

di PASQUALE COCCIA

●●●Un tuffo in piscina pagato apeso d'oro fino alla bancarotta. NellaVal di Sarsa, gli abitanti di un piccolocentro in provincia di Rieti, Salisano,hanno pagato a caro prezzo le maniedi protagonismo di qualcheassessore allo sport (in Italia se necontano circa diecimila, un veroesercito), che voleva lasciare «ilsegno» del suo buongoverno. A metàdegli anni novanta del secolo scorso,a Salisano è stata costruita unapiscina con i soldi pubblici,frequentata da un centinaio dipersone, mentre i costi dellagestione e del riscaldamentosalivano vertiginosamente rispettoagli esigui introiti che potevanogarantire i frequentatori dellapiscina. I risultati di un fallimentogestionale erano largamenteprevedibili, ma nonostante tutto gliamministratori di quel comune sierano intestarditi nell'edificazionedell'impianto sportivo. La piscina,dopo varie gestioni, ha finito perchiudere ed è rimasta inattiva per unanno con buona pace dei fondipubblici, mal amministrati.

«Una cattedrale nel deserto,costruita per accogliere un'utenzaminima - si indigna SergioBarbadoro presidente dellapolisportiva Sherwood dell'Uisp diRieti - il cui costo di gestione era di7-8 mila euro al mese, un centinaioall'anno. Dopo essere passata dimano in mano attraverso variegestioni fallimentari, l'abbiamo presanoi e grazie a un mutuo a tassiagevolati concessoci dal CreditoSportivo (la banca dello sport che sifinanzia con una percentualesettimanale degli introiti deltotocalcio e concede mutui agevolatia enti e associazioni per lacostruzione di impianti sportivipubblici, ndr), abbiamo fatto la sceltadell'ecosostenibilità, installando ipannelli fotovoltaici e un impiantoecosostenibile di cogenerazione, chebrucia olio vegetale prodotto da semidi girasole o da altri tipi di semi, iquali hanno un buon poterecalorifero e ci consentono diprodurre corrente elettricacontestualmente all'acqua calda,sufficienti a produrre energia per ilriscaldamento della piscina. Unasoluzione alternativa rispetto agli

impianti alimentati in manieratradizionale, che permette direcuperare tutto il calore prodotto ineccesso, il quale a differenza degliimpianti alimentati a gasolio, nonfinisce per essere disperso, bensìviene trasformato in ulteriore energiadi riserva, che vendiamo all'Enel.Abbiamo preso in gestione la piscinatre anni fa e i costi sono passati daicentomila euro annui della vecchiagestione ai sessantamila attuali,l'anno prossimo andremo inpareggio di bilancio. Nel centro-sudsiamo l'unica realtà che ricorreall'energia alternativa».

Una scelta ambientale egestionale attenta, quella dell'Uisp diSalisano, guidata da SergioBarbadoro, che di professione fal'insegnante di chimica in un istitutosuperiore, e che l'esperienza dellapiscina l'ha portato a diventare unbravo economista, attento non soloa fare i conti, ma anche al sociale epronto a incentivare politicheambientali per diminuire l'emissionedi anidride carbonica: coloro cheraggiungono la piscina a bordo diuna sola auto con un minimo di trepersone, meglio se cinque, hanno

diritto allo sconto del 20% sul costodella quota mensile.

Rispondendo con la pratica alprincipio dell'Uisp secondo cui ilprimo ambiente è il nostro corpo, lasocietà sportiva Sherwood ha apertoall'interno dell'impianto natatorio diSalisano, anche una sala spinningper il benessere del corpo, dovevengono svolte attività di fitness trevolte alla settimana. Nel localecollocato a margine della piscinasono state installate delle cyclette,come quelle dei centri fitness, allequali sono stati applicati dei rotatori,i quali hanno la stessa funzione delledinamo delle bici che girano sulleruote, e grazie a un campomagnetico producono correnteelettrica di 10-15 watt, la quale vieneimmessa direttamente in rete evenduta, ancor prima che agiscal'energia prodotta dai pannellifotovoltaici. La piscina di Salisano èaperta anche ai bambini delle scuoleprimarie del circondario, che inorario mattutino frequentano corsidi nuoto, grazie anche al contributofinanziario del comune. L'Uisp, cheoltre ad avere bravi dirigenti èattenta alle politiche del territorioperché lo sport sia davveroun'occasione per tutti, stipulaperfino contratti individuali perl'ingresso alla piscina: «Grazie airisparmi di gestione che ci derivanodall'impiego di energia alternativa -continua il dirigente dellapolisportiva Sherwood di Salisano -stipuliamo contratti di particolarefavore per gli operai che sono incassa integrazione o disoccupati, avolte con meno di cento euroconsentiamo di frequentare lapiscina tutto l'anno. Ascoltiamo leloro storie individuali e famigliari epoi sulla base di quello che ci diconoscegliamo le soluzioni individualimigliori per loro. La piscina èdiventata un punto di riferimentoanche di ragazzi difficili, che civengono segnalati dai servizi sociali.

Si tratta di adolescenti delle scuolemedie di origine extracomunitaria,che hanno alle spalle storie diviolenza in famiglia o padri autoritaricon i quali la comunicazione èdifficile o del tutto inesistente. A queiragazzi consentiamo di entrare inpiscina quando vogliono, nonpagano l'entrata, altri ci dannopiccole somme un po' alla volta, pernoi è motivo di grandesoddisfazione. I servizi sociali hannoriconosciuto il riflesso positivo cheha il nuoto su quei ragazzi e il ruolodi coesione sociale che abbiamo sulterritorio. Grazie alla piscina e allaloro frequenza gratuita, iniziata agiugno con i centri estivi, dopo lafine dell'anno scolastico, i ragazziextracomunitari oggi non sono piùisolati, perché frequentano i lorocoetanei che hanno conosciuto qui,ormai sono diventati amici e sivedono anche fuori dalla piscina»conclude con una punta di orgoglioSergio Barbadoro, il Robin Hooddella polisportiva Sherwood,meritevole di aver trasformato lacattedrale nel deserto di Salisano inun'isola felice, dove tutti nuotanosenza acqua alla gola.

Hollywood e l’arte dellamanutenzione del Beat.

A seguire qualche antidoto,necessario medicamento perriprendersi dall’ineffabile, scolastico,fatuo servizio reso dall’enfant gatéWalter Salles ai danni della leggendabeat, nello specifico di Jack Kerouac edel suo così (in)vulnerabile On theRoad.

1) Pull My Daisy di Robert Frank eAlfred Leslie (1959) in 30 minutiaccoglie in un loft dell’east side diNew York City il talento verbale egestuale di un trio magico einarrivabile per gli anni a seguire:Allen Ginsberg, Gregory Corso ePeter Orlovsky, poeti di un’esistenza«altra» dediti a un infaticabile, infinitoragionamento sul nodo sovversivointrecciato tra arte e vita. ConDelphine Seyrig e Larry Rivers,narrato da Jack Kerouac che riprendeil suo incompiuto testo teatrale TheBeat Generation: irradiazione luminosadel beatnik style ma anche raroesempio compiuto di realismourbano, soffuso dalla voce di AnitaEllis che canta The Crazy Daisy, scrittada Ginsberg e dallo stesso Kerouac.

2) Bridges-Go-Round (1958) dellaregista d’avanguardia e jazzy ShirleyClarke punta alla ri-definizione dellospazio newyorkese dalla elevataprospettiva di ponti e grattacieli,trasfigurando il lavoro preesistente diun documento su commissione con ilrosso, il giallo e il blu di filtritraslucenti, ciò che riporta lametropoli ai termini primi (e ultimi)della pura astrazione, così comeavveniva con il dada di Hans Richter.

3) Stan Vanderbeek e ScienceFriction (1959): Vanderbeek nel corsodei suoi studi d’arte e architetturaincontrò John Cage e MerceCunningham, ma il suo opus dipittura visiva e collage «organico»risente parecchio della opposizioneculturale beatnik, Science Friction inparticolare, elemento di un workaperto successivamente allacomposizione (e proiezione) multipla,realizzata concretamente col suoMovie Drome Theater a Stony Point,New York.

4) The End (1953) del poeta beat diSan Francisco Christopher Maclaine,autore di quattro filmframmentariamente strutturati manon meno potenti dellasperimentazione concettuale aprovocare incisivi shock visualiall’occhio di chi guarda. The Enddispone sei singole storie di personegiunte all’ultimo giorno della propriavita, all’ombra del fungo nucleare,ovvero la sintesi chimico-simbolicadel «grande suicidio della razzaumana»… Tutti ritrovabili nellasezione «Film & Video» del sitoUbuWeb (www.ubuweb.com).

Senza dimenticare comunque ilCassavetes beat-bop di Shadows, ilRoger Corman di A Bucket of Blood,ovviamente Cronenberg e NakedLunch… «Non nascondete la follia»(Allen Ginsberg).

SPORT

Gravato da costiinsostenibilirispetto all’utenza,dopo la chiusuraforzata l’impianto,dotato di pannellifotovoltaici,è ora in pareggioe aperto a tutti

COME RICICLARE LE CATTEDRALI NEL DESERTO

Page 9: Alias supplemento del Manifesto 22/12/2012

(9)ALIAS22 DICEMBRE 2012

LA RIVISTA

LA STRENNA

LA TELEVISIONE

LA MIGLIORE OFFERTAGIUSEPPE TORNATORE, CON GEOFFREY RUSH,DONALD SUTHERLAND. ITALIA 2013

0Virgil Oldman (Geoffrey Rush) èun genio eccentrico, espertod'arte, apprezzato e conosciuto

in tutto il mondo. La sua vita scorre alriparo dai sentimenti, fin quando unadonna misteriosa (Sylvia Hoeks) glichiede di effettuare una valutazione.Sarà l'inizio di un rapporto chesconvolgerà per sempre la sua vita.(esce l’1 gennaio)

BUON ANNO SARAJEVODI AIDA BEGIC, CON MARIJA PIKIC, ISMIRGAGULA. BOSNIA 2012

0Rappresenta la BosniaErzegovina agli Oscar per i filmstranieri, realizzato da una delle

più interessanti registe del paese.Rahima (23) e Nedim (14) sono rimastiorfani e vivere a Sarajevo non è facileneanche nel dopoguerra. Un bel film diresistenza e di orgoglio. (esce il 3gennaio)

COLPI DI FULMINEDI NERI PARENTI, CON CHRISTIAN DE SICA ELUISA RANIERI, ITALIA 2012

1Dopo 27 anni di stretto presidionatalizio Aurelio De Laurentiisabbandona il format del

cinepanettone. Riesumazione delvecchio movie-movie a due episodi,diciamo subito che dei due episodi ilsecondo, quello con Lillo&Greg e lastrepitosa Anna Foglietta, è il piùriuscito, il più nuovo e il più divertente,e anche quello più elaborato. Il primoepisodio, invece, quello con ChristianDe Sica, sempre generosissimo, sembrasoffrire di un non pieno svilupponarrativo e di un'aggregazione di attoridi provenienza televisiva che obbliganoParenti a situazioni un po' ibride. (m.g.)

I 2 SOLITI IDIOTIDI ENRICO LANDO, CON FABRIZIO BIGGIO,FRANCESCO MANDELLI. ITALIA 2012

1Tornano i Soliti Idioti diBiggio&Mandelli, con un sequelche è proprio un sequel anche

se natalizio. Pieno di parolacce escurrilità per la gioia dei ragazzini inlibera uscita da genitori, scuola, internete calcio. Biggio&Mandelli scippanoletteralmente, dopo 27 anni, ilcinepanettone a De Laurentiis, che lo haceduto senza neanche combattere. Lotrasferiscono rimpastandolo (dapandoro?) in una Milano che scimmiottavolutamente la romanità di Christian edel Cipolla e lo risputano comeprodotto «alto», colto, moderno, deltutto ringiovanito, privo di scorietelevisive (nella casa di Gianluca non c'èneanche la televisione, con orrore delpadre) e, soprattutto, politicamentescorretto. Al punto che alberlusconismo romanizzato di RuggeroDe Ceglie si contrappone il montismodel futuro suocero di Gianluca, sobrio eantipatico come Monti. C' è un usopolitico del «dai cazzo», è il trionfodell'antibanalità televisiva. Tutto è fintroppo teorico e intelligente, in un filmche si autoproclama idiota. (m.g.)

