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22/04/2016 Prof. Autunno CEFALEE Il termine cefalee fa pensare a una problematica che riguarda un dolore al capo, ed è noto a tutti che il mal di testa è frequentissimo, tanto che facendo indagini epidemiologiche l’80% della popolazione ha almeno avuto un episodio di mal di testa nella sua vita. È infatti una patologia molto frequente con incidenza e prevalenza molto elevata. Può essere una malattia primaria oppure può essere secondaria ad un’altra malattia, ad esempio l’influenza e altre determinate condizioni cliniche tra i sintomi determinano il mal di testa. Quindi questo è il principio su cui si basa la distinzione tra cefalee primarie e secondarie . La cefalea primaria è una malattia che riguarda più del 90% delle cefalee, tanto che per quello che riguarda la classificazione internazionale abbiamo una grossa suddivisone in capitoli con cefalee primarie e tutte quelle che sono poi le cefalee secondarie , che possono essere associate a ictus cerebrale o ipertensione arteriosa o la sinusite, l’otite e via dicendo. Quindi per prima cosa bisogna capire di quale tipo di cefalea si tratta altrimenti il medico rischia di commettere un grosso errore. Il professore spiega un caso clinico: Mi è successo l’altro giorno che si recasse in reparto un paziente ottantenne che non soffriva di mal di testa che ad un certo punto, da un mese circa, cominciava ad accusarlo. Dopo un mese è venuto in ambulatorio e approfondendo l’anamnesi ha riferito di essersi recato la settimana scorsa dall’oculista perché aveva perso la

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22/04/2016

Prof. Autunno

CEFALEE Il termine cefalee fa pensare a una problematica che riguarda un dolore al capo, ed è noto a tutti che il mal di testa è frequentissimo, tanto che facendo indagini epidemiologiche l’80% della popolazione ha almeno avuto un episodio di mal di testa nella sua vita. È infatti una patologia molto frequente con incidenza e prevalenza molto elevata.

Può essere una malattia primaria oppure può essere secondaria ad un’altra malattia, ad esempio l’influenza e altre determinate condizioni cliniche tra i sintomi determinano il mal di testa. Quindi questo è il principio su cui si basa la distinzione tra cefalee primarie e secondarie. La cefalea primaria è una malattia che riguarda più del 90% delle cefalee, tanto che per quello che riguarda la classificazione internazionale abbiamo una grossa suddivisone in capitoli con cefalee primarie e tutte quelle che sono poi le cefalee secondarie, che possono essere associate a ictus cerebrale o ipertensione arteriosa o la sinusite, l’otite e via dicendo. Quindi per prima cosa bisogna capire di quale tipo di cefalea si tratta altrimenti il medico rischia di commettere un grosso errore.

Il professore spiega un caso clinico:

Mi è successo l’altro giorno che si recasse in reparto un paziente ottantenne che non soffriva di mal di testa che ad un certo punto, da un mese circa, cominciava ad accusarlo. Dopo un mese è venuto in ambulatorio e approfondendo l’anamnesi ha riferito di essersi recato la settimana scorsa dall’oculista perché aveva perso la vista, aggiungendo in più che da un mese si sentiva stanco e avvertiva dolore articolare, che in una persona di questa età può essere pure artrosico, ma in questo caso, analizzando il quadro, prima che se ne andasse mi si è accesa la lampadina e collegando il fatto che il paziente aveva perso la vista per un problema di circolazione a livello delle arterie retiniche, aveva avuto il mal di testa mentre precedentemente non ne soffriva, aveva avuto dei dolori articolari, ho chiesto “Quando mastica ha dei fastidi?” e lui mi ha risposto di sì. Per sintetizzarvi il tutto c’è una situazione che si chiama arterite di Horton che è causa di cefalea in età avanzata, che va dimostrata con esami di laboratorio che sono VES e PCR e con una biopsia delle arterie temporali e una dimostrazione che c’è un infiltrato linfocitario a livello endoteliale, e che può diventare pericolosa. Questa è una di quelle cefalee gravi la cui incidenza è del 12%.

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Non avremo il tempo di trattare tutte le cefalee ma il primo avvertimento che vi voglio dare è che bisogna sempre porsi il quesito “Sono di fronte ad una cefalea primaria o secondaria?”

