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SE VINCE LA LUCE Storie di emarginazione e di speranza Vincenzo Sorce

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Una testimonianza del dinamismo del Vangelo, contro una visione salottiera del cristianesimo. L’Autore ha una grande esperienza di collaborazione con diverse realtà ecclesiali, ma anche con organismi internazionali, come l’ONU.

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Se vince la luceStorie di emarginazione e di speranza

vincenzo Sorce

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Attraversare i territori dell’emarginazione e della sofferenza – che hanno tanti nomi: dipendenze, solitudine, abbandono, malattia, carcere... – e arrivare all’abbraccio della speranza.

Questo raccontano le esperienze dell’autore, condivise con le persone incontrate sul ciglio della strada, per le vie del mondo, e testimoniano la sua sfida ad accogliere nella propria vita il grido dei disperati, l’urlo dei poveri, la domanda di aiuto degli esclusi.

Dalla sua amata Sicilia al rosso Madagascar, dal contraddittorio Brasile alla rinata Europa dell’Est, dalla vivace Colombia alla giovane Tanzania, sono tanti i volti e le voci che si susseguono in queste pagine. Bambini, ragazzi, donne e uomini denunciano le ferite, le ingiustizie, le tragedie della loro vita, ma dimostrano anche la potente capacità di ognuno di risorgere dalle proprie ceneri, per raggiungere di nuovo la luce dell’amore e recuperare finalmente la dignità.

Percorsi difficili, tortuosi e decisamente toccanti, capaci di annunciare che, se nella disperazione vince la luce, un nuovo mondo è già qui.

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VII.

LA GABBIA DEGLI INNOCENTI

Il Brasile è la terra che più amo dopo l’Italia e alla quale mi lega un rapporto profondo. Un legame di sti-ma, di amore, di donazione. Il carro della Divina Prov-videnza mi ha condotto qui in modo impensabile e qui ho sperimentato la dilatazione del cuore e del carisma dell’associazione « Casa Famiglia Rosetta » e della comu-nità « Santa Maria dei poveri ».

Dopo un approdo deludente in Mato Grosso, nella Chiesa di Coxim, a Sonora, sarà Porto Velho, in Rondo-nia, la città dove la Sicilia farà crescere la solidarietà e lo sviluppo. Un vescovo, dom Josè da Silva, ci accoglie riconoscente e padre Emilio e padre Enzo, preti di Cal-tagirone, ci fanno sentire a casa.

Un’avventura meravigliosa fatta di coraggio, di sten-ti, di intraprendenza. Una storia dai mille volti: Giusep-pe, Fifa, Ignazio, Susanna, Rui, Nunzio, Lourena, Janil-da e, particolarmente, Sergio e Giusy, con Anna e Camilla. Una storia piena di sogni e di realizzazioni, una storia d’amore con il popolo brasiliano, amante della vita e della gioia. Una storia che mi ha fatto amare il ri-schio e mi ha fatto sperimentare il coma, dovuto a una pericolosa malaria.

Una gamma vastissima di bisogni, una straordinaria richiesta di aiuto. Il mondo dei meninos de rua ci inter-

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pella e impone la precedenza assoluta. Sergio Surace è il loro principale complice, è il loro punto di riferimen-to. Nei primi viaggi in Brasile la mia attenzione è cattu-rata dai piccoli di cui pullulano le strade, alla ricerca di un piatto di riso, d’un pezzo di cartone che sostituisca il materasso per la notte, di un gesto e di una parola che esprimono la nostalgia di un affetto e di un abbraccio. Bambini sbandati che alla violenza della casa preferisco-no il rischio della strada.

Storie di emarginazione, di violenza, di soprusi. A Zilmar e Cosimo chiediamo di allargare la propria fami-glia, di accogliere in una casa più grande i minori che ci chiedono aiuto. Zilmar è il grande albero nel cui cuore tutti trovano rifugio e riparo. Sergio incontra i ragazzi per strada, diventa il loro amico cercato, amato, deside-rato. E piano piano gli ingressi si moltiplicano e i volti si identificano: Michel, Giuno, Louis, Cesar, Jonathan, Fiel, Filipe. Tanti affamati di carezze con una grande voglia d’un padre, d’una madre, d’una famiglia, d’una casa, d’una vita normale.

Dal carcere minorile invocazioni d’aiuto, dalla ma-gistratura e dai servizi sociali tante domande d’inter-vento. Tra le prime voci giunte all’associazione a Porto Velho, quella di Jonathan, dal carcere minorile. Auto-rizzati, con Sergio vi andiamo per accoglierlo. Lo spettacolo è desolante. Non c’è una vera costruzione, una struttura degna delle persone. È una specie di grande gabbia a due piani: piano terra per i più picco-li, piano sopraelevato per i più grandi. Tutto protetto dalle sbarre e mani che si allungano, e voci che si leva-no forti, e pianti che ti trafiggono il cuore, e dolore che ferisce e inquieta.

Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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Tutti chiedono di essere presi, liberati, aiutati, curati. Non esistono letti, servizi igienici. Non esiste rispetto della dignità delle persone, dei diritti di questi piccoli.

Impotenza e tristezza ti paralizzano. Un groviglio di sentimenti. Le autorizzazioni non sono facili. La voglia di portarli via tutti è grande. Solo Jonathan può venire con noi. Gli altri vivono una profonda ingiustizia, ma non decidiamo noi. Lui è felice, bassetto, grassoccio, ci abbraccia e ci ringrazia. È chiuso in quella gabbia perché ha tentato di rubare una radio da una macchina, per garantirsi la sopravvivenza, per un minimo di sicurezza, per sentirsi più grande. Libero, ma di quale libertà?

Non conosce regole, non accetta comandi, non vuo-le condizioni. Comunica sputando, lanciando pietre, insultando. Il povero Sergio è messo a dura prova, ma non molla. Sente di essere il suo angelo e gli angeli non si tirano indietro. Jonathan si arrende solo quando con Sergio si reca nella comunità terapeutica « Porto della Speranza ». Davanti a lui si apre un mondo nuovo, nuo-ve relazioni, nuove prospettive. Si mette in gioco, cresce, va a scuola, si diploma, trova un lavoro, frequenta l’uni-versità, diventa avvocato. Orgoglio di tutti noi.

Risalire la china è possibile. Louis è trovato, selvaggio, dentro la foresta amazzo-

nica, nell’interno, solo, denutrito, sugli alberi. È accom-pagnato da una suora straordinaria nella comunità dei meninos. Si arrampica su un grande albero e fissa lì la sua casa e, con la complicità e la solidarietà degli altri minori, inizia una vita diversa. È contento, occhi intel-ligenti, profondi, illuminati dall’affetto di tutti noi. Scende dall’albero, si realizza pascolando le mucche, è felice.

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L’associazione « Casa Famiglia Rosetta », fabbrica della felicità.

Le ragazze madri possono partorire i loro bambini e curarli con l’aiuto delle Figlie della Croce del padre Nunzio Russo di Palermo.

Al Gurgel, Fifa Noto garantisce una vita più umana a tanti bambini e tante ragazze. La Sicilia si prolunga qui e getta semi di speranza. Sicilia e Brasile, un ponte che si rafforza ancora.

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X.

RESISTENZA ALLA MAFIA

Piange, Filippo, ripetendomi con rabbia: « Non sono stato mai un bambino, non sono stato mai un bambino. Mi hanno usato, mi hanno fatto trasportare droga e armi. Tanta paura, tanta paura… ».

Scoppia, Filippo, di malessere, un ragazzo della co-munità terapeutica. Si ribella al padre, alla famiglia, appartenenti alla mafia.

Un’infanzia bruciata, un’innocenza venduta. La ma-fia non è un fantasma, né un’idea. È una realtà storica, sociale, culturale.

Ma la Sicilia non è solo mafia. La Sicilia è storia, è arte, è cultura, è santità, è martirio, è coraggio.

Ho dovuto fare i conti con questo fenomeno. Con dignità, con coraggio, senza arrampicarmi in scalate di successo, attribuendomi l’immagine dell’uomo che lotta contro la mafia, dell’uomo della legalità. Non ho mai amato le passerelle, la popolarità. Ho cercato di essere prete e solo prete, con le armi che il Vangelo mi dà.

Ho vissuto momenti di paura, di grande solitudine, ma ho guardato in faccia la realtà.

Una sera di fine anno ero nella mia stanza a lavorare. Mi hanno sparato cercando di centrare l’obiettivo. La luce della stanza era accesa, ma mi ero appena allonta-nato. Non erano gli spari di fine anno. Le pallottole

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hanno forato i vetri, le tende, l’armadio. Avevano cen-trato con mira, ma a vuoto. Volevano farmi fuori, perché ostacolavo l’affare droga.

Non ci fu nessuno scalpore, io non ero noto ai media, non facevo notizia.

Fu l’inizio di una serie di episodi. Non ero disponi-bile a nessun compromesso, non avrei accettato nessu-na alleanza. Ho ricevuto telefonate di notte, mi è stato richiesto di intervenire per liberare dal carcere grossi spacciatori con il pretesto della riabilitazione. Hanno cercato di addomesticarmi, facendomi proposte di strutture piacevoli, prestigiose. Ho sempre tirato dritto. Alcuni magistrati mi hanno consigliato, mi hanno inco-raggiato, mi sono stati accanto silenziosamente. Non ho mai voluto riflettori su di me.