ERNEST ET CÉLESTINEDI BENJAMIN RENNER, STÉPHANE AUBIER,VINCENT PATAR. ANIMAZIONE. FRANCIA 2012

7Ernest è un grosso orsobohemien. Célestine unatopolina che vive in orfanotrofio

e riempie i suoi taccuini da disegno diorsi, il che è già un sacrilegio. Topi eorsi infatti vivono rigorosamenteseparati, gli uni nella città sotterranea,gli altri di sopra, i loro universi sononemici. Un’animazione lieve. col trattodell’acquerello che esalta l’universopoetico della storia sceneggiata dallapenna di Daniel Pennac. A ispirare loscrittore sono stati gli album della seriedi Gabrielle Vincent, disegnatrice belga(nell'edizione italiana le voci sono diClaudio Bisio e di Alba Rohrwacher).

Regalo di Natale della Sacher di NanniMoretti. (c.pi.)

GRANDI SPERANZEDI MIKE NEWELL, CON HELENA BONHAMCARTER, RALPH FIENNES. UK 2012

7In occasione del bicentenariodella nascita di Charles Dickens,Mike Newell riporta al cinema il

«Grandi speranze» di cui sono statefatte innumerevoli versionicinematografiche e televisive. Bel castpilotato verso una sintesi che porta arassegnarsi al disastro economico :quanto è folle e dissipata l’aristocrazia,furbesca la borghesia tanto ricca dibuoni sentimenti appare la classepovera. Naturalmente niente di tuttoquesto era in Dickens che con supremaironia pungeva questi e quelli. Un’operatranquillizzante per le masse europee.(s.s.)

LO HOBBIT, UN VIAGGIOINASPETTATODI PETER JACKSON, CON AIDAN TURNER, ANDYSERKIS. UK 2012

1Prima parte di una nuovaincredibile trilogia che ciaccompagnerà fino al 2014.

Anche se non c'è molta storia daseguire a parte questi dodici nani+Gandolf+l'hobbit, che si menano asangue con una massa sterminata diorchi, troll, e Crosetti vari cheincontrano durante il loro viaggio versola Montagna Solitaria dove vive un dragopiù assatanato di soldi e potere diBerlusconi, i ragazzi di tutto il mondocresciuti con la Trilogia degli Anelli nonhanno altro desiderio che rivedere iloro eroi. E sono assolutamentestrepitosi i dodici nani della compagnia,quasi tutti attori inglesi di gran classe.(m.g.)

L’INNOCENZA DI CLARADI TONI D’ANGELO, CON CHIARA CONTI, LUCALIONELLO. ITALIA 2012

7Tra le cave di marmo di Carraradove fu ambientato il celebre Ifigli di nessuno, Toni D’Angelo

elabora un giallo di freddezza scientifica,ma ispirato a una storia vera, dove lafigura femminile, autentica femme noirsenza saperlo, mette in moto unmeccanismo di amore e morte, unicospiraglio di una società chiusa emaschile. Uno stile sicuro e originale nelpanorama italiano. (s.s.)

LOVE IS ALL YOU NEEDDI SUSANNE BIER, CON TRINE DYRHOLM, PIERCEBROSNAN. DANIMARCA 2012

6La regista danese la definisceuna «commedia romantica», masembra di più l'ennesima

variazione sul tema familiare che le ètanto caro. Certo siamo a Sorrento, ilmassimo del kitsch sdolcinato, si devecelebrare un matrimoni, i parenti sidanno appuntamento e ovviamente saràun disastro orchestrato tra battutine dispirito e momenti melensi. Il punto èche il cinema di Susanne Bier nonsorprende mai, e tantomeno questavolta, in cui più del solito la registasembra appoggiarsi con sicura astuzia aun impianto collaudato e molto, moltoammiccante. (c.pi.)

MOONRISE KINGDOMDI WES ANDERSON, CON EDWARD NORTON,BRUCE WILLIS, BILL MURRAY, TILDA SWINTON,FRANCES MCDORMAND, HARVEY KEITEL. USA2012

7Isoletta del New England, setRhode Island, la storia è una«striscia» di Peanuts, mescolata

alle avventure di James Mathew Barriecon una Wendy intenta a leggere fiabeistruttive ai «ragazzi perduti». Andersondisegna il primo film d'animazione conattori in carne e ossa, figurette stagliatenei fondali verdi, a dimensionegeometrica dove il regista di FantasticMister Fox, esercita la sua poetica sumusica di Benjamin Britten. Una galleria

di ritratti magnifici, Bill Murray e FrancesMcDormand, i genitori male assortiti diSuzy, Bruce Willis, il poliziotto solitario,afflitto da un passato d'amore noncorrisposto, Tilda Swinton in tenuta bluda aguzzina per giovani «devianti»,Edward Norton, tenero e incapace dimantenere la disciplina a Camp Lebanon,e un Harvey Keitel comandante Pierce,generalissimo scout.(m.c.)

LA PARTE DEGLI ANGELIDI KEN LOACH, CON PAUL BRANNIGAN E JAMESCASEY, UK 2012

7Loach ridimensiona il macho diperiferia in questa commedia dalritmo rockettaro, dialoghi

scoppiettanti e una storia finalmentenon apologetica del «povero cristo».Glasgow, il prologo è una esilarantegalleria di tipetti fuorilegge, piccolibastardi disoccupati che sfilano davanti aun giudice con parrucca d'ordinanza ecuore d'oro. Ladruncoli, teppisti,vandali, fuori di testa e Robbie (PaulBrannigan), nato male, un tipomingherlino e violento che sta perdiventare papà e merita una «secondavita». La Scozia, dice Loach, è «una terradi solidarietà». Saranno tutti destinati ai«lavori socialmente utili». Poi il film siscatena in un rocambolesco furto diwhisky dal prezzo «inestimabile», unmilione di sterline per una botticellaconservata nel «sacrario» di una cantinaesclusiva. Una serie di gag, equivoci,incidenti si trasforma da film sugliemarginati no-future in una screwballcomedy. (a.t.)

LA REGOLA DEL SILENZIO -THE COMPANY YOU KEEPDI ROBERT REDFORD, CON ROBERT REDFORD,SHIA LABEOUF, JULIE CHRISTIE, STANLEY TUCCI,NICK NOLTE, SUSAN SARANDON. USA 2012

7Avevano dei buoni motivi» iWeathermen per rispondere alfuoco dei massacri in Vietnam e

sulle strade e sui campus del Movement,all'eliminazione capillare dei militantidella Students for a Democratic Societye delle Black Panthers. Indaginetrent'anni dopo sui «clandestini» checolpivano stazioni di polizia, basidell'esercito, uffici del Pentagono conordigni destinati a non fare vittime. JimGrant (Redford), avvocato a difesa deidiritti civili, combattente nel passato enel presente dalla parte della «bravagente», scovato dal reporter diprovincia, collega indizi su indizi, e nonmolla la presa anche se il direttore delgiornale di Albany (Stanley Tucci) temela reazione rabbiosa dell'Fbi. (a.t.)

VITA DI PI (3D)DI ANG LEE, CON SURAJ SHARMA, GÉRARDDEPARDIEU. USA 2012

6East e ovest, Taiwan (dove sonostate realizzate le riprese) eHollywood (che paga), Esopo

(tra)vestito da Kipling e in 3D, un Diobuono per tutte le stagioni, unmessaggio edificante, GérardDepardieu, il magnifico direttore dellafotografia di David Fincher, Giobbe e untocco di National Geographic, sono gliingredienti dell’ultimo pot pourrie diAng Lee, tratto dal celebre romanzo diYann Martel. Presentato al New YorkFilm Festival, l’ottobre scorso, il film delregista di Brokeback Mountain era unodei titoli più quotati per la corsa agliOscar, ma è stato un buco nell’acqua erisulta più irritante del solito. Mette inscena il cocciuto tête a tête tra unragazzo indiano e una tigre, persi nelPacifico su una scialuppa di salvataggiomiracolosamente sopravvissuta alnaufragio che ha inghiottito la navegiapponese su cui il ragazzo viaggiavainsieme alla famiglia e allo zoo di cuierano proprietari. Ang Lee ha bisognodi un prologo e di un epilogo,parlatissimi, il che, paradossalmente, fadi La vita di Pi un film che non ha fiducianella fantasia e, ancor peggio, nel poteredel suo racconto. (g.d.v.)

A CURA DISILVANA SILVESTRICON MARIUCCIA CIOTTA,GIULIA D’AGNOLO VALLAN,ARIANNA DI GENOVA, MARCOGIUSTI, CRISTINA PICCINO,ROBERTO SILVESTRI

I FILM

BIGLIETTO PALAZZOFIRENZE, PALAZZO STROZZI, 20 EURO«Regala un anno di mostre!» è lastrenna di Palazzo Strozzi a Firenze,uno speciale abbonamento valido unanno (da dicembre 2012 a gennaio2013) un pacchetto straordinario chela Fondazione Palazzo Strozzi offre agliappassionati al costo super scontato di20 euro. Le mostre in programmasono: «Anni Trenta. Arti in Italia oltreil Fascismo» (22 settembre 2012 - 27gennaio 2013), con Sironi, de Chirico,Savinio, Soffici, Carrà, Donghi (foto)tra gli altri, «La primavera delRinascimento. La scultura e le arti a Firenze 1400-1460» (23 marzo - 18 agosto2013), «Fuoco e ghiaccio. L'Avanguardia russa, la Siberia e l'Est» (21 settembre2013-19 gennaio 2014). Programma mostre Centro di Cultura ContemporaneaStrozzina: «Francis Bacon e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea»«5 ottobre 2012-27 gennaio 2013), «Un’idea di bellezza» (29 marzo-28 luglio2013), «Mostra autunnale» (settembre 2013-gennaio 2014). Le mostre diPalazzo Strozzi resteranno aperte durante le festività. Il Biglietto Palazzo èdisponibile alla biglietteria di Palazzo Strozzi e può anche essere acquistatoon-line collegandosi al sito www.palazzostrozzi.org. (s.s.)

YEAH YEAHUk, 2012, 2’50”, musica: Willy Moon, regia: autoreignoto, fonte: DeeJay Television

8Sotto osservazione da psichiatri epsicanalisti, Willy Moon – comein un film anni ’50-’60 comincia a

delirare o ad avere visioni oniriche, un po’alla Hitchcock di Spellbound. Il video sibasa soprattutto su giochi grafici e sulcompositing con la figura intera o la testadel cantante inglese ritagliata e incollata sualtri sfondi. Il risultato non è male, trasurrealismo e pop.

DISCO LABIRINTOItalia, 2000, 4’, musica: Subsonica e i Bluvertigo, regia:Luca Pastore, fonte: youtube

1I Subsonica e i Bluvertigosuonano insieme a bordo di uncamion che cammina per le

strade della città. Disco Labirinto è ilprimo tentativo di visualizzare la musicanel senso letterale del termine,realizzando un videoclip appositamenteper sordomuti, con l’aiuto di luci e di gestiche agevolano la fruizione musicale e lacomprensione del testo - tradotto nellinguaggio dei segni (in versioneleggermente diversa dalle parole cantate)- che scorre in sovrimpressione. Gliautori di questo particolare esperimentosono gli architetti dello Studio Elastico diTorino, mentre la regia è affidata a LucaPastore, documentarista e videoartistache ha firmato - a volte insieme adAlessandro Cocito - alcuni tra i miglioriclip italiani.

I WOULDN’T NORMALLY DOTHIS KIND OF THINGUk, 1993, 4’40”, musica: Pet Shop Boys, regia:Howard Greenhalgh, fonte: youtube

7La cultura visuale pop e opticalaggiornate nell’era della computeranimation da Greenhalgh. Lowe e

Tennant con parrucche a caschetto moltosixties e gilet rosa confetto, si esibisconointarsiati e sovrapposti su sfondi ascacchiera bianchi e neri, vortici geometrici,mentre i loro alter-ego bambini suonano latromba e alcune ballerine, moltiplicate finoa diventare una schiera, si dimenanointorno a loro. Volutamente ridicoli comese scimmiotassero gli stereotipi da danceclip, si muovono un po’ robotici come sutexture vagamente psichedeliche. I Wouldn’tNormally… fa parte della serie di lavoriideati dal regista inglese per l’album Disco 2,Remixes.

