Joy e la ricerca della felicità - estratto libro - Paoline

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FRANÇOIS GARAGNON

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Ci sono libri che vanno letti e libri che invece vanno riletti. Joy e la ricerca della felicità appartiene sicuramente a quest’ultima categoria. E non solo: è un libro da leggere e rileggere in estate, o comunque in vacanza, quando siamo più inclini a lasciarci trasportare in una dimensione più umana, senza affanni e distrazioni.

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FRANÇOIS GARAGNON19N

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La ricerca della felicità non è più cosa da filosofi greci. Sagamore,per esempio, giovane un po’ svagato originario di non si sa bene qua-le lontano paese, è venuto a cercare la felicità nella grande città. Quitutto lo stupisce, a cominciare dal fatto che la gente non si stupiscepiù di nulla.

Nella sua ricerca, Sagamore incontra Joy, una ragazzina dal nomequanto mai opportuno, che gli fa da guida con mistico entusiasmo,« come se l’infinito fosse entrato per sbaglio dentro di lei ». Joy è untorrente di vita, e si diverte a provocare benevolmente in tutti quelliche incontra un « sussulto dell’essere », una sferzata che li scuota daltorpore.

Con l’incoraggiamento di questa musa in calzini bianchi, la ricercadi Sagamore prende i toni di una storia ricca di colpi di scena, altale-nante come i volteggi della gioia nei destini umani: presenza vulnera-bile ma duratura, sempre attesa e sempre minacciata, vezzeggiata eincompresa, pronta ad abbandonare i suoi territori per poi tornare contutta la sua vitalità proprio quando si pensava di averla perduta persempre.

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Le due gioie

C’è la gioia che viene da fuorie quella che viene da dentro.Vorrei che entrambe ti appartenessero.Che riempissero le ore della tua giornatae i giorni della tua vita;perché, quando si incontrano e si uniscono,risuona un canto tanto allegro che né quello dell’allodolané quello dell’usignolo lo possono eguagliare.Se dovessi scegliere per te,sceglierei la gioia che viene da dentro.

Perché la gioia che viene da fuori ècome il sole che sorge al mattino e che la sera tramonta.Come l’arcobaleno che appare e scompare.Come il caldo d’estate che viene e poi se ne va.Come il vento che soffia e poi passa.Come il fuoco che brucia e poi si spegne...Troppo effimera, troppo fuggevole...Amo le gioie che vengono da fuori, non ne rinnego alcuna.Tutte sono entrate nella mia vita quando era necessario...Ma ho bisogno di qualcosa che duri,di qualcosa che non abbia fine,che non possa finire.

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E la gioia che viene da dentro non può finire.È come un fiume che scorre tranquillo, sempre uguale,sempre presente.È come la roccia,come il cielo e la terra che non possono cambiare né svanire.La ritrovo nelle ore di silenzio, nei momenti di abbandono.Il suo canto mi raggiunge attraverso la tristezza e la fatica;non mi ha mai lasciato.È Dio, è il canto di Dio che risuona dentro di me,la forza tranquilla che governa gli universie che guida l’uomoe che non ha fine, e che non può finire.

C’è la gioia che viene da fuorie quella che viene da dentro.Vorrei che entrambe ti appartenessero.Che riempissero le ore della tua giornatae i giorni della tua vita;ma se una sola dovesse appartenerti,se dovessi scegliere per te,sceglierei la gioia che viene da dentro.

