Settemiglia - anno V, n°1

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settemiglia da Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno Diocesi di Nola – Parrocchia San Francesco di Paola – Scafati – Sa anno V ‐ n°1 En Zo «...Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

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Giornale della Parrocchia San Francesco di Paola - Scafati (Sa) Supplemento a IN DIALOGO Mensile della Chiesa di Nola

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settemigliada Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno

Dioces i d i Nola – Parrocch ia San Francesco d i Paola – Scafat i – Sa

anno V ‐ n°1

En Zo

«...Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

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settemiglia

ANNO V - N°1

Supplemento a IN DIALOGOMensile della Chiesa di Nola

Aut.ne Trib. di Napolin. 3393 del 7/03/1985

Direttore ResponsabileMARCO IASEVOLI

Coordinatore RedazioneDON GIUSEPPE DE LUCA

RedazioneVINCENZO FIORENZA

PASQUALE VELLECA

ENZO VITIELLO

ALFONSO QUARTUCCI

ELENA FIORENZA

VINCENZO DONNARUMMA

RubricheROSA MATARAZZO

FRANCO CIPRIANO

FRANCESCO QUAGLIOZZI

VignetteROSARIA SCOTTO

E‐Mail ed [email protected]

Per leggere e scaricare lepubblicazioni precedenti:

www.settemiglia.it

StampaArti Grafiche Bruno

grazie a Coppola Spa

Oggi come Chiesa facciamo piùcarità rispetto al passato. Facciamocarità ma non siamo capaci di pros-simità, non siamo in grado di supe-rare precomprensioni e pregiudizi.

Enzo Bianchi Prossimità è disponibilità a farsi vici-no, a muoversi da dove si è, èun’azione, non uno stato. Il prossimo non esiste già prossimo;diventa prossimo non colui che hagià con me dei rapporti di sangue, dirazza, di affari, di affinità psicologi-ca. Prossimo divento io stesso nel-

l’atto in cui, davanti a un uomo,anche forestiero e nemico, decido difare un passo che mi avvicina, miapprossima. Gesti concreti, impegni personali efamiliari, agire nel quotidiano, pro-gettare insieme le risposte e rifletteresul senso di quello che si fa, sonoorizzonti che orientano a percorrerela via della prossimità, del servizio edel dono di sé. È una virtù, quella della carità, che ciporta a proporre stili di vita alterna-tivi alla cultura e alle mode correnti.

In questo numero

CHARITASdi Ciro Coticellipag. 6-7

CHARITASdi Luisa Iaccarinopag. 8

CHARITASdi Rosa Matarazzopag. 9

CHARITASdi Vincenzo Fiorenzapag. 10-11

VOLTIdi Pasquale Vellecapag. 12-13

DIOCESIdi Pasquale Violantepag. 14-15

TRAMEAFRICANEdi Marianna Milanopag. 16-17

INCAMMINOdi Serena Cavallaropag. 18-19

ARTEdi Franco Ciprianopag. 20-21-22-23

TERRITORIOdi Tonia Vitiellopag. 24

SPORTdi F. Quagliozzipag. 25

FILMdi Elena Fiorenzapag. 26-27

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di DON PEPPINO DE LUCA

settemiglia | Anno V4

Avvento 2014...una gioia presente!

La grande gioia che annuncia laChiesa in questo tempo, è unagioia “presente”, non celebriamo,

infatti, un evento relegato in un passatoormai troppo lontano né semplicemen-te riportiamo alla memoria la straordi-naria storia di Gesù di Nazareth, la“lieta notizia” è un fatto vivente chetocca il nostro “oggi”. Non è una questione di bontà, di tradi-zioni, di consuetudini e parentele ma disostanza: siamo disposti a credere cheDio si è fatto vicino, anzi, il più vicinopossibile, scegliendo di vivere come noi?Domanda importante a cui non possia-mo rispondere in modo avventato: daquesta risposta dipende la nostra vita. Che il nostro sia un Dio vicino ce loripetono e lo ripetiamo continuamente etroppe volte banalizziamo il concetto di“vicinanza” di Dio. Le aspettative che cicreiamo sono le aspettative di una uma-

nità che pensa a Dio come ad un porta-fortuna. Il ragionamento è semplice eapparentemente non fa una piega: “Iocredo che Dio mi è vicino e quindi nonpuò succedermi nulla. La vicinanza diDio mi assicura salute, successo e dena-ro e se la mia vita non va in questa dire-zione non può che significare che mi haabbandonato, che non vuole starmi vici-no.” Una logica infantile e pericolosa. La Parola di Dio ci viene in aiuto esostiene la nostra fragilità, mostrandociin che modo Dio ha deciso di farsi vici-no alle sue amate creature, raccontan-doci la storia della meravigliosa alleanzache Dio ha voluto costruire con noi,un'alleanza bella quanto l'arcobaleno eche ha il sapore del pane e del vino. Dioha camminato con l'uomo e ad un certopunto della storia decide di camminareda uomo. Dio si fa carne, si fa bambino e da quel

Particolare della nativitàe del corteo orientali,

presepe Parrocchia SanFrancesco di Paola,

Scafatifoto di VINCENZO

DONNARUMMA

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momento proverà i nostri stessi bisogni,conoscerà l'importanza dell'affetto deigenitori, il dolore per il tradimentodegli amici, la sofferenza del non sentir-si accettato e quella delle percosse, pro-verà l'angoscia e la paura della mortema anche la gioia dell'abbandonarsiall'Amore che solo il Padre può dare. La nascita di Gesù ha ricollegato il cieloalla terra, aprendo nel cuore dell'uomostrade di speranza, di amore e di riconci-liazione, perché anche noi, come il Verbodi Dio, possiamo farci piccoli, poveri eumili, capaci di accogliere, comprenderee mostrare la sua presenza nel mondo,anche in mezzo a situazioni difficili digrande smarrimento e dure prove.Lungo il cammino verso Betlemme fac-ciamoci prendere per mano da Maria,donna dell'attesa e dai pastori, umili esemplici annunciatori della salvezza. Maria crede, accoglie la Parola e rendechiara la sua risposta: “Eccomi, sono laserva del Signore, avvenga in me quelloche tu hai detto” (Lc 1,35-38). L’adesione alla volontà divina la rendepiena di grazia e di Spirito Santo, pron-ta a germogliare dal suo seno il fruttobenedetto: Cristo Gesù, luce e salvezzadelle genti. Anche ai pastori che veglia-vano di notte facendo la guardia al lorogregge, è dato l’annuncio e un segno. Avvolti nella luce della gloria delSignore, meravigliati e timorosi ascolta-no la voce dell’Angelo: “Non temete,ecco vi annuncio una grande gioia, chesarà di tutto il popolo: oggi vi è natonella città di Davide un salvatore, che èCristo Signore. Questo è per voi ilsegno: troverete un bambino avvolto infasce, che giace in una mangiatoia”(Lc2,12). Confermati nella realtà delsegno, credono e lodano Dio in quelneonato, annunziando con convinzionee gioia a quanti incontrano sul lorocammino tutto ciò che del bambino erastato detto loro. Il Figlio di Dio, avvolto nelle fascedell‘umiltà, della povertà e dell‘obbe-

dienza, non smette di parlare ancheoggi al nostro mondo, non molto diffe-rente dal suo, carico di violenza, ingiu-stizie, falsità e indifferenza. Questo, però, non deve sfiduciarci, oggicome ieri, la nostra storia ha i suoi pro-feti che si sforzano di vivere e manifesta-re la sua gloria e per mezzo loro, ilSignore continua a dire amore, salvezza,guarigione, consolazione e continua achiamare e a sfidare ogni persona dibuona volontà a diventare artefice digiustizia e di pace, testimoni credibilidella Buona Notizia che Lui stesso èvenuto a portare. Facciamoci “profeti”di vicinanza, di prossimità, di perdono edi festa, chiediamo al Dio Bambino ildono della pace, della riconciliazione edella solidarietà fraterna per tutti ipopoli, in particolare per quelli provatida calamità, disastri naturali e da ognisorta di violenza e irriverenza che sfigu-ra il corpo di Cristo nella personaumana. Chinati sulla mangiatoia, conlo stupore e la fede di Maria, con il ren-dimento di grazie e l’esplosione di gioiadei pastori, ci auguriamo a vicenda“Buon cammino di Avvento".

