Ucuntu n.97

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il numero del 10 dicembre 2010

Transcript of Ucuntu n.97

101210 www.ucuntu.org - rredazione@gmail.com

Dice che fra pochi giorni si decide tutto. Sarà. La verità è che tutto sta passando sopra la testa della gente. Nessuno parla più della Fiat, nessuno parla di abolire il precariato. E allora, sono tutti uguali?

No, certo. Ma stiamo attenti, dopo il Berlusconi cattivo,a non cadere in altri vent'anni di berlusconismo “buono”.

Jack Daniel - La nostra cultura Orsatti Addiopizzo Gulisano Acquaviva Teatro Popular Periferie

|| 10 dicembre 2009 || anno III n.97 || www.ucuntu.org ||

Dopo

Una ragazzadel movimento

Un politicoche ha cambiato idea

Tutt'e due dicono di voler cambiare l'Italia.Chi dei due lo vuol fare davvero?

?

Attacchi a TeleJato Attacchi a TeleJato

Quando i fighettifanno più dannodei boss

Apparentemente potrebbe sembrare una storia di provincia. Una di quelle polemiche sterili che a volte appassionano alcune comunità. Uno “scazzo” fra due giornalisti su metodi e stile. Nel raccontare storie, nel fare giornalismo. Ma non è una storia così. Per l’argomento che si tratta, la mafia in terra di mafia, e per il peso dei soggetti implicati.

Da un lato Pino Maniaci, di TeleJato, emittente televisiva di Partinico dove da decenni è in atto una ferocissima guerra di mafia. Cronista minacciato di morte, che ha subito negli anni decine di attentati e intimidazioni. Dall’altro Walter Molino, giornalista più tradizionale anche lui da Partinico ma da tempo sul continente a cercare lavoro e fortuna. Lavoro che ha trovato oggi in televisione. Non in una trasmissione qualunque, ma a Anno Zero.

I due non si amano. Non si sono mai amati. Da almeno 5 anni Molino non perde occasione di attaccare pubblicamente Maniaci. Parlando dei suoi trascorsi con la giustizia (che Maniaci non ha mai nascosto e chi in gran parte si sono dimostrati colossali minchiate), attaccando il suo modo di fare giornalismo (TeleJato è e rimane l’emittente locale più seguita del territorio del triangolo Cinisi-Corleone-Alcamo) e l’impegno certamente urlato di Maniaci contro la mafia.

Molino non si è fermato a questo negli anni. Ha deliziato centinaia di persone (fra cui anche io) con mail che pubblicizzavano un casellario giudiziario (poi in gran parte

dimostrato tarocco e impreciso) di Maniaci. Ha attaccato amici e familiari del giornalista. E ha pubblicato un capitolo sempre su Maniaci nel libro “gli infami” che ha pubblicato recentemente per Mondadori. Una guerra personale quella di Molino. Una crociata contro l’uomo di TeleJato descritto come un truffatore opportunista, un ladro, un mezzo criminale addirittura in odor di mafia.

A quanto pare Molino, nonostante i numerosi impegni che gli sono piombati sulle spalle lavorando nella struttura di Santoro & co, non riesce proprio a interrompere la sua guerra personale contro Maniaci, per lui incarnazione di ogni male.

Adesso ha pubblicato su un blog locale l’ennesimo attacco commentando la notizia di un’operazione dei carabinieri proprio a Partinico. Operazione The End. Poco definitiva, visto che molti mafiosi locali non sono stati sfiorati dagli arresti. Operazione che si è svolta due giorni dopo una manifestazione di solidarietà a TeleJato che negli ultimi mesi, con l’inasprirsi di un conflitto fra vari gruppi mafiosi locali, era tornata ad essere al centro di minacce pesantissime.

Deve essere stata questa vicinanza fra manifestazione e operazione ad aver innervosito Molino.

Un attacco, quello del redattore televisivo, pesante e sibillino. Senza mai fare nomi, ma puntuale. Cercando di sminuire pesantemente il ruolo sociale e informativo dell’emittente partenicese.

Sussurrando quasi che TeleJato non abbia alcun peso nella finora limitata ma inesorabile fase di risveglio civile della società di Partinico (e non solo).

Come dire: TaleJato e Manuaci sono inutili, rumorosi ma senza seguito, scassamimchia manovrabili e manovrati. Punto.

Ora so che per quello che dirò Molino avrà la tentazione di querelarmi. Francamente me ne fotto. E quindi vado avanti. Come Molino sa, o meglio dovrebbe sapere, il messaggio che ha mandato (ieri, nel suo libro, da anni) può essere percepito come un via libera a chi TeleJato la vorrebbe vedere chiusa. Non per un fallimento. Ma con la violenza.

A furia di cercare di delegittimare Maniaci e i suoi si rischia che qualcuno prenda sul serio questo tipo di messaggio. È successo in passato. Potrebbe succedere anche oggi.

Molino però non sembra aver dubbi. Maniaci è il male assoluto. Che va sputtanato e isolato. Isolato. Questa parola in Sicilia ha un significato preciso. Isolato.

Dorme sonni tranquilli, Molino? Preghi che a Maniaci, ai suoi familiari e ai collaboratori di TeleJato non succeda nulla. Neanche un graffio. Neppure di scivolare nella doccia. Perché non so proprio come potrebbe continuare a dormire tranquillo se dovesse, e speriamo di no, succedere qualcosa.

Pietro Orsattiwww.gliitaliani.it

|| 10 dicembre 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||

Chi vuole isolare l'antimafia a Partinico?Chi vuole isolare l'antimafia a Partinico?

Politica Politica

Wikileakse il panicodel Sistema

Non è che poi Wikileaks abbia fatto 'ste gran rivelazioni. Le cose che sono uscite più o meno si sapevano già prima: certo, a vederle tutte insieme il panorama è molto più desolante che a leggerle una per una: politici bestie, bombardamenti casuali, go-verni semimafiosi, guerre fatte per soldi e compìti diplomatici che ruttano fragorosa-mente ai pranzi ufficiali. E allora? Perché s'incazzano tanto?

Perché il senso di panico, a sentirsi sbat-tere le cose in faccia senza poterci far nien-te, ha fatto letteralmente impazzire tutti quanti. “L'ha detto la televisione”, diceva una volta la gente, e quella la puoi control-lare. Ma ora: “L'ha detto internet!”. E qua, con tutto il potere, non ci puoi far niente.

La vera notizia allora è questa: il panico da ancient régime che ha travolto selvag-giamente tutti, dal non-occidentale Putin al-l'occidentalissima Clinton.

* * *“Arrestatelo!”, “Minaccia il mondo!”,

“Pena di morte!”, “Fatelo fuori alla svelta!”. Non sono i talebani a gridarlo o i mandarini cinesi, ma proprio i nostri civi-lissimi e acculturati parlamentari e ministri. La Svizzera, a un certo punto, ha addirittura sospeso i conti del povero Asange: non l'a-veva fatto con Hitler, non lo fa coi mafiosi - lo fa con Wikileaks, cioè con internet, che evidentemente gli fa molta più paura.

Con il che, è detto tutto: se i banchieri svizzeri, cioè il cuore del cuore del - chia-miamolo così - Sistema hanno rinnegato se stessi, figuriamoci gli altri.

Il diritto di cronaca ufficialmente non esi-ste più e il giornalismo è fuorilegge. Non solo in Iran o in Cina ma proprio qui da noi, in America e Europa. E la libertà? E il liberismo? E chi se ne fotte.

Zoom sulla Sicilia, a Catania e Palermo, dove era già così da trent'anni (le inchieste su Ciancio indicano solo la cattiva coscien-za in tempi complicati del Palazzo, non cer-to una qualunque voglia di cambiare): c'è democrazia in Sicilia? si può fare cronaca? si può parlare liberamente?

Va bene, non si può, rispondevamo fino a poco tempo fa: ma a Milano, ma a Roma, ma a Washington... Ecco: la novità è che si vanno catanesizzando Roma Milano e Wa-shington, vanno abolendo l'informazione.

O almeno, questa sarebbe l'intenzione. Ma in realtà la gente è molto meno mallea-bile di prima, non perché più colta o più ci-vile (anzi) ma perché ha a disposizione tec-nologie che prima non aveva. Puoi impic-care Asange, ma internet chi lo impicca?

Tanti piccoli Asange (ma no, non perso-nalizziamo: nell'internet non si usa) spunte-ranno, e in effetti già spuntano, dappertutto. E' la stessa tecnologia che li produce: dopo Gutenberg era solo questione di tempo per-ché venissero fuori tanti Luteri.

* * *Va bene, lavoriamo per questo. Tranquil-

lamente perché tanto il trend è questo e non c'è nessuna ragione di eccitarsi. Stampa batte amanuense, borghese batte vescono, Rete batte Sistema: prima o poi.

Pensare globalmente, agire localmente: è

tornata ad uscire la Periferica e questa, nel nostro piccolo, è una delle tipiche buone notizie. Sta funzionando male la connessio-ne Sicilia-Bologna e la Catania-Ragusa: questi, nel nostro piccolo, sono i nostri guai.

E lavoriamo da gnomi, da formichine, senza una lira ma cantando allegramente come i Sette Nani, perché sappiamo benis-simo che sono guai risolvibili mentre le buone notizie sono semi di alberi grandi, il cui frusciare, se tendete le orecchie, lo sen-tite già.

* * *E' buffa la politica, sempre la stessa: libe-

rali e borboni si contrastano, dentro e fuori il Circolo dei Civili, mentre in campagna e sui lontani monti i contadini...