Importante il riconoscimento dei sintomi e i segni che accompagnano queste cefalee perché una cefalea che insorge dopo i 50 anni in uno che non ne ha mai sofferto è una cefalea sentinella, la cefalea che diventa ingravescente è una cefalea pericolosa. La cefalea chiaramente si associa a segni clinici, neurologici, ad esempio cefalea che si associa a febbre dobbiamo pensare ad una meningite, un’encefalite o cefalea che ad un certo punto cambia le caratteristiche, degli episodi di emicrania sostituiti da una cefalea che si cronicizza, quindi può essere entrata una nuova problematica cerebrale che identifichi una continuità del dolore e quindi che non sia più sostenuta da un meccanismo fisiopatologico tipico dell’emicrania ma che sia subentrata invece una problematica di altra natura: quante volte capita che un paziente che soffre di emicrania che a un certo punto inizia ad avere una cefalea cronica, fai la tac e trovi un ematoma subdurale e quindi è possibile che ci sia l’innesco di una nuova condizione.

La prima monografia sulle cefalee risale al 1873 e si intitola “mal di testa nauseante e disturbi associati”.

L’elemento fondamentale del mal di testa è il dolore che si associa ad altre manifestazioni neurologiche. Spesso la cefalea si manifesta in associazione a malattia vascolari, neurologiche e psichiatriche. In ambito psichiatrico sono un esempio disturbi di attacco di panico, l’ansia, la depressione, ad esempio i pazienti con disturbi di attacchi di panico hanno un’incidenza più elevata di cefalee rispetto alla popolazione generale, così come le malattie cardiologiche e altre malattie neurologiche.

C’è una classificazione internazionale, da quelle più frequenti a quelle più rare, in cui c’è una serie di sintomi e segni che si associano, su cui dover indagare per poter porre una diagnosi.

Le cefalee primarie sono rappresentate da emicrania, cefalea tensiva, cefalee trigeminali autonomiche ed altre cefalee primarie.

La seconda parte riguarda l’ambito in cui le cefalee sono un sintomo attribuito a trauma o colpi di frusta, a problematiche sia del collo che del cranio, disordini vascolari, all’uso o all’abuso di sostanze, farmaci. Esiste un capitolo riguardante le cefalee secondarie dovuto all’abuso di farmaci: spesso i pazienti tendono, per allontanare il dolore, ad assumere analgesici in maniera eccessiva, specialmente analgesici di combinazione che contengono caffeina come il difmetrè o l’optalidon

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che contiene un antiemetico e un neurolettico e che dopo un paio di mesi fanno sì che la cefalea si trasformi in cefalea cronica legata all’abuso di sostanze. E poi cefalea attribuita ai disordini del cranio, dell’occhio, dell’orecchio, dei seni paranasali e così via. Cefalee attribuite a disturbi psichiatrici. Poi ci sono le cefalee attribuite a neuropatie come la nevralgia del trigemino, spesso diagnosticata male specialmente da parte degli odontoiatri che tendono a mettere nel calderone della nevralgia del trigemino condizioni che spesso hanno poco a che vedere con essa. L’esordio a livello della terza età, l’andamento continuo o subcontinuo, la presenza di deficit neurologici d’accompagnamento, la lateralizzazione del dolore( a dx o a sx) per esempio se si verifica sempre a dx può essere un problema più grave, oppure interventi di meccanismi di scatenamento particolare come la tosse che in questo caso può farci pensare all’ipertensione endocranica, oppure una malformazione del rachide cervicale, la sindrome di Arnold Chiari in cui c’è un abbassamento delle tonsille cerebellari e tipicamente la cefalea viene scatenata dai colpi di tosse.

Tutte queste condizioni devono porre una massima cautela diagnostica e suggerire allo stesso tempo un approfondimento delle indagini.

La classificazione è piuttosto complicata e non è eziopatogenetica ma è un insieme di segni e di sintomi che vanno tenuti in considerazione.

Al primo livello abbiamo l’emicrania, se ci spostiamo all’1.2 abbiamo la forma con aura e a noi basta conoscere i primi due livelli. L’emicrania con aura può essere divisa in aura tipica con cefalea e aura tipica con cefalea non emicrania, ma queste sono sottigliezze.

Studente “Ma se è già emicrania, come può essere cefalea non emicranica? Cioè emicrania non è una cefalea emicranica o ho capito male?”

