Voltana On Line n.33-2011

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www.voltanaonline.it Voltana On Line 33 2011 blico arriverebbero, secondo le stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al solo Pil emerso arriverebbero invece al 61% (sempre ipotiz- zando, irrealisticamente, che gli Enti territoriali facciano fronte ai tagli dal Governo centrale senza alcun incremento dei tributi lo- cali). Non servono grandi riflessioni ag- giuntive per dimostrare che si sta andando nella direzione opposta a quella corretta. Il nostro Paese era all‟ottavo posto per pressione fisca- le tra i paesi dell‟attuale UE all‟ ini- zio del decennio 2000. Da allora tutti gli altri sette la hanno ridotta, alcuni anche in misura consistente, e cinque di essi sono scesi sotto quella Italiana (con le eccezioni di Danimarca e Svezia). Questo pro- cesso si è ovviamente accentuato nel periodo della recessione. L‟ Ita- lia è invece l‟unico Paese ad aver accresciuto la pressione fiscale, sia prima che durante la recessione (e ora, grazie alla serie estiva di mano- vre, anche dopo). Per far comprendere l’ insosteni- bilità della situazione anche ai non esperti di questioni economiche si può utilizzare una metafora ispirata da una vecchia canzone dello Zec- chino d‟Oro: l‟ “elefante indiano con tutto il baldacchino” che la bimba che voleva un gatto nero era dispo- nibile a scambiare è una buona rap- presentazione del nostro affaticato Paese: al livello inferiore il sistema produttivo, l‟elefante stanco, sfian- cato dal peso crescente e insosteni- bile del sovrastante Settore Pubbli- co, un baldacchino sovraffollato all‟inverosimile da distributori di rendite (la classe politica) e caccia- tori di rendite (i suoi clientes): cor- porazioni, portatori organizzati di interessi particolari, imprenditori di Stato (ma anche caste e cricche). Se utilizziamo questa metafora per svolgere confronti internazionali possiamo osservare tre differenti casi: 1) baldacchini grandi su ele- fanti grandi; 2) baldacchini piccoli su elefanti grandi; 3) baldacchini piccoli su elefanti piccoli. Il caso residuale di baldacchini grandi su elefanti piccoli non sembra propo- nibile e infatti è il modello (in crisi) adottato dall‟Italia. Il primo caso (elefanti grandi e robusti che ama- no caricarsi baldacchini di grosse dimensioni) identifica i sistemi pub- blici „pesanti‟ che poggiano tuttavia su mercati sviluppati, come nell‟area franco-tedesca e scandi- nava (che ha anche mercati molto liberalizzati); il secondo caso iden- tifica Paesi caratterizzati da Stati snelli su mercati (almeno prima della crisi) robusti (Stati Uniti, UK e Paesi sviluppati anglofoni in gene- rale); il terzo caso Paesi di taglia più ridotta (come nell‟area est eu- ropea) che hanno preferito Stati leggeri per non ostacolare il pro- cesso di crescita. L‟Italia, infine, è l‟unico caso tra i Paesi maggiori di baldacchino grande su elefante piccolo, di Settore Pubblico con peso rilevante e crescente che gra- va su un sistema economico grave- mente indebolito. Non è, però, sempre stato così: negli anni della ricostruzione e del boom economi- co l‟elefante si è accresciuto più rapidamente del baldacchino; do- po, tuttavia, il nostro Paese non ha adottato né il modello liberista (Stato snello su economia di merca- to sviluppata), né quello socialde- mocratico (Stato ampio su economi- a di mercato robusta) ed è l‟unico ad aver creduto, erroneamente, che un Settore Pubblico di dimen- sioni tendenzialmente crescenti fosse praticabile indipendentemen- te dalle caratteristiche e dalle per- formance della sottostante econo- mia di mercato: è il modello del baldacchino come variabile indi- pendente! A causa di questo er- Prima della serie di manovre esti- ve di finanza pubblica la nostra eco- nomia era nei guai, dopo lo è molto di più: 1. A seguito della crisi di fiducia sul debito pubblico il Governo si è impegnato a conseguire il pareggio di bilancio nel 2013, colmando in un biennio circa quattro punti di Pil di disavanzo pubblico; 2. L‟operazione si verifica quasi integralmente attraverso au- menti di tasse. 3. Conteggiando solo gli incre- menti palesi delle imposte (e lasciando fuori gli aumenti dei tributi locali che saranno attuati per compensare i tagli nei tra- sferimenti dal Governo centra- le) la pressione fiscale, calcolata come rapporto tra il gettito atte- so e il Pil, aumenterebbe di due punti percentuali. 4. Calcolata invece come rapporto tra il gettito atteso e il solo Pil emerso, che il Centro Studi Confindustria stima nell‟80% del Pil totale, aumenterebbe di due punti percentuali e mezzo passando dal 53% al 55,5%. 5. Nessun Paese al mondo ha una pressione fiscale così elevata, neppure i Paesi Scandinavi ca- ratterizzati dai sistemi di welfare più estesi. 6. Le entrate totali del Settore Pub- L‟elefante Italia e il suo baldacchino di Ugo Arrigo (Segue a pag. 2 )

