La giusta misura - estratto libro di Anselm Grün - Paoline

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ANSELM GRÜN LA GIUSTA MISURA

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Esiste una giusta misura per vivere? C’è un segreto per la felicità, la lunga vita, la serenità? Cosa bisogna fare per riuscire a ottenere la tanto ricercata pace interiore? Cosa fare per non passare attraverso stress, ansia, costanti inquietudini? Anselm Grün non sembra avere molti dubbi. E propone il suo segreto per una vita buona e, perché no?, bella. Qual è? http://www.paoline.it/blog/ben-essere/605-la-giusta-misura-benessere.html

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C ome possiamo trovare un equilibrio tra i diversi poli che condizionano la nostra vita? Come si fa, in un’epoca che pare offrire un ventaglioillimitato di opportunità, a distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è e arrivare al centrodi noi stessi?

Questo libro vuole essere un’esortazione a entrare in contatto con la saggezza della nostra anima,che ha il senso della misura giusta, adatta a noi. Se impariamo a darle ascolto e a fidarci di essa,possiamo vivere la nostra vita in modo corrispon-dente al nostro vero essere, condurre un’esistenzabuona e degna di noi.

Anselm Grün ha studiato teologia,filosofia ed economia aziendale. Come direttore amministrativo (cellerario) dell’abbazia benedettina di Münster-schwarzach è responsabile, da oltre trentacinque anni, di più di 300 dipen-denti nelle diverse aziende del convento.

È uno degli autori spirituali di mag-gior successo; i suoi seminari e le sue conferenze registrano una straordina-ria affluenza di pubblico.

Foto di copertina: © Martin Wegmann

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Anselm Grün

LA GIUSTAMISURA

Una vita priva di misura è inimmaginabile. È il criterio ne-cessario per misurare e pesare nella vita pratica come pure nel decidere e valutare. Dobbiamo però capire quando la nostramisura è colma. Da che cosa lo possiamo dedurre? Come tro-viamo la giusta misura? Si tratta di una questione fondamentale, perché riguarda molti aspetti: il rapporto con il creato, ossia il modo in cui trattiamo la natura e le sue risorse, il consumismo, ma anche l’immagine che abbia-mo di noi stessi, la nostra salute psichica e fisica, l’organizzazione delle nostre giornate e del tempo libero, l’avarizia e l’avidità, la considerazione che dimostriamo agli altri, il rispetto.

Anselm Grün indaga tutti questi aspetti, non per lanciare un appello moralistico, bensì per mostrarci la via di una vita sana, buona, soddisfacente e conforme al nostro vero essere, la via diuna nuova cultura della giusta misura.

di cuinon ho BiSoGno!

le coSeQuAnTe Sono

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INTRODUZIONE

Una vita senza misura è inimmaginabile. Ogni giorno misuriamo e soppesiamo le cose con cui abbiamo a che fare. Prendiamo le mi-sure. Cerchiamo di avere una reazione misu-rata di fronte alle critiche che ci vengono mosse. Valutiamo il livello della nostra misu-ra; se essa è ormai colma, non riusciamo più a moderarci. L’energia trabocca e se ne va. Ci ritroviamo esausti, stremati. Chi vive con mi-sura e misurandosi non si esaurisce tanto fa-cilmente. Chi invece non conosce misura, chi strafà e pretende troppo da se stesso, non si deve meravigliare se presto si sente distrutto, perché vive secondo criteri errati e si misura su qualcosa che non è alla sua portata. Abbia-mo un sesto senso per le persone che preten-dono più di quel che compete loro. Ci stanno antipatiche. Rifiutiamo istintivamente la loro presunzione. Ciò che conta è trovare la giusta misura, la misura che ci si addice.

Saper misurare significa anche definire cor-rettamente i propri limiti. È così che al con-

Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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cetto di misura è legato anche quello di me-tro, dal greco metron, misura per l’appunto, da cui derivano le parole meditari, riflettere, e medicus, colui che consiglia con misura e sag-gezza. Già dal significato della parola capia-mo quindi che ci fa bene adottare la giusta misura, limitarci, scegliere il metro giusto per i nostri pensieri e le nostre azioni. È un atteg-giamento salutare. Chi ha in sé la giusta misu-ra ha nel proprio intimo un consigliere e un medico che l’assiste nel condurre una vita mi-surata, una vita che lo mantiene al riparo da diversi guai e perfino dalle malattie. Non pre-tende di vivere contro la propria natura, con-tro la propria misura interiore. E alla misura si accompagna la calma. Chi vive nella giusta misura è anche calmo, tranquillo. Si concede il riposo di cui necessita. Dalla giusta misura dipende la riuscita della nostra esistenza.