Lézard

[Nota biografica. - Si sa poco dell’autore de Le due gioie, poesia diventata un classico negli ambienti scout inSvizzera a partire dagli anni ’50 e tradotta, insieme ad altre, in diverse lingue. Dietro il soprannome Lézard (Lucertola),un’esiliata russa di madre moscovita e padre svizzero, arrivata nella Svizzera romancia all’età di nove anni e che, do-po il diploma, fece diversi lavori prima di diventare bibliotecaria all’Istituto di botanica. Si avvicinò al movimento del-le Éclaireuses (associazione laica dello scoutismo francese, fondata nel 1911 - ndt) cui si dedicò con continuità per tre-dici anni prima di consacrarsi alla trasmissione dei valori nell’ambito della propria famiglia. I suoi scritti si trovano neIl libro di Lézard, pubblicato da Nuova Editrice Fiordaliso, Roma 1993. Era stata associata alla lucertola perché eraattratta sia dal calore del sole sia da quello delle relazioni umane e perché se ne stava sempre un po’ in disparte per me-glio contemplare il mondo e la natura e cantare le meraviglie della creazione.]

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L’uomo che dormivasugli alberi

Una piccola piuma bianca caduta dal cielo disegnò un armoniosoarabesco in mezzo al cortile, come se un angelo avesse posto la suafirma sulla bellezza dell’alba per attirarvi il favore della Provviden-za. Il campanile di Saint Germain sembrò scegliere quel momentoper far risuonare l’angelus del mattino. Nel cortile deserto, si senti-va soltanto uno schiocco sordo e irregolare, come se qualcuno sicolpisse il palmo con mano incerta: una ragazzina si allenava a sal-tare su un piede solo da Terra a Cielo, lanciando un sassolino ovalenelle caselle di una campana schizzata col gesso sul terreno. La pic-cola piuma sfiorò la guancia della ragazzina, sembrò esitare per unmomento sulla direzione da prendere e finì per appollaiarsi instabi-le sulla sua spalla, come in un tentativo maldestro di trovarvi rifugio.Sorpresa e incantata allo stesso tempo, la ragazzina si immobilizzòsu un piede, prese la piuma con infinita delicatezza, come avrebbefatto con una farfalla, e andò a sedersi su una panchina, immersanella contemplazione della piccola piuma delicata e facendone scor-rere la parte lanuginosa sul dorso della mano.

Uno strano fruscio, leggero e insistente a un tempo, la distolsedalla sua fantasticheria. La ragazzina tese l’orecchio e si avvicinò

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curiosa al luogo da cui il silenzio usciva tutto stropicciato. Scrutò in-nanzitutto il cielo prima di gettare lo sguardo a indagare la chiomadi un grande castagno. Tra il fogliame, a una certa distanza dal suo-lo, dondolava quello che inizialmente prese per un paracadute e chesi rivelò essere nient’altro che un’amaca dalla quale cercava di usci-re un passeggero della notte un tantino scarmigliato e ancora abba-stanza impigliato nelle maglie del sonno, come si capiva dai suoi ge-sti approssimativi e disordinati.

«Beh, che strano uccello!», non poté impedirsi di dire ad alta vo-ce la ragazzina mettendo le mani sui fianchi e gonfiando il petto, co-me la guardia di un giardinetto pubblico che scopre l’infrazione diuna regola.

Così apostrofato, il proprietario dell’amaca si sporse dal bordo,poi, dopo aver cercato di far cessare una pericolosa oscillazione,offrì un ampio sorriso alla ragazzina di Parigi comparsa alla cheti-chella sotto l’albero che egli aveva eletto a domicilio per la notte.Liberatosi dalla stoffa, scese a precipizio dal suo nido ruzzolandodi ramo in ramo con la sorprendente velocità di una scimmia in unozoo. Aveva passato la notte su quel poco confortevole castagno, al-le porte del cortile di Rohan, oasi di silenzio nel cuore del Quartie-re Latino. Una volta a terra, si diede una scrollata, tolse la polveredai vestiti per migliorare il proprio aspetto, tirò fuori da una tascaun pezzo di feltro schiacciato come una frittella cui diede, conqualche pugno e qualche energica manata, la forma approssimati-va di un cappello. Se lo appoggiò comicamente in cima alla chio-ma disordinata, per il piacere di toglierselo in una divertente pan-tomima da giovane paggio, con la gamba destra tesa in avanti e lamano sinistra dietro la schiena. Una galanteria antiquata per rende-re omaggio alla principessa che egli pensava incarnasse la ragazzi-

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Questo testo è un'anteprima del libro. Il numero delle pagine è limitato.