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Voltana On Line 33

2011

blico arriverebbero, secondo le

stime di Tito Boeri, al 49% del Pil nel 2014. Se rapportate al

solo Pil emerso arriverebbero

invece al 61% (sempre ipotiz-

zando, irrealisticamente, che gli

Enti territoriali facciano fronte ai

tagli dal Governo centrale senza

alcun incremento dei tributi lo-

cali).

Non servono grandi riflessioni ag-

giuntive per dimostrare che si sta

andando nella direzione opposta a

quella corretta. Il nostro Paese era

all‟ottavo posto per pressione fisca-

le tra i paesi dell‟attuale UE all‟ ini-

zio del decennio 2000. Da allora

tutti gli altri sette la hanno ridotta,

alcuni anche in misura consistente,

e cinque di essi sono scesi sotto

quella Italiana (con le eccezioni di

Danimarca e Svezia). Questo pro-

cesso si è ovviamente accentuato

nel periodo della recessione. L‟ Ita-

lia è invece l‟unico Paese ad aver

accresciuto la pressione fiscale, sia

prima che durante la recessione (e

ora, grazie alla serie estiva di mano-

vre, anche dopo).

Per far comprendere l’ insosteni-

bilità della situazione anche ai non

esperti di questioni economiche si

può utilizzare una metafora ispirata

da una vecchia canzone dello Zec-

chino d‟Oro: l‟ “elefante indiano con

tutto il baldacchino” che la bimba

che voleva un gatto nero era dispo-

nibile a scambiare è una buona rap-

presentazione del nostro affaticato

Paese: al livello inferiore il sistema

produttivo, l‟elefante stanco, sfian-

cato dal peso crescente e insosteni-

bile del sovrastante Settore Pubbli-

co, un baldacchino sovraffollato

all‟inverosimile da distributori di

rendite (la classe politica) e caccia-

tori di rendite (i suoi clientes): cor-

porazioni, portatori organizzati di

interessi particolari, imprenditori di

Stato (ma anche caste e cricche).

Se utilizziamo questa metafora per

svolgere confronti internazionali

possiamo osservare tre differenti

casi: 1) baldacchini grandi su ele-

fanti grandi; 2) baldacchini piccoli

su elefanti grandi; 3) baldacchini

piccoli su elefanti piccoli. Il caso

residuale di baldacchini grandi su

elefanti piccoli non sembra propo-

nibile e infatti è il modello (in crisi)

adottato dall‟Italia. Il primo caso

(elefanti grandi e robusti che ama-

no caricarsi baldacchini di grosse

dimensioni) identifica i sistemi pub-

blici „pesanti‟ che poggiano tuttavia

su mercati sviluppati, come

nell‟area franco-tedesca e scandi-

nava (che ha anche mercati molto

liberalizzati); il secondo caso iden-

tifica Paesi caratterizzati da Stati

snelli su mercati (almeno prima

della crisi) robusti (Stati Uniti, UK e

Paesi sviluppati anglofoni in gene-

rale); il terzo caso Paesi di taglia

più ridotta (come nell‟area est eu-

ropea) che hanno preferito Stati

leggeri per non ostacolare il pro-

cesso di crescita. L‟Italia, infine, è

l‟unico caso tra i Paesi maggiori di

baldacchino grande su elefante

piccolo, di Settore Pubblico con

peso rilevante e crescente che gra-

va su un sistema economico grave-

mente indebolito. Non è, però,

sempre stato così: negli anni della

ricostruzione e del boom economi-

co l‟elefante si è accresciuto più

rapidamente del baldacchino; do-

po, tuttavia, il nostro Paese non ha

adottato né il modello liberista

(Stato snello su economia di merca-

to sviluppata), né quello socialde-

mocratico (Stato ampio su economi-

a di mercato robusta) ed è l‟unico

ad aver creduto, erroneamente,

che un Settore Pubblico di dimen-

sioni tendenzialmente crescenti

fosse praticabile indipendentemen-

te dalle caratteristiche e dalle per-

formance della sottostante econo-

mia di mercato: è il modello del

baldacchino come variabile indi-

pendente!