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Particolare adorazionedei Magi, presepeParrocchia SanFrancesco di Paola,Scafatifoto di VINCENZO

DONNARUMMA

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settemiglia | Anno V6

Carità...non è una questione di semantica

All'inizio ho pensato ad unaquestione di semantica. Il pas-sare del tempo fa brutti scherzi

sul significato delle parole. Vorrei pro-prio vedervi seduti in un bar dell'800con il cameriere che vi chiede se voletedel liquore e voi che rispondete: “Hoproprio voglia di scolarmi una bellabottiglia”. Sarebbe divertente, di sicurovi prenderebbe per fachiri. Non è micafacile ingurgitare una bottiglia intera.Bimbi non ci provate.Poi mi sono reso conto che è semplice-mente il segno del nostro tempo. E ilpensiero del fachiro era molto piùdivertente. Provatevi ad affacciare inun bar qualsiasi oggi e contate quantepersone, pur sedute faccia a faccia, sot-tratte alle proprie occupazioni sotto lapromessa “di andare a scambiare duechiacchiere”, si trovano con il voltofisso sullo schermo di uno smart-phone, concentrati a whatsappare o avedere il #cuginodellamicodelparente-diunocheconosco cosa ha fatto ierinotte. Pensiamo alle famiglie semprepiù ristrette e ai rapporti sempre piùfreddi, alla tv comprata a rate o all'i-phone anche se non ho il pane.Lasciamo stare le critiche al capitalis-mo sfrenato, ma è ovvio, tuttavia, chein quest'ottica trova spiegazione ilmutamento di significato. Originariamente era più simile adagapè, all'amore disinteressato. Oggi separliamo di fare la carità, la prima cosache viene in mente è il lancio di unamonetina. Carità come elemosina.

Decisamente riduttivo. Il luccichio diquella monetina riflette il più moder-no modo di approcciarci alla vita, cheforse è anche il più semplice. Perchè seil vero significato della Carità (quan-tomeno etimologico) è un amore,affetto incondizionato verso il prossi-mo in quanto prossimo, risulta ridutti-vo, decisamente riduttivo, esprimerlosolamente con il denaro. Una bellasciacquata alla coscienza grazie a quel-la monetina, non v'è bisogno di altro. Basta una monetina e sono un buoncristiano. Sono stato vicino a quellapersona con la monetina. Forse forse èun po' poco. Non dico che, come sidice dalle nostre parti, “mo il mondolo devo salvare io?”, però potremmoessere anche quella piccola goccia nelmare come auspicava Madre Teresa. Sto divagando, lo so. Ma cercare diessere schematici nel parlare della car-ità è difficile se non errato. Perchè car-ità è forse l'essenza dell'uomo cristianoe ne spiega la totalità, la natura. È allacarità che dovremmo mirare nella vitadi tutti i giorni per comportarci dabuoni cristiani, verso tutti, verso ilprossimo nostro perchè il prossimo èuguale a noi, perchè noi siamo ilprossimo. Perchè, lo cantiamo quasitutte le domeniche “siamo figli di Dioche scopron nel creato le meraviglie diun amore”. E proprio questo punto èquello per me più affascinante e sti-molante. È facile comportarsi da buonCristiano con il prossimo simpatico,amarlo, stargli vicino, eccetera

di CIRO COTICELLI

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eccetera. L'esercizio cristiano è invecequello di amare indistintamente, cari-tatevolmente essere al fianco delprossimo nostro, senza distinzionealcuna. È un esercizio continuo che cispinge ad essere buoni in quanto cris-tiani e in quanto cristiani, attraverso lacarità, diventare ogni giorno piùbuoni. Non c'entra nemmeno la pre-disposizione naturale che ognuno dinoi ha, l'essere più o meno espansivo,timido, caloroso. Applicare la carità,supportare, amare l'altro aiuta adessere buoni. Essere buoni e caritat-evoli aiuta ad amare. In un bellissimopasso il filologo Clive Staples Lewisafferma “Non perdere tempo adomandarti se “ami” il prossimo: agis-ci come se lo amassi. Subito, cosìfacendo, scopriremo un grande segre-to: quando ci comportiamo con qual-cuno come se lo amassimo, ben prestoarriviamo ad amarlo.” Penso poi alnostro don Peppino che ogni domeni-ca ci esorta ad essere più comunità, adoffrire anche solo le briciole del nostrotempo per il prossimo che poi sitrasforma in comunità. Non a caso ilPapa emerito Benedetto XVI ricordava

in una lettera motu proprio di qualcheanno fa che “tutti i fedeli hanno ildiritto ed il dovere di impegnarsi per-sonalmente per vivere il comandamen-to nuovo che Cristo ci ha lasciato (cfrGv 15,12), offrendo all’uomo contem-poraneo non solo aiuto materiale, maanche ristoro e cura dell’anima (cfrLett. enc. Deus caritas est, 28).All’esercizio della diakonia della caritàla Chiesa è chiamata anche a livellocomunitario, dalle piccole comunitàlocali alle Chiese particolari, fino allaChiesa universale” (novembre 2012). Se allora la carità cristiana si manifestanell'essere presente ed amare edaiutare, nelle forme più diverse, l'eser-cizio che mi invito a fare è quello difermarmi ogni sera per cinque minuticinque e chiedere a me stesso se la miagiornata è stata vissuta nel segno dellacarità cristiana o se ho voltato lo sguar-do al mio pari, se ho assunto compor-tamenti di mera facciata. Era più divertente il pensiero del fachi-ro, ma certamente meno utile a me, almio prossimo, alla comunità cristianae non.

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Foto di CIRO CILIBERTI

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di LUISA IACCARINO

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L’Amore ha le mani bucate

Queste sono solo alcune delledomande che, nei Vangeli, ven-gono poste a Gesù e se ci pen-

siamo bene, esse non sono poi cosìdiverse da quelle che ci siamo posti e ciponiamo quando ci accostiamo allaParola di Dio.

Sono interrogativi che delineano unmodo di vivere e di concepire il rappor-to con l’altro ben preciso che trova isuoi pilastri nell’egoismo del “do utdes”, nella tendenza a quantificare cer-cando il proprio tornaconto, nel preser-vare la propria vita dalla minaccia dellafragilità altrui.

Le parole, l’esempio e i gesti di Gesùmettono a dura prova e scardinano que-sta logica del profitto: non puoi accu-mulare tutti i tuoi beni e tenerteli stret-

ti perché marciranno anziché portarefrutto, non puoi pensare alla vita comea un gioco da tavolo il cui obiettivo èsalvarti, schiacciando gli altri se necessa-rio, limitandoti a rispettare sterili regole.L’importante non è spendere ma spen-dersi e, se osservi bene, la fame che sof-fre la persona che ti sta di fronte nonpuò essere saziata con un semplicepezzo di pane ma devi dare te stesso,perché far riempire lo stomaco è sempli-ce, è per riempire il cuore che bisognaimpegnarsi e compromettersi.La vita non è possesso ma un continuodonarsi con amore e per Amore.

Prendiamoci un momento per riflettere: Dio ci sta chiedendo: «Dov’è tuo fratello?» (Gn 4,9)E noi, come stiamo rispondendo?

«Come possiamo trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?» «Se mio fratello commette colpe contro di me quante volte dovrò perdonargli?»«Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?»«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa dunque ne avremo?»