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na dai calzini bianchi, la quale osservava con un piccolo sorrisosbalordito quella scena così teatrale di cui era l’unica ed estasiataspettatrice.

«Che specie di uccello sei?», chiese lei sfacciata. «Credo di nonaverne mai visto uno che ti assomigli!»

«Perbacco, è normale! Sono quello che si potrebbe definire unuccello migratore. Vengo da molto lontano, da un paese dove ci so-no più alberi e più silenzio che qui, credimi! Ho fatto una fatica ter-ribile a trovare un castagno di queste dimensioni, ma questo è mol-to bello e siamo subito diventati amici».

«Allora sei un esploratore! Ti piace viaggiare?»«Forse sì, forse no, non ne sono sicuro. Viaggiare è una ricchezza,

ma anche una complicazione. Si scopre il gran mondo, quindi ci siguadagna. Ma si lascia il proprio piccolo mondo, quindi ci si perde».

«Lasciare il proprio piccolo mondo? Vuoi dire il primo cerchio,quello più vicino al tuo centro? Allora, non è un bene. Non bisognamai allontanarsi da se stessi. Fa male!»

Fece una smorfia imbronciata, prima di aggiungere con un’insi-stenza velata di esitazione:

«E... che cosa senti nel cuore quando ti addormenti? Lode o do-lore? Qual è il canto che senti?».

A mo’ di risposta, egli frugò nelle tasche e tirò fuori un flauto inlegno chiaro, molto semplice e molto bello. Cominciò a suonareun’aria nostalgica, simile a un canto d’esilio, sempre con un sorrisoleggero sulle labbra. Si sarebbe detto che non riuscisse a separarsida quel sorriso pieno di fossette. Anche nei momenti più seri.

«Che bello!», disse la piccola. «Allora, se ho ben capito, tu noncanti, ti lasci in-cantare! Voglio dire che risvegli dentro di te qualco-sa che canta, è così?»

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«Ben detto! Sì, sì! È esattamente così!», disse il giovane congioia improvvisa. «Non sono io che canto, è qualcosa che cantadentro di me, e io uso questo piccolo pezzo di legno coi buchi perfarlo uscire in musica...»

«È bella, la tua piccola musica interiore! Hai sofferto molto?»«Perché me lo domandi?», chiese lui serio e un po’ sconcertato.«Non lo so... Ho l’impressione che... più si conosce il vuoto, più

si respira la pienezza!»«La pienezza?»«Sì, sai: quando si riesce a sentire davvero il gusto delle cose e

tutto acquista un senso, tutto! Anche la sofferenza!»«Allora, tutto questo ha qualcosa a che vedere con la felicità? Ca-

pita proprio a proposito! Ho fatto tutta questa strada per trovarla!»«Che cosa, la felicità?»«Oh-oooh! È una storia molto lunga, sai. Proprio prima di arri-

vare qui, figurati che ero nel deserto... Ma lasciami un po’ il tempodi atterrare, va bene?»

L’uccello migratore si prese il tempo necessario per lavarsi allafontana in pietra che abbelliva un angolo del cortile ed emise un pro-fondo sospiro di contentezza scoprendo i primi raggi di sole strofi-nare il pavimento. Si mise a far giravolte sul primo spazio spazzatodalla luce del mattino, come avrebbe fatto un ballerino sotto il fasciodi luce rotondo proiettato sulla scena. Poi cominciò a camminare afianco della buffa ragazzina che giocava a campana alle sette del

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mattino e che si raccontava storie carezzandosi sognante il dorsodella mano con la piuma di una tortora. Sbucarono attraverso un por-tico in boulevard Saint-Germain, e si mescolarono al flusso precipi-toso dei parigini lanciati a tutta velocità verso il loro luogo di lavoro.

«Ti va di fare una colazione di silenzio con me?», chiese la ra-gazzina.