Professore “L’aura è un fenomeno focale visivo oppure sensitivo oppure del linguaggio che evolve nell’arco di 60 minuti ma l’aura tipica è come una sorta di marcia che comincia dal lobo occipitale per andare verso il lobo frontale e quindi il paziente nei lati esterni al campo visivo comincia ad avere quelli che si chiamano fosfeni che sono scie luminose oppure specchi di fortificazione che iniziano con certe immagini come le mura dei castelli dentellati , poi c’è un calo del visus quindi la fase negativa e poi o regredisce oppure l’aura prosegue con l’interessamento della mano, del braccio, del volto, della lingua quindi formicolii, parestesie e qualcuno ha anche disfasia. Riferito questo, arrivo alla fase della cefalea, che solitamente è emicranica intensa, pulsante, con fonofobia ma ci sono casi in cui la cefalea è bilaterale, gravativa però queste sono sottigliezze. Ci sono pure le forme genetiche che hanno

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una prevalenza molto più bassa e tra queste vi è l’emicrania emiplegica familiare e abbiamo la forma FHM1, FHM2 e FHM3 in base ai geni coinvolti.

Tenendo conto della classificazione noi riusciamo ad inquadrare il paziente in una di queste forme, e sia la classificazione che i criteri diagnostici possono essere eziologici in alcuni casi o descrittivi e possono essere sindromici o basati sui sintomi, cioè la patogenesi non è conosciuta per tutte le forme di cefalea, per cui alcune forme sono etichettate con un nome e troverete una serie di sintomi e di segni ma senza che ci sia una spiegazione eziologica. Comunque è completa e inquadra i pazienti sulla base della fenomenologia, del tipo di dolore, dell’intensità, della durata, della localizzazione, la presenza o meno di segni ecc.

L’emicrania è la forma più interessante ma non la più comune perché la più comune è la tensiva, che colpisce quasi il 70% della popolazione e che rappresenta quel mal di testa che conosciamo come gravativo, che avviene in determinate giornate quando ci siamo stressati o abbiamo mangiato troppo la sera prima o abbiamo dormito poco o abbiamo bevuto alcol, è quella sensazione di oppressione che è la cefalea bilaterale, non molto intensa, che non sia associa a sintomi vegetativi che invece accompagnano l’emicrania. L’emicrania ha una forte predisposizione genetica, e colpisce molto più le donne rispetto agli uomini e gli individui che hanno parenti di primo grado che ne soffrono, hanno un’incidenza di due volte più elevata per la forma senza aura e di quattro volte per quella con aura, quindi c’è una forte componente genetica. Le indagini genetiche per andare a cercare i geni coinvolti nella forma emiplegica familiare cominciano nel ‘93 e il primo articolo fu pubblicato in merito su network genetics, in cui veniva individuato il gene sul cromosoma 19, e da allora ne sono stati mappati tanti altri ma in atto sono tre i geni coinvolti. Uno è questo che vedete che è un gene che modera l’ingresso del calcio e che ha questo nome CaCNL1. Nel ‘97 venne fuori un altro gene che è un gene coinvolto nelle (?) e in alcuni atassie spinocerebellari. In particolare sono state trovate delle triplette nelle atassie spinocerebellari di tipo 6.

Le cose più importanti sono queste dell’emicrania: prevalenza 10- 12%, su 60 milioni di abitanti 5 milioni sono affetti da emicrania con picco di prevalenza tra i 20 e i 54 anni, al di là dei 54 se non ha mai sofferto di emicrania bisogna stare attenti perché probabilmente siamo di fronte ad una cefalea secondaria.

Un accenno alla fisiopatologia: è un disordine neurologico complesso delle funzioni superiori e dei meccanismi di controllo del dolore senza alcuna anomalia strutturale. Se voi andate a fare una risonanza magnetica a un paziente con emicrania non trovate nulla perché non c’è alcuna alterazione morfologica strutturale. Su un lavoro pubblicato per la prima volta da una rivista si è dimostrato che durante un attacco di

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emicrania l’ipotalamo aveva un metabolismo molto più vivace rispetto al resto dell’encefalo e questo fa nascere l’idea che l’attivazione dell’ipotalamo, a lungo ricercata, è un possibile trigger.

Si è sempre discusso se l’emicrania inizia in periferia e quindi il coinvolgimento è dei vasi e periferico oppure centrale e questa scoperta ha spostato l’orientamento verso un’ipotesi centrale cioè per meccanismi di tipo ormonale, per meccanismi che ci danno abilità di quella zona dell’ipotalamo perché abbiamo bevuto il vino bianco, perché abbiamo mangiato la cioccolata o perché è in arrivo il ciclo quindi il tasso di estrogeni è caduto ed e è il periodo più critico per l’emicrania.