La parola « misura » già da sola richiama tante sfere della nostra vita, ne tocca gli aspet-ti più disparati: il consumismo, il rapporto con il creato e con noi stessi, il lavoro retribui-to, ma anche quello che spesso prestiamo gra-tuitamente nelle associazioni per le quali ci impegniamo, o che dedichiamo per organizza-re le nostre giornate e il tempo libero. La giu-sta misura giova all’uomo, come ben sapeva san Benedetto che già 1500 anni orsono ne fe-ce, per i suoi monaci, una regola in cui defini-va la discretio, la virtù della saggia moderazio-

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ne – o del saggio discernimento –, la madre di tutte le virtù, quella che ci mette in grado di vivere bene.

Quindi esortare alla misura, alla modera-zione non è moralismo, bensì l’indicazione di un modo per condurre un’esistenza sana e de-gna di essere vissuta. Se continuiamo a versa-re vino in un bicchiere già pieno, si spanderà sul tavolo e poi sul pavimento e non lo potre-mo più bere. Quel vino pregiato andrà perdu-to. La giusta misura non è soltanto una virtù, bensì un valore che rende preziosa la nostra vita. Dove non c’è misura non c’è valore. Lo di mostra anche l’economia: i beni prodotti sen-za misura perdono il proprio valore. Sono i va lori a rendere la vita degna di essere vissuta; essi tutelano la dignità umana. E i valori, dalla parola latina valere, cioè essere sani, sono an-che una fonte di salute, quindi il valore della misura favorisce anche la salute dell’uomo e della società umana.

Se osserviamo il nostro mondo, ci imbattia-mo ovunque nella mancanza di misura. Ci possiamo permettere tante cose, ma non ci ac-contentiamo. Per il medico Wilhelm Schmid-Bode alla base di tanta insoddisfazione c’è la sofferenza dovuta all’eccesso: « Troppi impe-gni, troppo lavoro, troppa pressione, troppo avere, troppo rumore, troppe offerte, che si tratti di moda o di tendenze spirituali. In quasi ogni cosa abbiamo perso la misura e siamo os-

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sessionati dal tempo che fugge. La mancanza di misura è la causa di ogni dipendenza pato-logica e di ogni problema che ha a che fare con l’eccesso »1.

Schmid-Bode parla dell’insoddisfazione ge-nerata dall’eccesso. Spesso viviamo il troppo come uno stress. È facile sentirsi stressati fa-cendo la spesa in un supermercato che offre troppe qualità di formaggi o di marmellate. Ci vuole un eccessivo dispendio di energie e di tempo per prendere decisioni una volta sem-plicissime. Come medico Schmid-Bode si bat-te per una vita misurata; la cosa interessante è che, pur essendosi allontanato dalla Chiesa, per farlo attinge alla saggezza dei conventi, di cui lo colpisce proprio il richiamo a una vita moderata.

Anch’io, in questo libro, mi rifarò alla Re-gola di san Benedetto e alla tradizione spiri-tuale dei primi monaci per illustrarne alcuni aspetti che dovremmo riscoprire per ritrova-re oggi la giusta misura nel rapporto con noi stessi, gli altri e la natura. Già papa Gregorio Magno sottolineava come l’intera Regola di san Benedetto fosse permeata dal richiamo alla saggia misura. Così san Benedetto si ap-pella alla coscienza dell’abate: « Negli stessi ordini sia previdente e riflessivo e, tanto se il

1 W. Schmid-Bode, Maß und Zeit. Entdecken Sie die neue Kraft der klösterlichen Werte und Rituale, Frankfurt 2008, p. 21 ss.

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suo comando riguarda il campo spirituale, quanto se si riferisce a un interesse tempora-le, proceda con discernimento e moderazio-ne, tenendo presente la discrezione del santo patriarca Giacobbe, che diceva: “Se affati-cherò troppo i miei greggi, moriranno tutti in un giorno”. Seguendo questo e altri esem-pi di quella discrezione che è la madre di tut-te le virtù, disponga ogni cosa in modo da stimolare le generose aspirazioni dei forti, senza scoraggiare i deboli » (RB 64,17-19).