Due mondi lontanissimi, qualche volta s'incrociano, ma sfuggenti. E come si chia-mano i contadini oggigiorno? Ricercatori disoccupati? Precari? Ragazze che in man-canza di meglio fanno il concorso per veli-na? Metalmeccanici? Tutti questi, e altri an-cora. Nell'ottocento, del resto, non c'era solo l'Operaio Sfruttato: c'era anche il Coo-lie, il Professore, il Marinaio, l'Impiegatuc-cio, la Fioraia... E' complicato il mondo, ma lo era già prima.

(A proposito di politica: una volta, in tempo d'elezioni, il privilegio di rovinare la sinistra spettava ai pezzi grossi, tipo Veltro-ni-D'Alema. Adesso, a quanto pare, se lo possono permettere anche i poveri Renzi da tre soldi. Sarà democrazia...).

Riccardo Orioles

|| 10 dicembre 2010 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||

La vera notizia è la folle reazione alle “rivelazioni”La vera notizia è la folle reazione alle “rivelazioni”

Società civile Società civile

CinquantacinquevolteStato

Nel corso degli anni, già durante il perio-do fascista e sino ai giorni nostri, si sono susseguiti più volte gli appelli dei presiden-ti delle varie associazioni di industriali sici-liani, sia provinciali che regionali, finaliz-zati ad ottenere una maggiore attenzione da parte del governo di turno al problema del sottosviluppo del meridione. Gli industriali focalizzavano principalmente l’attenzione sulla politica economica del governo cen-trale e regionale, che generò esclusivamen-te delle cattedrali nel deserto, causando uno sviluppo parziale e incompleto. Nulla era però detto sulla sottomissione dello Stato ad un fenomeno che sino alla fine degli anni ‘80 era definito semplicemente “bri-gantaggio”, che condizionava indubbia-mente l’economia del Sud Italia.

L’atteggiamento della classe industriale al problema era di atroce indifferenza, forse perché, nella migliore delle ipotesi, non venne percepita la gravità del fenomeno, palesemente contro gli obiettivi dell’asso-ciazione degli industriali; non dimentichia-moci che nulla si sapeva dell’organizzazio-

ne della mafia prima delle indagini svolte dal Giudice Giovanni Falcone, in seguito alle dichiarazioni dei primi collaboratori di giustizia. Eppure dal 1980 al 1991 moriro-no per mano mafiosa almeno sei apparte-nenti alla classe imprenditoriale palermita-na: Carmelo Jannì, Piero Pisa, Pietro Patti, Luigi Ranieri, Libero Grassi e Roberto Parisi, quest’ultimo era stato addirittura membro del consiglio direttivo di Confindustria Palermo nel 1981-1984, ossia sino ad un anno prima di essere ucciso.

Volendo indagare sui motivi del silenzio da parte delle associazioni degli industriali, non possiamo ovviamente biasimare coloro che si trovavano in ruoli di responsabilità in un periodo in cui vigeva un pesante clima di paura e di omertà. Ma non possiamo non notare che esistono atti giudiziari che docu-mentano l’atteggiamento opportunistico di molti imprenditori, volto a incrementare i propri guadagni colludendo con ciò che era in realtà la criminalità organizzata. Non è neppure una novità che la mafia ha avuto (e

purtroppo ha ancora) palesi legami con il mondo politico-istituzionale; si veda per esempio il caso Andreotti, l’omicidio del-l’On. Salvo Lima nei primi anni novanta, oppure il caso Dell’Utri.

Per capire il perché del silenzio dell’asso-ciazione imprenditoriale nei riguardi della mafia si può certamente prendere come spunto di riflessione il rapporto di interdi-pendenza reciproca tra l’associazione degli industriali e la classe politica. L’indifferen-za si rese palese nel 1991 con l’uccisione di Libero Grassi, un imprenditore tessile che affermò pubblicamente di non volere paga-re il “pizzo”.

Libero Grassi si rivolse all’associazione degli imprenditori per ottenere appoggio,perché aveva ben capito che, se avesse trovato sostegno, avrebbe alzato un muro nei confronti della mafia. La risposta che ottenne fece sicuramente poco onore ad Assindustria Palermo. Libero Grassi fu ac-cusato di fare una “tammuriata”, ossia di fare clamore, infangando l’onorabilità degli imprenditori siciliani.

|| 10 dicembre 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

La mafia insegue soldi e potere, per questo la sua stradaLa mafia insegue soldi e potere, per questo la sua stradaha sempre incontrato quella degli imprenditori.ha sempre incontrato quella degli imprenditori.Sandro riflette sul rapporto tra due associazioni,Sandro riflette sul rapporto tra due associazioni,

quella mafiosa e quella degli industriali,quella mafiosa e quella degli industriali,che dovrebbero combattersi ma che spesso si intreccianoche dovrebbero combattersi ma che spesso si intrecciano

Società civile Società civile

Purtroppo, nell’immediato, la morte di Libero Grassi sembrò non svegliare le co-scienze, anzi, fu da pretesto per taluni poli-tici, come l’On. Cuffaro, per creare un cli-ma di sospetto verso chi combatteva seria-mente il fenomeno. Celebre è l’intervento dell’attuale senatore del PDL alla trasmis-sione “Maurizio Costanzo Show--Samarcanda”, proprio contro il Giudice Giovanni Falcone.

Dal 2004 sembra invece che Palermo ab-bia una nuova coscienza civile, sulla spinta di alcuni giovani che all’epoca della morte di Libero Grassi erano ancora adolescenti. Il fiorire dell’associazione Addiopizzo con giovani che ripudiano la mafia e che anzi si impegnano a prenderne e a far prendere le distanze, ha posto le basi per una nuova svolta epocale per la Sicilia. Si parla ancora oggi degli inizi di una vera e propria rivolta culturale.

Finalmente sembrò risvegliarsi la co-scienza civile dei semplici cittadini sicilia-ni, riuscendo a creare una crepa nel muro di

omertà tipico del popolo siciliano; la stessa omertà manifestata anche, a suo tempo, dall’associazione degli imprenditori paler-mitani.

Da Catania è partita poi la svolta epocale di Confindustria. Nell’estate del 2007 è sa-lito alla ribalta delle cronache nazionali l’imprenditore Andrea Vecchio, presidente dell’Ance (Associazione Nazionale Co-struttori Edili) di Catania, facente parte di Confindustria. La ditta di Vecchio, la Cose-dil, che stava realizzando dei lavori di edili-zia per conto del Comune di Catania, subì tre attentati, di chiaro stampo mafioso, in tre giorni.

La vicenda destò scalpore anche per le dichiarazioni dello stesso imprenditore: «Non è possibile andare avanti così. Basta, chiudiamo. Questo è un attacco contro lo Stato; un'altra impresa, nelle mie condizio-ni, non denuncerà più, pagherà e comprerà la serenità». In quell’occasione lo Stato non ha fatto mancare le dovute tutele all’im-prenditore. E ecco il colpo di scena, proprio

dalla Confindustria Siciliana.Il Presidente di Confindustria Sicilia, Lo

Bello, con l’appoggio del Presidente di Confindustria Nazionale, Montezemolo, di-chiarò di espellere dall’associazione chi si sarebbe piegato alla mafia, concretizzando la dichiarazione con una modifica al codice etico di ogni associazione facente capo a Confindustria. Recentemente abbiamo ap-preso della telefonata intercettata a Milano alle ore 9:27 del 17 febbraio 1988 fra Ber-lusconi e il suo socio immobiliarista, Rena-to Della Valle, in cui si capisce chiaramente che anche l'attuale Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, subiva estorsioni dai mafiosi e che, cosa ben più grave, non trovava strano pagare. Berlusconi sarà già Presidente del Consiglio nel 1994, dopo oltre vent'anni di esperienza politica.

Anche se la svolta di Confindustria è da-tata 2007, sembra comunque paradossale che un uomo di Stato, per di più il Presi-dente, non si fidi dello Stato stesso... forse perché il significato che danno i comuni cittadini alla parola "Stato" è rimasto sola-mente un concetto "lontanamente" ricorda-to per sole 55 volte nella Costituzione della Repubblica Italiana.

Sandro Scordo

|| 10 dicembre 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||

L'istruzione ai tempi della Gelmini L'istruzione ai tempi della Gelmini

“Non c'è più morale,Contessa”

disse il ministro

Paolo Pietrangeli non avrebbe certo potuto immaginare che, quarant’anni dopo, ciò su cui ironizzava sarcastico nel 1966, sarebbe stato enunciato da un primo ministro, durante un faccia a faccia televisivo col proprio sfidante: «Continuano a essere convinti che il fine del governo sia redistribuire il reddito con le tasse, rendendo uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio». Era il 3 aprile del 2006 quando Silvio Berlusconi, di fronte a milioni di telespetta-tori che assistevano al suo confronto con Romano Prodi trasmesso da Rai1, pronun-ciò queste parole, in spregio allo spirito della Costituzione italiana e al dettato di al-meno un paio di norme. L’articolo 3, a esempio, affida alla Repubblica e, dunque, anche al governo, il compito «di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale» tra i cittadini; mentre l’articolo 34 stabilisce che «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Anche il figlio dell’o-peraio, dunque.