(Dal Vangelo di Matteo)

Foto di CIRO CILIBERTI

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Quando si decide di dare, non sitorna indietro. Il dono è un“per sempre” sussurrato, un

ricordo che rimane nel cuore di chi dà edi chi riceve. Il dono è silenzioso, nonalza la voce per farsi acclamare, ma siinfila sotto la porta, si fa piccolo pernon farsi riconoscere, per poi ingrandir-si nell’anima di chi lo riceve. Chi dà, dàe basta. Senza secondi fini, senza spera-re di ottenere nulla in cambio, undomani. Un dono, lo si fa per il gusto difarlo, perché mentre si dona si ottienequalcosa che è ben lontana dal materia-le. Si ottengono, al contrario sensazioniche vanno molto più in profondità, chescavano nei meandri delle nostre vite eci danno la certezza che non siamonulla senza l’altro. Quando si dà qual-cosa, ci si guarda negli occhi. E si è indue, non si è più soli. Chi tiene tuttoper sé, chi non sa condividere quelloche ha, non moltiplica il proprio benes-sere, ma lo spegne piano, senza accor-gersene. Ma non parlo di oggetti. Parlodi tempo, di amore, di vita. Quando sidivide il proprio tempo prezioso conqualcuno, si dona una parte di se stessi.

Quel tempo che si dà, non torna più maresta eterno in due persone, il benesse-re si moltiplica, il sentirsi compresiaumenta, il calore inizia a riscaldare icuori, gli occhi si accendono, le vite siintrecciano. È un modo per dire: “que-sto è il nostro tempo, nessuno potràrubarcelo.” Se diamo qualcosa a qualcu-no, facciamo in modo che quel qualco-sa sia intriso d’amore. L’amore può esse-re contagioso. Quello che noi seminia-mo, potrebbero raccoglierlo personeche passeranno dove noi stessi siamostati. Se diamo amore, qualcunopotrebbe seguire il nostro esempio e ini-ziare a seminarlo a sua volta e tuttosarebbe migliore. Se dessimo anche solola più piccola parte del buono che ciportiamo dentro, invece di far prevalerela parte più egoista di noi, piano, tuttosi aggiusterebbe. Prendiamoci un impe-gno, scaviamoci dentro, troviamo quelgranello di noi che vogliamo iniziare acondividere con l’altro e aumentiamosempre di più le dosi. Dividendo le cosebelle, magicamente, si moltiplicano.Proviamoci.

Condividi e raddoppia!Se lo fai, fallo per soddisfare te stesso con l’altrui sorriso e aiuta comevuoi, con quello che puoi, chiunque, dimenticando di averlo fatto.

di ROSA MATARAZZO

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di VINCENZO FIORENZA

Carità, politica, giustizia...Un vincolo indissolubile per ogni società cristiana

Èpiù facile che un cammello passiper la cruna di un ago, che unricco entri nel regno dei cieli.

(Mt. 19, 24)

Questa famosissima frase del Vangelo ciriporta al senso profondo del ragiona-mento che vorrei fare con voi. Partiamodal brano. “Un tale gli si avvicinò e glidisse: «Maestro, che cosa devo fare dibuono per ottenere la vita eterna?». […]Se vuoi entrare nella vita, osserva icomandamenti». Ed egli chiese:«Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere,non commettere adulterio, non rubare,non testimoniare il falso, onora il padree la madre, ama il prossimo tuo come testesso». Il giovane gli disse: «Ho sempreosservato tutte queste cose; che mimanca ancora?». Gli disse Gesù: «Sevuoi essere perfetto, va', vendi quelloche possiedi, dallo ai poveri e avrai untesoro nel cielo; poi vieni eseguimi». Udito questo, il giovane se neandò triste; poiché aveva molte ricchez-ze.” – È a questo punto che Gesù pro-nuncia la frase ad effetto: “È più facileche un cammello passi per la cruna diun ago, che un ricco entri nel regno deicieli”. Immaginiamo la faccia dei disce-poli. Quantomeno saranno stati per-

plessi. Cosa avrà voluto dire il Maestro?Come fa un cammello a passare per lacruna di un ago? Perché la ricchezzadovrebbe rendere così complicato averela vita eterna? E poi, di quale ricchezzasta veramente parlando Gesù?

Proviamo ad attualizzare l’esperienzadel giovane ricco. Facciamo finta, perun momento, che egli partecipi ad unincontro con il nostro Vescovo e che,dopo aver vinto la sua timidezza, chiedaal Pastore quali siano i doveri di unbuon cristiano qui, oggi, nella realtà incui si trova a vivere. Non pensate che Padre Beniamino glirisponda così come aveva rispostoGesù? “Figlio, tu sai quanto è grande ilmio amore per te. Oggi mi dai una gioiaimmensa perché vuoi guadagnare la vitaeterna. Io ho sempre pregato per te, per-ché tu ti accorgessi che la ricchezza dasola non basta a renderti felice, perchétu imparassi a guardati attorno percogliere il dolore che è disseminato suquesta povera terra. Lo senti? È il grido di milioni di persone, come tee come me, che chiedono pace, giusti-zia, cibo, una casa, un futuro per i pro-pri figli. Fatti grande, supera l’ostacolodella paura, che pure è legittima e che io

La carità senza la fede

non ha senso. Le due cose vanno

tenute insieme.Benedetto XVI

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comprendo, abbi pienamente fiducia inDio, ascoltalo, senti la sua voce che è neltuo cuore, lascia che il seme dell’Amore,piantato in te dal Battesimo, germogli efaccia frutto, distribuisci il Bene che rie-sci a fare giorno per giorno e, quandosenti che le forze tue, da sole, non basta-no, non stancarti di pregare, e di prega-re ancora, senza mai perdere la speranza. Così vivendo, diventerai un vero figliodi Dio e fratello di ogni uomo, perchéavrai usato le tue ricchezze per dissemi-nare Amore”. A questo punto, cosa faràil giovane? È chiaro che noi possiamosolo immaginare una risposta che nonavremo mai realmente.

Sono reali, invece le Nostre risposte,quelle di ciascuno di Noi, qui, ora, nelnostro tempo, nella nostra storia. Sono reali le risposte di milioni diUomini e Donne di ogni parte delmondo che hanno già deciso, che stan-no già lavorando, che hanno già distri-buito le loro ricchezze diventando pove-re in Cristo, ma ricche dell’Amore cheda Lui discende. Sono gli Uomini e leDonne di buona volontà che fannovolontariato, che sono vicini a chi sof-fre, che si impegnano quotidianamenteper donare sorrisi ai bambini negli ospe-dali, che svolgono il loro lavoro con pas-sione, abnegazione, serietà, sacrificiopersonale, sono i Padri e le Madri difamiglia che non perdono mai la speran-za che i loro figli sapranno vivere la lorovita pienamente e santamente, sono inostri Sacerdoti, i nostri Religiosi, le

nostre Suore, che non fanno mai man-care il loro sorriso, le loro braccia apertea chiunque ne abbia bisogno, sono inostri Politici quando svolgono il loromandato come fece Giorgio La Pira che,come sindaco di Firenze, disse: “10.000disoccupati, oltre 200 sfratti [...],17.000 libretti di povertà [...]. Scusi: davanti a tutti questi "feriti", but-tati a terra dai "ladroni" – come dice laparabola del Samaritano (Lc 10, 30ss.) –cosa deve fare il sindaco, cioè il capo edin certo modo il padre ed il responsabi-le della comune famiglia cittadina? Puòlavarsi le mani […]?”. È il nostro grande Papa Francesco che,con il suo stile, il suo humor, la suacapacità di cogliere fino in fondo ilverso senso delle cose sa dire parole diincoraggiamento ad ognuno di noi edarci la forza necessaria per guardareavanti, per non fermarsi all’albero che siabbatte con immenso fragore, ma dicontemplare la foresta che, silenziosa,continua a crescere e crescerà sempre,opera misteriosa della vita. Questa (per me) è la Carità che si fapolitica, che rende giustizia, che donasperanze. s

GIORGIO LA PIRA

(1904 - 1977) è stato unpolitico italiano, sindaco di Firenze

«Ognuno di noideve recuperaresempre più concre-tamente la propriaidentità personalecome cittadino, maorientato al benecomune». E «se ilcittadino è qual-cuno che è convo-cato e obbligato acontribuire al benecomune, per ciòstesso fa politica,che, secondo ilmagistero pontifi-cio, è una formaalta della carità».