Che cosa intende con ciò? Benedetto si ri-ferisce qui ad ambiti diversi. Parte dal pre-supposto che nel mondo economico si possa perdere la misura e che un’economia priva di misura porti sempre alla rovina. Ma si può perdere la misura anche nella vita spirituale, perdendo di vista tanto se stessi quanto Dio. E conservare la giusta misura significa non da ultimo evitare gli strapazzi. La modera-zione non va però confusa con la mediocrità. Deve piuttosto incitare i forti a crescere an-cora, a gioire della propria forza, senza tutta-via scoraggiare i deboli.

A mio parere, la Regola di san Benedetto è colma di una tale saggezza che desidero pro-porla in questo libro come una via che tutti noi possiamo percorrere. Partendo sempre dalle esperienze dell’uomo di oggi le confron-terò con le parole e le indicazioni di Benedet-to. Nel nostro convento vengono molte perso-

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ne che soffrono per la mancanza di misura nella propria vita. Da noi imparano a ricono-scere la giusta misura per poi applicarla nell’e-sistenza quotidiana e nel mondo del lavoro.

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MANTENERE L’EQUILIBRIO

Per me la giusta misura è connessa a un buon equilibrio tra i diversi poli che ap-partengono alla nostra vita e la compon-

gono. Di seguito ne citerò alcuni. Trovare la giusta misura è l’arte di trovare un buon equi-librio per se stessi.

l’equilibrio trA AvAriziA e sperpero

La giusta misura ha sempre a che fare an-che con la via di mezzo. Esistono uno sperpe-ro e un consumismo estremi e smodati. C’è chi vuole sempre di più. Non si accontenta mai. Compra cose di cui non ha alcun biso-gno perché non sa resistere all’impulso di ac-quistare. Non trova la misura. E c’è chi, al contrario, è avaro: i soldi ce li ha, ma non li vuole spendere. Non si concede nulla e con-duce un’esistenza eccessivamente parsimonio-sa, meschina. Al ristorante ordina sempre i

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piatti meno cari. Compra soltanto ciò che co-sta poco. Un impiegato di banca mi racconta-va di una signora molto ricca che cambiava continuamente istituto di credito per ottene-re un aumento infinitesimale degli interessi sul denaro depositato. Alla fine quei continui cambiamenti le costavano di più, ma era tal-mente fissata sulle condizioni migliori da aver perso di vista la giusta misura.

La via di mezzo tra avarizia da una parte e sperpero dall’altra sta nella parsimonia e nel-la generosità, che sono entrambe virtù. E tra questi atteggiamenti virtuosi esiste una sana tensione. Chi è parsimonioso è anche in gra-do di condividere con gli altri ciò che possie-de, può essere generoso e festeggiare con gli amici offrendo loro un buon pranzo. Chi è avaro non invita gli amici, o al massimo offre loro uno spuntino. Ma l’atmosfera non è cer-to festosa.

Lo sperpero e l’avarizia sono vizi e in quan-to tali sono nocivi. Chi sperpera sopravvaluta le proprie possibilità economiche e spesso, per la sua smodatezza, s’indebita al punto da non riuscire più a venirne fuori. Dove porta invece l’avarizia, i media ce lo mostrano ogni giorno. Una catena di elettronica che voleva vendere i propri prodotti a prezzi stracciati per soddisfare l’avarizia degli acquirenti si fa-ceva pubblicità con lo slogan « avaro è bello », trasformando un vizio in una virtù. Tuttavia

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non è rimasta impunita. Alla fine le sue stes-se pretese (e il suo slogan) l’hanno portata al-la rovina. A lungo andare l’atteggiamento di molti clienti è cambiato. Non volevano più es-sere associati all’avarizia, essere considerati tirchi o taccagni. L’atteggiamento « avaro è bello » ha ripercussioni nefaste.