La scoperta di questa situazione con la PET ha portato a supporre che il trigger sia l’ipotalamo e quindi ha dato credito all’ipotesi centrale. Per una serie di condizioni si attiva, e si attiva il fascio vascolo nervoso attraverso il trigemino. Le fibre del trigemino rilasciano sostanze vasoattive che sono la sostanza p e CGRP, che rilasciate determinano quella che si chiama infiammazione sterile cioè vasodilatazione, stravaso di proteina e attivazione delle fibre nocicettive quindi dolore mediante attivazione delle fibre dolorifiche. Infatti la scoperta dei triptani punta proprio su questo, cioè sull’andarsi a legare ai recettori prima che si leghino ai CGRP e alla sostanza P in maniera tale da bloccare l’attivazione delle fibre dolorifiche. Comunque i meccanismi che stanno alla base dell’emicrania sono proprio questi: predisposizione genetica, ipereccitabilità corticale.

C’è una grossa somiglianza con l’epilessia così come le malattie neurologiche di cui vi parlavo prima in cui c’è una comorbidità con l’emicrania. Ai primi posti ci sta proprio l’epilessia, che è una condizione di ipereccitabilità corticale, così come il ruolo del sistema nervoso vegetativo, perché quando parliamo di ipotalamo, stiamo parlando di sistema nervoso vegetativo, ecco perché durante l’attacco di emicrania non c’è solo dolore, ma c’è nausea vomito fotofobia e qualche volta osmofobia, tutto legato all’attivazione vegetativa che dipende proprio dall’ipotalamo. E poi il fatto che i neuroni di questi pazienti emicranici hanno instabilità della riserva energetica quindi ci sono proprio delle ipotesi che parlano di un’alterazione del metabolismo mitocondriale di questi pazienti che quando sono sottoposti a fattori scatenanti come perdita di sonno, si attiva quella zona dell’ipotalamo e inizia l’attacco.

Cosa diversa per quanto riguarda l’emicrania con aura. L’emicrania con aura, a differenza dell’emicrania senz’aura, e vi ho spiegato come avviene l’aura, cioè inizia dal lobo occipitale e quindi iniziano i fenomeni visivi, dopodiché questa onda di depolarizzazione, già conosciuta dagli anni ’40, provoca un fenomeno che inizia dalle regioni posteriori per poi spostarsi alle regioni anteriori con la velocità di 2-3 mm/minuto e quest’osservazione è avvalorata dalla dimostrazione che c’è una

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ridotta soglia di attivazione in questi pazienti, cioè il lobo occipitale ad esempio facendo i potenziali evocati visivi si è visto che è più eccitabile. Se noi mettiamo a confronto un paziente che soffre di emicrania con uno che non soffre di emicrania si è visto che con i potenziali evocati la latenza e quindi l’eccitabilità degli emicranici è superiore rispetto ai non emicranici. Quindi questa è la prova indiretta dell’ipereccitabilità del cervello di questi pazienti. Come vedete emozioni, affaticamento, digiuno e altri fattori agiscono attivando in modo intermittente i meccanismi neuronali che poi scatenano questo attacco di mal di testa. Vi è anche una modificazione del calibro vasale perché questa depolarizzazione si propaga lungo la corteccia ma interessa anche la perfusione e come vedete si passa da una fase di ipoperfusione ad una fase di vasodilatazione e poi la fase del dolore e l’aura.

Per fare la diagnosi di emicrania senz’aura, cosa ci dice la classificazione?

Primo criterio: -deve aver avuto almeno 5 attacchi la cui durata va da 4 a 72 ore. Nei bambini il criterio delle 4 ore è stato rivisto e può durare anche di meno.

Quali altre caratteristiche deve avere?

-Il dolore è intenso, quindi in una scala visiva sul dolore (0 è assenza di dolore, 10 è il massimo dolore sopportabile) gli emicranici segnalano 7, 8, 9 o 10.

-Il dolore è lateralizzato;

-Peggiora con attività fisica moderata. Chi ha l’emicrania o si corica o si mette a riposo, non va sicuramente in palestra. I movimenti fanno peggiorare il dolore.

Al punto D della classificazione troviamo i fenomeni vegetativi cioè presenza di nausea o di vomito e fotofobia. Non sono necessari tutti chiaramente perché è difficile trovare il paziente che abbia tutte queste caratteristiche e allora che si fa? Si è visto che se sono presenti almeno due del primo gruppo, cioè dolore unilaterale, pulsante e almeno uno tra nausea, vomito, foto e fonofobia potete fare la diagnosi di emicrania. Chiaramente va completata con un’anamnesi, un esame obiettivo generale e neurologico, controllo della pressione, altrimenti bisogna pensare alla cefalea secondaria. La cefalea pulsante è presente nell’80% degli emicranici, gravata dall’attività fisica nel 76%, la cefalea unilaterale nel 70%.