LOSING MY RELIGIONUsa, 1991, 4’53”, musica: R.E.M., regia: Tarsem, fonte:MTV Classic

8Leonardo da Vinci alle prese conIcaro, la luce dei quadri diCaravaggio, L’incredulità di San

Tommaso e La deposizione, San Sebastianoe l’iconografia indiana, il tutto mentre laband si trova all’interno di una stanza, conStipe che ogni tanto è ripreso in playback,anche se - come accade spesso nei videodei R.E.M. - il brano è cantato anche daaltri personaggi. Il sincretismo visivo diTarsem nel clip di Losing my Religionesplode fragorosamente, articolandosi inuna sequela di coloratissimi tableauxvivants che si rifanno a capolavori dell’artesacra del passato, ma ricomposti in unatrama di associazioni senza una precisanarrazione.

LA VERTIGINEDEI SEGNI

MAGICO

IL FILMLA BOTTEGA DEI SUICIDIDI PATRICE LECONTE. ANIMAZIONE. FRANCIA 2012A 37 anni dall'esordio cinematografico con Il cadavere era già morto, commedia neratratta da un fumetto di Gotlib, per Leconte è quasi un doppio ritorno alle origini.Del resto prima del cinema, nella prima metà degli anni '70, realizzava fumetti per larivista Pilote. Tratto da un racconto di Jean Teulé, è un gustoso musical animato chesi colloca agevolmente fra le trame di humour noir de La famiglia Addams e deipupazzi di Tim Burton. Il quadro depressivo mortifero che caratterizza la non-vitadella metropoli parigina o di qualunque altra grande città, stressante e disumana, èpurtroppo ben riconoscibile nella realtà. Leconte pare affidare la scintilla dicambiamento alle nuove generazioni, ai ragazzi che sappiano ritrovare il sorriso adispetto di tutto. Così il piccolo sorridente Alan è la pecora bianca della famigliaTuvache, la cui redditizia attività è un negozio specializzato in tutto quanto possaservire per morire bene e presto. Corde di tutte le misure per impiccarsi, veleni pertutti i gusti efficaci all'istante senza dolore né tracce, dispositivi vari dai designparticolari per defunti prossimi venturi: la bottega della morte ricercata ha unagamma completa per ogni tipo di esigenza. Gli affari vanno a gonfie vele, e come nonpotrebbero con le tante persone afflitte da sindrome suicida fra disoccupati,sfrattati, delusi in amore, solitari, scontenti e arrabbiati? Il nuovo arrivato in famiglianasce ridendo. Alan ha sempre una parola positiva, ama i colori, il gioco all'aperto, lamusica. Cambiare si può. (th.m.)

8 ½MENSILE, DICEMBRE 2012Esce il primo numero di «8 ½» il mensilediretto da Gianni Canova, critico epreside della Facoltà di ComunicazioneIulm di Milano. Si presenta non come unarivista di critica né di colore né organo diCinecittà che lo produce: curata dallaredazione di CinecittàNews è realizzatainfatti da Istituto Luce-Cinecittà incollaborazione con Anica e DirezioneGenerale Cinema-MiBac. Il suo scopo, sidice nella presentazione, è suscitarediscussioni e polemiche offrendo uncontributo significativo ponendo al centrodell’interesse il cinema italiano, come suggerisce anche il titolo che si è voluto dare allarivista. Nel primo numero la vena polemica si esprime con un’inchiesta: «Siamo unpaese di analfabeti filmici?». Tra gli altri argomenti viene dato spazio alle realtà innovativecome la new wave dell’animazione italiana e un focus sulla condizione del cinema in areegeopolitiche e culturali diverse dalla nostra: prima tappa la Romania. Non mancano inumeri, con il dossier sul Tax Credit elaborato dall’Osservatorio della DirezioneGenerale Cinema-MiBac e l’approfondimento sui nuovi mercati esteri per i film italiani acura dell’Ufficio Studi di Anica. Da febbraio la rivista sarà in vendita nelle più importantilibrerie delle principali città. (s.s.)

ICONOTVSU CUBOVISIONL’arte racchiusa nel piccolo schermo e suinternet, così da poter visitare le maggiorimostre internazionali e andare alla scopertadel nostro patrimonio, comodamenteseduti sul divano di casa. Su Cubovision diTelecom Italia, arriva il canale tematicodedicato alla creatività contemporanea enon solo. Il nuovo canale, gratuito nellasezione Web Tv consente di conoscere leopere proposte dalle più importantiesposizioni invitando a tour virtuali.L’esperienza da vivere sarà puramentevisuale, senza fuori campo narrativi néaccompagnamenti musicali. Il progetto di Elizabeth Markevitch, fondatrice e presidente diikono, affonda le sue radici nel 2006 a Berlino con l’obiettivo di diffondere la cultura dellabellezza, sperando così che le nuove generazioni possano abituarsi a intrecciare memoria efuturo, entrando nella Storia con l’ausilio di master del pennello e i loro capolavori. Tre idifferenti programmi: la parte dedicata alle «Mostre temporanee» (con trailer di rassegnein corso in Italia e all’estero), la sezione «Patrimoni riscoperti» in omaggio a preziosi tesorispesso misconosciuti dal grande pubblico e infine, i «Musei del mondo», con video cheripercorrono le «biografie» delle collezioni permanenti. Si può vedere anche suwww.cubovision.it, tramite App Cubovision TvFree /Sapere/Arte-Archittettura sezioneFree/In Evidenza e sui social Cubovision Facebook e Twitter. (a. di ge.)

SINTONIE

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Brasile hip popSale l’onda«urban style»

INCONTRI ■ OMAGGIA MULATU ASTATKE E FELA

La strategia funkdi Criolo. Poterealle parole,ma vanno ascoltate

FENOMENI ■ DA SEU JORGE A LUCAS SANTTANA E CURUMIN

Mescolano rap, jazz, breakbeat. Vengonodai quattro angoli del paese e hanno individuatouna via originale alle classifiche. Il segretoè mantenere ottimi rapporti con la tradizione

di LUCA GRICINELLA

A voler eleggere un esponente deicantautori brasiliani venuti allaribalta nell’ultimo decennio che piùha colpito il pubblico europeo,questi di certo è Seu Jorge.Nonostante i pregiudizi del vecchiocontinente verso i suoni considerati«esotici», il musicista classe 1970 eoriginario di una favela dello statodi Rio, ha conquistato senza riserveun suo pubblico anche da questeparti. E non solo il pubblico delcosiddetto calderone «worldmusic», etichetta sempre più fruttodi un punto di vista tantoetnocentrico quanto anacronistico.Anche un pubblico sia esigente eaggiornato sia attento alle nuovetendenze del mercato musicale.Senza dubbio i suoi ruoli d’attore infilm di successo come City of God(2002) e Le avventure acquatiche diSteve Zissou (2004) e le sueinterpretazioni di classici di DavidBowie, Serge Gainsbourg,Kraftwerk, Roy Ayers e MichaelJackson, gli hanno dato una grossamano. Non proprio dettagli.

Resta il fatto che Jorge ha in doteuna voce calda e profonda e unacapacità invidiabile di avvicinarsi abrani di mostri sacri del pop-rockmondiale per arrangiarli in manieraoriginale e credibile. Seu Jorge andAlmaz (Now Again), il suo albumdel 2010, testimonia bene questedoti, con la supervisione artistica diMario Caldato Jr - già al fianco deiBeastie Boys - a dare un tocco coole d'autore al suono. Più che mainell’ultimo anno il talento cariocapare una volta per tutte in felicecompagnia. Altri artisti brasilianidella sua generazione, a cavallo tra itrenta e i quarant’anni, si stannoinfatti affacciando dalla nostreparti. Uno su tutti Criolo, nomed’arte di Kleber Gomes, passato lascorsa estate per la prima volta inEuropa per proporre la sua musicadal vivo. Italia compresa, dove hafatto due date, a Milano e Roma.Criolo con Seu Jorge non condividesolo l'origine in una favela maanche gli incroci professionali conmembri e produttori di una storicaband, i Nação Zumbi, pionieri delmovimento mangrove bit (omangue beat), crossover brasilianoche fonde i ritmi della tradizionemaracatu a elementi hip hop efunk. Criolo viene da Sao Paolo e siè appassionato alla musica dagiovanissimo grazieall’immediatezza del rap, genereche anche in Brasile è capace dimuovere grandi folle.

Il suo secondo e ultimo album,Nó Na Orelha (Sterns Records), inpatria ha avuto e continua aottenere un successo più chebuono, e non si tratta tout court diun album rap. L’exploit nonriguarda semplicemente le vendite,per quanto buone (si parla dialmeno 400mila download ufficialidell'album), ma anche iriconoscimenti del pubblico e ipremi musicali degni di nota, i tantilive e le lodi pubbliche di un artistadel calibro di Caetano Veloso. InBrasile il bacino dei potenzialiascoltatori di musica è così ampioche le cifre di vendita,considerando artisti con paripopolarità, se paragonate a quelledi un qualsiasi paese europeo,hanno dimensioni importanti. Fattosta che l’eco di questo successo èarrivata appunto in Europa, doveCriolo continua a suonare ancheora che l’estate è passata, calcando ipalchi dei paesi latini ma anche diquelli più freddi. In patria iltrentasettenne ha avuto una buonaesposizione mediatica ancheperché con Veloso ha avuto l’onoredi duettare dal vivo. Quasi unpassaggio di consegne. Si parlasempre di un esponente di unascena alternativa a quellamainstream, ma il fatto davveropositivo è che Criolo nonrappresenta un caso isolato. AncheLucas Santtana (1970), pupillo di unaltro grande nome della musica

brasiliana, Gilberto Gil, è uncantautore brasiliano che stagirando l’Europa. Considerato unodei suoi scopritori, Gil per unperiodo ha anche voluto Santtananella sua band come flautista. Dopoche la critica internazionale nel2009 ha ben accolto Sem Nostaglia,il polistrumentista di Salvador deBahia ha pubblicato di recente suMais Um Discos, The God WhoDevastates also Cures (O Deus quedevatsa mas também cura).

Si tratta del suo quinto album,non siamo quindi di fronte allafulminea impresa di un novello.Bassi e echi dub, atmosfere jazz, ibreakbeat e gli influssi bossa novacostituiscono l’ossatura sonora deldisco. Ma sia musica sia testi sonoispirati all’esperienza personale,nello specifico la fine di unarelazione. Così le canzoni pop diLucas Santtana derivano da unamiscela contemporanea che saessere raffinata e meditativa e unistante dopo dominata da ritmichetrascinanti e spensierate. A questapiccola schiera di artisti va aggiuntoCurumin (vero nome LucianoNakata Albuquerque), cantante,compositore e polistrumentista diSao Paolo classe 1976 che il NewYork Times ha definito un «prodottodell'incontro tra il funk brasiliano ela musica nera statunitense deglianni ’70». E proprio negli Usa,Curumin è molto stimato e seguito,anche grazie alla sponsorizzazionedel duo hip hop californianoBlackalicious.

Anche nel suo caso nonmancano gli incroci con l’hip hop ele radici della musica brasiliana.L’affermazione è arrivata nel 2008con il suo secondo album,JapanPopShow. A questo è seguitosolo di recente Arrocha, in cui lecanzoni possono svilupparsi suritmiche dub e avere accenti soulma in cui a intervalli regolari siaffacciano melodie dal saporetropicalista. La lunga pausa tral’uno e l’altro disco è dipesa dalletante date dal vivo in giro per ilmondo ma anche - a sentire ildiretto interessato - dalla ricerca diun’ispirazione non mossadall’euforia delle attenzioni, specieinternazionali.

Con le dovute differenze, siamodi fronte a cantautori dal suonourbano e contemporaneo che nonignorano affatto la tradizione delloro paese. Una via al pop di cuicerto il Brasile non detiene ilcopyright, ma che riesce a esportarepiù di altri paesi, forte di unpubblico interno folto e con una

buona cultura musicale. Per fare unparagone immediato, la vicinaArgentina fa più fatica a esportare ipropri artisti contemporanei autoridi suoni riconducibili a questo mix:Spagna a parte, la stessa Italia,nonostante la «parentela», di rado siinteressa ai nuovi cantautori diBuenos Aires e dintorni (e ce nesono di altrettanto validi).