Una sera ritornavo da Ragusa accompagnato da una missionaria laica e da un operatore. Avevamo fatto pre-venzione nelle scuole. Una macchina di grossa cilindra-ta si pone controsenso, luci accese. Sembra un caso. Dopo qualche decina di chilometri la stessa macchina, a un bivio, ci sbarra la strada. Silenzio, momenti inter-minabili, paura. Attendiamo qualche segnale. Una lunga sosta, poi, senza parole, ci permettono di riprendere la marcia e ci affiancano fino a che arriviamo vicino a Cal-tanissetta. Una notte di coraggio. Il servizio ai poveri, la costruzione di una realtà interessante, la realizzazione di diverse opere accendono il desiderio di possesso del male.

Ci viene offerta da una amministrazione della provin-cia nissena una struttura di nuova costruzione in un bene sottratto all’illegalità. Ne facciamo un punto di riferimento per le vacanze dei ragazzi dell’associazione,

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vi costruiamo un piccolo zoo, per la felicità dei più pic-coli. Finita l’estate, un operatore va a prendere gli ani-mali rimasti, soprattutto caprette tibetane. Troviamo uno spettacolo desolante: dentro il recinto quadrato, caprette uccise, una a ogni angolo, e una al centro, con un bastone accanto. Messaggio chiaro nel linguaggio mafioso. Nessuno più vuole andare.

Ricevo una telefonata dal Palazzo di giustizia della città. Vado, e mi chiedono una consulenza sulla perso-nalità di un babykiller. Mi trovo faccia a faccia con un ragazzo di dodici anni che già ha ucciso due volte, pro-veniente da famiglia mafiosa.

Occhi di bambino e mani da killer. È impacciato, parla a stento, si sente minacciato, non vuole collabora-re con la giustizia. Le mie parole forse lo hanno inquie-tato ma, certamente, non cambiato. Un aspirante esper-to in criminalità.

Non è facile vivere tra magistrati minacciati, tra ma-gistrati uccisi, come Gaetano Costa. Insieme, presso il Comune della città, ci siamo confrontati sulla violenza minorile, insieme abbiamo lanciato messaggi positivi, insieme abbiamo cercato di risvegliare la città e poi, un giorno, senti che lui è stato eliminato perché scomodo.

Morire di mafia ma non arrendersi alla mafia. Persino sorridere alla mafia che ti uccide, come il mio carissimo confratello martire, il beato Pino Puglisi. Prete santo, nutrito di Vangelo, con la passione per la sua gente, si-lenzioso pastore che dà la vita per le sue pecore a Bran-caccio, in quella bellissima e tragica Palermo. Minaccia-to, non si arrende, lui, educatore disarmante, parroco convincente, più forte dell’odio dei mafiosi. Testimone di speranza a oltranza.

Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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INDICE

IntroduzioneCarne di Cristo pag. 5

I. La dIsgrazIa » 9II. Le pecore e La sete » 13

III. rIccIoLI d’oro » 17IV. BrandeLLI dI carne » 21V. aLL’orIzzonte IL fuoco » 26

VI. IL sorrIso deLLe orchIdee » 30VII. La gaBBIa degLI InnocentI » 33

VIII. MoLokaI » 37IX. catene MaLedette » 40X. resIstenza aLLa MafIa » 43

XI. angeLI a pIedI scaLzI » 46XII. MorIre In sILenzIo » 51

XIII. perché La notte è così Lunga? » 55XIV. La pIazza Verde » 59XV. per stufa IL cuore » 63

XVI. Quando L’afrIca è una MaLattIa » 67XVII. aBIssI dI Morte » 71

XVIII. La porta deLL’Inferno » 75

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XIX. L’IsoLa deLL’InfeLIcItà pag. 79XX. La BeLLezza ferIta » 85

XXI. oLtre Le sBarre fIorIsce L’aMore » 89XXII. MadrI prostItute » 92

XXIII. neL VortIce deL gIoco » 95 XXIV. ILLuMInare L’Inferno » 98

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« Dall’abisso si può sempre risalire, si può sem-pre riscoprire una corda alla quale aggrapparsi, uno scalino da poter salire. Vite spezzate ricucite, esistenze bruciate riaccese, sogni infranti ricom-posti, voci spente risuscitate.

Ripartire, levare il capo, riprendere il cammino, ritornare a sognare.

La drammaticità dell’ inferno può nascondere un lucignolo di speranza, il tunnel dell’oscurità può far intravedere un barlume di luce. La zolla del niente può far germogliare i semi del senso.

Esiste sempre un ponte aperto tra l’ inferno e il paradiso. Esiste sempre un sentiero che ti conduce nelle braccia di Dio. Io lo posso testimoniare ».

L’Autore