Le donne sono svantaggiate perché il rapporto è 3/1. Al di sopra dei 50 anni la probabilità che sia emicrania è più bassa (2,1%), mentre nella prima decade è del 30%.

Poi abbiamo la forma di emicrania con aura.

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È un disturbo idiopatico caratterizzato da sintomi di disfunzione corticale o tronco-encefalica della durata di 5-20 minuti, mai più di un’ora. Questa è una forma di cefalea che impressiona molto le persone perché la prima cosa a cui pensano è di aver avuto un TIA o un ictus e vanno a finire tutti al pronto soccorso. A volte vanno dall’oculista perché hanno l’aura visiva e chiaramente rispetto alla forma senz’aura impaurisce di più il paziente. La cefalea, la nausea e la fotofobia seguono i sintomi neurologici dell’aura immediatamente o dopo un intervallo libero che è meno di un’ora. La cefalea di solito è tipo emicranico ma può anche non esserlo.

Classificazione: almeno tre delle seguenti caratteristiche

-Uno o più sintomi dell’aura completamente reversibili che indicano una disfunzione corticale o tronco-encefalica che sia di durata inferiore ai 60 minuti.

-Se c’è questa progressione, cioè inizia con disturbi visivi e poi anche parestesia all’arto superiore (disturbo sensitivo) quindi mano, avambraccio, braccio faccia e lingua, che poi regrediscono o seguiti da disfasia per avere un attacco di mal di testa importante.

Allora possiamo fare diagnosi di emicrania con aura.

L’emicrania con aura è molto meno frequente come numero di crisi rispetto alla forma senz’aura. La forma senz’aura è prevalentemente mestruale e migliora durante la gravidanza, solitamente la paziente con emicrania senz’aura è donna, durante la gravidanza raramente ha crisi e al di fuori della gravidanza ha la crisi che si accompagna al ciclo e spesso peggiora se assume contraccettivi orali. Invece l’emicrania con aura peggiora durante la gravidanza esordisce addirittura in gravidanza, raramente è correlata al ciclo ed è peggiorata dall’assunzione dei contraccettivi orali. Anzi l’OMS dice che chi soffre di emicrania con aura non deve assumere contraccettivi estro-progestinici perché aumenta il rischio di malattie cerebro-vascolari. Quindi questi soggetti vengono sottoposti a studi che riguardano la coagulazione.

Vi accenno l’emicrania emiplegica essendo molto rara. Calcolate che in tanti anni ne ho viste due o tre, è quindi poco incidente. È una forma di emicrania con aura in cui c’è un deficit motorio, un’emiplegia. Bisogna chiedere innanzitutto se c’è familiarità, nel 50% dei casi sono familiari e quindi bisogna andare a fare un’analisi genetica per uno di quei geni di cui vi accennavo prima.

EMICRANIA TENSIVA

La forma tensiva è diffusissima. Tutti noi abbiamo avuto nell’ultimo anno un attacco di cefalea tensiva che è la forma più frequente e che se trascurata può andare

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incontro a cronicizzazione e quindi determinata da un impatto sulla qualità di vita e sulla disabilità. Esistono forme episodiche più o meno frequenti e forme croniche. Si parla di forma croniche quando questi pazienti hanno più di 180 giorni all’anno episodi di mal di testa. Per dire che è tensiva ci vogliono almeno 10 episodi che soddisfino questi criteri, ovvero:

-il mal di testa dura da 30 minuti a 7 giorni

-localizzazione bilaterale

-gravativo costrittivo e non pulsante

-intensità lieve o media

-non è aggravato dall’attività fisica di routine

-assenza di nausea e/o vomito e può essere presente solo uno tra fono e fotofobia

La forma tensiva è più legata a fattori di stress, ansia mentre l’emicrania è più legata a fattori ormonali o a determinate sostanze presenti nei cibi.

In passato veniva considerata prevalentemente psicogena. La forma più seccante da gestire per noi medici è la forma cronica perché spesso il paziente con la forma tensiva episodica non prende neanche farmaci. L’ultima classificazione ha aggiunto questa dicitura: oltre ad essere tensiva, con o senza dolorabilità dei muscoli pericranici (palpazione manuale).