Nell’Italia della cosiddetta Seconda Repubblica, malgrado la Costituzione sia ancora, per fortuna, quella della Prima, i

governi e le maggioranze di centrodestra susseguitisi dal 1994 a oggi hanno perlopiù operato affinché gli ostacoli fossero moltiplicati, i diritti compressi, i controlli rimossi, le diversità represse. A trecentosessanta gradi: dal lavoro all’istruzione, dalla cultura alla giustizia, dall’università all’informazione, dalla ricerca scientifica alla sicurezza pubblica e alla salute. Il tutto in nome dei tagli di bi-lancio, «necessari» a far quadrare i conti pubblici, vuoi per l’indebitamento dello Stato, vuoi per la crisi economica interna-zionale, specie dal 2001 a oggi: un intero decennio targato Silvio Berlusconi, eccetto il biennio del secondo governo Prodi, dal 2006 al 2008.

Mai il centrodestra, ma nemmeno il centrosinistra quando è stato al governo, per essere corretti, è stato sfiorato dall’idea che un’adeguata legislazione anticorruzione avrebbe potuto e potrebbe evitare che fiumi di denaro pubblico diventassero e diventino tangenti, cioè soldi sottratti alla collettività a beneficio di una ristretta cerchia di corrot-ti. E che in Italia siano in atto «episodi di corruzione persistente», lo ha ricordato Luigi Giampaolino, lo scorso 19 ottobre,

nel suo discorso d’insediamento alla Presi-denza della Corte dei conti. Come se il si-stema di Tangentopoli, nei primi anni No-vanta, sia stato svelato invano. E, in effetti, così è: basti pensare alla ben orchestrata campagna mediatica che ha trasformato l’o-perato della magistratura in «guerra civile» e in «golpe delle toghe rosse», in combutta coi «comunisti». Ci sarebbe da sghignazza-re, se la martellante campagna di menzogne non avesse attecchito su un pezzo consi-stente di popolazione, ormai convinto che Bettino Craxi sia stato solo un «capro espiatorio» e Berlusconi sia un «perseguita-to».

Allo stesso modo, mai, il centrodestra è stato sfiorato dall’idea che si potesse e si dovesse operare per recuperare almeno una parte dei circa 240 miliardi di euro ogni anno sottratti all’erario, cioè alla collettività, attraverso l’evasione e l’elusione fiscale. Anzi: Berlusconi e i suoi governi hanno sostanzialmente incoraggiato gli evasori con continue sanatorie; con «scudi» fiscali e condoni «tombali», che, in teoria, potrebbero avere agevolato il riciclaggio di denaro sporco, mettendolo al riparo dalla giustizia; tramite

|| 10 dicembre 2010 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||

“Del resto mia cara di che si stupisce “Del resto mia cara di che si stupisce anche l’operaio vuole il figlio dottore anche l’operaio vuole il figlio dottore

e pensi che ambiente che può venir fuori e pensi che ambiente che può venir fuori non c’è più morale, Contessa”non c’è più morale, Contessa”(Paolo Pietrangeli, Contessa, 1966)(Paolo Pietrangeli, Contessa, 1966)

L'istruzione ai tempi della Gelmini L'istruzione ai tempi della Gelmini

dissennate dichiarazioni dello stesso premier: «Con le tasse alte l’evasione è moralmente autorizzata», ha dichiarato il 17 febbraio del 2004; mentre due anni dopo, di fronte alla candidatura di Massimo D’Alema alla Presidenza della Repubblica, ha annunciato che, in caso d’elezione dell’esponente Pd, «faremo lo sciopero fiscale». Proprio il governo D’Alema, fra l’altro, nel biennio in cui è stato in carica, ha dimostrato che l’evasione si può colpire, recuperando circa 20 miliardi di euro; l’ultimo governo Prodi (2006-2008) ne ha messi in cassa ben 23.

Se consideriamo che i tagli del ministro Giulio Tremonti al bilancio dell’istruzione e dell’università ammontano a quasi 10 mi-liardi di euro per il triennio 2009-2011, si comprende abbastanza agevolmente come, dalle tasse, potrebbe arrivare linfa vitale per le disastrate finanze pubbliche e per inve-stimenti mirati. Senza contare il continuo, ininterrotto aumento delle spese militari, dopo l’11 settembre 2001.

In un simile contesto, i tagli di bilancio alla scuola, all’università e alla ricerca assumono le caratteristiche di autentici tagli al futuro delle giovani generazioni e del paese stesso, che, nel frattempo, ha assunto sempre più le connotazioni disegnate nel «piano di rinascita democratica» della loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli; un progetto politico redatto verso la metà degli anni Settanta che, secondo l’apposita Commissione parlamentare d’inchiesta, «ha

costituito motivo di pericolo per la completa realizzazione del sistema democratico», caratterizzato da «una filosofia predemocratica» e diventato, secondo la Commissione, «una metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso».

Proprio nel campo dell’istruzione, cioè in un settore fondamentale nella formazione delle conoscenze e delle coscienze dei cit-tadini, nonché delle future classi dirigenti, tale «filosofia» si è dispiegata con una me-ticolosa sistematicità, tesa a svuotare la scuola pubblica a vantaggio di quella priva-ta, spingendosi fino a gettare le basi per la sostanziale privatizzazione delle università statali, trasformandole in fondazioni, in ma-niera che, secondo la visione di Berlusconi, al figlio dell’operaio siano negate le possi-bilità di emancipazione riconosciute e tute-late dalla Costituzione, ma, a suo tempo, avversate dalla P2 (cui il premier era rego-larmente iscritto), la quale osteggiava «la spinta all’egualitarismo assoluto», conse-guenza dell’istruzione di massa. Quella stessa istruzione di massa che generò il Sessantotto e, con esso, l’illusorio e ambi-zioso obiettivo di portare «l’immaginazione al potere».

A oltre quarant’anni di distanza di quei propositi non è rimasto più nulla, così come ben poco è rimasto delle conquiste, in ter-mini di diritti, che dalla spinta di quel mo-vimento non solo studentesco, ma anche operaio e del mondo del lavoro in genere,

sono scaturite. Si può tranquillamente affer-mare che quella spinta propulsiva si sia esaurita nell’autunno del 1980, con la «marcia dei quarantamila» a Torino: trenta-cinque giorni di protesta operaia, finalizza-ta a impedire il licenziamento di quattordi-cimila lavoratori, che aveva fermato la Fiat, la più grande industria italiana: «il mattino di martedì 14 ottobre ci fu la marcia dei 15 mila (secondo il primo dato fornito dalla Questura di Torino), diventata dei 30 mila (secondo il giornale della Fiat, La Stampa) e poi dei 40 mila (secondo il Tg1 e le agen-zie imbeccate dall’efficiente ufficio stampa della Fiat)», ricorda Diego Novelli, all’epo-ca sindaco comunista della città, nel suo li-bro La democrazia umiliata.

«Quanti fossero esattamente – prosegue Novelli – nessuno li aveva contati, ma comunque erano tanti. Sopratutto quadri intermedi: operatori, capi squadra, capi reparto, capi officina, ma anche molti operai che chiedevano a gran voce la fine della vertenza, la riapertura dei cancelli e la ripresa del lavoro».

I licenziamenti non ci furono, non subito: nell’immediato presero la forma della cassa integrazione, per ventimila lavoratori. Fu l’inizio della fine. Una sconfitta che, forse, non è esagerato definire epica. Come quella che da lì a poco avrebbe travolto i minatori inglesi o i controllori di volo statunitensi. La fine del più lungo ciclo di lotte e di con-quiste sociali che hanno interessato l’intero Occidente, rendendolo più civile.

|| 10 dicembre 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||

L'istruzione ai tempi della Gelmini L'istruzione ai tempi della Gelmini

Con gli anni Ottanta, invece, è iniziato un diffuso processo di restaurazione di cui la precarietà e le diseguaglianze di oggi sono il compimento logico e conseguente.

Ed è anche all’interno di tale restaurazione che, a un primo sguardo, può essere inserita la cosiddetta riforma Gelmini, poiché secondo la Cgil espellerà dalla scuola circa 150.000 fra docenti precari e personale tecnico e amministrativo. La riforma, attribuita a Mariastella Gelmini, ministro dell’i-struzione, università e ricerca (Miur), in realtà è stata partorita in partnership col ti-tolare dell’economia, Giulio Tremonti, e quello per la pubblica amministrazione e l’innovazione, Renato Brunetta. Con l’im-printing del presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ha preso corpo in un susseguirsi di regolamenti (non sog-getti al voto del parlamento) e decreti leg-ge, ispirati a logiche autoritarie e ragionie-ristiche che, di fatto, considerano il sapere come un prodotto da vendere, merce di una qualsiasi azienda in stato di crisi dove tutti bisogna stringere la cinghia se non si vuole chiudere. Non a caso il primo atto legislati-vo è inserito nel decreto 112/2008, dal tito-lo inequivocabile: «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della fi-nanza pubblica e la perequazione tributaria». Una riforma che, a ben vedere, sembra guardare più alle esigenze delle imprese che a quella di formare cittadini

consapevoli e d’investire nella ricerca, disegnando un sistema della conoscenza più simile a quello del secondo dopoguerra che a quello necessario nell’era della globalizzazione. Creando, a differenza che nel dopoguerra, ostacoli e disparità fra cittadini, in base alla logica berlusconiana che il figlio dell’operaio, iscritto alla scuola statale, non può avere le stesse opportunità di quello del professionista, sempre più orientato verso quella privata, finanziata surrettiziamente con fondi pubblici a dispetto della Costituzione. Se poi si è figli di cittadini stranieri, ostacoli e disparità aumentano anche rispetto a quelli frapposti agli italiani meno abbienti.