A causa di questo er-

Prima della serie di manovre esti-

ve di finanza pubblica la nostra eco-

nomia era nei guai, dopo lo è molto

di più:

1. A seguito della crisi di fiducia

sul debito pubblico il Governo

si è impegnato a conseguire il

pareggio di bilancio nel 2013,

colmando in un biennio circa

quattro punti di Pil di disavanzo

pubblico;

2. L‟operazione si verifica quasi

integralmente attraverso au-

menti di tasse.

3. Conteggiando solo gli incre-

menti palesi delle imposte (e

lasciando fuori gli aumenti dei

tributi locali che saranno attuati

per compensare i tagli nei tra-

sferimenti dal Governo centra-

le) la pressione fiscale, calcolata

come rapporto tra il gettito atte-

so e il Pil, aumenterebbe di due

punti percentuali.

4. Calcolata invece come rapporto

tra il gettito atteso e il solo Pil

emerso, che il Centro Studi

Confindustria stima nell‟80%

del Pil totale, aumenterebbe di

due punti percentuali e mezzo

passando dal 53% al 55,5%.

5. Nessun Paese al mondo ha una

pressione fiscale così elevata,

neppure i Paesi Scandinavi ca-

ratterizzati dai sistemi di welfare

più estesi.

6. Le entrate totali del Settore Pub-

L‟elefante Italia e il suo baldacchino di Ugo Arrigo

(Segue a pag. 2 )

Page 2: Voltana On Line n.33-2011

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1993, ma per le conseguenze della

grave recessione internazionale il

sistema produttivo, l‟elefante sotto-

stante, scricchiola molto più di allo-

ra. La molteplice manovra estiva di

Tremonti non fa che confermare il

modello del baldacchino come va-

riabile indipendente (che ricorda

molto da vicino i privilegi delle

classi non produttive prima della

rivoluzione francese): se servono

più risorse per le esigenze di chi

sta sul baldacchino, è l‟elefante che

deve procurarle, indipendente-

mente da quale possa essere la sua

robustezza e stato di salute.

È evidente che, in assenza di rapi-

de correzioni di rotta, l‟intero siste-

ma è destinato a crollare. Serve

La Scuola è nostra. Di tutti noi.

Non mia, non loro. E di chi non ha

figli nelle aule e di chi ce li ha, di

chi la frequenta e di chi la insegna,

di chi se ne occupa e di chi non ne

sa niente. È il nostro bene comune.

Non si buttano pietre contro il no-

stro bene. Mariapia Veladiano

allora un Governo che sappia dire a

tutti coloro che stanno sul baldac-

chino e non sono poveri e bisogno-

si: “signori, siamo arrivati alla fine

della corsa, bisogna scendere”. E

un Governo di questo tipo non può,

ovviamente, essere fatto da politici

nati e cresciuti sul baldacchino e da

esso mai scesi.

l’articolo è di Ugo Arrigo

ed è tratto dal sito www.chicago-blog.it

diretto da Oscar Giannino

Sulla destra della Home page del

sito www.chicago-blog.it un conta-

tore informa a quanto ammonti

l’importo complessivo del debito

pubblico Italiano. Invece, il secondo

importo indica la quota del debito in

capo a ciascun Italiano.

rore, che si manifesta

attraverso una pressione fiscale

crescente trainata da una crescente

spesa pubblica, si è pervenuti in

due occasioni, nei primi anni ‟90 ed

ora, a preoccupanti scricchiolii del

sistema. Ora il baldacchino, il Set-

tore Pubblico e la politica che lo

amministra, scricchiola come nel

L‟elefante Italia e il suo baldacchino

(Segue da pag. 1 )

Ora si comincia a parlare di de-

fault (fallimento) come esito – o co-

me soluzione – del debito pubblico

italiano. La discussione assume a-

spetti tecnici, ma il problema è poli-

tico e merita approfondimenti sui

due versanti. Dichiarare fallimento

imboscando dei fondi, è truffa. Ma è

truffa anche se una condizione inso-

stenibile viene protratta oltre ogni

possibilità di recupero; in particola-

re, per spremere quelli che si rie-

sce a spennare con la scusa di ri-

mettersi in sesto, prima di dichiara-

re che «non c‟è più niente da fare».