CEFALEA A GRAPPOLO

È definita così perché gli attacchi sono raggruppati come gli acini di un grappolo in un periodo che spesso si ripete annualmente la cui durata va da meno di due settimane a due-tre mesi. È la peggiore cefalea, viene infatti definita cefalea da suicidio. Nella scala del dolore corrisponde a 12. Solitamente colpisce gli uomini, fumatori con determinati tratti caratteriali. La cefalea a grappolo è inserita in un gruppo più ampio di cefalee chiamate cefalee trigeminali autonomiche ovvero cefalee che hanno in comune delle caratteristiche come l’intensità molto elevata, la localizzazione a livello della branca oftalmica del trigemino, nel 99% monolaterali, di breve durata e numerosi fenomeni vegetativi tanto da essere chiamate trigeminali autonomiche. Con il tabagismo la prevalenza nelle donne è andata progressivamente aumentando. Viso contratto da un’espressione di dolore è tipico di questa forma di mal di testa, lacrimazione, miosi. Fortunatamente il periodo si ripete a volte anche ogni due anni, solitamente nel passaggio di stagione, la cui durata è variabile da due settimane a tre mesi. L’esistenza di fattori non è stata finora provata con certezza. Quando comincia un periodo il numero di attacchi va

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da uno ogni due giorni ad otto attacchi al giorno (i più sfortunati). Ci sono inoltre determinate ore, i pazienti conoscono l’orario preciso d’insorgenza, cioè tra l’una e due di notte, alle 21:00 e dall’una alle tre del pomeriggio. Sembrerebbe esserci durante la notte una correlazione con le fasi del sonno REM. La durata di ogni singolo attacco va dai 15 ai 180 minuti. Ci sono fattori scatenanti l’attacco, tanto che se noi vogliamo provocare l’attacco in ambulatorio gli facciamo prendere una compressa di trinitrina, vasodilatatore utilizzato per l’angina, che scatena l’attacco così come può scatenare l’attacco l’alcool oppure sostanze che fanno liberare l’istamina.

Il dolore è sempre unilaterale, non è che passa da un occhio all’altro, è presente sempre nello stesso occhio, in 1-2 % dei casi cambia occhio e queste sono le localizzazioni. Il dolore diviene violentissimo nell’arco di minuti, quando sono particolarmente frequenti può persistere anche nella fase intercritica quindi quelli che hanno otto attacchi possono avere un dolore che continua anche nella fase intercritica, un fastidio nella zona interessata. Come viene descritto questo dolore? Trafittivo, lancinante, una pugnalata, pulsante ,martellante, penetrante e così via e questi sono i segni che accompagnano la cefalea a grappolo: lacrimazione ,iniezione congiuntivale, ptosi palpebrale perché c’è un edema legato alla risposta parasimpatica, la miosi, l’ostruzione nasale, dilatazione dell’arteria temporale, arrossamento della faccia e poi a seguire cose meno incidenti cioè nausea ,sudorazione, irritabilità, il 16% ha vomito e grazie alle tecniche di neuroimaging nella cefalea a grappolo c’è stato un gruppo di studiosi che sono riusciti a pubblicare un articolo in cui si dimostrava che un paziente che era andato per altri motivi a fare una PET e mentre faceva la PET ha avuto un attacco di cefalea a grappolo e hanno visto anche qui che c’è di mezzo il ponte e anche l’ipotalamo mostra un’ attivazione, in particolare l’ ipotalamo posteriore ipsilaterale dal lato del dolore, l’attacco è stato indotto somministrando nitroglicerina confermando l’attivazione delle suddette aeree. Quindi è stato ulteriormente confermato che l’attacco inizia a livello centrale non alla periferia. Questo è lo schema che vi fa vedere il coinvolgimento dei nuclei del parasimpatico, gangli di Gausser, fibre post-gangliari, lacrimazione, …

PATOLOGIA DEL TRIGEMINO

È una patologia sovradiagnosticata da parte dei dentisti e odontoiatri che però per poter essere diagnosticata deve avere queste caratteristiche:

-Insorgenza dopo i 50 anni

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-il dolore inizia e termina in modo brusco

-localizzazione:5% branca oftalmologia; tutto il resto riguarda mascellare e mandibolare

Il dolore spesso è innescato da stimoli minimi, i pazienti non possono ridere, non possono masticare, non possono esporsi al freddo perché ci sono delle zone trigger che scatenano l’attacco. Non possono parlare, non possono fumare ma spesso il dolore si presenta spontaneamente senza nessun trigger infatti ci sono piccole aree che sono molto sensibili.

La classificazione parla di attacchi di dolore parossistico della durata da una frazione di secondo a due minuti, eravamo partiti con l’emicrania che durava da 4 a 72 ore, la tensiva che durava da 30 minuti a 7 giorni al cluster che durava fino a 180 minuti a questa che si riduce sempre di più.

Quindi quando si presenta un paziente ci si deve orientare con due semplici domande: dove si trova il dolore e da quanto tempo dura.