Non si può concludere chequesta miscela sonoracontemporanea - a Rio, Sao Paolo ein altre città del Brasile - sia piùispirata. Di certo in Brasile è moltocomunicativa e supportata inmaniera trasversale dal resto delpaese - si tratti della scenaundergound, dove questi artisti sisono fatti le ossa, o dei grandi nomidella musica d’autore. I piùmaliziosi diranno che si tratta disuoni più vicini a un’esteticaeuropea che sudamericana, quandoinvece si tratta di musiche che bendescrivono le societàcontemporanee senza avere iltimore preconcetto di suonare pop.In alcuni casi con una semplicitàistintiva che, accompagnatadall’abilità musicale, in Europa le faaccogliere oltrepassando gli schemimentali tipici dell’ambientemusicale di queste parti. Inoltre ilpercorso di Seu Jorge, Criolo,Santtana e Curumin racconta diartisti non costruiti a tavolino doporicerche di mercato. La schiera èancora ristretta ma i traguardiraggiunti per ora non sembrano dapoco.

di L. GR.

Testi narrativi, realisti e impegnatiche si sviluppano su tappeti musicalifunk e hip hop, afrobeat, dub esamba con qualche sprazzo di jazz.Nó Na Orelha (che il comunicatostampa definisce «un viaggionotturno attraverso la capitalebrasiliana dell'hip hop») contienesuoni riconducibili a queste areemusicali ma non solo. Per il suoprossimo docu-film, Go, Brasil, Go!,Spike Lee ha intervistato l'attualePresidente del Brasile, Lula da Silva,Pelè, Caetano Veloso, Jorge Ben maanche Criolo. Vero nuovo fenomenodel pop d’autore brasiliano, l’artistaha risposto ad alcune domandementre era in viaggio per l’Europa,

dove continua il suo tour, in alcunedate anche affiancato dal maestroetiope Mulatu Astatke, uno dei suoiriferimenti musicali.

●Perché in «Mariô», uno dei pezzipiù coinvolgenti del tuo album, citiMulatu Astatke e Fela Kuti?Perché non solo credo nella forza delloro suono ma anche e soprattuttonella forza dei loro messaggi.Entrambi sono dei maestri. La loromusica ci tocca non solo attraverso ilsuono (indubbiamente sofisticato)ma anche attraverso il contenuto.

●Pensi che il tuo background hiphop ti abbia aiutato a scoprirefunk e afrobeat?Ero solito ascoltare James Brown e

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L’artistaha convintoanche Spike Leeche lo haintervistatonel suo ultimodocumentariodedicatoallo stato lusofono

N.D.B.

L’ultimafolliadei Ninositaliani.«Possedutidal ritmo»

tutte le icone della musica funk ai«bailes» del mio quartiere. I dj hiphop sono i responsabili del mioprimo contatto con questo tipo dimusica. L’afrobeat, invece, è entratonella mia vita successivamente. Iproduttori del mio album mi cihanno introdotto ed è stataun’esperienza molto specialel’ascolto dell’afrobeat. Ho sentitosubito il suo carattere ancestrale.

●Quali sono invece gli artistibrasiliani che ti hanno ispirato afare musica?I miei genitori.

●La tua esperienza di vita in unafavela, la Favela das Imbuias, hainfluenzato la tua musica?Penso che l’ambiente che si haintorno ha sempre un’influenza sullavita delle persone. Non importa diquale ambiente si tratti. Una personache vive di musica non puòdistaccare la vita di tutti i giorni dallasua arte e questo non c’entra con ilposto in cui si vive.

●Pensi che la società brasiliana siacambiata negli ultimi anni intermini di uguaglianza?Preferisco lasciare questa rispostaalle autorità del mio paese. Sonoresponsabili di una nazione che sisviluppa in frammenti. Comecittadino tutto quello che posso fareè continuare a credere nella bellezzadelle persone. Le persone specialiche danno il loro meglio ogni giornonel nome del mio paese.

●E secondo te i testi rap possonoinfluenzare in maniera particolareil pensiero degli ascoltatori?Ci sono persone che leggono lostesso libro più di una volta nellaloro vita e a ogni lettura vedono quellibro in maniera differente. L’essereumano cambia costantemente.Quindi, per quanto creda nel poteredella parola, tutto dipende da quantola persona ascolti e riceva ilmessaggio. Credo che il rap sia unasplendida maniera di esprimere undesiderio reale di contribuire al tutto.

●Non credi che nei paesi in cuil’hip hop è davvero popolare, lacombinazione di rap econsapevolezza possa davverointimorire la classe media?Ci sono molte maniere di vedere ilmondo. Penso che quello che facciapaura a chiunque sia il sentimento dinon avere speranza che perseguita lamaggioranza del pianeta. L’hip hopnon è tenuto a intimorire. È solo unalegittima, sincera e molto peculiaremaniera di comunicare con il restodel mondo.

●Cosa pensi quando si parla di tecome di un «artista pop»? Ti trovia tuo agio con l’etichetta «pop»?Provo un interesse verso questobisogno di etichettare tutto. Dettociò, la gente ha il diritto di dare leproprie opinioni e tirare le proprieconclusioni. Non posso far altro cherispettarle. Ogni persona è unica especiale e questa individualità è ciòche ci rende interessanti. Per quantomi riguarda sono molto sicuro delleragioni che mi spingono a scrivere ecantare.

●Tornando alle tue origini, SaoPaolo ha influenzato il tuo sound?Ripeto, il mio habitat di certo haun’influenza su quanto produco.Come l’habitat di un’altra personainfluenza di certo ciò che questapersona produce. In alcuni casi piùdi altri, certo. Tutto dipende dallaprospettiva di ognuno di noi. Si puòvivere nella stessa strada, uno dentrouna casa e un altro per strada. Èsempre la stessa città.

●Quali sono i tuoi piani perl’immediato futuro?Continuare a cantare. Se mi saràpermesso.

di L. GR.

Italia chiama Brasile. Lo spiritobrasiliano alberga anche dallenostre parti e dove meno te loaspetti. Di recente è arrivato neinegozi e sui digital store MuitoN.D.B. (La Tempesta International)un mix di batucada e noise, sambaed elettronica che in parte tradiscela formazione punk dei tre membridel gruppo, i Ninos du Brasil.Nonostante il nome, italianissimi. IlBrasile gioca il suo ruolo, ma sitratta di un’ispirazione quasiincosciente, come racconta NicolòFortuni, uno dei tre membri delgruppo insieme a Nico Vascellari eRiccardo Mazza. Curioso comequesta miscela musicale e culturalecon origini miste brasiliane,statunitensi ed europee sia arrivataanche in Italia in una forma bendifferente da quelle di cui si parlanell’articolo qui di fianco e quasi

per caso. Una forma tipica di quei sotterraneieuropei alla ricerca di nuove strade da battere.Che, caso vuole, arriva proprio nello stessoperiodo della nuova onda brasiliana.

●Perché avete scelto il Brasile e fino a dove sispingono le vostre attenzioni verso l’immensorepertorio musicale del paese? La scena bailefunk, per esempio, vi interessa?La scelta del Brasile è stata piuttosto casuale. Ilprogetto N.D.B. si è concretizzato soltantoadesso, ma è nato all'incirca dodici anni fa,durante un tour con la nostra vecchia band.Nico Vascellari e io stavamo sul furgone echiacchierando ci è venuta in mente l'idea di untormentone chiamato «Nos somos ninos duBrasil, somos ninos du Brasil». L'immaginarioprevedeva di ripetere questa frase all'infinito,vestiti da giovani calciatori brasiliani, con unadivisa colorata e del tutto consumata e lacerata.La cosa bella del progetto è che non c'è unostudio in merito o un approfondimento sulrepertorio musicale brasiliano. Tutto è suonatoin maniera spontanea, senza la voglia dicatalogare il tipo di musica che facciamo. N.D.B.non è un progetto finalizzato a far riflettere lagente riguardo a stile, testi più o menoimpegnati o introspettivi o profondi… motivo inpiù per il quale non abbiamo testi veri e proprima parole prive di significato. È un progettoliberatorio, in cui la gente agisce, si lasciacoinvolgere, in maniera leggera. La scena bailefunk, sulla quale mi sono appena documentato,sembra un buon avvicinamento all'ideale diN.D.B. Il fatto che sia uno stilecomportamentale, piuttosto che musicale,permette di paragonarla all'attitudine dei Ninosdu Brasil.

●Quanto e come cambia la vostra musicadall’ascolto casalingo all’ascolto dal vivo?Parecchio, si direbbe.L'ascolto casalingo è ovviamente più riflessivo eprofondo. Non un semplice sottofondo. Dal vivol'ascolto è più scanzonato ma confesso cheultimamente sono ben pochi i gruppi che mipiace andar a vedere live. A noi invece piacepoter coinvolgere la gente il più possibile, macon leggerezza. I migliori concerti N.D.B. sonoquelli in cui chiunque (sia il pubblico sia laband) prende confidenza con se stesso e con lasituazione. Ci piace fornire all'entrata varioggetti, quali maracas, cannonispara-coriandoli, stelle filanti, bacchette ecc… iltutto finalizzato alla partecipazione di tutti.Come una vera e propria parata carnevalesca inpieno stile brasiliano. Non ci sono testi dainterpretare, non ci sono riff da seguire, bisognasolamente farsi prendere dal ritmo. E cheognuno si senta libero di farlo come megliocrede. Non c'è giudizio, non c'è un voto finale.C'è solo puro e semplice divertimento.

A sinistra Curumin, sotto Lucas Santtana(foto Daryan Dornelles), in grande Criolo,a destra i tre Ninos du Brasil (foto Giulio

Tami)

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INTERVISTA ■ L’EX LEADER DEI MAU MAU

Luca Morino,quell’insolitomondo meticciosulle rive del Po

Il musicistatorineseha pubblicato«Vox Creola»,il suo nuovoalbum solista.«La ’purezza’è un concettoche non esiste»

INCONTRI ■ DA SEMPRE AL CUORE DELL’AVANGUARDIA NEWYORKESE

Effetto voce.Il gesto armonicodi Laurie Anderson

di GUIDO MARIANI

La musica popolare di oggi èmeticcia per definizione, lemigrazioni hanno cambiato il voltodelle nostre città e reso i ritmisudamericani o le percussioniafricane parte del nostropatrimonio musicale quotidiano.Nessuno lo sa meglio di LucaMorino, classe 1962, artistatorinese che ha guidato per anni iMau Mau, un gruppo la cui worldmusic raccoglieva i suoni delmondo dalle rive del Po. Morino siè preso una pausa dalla band e hapubblicato, con il nomeMorinoMigrante e il ComboLuminoso, un lavoro dal titolo VoxCreola. Un disco solista, ma nonsolitario, ricco di collaborazioni edi compartecipazioni. Un albumdove una cumbia o una rumbasanno raccontare le nostre vitequotidiane, dove le storie nasconodalle periferie delle città italiane odai viaggi della speranza deimigranti. E dove convivono unaballata dedicata a Mirafiori aracconti ambientati tanto nelleLanghe quanto in Africa.

●Ha ancora senso parlare di

contaminazione?Per me è un parola virtuale.Qualsiasi cosa faccia parte dellastoria dell’uomo èrimescolamento. Negli ultimi duedecenni si è cominciato a capirecome i connotati culturali cambinoin base alle diverse influenze. Sicreano occasioni di incontro, maanche di scontro e di conflitto. Matrovo sempre più obsoleti coloroche si battono in nome di una"purezza" perché è un concettoche nei fenomeni culturali e socialinon esiste. Vox Creola vive diquesto. L’ho connotato molto aTorino, ma una Torino sempre piùvissuta da gente non originariadella città che però ne fa parte. Trai musicisti ospiti c’è ad esempio ilpercussionista indiano Kamod.Vive in Italia da 5 anni, ha sposatoun’italiana, abita nelle Langhe e haun accento piemontese. Hastudiato per 15 anni musicaclassica indiana, ma la sua culturacosì come la nostra è statacontaminata. Il disco vive di questemanifestazioni e del profondodesiderio di non vedere l’Italia solocome un paese omologato attornoa pochi grandi canali preferenzialidella comunicazione, in cui tutto si

esaurisce tra le trasmissioni di RaiUno o di Sky oppure nei localidella "movida".