Proprio quello che l’Unione Euro-

pea e i suoi Governi (e non solo la

BCE) stanno chiedendo a Grecia,

Portogallo e Irlanda, ma forse anche

all‟Italia. C‟è chi, senza escludere il

default, vede una soluzione alla crisi

del debito nell‟uscita dall‟euro. Il

problema, vien detto, non è tanto il

debito pubblico quanto il debito

estero; in cui si riflette la perdita di

competitività del paese, costretto

dalla propria inflazione e dalla mi-

nore “produttività” a finanziarsi

all‟estero per importare più di

quanto esporta. L‟uscita dall‟euro

consentirebbe un recupero di com-

petitività attraverso la svalutazione

– oggi resa impossibile dalla mone-

ta unica – riequilibrando così, con

maggiori esportazioni, i conti con i

paesi che, come la Germania, pos-

sono evitare di rivalutare la loro

moneta e perdere competitività

proprio grazie all‟appartenenza

all‟eurozona. L‟aumento delle e-

sportazioni produrrebbe, sostiene

per esempio Alberto Bagnai,

«risorse sufficienti a ripagare i de-

biti, come nel 1992. Se non lo fosse-

ro – aggiunge – rimarrebbe la pos-

sibilità del default … come hanno

già fatto tanti paesi che non sono

stati cancellati dalla geografia eco-

nomica per questo».

Ma una svalutazione – posto che

l‟uscita dall‟euro sia praticabile –

basterebbe a riequilibrare la bilan-

cia dei pagamenti dell‟Italia, o quel-

la di altri paesi dell‟eurozona in dif-

ficoltà? In altre parole, costando il

15 o il 20 per cento in meno le auto

della Fiat prodotte con il metodo

Marchionne – a cui forse Bagnai at-

tribuisce eccessiva credibilità – po-

trebbero ancora sottrarre consi-

stenti quote di mercato alla Vol-

kswagen? O costando il 15 o il 20

per cento in più l‟Italia cesserebbe

di importare turbine eoliche dalla

Danimarca e pannelli fotovoltaici o

impianti di cogenerazione dalla

Germania, mettendosi finalmente a

produrli in proprio? O ancora, con

la lira l‟Italia potrebbe tornare a

esportare arance – raccolte con ma-

nodopera schiava – nei Paesi dove

l‟organizzazione commerciale degli

agricoltori spagnoli le ha portato

via il mercato? Eccetera.

Non siamo più nel ’92; da allora

non è cambiato solo il secolo, ma

tutto il contesto. Forse ora, e in futu-

ro, il problema non è esportare (o

tornare a esportare) di più, ma im-

portare – per quanto è possibile –

di meno: produrre di più in loco (o

il più vicino possibile) quello che si

consuma; e consumare o utilizzare

di più quello che ogni comunità è in

grado di produrre. Non con il prote-

zionismo, predicato a fasi alterne

dalla Lega (e un tempo anche da

Tremonti), ma inattuabile nel conte-

sto odierno; bensì con una progres-

siva riterritorializzazione dei proces-

si economici con cui accompagnare

l‟inevitabile e non più rimandabile

conversione ecologica di produzio-

ni e consumi.

Ma in Italia ogni possibilità di re-

cupero risulta inibita dalla scom-

parsa del concetto stesso di politica

industriale, che altri Paesi hanno

invece in qualche misura mantenu-

to, nonostante che sulle scelte di

fondo la delega ai “mercati”, cioè

all‟alta finanza, sia per tutti totale.

Quello che ora manca è una politica

industriale adeguata ai tempi, cioè

a una crisi ambientale planetaria

che rende inutile e dannoso rincor-

rere chi ci ha da tempo superato in

settori – come quello dell‟auto –

destinati a immani crisi di sovrap-

produzione. E che impone invece di

attrezzarsi per svolte (Segue a pag. 3 )

Nel pozzo del nostro debito di Guido Viale da il Manifesto del 13 sett. 2011

Page 3: Voltana On Line n.33-2011

Pagina 3 www.voltanaonline.it

improcrastinabili con

progetti e produzioni ecologiche

dal sicuro avvenire (anche di mer-

cato, se per “mercato” si intende

non lo strapotere del capitale finan-

ziario, ma uno dei modi per mettere

in rapporto produzione e consumo).

In gioco ci sono questioni come

efficienza e conversione energeti-

che; agricoltura e alimentazione a

chilometri zero; mobilità sostenibile

(proprio mentre Fiat chiude l’unica

fabbrica di autobus urbani del Pae-

se); manutenzione del territorio e

del patrimonio edilizio e storico esi-

stente; gestione accurata di risorse

e rifiuti; accoglienza ed educazione

per tutti; e una ricerca mirata a tutti

questi obiettivi. Se iniziative del ge-

nere venissero finanziate invece di

dissanguare i lavoratori per pagare

gli interessi sul debito, ben venga il

default; costringerebbe i responsa-

bili dell‟eurozona a correre ai ripa-

ri.