Il dolore interessa una o più branche del nervo trigemino ma di solito si devono soddisfare questi criteri:

-Forte

-Acuto

-Superficiale

-Trafittivo

Precipitato dalle stimolazione di zone delicate oppure da cause scatenanti

Gli attacchi sono stereotipati per singolo paziente e vi è assenza di deficit neurologici.

Come dicevo prima meno del 5 % dei casi interessa la prima branca, se è bilaterale siamo di fronte a una forma sintomatica.

Quindi viene un paziente che viene e ti riferisce una sintomatologia che può essere attribuibile a una nevralgia del TRIGEMINO e magari non ha l’età, allora dovete pensare a una forma secondaria. Le forme secondarie più frequenti sono quelle legate alle malattie demielinizzanti quindi alla sclerosi multipla. A causa di questo dolore ci sono delle contratture dolorose che causano delle smorfie. Però si sono viste delle cose che hanno cambiato la denominazione infatti prima si chiamava nevralgia idiopatica o primaria proprio perché non si conosceva la causa poi con lo sviluppo delle metodiche di risonanza, negli ultimi vent’anni ,si è visto che spesso

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questi pazienti hanno conflitto tra un’arteria del circolo posteriore con la radice interessata e questa pulsazione continua dell’arteria porta ad uno slaminamento, un danno del rivestimento mielinico della radice del TRIGEMINO nel momento in cui si rovina questo rivestimento inizia la patologia infatti un’alternativa ai pazienti che non rispondono a terapia medica è l’ intervento in fossa cranica posteriore che però è piuttosto impegnativo con una tecnica che si chiama (?) che prevede l’interposizione di un pezzo di sostanza tra l’arteria e la radice del nervo. Però di solito il soggetto risponde alla terapia farmacologica.

Se il paziente ha la febbre ,ha un atteggiamento a canna di fucile dobbiamo pensare alla meningite quindi l’esame da fare in tal caso è una puntura lombare oppure se pensiamo che abbia un tumore cerebrale andremo a fare altre analisi .Un’altra forma che studieremo in neurochirurgia è l’emorragia subaracnoidea ,un'altra delle cefalee sentinella più pericolose di tutte perché la rottura di un arteria ,di un aneurisma nel sistema ventricolare determina lo sbandamento di sangue nel seno ventricolare che determina una reazione quindi un dolore che è definito a colpo di pugnale per l’intensità che si associa a disturbi della vigilanza e che è legato allo stavaso di sangue nei ventricoli che poi è seguito da un importante vasocostrizione che danneggia il cervello.

TERAPIA

I farmaci più usati nell’emicrania, nelle cefalee in genere e nella nevralgia del trigemino sono gli antinfiammatori. Sapete tutti che il loro meccanismo di azione sono le prostaglandine con un’azione sia centrale che periferica bloccando la COX. Il loro effetto è dovuto ad un’azione sia a livello periferico ma anche a livello del sistema nervoso centrale proprio perché mediano l’inibizione della produzione delle prostaglandine a livello neuronale e interagiscono con i sistemi di controllo del dolore che sono quello degli oppiacei e il sistema serotoninergico. Hanno dei seri limiti che sono le controindicazioni cioè l’ulcera, tutte le condizioni in cui c’è una riduzione della coagulabilità del sangue e possono dare fenomeni importanti come nausea o epigastralgia.

Questi sono gli antinfiammatori più utilizzati nel mal di testa , secondo le linee guida l’aspirina alla dose di 500 o 1000 mg somministrata per via orale con una dose massima di 2000, ibuprofene alla dose di 400 fino a 1200, naprofene o synflex (nome commerciale) oppure l’oki o il ketoprofene o il Voltaren sono tutti farmaci validi però la regola fondamentale se decidete di usare un antinfiammatorio non steroideo per trattare un attacco di mal di testa è questa : somministrarlo il prima

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possibile perché è inutile aspettare che il mal di testa peggiori e utilizzare la via di somministrazione giusta perché se il paziente ha nausea o vomito è inutile dare la bustina o la compressa quindi bisogna dare o la fiala o la supposta perché la nausea è espressione del coinvolgimento ipotalamico che è alla base di una stasi intestinale che porta a un mancato assorbimento di questi farmaci .