Altro che politiche di integrazione. La ri-forma, se così la si può chiamare, incide pesantemente e negativamente sul futuro individuale e collettivo di milioni di cittadi-ne e cittadini, sul futuro dell’intero Paese.

È per contrastare questa tendenza che, da settembre, in tutt’Italia, si susseguono le manifestazioni contro la Gelmini e il gover-no nel suo insieme. E ancora una volta, come negli altri momenti critici della nostra storia recente, parallelamente e accanto agli studenti, cresce la protesta degli operai, specie quelli della Fiat. Questi ultimi, a par-tire dallo stabilimento di Pomigliano d’Ar-co, si battono contro chi vorrebbe cancella-re il contratto nazionale di lavoro e lo stes-so Statuto dei lavoratori. E, con essi, una fetta consistente di democrazia.

In questo libro si vuole raccontare, anche

attraverso le parole di chi subisce la cosid-detta riforma Gelmini, come, in dettaglio, le sforbiciate al già magro bilancio dell’i-struzione e le nuove norme trasformino l’autonomia scolastica in un boomerang lanciato contro la scuola, l’università, la ri-cerca e le vite di centinaia di migliaia di giovani. A Corato, in Puglia, ad esempio, la riforma delle superiori ha trasformato in li-ceo l’istituto d’arte che, ora, grazie anche alle sforbiciate di Tremonti, rischia di per-dere i suoi otto laboratori di oreficeria, con un danno alla didattica e all’economia loca-le. Alla Sapienza, a Roma, il rettore Luigi Frati, dopo avere ridotto del quaranta per cento i dipartimenti e dimezzato le facoltà, deve fare i conti coi tagli del ministro del tesoro che lo costringerebbero a chiudere il bilancio preventivo col segno meno, ma lui non ci sta e minaccia il blocco dell’anno accademico se il governo non dovesse ri-solvere il problema contabile. In tutta Italia, da Siracusa e Trento, la drastica riduzione degli insegnati di sostegno da parte della Gemini ha privato migliaia di bambini con problemi d’apprendimento della necessaria assistenza per stare al passo coi loro coeta-nei, col rischio di essere irrimediabilmente tagliati fuori dalla regolare attività di stu-dio: non è letteralmente la Rupe Tarpa au-spicata da un insegnante milanese per i di-versamente abili, lo è metaforicamente.

Sebastiano Gulisano(da: Un taglio al futuro/L'istruzione al tempo della Gelmini

|| 10 dicembre 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||

Lettere dalla Sicilia Lettere dalla Sicilia

Lettera a uneditore

Al Presidente della Einaudi Editore S.p.A.

In riferimento alla giusta e motivata ri-chiesta di rettifica da parte del Centro Sici-liano di Documentazione “Giuseppe Impa-stato” delle affermazioni, destituite di ogni fondamento, contenute nel libro di Roberto Saviano “La parola contro la camorra”, cir-ca la storia dell'impegno civile per arrivare al riconoscimento, anche in sede giudizia-ria, della matrice mafiosa dell'assassinio di Peppino Impastato, si rappresenta quanto segue:

Si esprime viva riprovazione per le affer-mazioni dell'Amministratore Delegato della Einaudi Editore, contenute nella sua nota di risposta, che dimostrano assoluta noncuran-za e disinteresse rispetto alla grave mistifi-cazione di una pagina fondamentale della storia dell'antimafia in Sicilia.

Non si tratta solo del giusto e doveroso riconoscimento dell'impegno della famiglia Impastato – Mamma Felicia, il fratello Gio-vanni e sua moglie Felicetta –, dei compa-gni di Peppino e del Centro Giuseppe Im-pastato, ma di affermare la verità della sto-ria della resistenza antimafia in Sicilia che dalla fine dell'800 ha contato sul proprio impegno pagando dei prezzi altissimi.

Nessuno vuole disconosce il valore dei media nella lotta alle mafie, ma emerge il rischio di una preoccupante spettacolarizza-zione di tutto, compreso l'impegno antima-fia, spesso non supportata da adeguato rigo-re nell'acquisizione delle notizie sui fatti e nell’elaborazione delle analisi, come nella vicenda in parola.

Ma ciò che più indigna è la riprovevole minaccia di ritorsioni giudiziarie nei con-fronti di chi - i familiari e i compagni di Peppino e i responsabili del Centro Impa-stato - ha osato chiedere a una Casa Editri-ce di verificare e rettificare alcune informa-zioni per ristabilire un'importante verità storica.

Si auspica che questa pagina infausta del-l'editoria italiana non abbia nulla a che ve-dere con il prestigio di una Casa Editrice come la Einaudi e sia soltanto l'improvvida iniziativa di un Amministratore evidente-mente non in grado di valutare la gravità di certe affermazioni, forse per carenza di strumenti culturali sulla materia dell'anti-mafia.

In questo senso, si auspica che il buon senso prevalga nelle posizioni ufficiali del-

la Einaudi che voglia dimostrare la sensibi-lità sociale che ha caratterizzato il suo im-pegno culturale.

Sorprende, infine, che l’autore non abbia deciso di prendere pubblicamente posizione sulla vicenda con un sereno atto di ricono-scimento dell’errore, che è sempre una vir-tù dei “grandi” e che non sminuirebbe – in alcun modo - il valore del suo impegno ci-vile e culturale.

Cordiali salutiSimona Mafai, Pino Maniaci,

Antonella Monastra, Maria Luisa Martora-na, Annibale Raineri, Giovanni Abbagnato, Salvatore Cernigliaro, Antonella Tagliafer-ri, Frank Ferlisi, Vincenza Longo, Agostino Marrella, Giovanni Nastasi,Riccardo Orio-

les, Daniela Pappalardo, Giusto Carlino, Maria Patellaro, Claudio Riolo

Lettera a unProcuratore

Al Procuratore dellaRepubblica, Messina

Santino Napoli, da inequivoche intercet-tazioni telefoniche del procedimento "Ome-ga", è risultato l'autorevole referente del clan barcellonese nella città di Milazzo. La Relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafia dedica più di un passaggio. Quello di Santino Napoli, para-medico, definito “soggetto di rilievo e di ri-spetto”, in contatto con i boss mafiosi bar-cellonesi Salvatore Di Salvo, Carmelo Ma-stroieni con il noto pregiudicato Avv. Rosa-rio Pio Cattafi e l’imprenditore Vincenzo Pergolizzi. Al momento è Vice Presidente del Consiglio Comunale a Milazzo.

Rosario Pio Cattafi. “Sulla base di un’at-tenta lettura dei vari atti giudiziari che li hanno coinvolti ed anche dai rapporti inter-personali che emergono da attività info-in-vestigative, possono indicarsi quali possibi-li referenti mafiosi a livello locale, oltre ai boss Giuseppe Gullotti e Salvatore Di Sal-vo, tali Pietro Arnò, Felice Spinella, Angelo Porcino, Giovanni Rao, Cosimo Scardino e Rosario Cattafi”. E' il giugno 2005, e il Procuratore capo di Barcellona P.d.G., Roc-co Sisci, presenta l’organigramma crimina-le ai membri della Commissione Parlamen-tare Antimafia in visita ispettiva nel centro tirrenico della provincia di Messina. Sisci.

In particolare, si sofferma sulla figura dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, «pluri-pregiudicato» e «persona socialmente peri-colosa», nei cui confronti il 2 agosto 2000 la Sezione Misure di Prevenzione del Tri-

bunale di Messina ha emesso la misura del-la sorveglianza speciale con obbligo di sog-giorno nel Comune di Barcellona per la du-rata di 5 anni.

«Qualche tempo fa - scrive il Procuratore - è stata avanzata l’ipotesi (tutta da verifica-re) che il capo della consorteria criminale potesse essere individuato in tale Rosario Cattafi, già coinvolto in numerose eclatanti vicende giudiziarie in materia di traffico in-ternazionale di armi, riciclaggio e altro». Nonostante il pesante provvedimento am-ministrativo, Cattafi era riuscito ad ottenere l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati.

I Carabinieri del R.O.S. di Messina ave-vano iniziato un’attività investigativa sulla base di intercettazioni telefoniche ed am-bientali tra presenti nel barcellonese. «In tale contesto si è avuta la prova che il San-tapaola era stato ospite del gruppo Gullotti», si legge nella memoria depositata dal Pubblico ministero al processo di Paler-mo contro il manager-politico berlusconia-no, Marcello Dell’Utri.

«Da una verifica dei tabulati Sip relativi all’utenza in uso a Giuseppe Gullotti sono risultati contatti anche con Cattafi Rosario. E non deve sfuggire che lo stesso Cattafi è stato identificato come soggetto più volte chiamato da persone appartenenti al circui-to Dell’Utri, cioè da persone entrate con lui in contatto telefonico od esistenti nelle sue agende, come risulta dalla nota della Dire-zione Investigativa Antimafia nr. 125/RM6/ H2-24/6937 del 31 agosto 1995».

Un articolo del 10 Maggio 2005 de La Repubblica, ”Mafia, arrestati giudici e poli-ziotti”, riportava che tale imprenditore Sal-vatore Siracusano di Messina avrebbe avu-to rapporti d’affari con Youssef Nada. Al-tresì, il Siracusano rappresenterebbe l’anel-lo di congiunzione tra mafia palermitana e catanese investendo i miliardi dei traffici di Cosa Nostra, guadagnati dalle speculazioni immobiliari e nel traffico di armi, attraver-so Rosario Spadaro.

Insieme a tale Spadaro furono oggetto di indagine anche Filippo Battaglia e il noto pregiudicato Rosario Pio Cattafi.