Diversi economisti pensano inve-

ce che il default degli Stati membri

si possa evitare, e non solo procra-

stinare, se un organo dell‟eurozona

rilevasse – magari “sterilizzandoli”

con un rinvio a lungo termine del

loro rinnovo – i debiti degli Stati

membri in difficoltà; o una loro quo-

ta consistente. È la proposta degli

eurobond; per alcuni sono “la solu-

zione”; per altri – come l‟agenzia di

rating S&P – non farebbero che tra-

sferire lo stato comatoso dai Paesi

beneficiati a tutta l‟eurozona. Default

per tutti.

Ma gli eurobond difficilmente po-

trebbero risolvere il problema;

nemmeno nella versione proposta

da Prodi e Quadrio Curzio, che ai

bond emessi a copertura dei debiti

di alcuni Stati ne affianca altri per

finanziare un programma europeo

di Grandi opere. Con l‟intento di

promuovere quello che l‟Italia e altri

paesi non riescono a fare da soli:

“rilanciare la crescita” – da tutti

considerata la strada maestra per

azzerare il deficit e ridurre il debito

– avendo però messo “al sicuro” i

conti pubblici. Ma quella crescita

non è così facile “rilanciarla”: in

Italia non c‟è più da tempo e sta non

a caso svanendo anche in paesi fino

a ieri considerati “locomotive” eco-

nomiche.

Inoltre, la principale iniziativa eu-

ropea per produrre crescita si chia-

ma Ten (Rete transeuropea di tra-

sporto). Anche se con gli organi di

governo che l‟Unione si è data non

sembra che per ora ci siano molte

altre modalità di intervento pratica-

bili, proposte del genere sono co-

munque inaccettabili.

È con quella iniziativa, infatti, che

oggi si cerca di giustificare lo scem-

pio del Tav in Valsusa, che persino

l‟Economist considera uno spreco.

Ma non è di Grandi Opere che c‟è

bisogno, bensì di tante “piccole o-

pere” di manutenzione del patrimo-

nio esistente e di conversione am-

bientale nei settori portanti della

vita economica e sociale. Interventi

concepiti, progettati, realizzati e

gestiti a livello quanto più decentra-

to; e sottoposti a un controllo dal

basso – analogo a quello richiesto

per la gestione dei “beni comuni” –

imponendo a tutti regole di traspa-

renza integrale. Esattamente

l‟opposto di quel che succede sia in

Valsusa che altrove. Il Tav infatti non

è un caso isolato; rappresenta in

modo paradigamatico il modus ope-

randi di un‟economia governata dal-

la grande finanza.

Dove, proprio come in Valsusa,

progettazione ed esecuzione di ope-

re gigantesche – costose, inutili,

altamente dannose e completamen-

te dissociate dalle esigenze del ter-

ritorio – vengono realizzate a spese

delle finanze pubbliche mediante

una catena senza fine di appalti e

subappalti sottratti a qualsiasi con-

trollo; e devono essere imposte con

la forza – o, in altri casi, fatte svanire

con una improvvisa delocalizzazio-

ne – tanto che in Valsusa si è arrivati

a schierare i carri armati (sì, i carri

armati) e 2000 militari per aprire un

cantiere.

Il problema allora non è

“costituzionalizzare” il pareggio di

bilancio per soddisfare il capitale

finanziario che tiene in pugno le po-

litiche, non solo economiche, degli

Stati con il controllo dei debiti pub-

blici; né promuovere, con interventi

senza senso e prospettiva – e senza

ricadute per lavoro e occupazione –

una crescita del Pil evanescente, nel

vano tentativo di azzerare il deficit

con le imposte ricavate da un ancor

più evanescente aumento dei red-

diti.

Il problema è invece quello di

imporre con lotte e mobilitazioni le

misure necessarie per recuperare

risorse da chi le ha e non ha mai

pagato. Ma non per buttare il rica-

vato nel pozzo senza fondo degli

interessi sul debito. Quello che oc-

corre è mobilitare le risorse sia fi-

nanziare che umane – le conoscen-

ze e i saperi diffusi; la fiducia reci-

proca che si crea nella lotta – ne-

cessarie alla riconversione ecologi-

ca del tessuto produttivo. Non sa-

ranno né questo Governo né il

prossimo a promuovere o consenti-

re una svolta del genere. Ma se non

si mette in chiaro che quel debito

non va saldato e che è inevitabile

affrontare il rischio di un default,

ancorché selettivo, si lascia la palla

in mano a chi sostiene, e sempre

sosterrà, che ai diktat della finanza

“non c‟è alternativa”; azzerando

così qualsiasi prospettiva di riscatto

sociale e politico. Per questo è be-

ne capire a che cosa si va incontro

e come far fronte a un default; e qui

un maggiore impegno degli econo-

misti che condividono queste pro-

spettive sarebbe benvenuto.