«Tu parli in modo strano. Cioè, voglio dire: non come la gente diqui! Sembra che tu faccia un sacco di misteri...»

«È perché sono straniera!»«Straniera?»«Ebbene sì! Straniera al mondo, a tutto questo...», disse lei alzan-

do le spalle e indicando con un gesto distratto tutta l’agitazione cheli circondava. E tu, sei un monaco, un pastore? O forse un poeta?»

«Io sono Sagamore. Incantato, come hai detto tu prima! E hol’impressione di non essere altro che me stesso!»

«Sagamore? È il tuo vero nome? È davvero molto bello! Suonacome un clan di cavalieri su un campo di battaglia! Allora, sei un ca-valiere eroico, un incantatore di stelle, un operaio del paradiso... in-somma, una cosa del genere, no?»

«Ah, ah, ah! Hai ragione: sicuramente qualcosa del genere!»«E poi, innanzitutto, che cosa ci fai sugli alberi? Vivi d’aria, si-

stemi le nuvole che non sono venute bene, o cosa?»«Perché ci tieni tanto a sapere da dove vengo e chi sono?»«Perché si vede bene che non sei di qui! Hai uno sguardo asseta-

to. Mi fai pensare a un piccolo uccello sperduto che si sporge sulbordo della fontana per bere, quando non c’è più nessuno... Vienicon me. Ti porterò alla Casa del silenzio che parla. Vedrai: è proprioil posto giusto per quelli che hanno sete».

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La Casa del silenzio che parla

La ragazzina portò Sagamore in una grande chiesa quasi del tuttodeserta. Il giovane rimase molto impressionato. In tutta la sua vitanon era mai entrato in un luogo così alto, in cui ogni passo riecheg-giava e la luce entrava da finestre altissime e meravigliosamentecolorate.

«È molto bello qui», disse ammirato.«È Cielo & Co!», rispose la piccola. «Insomma, solitamente,

questo luogo viene chiamato chiesa...»«Ma perché», si azzardò a chiedere lui, «perché il soffitto è così

alto e pieno di curve, e tutto stellato come un cielo la notte?»«È proprio», gli sussurrò la ragazzina, «per far risuonare il si-

lenzio!»«... Allora è questo, il silenzio che parla! È l’eco della tua voce!»«Stai scherzando? Non è mica per ripetere le sciocchezze di

quelli che chiacchierano, è davvero il silenzio che parla!»«Ah, ah, ah! Sei proprio strana, tu! E come farebbe a parlare il si-

lenzio, perché a dire il vero...»«Nella lingua dei monaci, si chiama lectio divina!»«Perché, tu sei una monaca?», chiese Sagamore.«Un pochino! Allora, ti spiego: vedi, questo è il grande libro sa-

cro. E la lectio divina vuol dire che vieni qui con il cuore spalancato,

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apri questo libro a caso, e lasci che la Parola raggiunga la tua anima.Bisogna aspettare di essere completamente riempiti dal silenzio: al-lora ti senti vibrare, ed esso suona sulle corde dell’anima. Per dar vi-ta alla piccola musica interiore. In quel momento, le parole che sco-pri sono esattamente la risposta alle domande che ti poni... o persinoche ti sei dimenticato di porti. Non è male, no? In più, funziona tut-te le volte!... Infine, talvolta, non arriva la risposta vera e propria.Solo una scaletta che ti aiuta a superare il muro delle tue domande.È la stessa cosa: dopo, continui il tuo cammino tranquillo, sereno,perché hai potuto gustare la ricchezza della parola. Somiglia a unapasseggiata nel bosco: un’atmosfera misteriosa, e più ti avventurinel profondo, più hai la possibilità di scoprire una sorgente di acquapura. Ma attenzione: invece di cercare di avere l’ultima parola, èmeglio cercare di aprirsi al primissimo silenzio! Immagina di esserein pieno inverno e che, aprendo questa porta – la porta del silenzio –,si sbuchi direttamente in primavera! Beh, è esattamente così chefunziona! Invece di parlare a vanvera, lasci parlare il silenzio nelprofondo dentro di te. E ti lasci guidare, ecco! E non sarai mai piùsolo, te lo garantisco, mai più! È come una vocina interiore: se nonfai silenzio dentro di te, non la puoi sentire... Ecco: lei è il silenzioche parla».