Cardinale Jorge Mario Bergoglio

A lato foto di CIRO CILIBERTI

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Beato Pier Giorgio Frassati«Ognuno di voi sa che base fondamentale della nostra religione è lacarità, senza di cui tutta la nostra religione crollerebbe, perché noinon saremo veramente cattolici finché non adempiremo, ossia nonconformeremo tutta la nostra vita ai due comandamenti in cui stal’essenza della fede: nell’amare Iddio con tutte le nostre forze enell’amare il prossimo come noi stessi»

di PASQUALE VELLECA

Pier Giorgio Frassati nasce a Torinoil 6 aprile 1901. Il padre è proprie-tario del quotidiano «La Stampa»,

nonché stretto amico del primo mini-stro Giovanni Giolitti e lui stesso diven-terà ministro. I gravosi impegni gliimpediscono di seguire l’educazione diPier Giorgio e della sorella Luciana,nata nel 1902, così spetta alla madreAdelaide, pittrice e legata ai precetti reli-giosi, senza troppi approfondimenti spi-rituali, l’educazione dei figli. Cresciutoin una famiglia alto borghese e pocounita, attenta più all’apparenza cheall’essere, Pier Giorgio portò la tempestanella sua casa, rappresenta il figlio deinostri giorni: cresciuto nel benessere enella superficiale attenzione ai principievangelici. Pier Giorgio matura perso-nalmente la sua sete di Dio e diventaautodidatta del Vangelo.L’entrata all’Istituto Sociale dei padriGesuiti è un momento decisivo. Iniziaad intensificarsi il suo percorso di fedecon la comunione quotidiana, e d’ora inpoi l’eucaristia sarà il centro della suavita. A 17 anni entra a far parte dellaConferenza di San Vincenzo, assumen-do così un impegno costante di carità. In casa non viene compreso, recita ilrosario quotidianamente in una casadove non si prega, non ambisce ad occu-pare un posto di rilievo nella societàcome invece suo padre ha sempre fattoraggiungendo il successo. È il giovaneche invece di studiare, come i suoi geni-tori vorrebbero per raggiungere presto la

laurea in ingegneria, “perde tempo” congli amici della San Vincenzo, della Fuci,del Partito Popolare di don Luigi Sturzo,nel convento dei padri domenicani,nelle sacrestie delle chiese per serviremessa, invece di pensare ai doveri di unrampollo del suo rango si occupa di pre-ghiere, di celebrazioni eucaristiche, diletture spirituali. Il suo impegno politi-co e sociale fu una diretta conseguenzadel suo modo di sentirsi cristiano, nongli era sufficiente aiutare i poveri, anda-re nelle loro misere soffitte, nei tuguridove la malattia e la fame si confondeva-no nel dolore, non gli bastava portare aidiseredati una parola di conforto, carbo-ne, viveri, medicinali e denari, volevadare una soluzione a quei problemi dimiseria e di abbandono e la politica gliparve la via idonea per fare pressione làdove si decideva la giustizia. A quel tempo molti ragazzi e ragazze si

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recavano nelle soffitte della Torino pove-ra a portare la loro assistenza. Ciò chedistingueva Pier Giorgio dagli altri era lostatus a cui apparteneva, lui il figlio del-l’ambasciatore d’Italia a Berlino, lui ilfiglio del senatore, questuante per i suoipoveri, e per essi ridursi al verde così darincasare fuori orario per non avere nep-pure i pochi centesimi per il tram. Alcuni amici lo chiamavano «il facchinodegli sfruttati» e certi inventarono perlui una sigla speciale: «FIT», «FrassatiImpresa Trasporti». Spesso infatti lo sivedeva trascinare per le vie di Torinocarretti pieni di masserizie per i suoipoveri, andare nelle soffitte del centro,ma anche in povere case della periferia,dove portava di tutto: generi alimentari,legna, carbone, vestiti, mobili…La sorella Luciana ha rivelato che a casaPier Giorgio passava per uno sciocco e lotenevano piuttosto a corto di quattrini,per poter dare agli altri, egli doveva spes-so privarsi non del superfluo ma delnecessario. Che cosa abbia fatto per lenumerose famiglie povere di cui si cura-va, risulta da mille episodi pieni di cari-tà e da mille testimonianze riconoscenti. Non era la sua, una carità ottusa: “dare èbello diceva, ma ancor più bello è met-tere i poveri in condizione di lavorare”. Sapeva bene che la carità era anzituttouna questione di giustizia sociale.Nell’ultimo anno della sua vita PierGiorgio s’innamorò di una ragazza,Laura Hidalgo, rimasta orfana giovane,laureata in matematica. Non le confessòmai il proprio sentimento, “per non tur-barla”, come scrisse ad un amico. Ma lavera ragione per cui non le dichiarò ilsuo amore fu la netta opposizione dellafamiglia di lui, che non avrebbe maiaccettato per l'erede dei Frassati unaconsorte che non fosse stata d'altolocatae prestigiosa provenienza sociale. Rinunciò quindi a questo amore pernon suscitare pesanti discussioni in casa,e non incrinare ulteriormente il rappor-to tra padre e madre, che già in quel

momento versava in gravi difficoltà.Tuttavia questa scelta fu per PierGiorgio causa di sofferenza, ma luiseppe trovare il modo di affrontarla.«Nelle mie lotte interne mi sono spessevolte domandato perché dovrei io esseretriste? Dovrei soffrire, sopportare amalincuore questo sacrificio? Ho forseio perso la Fede? No, grazie a Dio, la miaFede è ancora abbastanza salda ed allorarinforziamo, rinsaldiamo questa che èl'unica Gioia, di cui uno possa esserepago in questo mondo. Ogni sacrificiovale solo per essa».La morte sopraggiunge rapidissima. Viene colpito dalla poliomielite fulmi-nante, forse contratta in una delle tantemisere case da lui visitate. Sei giorniappena per corrodere quel fisico sano eforte di 24 anni. E ancora una volta lafamiglia non lo comprende: tutti sonoattenti all’agonia dell’anziana nonna,non accorgendosi della gravità del suomale. Non un lamento uscirà dalla suabocca, non una richiesta. «Il giorno dellamia morte sarà il più bello della miavita» aveva detto ad un amico. Quelgiorno arrivò il 4 luglio 1925. Le grandi incomprensioni del padreAlfredo verso Pier Giorgio svaniscono difronte alla bara del figlio “ribelle”, allaquale rendono omaggio, con suo scon-certo, migliaia e migliaia di persone e dipoveri della Torino semplice e umile. Tutti presenti non per i meriti del nomeFrassati, ma per Pier Giorgio, solo perciò che lui ha rappresentato e qualcunoscoprirà dopo che quel giovane pronto asoccorrere tutti era il figlio del senatore edirettore de La Stampa. Proprio da quiAlfredo inizia a scoprire la vera identitàdi Pier Giorgio, la sua grandezza umanae spirituale, che condurrà lui, non cre-dente, dopo un lungo travaglio spiritua-le alla conversione, realizzando il primogrande miracolo del beato Pier GiorgioFrassati la cui breve, ma intensa esisten-za, fu la realizzazione, nel quotidiano,dello straordinario nell’ordinario.

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Martedì 23 settembre alPalamangano di Scafati si èsvolta l’ultima giornata del-

l’assemblea diocesana, nel corso dellaquale è stato presentato l’InstrumentumLaboris intitolato “Discernimentocomunitario e annuncio del Vangelo”,che costituisce la Traccia di lavoro per ilSinodo diocesano.Il vescovo ha esordito affermando che lostile e il metodo del Concilio VaticanoII è stato quello del discernimentocomunitario e lo stesso faremo noi conil nostro Sinodo diocesano. Tutti insie-me, presbiteri, diaconi, religiosi e laiciascolteremo e ci interrogheremo nonper contemplarci allo specchio, ma peressere adatti al Vangelo da annunziareed al mondo da salvare. Il tempo che viviamo è difficile, maquesta complessità non può diventareun alibi, non possiamo sfuggire dallenostre responsabilità, c’è un tempo checi chiama ed abbiamo il dovere di ten-tare una risposta. Il momento culturale è peggiore diquello del Concilio, dove c’era una spe-ranza di cambiamento. Oggi inveceviviamo un’accidia culturale, spiritualeed umana, una psicologia della tombaed una quaresima senza Pasqua, comedice papa Francesco. Ma la Chiesa non può cedere alla tenta-zione dello scoraggiamento, dimenti-cando la Pasqua del Signore. Il sinodo èun momento di grazia che non deveinventare laboratori pastorali o nuoveprogrammazioni. Vogliamo invece vivere il sinodo comeun evento spirituale: il protagonista è loSpirito che guida alla verità tutta intera.