di Guido Viale

pubblicato da Il Manifesto il 13/09/11

(Segue da pag. 2 )

LUGO - Centro Sociale “IL TONDO”

Venerdì 23 settembre 2011

Ore 19 - 23,30

15 IL DELIRIO DELL’ECONOMIA

LE VIE DELLA DECRESCITA

Incontro /seminario con

SERGE LATOUCHE

Università di Parigi

Page 4: Voltana On Line n.33-2011

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Palazzo Madama e a Montecitorio ci

sono solo vassalli nominati che ri-

spondono al partito e non ai cittadi-

ni, trattati alla stregua di servi della

gleba.

I giovani sono stati fottuti. Paghe-

ranno loro nei prossimi vent'anni

l'enorme debito pubblico. Non ve-

dranno mai la pensione. Le universi-

tà che frequentano sono state de-

classate a livello mondiale a BB--.

Non avranno un lavoro a tempo in-determinato e la possibilità di piani-

ficare il loro futuro, un mutuo per la

casa, un matrimonio, come è avve-

nuto per le generazioni precedenti.

Non potranno ambire a un impiego

in aziende di eccellenza, perché

non ci sono più. Dovranno emigrare

come i loro trisnonni o incazzarsi. I

giovani sono la chiave per capire

cosa succederà nel prossimo decen-

nio. Se l'Italia ripartirà o sprofonde-

rà nella palude.

Non è più il tempo di resistere, ma

quello di riprendersi il Paese.

Beppe Grillo

dal sito www.beppegrillo.it/

ancora di pesi e sacrifici. Fino

all‟insopportabile. La Manovra è

composta da nuove tasse per il 65

per cento. Ma a queste si deve ag-

giungere, con l‟aumento di un punto

percentuale dell’Iva, la “tassa dei

poveri”. Come viene considerata

l‟inflazione, che penalizza soprattutto

le famiglie meno abbienti. Il conge-

lamento degli stipendi degli stata-

li per tre anni renderà la misura

ancora più drammatica per i nuclei

familiari che hanno un reddito basato

su stipendi pubblici.

Tutto ciò, però, poco importa a una

casta di politici che vivono rinchiusi

nelle “torri d‟avorio”. Insensibili a

tutto, non sentono il clima di disgusto

e indignazione che sale dal resto del

Paese. Durissimo il giudizio del filo-

sofo Dario Antiseri: «Schierati a dife-

sa dei privilegi acquisiti, si atteggia-

no a medici dei mali della società,

ma la verità è che sono loro a essere

la malattia. E la malattia più grave».

E aggiunge: «Predicano il merito, ma

praticano la più squallida logica di

una corte gremita di servi in livrea».

dal sito www.famigliacristiana.it

tribuna a pontificare sulle disgra-

zie economiche del Paese. Ma

questi signori che hanno goduto di

tutti i benefici possibili, partecipa-

to a ogni convegno e avuto la pos-

sibilità di denunciare con voce alta e grave i guasti del Paese, in

tutti questi anni dove sono stati? Su

qualche anello di Saturno. O forse mettersi in modo aperto contro il

Sistema aveva un prezzo che non

volevano pagare? I riservisti ri-

mangano dove sono, dove sono

sempre stati, al coperto.

Il rischio è quello, antico, di

cambiare tutto perché nulla cam-

bi. Di ritrovarci Luca Cordero di

Montezemolo a capo del governo con la Marcegaglia Ministro dello

Sviluppo e Fini Ministro degli In-

terni. E la gente a ballare in piazza

per il cambiamento, la democrazia

e la libertà.

Il Sistema va riformato dalla te-

sta, dal Parlamento con una nuova

legge elettorale, nuova linfa, con

cittadini che rappresentino il volto

reale e pulito del Paese. Oggi a

Neppure Pinochet o Franco a-vrebbero ignorato in modo così pla-

teale una proposta di legge popola-

re firmata da 350.000 persone. In quattro anni almeno una risposta

l'avrebbero data. La crisi viene da

lontano, dall'avvento della partito-

crazia, dalla fine degli anni '70, con

la pietra tombale della morte di Al-

do Moro e l'epitaffio del famoso di-scorso di Berlinguer sull'ingerenza

dei partiti in ogni aspetto della vita

pubblica. I partiti sono la crisi, una

lenta metastasi che ha portato il Paese al collasso. Si sentono padro-

ni del Paese, quando dovrebbero

esserne i servitori. La loro spudora-tezza non ha più limiti e questo li

perderà.