«Una voce di bambina come la tua?»«Se vuoi! Ma comunque meno chiacchierona!»«Dimmi, chi è l’uomo raffigurato laggiù, su quelle due assi in-

crociate?»«Uno della mia famiglia!»«Come della tua famiglia?! Sembra morto, no?»«Un pochino, ma non è vero per niente. Infatti è il Maestro del si-

lenzio che parla. Passa il tempo a infondere eternità in piccoli pez-

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zetti di istante che, se dipendesse da noi, con ogni probabilità ver-rebbero abbandonati. Ma fortunatamente dipende da ben altro! For-te, non trovi?»

Sapeva di essere in presenza di un grande mistero e abbassò gliocchi, cercando una scorciatoia per portare il suo interlocutore allameta che si era prefissa.

«Talvolta basta una semplice parola. Una piccolissima parola daniente. Una goccia d’acqua su un seme, e qualcosa esce dal nullaper aggiungersi al grande tutto della vita. “Io” non era nemmenouna parola. Era un silenzio. Ma non un silenzio qualsiasi! Un silen-zio come non l’avevo mai sentito, che dà veramente la voglia di es-sere vivi, e anche di più: di essere pazzi d’amore! E il tuo amorefolle qual è?»

Sagamore continuava a contemplare la croce con aria un po’smarrita. La ragazzina lo guardò con lo sguardo preoccupato di unamadre per il proprio figlio troppo ingenuo. Gli si avvicinò, e ripresein tono confidenziale:

«Non hai l’aria ben informata. Sai: non bisogna fidarsi delle ap-parenze. Quando uscirai di nuovo per strada, vedrai gente di ognigenere correre in tutte le direzioni, con l’aria molto occupata ecce-tera eccetera. Beh, spesso fanno finta di vivere, ma non è affatto ve-ro... Si danno delle arie, ma in realtà sono come bambini sperduti:non sanno davvero né dove vanno né chi sono. Stanno al di fuori».

«Come puoi dire cose simili?!»«È facile: se stessero dentro, smetterebbero di correre, non cre-

di? Sai, io faccio collezione di risposte. È molto divertente, perchéfai sempre la stessa domanda, ma non ricevi mai la stessa risposta.Ma alla fine credo che cambierò collezione!»

«La tua collezione di risposte è già completa?»

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«No, appunto. È impossibile, perché in realtà, dietro ogni rispo-sta, c’è un’ombra: l’ombra della domanda successiva. È senza fine,capisci? La nuova collezione che farò sarà una collezione di sorrisi.In questo caso è sicuro, non ci sono ombre; solo luce. Mi è capitatouna volta per strada, così: mi sono resa conto che, dietro ai voltichiusi, ci sono cuori che chiedono soltanto di aprirsi. E un sorriso ècome una porta che si apre. Improvvisamente, ho trovato il mondotalmente magnifico che ho sorriso alla prima persona che ho incon-trato. Ebbene, sai cosa? Anche lei mi ha sorriso. E il mondo è di-ventato ancora più magnifico! Allora ho continuato a sorridere a unaltro sconosciuto, poi a un altro, e a un altro ancora. E ogni volta eracome se mettessi la spina e accendessi una nuova piccola luce. Ave-vo l’impressione, continuando così, di poter illuminare il mondo in-tero, a tutti i livelli! In quei momenti, sento un amore folle che mi at-traversa come una dolce violenza».

«Che bello, una collezione di sorrisi! Ma dove li tieni, tutti que-sti pezzi da collezione?»