Nomi finiti anche nelle inchieste sulle Stragi di Capaci e Via D’Amelio(Cattafi era collegato a Pietro Rampulla l’artificiere della strage di Capaci). Cattafi inoltre era stato accusato da un pentito di aver procu-rato il telecomando che aveva azionato l’at-tentato a Falcone e Battaglia era stato accu-sato anch’egli da un pentito di avere procu-rato l’esplosivo.

(lettera firmata)

|| 10 dicembre 2010 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||

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Io + te = amore Da “Romeo e Giulietta” di ShakespeareDa “Romeo e Giulietta” di Shakespeare

Narratore: Nell’antica città di Verona (Provincia di Catania)

Tutti: Chi?Narratore: Au cca c’è scrittu!Dove gli uomini, irrequieti come ve-

spe, andavano in giro con la spada pronta a punzecchiare, vivevano due famiglie: i Capuleti e i Montecchi che si odiavano a morte.

Tutti: Bastava che s’incontrassero in strada ppa ammmazzarisi com’ e cani

Narratore: La brava gente di Verona, terrorizzata dalle urla e ddo schifiu (che non risparmiavano nessun angolo di stra-da), era stufa di vedere turbata la pace della città.

Un giorno durante una delle solite risse arrivò il principe di Verona con i soldati

Principe: Suddi sudditi ribelli, nemici della pace! Se turberete ancora la quiete delle nostre strade la pagherete con la vita”

Narratore: Quando il principe se ne fu andato, rimasero in piazza solo gli anzia-ni Montecchi assieme al giovane nipote Benvolio a cui chiesero:

I vecchi Montecchi insieme:“Dov’è no-stro figlio Romeo? L’avete visto oggi? Menomale che non è stato coinvolto in questa rissa.

Mamma Montecchi: chiddu è na testa pazza sicuru c’avissa pigghiatu quacche cutiddata”

Benvolio: “Eccolo che arriva, avvolto dalla sua misteriosa malinconia! Vi pre-go, allontanatevi e vi saprò dire perché è così triste, saprò dirvi cosa l’affligge!”

Narratore: I genitori se ne andarono.Benvolio: “Ciao Romeo, come stai?”Romeo: “Nenti, sugnu pesso. Nutro

una passione folle per una creatura mera-

vigliosa, bella come un cigno che si chia-ma… Rosalina… ma idda non ni voli sa-piri nenti di mia: mi tratta comu a mun-nizza”

Benvolio: Avanti non dire così, e poi tutta sta bellezza nta sta Rosalina non cia staiu virennu …Confrontala con altre ra-gazze e vedrai: autru ca cignu Rosalina ti sembrerà un corvo!.

Romeo: Oh ma io muoio dalla voglia di rivederla?

Benvolio: Senti domani sera c’è una fe-sta e una delle invitate è proprio Rosali-na. L’unico problema è che la festa è a casa Capuleti e su ti virunu ti capulianu. Ma ho la soluzione: potremmo partecipa-re alla festa mascherati.

Romeo: Grazie cugino, tentiamo!Narratore: La sera dopo, alla festa, i

suonatori accordarono gli strumenti, bat-terono il tempo, e diedero via alle danze.

Romeo: Chi è quella bella dama?Servo: Non lo so signoreRomeo: Oh, essa insegna alle torce

come risplendere!Tebaldo: Dalla voce mi sembra un

Montecchi!Narratore: Tebaldo aveva riconosciuto

la maschera. Un Montecchi aveva osato beffarsi dell’ospitalità dei Capuleti!

Fuori di sé dalla collera ordinò a un paggio di prendergli la spada.

Suo zio, il vecchio Capuleti, lo invitò con fermezza a trattenere la rabbia.

Era una sera di festa e baldoria, e non doveva essere rovinata.

Vecchio Capuleti: Lascialo in pace Te-baldo

Tebaldo: No sumpottu!!Vecchio Capuleti:: Tu sumpotti inveci!!

Vai ora, io sono il padrone qui, tu vai!”Tebaldo: Vado ma non finisce qui!Vecchio Capuleti:: (sbrigativo) Va beni,

va beni.Narratore: Intanto Romeo, ignaro del-

l’improvviso odio di cui era oggetto, col rimbambimento tipico degli innamorati rintontiti, andava incontro al suo amore improvviso facendosi largo tra i ballerini.

Finalmente le fu davanti; i suoi occhi, dietro quelli dorati della maschera, brilla-vano di passione.

Da vicino, la giovane era cento volte più bella.

Sorpresa lei, guardò il bel giovane. E tale era la fiamma della passione di Ro-meo che anche Giulietta prese fuoco.

Le loro mani si toccarono; poi i giovani si misero a parlare del più e del meno.

Narratore: Poi Romeo, parrannu par-ranno, sapiti com’è: na parola tira l’autra… comu fu e comu non fu, le chie-se un bacio.

E lei mentre pensava alla risposta da dargli…cominciò a baciarlo e a baciarlo e a baciarlo e poi… a baciarlo

Giulietta: Padroncina, vostra madre chiede di parlarvi.

Giulietta: Mi propriu ora ca mi stavu addivittennu….(esce)

Romeo(alla Balia): Chi è sua madre?Giulietta: Sua madre? La padrona di

casa. Sono io che ho allattato la figlia, la fanciulla con cui avete parlato. Ve lo dico io: sarà moneta sonante per chi se la prende.

Romeo: Cioè?Giulietta: Cu sa pigghia azzicca bonu a

frucchetta, ora mi scusi.Romeo: Mi ma vadda chi cosa! Con

tante ragazze che ci sono proprio di una Capuleti dovevo innamorarmi.

Tutti: Come si dice…Chi mancavunu scecchi a fera?

Corifeo: Nel frattempo la festa era fini-ta, le maschere lasciarono la casa.

Mentre Romeo, dopo esser anche lui inizialmente uscito, scavalca i muri del giardino Capuleti.

|| 10 dicembre 2010 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||

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“Ma tutti a mia mi capitanu!“Ma tutti a mia mi capitanu!E' proprio 'na tragedia!”E' proprio 'na tragedia!”

Era una situazione pericolosa ma l’amore le dava lustro, proprio

come il pericolo dava mordente all’amore. Guardò la scura facciata della casa. Una finestra s’illuminò: dava su un balcone, alto un paio di metri da terra. La finestra si aprì e sul balcone uscì Giulietta. Guardò nella notte e sospirò.

Tutti: (Chissa a sapemu tutti, ascutati!)Giulietta: Oh, Romeo, Romeo, perché

sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e ripu-dia il tuo nome! Solo il tuo nome è mio nemico ma che c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa avrebbe il suo dolce profumo anche con un altro nome: e così Romeo, anche se non si chiamasse Ro-meo….”

Giulietta seguitò a parlare alla luna e alle stelle, finchè Romeo non uscì dal-l’ombra per fermarsi sotto al balcone.

Giulietta: Chi sei tu che difeso dal-l’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero?

Romeo: Con un nome non so dirti chi sono, odio il mio nome che ti è nemico, sciassi u fogghiu unni je scrittu: parola d’onore!

Giulietta: Il mio orecchio non ha bevu-to cento delle tue parole…e già ne rico-nosce il suono. Ma tu non sei Romeo, uno dei Montecchi?

Romeo: Si, mia bella fanciulla!Narratore: Giulietta quando vide Ro-

meo temette per la sua sicurezza. E quan-do si rese conto che il giovane doveva aver sentito la sua dichiarazione d’amore, provò un moto di vergogna. Romeo pieno d’ardore, felice della confessione di Giu-lietta, non taliau periculu. E ci rissi a Giulietta:

Romeo: il pericolo è solo nei tuoi oc-chi, se mi guardi con dolcezza sarò forte

contro ogni odio.Giulietta: non vorrei che i miei familia-

ri ti vedessero qui, per tutto il mondo. Vai via

Romeo: allora mi lasci così, insoddi-sfatto!

Giulietta: ahuuuu, ma quali soddisfa-zioni vulissi aviri a stanotti!!!

Romeo: vorrei solamente scambiare il mio amore con il tuo.

Dentro la stanza una voce chiamòNutrice: (sguaiata) Giuliiieeettaaaaa,Giulietta: meee, non c’è mai paci nda

sta casa. Chi ffuuu, n’minutu ca staiu ab-bivirannu u balicicò. Tu pasticcino mio, aspetta, non ti muovere, torno subito.

Coro: Auh tempu du secunni era già n’autra vota affacciata

Giulietta: due, tre parole caro Romeo e poi davvero buonanotte.

Narratore: Succomu Giulietta di mate-matica non nmi rattava mancu a broru, ssi rui tri paroli si trasfommanu nta n’poema. E allura si misunu r’accoddu ca l’indomani dovevano pigliare un appun-tamento col parrino, perchè avevano fatto la pensata di maritarisi.

Si danno la buonanotte e Romeo si al-lontana, e torna nella sua casa. Vi ricor-date Rosalina? Auh Romeo a cancellau a tipu ca era addisignata ndo ghiacciu!!

E dda stunata di Giulietta?? non s’ava scuddatu ca l’indomani s’ava maritari ccu n’autru?? Cu cui?? con un ricco giovane scelto da suo padre: il conte Paride!!!!

L’indomani, a matinata presto, Romeo parrau con il parrino ed il parrino, frate Lorenzo, acconsentì a celebrare la ceri-monia pensando…

Frate Lorenzo: Forse con questa unio-ne riusciremo a seppellire l’antico odio tra le famiglie dei Capuleti e dei Montec-chi. Va bene, ci vediamo questo pomerig-gio, e facemu stu matrimoniu.