●Nelle canzoni di «Vox Creola»ci sono umori e sensazionidiverse. C’è un senso di amarezzae disincanto…Siamo tornati a quel disagio cheera la fotografia degli anniCinquanta, quelli che abbiamovisto nei film neorealisti. Bisognaarrabattarsi per sopravvivere,adattarsi a una situazione anchemolto difficile con l’aggravante chenon abbiamo più la speranza chealimentava la sopravvivenza dei

nostri padri e dei nostri nonni. C’èun’amarezza di fondo. Sfidochiunque a dire che bastaimpegnarsi, lavorare e tuttocambierà per il meglio. Io misforzo di tenere anche nelle miecanzoni un approccio positivo, maquello che vedo è molto negativo.

●Il tutto però e vissuto anche conuna certa dose di ironia e conmomenti di commedia.I fenomeni di costume sono spessodivertenti. Nel primo pezzo, S.Maria del deserto il protagonista sitrova in una processione e si rendeconto che la vita e le speranze del

popolo ormai sono legate ai santi,alle madonne e alle lotterie. Ilbrano Vajassa, ispirato alloscambio di insulti in parlamentotra la Mussolini e la Carfagna, èuna scenetta in cui ci sono un lui euna lei che analizzano la fine dellaloro storia. I loro resoconti sonototalmente contrapposti. Cosìanche altri momenti del discohanno una chiave di letturaironica. L’amarezza è semprecondita con lo zucchero.

●Il primo singolo dell’album è«Rumble in the Jungle», cover di«In Zaire» di Johnny Wakelin cherievocava la celebre sfidaafricana tra George Foreman eMuhammad Ali. Perché questascelta?Il brano mi è sempre piaciuto.L’avevo ascoltato quando eropiccolo e poi ho scoperto esserededicato a quell’incontro di boxe lacui storia è raccontata nelbellissimo film "Quando eravamore". Ha assunto per me un nuovosignificato. Ali è stato unpersonaggio che ha saputo andareoltre l’ambito sportivo. Harappresentato molto nella lotta peri diritti degli afroamericani. Mi

piaceva quindi l’immagine diun’icona dello sport che ha datoqualcosa in più. Mi è sembratocosì naturale aggiungere allacanzone alcune strofe mie chericordassero le rivolte in Egitto enei paesi del Nord Africa.

●Ma un disco come «Vox Creola»con che prospettive commercialiviene prodotto?Le prospettive commerciali sononulle. Se tu non hai brani nuovinon esisti, ma se comunquepubblichi musica il sistema non hacomunque modo di accogliere,metabolizzare e supportare lanovità. Tutto quindi viene lasciatoall’abilità, alla capacità eall’organizzazione del singoloartista. Non c’è più chi dice:“Facciamo un disco che vendiamoun sacco di copie”. Si fanno ancoramolti dischi, ma il sistema non èpiù in grado di sostenerli. In Italiapoi è scomparso quell’apparatofatto di produttori, studi, turnisti,musicisti, sono venute a mancarequelle sinergie che in passatohanno consentito di produrreanche da noi cose eccelse.

●L’esperienza dei Mau Mau èconclusa o è solo congelata?Io non la considero conclusa eFabio (Barovero, ndr) neanche.Volevo assolutamente fare unqualcosa che fosse separato dalladinamica compositiva oltre cheumana con cui ho semprelavorato. Mi serviva anche peravere un nuovo punto diriferimento. Ci ho messo molteenergie. È la prima vera volta chefaccio un album in cui i pezzi li hoscritti tutti io, musica e parole.

RITMINel progetto«Transitory Life»l’artistastatunitenseracconta i suoiviaggi attraversoil pianeta,dal Polo Nordal Messico

di MARIAGIOVANNA BARLETTA

Laurie Anderson verso la fine delNovecento declina a suo modo iltermine «avanguardia». Fin daglianni Settanta coniugaminimalismo, scultura, pittura,fotografia, videoarte e regia;collabora con scrittori del calibrodi John Giorno e WilliamBurroughs e partecipa alleinstallazioni sonore e multimedialidi John Cage. Nello spettacoloTransitory Life il suo particolareapproccio vocale soventemanipolato attraverso l'elettronicanobilita il recitato, perché spiegadi sentirsi prima di tutto unanarratrice.

Laurie Anderson, come Cage,non dimentica chel'improvvisazione è anche gestomusicale ed è presente in ogniciviltà, ad ogni latitudine e in ogniepoca, approccio estetico che laconduce dalla Mongolia allamusica eurocolta. Dai compositoriTerry Riley, Steve Reich e PhilipGlass l'artista americana eredita ilpiacere di una pulsazione ritmicaregolare unita alla scarnificazione

del linguaggio armonico che siapre in questo modo a soluzioniillimitate. Il panorama sonoro diLaurie Anderson sembra filtratoattraverso un modo sempre nuovodi vedere e ascoltare collegato allatecnologia, a volte alla velocità edalla forma canzone panetnica.

Abbiamo avuto l'occasione dichiacchierare con LaurieAnderson dopo una conferenzainformale aperta al pubblico e aigiornalisti, e in questa occasioneha voluto raccontare anche deisuoi incontri con gli artistinewyorkesi minimalisti.

●In che modo nasce la suaispirazione per lo spettacolo«Transitory Life»?L'ispirazione per Transitory Lifenasce da racconti di avventura edall'aver attraversato vari luoghi.Quando viaggi in terre come ilPolo Nord, il Messico o laSlovenia, avverti la sensazione ditrovarti realmente in un postodiverso e forse questasuggestione mi ha spinta arealizzare le immagini tradotte inmusica di Transitory Life come se

si trattasse di montare diversicortometraggi. Inoltre il mioviaggio mi ha avvicinata a unapercezione diversa del tempo: avolte l'ho sentito arretrare, altremuoversi più velocemente oaddirittura fermarsi.

●Come mai per «TransitoryLife», un insieme di lavori cheraccolgono progetti di epochedifferenti, ha scelto di utilizzareunicamente il linguaggiomusicale?Per rendere Transitory Life unfilm. La musica scava nelprofondo... come uncontrappunto. Nei film, adesempio, l'immagine di unedificio può essere modificata daun sottotesto musicale che creaun'atmosfera di tensione otranquillità. A mio avviso lamusica è un veicolo emotivo cheaggiunge altre informazioni e avolte ti suggerisce come sentirti.

●Il musicologo Carl Dahlhaus,durante una discussione sultema «Identità e musica»,osservò che sarebbe stato più

appropriato sostituire la parola«identità» con il terminetedesco «wesen» (coscienzadell'essere). «Transitory Life»potrebbe abbracciare questaidea?

È una domanda davverocomplessa... la musica ti offre lapossibilità di guardare le cose daun ulteriore punto di vista. Lamusica è un modo di guardare:quando sono in giardino, adesempio, mi capita di osservarele pietre, il modo in cui sonodisposte lungo il bordo, la lineache divide l'erba dalla ghiaia, eapprezzo il mondo. Nel caso

specifico di Transitory Life, ilmio approccio musicale ha a chefare con il prestare attenzione,non riguarda il fare qualcosa digrande, nuovo, originale.

●Nel suo album intitolato«Homeland» l'incipit del brano«Transitory Life» è per casoispirato alla tecnica del cantodiafonico utilizzato nellamusica folk dell'Asia Centrale?Il mio museo preferito di NewYork è il Rubin Museum (museodi arte himalaiana) dove èallestita una bellissimacollezione; un giorno, per puro

caso, mi è capitato di ascoltareun coro di mongoli cantare ognisingola nota comprensiva diarmonici, come una radiosintonizzata su 26 stazionicontemporaneamente!. Nerimasi davvero sorpresa, motivoche mi convinse a seguire unlaboratorio insieme ad alcunimusicisti di New York; diconosia un cliché che la musica siaun linguaggio internazionale, maè così. Non avevamo bisogno diparlare, improvvisamentesuonavamo all'unisono, eramagico! Terminato il workshopproposi al coro di seguirmi intour... ricordo un concerto inPortogallo: era notte esuonavamo in un castello, eraun sogno suonare all'aperto, inlontananza, senza guardarsi.Terminato il concerto notai cheil coro di musicisti mongoli siallontanava a piedi nell'oscurità,dopo alcune ore scoprii che illoro manager russo si eradimenticato di organizzare iltrasporto e il coro aveva decisodi raggiungere la tappasuccessiva del tour a piedi...Una camminata di dieci ore inpiena notte! Ho imparato cosìtanto da loro, dal modo chehanno di vivere la musica edalla loro concezione deltempo. È un mondocompletamente diverso, nonche il nostro sia così orribile e illoro così perfetto, mangianocarne di yak! Non idealizzo lacultura mongola, ma ho trovatointeressante accostarmi a unarealtà tanto distante dalla mia.

Laurie Anderson, foto di Luisa Vanzetta

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IL PRIMO DISCO CHE MI

HA CAMBIATO LA VITA

PENDULUM

«Revival» ai tempidella maturità

Continuala pubblicazionedei vostri scritti.Un modoper capirecome suonie stili hannoindirizzato ascoltie esistenze

DEMON BOX

La Norvegia ardecol fuoco del diavolo

STRAWBERRY FIELDS...

Piccoli orizzonticolor rosso fragola

PICTURES AT AN...

Una strana cassettaincontrata al mercato

TUTTI MORIMMO A...

Folgorata dalla pietà,una dote per pochi

CAROL/I JUST WANT...

«4 successi al prezzo di 2»Ecco le Pietre Rotolanti

MACHINE HEAD

Deep Purple, il viruschiamato hard rock

PICTURES AT AN...

Giochi innocentinel parco della Tuileries

Avevo 13 o 14 anni; del ’68, per ragionianagrafiche, mi era arrivata solo l’eco e il’77 l’avrei incrociato ai tempi della maturità(dell’esame intendo, non la mia personale).Dei Creedence Clearwater Revivalavevo sentito solo qualche pezzo prima diascoltare per caso Pendulum (un disco del1970), a casa di un amico. Già il pezzod’apertura, Pagan Baby, mi aveva catturatocon l’arpeggio iniziale prima di partire allagrande con la ritmica, ma davveroimpressionanti erano sembrati anchel’introduzione dei fiati in Chameleon, lesottolineature vagamente soul delsassofono e dell’organo in Born to Move,l’immediatezza di Hey Tonight e Molina, leatmosfere di Have You Ever Seen the Rain? eIt’s Just a Thought. Da allora dei Creedenceho acquistato di tutto e di più: dischi ufficialie bootleg, vinile e cd, incontrando poche ozero delusioni. Negli anni sono stati moltigli album che se proprio non mi hannocambiato la vita quantomeno me l’hannoresa più gradevole, passando dall’hard rocknegli anni Settanta per arrivare al blues, lamia passione degli ultimi (tanti) anni.Tuttavia, se devo pensare al primo questoè certamente Pendulum e un disco deiCreedence al momento giusto ci sta beneancora oggi.

(Ermes Severgnini)

AREALIVE 2012 (Up Art Records)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Dall'alto della sua nuvola rossaDemetrio Stratos probabilmente se laride sotto i baffi. Nel 2012 della fine delleideologie e del trionfo dell' (iper)mercato,riecco dal vivo il gruppo più rosso eimprevedibile d'Italia, i gloriosi Area.Ridotti a una triade con Tavolazzi, Tofanie Fariselli, aiutati (bene) da Maria Pia DeVito e Walter Paoli, ma tutt'altro chesessantenni nostalgici. Primo cd con iclassici d'attacco, secondo cd con nuovibrani palpitanti che onorano il passato, ilpresente, e guardano già verso il futuro:come doveva essere. (g.fe.)

BJÖRKBASTARDS (One Little Indian/Self)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Il piccolo genio d’Islanda si mettecostantemente in discussione, ed èsempre alla ricerca di nuove vie, nuoviapprodi. E non disdegna, anzi al contrario,di arrivare alla meta attraverso aiutiesterni. Così non è affatto raro che i suoibrani cadano nelle mani di artisti - dj eproducer, ma non solo - che li vestono inmodi e stili molto diversi. Bastards è unaraccolta di pezzi tratti dal suo ultimolavoro, Biophilia, remixati da gente comeMatthew Herbert, Omar Souleyman,These New Puritans, Death Grips e altri.Il risultato è che, comunque la si giri,Björk è sempre un passo avanti. (r.pe.)