«Ma nel mio cuore, perbacco! Conosci forse un altro posto, tu?Ogni volta che mi viene rivolto un sorriso, esso batte le ali dentro dime, mi sento ricca e bella come una distesa di grano in piena estate,corteggiata dai papaveri, dai grilli e dall’azzurro! E poi, è terribilmen-te utile, come collezione! Perché, se prendi un raffreddore, ti devicurare; mentre, se ricevi un sorriso e te ne prendi cura, beh, è un vac-cino contro il cattivo umore. E per fortuna, perché il cattivo umore èun virus terribile che si propaga a gran velocità, e che fa nascere ognigenere di malattia. Finisce per uccidere la capacità di meravigliarsi:se non hai più luce nello sguardo, è come se non avessi più vita».

«Aspetta, che cosa significa di preciso prendersi cura di unsorriso?»

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«Vuol dire che, quando ti viene rivolto, lo accogli. Lo accogli co-me un amico. E sorridi a tua volta per ringraziare! Così si crea uncerchio perfetto, e il mondo, quando lo tocchi, risuona come un cri-stallo! È un suono talmente puro che il minimo soffio è come unacarezza di gioia...»

«Ma guarda un po’! Parli come qualcuno che ha vissuto molto!»«Ma io ho vissuto molto! Cioè, non in anni, ma in quantità di

amore. Tutto quello che vivo lo vivo molto intensamente e ciò haun’eco molto forte dentro di me!»

«Si direbbe che sei molto più saggia degli adulti!»«Ah, no! Io non ho voglia di diventare adulta! A che cosa serve

essere grandi, se non si è nessuno? Io preferisco essere un piccoloqualcuno!... Ti dirò: ho proprio voglia di essere viva. Mi piacerebbeproprio che potesse essere il mio mestiere! Sai, un adulto chiedesempre in che classe sei. Io sono un po’ sfacciata, e gli rigiro la do-manda: “E tu, in che speranza sei?”. Perché la vera scuola superioreè la speranza, no? Solo che ecco: l’adulto razionale continua a direche ha altro da fare, ed è veramente molto difficile fargli capire chepuò essere qualcun altro. La speranza: è la questione più importan-te, non credi?»

«Scusami, ma non sono sicuro di capire perfettamente tutto quel-lo che mi dici. Parli una lingua antica o moderna?»

«Se non conosci qual è la tua speranza, a che cosa serve andareavanti? Non puoi andare molto lontano! È strano, la gente ha pauradi perdere la testa. Ma non ha mai paura di perdere il cuore, quan-do invece il pericolo è soprattutto questo... Ascolta, cercherò dispiegarti. La gente si dà un gran da fare per essere sempre pronta,per poter decidere su tutto, per non lasciarsi sopraffare. Risultato?La loro energia, a furia di essere spesa, finisce in un attimo. Allora

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bisogna ricaricarla, come una pila, altrimenti la gente finisce peresaurirsi completamente. Adesso, sei libero di allacciarti all’ener-gia divina: è quello che si chiama “avere fede”. Non ci sono conta-tori, è gratis et amore Dei! In più, se sei collegato al sole di Dio,puoi essere sicuro che la corrente non salterà mai! È impossibile ri-trovarsi al buio, capisci? Hai sempre a disposizione una riserva dienergia illimitata, perché la luce di Dio è di qualità infinitamentesuperiore! Hai anni luce davanti a te, e allora, per forza, il futuronon sarà fatto di nuvole grigie e tutto il resto, sarà una preparazio-ne al paradiso!»

Sagamore rimase a bocca aperta. La ragazzina riprese con un po’di sfacciataggine: «Allora, signor Sagamore, le tue cellule cerebralisi stanno dando da fare per capire le mie metafore?... Oh! Tu non seidi qui, si vede, ma, se resterai un po’, spesso incontrerai cose straneo sbagliate, e molte porte chiuse...»