Ci serve lo Spirito, non la sociologia. Ilsinodo è un evento ecclesiale, coinvolgetutta la Chiesa di Nola, nessuno esclu-so, perché la Chiesa siamo noi. La Chiesa ama tutti e vuole il bene ditutti. Vogliamo fermarci accanto a tuttiper offrire l’olio della consolazione ed ilvino della speranza. Il filosofo Kierkegaard diceva che la piùgrande eresia è scherzare col cristianesi-mo, perché il cristianesimo è Dio, èvita, non fantasia. Dinanzi a noi c’èl’oggi di Dio. Il cristiano è l’uomo delpresente. Siamo responsabili del presen-te che Dio ha affidato al nostro impe-gno. Mons. Brambilla nel suo interven-to ci ha chiesto di riprendere l’ereditàdel Concilio. Dobbiamo rilanciarel’identità cristiana, ripensando con stilie linguaggi nuovi l’esperienza cristianache non è fatta di riti, ma è vivere inCristo, consapevoli di essere figli di Diochiamati alla divinizzazione. È un impegno non facile in questotempo di grigiore, ma è quello che vuolelo Spirito. Le nostre parrocchie hannosia punti di forza che di debolezza. Dobbiamo ripensare completamente ilnostro agire pastorale. Dovremo con-vertire in una logica missionaria edevangelizzatrice l’intera vita della chiesa:la liturgia, la progettazione pastorale, lacostruzione della comunità, l’impegnoeducativo e formativo, il servizio all’uo-mo – in particolare ai poveri. Che tipo di servizio alla fede offriamoper una coscienza credente? L’impiantocatechistico è datato e non va più bene. La fede va proposta sempre ed a tutti,non va mai supposta. La prima questio-ne è quella della fede. Vogliamo pensare

settemiglia | Anno V14

La voce del PadreDiscernimento comunitario ed annuncio del Vangelo(assemblea del 23 Settembre al Palamangano di Scafati)

di PASQUALE VIOLANTE

Dobbiamo ripensare

completamente il nostro agire

pastorale.Padre Beniamino

Dobbiamo scom-mettere sui laici. Il Vangelo deve

camminaretramite i laici.

Padre Beniamino

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alla fede degli adulti, perché oggi cimanca l’adulto. Servire la fede degliadulti affinché siano poi gli adulti a tra-smettere la fede. È una rivoluzionecopernicana da attuare. La fede animitutta l’esistenza, ne sia la spina dorsale. Ma il servizio alla fede passa attraversol’ascolto della Parola, l’educazione alloSpirito della liturgia, l’educazione allapreghiera, l’accompagnamento spiritua-le. Si ha sempre bisogno di un padre spi-rituale nella vita.Riguardo all’esperienza ecclesiale, pos-siamo dire oggi con lo scrittore GeorgesBernanos, che abbiamo una chiesa dicartapesta. Abbiamo le piccole eresieparrocchiali che avvelenano il corpo delSignore. Dobbiamo elevare le relazioniperché ci sia un clima di fraternità. Riscopriamo l’appartenenza, il rapportotra unità e diversità, la reciprocità, lacomplementarietà. Io in voi e voi in me:uno nell’altro. È faticoso, ma è questal’esperienza ecclesiale. Dobbiamo scom-mettere sui laici che hanno una respon-sabilità ed una dignità proprie. Il Vangelo deve camminare tramite ilaici. La Chiesa deve essere missionaria,non autoreferenziale, ossessionata dallecose da fare, ma in uscita, deve sentirel’odore delle pecore. Ci vogliono missio-nari capaci di incontrare l’uomo. Il Verbo è uscito dalla Trinità e si èmesso in cammino a cercare l’uomo perdirgli: “sei amato da Dio”. È questo ilmessaggio più grande del cristianesimo.Non si può dire: “ma si è sempre fattocosì”. Ci vuole una Chiesa più leggera emeno burocratica, che ascolta, non cherisponde. Ascoltare le vere domandedella gente, entrare nelle periferie esi-stenziali dove Gesù deve entrare perchédove c’è degrado c’è la negazione delVangelo. Dobbiamo rendere i luoghi didegrado luoghi umani e di vita. Giovanni Paolo II affermò che Parola diDio e dottrina sociale della chiesa vannoinsieme, altrimenti crollano entrambe. La Chiesa deve essere attenta a tutti i

problemi del territorio, che non è unluogo sociologico, ma teologico. È dalterritorio che partono i messaggi di Dio.Dio non ha creato le anime, ma l’uomoe la Chiesa deve essere attenta a tuttol’uomo. Dobbiamo curare la dimensio-ne culturale: senza cultura non si cresce.Porsi domande, leggere in profondità. Ilmale peggiore della nostra società è chenon c’è più pensiero. I nuovi soggetti pastorali sono la fami-glia e i giovani. La famiglia deve diven-tare soggetto, non oggetto di pastorale.La pastorale si costruisce con le famiglie,non sulle famiglie. La famiglia deveessere accompagnata in ogni fase dellavita. Dopo il matrimonio non possiamoabbandonare gli sposi, perché nondimentichino che dentro portano, comeanche noi preti, il mistero di Dio. La chiesa non cerca i giovani, ne hapaura, li ha consegnati alle associazioni,ma una parrocchia non può delegare ilservizio pastorale ai giovani. Una madre non dimentica mai i suoifigli e la Chiesa è madre. Tutti i giovanisono da seguire. Nell’Instrumentum laboris non ci sonotutte le questioni: altre verranno fuoridalle parrocchie. Aiutateci ad aprire gliocchi. Dovete dirci in quale campo dob-biamo impegnarci come chiesa. Nel libro dei Numeri Mosè si lamentacon Dio dicendogli: “Non posso io dasolo portare il peso di tutto questopopolo; è troppo pesante per me” (Nm11, 14). E Dio dice a Mosè di radunaresettanta uomini tra gli anziani d’Israeleche “porteranno insieme a te il caricodel popolo e tu non lo porterai più dasolo” (Nm 11, 17). Ed anche io nonposso portare da solo il peso di tutto ilpopolo dei fedeli della chiesa di Nola. Vi chiedo di aiutarmi. Siete voi che par-tecipate a questo sinodo i settantauomini che Dio mi ha messo al fiancoper portare il peso del popolo di Dioche mi è stato affidato.

15settemiglia | Anno V

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La pastorale sicostruisce con lefamiglie, chedevono essereaccompagnate in ogni fase della vita.Padre Beniamino

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settemiglia | Anno V16

Vogliamo aiutarele persone che

vivono in con-dizioni disagiate,

sostenerle lungo lavia del riscatto

sociale ed economi-co, offrendo loro la

possibilità diriprendere in

mano il propriodestino.

Pasquale Coppola

di MARIANNA MILANO

Troppo facile, spesso, per chi facarità dire che la sua essenza siala gratuità, la vicinanza al pros-

simo, la generosità. Facile anche, però,che si possa cadere nell’errore di limi-tare la stessa a semplice aiuto, offerta,soccorso, relegandola così ad una logi-ca di assistenzialismo e compassione.Carità non deve e non può essere soloqualche donazione fatta ai poveri e aibisognosi o ancor peggio pietà per chisoffre: questo significherebbe conside-rare il prossimo come “altro” da noi,come un soggetto discosto da noi enon come qualcuno con cui condivi-dere qualcosa, col quale stabilire unrapporto di reciprocità.Per chi, come noi di Trame Africane,opera nel campo della solidarietà

diventa pertanto doveroso riconoscerein essa, come costitutiva, la dimensio-ne della prossimità intesa come incon-tro, come relazione interpersonale,come ascolto e soprattutto come pro-mozione umana. Ed è proprio questo ideale del vivere lasolidarietà come prossimità che ispiral’operare della Onlus: il nostro nonvuole essere assistenzialismo che creadipendenza dagli aiuti ma una solida-rietà totale con interventi mirati almiglioramento delle condizioni di vitadei tanti che nella regione del Meru inKenya vivono in condizioni disagiate. Tale scelta di prossimità porta dentro ildesiderio profondo di aiutare loro adessere protagonisti del proprio riscattosociale ed economico e non spettatori

Trame Africane Onlus Non per carità, ma perché non c’è gioia più grande.