Per trovare acquirenti, i generi alimentari devono essere sempre più economici, ma i prezzi bassi vanno a scapito dei produttori. I contadini ricavano sempre meno dagli or-taggi che producono. Oppure a rimetterci so-no i consumatori. Poiché tanti mangiano car-ne in gran quantità e sono lieti di trovarla a buon mercato, i produttori e i rivenditori cer-cano di ridurne il più possibile il costo, spes-so anche con mezzi illeciti. Ci indigniamo per le macchinazioni dell’industria della car-ne e per gli scandali che mettono a repenta-glio la nostra salute, ma con il nostro atteg-giamento « avaro è bello » la colpa, in fondo, è nostra.

Il motivo della mancanza di misura nello sperpero come nell’avarizia è la cupidigia, il desiderio di possedere sempre di più.

Per i buddisti la cupidigia è la causa di tutti i mali. In Occidente la chiamiamo avidità. L’autore della Prima lettera a Timoteo scrive: « Certo, la religione è un grande guadagno, purché sappiamo accontentarci! Infatti non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla pos-

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siamo portare via. Quando dunque abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentia-moci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affoga-re gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti » (1Tm 6,6-10).

La Prima lettera a Timoteo, scritta alla fine del I secolo da un discepolo di san Paolo, si ri-fà alla filosofia popolare greca, in particola -re allo stoicismo molto diffuso a quel tem -po (l’avidità o la cupidigia sono chiamate qui epithymia). Già la filosofia greca indicava nel-l’avidità la radice di tutti i mali. L’autore cri-stiano riprende questo monito descrivendo le conseguenze dell’avidità con due metafore. La prima è quella del laccio: chi segue la propria avidità ne diventa prigioniero e non riesce più a liberarsene. La seconda metafora è quella della nave che affonda: « Come un peso ecces-sivo, che rende una nave impossibile da mano-vrare e la trascina a fondo, gli impulsi sfrenati, che sfuggono a ogni controllo, fanno affogare e rovinano chi è avido di denaro »2.

Le metafore che la Prima lettera a Timo-teo usa per l’avidità ci mostrano chiaramen-

2 J. Roloff, Der erste Brief an Timotheus, Zürich 1988, p. 338.

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te dove può portarci la mancanza di misura. Diventiamo prigionieri dei nostri desideri smodati. Pensiamo di essere liberi di acqui-stare e consumare ciò che vogliamo, ma in realtà siamo spinti dal confronto con gli altri e dalla nostra avidità, che vuole sempre di più e non si accontenta mai. Ciò sovraccari-ca la nave della nostra vita, che non può più condurci per mare in modo sicuro. Affonda, perché continuiamo a caricarla. Per alcuni è un’immagine da prendere alla lettera. Han-no dotato le proprie abitazioni di ogni cosa possibile e immaginabile che hanno voluto a ogni costo e da cui non sanno separarsi, an-che se si sentono soffocare. Le loro case so-no zeppe di oggetti inutili. Ciò opprime an-che l’anima. In certi casi l’avarizia e l’avidità possono portare addirittura all’accumulo pa-tologico.

A proposito dell’avidità, Friedrich Schor-lemmer scrive: « L’avidità ha sempre la capa-cità – con molte varianti – di rendere folli, cosicché nel successo l’uomo perde tutto. L’infelicità può risiedere proprio nel troppo successo, nel senso che una ricchezza smo-data può portare soltanto a un’eccessiva pre-occupazione per la ricchezza stessa, ucciden-do la salute dell’anima »3.

3 F. Schorlemmer, Die Gier und das Glück. Wir zerstören, wo-nach wir uns sehnen, Freiburg 2014, p. 54.

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Per il filosofo francese Pascal Bruckner l’avi-dità è indice dell’infantilismo che permea la nostra società: « L’infantilismo collega il de si-derio di sicurezza a un’avidità illimitata, espri-me l’anelito a essere accuditi senza doversi as-sumere i benché minimi doveri »4. E riassume questo infantilismo nella formula « Non rinun-ciare a nulla! ». È questa avidità ad aver gene-rato la società del superfluo, alla quale non basta che ci siano sempre merci a sufficienza. Devono anche cambiare continuamente e ap-parire in una nuova veste. La società del su-perfluo è giunta però al limite. Ad affliggerla adesso non è il timore di perdere l’indispen-sabile, bensì la paura di non riuscire più a smaltire ciò che ha accumulato in sovrabbon-danza.