ALEX CAMBISEL'UMANA RESISTENZA (Ultrasound)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ In perfetto equilibrio tra rock,folk, blues e canzone d’autore, le tracceescono dalle casse ora roboanti dichitarre elettriche e batterie, orasommesse e affidate ad acustiche,fisarmonica e mandolini, ora in unconvincente mix di elettrico e acusticonella migliore tradizione roots rockamericana. Un disco fatto con l’Americanelle orecchie, l’Italia nell’anima e unfuturo migliore nel cuore. Cambise tornaa due anni di distanza dal debutto e dopola «parentesi inglese» Carry On. (v.d.s.)

ELLEFFEDIFLASH (Setola di Maiale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ L'etichetta dedita alladocumentazione delle «musiche nonconvenzionali» ospita un bel cd chepotrebbe interessare anche chi di radofrequenta l'improvvisazione radicale jazz:Elleffedi è acronimo per Lodati, Fontana eDetesta, quindi due chitarre elettriche eun basso, più abbondanti dosi dielettronica maneggiate da tutto il trio consaggia spregiudicatezza. Un flussoimprevedibile, sorprendente, una minieradi situazioni sonore nate all'impronta che,appena nascono, svaniscono e sitrasformano, prima di diventare cliché:come la vita stessa, in fondo. (g.fe.)

MICHAEL FORMANEKSMALL PLACES (Ecm/Ducale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Del contrabbassista di SanFrancisco, stilisticamente ascrivibileall’odierno avant jazz newyorkese, le ottocomposizioni qui presenti vanno daicinque (Slightly Off Axis) ai diciotto minuti(Parting Ways) e quasi tutte vengonostrutturate attraverso una sorta dicircolarità di ritmi e di melodie: simbolodi un postmodale, a consentire sia regolaricadenze del leader e della batteria (GeraldClaver) sia variegati solismi al sax alto(Tim Berne) e al pianoforte (CraigTaborn). Le sonorità via via forti, languide,incisive, minimali, confermano l’ingresso diun «Ecm style» anche in contestiamericani progressisti. (g.mic.)

ANNA GOURARICANTO OSCURO (Ecm/Ducale)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ È coraggiosa e sensata l’idea dellaquarantenne pianista russa di accostarequattro composizioni bachiane a duebrani novecenteschi; legami e affinitàesistono perché, nel caso della Ciacconadell’ottantenne Sofia Gubaidulina èevidente il richiamo elettivo all’omonimobrano di Johann Sebastian arrangiato a fineOttocento da Ferruccio Busoni. Allecorali bachiane s’ispira il Paul Hindemithdi Mathis Del Maler, mentre qui la1922-Suite per piano omaggia le «danzenegre», ossia il jazz che negli anni deltitolo inizia a far capolino tra gliintellettuali europei; in comune a tuttiforse una filosofia dell’improvvisazioneche però la Gourari riconducemagistralmente allo spartito. (g.mic.)

Qual è il disco che ti ha cambiato la vita? Èuna domanda che appassiona un po’ tutticoloro che hanno fatto della musica nonsolo la colonna sonora della propria vita,ma in alcuni casi una passione vera epropria. A differenza della maggior partedelle persone il disco che ha cambiato inqualche modo la mia vita non è un album,come si definiva una volta il 33 giri, ma un45 giri o singolo, che dir si voglia, ilceleberrimo Penny Lane/Strawberry FieldsForever che, grazie alla complicità della miasorella maggiore, acquistai alla tenera etàdi 5 anni., era il 1967. Sembrerà strano chea quell’età si possa ascoltare qualcosa cheti possa cambiare la vita, ma l’ascolto diStawberry Fields Forever influenzerà inmaniera significativa il mio approccio almondo musicale. Sia ben chiaro checomunque in quel periodo continuai adascoltare brani della Caselli o dei Rokes,ma l’arrangiamento di quel brano, lasplendida voce di John Lennon che io hosempre particolarmente amato, uniti a unamelodia meravigliosa mi aprirono orizzontiaffascinanti che facilitarono, intorno ai diecianni, l’ascolto e l’apprezzamento di lavoridi valore assoluto come il secondo albumdei Led Zeppelin, Aqualung dei Jethro Tulle Storia di un minuto della Pfm.

(Marco Cingottini, Roma)

Pictures at an Exhibition, il terzo album delgruppo progressive rock britannicoEmerson Lake & Palmer, registratodal vivo nel 1971, è il disco che mi hacambiato la vita. Mi è capitato tra le maniin cassetta mentre spulciavo un sabatomattina al mercato, sulla bancarella dimusicassette taroccate che c’erano nellapiazza di Faenza. Trovai quella delleOrme, il mio gruppo preferito già adodici anni, che mi avevano conquistatocon Gioco di bimba, ma poi lì vicino trovaianche questa degli Elp e la presi con l’ideache doveva essere la stessa musica mafatta da un gruppo straniero, e la cosa miintrigava tantissimo. Si tratta, come ènoto, della rielaborazione in chiave rockdell'omonima composizione pianistica del1874 di Modest Musorgskij. Fu unascoperta pazzesca. Pigiavocontinuamente il tasto Play delmangiacassette bianco e nero della Philipse rimanevo rapito da questi suoni cosìstrani ma coinvolgenti che nullac’entravano con le canzonette cheravevo sentito fino ad allora. Nel disco lepartiture originali del musicista sonoalternate alle composizioni del trio cheaveva un’immagine potentissima conquesta doppia batteria, mai vista prima...

(Giordano Sangiorgi, Faenza, Ra)

ULTRASUONATI DASTEFANO CRIPPAVIOLA DE SOTOGUIDO FESTINESEGUIDO MICHELONEROBERTO PECIOLA

È una sera del 1993, io non ho ancora18 anni. Claudio Sorge su Radio2manda Demon Box, un mastodonte di17 minuti dal disco omonimo deinorvegesi Motorpsycho. Unmaelstrom cupo e imponente, il rockduro e nero a dilatarsi in gelide espietate epifanie ambient; il suono delgrande Nord, non solo geografico: è lascatola dei demoni, dove scavando traquesto e gli altri pezzi (tutti graziati dascrittura e feeling magistrali) troveròdilatazioni psichedeliche, strappi eurgenze punk, ferraglia noise, il candoredel folk, quel sapore di alcool, legno efinestre appannate di certo rockamericano e il nitore del miglior indierock senza fuffa né spocchia. Quando alminuto 6 e spiccioli il panzersabbathiano orchestrato dai quattro diTrondheim si ferma, si apre un mondodi suoni e finalmente i demoniappaiono. Può essere così belloascoltare la paura. Poi sarà unaquestione di cuore, i concerti in acido aRimini, gli ascolti collettivi e il viaggio inNorvegia. Da allora li ho cercati etrovati in tante altre scatole sonore, idemoni: ma la prima volta è stato conloro.

(nzm)

Marzo 1981: 100 anni dopo la morte diMusorgskij ascolto mia cugina suonare alpiano Quadri da un’esposizione alConservatorio di Torino. Nonostante imiei soli 11 anni vengo rapito dallaPromenade, una passeggiata musicale che siintercala tra brani che narrano lo stupore difronte a una mostra di quadri: alcuni allegricome i giochi dei bambini nel parco delleTuileries, altri solenni come il progetto diuna monumentale Grande Porta di Kiev. 30anni fa non c’era Wikipedia e io passavo deltempo a sfogliare spartiti e biografie inpiazza Castello da Maschio, storico negozioora chiuso soffocato dalle assurde leggi delmercato globalizzato. La vita di questogeniale musicista mi colpì profondamente: lamorte prematura causata dall'alcool el'estasi creativa con cui compose i Quadri insole due settimane dopo la visita allamostra in memoria dell'amico pittoremorto d'improvviso. Nel 1985, con la primapaga estiva da manovale, comprai il discoedito da Deutsche Grammophon e un librodegli spartiti dei Queen. Da allora il doloreesistenziale di Musorgskij accompagna miepasseggiate immaginarie nella desolatacampagna russa. Da allora provo simpatiaper gli alcolisti depressi che contaminano ilmondo con visioni artistiche.

(Giovanni Salierno, Torino)

Avevo 20 anni, era il 1971 e insieme a memigliaia di ragazze/i tentavano di cambiare ilmondo. Sentivo musica dalla radio ma a casadi un'amica ne sentivamo un'altra di musica, noi che non avevamo il giradischi e i soldiper comprarcelo. Sentivamo i dischi diFabrizio De André. Qui fui folgorata daTutti morimmo a stento (album del ’68). Unacanzone in particolare mi toccò cuore ecervello, il Recitativo, a me comunista sicurache l'avvento del comunismo ci avrebbeliberati dalla Dc e dalle stragi di Stato fattedai fascisti e pagate dai padroni, comedicevamo allora. Mi si smosse qualcosadentro sentendo questo «anarchico» che sirivolgeva ai giudici, ai banchieri, ai notai e agliuomini di legge (!), a tutti quelli cui «la pietànon convien sempre», mettendo l'accentosul concetto di pietà per un'umanità dolentee emarginata. Capii che non bastavano i mieiriferimenti politici, che il «sottoproletariato»non era un popolo di straccioni, chebisognava armarsi di quella dote, la pietà, per poter essere poi diversi dai fascisti e daquelli che, arrivati al potere chiamandosicomunisti, avevano massacrato corpi, sognie ideali. Scrivo questo oggi per ringraziarel'anarchico De André, per avermi«umanizzata». Cosa che non avevano fattonè il mio passato cattolico nè il miopresente comunista. Grazie Fabri.

(Teresa Gennari)

È passato quasi mezzo secolo. Noi, aRoma, i dischi li compravamo in unnegozio di viale Angelico. Non eraproprio un negozio, perché non avevainsegna, non aveva vetrine. C'era unadoppia porta a vetri e dentro un banconea «elle». Alle spalle dei titolari (ragazzipoco più grandi di noi), le scaffalature,bruttissime, piene di dischi. Ecco, i dischi: non erano microsolco a 45 giri «normali»;erano quelli dismessi dai jukebox e perciò molto più convenienti. La parte centrale deldisco era bianca, e le copertine... le copertine quelle di altri dischi forate al centro perpoter leggere titolo e esecutore del brano. A volte la facciata B conteneva un pezzo diesecutore (generalmente un complesso) diverso da quello della facciata A: due brani dialto livello nello stesso disco! Ma a Viale Angelico si potevano trovare anche pezzi rari.Una volta, per esempio, vidi uno strano disco contenente quattro brani «4 successi alprezzo di 2»!! Erano eseguiti da un complesso inglese di cui sulla copertina originale eintatta, veniva data anche la traduzione: «Le pietre rotolanti». Il disco conteneva Carol, IJust Want..., Tell me e Route 66 (1964). Ragazzi, avevamo scoperto i Rolling Stones!

(Francesco Verri, Roma)

RICKIE LEE JONESTHE DEVIL YOU KNOW (Concorde/Universal)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Sono passati più di trent'anni dagliesordi dell'intrigante biondina checonquistò l'America con le sue canzonilanguide profumate di jazz, passandoattraverso storie di tossicodipendenza.Ora è una cantante entrata nel mito,adorata da un manipolo di fan tra i qualiBen Harper che suona con lei in questaraccolta di cover, rigorosamente inacustico, dove la cantante pesca nelrepertorio di Donovan (The Devil YouKnow), Robbie Robertson (The Weight) elo stesso Harper (Masterpiece). E graffiaancora destrutturando un classico degliStones, (Sympathy for the Devil), glissando(una vera lady...) elegantemente sui branidel perduto amore Tom Waits con ilquale si lasciò non proprioamichevolmente... (s.cr.)

DIANA KRALLGLAD RAG DOLL (Verve/Universal)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Si affrancano dal repertorio piùpopular le signore del jazz come DianaKrall che per il ritorno discografico èandata a spulciare nel grande repertorioamericano degli anni Trenta e Quaranta,nella collezione dei 78 giri del padre,scovando brani bellissimi e nonnecessariamente noti. Ad aiutarla atrovare i suoni giusti, un vecchiomarpione come T Bone Burnett. (s.cr.)