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17settemiglia | Anno V

Il nostro compito èquello di creare lecondizioni per unosviluppo sostenibilesenza fermarciall’assistenzialismo,che seppur neces-sario, non creaautonomia.

Pasquale Coppola

passivi perché costretti, da una storia eda un luogo a non avere scelta. Prossimità e vicinanza vissuta quindicome concretezza, accompagnamentoe presenza viva, fornendo loro mezzi estrumenti che li rendano attori dellaloro vita e non semplici destinatari deinostri aiuti. Ecco allora le borse studioper dare la possibilità ai tanti ragazzivolenterosi di formarsi, svilupparecompetenze e potersi creare il propriofuturo. Od anche l’orfanotrofio e l’asi-lo per accogliere, strappare dalla stradae inserire in un primo processo di sco-larizzazione i bambini per non lasciarliabbandonati ad una vita senza speran-za. Ecco ancora l’assistenza agli anzianidel villaggio affinché non si sentanosoli ed impotenti nei confronti di unavita che è stata già severa con loro.

Prossimità come capacità di ascoltoanche, come lettura del territorio, deibisogni della gente e non come impo-sizione di metodi predefiniti: ritenia-mo infatti che aiutare significhi innan-zitutto rispettare le culture locali evalorizzare oltre che promuovere lerisorse del luogo come motore di svi-luppo. Da qui il confronto costante econtinuo con chi vive nei luoghi d’in-tervento, in particolare i nostri par-tners locali ovvero le Little Sisters ofSt. Therese of the Child Jesus in Kenyache ben conoscono le esigenze e lenecessità del posto.

Prossimità infine come speranza egioia condivisa: speranza contro lapovertà, contro le difficoltà che unaterra come quella africana presenta,speranza contro i pregiudizi che unimpegno del genere comporta. Gioia per una vita salvata, per unaragazza diplomata, per un giovane lau-reato, insomma per la realizzazione diun sogno che è di entrambi e non solonostro. “Se qualcuno ha fame non regalargliun pesce ma insegnagli a pescare. Solocosì non lo avrai sfamato per un gior-no, ma per sempre”.La prossimità vissuta in questa logica èun vero e proprio impegno: richiedeenergie, tempo, risorse economiche emateriali ma ciò che ne deriva è quan-to di più bello si possa avere.

ASSOCIAZIONE ONLUS

TRAME AFRICANE

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“Dall'ingresso della città allacattedrale la strada è ancoralunga, ma l'ansia cresce, il

cuore inizia a battere forte, nonostante sicammina in piano, si stringe un nodoalla gola, gli occhi non riescono a tratte-nere le lacrime, le mani si stringonoancora più forte e poi, poi eccola maesto-sa, imponente, la cattedrale di Santiagodi Compostela, la nostra meta, la fine(inizio) del nostro pellegrinaggio”.Mi piace raccontarvi il nostro pellegri-naggio proprio da qui, dalla fine, dalmomento in cui abbiamo realizzato chece l'avevamo fatta, che la meta tantodesiderata era lì a vista d'occhio.Non sto ora a dirvi il perché è iniziatotutto, o come ci siamo preparati; è bellocondividere qui con voi la gioia di queimomenti, la fatica del cammino el'emozione di dire: “ce l'abbiamo fatta”.Il nostro cammino verso Santiago deCompostela (luogo in cui si conservanole spoglie di san Giacomo) è iniziato daSarria, piccolo paese a 120 km circadalla meta: le cose che più ci hanno col-pito, però, non sono stati certo i chilo-metri fatti in pochi giorni o le condizio-ni meteo avverse; l'esperienza vissuta ci

ha riempito lo zaino, gli occhi, il cuoree la mente.Nel nostro camminare abbiamo costeg-giamo campagne, boschi e strade stata-li, in un cocktail di odori, colori, profu-mi e rumori: lì dove l'uomo non mettemano si resta a bocca aperta per la bel-lezza del creato.Ogni passo lungo la strada era accom-pagnato da una “musichetta”, una spe-cie di ritornello in filodiffusione: era lavoce di ogni pellegrino che ripetevaall'infinito “Hola! Buen Camino!”.Non era solo il consueto saluto che siscambiavano i pellegrini, ma era davve-ro il modo per dire a chiunque, di qua-lunque nazionalità fosse, “eccomi, sonoqui in cammino anche io, sono anche ioal tuo fianco”. In quattro giorni abbia-mo ripercorso una parte del camminofatto da Giacomo (Giacomo il maggio-re), colui che tra i dodici che è statocapace di scegliere, colui che tra la vita eGesù, ha scelto Gesù.Durante il nostro cammino abbiamoriattraversato le tappe del percorso dimilioni di pellegrini, provenienti da ogniparte del mondo, che ogni anno (dasecoli) decidono di camminare lungo la

Verso Santiago...Quando ti senti ormai stanco e sembra inutile andar,tu vai tracciando un cammino, un altro ti seguirà.

di SERENA CAVALLARO

settemiglia | Anno V18

La barca è piùsicura nel porto.

Ma non è perquesto che le

barche sono statecostruite.

Paulo Coelho

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strada jacobea, per vivere una forte espe-rienza di fede e di crescita personale.Abbiamo incontrato, infatti, ben pochiitaliani; per il resto un mix di europei,americani e addirittura asiatici: il cam-mino di Santiago è davvero itinerarioculturale/religioso europeo e non solo.Il cammino è stato, inoltre, un'impor-tante occasione per scontrarci con inostri limiti e le nostre debolezze, con lanostra voglia di fare e di andare avanti:è stata soprattutto un'importante occa-sione di crescita spirituale e di avvicina-mento al Signore.La strada fino a Santiago deve essere,infatti, un'occasione di unione con ilSignore, o meglio di comunione; deveessere fatta in silenzio e meditando;deve unirci con tutti, anche con chi ciha fatto del male.È questo forse il più grande insegna-mento che portiamo a casa.Da qui è ripartito il nostro cammino;dal momento in cui siamo tornati eabbiamo iniziato a camminare in mododiverso, arricchiti da un'esperienza indi-menticabile.Da quando siamo rientrati, mi risuonasempre una delle canzoni che mi haaccompagnato durante la strada: “Cherumore ha la felicità?”. Mi rispondo chela felicità è il rumore dei nostri passi suisentieri umidi, mentre la pioggia scende

giù; è il rumore dei pellegrini che tiaugurano buen camino; è il rumore deinostri cuori che battono ancora piùforte dopo una salita; è la gioia che silegge nei nostri occhi pian piano che ciavviciniamo alla meta, nonostante legambe chiedono di fermarsi.Ora abbiamo una missione: portare connoi la gioia dell'essere pellegrini, le paroledi don Fabio (il nostro angelo del cammi-no), la nostra testimonianza e far capire atutti il vero senso del cammino diSantiago, con la consapevolezza che ilcammino da oggi continua dentro di noi.

19settemiglia | Anno V

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Le cose non cam-biano mai tantocome quando cambiamo dentronoi stessi.(nell'albergue diLos Arcos)

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settemiglia | Anno V20

di FRANCO CIPRIANO

Il lontano mondo prossimoI viaggi della fotografiaL’umanità di Sebastião Salgado. I luoghi di Ciro Ciliberti.