I banchieri e gli economisti stanno

scaldando i muscoli per entrare in

campo. Da Profumo, l'affezionato

pdimenoellino dei 400 miliardi di

patrimoniale sull'unghia, a Passera che ha appoggiato l'operazione

sciagurata dell'Alitalia. I professori dell'economia come Mario Monti,

ma anche Gianni Draghi, sono in

Tutta da ridere quando un discorso politico deve farlo un comico !

La Manovra di bilancio approvata

dal Parlamento, che chiede durissimi

sacrifici agli italiani, ha risparmiato

la casta dei politici. Dopo gli annunci

di voler usare la scure per abbattere

i privilegi di cui godono, alla fine

tutto è rimasto come prima. Lettera

morta, o quasi. Nessuna traccia delle

strombazzate scelte epocali.

Sul tavolo solo un lungo elenco di

promesse non mantenute. Mentre

fuori i mercati sprofondavano, nei

Palazzi si ritiravano quegli emenda-

menti che avrebbero eliminato privi-

legi ormai insopportabili. Primo tra

tutti il vitalizio, cioè la pensione a

vita che va ad aggiungersi a quella

ordinaria. Ma non solo. Basta un

semplice raffronto tra le prime bozze

della Manovra e quella approvata.

I compensi pubblici, era stato scrit-

to, non potevano superare la media

degli stipendi dei colleghi europei.

La norma ha riportato la media a

quella dei sei maggiori Paesi

dell‟Unione, dove le indennità sono

più alte. La norma sull‟abolizione

delle Province è finita in un dise-

gno di legge costituzionale, che

vedrà la luce chissà quando. Così

come è caduta nell‟oblio la regola

dell‟incompatibilità con altre cari-

che elettive. Sulla riduzione del

numero dei parlamentari, meglio

tacere. Sparita anche quella. Resta-

no tutti. La casta, in questo, è molto

“democratica”.

Anche il prelievo di solidarietà,

che i parlamentari avrebbero man-

tenuto (bontà loro), ci sarà solo per

un triennio. E non varrà per la dia-

ria. Vi era poi la questione del cu-

mulo. Il taglio del 50 per cento

dell‟indennità parlamentare era

stato previsto per quei deputati e

senatori che continuassero a eser-

citare un‟attività professionale (ci

sono in Aula assenze del 93 per

cento). Ma, grazie all‟influenza del-

le lobby delle professioni, la misu-

ra è stata sostituita. Si sono fatti un

bello scontone.

Alle famiglie italiane, invece,

nessuno fa sconti. Anzi, le si grava

Le promesse non mantenute in Famiglia Cristiana del 16/09/2011

Page 5: Voltana On Line n.33-2011

(Segue a pag. 6 )

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Gli EFFEDIA in concerto. Tributo a Fabrizio De Andrè Immagini di Flavio Contoli Centro Sociale Ca’ Vecchia - Voltana 9 settembre 2011

Page 6: Voltana On Line n.33-2011

Pagina 6 www.voltanaonline.it

di Massimo Gramellini

(Segue da pag. 5 )

(Segue a pag. 7 )

“Finché la violenza dello

Stato si chiamerà giustizia, la

giustizia del popolo si chia-

merà violenza.”

G. Mazzini

“In dieci anni la mia pensio-

ne e cresciuta del 18 %, il

mio tenore di vita è rimasto

uguale, ma le spese sono

cresciute del 55 % ! ”

In questo mondo non v'è nulla di

sicuro, tranne la morte e le tasse.

Benjamin Franklin, Lettere, 1789

Benjamin Franklin lo disse perché

non conosceva nulla dell‟Italia !

Page 7: Voltana On Line n.33-2011

Pagina 7 www.voltanaonline.it

In Italia, mentre i ricercati

trovano ottime sistemazioni

nei Palazzi

ai ricercatori rimane la

… strada

del precariato a vita !

“Non andremo nelle tasche degli

italiani …” e “Meno tasse per tutti !”

Infatti, dopo otto anni di governo,

negli ultimi dieci, abbiamo:

- meno servizi per tutti !

- 1.800 euro di maggiori spese per tutti !

“Io sono sceso in campo per salvarvi

dal comunismo …”

No, tu sei sceso in campo per

salvarti dalla galera,

dopo aver fatto i soldi in maniera

poco onesta !