MACHINE HEAD 4ETFUORI DAL CHORUS (Groove Master)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Molti stili diversi, riuniti in un freebop che si nutre anche di proteine funk espezie latin, convivono bene - egioiosamente, verrebbe da dire - inquesto gruppo che ha fatto una sceltacoraggiosa: evitare l'appoggio armonicodel pianoforte, lasciar decantare le notesu un tappeto mai invadente e sempreben giostrato di elettronica inchiavardatosu una ritmica flessuosa. I risultati miglioriarrivano quando le sequenze seguono einseguono le sapide volate di trombone esassofono. (g.fe.)

NINOS DU BRASILMUITO N.D.B. (La Tempesta Intl/ Venus)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Un diluvio continuo, incessante dipercussioni per questo progetto chemescola batucada e noise, samba edelettronica. Ma il risultato è intrigante ecoinvolgente, come si sono accorti nelleloro rare sortite live in Belgio e allaBiennale di Venezia. Il trio composto daNico Vascellari, Nicolò Fortuni eRiccardo Chitarrista suona praticamentetutto quanto si possa... percuotere, daglistrumenti canonici a bottiglie, lattine,pezzi di legno. Elettrizzante. (s.cr.)

THE SOMNAMBULISTSOPHIA VERLOREN (Solaris-Acid Cobra/BrokenSilence)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ La «saggezza perduta» del titologreco-tedesco è quella che il comboitaloberlinese traduce da qualche anno inun rock che sa di blues e di jazz, di latioscuri e abissi senza fine. Violini flirtanocon strumenti giocattoli, theremin e segamusicale, e una voce profonda e ruvida sistaglia su esplosioni elettriche. Un virtualeincontro tra Dirty Three e Mark Lanegan.Post rock in forma canzone? (r.pe.)

Il mio «disco» è Machine Head dei DeepPurple, scoperto nel 1972, qualche mesedopo la sua uscita, a 14 anni. Il branoHighway Star, in breve, con tutto l’ellepìnell’insieme, hanno contribuito a mutareradicalmente il panorama musicale, alloramio «orizzonte»! Si intuisce facilmentecome passare all’hard rock - senza alcunfiltro, blues o jazz che fosse, dalla musicache la mia cocciuta sorella maggiore mipropinava e mi costringeva ad ascoltare, odalle prime scoperte, il primo amore chenon si scorda mai -, sia stato un vero shockadrenalinico e rivoluzionario, che hainfluenzato per sempre e in modo definitivoi miei gusti musicali! Stiamo parlando diSanremo (Patty Pravo la migliore ipotesi) edella musica da film di Ennio Morricone perla «trilogia del dollaro» del mio (soltantoomonimo, purtroppo) Sergio Leone. Daquel momento ho setacciato a tappetotutto l’hard rock, baratto o acquisti,presente su piazza nella mia Napoli o inaltre città, dove ero di passaggio, arrivandopoi al punk e alla new wave, con dovizia didati e conoscenza. Eppure tutto iniziò percaso quando, tra amici del ginnasio, uncompagno mise sul piatto l’albumfamigerato: insomma l’ignoto svelatodall’Enterprise del capitano Kirk di StarTrek!

(Domenico Leone, Napoli)

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SCUOLE DI RECITAZIONE

di CHIARA PAZZAGLIA

●●●Paul Newman discende lescale di un ospedale. È il film IlVerdetto di Sidney Lumet. Newmanè un avvocato sul lastrico, alcolizzatoe quello che ha visto in quella stanzadi ospedale, cambierà la sua vita persempre; un film di investigazionegiudiziaria si trasforma nella storiadi un riscatto personale. In quellacamminata, un'unica sequenza,pochi secondi di un uomo sconvoltoche scende le scale, c'è forse l'esattadistanza tra la riga di unasceneggiatura (di David Mamet perIl Verdetto) e l'emozione del grandeschermo. In questa sequenza,probabilmente c'è anche qualcosache ha a che fare con i migliori film ei migliori attori americani degliultimi 50 anni e si chiama Actor'sStudio. Al Pacino, Robert De Niro,Meryl Streep, solo per citarne alcuni,si sono formati all'Actor's Studio.

Michael Margotta è un membrodell'Actor's Studio che da anni hafatto dell'Italia la sua base di lavoro:è il direttore artistico dell'Actor'sCenter di Roma, che ora si èampliata, con l'apertura il 3dicembre scorso, di una nuova sedea Milano.

●Esistono gli attori naturali?C'è un aspetto molto importantedella recitazione che chiamereil'istinto a recitare un ruolo. Lo sivede nei bambini, nella lorodisposizione a credere alle cose chenon esistono. Einstein diceva chel'immaginazione è il più potentestrumento che abbiamo in quantoesseri umani, purtroppo le società incui viviamo non coltivanol'educazione all'immaginazione e ibambini, nella maggior parte deicasi, ne vengono privati. L'attorenaturale invece è qualcuno la cuiimmaginazione non è stata troppoostacolata da condizionamentisociali, nel corpo o nella mente; èqualcuno disposto a crederefortemente in situazioniimmaginarie e inventate. Quindi gliattori naturali non esistono per unaqualche grazia divina o provvidenza,ma sono il risultato dell'educazionee dell'istruzione di cui hanno fattoesperienza. Mi capita di sentirparlare di talento o di carisma.«Carisma» viene dal greco enell'antichità era una parola cosìpotente che raramente venivapronunciata ad alta voce; oggiinvece è una parola di uso comune,che può essere impunementeaccostata a un'auto, un dolce, unanimale o a un vestito: ha perso ilsuo significato, il suo valore sacro.

●In Italia e in Europa oggi moltifilm sono realizzati con attori nonprofessionisti ed è la capacità delregista di lavorare con loro chedetermina la qualità del film. Cosane pensi?Per quanto riguarda gli attoribisogna tener presente una generaledistinzione fra il cinema e il teatro. Ilteatro è il medium degli attori e ilcinema è il medium dei registi.Molte performances vengono fattedai registi al montaggio, per questocredo che nel cinema sia più diffusofar lavorare attori non professionisti.In Italia spesso i registi chiedono ilmio aiuto perché gli attori non sonoin grado di fare ciò che si chiedeloro. Oppure il regista non saproprio come ottenere ciò che gliserve. Se il regista non sa comeottenere ciò che vuole e l'attore nonè preparato, l'attore si troverà indifficoltà, perché non saprà ottenerequei risultati da solo: questo puòdiventare una sofferenza per l'attore;né il regista né il pubblico hanno lapiù pallida idea dell'ansia che unattore può provare in questesituazioni. Un altro problema nelcinema è che a volte i film non sonoben scritti. Quando un attoreinesperto lavora con unasceneggiatura scritta male, non sacome salvarsi. Un attore conesperienza invece sa cercaresoluzioni alternative. A volte

vediamo un film e poi leggendo ilcopione non ci accorgiamonemmeno quanto sia scritto maleperché l'attore l'ha reso interessante.Nel mio lavoro con produttori,registi e attori ho continuamente ache fare con questo tipo diproblemi. È abbastanzasorprendente. Ci sono tanti tipidifferenti di registi come ci sonotanti attori diversi, eppure la miasensazione personale è che l'attoredovrebbe essere in grado di faretutto ciò che un regista gli chiede equesto anche per via delle fortirisorse economiche e di tempoinvestite in un film. È noto che unattore lavora in condizioni difficilidal punto di vista produttivo. Illavoro migliore nasce sempre da unaproficua collaborazione, in cuil'attore è uno strumento nelle manidel regista: non dovrebbe verificarsiil caso che uno domini l'altro per viadi una mancanza d'esperienza.

●Di che cosa ha bisogno e comedovrebbe essere costruito secondolei il rapporto tra regista e attore?Troppi attori purtroppo tendono adiventare un peso che il regista deveportarsi al collo. Al tempo stesso lamaggior parte dei registi non capisceil lavoro dell'attore, come questiottiene i risultati, non c'è interesse.La cosa migliore secondo me èsempre una collaborazione. Tuttaviase il regista ha esperienza e l'attoreno, la tendenza è che ci sia unrapporto di dominazione più che di

collaborazione reciproca. Lo stessoavviene nel caso opposto, quandol'attore con una forte esperienzatende ad imporsi sul regista alleprime armi. Molti registi parlano,parlano, parlano... uccidono laspontaneità: il linguaggio degli attoriè quello delle immagini. Tuttavia gliattori devono sapersi adattare alavorare con ogni tipo di regista,devono imparare come ottenere irisultati richiesti in qualsiasicondizione di lavoro. Questo è ciòche chiamo le basi e i fondamentalidell'attore e che si ottengono con

l'esercizio. A volte i registi non siprendono cura quanto dovrebberodei loro attori: si preoccupano se laproduzione non accetta una lororichiesta ma non se il loro attore haun problema. Invece dovrebberotenerne conto, perché l'attore è illoro primo strumento per raccontareuna storia. Credo che i giovaniregisti dovrebbero studiare anche unpò di recitazione, così capirebberomeglio i problemi da affrontare.Inoltre in questo modorisparmierebbero un sacco di tempoottenendo risultati migliori: l'Actor's

Center è nato anche per far fronte aqueste esigenze.

●Quali strumenti sono necessari achi vuole fare l'attore e investire inquesto mestiere?Secondo me ci sono tre strumentinecessari all'attore che vuole averconsapevolezza del suo lavoro:l'istinto a recitare un ruolo,padroneggiare le basi e ifondamentali e la capacità dianalizzare un testo. La migliorescuola di recitazione del mondo -che non esiste - dedicherebbe ilprimo anno solo allo studiodell'attore di sé stesso, prima chequesti pretenda di diventarequalcun altro. Questo perché l'attoredeve prendere coscienza delleproprie abitudini, un compitodifficile che comprende vari ambiti:il modo di parlare, l'uso del propriocorpo, fino alle zone dell'emozione edel pensiero; il tutto sempreconfrontandosi con icondizionamenti sociali. Solo unavolta presa coscienza di tuttoquesto, l'attore diviene unostrumento libero di esprimersi.Nessuna scuola può insegnarel'istinto a recitare ma si può lavorareper aiutare a liberare lo strumentodai condizionamenti che ognuno dinoi ha subito.

●Oggi in Italia stanno nascendomolte scuole per attori, lasensazione è che spesso sianofabbriche di disoccupati. Che nepensi?È una domanda che mi fa pensare.Non so se altri insegnanti direcitazione abbiano mai affrontatola questione e riflettutoattentamente su questo fenomeno.Io credo che oggi in Italia stiaaccadendo qualcosa di moltoprofondo e molto importante: l'ideache tutti vogliano essere delle star èsolo la superficie. C'è qualcosa cheviene da lontano, di antico, inquesto rinnovato impulso dellepersone a voler essere attori. L'attoreè una persona che cambia sé stessa,che si trasforma. Trasformazionesignifica andare verso una formanuova, cioè fare un cambiamento; sitratta di un processo moltomisterioso. L'attore è qualcuno cheha il controllo della propriaesistenza, proprio perché la puòcambiare. Credo che in questomomento storico abbiamo bisognopiù che mai di esercitare questocontrollo.

Poi per quanto riguarda nellospecifico le scuole, si può dire lastessa cosa delle università: lepersone che studiano recitazione poinon lavorano come attori così comele persone che studiano legge poinon fanno gli avvocati. Il mercato discuole, seminari e corsi per attori, èaumentato in maniera esponenzialein base alla domanda. Ci sono tantimodi diversi di approcciare larecitazione: tra cinema e teatro c'èun ampio spettro di possibilità, stilie filosofie diverse. La speranza è chealmeno una parte di queste scuoleoffra più di quanto promette, ovveroche la persona alla fine di

L’attore?Immaginarecon metodo

Michael Margotta, e l’Actor Centerdi Roma, in piena attività didatticae laboratoriale. Dal 3 dicembra è apertaanche la sede milanese della scuola

Gli esami non finiscono mai....Intervistaa Michael Margotta, direttore dell'Actor's Centerdi Roma e di Milano, ovvero dell’evoluzionedell’Actor Studio di New York e Los Angeles

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quest'esperienza abbia imparato aesprimersi e a conoscersi meglio. Inquesto momento gli attori hannodavanti tanti orizzonti diversi anchese la qualità dell'offerta lascia spessoa desiderare.