L’economia politica scorge nell’avidità qual-cosa di positivo: il motore della nostra econo-mia, dal momento che per soddisfarla si devo-no immettere sul mercato prodotti sempre nuovi. Ma anche qui è una questione di giu-sta misura. Non possiamo sradicare comple-tamente dal nostro animo l’avidità, ma non dovremmo nemmeno permetterle di domi-narci, bensì ridurla a un impulso moderato. L’avidità di sapere, che chiamiamo curiosità, per esempio, è fondamentalmente una buona

4 P. Bruckner, Ich leide, also bin ich. Die Krankheit der Moder-ne. Eine Streitschrift, Weinheim 1996, p. 13.

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INDICE

Introduzione pag. 5

mAntenere l’equilibrio » 11

L’equilibrio tra avarizia e sperpero » 11L’equilibrio tra auto denigrazione e superbia » 17L’equilibrio tra cura di sé e degli altri » 22Le nostre aspettative nei confronti degli altri » 26Moderare l’indignazione » 30Dire di sì alla nostra mediocrità » 32Le aspettative degli altri

nei nostri confronti » 38

trAttAre con curA il creAto » 41

La sostenibilità nel rapporto con il creato » 41La sostenibilità nel rapporto con noi stessi » 43Abbastanza non è abbastanza » 49La misura sul lavoro, la misura per le nostre forze » 50Disciplina e ordine » 53I tempi giusti » 58

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Il ritmo della vita pag. 60La forza dei rituali » 66Una cosa alla volta » 72Trovare il proprio centro » 73La discretio: un concetto chiave dalle molte sfumature » 78La discretio nei rapporti interpersonali » 83Distinguere ciò che è importante da ciò che non lo è » 85Riscoprire ciò che è importante » 87Attenzione e cura » 90L’umiltà come forma di coraggio » 97 ciò di cui l’uomo hA bisoGno » 105

Meditare sul mistero del nostro essere uomini » 106Dedicarsi interamente al lavoro » 109Non misurare le proprie esigenze su quelle altrui » 112Che cosa mi rende ricco? » 116Mantenere la calma, non lasciarsi trascinare » 121Rimanere con i piedi per terra » 128Buono è meglio che perfetto » 130Bellezza e misura » 138Quante sono le cose di cui non ho bisogno! » 141 Conclusione » 145 Bibliografia » 151

 

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C ome possiamo trovare un equilibrio tra i diversi poli che condizionano la nostra vita? Come si fa, in un’epoca che pare offrire un ventaglio illimitato di opportunità, a distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è e arrivare al centro di noi stessi?

Questo libro vuole essere un’esortazione a entrare in contatto con la saggezza della nostra anima, che ha il senso della misura giusta, adatta a noi. Se impariamo a darle ascolto e a fidarci di essa, possiamo vivere la nostra vita in modo corrispon-dente al nostro vero essere, condurre un’esistenza buona e degna di noi.

Anselm Grün ha studiato teologia, filosofia ed economia aziendale. Come direttore amministrativo (cellerario) dell’abbazia benedettina di Münster-schwarzach è responsabile, da oltre trentacinque anni, di più di 300 dipen-denti nelle diverse aziende del convento.

È uno degli autori spirituali di mag-gior successo; i suoi seminari e le sue conferenze registrano una straordina-ria affluenza di pubblico.

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Anselm Grün

LA GIUSTAMISURA

Una vita priva di misura è inimmaginabile. È il criterio ne-cessario per misurare e pesare nella vita pratica come pure nel decidere e valutare. Dobbiamo però capire quando la nostra misura è colma. Da che cosa lo possiamo dedurre? Come tro-viamo la giusta misura? Si tratta di una questione fondamentale, perché riguarda molti aspetti: il rapporto con il creato, ossia il modo in cui trattiamo la natura e le sue risorse, il consumismo, ma anche l’immagine che abbia-mo di noi stessi, la nostra salute psichica e fisica, l’organizzazione delle nostre giornate e del tempo libero, l’avarizia e l’avidità, la considerazione che dimostriamo agli altri, il rispetto.

Anselm Grün indaga tutti questi aspetti, non per lanciare un appello moralistico, bensì per mostrarci la via di una vita sana, buona, soddisfacente e conforme al nostro vero essere, la via di una nuova cultura della giusta misura.

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