È risaputo che prendendo un antinfiammatorio il mal di testa magari non va via del tutto ma almeno migliora, i parametri di cui si tiene conto sono il miglioramento del dolore del 50 % oppure il pain – free, cioè essere libero dal dolore. Agli inizi degli anni ‘90 nacquero dei farmaci nuovi per il trattamento dell’emicrania che si chiamano triptani, il cui capostipite è il sumatriptan seguito dal zolmitriptan ,rizatriptan , almotriptan sono invece dei farmaci che agiscono in maniera completamente diversa perché hanno un’azione di tipo agonista sui recettori della serotonina 5ht1b 5ht1d cioè sia recettori centrali che periferici a livello del sistema trigemino-vascolare . Sono efficaci, hanno meno effetti collaterali però anche questi devono essere assunti all’ inizio dell’attacco perché quando sono state rilasciate la sostanza cgrb e la sostanza p che si sono già legate ai loro recettori cioè hanno già dato l’ infiammazione è inutile darli; esistono in fiale, esistono come spray nasale, la maggior parte esistono in compresse ma se un soggetto ha la nausea si può usare lo spray nasale oppure addirittura le fiale la cui unica indicazione ,essendo dotati di iniettori, è la cefalea a grappolo ,in particolare il sumatriptan per via iniettiva nel lattante per il trattamento della cefalea a grappolo ed è così potente che entro un minuto e mezzo il dolore passa. Gli effetti collaterali sono senso di costrizione toracica e senso di sbandamento, le controindicazioni sono gli eventi vascolari cardiaci acuti o l’ipertensione arteriosa non controllata perché a causa della loro azione vaso costrittrice possono farla aumentare ancora di più. La loro efficacia verso placebo è dimostrata con studi, hanno sostituito la vecchia dopamina che è molto efficace ma è stata abbandonata per gli innumerevoli effetti collaterali ,anche la caffeina era un vecchio rimedio per l’ emicrania infaticabile e molti analgesici hanno associati la caffeina .I triptani hanno un’efficacia comparabile agli antinfiammatori ,hanno meno effetti collaterali, possono essere presi a digiuno, dal medico di base vengono spesso prescritti gli antinfiammatori ma nei centri specialistici vengono prescritti i triptani.

Questo è il meccanismo d’azione, ecco il vaso con i suoi recettori, questo è un ganglio del trigemino, questo è il vaso, ecco il rilascio delle sostanze che vi dicevo prima che determinano l’infiammazione neurogena e attivano le fibre trigeminali quindi il legame del farmaco con questi recettori presinaptici della serotonina che fa

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in modo che non vadano a legarsi le sostanze vaso attive quindi bloccano l’insorgenza del dolore.

A livello centrale il loro legame con i 5ht1d determina un‘ inibizione della trasmissione del dolore, infatti a livello centrale oltre al sistema degli oppiacei, ci sono i recettori della serotonina che hanno un ruolo fondamentale nei circuiti del dolore infatti il legame con i recettori d da parte di questi farmaci inibisce la trasmissione del dolore.

Effetti collaterali:

-sensazione di calore

-vertigini

-astenia

-nausea

-senso di pesantezza

-pressione e costrizione spesso a livello del collo e del torace

Le controindicazioni sono:

-patologie vascolari cardiache

-patologie cerebrali o periferiche

-ipertensione arteriosa non controllata

-uso nelle ultime settimane di inibitori delle MAO

-gravidanza

-utilizzo ergot derivati

La terapia di profilassi della cefalea tensiva cronica, che è l’unica che richiede questo trattamento, è l’amitriptillina che è un antico depressivo di vecchia generazione che a basse dosi, avendo un’azione serotoninergica, agisce sul dolore. Quindi in chi può essere usato è un farmaco di prima scelta, non può essere dato in chi ha glaucoma, stasi intestinali, ipertrofia prostatica, problemi di ritmo cardiaco. Sapete che gli anticolinergici hanno questo limite e avendo un certo legame con i con i recettori colinergici, non può essere data a questi pazienti.

I nuovi antidepressivi quindi gli SSRI hanno indicazione nelle forme croniche di cefalea tensiva così come anche i miorilassanti.

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Al di là del trattamento medico per le cefalee croniche c’ è una tecnica di rilassamento che è stata accettata dalle linee guida americane, oltre anche all’ agopuntura e ( 1:56:01) per cui io mi sono interessato a questo aspetto ,ho fatto un corso di formazione e spero che queste terapia possa essere applicata anche qui al policlinico ,è una tecnica che si basa sulla rilevazione di stimoli fisiologici che sono la frequenza cardiaca, del respiro e lo stato di contrattura muscolare attraverso dei sensori collegati a un portatile e una successiva educazione del paziente al controllo di questi parametri e attraverso delle sedute il paziente impara a controllare lo stato di contrattura muscolare ,a ridurre la frequenza cardiaca ,ridurre la propria vasodilatazione e si è visto essere utile soprattutto nei ragazzini .

Federica Sozzi