(Segue da pag. 6 )

Page 8: Voltana On Line n.33-2011

Pagina 8 www.voltanaonline.it

“Quando si può constatare che il

commercio si fa non per consenso,

ma per una reazione compulsiva –

quando si può constatare che, per

produrre, occorre innanzitutto otte-

nere il permesso di uomini che non

producono niente – quando si può

constatare che il denaro affluisce

verso coloro che dispensano non

dei beni, ma dei favori – quando si

può constatare che gli uomini si

arricchiscono più con la seduzione

e le pressioni sugli altri, che con il

lavoro, e che le leggi non vi proteg-

gono da tali uomini, ma proteggono

al contrario loro da voi – quando si

può constatare che la corruzione è

ricompensata e l‟onesta diviene un

sacrificio – allora si sa che la socie-

tà è condannata”.

Ayn Rand

La rivolta di Atlante, 1959

Perché delle suore si sono

fatte violentare ? Perché non

hanno saputo dire di “No !” .

Vuoi sapere chi l’ha detto e/o

vuoi sentirlo dalla sua voce ?

Con Google cerca: “Ministro Sacconi

Atreju suore briganti violentare” o

guarda in http://tv.repubblica.it .

info: [email protected]

ANALOGIE & AFFINITÀ EUROPA

Paese forte Germania

Paese gregario Francia

Paese fallito Grecia (già 6 volte

negli ultimi 200 anni + 1 imminente)

Paese cialtrone ………….

( C’è la Mafia? I politici sono corrotti?

Gli imprenditori sono capaci? Ci sono

molti disoccupati? )

Ni'lin has lost 1100 of its olive trees since the construction of the apartheid wall

began in 2008. Some of them has been bulldozed, some of them burned, all of

them a tragedy for a society dependent of the olive harvest. This website is a re-

sponse to a local call to collect funding to replant the trees.

Our goal is to replant half of the lost trees in January 2012. You can help by dona-

ting a tree or more, or by spreading information about this initiative!

Ni'lin, con la costruzione iniziata nel 2008 del muro dell’apartheid, ha perso

1.100 dei suoi ulivi. Per alcune piante di ulivo sono stati i bulldozer, altre piante,

invece, sono state bruciate; quanto accaduto è una tragedia per una società di-

pendente della raccolta delle olive. Questo sito è una risposta ad una appello lo-

cale per raccogliere dei fondi, così da poter ripiantare gli ulivi.

Il nostro obiettivo è: ripiantare la metà degli ulivi entro gennaio 2012. Potete

aiutarci donando una pianta o più, o diffondendo informazioni su questa iniziativa.

Per saperne di più visita il sito www.replantpalestine.org/en

AMERICA

Paese forte Stati Uniti

Paese gregario Canada, Brasile

Paese fallito Argentina (ora si

dice: con il debito ristrutturato)

Paese cialtrone Colombia

( Ci sono i Narcos. I politici sono cor-

rotti. Gli imprenditori sono mediocri.

Ci sono molti disoccupati.)

Appunti & citazioni

Tutti i PDF di Voltana On Line

sono disponibili

- nel sito www.voltanaonline.it poi

SERVIZI e click su ARCHIVIO;

- nel sito http://issuu.com/

digita Voltana On Line poi click su

cerca e in voltanaonline click su

My Library ;

- nel sito www.facebook.com digita

Voltana On Line poi cerca Foto e

click su Guarda tutto: Foto.

Gli episodi di ...costume e di ...colore,

che hanno al centro il Cavaliere, tengo-

no sempre tutti impegnati e ...distratti.

C’è, invece, una specie di mobilitazio-

ne popolare per i ticket sulla Sanità.

Allora, cerchiamo di ragionare: un

solo mese, di mancata corresponsione della pensione, comporta un minor de-

bito pubblico di circa 1.380,00 euro a

pensionato (tosato). Questa cifra è il

mezzo pollo delle statistiche di Trilussa;

ciò detto, la prendiamo per buona. An-

drebbe, poi, moltiplicata per 42 milioni,

a tanto ammonterà il “risparmio” com-

plessivo, poiché sono ancora 42 milioni

gli Italiani che, prima o poi, andranno in

pensione, ma - d‟ora in avanti - non per-

cepiranno quella mensilità. Se, poi, la

“finestra” è di sei mesi, ogni pensionato

percepirà, mediamente, 8.280,00 euro

in meno. Sulla popolazione Italiana,

quindi, il risparmio, distribuito negli

anni, sarà di 347,76 miliardi di euro.

Nessuno ne parla … Chissà perché !

Però, nel frattempo, ci hanno fatto cor-

rere e penare per risparmiare 4,75 euro

su una confezione di un medicinale !

Il mistero delle pensioni “tosate”