«Porte chiuse?»«Ebbene sì, e sprangate! E, come me, finirai per metterti a cerca-

re le chiavi!»«E per farne che? Dimmi».«Per aprire il mondo, perbacco! Perché forse non te ne sei accor-

to, ma il mondo è chiuso. Per questo non funziona bene! A voltesembra la rappresentazione di un mondo con il tutto esaurito, comea teatro, come se ormai tutti i posti fossero occupati e non si potes-se proprio far entrare i nuovi arrivati, nemmeno per farli stare sedu-ti sugli strapuntini!... Ci sono un sacco di porte sprangate come cas-seforti, e non abbastanza finestre aperte. Ci si chiude allo sguardo, sifa come se non ci si vedesse, come se non si fosse coinvolti. Ci si co-struisce la propria piccola vita. Non ci si espone. E poi, per forza, sifinisce per soffocare, per non avere abbastanza aria e luce. È come

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se tu fossi in una stanza e non aprissi mai le finestre. Nel giro di po-co, l’aria è – come si dice? – viziata. Insomma, irrespirabile! È ne-cessario aprirsi, capisci?»

«... E dimmi: le altre statue, sul lato, anche loro fanno parte del-la tua famiglia?»

«Sì! Ecco, quella è la piccola Teresa del Bambin Gesù. È bellis-sima, non trovi? Mi piacerebbe molto assomigliarle, tra un po’. Èuna sorella maggiore, e poi è anche una santa importante».

«Che cos’è una santa?»«Beh, i santi sono persone che... che si aprono al mondo affinché

il mondo si apra! Hanno le chiavi per aprire le porte, ecco... Voglio di-re, per aprire le porte che danno sull’infinito, e anche sull’eternità!»

«Allora, anche tu sei una santa?»«Un pochino! Ma è un lavoraccio, sai! C’è un solo posto, infatti,

veramente aperto a tutti ventiquattr’ore su ventiquattro, tutti i giornidell’anno e anche dell’eternità: è il cuore di Dio. Te lo spiegheròun’altra volta! Adesso vieni, rimetteremo il naso fuori nel mondo,sei d’accordo?»

Sagamore studiava con perplessità quasi comica quella ragazzinain cui si alternavano misteri e certezze, ingenuità e saggezza, genti-lezza e impertinenza. Era come una fontana: le sue parole sgorgava-no come da una sorgente, e Sagamore le beveva con gli occhi. Delresto, tutto in questa ragazzina era trasparente, anche lo sguardo chegli rivolgeva e che, si sarebbe detto, guardava attraverso, penetravalo specchio dell’apparenza per arrivare in profondità. E la sua voci-na vellutata, vagamente musicale, catturava l’orecchio ed era capa-ce di proiettarti in piena luce in un entroterra intatto dal profumo dinocciole, di profondo silenzio e di vacanze estive.

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Sul sagrato della chiesa, Sagamore trattenne delicatamente la ra-gazzina per la spalla:

«Senti, tu che fai collezione di risposte, posso farti una domanda?».«Di solito sono io che le faccio, ma dimmi!»«La felicità, sai dove si trova?»«Mhhh!», fece la ragazzina con gusto, come se le avessero ap-

pena offerto un bignè alla crema... «Sai, mi piacerebbe davvero chetu diventassi mio amico!»

«... Non hai risposto: la felicità dove si trova, secondo te?»«Sei proprio strano tu! Vorresti forse che ti dicessi: la terza via a

destra uscendo dalla metropolitana? La felicità? Beh, perbacco: stadove la si lascia entrare! È come il sole... Si apre la finestra, e hop!La luce improvvisamente inonda tutto all’interno!... Ecco, hai nota-to le vetrate dentro? Magnifiche, vero? Solo l’arcobaleno può farconcorrenza a colori così! E poi... l’arcobaleno dura soltanto pochiistanti, mentre le vetrate sono più o meno per l’eternità! Comunque,per quanto eterne possano essere, le vetrate, se le guardi adesso dal-l’esterno, quasi non le noti, tanto sono grigie e brutte! È dentro checi si accorge di come sono davvero, luminose, multicolori. Le per-sone sono un po’ così: se ti fermi all’esterno, se le incontri senzaguardarle davvero, non ti accorgi nemmeno del colore che hannodentro. Per vederle in tutta la loro bellezza, nella loro vera luce, nonhai scelta: devi guardar loro dentro!»