●Ci sono diversi attori affermatiche lavorano con lei, che cosacercano?L'Actor's Center è un'associazione diattori, registi, scrittori che ha sede aRoma e, dal 3 dicembre, anche aMilano. Il prototipo è quellodell'Actor's Studio a New York e aLos Angeles, di cui sono membro: sitratta di una struttura unica nel suogenere. L'idea alla base dell'Actor'sCenter è che funzioni come un

luogo di lavoro per professionisti, siaper riunirsi e lavorare in laboratori,sia per sviluppare progetti personali.Nello scambio reciproco c'è unarricchimento artistico, è una sortadi fabbrica di idee. In particolare, lamaggior parte degli attori affermaticon cui lavoro è alla ricerca di unterzo occhio o un terzo orecchio percapire se sono davvero dentro aquello che stanno facendo: sannociò che fanno ma hanno bisognocontinuamente di feedback, dicapire cosa della loro propostafunziona e cosa invece no. Alcuni diloro si stanno allontanando dallazona sicura delle cose che sonoabituati a fare per esplorare nuoviterritori, si stanno mettendo alla

prova. Altri attori invece hanno solobisogno di un tempo e un luogo perprepararsi, perché spesso i tempi dilavorazione di un film o una serie tvsono folli e non lo prevedono: gliattori hanno bisogno di provare lescene che devono girare, di eplorareil loro personaggio ma in cinema ein televisione manca sempre iltempo. Questo è abbastanza strano,visto che nel cinema o in tv, non sigira quasi mai seguendo lacontinuità di una storia e quindil'attore dovrebbe provare molto piùche in teatro, dove la storia si recitain continuità dall'inizio alla fine.Alcuni attori semplicemente cercanoun altro punto di vista sullasceneggiatura su cui stanno

lavorando, o vogliono esplorarne lepossibilità.

●Ci sono libri di riferimento chepotrebbe raccomandare a coloroche vogliono avere una maggioreconsapevolezza del lavorodell'attore?È interessante quante informazionisi possano trovare oggi su questiargomenti. Fino a trentacinque annifa era difficile trovare un attorepreparato in quello che è noto come«Il Metodo», oggi è difficile trovareun attore che non l'abbia praticato.C'è una grande quantità di libri edvd, sulla recitazione, la regia, lascrittura. Per me è importante chel'attore studi anche cose diverse cheperò sono collegate. Ed è importantesapere che nessun libro puòinsegnare l'arte della recitazione. Ilracconto che fa Lee Strasberg delsuo lavoro all'Actor's Studio è unabuona lettura; il suo libro Il sogno diuna passione. Lo sviluppo delmetodo (ed. it. Ubulibri) èinteressante. Gli attori dovrebberoleggere libri su pittori, registi,biografie. La recitazione è basata suiprincipi della vita di ogni giorno,quindi è importante approfondire lapsicologia dell'essere umano, laconoscenza della miriade di formeche assume la vita. È importantestudiare per esempio la storia delgenere umano o anche le influenzeche la scienza e la religione hannoavuto sulle diverse culture che noiconosciamo.

L’Actor’s Studio neworkese negli anni 50,lezioni e prove con alcuni famosi attoridi Hollywood, Marilyn Monroe, PaulNewman e James Dean (tra gli altri)

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Questo mondoè da trasformare

di ANTONELLA ROSCILLI *RIO DE JANIERO

●Ho letto che da piccolo amavadisegnare con il dito nell’aria…È vero. Parlo un po’ di questo nel miolibro di memorie As curvas do tempo.Memórias (1999, ed. Revan) in cuiracconto come il disegno mi abbiacondotto all’architettura.

●Com’è stata la sua infanzia?È stata meravigliosa. I miei miglioriricordi dell’infanzia sono nella casache si trova nel quartiere Laranjeirasdi Rio de Janeiro dove vivevo con imiei cari nonni materni, MariaEugenia e Antonio Augusto Ribeiro deAlmeida. Lui era un esempio dicorrettezza etica e di nonattaccamento al denaro che influìmolto su di me.

●Nel 2007, per festeggiare i suoi 100anni, l’ambasciata italianaorganizzò a Brasilia un convegnodedicato alla sua opera. Ma i suoicollaboratori hanno sottolineatosempre anche i suoi valori umani.Chi è Oscar Niemeyer?Un essere umano come qualsiasialtro. Qualcuno che porta con sé leangustie che caratterizzano la nostraprecaria condizione umana, qualcunoche ha sempre la consapevolezza chela vita è un soffio e l’uomo èinsignificante davanti a questouniverso che incanta e umilia.

●Il 15 settembre 1956 il presidenteKubitchek venne nella sua casa dasCanoas per invitarla a collaborarealla nuova capitale che stavapensando di costruire nel centrodimenticato e inospitale del paese.Cosa rappresentò all’epocal’invenzione di Brasilia? Cosa pensaoggi di Brasilia?Preferisco limitarmi a dire che Brasiliafu il sogno prediletto di JucelinoKubitchek. Fu il cammino che luitrovò per trasportare il progressoall’interno del paese. E ciò è accaduto,indipendentemente dalle critiche chealcuni fecero (o fanno!) alla nuovacapitale.●●Nel 1964 lei tornò da Israele doveaveva progettato l’Università diHaifa ma il presidente João Goulartnel marzo di quell’anno vennedeposto dal generale CasteloBranco. La dittatura in Brasile duròfino al 1985. Lei si autoesiliò inFrancia. Cosa ha rappresentatol’esilio nella sua vita?L’esperienza dell’esilio è stata moltoricca per me perché mi ha garantito lapossibilità di approfondire la miacoscienza politica. Fuori del mioPaese mi sono potuto dedicare aprogetti importanti come la creazionedell’Università di Constantine (inTunisia), l’università dei sogni, un’esperienza pioniera nella costruzionedi una università volta all’integrazionetra le varie aree della conoscenza, chepotesse combatterel’iper-specializzazione riduttiva cheancora colpisce i corsi superioriscolastici in tutto il mondo. È unarisposta che ha un significato politicoed educativo importante che hospiegato nel libro pubblicatorecentemente dall’Editore Revan diRio de Janeiro

●Cosa pensa del leader comunistaLuiz Carlos Prestes?È uno dei più grandi brasiliani che hoconosciuto. Ho mantenuto con lui un

buon rapporto di amicizia. LuizCarlos Prestes è stato un patriota, uncittadino che ha lottato durante tuttala vita per il suo popolo, contro lamiseria e le differenze sociali che,purtroppo, ancora persistono nelBrasile.

●Cosa pensa del governo Lula?È un governo che conta su uninnegabile appoggio popolare e si èunito al movimento di difesadell’America Latina, che si staespandendo in tutto il nostrocontinente.

●●Come riesce ad essere sempre cosìcoerente con il suo pensiero politico?Credo di essere giunto a questacoerenza senza alcuno sforzo.

●Fidel Castro una volta ha detto:«Nel mondo restano solo duecomunisti: io e Niemeyer». Cosapensa di Fidel Castro e di Cubaoggi?Fidel ancora è il riferimento politico

fondamentale nella lotta per lasovranità dei popoli latino-americani,contro l’imperialismo degli Stati Uniti.Cuba rappresenta secondo me unesempio grandioso di resistenzacontro questo mostro infame.

●Cosa pensa della politica degliStati Uniti nel mondo?Secondo me è uno schifocompleto!...Dobbiamo comprendereche la politica globale nordamericananon è rivolta all’esterno, ma verso ilsuo interno sebbene il suo impattosul resto del mondo sia stato grande edisastroso.

●La moglie di Jorge Amado, lamemorialista Zélia Gattai mi hamostrato a Salvador nella sua casauna scultura che lei ha realizzatoper Amado accompagnata da unafrase bellissima. Questa sculturaverrà esibita nel futuro Memoriale.Cosa può raccontare sulla vostraamicizia?Jorge Amado era un compagno

straordinario. Sono indimenticabili gliincontri che ho avuto con questogrande scrittore e sua moglie ZéliaGattai. Non mi ricordo con esattezzacome li ho conosciuti; ma come mi ècaro il ricordo dei nostri dialoghiinterminabili, dell’allegria di Jorge,della simpatia di questa coppia!

●Nel 2007 ha ricevuto dalpresidente Napolitano un’altaonorificenza. Cosa ha provato?

Mi sono sentito veramente moltoonorato nel ricevere questo premiodall’Italia.

●Lei ha realizzato varie opere inItalia. Il Palazzo della Mondadori(1968-75), la sede dellaFata-European Group a Torino(1976-81), il progetto del Congiuntoarchitettonico di Vicenza (1978-79),del Ponte dell’Accademia a Venezia(1985), di uno stadio per Torino

(1987) e di un auditorium per Ravello. In «Lecurve del tempo. Memorie» scrive: "Com’è bellal’Italia e come sono buoni e allegri i nostri amiciitaliani. Come mi piaceva conoscere le opere delPalladio, di Brunelleschi, il Palazzo dei Dogi" ecc.Può parlare un po’ del suo rapporto con l’Italia?Parlo sempre con molto affetto e entusiasmodell’Italia , della sua gente amabile, del peso dellasua cultura artistica. L’Italia….percorrere questoPaese significa incontrare dappertutto la bellezza inmodo sempre sorprendente e rinnovato. Ho fattomolte amicizie che coltivo ancora oggi…insieme aiteneri ricordi che ho dei miei viaggi a Venezia…

●Al Convegno di Brasilia l’architetto toscanoMassimo Gennai le ha portato un riconoscimentoconcesso dalla facoltà di architettura di Firenze.Può dirmi qualcosa su di lui?Massimo Gennari è un amico generoso, di unagentilezza fuori del comune. Gennari concompetenza e affetto si è occupato del mio progettodella sede Fata-European Group a Torino alla finedegli anni ‘70.

●L’Istituto di Architettura e Umanità a Niteroi èun progetto a cui lei è molto interessato. Perché?

La denominazione corretta è Scuoladi Architettura e Umanità. Cerca dirispondere alla problematica dellaformazione che affligge i giovani inBrasile, specie quelli che escono daicorsi di livello superiore. In questaScuola sarà riservato un ampiospazio per l’incentivo alla lettura –non solo di scrittori, ma anche diintellettuali che hanno datocontributi in campi diversi come laFilosofia, la Teoria Politica, la Storia,l’Economia, per affrontare le grandiquestioni che formano il tessuto dellanostra vita. L’obiettivo di questaistituzione è creare un corso piùlibero che includerà anche attivitàrelazionate alla mia architettura e altempo culturale in cui essa siinserisce.

●Perché lei e altri avete deciso ditenere lezioni di Filosofia nel suostudio di Copacabana?Ci ha motivato non la pretesa diritenerci intellettuali, ma l’interesse aconoscere di più il drammadell’essere umano e altre questioniche la Filosofia cerca di affrontare.

●Cosa rappresenta l’architetturanella sua vita?È il mio lavoro. È l’attività a cui midedico con maggiore entusiasmo, puressendo cosciente che la cosa piùimportante non è l’architettura. Lecose fondamentali sono la vita, gliamici, la famiglia, questo mondoingiusto che dobbiamo trasformare.

●Qual è il suo sogno oggi?Forse il mio sogno è oggi quello diveder funzionare nella città di Niteroila Scuola di Architettura e Umanità.* intervista del gennaio 2008

ARCHITETTURA

NIEMEYERA destra Oscar Niemeyer.

Nella foto grande,l’Auditorium Ibirapuera a San Paolo.

Nella sequenza al centroaltri 3 famosi progetti

di Niemeyer: la cattedrale di Brasilia,il Museu Niemeyer a Curitiba

e la sede del Gruppo Mondadori a Segrate.Sotto, il Museo di Arte Contemporanea

Niterói che si affaccia sulla Baia di Guanabaranei pressi di Rio de Janeiro

«Nel mondo restano solodue comunisti, io eNiemeyer». Così dicevaFidel Castro del grandearchitetto brasilianomorto a 105 e che abbiamointervistato nel 2008