Narratore: Romeo riuscì ad avvertire

dell’appuntamento pomeridiano Giulietta e... finalmente, nella cella di Frate Loren-zo, si maritanu!!!.

Nel frattempo Tebaldo, vi ricordate?…voleva pigliare questioni con Romeo che aveva osato introdursi di scapocchio alla festa di abballo dei Capuleti.

Tebaldo sfidò Romeo. Romeo si rifiutò perché si era sposato da un’ora con Giu-lietta, e quindi era imparentato a casa Ca-puleti. Non voleva, non poteva, versare il sangue di nessuno di loro. Ma siccome il matrimonio era ancora segreto, fu co-stretto a starisi mutu, pecciò: l’amici di Romeo non compresero la riluttanza di Romeo a Combattere!

Comu fu e comu non fu, Tebaldo ammazzau l’amicu di Romeo: Mercuzio.Au a Romeo chi c’aunarittu cunnutu? Sopraffatto dal dolore, pigghiau e ammazzau Tebaldo.

Benvolio: Romeo, se ti prende il princi-pe ti condannerà a morte. Via, via, scap-pa!!!

Romeo: Ma tutti a mia mi stannu capi-tannu, è na tragedia!! Troverò rifugio da Frate Lorenzo.

Frate Lorenzo: Romeo, ma chi mi cumminasti? T’accompottari bonu!! Si fannu sti cosi?

Romeo: Lorenzo ‘o frati, non puoi ca-pire. Non puoi parlare di ciò che non pro-vi. Se tu eri giovane come me, se Giuliet-ta era il tuo amore, il tuo zuccherino, se eri fresco fresco di matrimonio, su addi-vintavi esaurito per amore, allora forse, dico forese (ma mancu je sicuro) potevi parlare...

Narratore: Nel frattempo la nutrice bussa alla porta. (Tutti: Toc, toc).

Nutrice: Romeo, la mia giovane pa-droncina è disperata per la morte del cu-gino Tebaldo e per la tua mala parte, non lo dovevi fare!

Romeo: Iu m’ammazzu!!

|| 10 dicembre 2010 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||

Movimenti Movimenti

Compagnia delle Lettere SrlVia Merulana 215

00185 Romatel. 06.45426793

www.compagniadellettere.it

Verso il Primo Marzo 2011L'anno scorso, con un tam tam partito da FaceBook, siamo riusciti a colorare l’Italia di giallo e a fare scendere in piazza oltre 300mila persone per dire NO al razzismo e alle politiche di esclusione, SI a un’Italia multiculturale e arcobaleno. Autoctoni, immigrati, seconde generazioni: abbiamo scelto di lavorare e manifestare insieme per superare la contrapposizione tra italiani e stranieri, tra “noi” e “loro”, questo schema che fa il gioco di chi punta a dividerci per calpestarci più facilmente.E la mixité, d’altra parte, è stata uno dei nostri principali punti di forza.

L'anno prossimo vogliamo fare ancora di più! E pensando al 1° marzo 2011 (che non è così lontano), invitiamo scrittori e giornalisti, professionisti o no, italiani o “stranieri”, a inviarci dei brevi testi sul concetto di mixité e sulla necessità di andare oltre le parole che dividono per trovarne altre, nuove, che uniscano.Saranno raccolti in un libro che vedrà la luce alla vigilia del 1° marzo 2011. I diritti d’autore serviranno a finanziare il lavoro del comitato Primo Marzo.

Mandate i testi (max 10 cartelle, su file) entro il 31 dicembre a: redazione@compagniadellelettere.it/ primomarzo2011@gmail.com

(allegate una breve biografia, mail e numero di telefono).

|| 10 dicembre 2010 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||

Teatro Popular Teatro Popular

“Ma c'incucchi...“Ma c'incucchi...vatinni 'nti Giulietta!”vatinni 'nti Giulietta!”

Frate Lorenzo: Ma chi ‘ncucchi…Vo-tinni ‘nti Giulietta, Sali nella sua stanza e confortala!

Narratore: Romeo, mancu su fici riri: andò da Giulietta e rimasero insieme tutta la notte (erunu maritati, giustamente).

All’indomani matina dopo che i giova-ni sposi si separarono….Guardate cosa accadde:

Vecchio Capuleto: Conte Paride, che giorno è oggi?

Paride: Lunedì, mio signore.V.C: Il matrimonio con Giulietta per

quando era fissato?Paride: Per MercoledìVecchio Capuleto: Forse Giulietta non

è ancora pronta per il matrimonio, gli hanno appena ucciso il cugino Tebaldo. Tu capisci vero conte Paride?

Paride: Certo mio Signore…ma…allo-ra se non possiamo sposarci Mercoledì, quando potremo?

Vecchio Capuleto : Deve passare un po di tempo, Se non è Mercoledì… facciamo Giovedì

Paride: E va bene, vuol dire che aspet-terò…lo faccio per amore!

V.C: Bravo! Ah, carusi, chiamate Giu-lietta.

Tutti: Giuliettaaaa!Giulietta: Chi c’è papà?Vecchio Capuleto Giovedì ti mariti ccu

Paride!Giulietta: Ma non sinni parra!Vecchio Capuleto : Come?? Pigghia sti

peri ca jai e giovedì prossimo adrai con Paride alla chiesa di San Pietro, o ti ci trascino io ppe capiddi!!!

Giulietta: Ma papiiii!!!Vecchio Capuleto Vai in chiesa Giove-

dì, o non guardarmi più in faccia!Narratore: Quando il padre e la madre

se ne furnono andati, rimasero soli Giu-lietta e la sua Nutrice.

Giulietta: Amica mia, consolami, dim-mi qualcosa.

Nutrice: Ti consiglio di sposarti il con-

te Paride, è un gentiluomo delizioso, Ro-meo è tuttu straviddicatu!!

Giulietta: Bene, mi hai consolato a me-raviglia!...Senti piuttosto, fai una cosa: vai a dire a mia mamma che, avendo con-trariato mio padre, sono andata alla cella di frate Lorenzo a confessarmi e ricevere l’assoluzione.

Nutrice: Va bene.Giulietta si recò da Frate Lorenzo a cui

sfogò tutta la sua infelicità e disperazio-ne. Il vecchio ascoltò e, commosso dal-l’amore di Romeo e Giulietta, escogitò un fantastico piano per loro.

Frate Lorenzo: Conosco un filtro che bevuto è in grado di causare una morte apparente, ma in modo così perfetto che nessuno può accorgersi dell’inganno. Questo stato di morte apparente dura 42 ore, dopo di che segue un tranquillo ri-sveglio. Il mercoledì sera, cara Giulietta, bevi questo filtro. Quando i tuoi familiari entreranno per svegliarti la mattina delle nozze, ti crederanno morta. Allora, com’è d’uso, ti vestiranno dell’abito più bello, e ti metteranno nella cripta di famiglia, dove passato l’effetto del filtro, ti troverai Romeo accanto. Romeo infatti a Manto-va, dove è adesso esiliato, riceverà una lettera che lo metterà al corrente del pia-no, così voi due sposi potrete fuggire in-sieme verso la salvezza e felicità. Mande-rò subito un frate da lui!

Narratore: Giulietta prese la fiala dalle mani di Frate Lorenzo e disse:

Giulietta: Amore, dammi forza…Ad-dio padre caro”

Narratore: Nel frattempo nella tortuosa Mantova, Romeo ricevette una notizia da Verona. Ma non veniva da Frate Lorenzo; la potava il servitore di Romeo.

Servitore di Romeo: Romeo, ho una no-tizia per te, nera come l’inferno. Giulietta è morta!

Narratore: La lettera che diceva la ve-rità a Romeo non aveva, in realtà, mai la-sciato Verona. Il povero frate al quale era

stata affidata, era rimasto in casa perché sospettavano che avesse preso la peste e gli era stato proibito di uscire.

Romeo in preda alla disperazione corre dallo speziale e compra un potente veleno. Poi parte per Verona, diritto verso la tomba di Giulietta. “Giulietta dormirò con te stanotte” disse fra sé.

Frate Lorenzo, dopo aver saputo del-l’impedimento dell’amico frate, si recò preoccupato verso la cripta di Giulietta: doveva essere presente al momento del suo risveglio. Ma prima di Frate Lorenzo nella cripta era arrivato Romeo. Giunto davanti al corpo di Giulietta prese la pozione di veleno e disse:

Romeo: Occhi, guardatela un’ultima volta, braccia, stringetela in un ultimo ab-braccio! E voi, labbra, uscio del respiro, suggellate con un bacio il patto eterno con la morte. A te amore mio!”

E bevve il veleno dello speziale. Così in un baleno, si riunì per sempre al suo amore.

Narratore: Quando frate Lorenzo, en-trò nella cripta, Romeo era già morto; e Giulietta si stava svegliando

Giulietta: Oh frate, conforto mio dov’è il mio sposo? Dov’è il mio Romeo?

Narratore: Quando Giulietta scoprì co- sa era accaduto al suo giovane amore or-dinò al frate di lasciarli soli per l’ultima volta. La giovane baciò appassionatamen te le labbra di Romeo. Poi prese il pugna-le di Romeo e se lo spinse nel cuore.

Così, nell’antica città di Verona, pro-vincia di Catania, morirono Giulietta e Romeo, che si amarono dal primo loro sguardo all’ultimo. I padri, i vecchi Ca-puleti e Montecchi, affranti, si vergogna-rono del loro antico odio che aveva cau-sato la tragica morte dei figli, e si giura-rono eterna amicizia!