La fotografia ha una natura contro-versa. Sospesa tra documento earte, tra tecnica e senso, si presen-

ta in diverse forme, manifestando nellasua prismatica dimensione le duplicitàdella sua “potenza”: dispositivo di pro-duzione di immagini e di archiviomemoriale. Nata come pura apparizio-ne di luce con Niepce e fissata chimica-mente da Daguerre, l’immagine fotogra-fica è la matrice della riproduzione cru-ciale della modernità. In tutte le sue pos-sibilità di rappresentazione la fotografiaha sconvolto il rapporto tra il soggetto eil mondo. Ha frammentato lo sguardoin vedute istantanee, scoprendo aspettidel reale che nel fluire temporale dellecose sono invisibili. La riproducibilitàdell’immagine ha declinato il linguaggiofotografico come espansione dell’imma-

ginario di massa. La perdita dell’aura, lascomparsa, cioè, di quell’unicità cherende un’immagine oggetto di “culto”,sacro o umanistico che sia, ha proiettatola fotografia nel dispositivo dei consumipopolari attraverso le diverse articola-zioni della sua produzione, dal foto-giornalismo al fotoromanzo, dalla foto‘artistica’ alla foto di guerra, dalla ripre-sa documentale al ritratto celebrativo.Ma nella fotografia, nella sua essenza,permane una precipua interrogazionedella realtà, dello spazio e del tempo. L’immagine è segno di una lontananza,come un addio alle cose presenti . Comecalco iconico della realtà, si ha memoriadi un evento se ne facciamo immagine,se lo sospendiamo nel fluire del tempo.Susan Sontag scrive che “i fotografisono produttori di nostalgia”, forse per-

Foto di SEBASTIAO SALGADO

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21settemiglia | Anno V

ché ‘danno luogo’ a cose non più pre-senti, al tempo irrimediabilmente tra-scorso (Roland Barthes parla di relazio-ne tra immagini e morte). Ma l’immagi-ne può altresì essere la cucitura, il lega-me con le cose lontane, cose che nonvediamo e non pensiamo, non-realiquindi, al più immaginabili. La fotogra-fia è in questo caso spazio di relazionecon l’altro, di ravvicinamento fino alrispecchiamento psichico dell’alterità.Accade quando l’immobilità della fotova oltre il suo limite, entra in un “campocieco” dice Barthes, chiamando pun-ctum la possibilità della fotografia che‘muove’ lo sguardo oltre i confini visivi,con un’apertura verso altro.

Se sul versante mediatico la visionefotografica è attivazione nel consumospettacolare e onnivoro delle immagini,nel loro depotenziamento anestetico delreale, in Sebastião Salgado ( un filmrecentissimo di Wim Wenders, “Il saledella terra”, ne racconta la vicenda di‘epocale’ artista) la potenza visiva per-viene a una perturbante eccedenza nel

‘sistema delle immagini’della cronaca esi fa linguaggio di ‘rivelazione’. Salgado,nel sublime narrare visivo delle profon-dità del mondo cerca ciò che è oltrel’orizzonte della nostra ordinaria scenaquotidiana, ha trovato nel presente ildolore del ‘tempo dell’uomo’.

In Sebastião Salgado la fotografia hal’intensità di un “atto di carità”; nonsemplice solidarietà con il dramma del-l’altro ma sussulto di una “originariaferita che apre all’amore del prossimo”,anche nella cura dell’incomprensibile,del senso dei margini assoluti delle esi-stenze. E “viaggi interiori nel cuore delletenebre”, dice Wim Wenders del ‘noma-dismo’ di Salgado. Ricerca di ‘qualcosa’dove riflettiamo anche la nostra umanaincertezza, la nostra “disincantata”ragione occidentale messa di fronte ascenari dove - dice lo stesso fotografo -si apre “davanti agli occhi tutta la storiadell’umanità”. L’umanesimo di Salgadoè tragico, il suo ‘viaggio’ si muove trasolitudine e relazione. Nella distanzache separa ‘gli spazi umani’ è possibile

Foto di CIRO CILIBERTI

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settemiglia | Anno V22

che accada la prossimità all’altro. La fotografia si manifesta appunto come‘luogo’ della condivisione del lontano,quando la relazione nasce nella corpo-reità dell’incontro come inquietudinedell’anima.

Lo mostra anche la fotografia dei voltiextra-ordinari di popoli sudamericani eindio-asiatici che da qualche tempoimpegna Ciro Ciliberti, poliedrico auto-re di Scafati. Ritrarre il tempo ‘straniero’(étranger, être ange, colui che viene dalontano come gli angeli) è la sua ‘icono-grafia’ di sguardi, corpi, gesti delle terredove la vita sembra connaturata altempo dell’anima, anche quando simanifesta nelle sue pieghe dolenti oludiche e gioiose. Lo sguardo del foto-grafo nasce prima della ragione, nascenella tensione di un desiderio.

Ciliberti ‘vede’ ciò che lo trascina, attra-verso i volti degli altri, sulla soglia diracconti che hanno memoria di unarcaico, originario, corpo del mondo, divite irriducibili a sistemazioni psico-

estetiche. La fotografia di Ciliberti sem-bra ‘riflettere’ la melanconia di altrepossibilità dell’essere. I fotografi viaggia-tori, com’è Ciliberti, cercano l’immagi-ne che si fermi sulla soglia del silenzio,quando nessuna parola può spiegare esolo il vedere ‘sensibile’ riesce a ‘sentire’.Nella pelle piegata dal tempo di un vec-chio, nei giochi ‘inutili’ dei fanciulli onel riposo degli animali o nella terrestrebellezza dei corpi femminili. È come sela fotografia cercasse di toccare la mate-ria vera del mondo e in questa impossi-bilità si decidesse la sua ricerca di lin-guaggio. L’immagine ‘soccorre’ ilmondo il cui sguardo ‘troppo pieno’non vede veramente. Lungo le vie ches’inoltrano nelle foreste o nei villaggi,nelle terre sconosciute ma anche nelletrincee delle guerre e nelle storie quoti-diane, i fotografi, come Ciliberti, segna-no la strada di un viaggio dell’anima,imprevedibile e ‘necessario’, incontro aldifferente, quando la memoria sconfinain altri luoghi, in altri tempi della terraabitata dal molteplice diffondersi e ‘con-sumarsi’dei destini umani.

A lato foto di SEBASTIAO SALGADO

foto diCIRO CILIBERTI

A lato foto di CIRO CILIBERTI

foto diSEBASTIAO SALGADO

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di FRANCO CIPRIANO

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23settemiglia | Anno V

Nella pagina foto di CIRO CILIBERTI

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settemiglia | Anno V24

di TONIA VITIELLO

Botteghe del mondo...Laboratori di pace

Ci sono realtà che difficilmentefanno rumore, o se lo fanno ètalmente delicato da non creare

scalpore. Realtà che vivono di prodottiche sostengono i lavoratori, in particola-re coloro che non hanno facile accesso almercato, che rispettano l’ambiente e chepromuovono un altro modo di produr-re, consumare, scambiare beni e saperi.Queste realtà sono molto più vicine diquanto si possa pensare o immaginare. Da quasi un anno presto il mio servizionella bottega del commercio equo soli-dale presente a Scafati. A quanti dicodove vado ricevo quasi sempre le stessedomande: “Che cos’è?” “Cosa si fa?” Il fenomeno del commercio equo soli-dale si è imposto all’attenzione naziona-le ed internazionale dalla fine degli anninovanta, ma ha tuttavia una radice piùantica, che risale almeno agli anni ses-santa. È in quel periodo infatti chediverse organizzazioni senza scopo dilucro intraprendono iniziative pionieri-stiche volte e favorire l’esportazione dimerci (prevalentemente derrate agricolee oggetti di artigianato) da parte di alcu-ni produttori marginali del sud delmondo per venderle a gruppi di consu-matori dei paesi occidentali ad elevatasensibilità sociale. Lo scopo è creare una