Orazio Condorelli

|| 10 dicembre 2010 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||

Scrivere per chi? Scrivere per chi?

Michele Serra,la satira “accasata”

e quella no

Su un giornale di cui ignoro il nome (l'ar-ticolo mi è stato inoltrato via Facebook) compare un articolo sulla satira a firma Mi-chele Serra: vista l'autorevolezza del perso-naggio in questione, e considerate varie inesattezze che meritano una risposta, ecco-mi qui a replicare.

Serra dice che "la satira italiana ha vinto ... i suoi autori storici ... oggi sono tutti accasati nei giornali veri, pubblicano per editori importanti, lavorano per la tele-visione o per il teatro, godono di una solida fama".

Primo dubbio: per Serra la "vittoria" era quella di trovare un posto all'ombra dei pa-droni editoriali o televisivi? L'arruolamento nelle truppe Endemol del potere televisivo berlusconiano? La conquista del posto fisso nei cartelloni teatrali? Il raggiungimento di una solida fama?

Sempre riguardo alla presunta vittoria, provate a dire "hai vinto e godi di una soli-da fama grazie alla satira" guardando negli occhi gente come Marco Scalia, Massimo Caviglia, Gianni Allegra e tanti altri autori storici che oggi fanno la fame, o vivono di altri lavori, o si sono dati alla saggistica, o si sono riciclati come consulenti editoriali, o peggio ancora hanno appeso la matita o la penna al chiodo.

Loro sono rimasti fuori dalla cricca dei "vincenti" nel mondo editoriale, e non per demeriti individuali, ma solo perché sono stati sfortunati, troppo liberi e incontrolla-bili a livello artistico, non funzionali alle esigenze di qualche editore, oppure troppo esigenti sul piano etico e conseguentemente refrattari ai compromessi (lo sa Serra che il suo giornale che a Catania fa accordi con l'imprenditore Ciancio in odore di mafia, e che la Endemol per cui lui lavora come au-tore a "Vieni via con me" è di proprietà di Berlusconi?)

Provate a dire "sei nel gruppo dei vincen-ti" a quelli che oggi scrivono e disegnano per quotidiani nazionali accettando di lavo-rare gratis, o nella migliore delle ipotesi ac-cettando compensi nemmeno lontanamente paragonabili alle tariffe extralusso in vigore nei tempi d'oro dell'editoria, dove una vi-gnetta veniva pagata anche una milionata, proprio per non costringere gli autori a do-ver fare un collage di mestieri.

Altro che i cento euro di oggi (quando va bene, più spesso cinquanta, trenta o gratis). Non è che la vittoria di Serra, spacciata come vittoria di una generazione di satiri in realtà è il successo professionale di un ristretto gruppo di fortunati?

"Una generazione di talento ha finito per

occupare il palcoscenico tutto intero, ru-bando involontariamente spazio e occasioni a eventuali giovani autori".

Benissimo, ottima analisi, e allora che facciamo per le nuove generazioni? Rimar-rai sdraiato sulla tua amaca repubblicana oppure ci darai una mano?

Hai intenzione di spendere la tua "vittoria e solida fama" conquistate a livelo editoriale per aiutare qualche iniziativa a decollare brillando (anche) di luce riflessa grazie alla tua firma?

Ti stimola l'idea di unire le tue risorse con l'energia creativa di gruppi emergenti o ti basta discettare sulla stampa patinata di un presunto "ristagno della satira"?

Di un "ristagno" tutto da dimostrare si parla anche nel seguito dell'articolo, dove si lamenta una "dispersione impressionante delle esperienze artistiche ... polverizzate dentro una nebulosa dove passa di tutto ma quasi niente si coagula. E senza creare gruppo, corrente, banda di amici, difficil-mente nasce qualcosa di strutturato".

Prospettiva legittima, ma vorrei aggiun-gere la mia: dalla trincea delle autoprodu-zioni editoriali, dove ogni giorno scorrono lacrime, sudore e sangue nel faticoso tenta-tivo di aprire nuovi spazi, di ristagno non ne vedo nemmeno l'ombra.

||10 dicembre 2010 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||

"La satira italiana ha vinto. I suoi autori storici oggi sono tutti accasati nei"La satira italiana ha vinto. I suoi autori storici oggi sono tutti accasati nei giornali veri e godono di una solida fama". Lo dice il guru storico della sagiornali veri e godono di una solida fama". Lo dice il guru storico della sa--tira italiana, il fondatore di Cuore, il “settimanale di resistenza umana”tira italiana, il fondatore di Cuore, il “settimanale di resistenza umana” (ché tale in realtà è la satira) sulle cui pagine verdi è cresciuta tutta una(ché tale in realtà è la satira) sulle cui pagine verdi è cresciuta tutta una generagenerazione di ragazzi civili. E ora? “I giornali veri”? Ma quelli di satirazione di ragazzi civili. E ora? “I giornali veri”? Ma quelli di satira non lo sono? E che vuol dire “accasati”? E' un complimento?non lo sono? E che vuol dire “accasati”? E' un complimento?

Scrivere per chi? Scrivere per chi?

Vedo invece decine di autori vecchi e nuovi, che non hanno un problema genera-zionale, ma un problema professionale.

E non vedo neppure i "problemi di coa-gulazione". In un deserto editoriale che or-mai ha perso interesse per la satira come prodotto vendibile, questi autori si organiz-zano e fanno gruppi, correnti e bande di amici che portano avanti progetti strutturati come Spinoza, ScaricaBile, Inserto Satirico e anche la rivista "Mamma!", che esiste e resiste con uno zoccolo duro di abbonati.

A differenza di Cuore non abbiamo avuto come "incubatrice" un giornale di partito, non abbiamo avuto investimenti iniziali di "editori puri", non abbiamo avuto finanzia-menti pubblici. In breve, ogni lettore ce lo siamo conquistato a colpi di satira e senza scorciatoie.

Se si scende dall'olimpo della grande stampa, si può scoprire che la satira su in-ternet è tutt'altro che una "nebulosa", ma è semplicemente una costellazione, dove sono chiaramente distinguibili un buon nu-mero di autori che non supera le due cifre e alcuni progetti significativi che non supera-no la decina, qualcuno in più ma non molti di più di quelli attivi ai tempi di "cuore".

Questi progetti sono molto diversi tra loro per impostazione culturale e piano edi-

toriale, e al loro interno sono presenti autori con le opinioni e gli orientamenti più vari, ma credo che su una cosa si possa essere tutti d'accordo: l'aiuto che ci è arrivato dal mondo dei "vincenti di solida fama" non è stato all'altezza delle aspettative, men che meno delle potenzialità che voi "vincenti" avreste avuto per dare nuova forza a un ge-nere editoriale in via di estinzione mentre il mercato, il governo e gli editori fanno di tutto per sopprimerlo.

Caro Michele Serra, prendila sul persona-le, ma in senso buono: magari non ti rendi conto di quello che tu e i tuoi "colleghi vin-centi" avete rappresentato per noi che sia-mo cresciuti leggendo i vostri articoli, fu-metti e vignette. Se abbiamo deciso di fon-dare la rivista di giornalismo satirico a fu-metti "Mamma!" anche a costo di rimetterci di tasca nostra, la passione necessaria a questo azzardo l'abbiamo trovata anche gra-zie a voi, grazie al vostro coraggio nel ten-tare strade nuove, grazie al fatto che ci ave-te dimostrato la possibilità di lavorare scri-vendo, disegnando e divertendosi, lottando contro il potere armati di intelligenza e di ironia.

Ma adesso voi "vincenti" ci lasciate col culo per terra, non ci aiutate col potere del-la vostra "solida fama" a far decollare i no-

stri progetti, guardate il vostro ombelico e cantate vittoria solo perché un piccolo ma-nipolo di autori si è infiltrato sulla stampa di sempre, e per giunta iniziate a fare di-scorsi da vecchi del tipo "tutto è nebuloso, la satira non è più quella di una volta".

A meno di clamorosi cambi di rotta, se voi ci abbandonate al nostro destino liqui-dando il problema della satira con analisi frettolose siamo davvero messi male. Dopo aver perso il sostegno degli editori che non investono più, dei giornali che non pagano più e dei partiti che non aprono più spazi creativi sui loro giornali, perderemo l'ulti-mo sostegno che ci rimane: quello dei no-stri riferimenti culturali.

Magari è vero che Babbo Natale non esi-ste, e che tu, Serra, non eri un leader ideo-logico come lo abbiamo percepito da ragaz-zi, ma un "semplice" giornalista alla ricerca di una legittima affermazione professiona-le. Però ti chiediamo un piccolo favore: se è vero che Babbo Natale non esiste, non dir-celo così brutalmente, perché qui stiamo ancora apparecchiando l'albero sperando che prima o poi scenda dal camino.

Con amicizia e stima, ma anche con la dovuta franchezza

Ulisse Acquavivawww.mamma.am

|| 10 dicembre 2010 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||

Il primo numero“non accasato”di Cuore 1991).

Satira Satira

|| 10 dicembre 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||

Satira Satira

|| 10 dicembre 2010 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||

Periferie/ La cultura Periferie/ La cultura

|| 10 dicembre 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||

Periferie/ L'informazione Periferie/ L'informazione

La voce deiquartieri:si riparte

La Periferica - Giornale di informazione e culturadistribuito gratuitamente a Catania nei quartieriLibrino, Pigno, Zia Lisa, San Giorgio, Villaggio Sant’Agata

Ci ritroviamo dopo una pausa forzata di cinque mesi, e non vi nascondo che avrem-mo voluto riprendere le fila con un elenco dei progetti realizzati e dei cambiamenti in positivo nel frattempo intervenuti nel quar-tiere.