relazione paritaria fra tutti i soggetticoinvolti nella catena del commercioquali produttori, lavoratori, importato-ri, botteghe e consumatori. Giustizia sociale ed economica, svilup-po sostenibile, rispetto per le persone eper l’ambiente costituiscono la base diquesto mondo.Nella nostra bottega si possono trovareprodotti alimentari biologici tipici delcommercio equo e solidale come: pasta,farine, cereali, biscotti, condimenti,riso, creme spalmabili, cacao in polvere,orzo, quinoa, amaranto, cous cous, frut-ta secca e spezie. Non mancano bibite esnack per tutti i gusti. Come artigianatoc’è una vasta scelta di prodotti realizzaticon antiche tecniche di lavorazione.Attenzione particolare vorrei rivolgerlaal GAS (Gruppo Acquisto Solidale). Ilconcetto che sta alla base dei GAS èquello di "filiera corta", cioè l'avvicina-mento fra produttore e consumatorefinale, sia in termini geografici, privile-giando le aziende più vicine, sia in ter-mini "funzionali", tagliando gli inter-mediari quali i grossisti e i negozianti.Nel caso specifico ci si rivolge ad unproduttore di verdure biologiche localiche consegna la merce a chiunque ne siainteressato. Parlando per esperienza personale possodire che tutte le persone coinvolte inquesto mondo sono eccezionali. Adoro iloro sorrisi, la passione che ci mettononel sostenere e portare avanti tale pro-getto. Nulla viene dato per scontato eogni giorno ci si rinnova per restare alpasso coi tempi. Quando entro in bot-tega la prima cosa che faccio è inspirare.Esatto inspirare. Raccolgo tutta l’ener-gia positiva che c’è all’interno di essa.

BOTTEGA DEL COMMERCIO

EQUO E SOLIDALE

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via C. Battisti, 31Scafati (Sa)

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25settemiglia | Anno V

Dopo quindici anni dalla suasospensione dal Giro d’Italiadel 1999 per ematocrito più

alto della norma, dopo poco più di diecianni dalla sua scomparsa (trovato mortonella stanza D5 del residence “Le Rose”di Rimini), torna tutto in discussione.Tutte quelle che per molti sembravanocertezze, ora vengono ricoperte da unfitta coltre di dubbi e misteri. Le per-sone che gli erano vicine, i suoi familiaristretti e soprattutto la madre hannocontinuato a lottare perché sulla tragicafine della vita dello straordinario atletaromagnolo venisse fatta luce. All’epocadei fatti, tutti cavalcarono l’onda del-l’atleta eccellente che fosse improvvisa-mente diventato simbolo dell’indegnitànello sport, dell’atleta marcio che sim-boleggiasse il peggior sport mondiale.Niente male dal punto di vista mediati-co. Quelli che fino a qualche giornoprima di quel fatidico 5 giugno del1999 (sospensione dal Giro d’Italia allavigilia della partenza da Madonna diCampiglio) lo osannavano e loritenevano il più grande scalatore dellastoria del ciclismo, iniziarono a deni-grarlo, iniziarono a lapidarlo verbal-mente come si suol fare per la peggiorspecie di criminale. Su di lui si concen-trarono le attenzioni di molti pubbliciministeri che, come se ne sono vistitanti altri in Italia, hanno iniziato a cav-alcare l’onda mediatica al fine diottenere un pò di pubblicità, al fine dirubare la scena ad altri insigni colleghi.E pensare che in quegli stessi anni, la

magistratura si rifiutava di accogliere lerelazioni di professionisti dello statocome il commissario della criminalpolRoberto Mancini che avevano scopertoi meccanismi attraverso i quali lacamorra mortificava le terre dellaCampania accogliendo i rifiuti tossicidelle aziende del centro e del nordItalia. Ma no, in quel periodo, forse, erapiù remunerativo, dal punto di vistaprofessionale, buttare giù dalla bici quelMarco Pantani salito nell’olimpo dellosport delle due ruote per essere entratonella ristrettissima cerchia di atleticapaci di vincere, nella medesima sta-gione, Giro d’Italia e Tour de France. Eproprio la stessa camorra che uccideva iterreni della “Campania Felix”, pareavesse deciso di mettere fuori gioco il“pirata” per non sborsare ingentisomme di denaro per la sua vittoria nelGiro d’Italia del ’99. Il procuratore capodi Forlì, Sergio Sottani, coadiuvato dalPM Lucia Spirito e dal pool investigati-vo coordinato dal maresciallo Diana deicarabinieri, sta perseguendo una pistache in tanti hanno indicato come prob-abilmente determinante: quella dellescommesse clandestine, della camorra,degli interessi della mala, così come piùvolte rivelato anche dal leader dellamala milanese degli anni ’70 RenatoVallanzasca. Chissà, allora, che lafamiglia di Marco, e tutti quelli che glisono sempre rimasti vicini col cuore econ lo spirito, non ricevano presto ciòche cercano da quindici anni, ciò chemeritano: la verità.

Un “pirata” buttato giù dalla biciSulla scomparsa del campione di Cesenatico, l’ombra della camorrache ha “incendiato la Campania

Mi sono rialzato,dopo tanti infortu-ni, e sono tornatoa correre. Questavolta, però, abbiamo toccato ilfondo. Rialzarsisarà per me moltodifficile.Marco Pantani

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di FRANCESCO QUAGLIOZZI

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settemiglia | Anno V26

Sette, come i peccati capitali:Superpia, Invidia, Ira, Accidia,Avarizia, Gola, Lussuria.

“Lunga e impervia è la strada che dal-l’inferno si snoda verso la luce.”

Una. La certezza che l’uomo pecca. Continuamente, ogni giorno, e nonsempre se ne pente o, ancor peggio, sene rende conto.

Queste le premesse di uno dei grandithriller degli anni ’90 firmato DavidFincher e interpretato magistralmenteda Morgan Freeman e Brad Pitt, rispet-tivamente nei ruoli di due detective, chesi trovano ad indagare su una serie diomicidi ispirati, appunto, ai sette pecca-ti capitali.I nostri occhi sono costretti a inoltrarsisempre più nel buio di un’esistenza seg-nata dalla morte e dall’orribile con-vinzione che l’unica strada percorribilesia l’inferno. Sembra non esserci

soluzione per l’uomo che ogni giornodeve affrontare l’oscurità che cerca difarlo soccombere, cadere sempre più inbasso verso baratri senza fine. E allora cisi difende con la rabbia, l’orgoglio, laricerca smodata del potere e del piacere,con la competizione cattiva che godenel vedere l’altro cadere, il nemicoabbattuto e dilaniato, finalmente scon-fitto e infine, quando non ci resta piùniente, l’abbandono ci abbraccia cullan-doci con la nenia dell’apatia e dell’indif-ferenza.

“È che non riesco a continuare a viverein mezzo a gente che abbraccia e coltival'apatia come se questa fosse una virtù.[...] L'apatia è una soluzione, insommaè più facile stordirsi con qualche drogapiuttosto che dover affrontare la vita; èpiù facile rubare quello che si vuolepiuttosto che guadagnarselo. È piùfacile picchiare un figlio che educarlo.Diamine! L'amore costa, costa impeg-no, lavoro.”

> Error_riavviare il sistema tra SEVEN…

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di ELENA FIORENZA

Hemingway unavolta ha detto:

il mondo è un bel posto

e vale la pena di lottare per esso.

Condivido la seconda parte.

William Somerset (Morgan Freeman)

cit. dal film

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27settemiglia | Anno V

“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi laCarità, sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E seavessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, epossedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma nonavessi la Carità, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostan-ze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la Carità, niente migioverebbe. La Carità è paziente, è benigna la Carità; non è invidiosa laCarità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suointeresse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'in-giustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera,tutto sopporta. La Carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; ildono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imper-fetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto,quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bam-bino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, ora che sonouomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come inuno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Oraconosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, comeanch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: laFede, la Speranza e la Carità; ma di tutte più grande è la Carità!”

Dalla prima lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, 13

TITOLO ORIGINALE: SEVEN

PAESE DI PRODUZIONE: USAANNO: 1995

DURATA: 127 MIN

GENERE: THRILLER, DRAMMATICO

REGIA: DAVID FINCHER

Sai? Dovresti sentirti quando parli, davvero.

Tu... tu dici: "Il problema principale

è che la gente se ne frega..."

Usa il codice Qrin basso, per ascoltareil testo letto da RobertoPedicini direttamentesul tuo smartphoneo tablet.

Link: https://www.youtube.com/watch?v=D1zUuraIlpo

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