Ci ritroviamo invece, nostro malgrado, ad aprire con un titolo forte e paradossale. Li-brino, quartiere giovanile per eccellenza, non è un quartiere per giovani. Perché?

“Librino ha tutta l’aria di apparire come luogo privilegiato soprattutto per le fami-glie più giovani. Se questo è vero, il feno-meno si presta ad una preoccupante inter-pretazione rispetto a quel disagio giovanile che in questa Municipalità assume toni par-ticolarmente allarmanti. E’, infatti, in que-sto desolante paesaggio urbano privo quasi di tutto, che avviene la socializzazione e la formazione valoriale e culturale delle gran-di schiere di minori, membri delle numero-se giovani famiglie presenti qui, che "affol-lano" la Municipalità. L’esito è quasi inevi-tabilmente costituito da un tasso di disper-sione scolastica e da una criminalità mino-rile che pongono la Municipalità ai primis-simi posti nelle rispettive graduatorie fra le dieci circoscrizioni cittadine”.

Questa riflessione non è nostra, ma è ri-portata sul portale web del comune di Cata-nia nella parte che riguarda la IX Municipa-lità, e che per la verità appare non aggior-nata da diversi anni.

In effetti questa definizione è sostenuta anche dai successivi studi che, tra il 2007 e il 2008, il Centro di Documentazione e stu-di dell’università di Catania ha elaborato analizzando questo quartiere. Nella ricerca

si evidenzia come il titolo di studio mag-giormente posseduto a Librino è la licenza media, mentre i diplomati risultano circa 1 su 3 e i laureati scendono paurosamente a poco più di uno ogni 30 abitanti.

I dati sono stati più volte sottolineati da alcuni presidi delle scuole del territorio i quali hanno costantemente denunciato la necessità di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica istituendo una scuola superiore nel quartiere.

Librino è il quartiere nel quale risiedono buona parte dei giovani e bambini catanesi, coloro che domani, da cittadini e genitori, dovranno portare avanti questa città viven-dola e partecipando attivamente alla sua crescita; eppure Librino è il quartiere cata-nese con il più alto tasso di dispersione sco-lastica; è il quartiere catanese con il più alto numero di minori ospitati nel centro di pri-ma accoglienza di Catania.

Qual è dunque la risposta delle istituzioni a questo dramma in evoluzione per il quale, con buona probabilità, Catania piangerà le conseguenze nei prossimi 10/20 anni? Pro-messe. Facili e ingannevoli promesse e nient’altro. Promesse di portare qui l’istitu-to d’arte, promesse di aprire nel quartiere un liceo musicale, promesse di portare qui una scuola superiore.

Tutte promesse non mantenute con una forma di cattiveria e sadismo politico che vede i nostri rappresentanti mostrare continuamente un bicchiere d’acqua fresca a questo quartiere assetato di servizi salvo poi restituirglielo puntualmente vuoto.

Di chi è la colpa? Sicuramente dei nostri politici incapaci e disinteressati verso que-

sto quartiere. Ma non ci illudiamo di poter scaricare interamente su di loro il barile. Li abbiamo messi lì noi; perché da anni è Li-brino a decidere in larga misura chi vincerà e chi perderà le elezioni locali.

Come dite? “Su tutti i stissi?”. Forse. Ma il nostro dovere, lo dobbiamo soprattutto ai giovani di questo quartiere, è anche scegliere il meno peggio e una volta scelto pretendere la giusta attenzione al territorio e, se così non fosse, rispedirli a casa.

Il nostro dovere è quello di impegnarci direttamente per il cambiamento di Librino perché, come ha detto don Sapienza, parroco a Zia Lisa, in un recente convegno: “occorre un nuovo modello di democrazia deliberativa secondo cui i cittadini non danno più deleghe in bianco ai politici restando poi a guardare, ma è necessario che tutti i cittadini partecipino attivamente alla vita della città contribuendo alle sue decisioni”.

P. S. A circa 3 anni dalla chiusura del gruppo scout Catania 18 a Librino, un gruppo di adulti, dopo un periodo di forma-zione, si sta scommettendo per la sua ria-pertura nella parrocchia Resurrezione del Signore in viale Castagnola.

Proprio il 5 dicembre questo gruppo di giovani capi ha ricevuto il fazzolettone bianco-giallo simbolo del loro impegno verso il territorio e della loro volontà di riportare lo scautismo a Librino. Sono anche questi quei segni di cittadinanza attiva dal quale può partire il riscatto della periferia. Auguri a loro.

Massimiliano NicosiaLa Periferica

|| 10 dicembre 2010 || pagina 19 || www.ucuntu.org ||

In distribuzione “La Periferica” di dicembre In distribuzione “La Periferica” di dicembre

SatiraSatira

La nostraculturaDialogo fra un integrato

e un non so

http://dajackdaniel.blogspot.com/

«Che, la vuoi una sigaretta?».«La ringrazio, ma non fumo. Mi dica,

sono sorti nuovi ostacoli alla mia richie-sta?».

«Come? No… cioè sì… Ma proprio non la vuoi ‘sta sigaretta?».

«No, la ringrazio ancora. Per quanto ri-guarda la mia domanda, credevo di aver raccolto tutti i documenti necessari e risolto tutti i problemi.».

«Oh, sì, mica dico di no. Vero, vero, ci sta tutto. Non ti dà fastidio, no? se fumo...».

«A me personalmente no, ma mi pare sia vietato: ricordo la Legge 3 del 2003 (nota come Legge Sirchia) che proibisce il fumo negli ambienti di lavoro…».

«Ecco, ti pareva. Comunque sì, qualche problemino c’è, in effetti. I documenti sono a posto, in ordine. Tutto, ci sta tutto. E’ che non bastano i documenti, le carte non sono tutto…».

«Di cos’altro ancora ha bisogno?».«Ecco, cioè, vedi. Quando si va in un

posto bisogna un po’ rispettare, insomma, sì, adeguarsi alle usanze, insomma, al modo di fare di quelli da cui vai. E’ casa d’altri, insomma…».

«Mi pare di aver compiuto, in tal senso, innumerevoli sforzi.».

«E che, non lo so? Lo vedo, lo vedo, ti sforzi. E’ che se tu vuoi la cittadinanza italiana devi, come ti posso dire?, un po’ adeguarti, no?, a quelle che sono le tradi-zioni, no? Cioè la cultura italiana.».

«Mi permetto di rammentare che ho

conseguito due lauree, di cui una speciali-stica. In letteratura italiana, come forse potrà notare sfogliando l’incartamento.».

«Visto, visto. No, niente da dire: l’italia-no un po’ lo sai, quasi quanto me, ma non ci sta solo la faccenda della lingua. La cultura d’un popolo è una cosa un pochetto più complessa…».

«Ma ho compiuto anche studi di carattere storico e giuridico. Se avrà la bontà di sfogliare la documentazione troverà l’at-testazione degli esami svolti presso…».

«Visto, visto.».«E inoltre in questi dieci anni non ho

infranto nessuna norma o legge. Potrà no-tare gli attestati dei versamenti Unico, le bollette, la tassa comunale sui rifiuti, il canone Rai, le quietanze dei pagamenti del condominio, il bollo per l’autoveicolo, l’assicurazione per il medesimo e l’abbo-namento annuale ai mezzi pubblici, in ag-giunta a tutti gli altri versamenti o paga-menti effettuati per l’Università, i ticket sanitari, le assicurazioni volontarie e ob-bligatorie, i contributi INPS. Non ho rice-vute di multe per infrazioni al codice della strada perché non ne ho mai commesse…».

«Mai?».

«Mai, ne sono orgoglioso».«Cioè, pure il canone Rai?».«Certamente, è un obbligo di legge».«Ecco, appunto, vedi, quello che stavo

dicendo… Insomma, la cultura, le usanze della Nazione. Ecco, cioè, qui da noi è di-verso, fa parte della nostra cultura. Cioè, pure il canone della Rai…».

«Ma ho sostenuto un esame di diritto costituzionale!».

«Vedo, vedo. No, è che lo studio, le leg-gi, la letteratura, cioè, non dico di no, sono pure una cosa importante, e chi dice di no (a scuola mi sono pure letto quasi tutti i Promessi Sposi), ma la cultura vera è un’altra cosa. Ti ci devi adeguare, cioè la cittadinanza è una cosa seria.».

«Debbo quindi ritenere che la mia do-manda non sarà accolta?».

«No, non ora, ma in futuro non è detto. Ci si rivede, magari tra sei mesi, no?, così magari ti adegui un po’, t’ambienti un po’ meglio. A giugno. Il canone Rai, insomma, non è obbligatorio. Poi, sai, qui da noi la famiglia è importante.».

«Anche presso di noi. Sono orgoglioso della mia famiglia, amo mia moglie e i miei figli. Ecco, ho qui le loro foto.».

«E che non lo so? Anche la mia famiglia è importante. Molto. Se a giugno, ca-pitasse, un pensierino, un segno, come dire, un segno di riconoscenza… In fondo ti ospitiamo, no?, ecco, capisci, sono queste le cose importanti, la nostra cultura, la famiglia.»

Jack Daniel

|| 10 dicembre 2010 || pagina 20 || www.ucuntu.org ||