«Aspetta: una persona non è una chiesa, comunque!»«Io penso di sì! Dentro è piena di cose sacre, come una chiesa.

Tu, per esempio, ho subito visto che hai il sole dietro i vetri, cioè,voglio dire: dietro le finestre dei tuoi occhi».

«Ah, ah, ah! Il sole se ne sta là, alto nel cielo! Farei fatica a te-nerlo dentro di me! Sarebbe sicuramente un’esperienza bruciante!»

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«Esattamente, così deve essere: quando non riesci a tenerti tuttodentro, quando trabocca o quando brucia! Nel tuo paesaggio inte-riore, il sole è l’amore. E l’amore, come dice fra Teofane, è ciò cheti permette di passare dall’esterno all’interno. Quando ami, sei bel-lo e pieno di luce, perché sei dal lato giusto della vetrata, il lato incui vedi la vita in piena luce e con tutti i suoi colori. Mentre, se liti-ghi con coloro che ami, ecco che cambia il gusto delle cose. Partedel sapore va perduta...»

«Sei proprio una creatura strana! Disegni parole con le immagi-ni. Mi fai pensare a quando l’azzurro compare all’improvviso dissi-pando le nuvole che tormentano il cielo e che sembra non debbanoandarsene mai più! Si direbbe che tu abbia già le chiavi che gli adul-ti impiegano tutta la vita a trovare...»

«È normale: io ho vere chiavi che aprono. Non dei passepar-tout!»

«Mi piacerebbe proprio rivederti. Ma non conosco nemmeno iltuo nome!»

«Non è grave, sai. Nemmeno io so esattamente chi sei, ma mi ri-corderò del tuo sguardo. Lo saprò riconoscere tra migliaia. E saràsufficiente per ritrovarci. Se un giorno mi perderai, non hai che dacercare la Casa del silenzio che parla. Alla fine mi vedrai compari-re! Il mio nome è Joy, e quello che hai visto sulla croce poco fa èGesù Cristo il Magnifico! Bene, adesso devo andare. Ti auguro unagiornata buona e felice!»

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La tavola delle 36 candele

1. L’uomo che dormiva sugli alberi pag. 11

2. La Casa del silenzio che parla » 16

3. Ha trovato la sua felicità? » 25

4. Il cerchio di luce » 37

5. L’uomo del giusto mezzo » 42

6. Il piccolo signore dei ruscelli e delle fonti » 49

7. Le «tesorizzazioni» di Joy » 62

8. Non c’è amore più grande... » 70

9. Il regno di Joy » 78

10. S.D.V. (Se Dio vuole) » 87

11. Le tribolazioni di Sagamore » 92

12. Dialoghi con il decifratore dell’invisibile » 99

13. Il meraviglioso enigma dell’angelo » 105

14. Il luogo in cui si incontrano il nulla e il grande Tutto » 113

15. La buona sorte » 117

16. Il Fronte di Liberazione della Gioia di Vivere » 122

17. Che cosa hai fatto di bello? » 129

Page 19: Joy e la ricerca della felicità - estratto libro - Paoline

18. Le colazioni di silenzio pag. 136

19. Paesaggi nei volti » 144

20. Padronanza dell’Essere: scusa - grazie - ti voglio bene » 149

21. L’immobilità trionfante » 158

22. I misteri dell’uomo con la Rolls-Royce nera e avorio » 164

23. La ricchezza interiore » 169

24. Piccola bravata » 182

25. La parabola delle erbacce, dei lamponi e delle ortiche » 190

26. Il dono divino del discernimento » 199

27. Occasioni di felicità e felicità d’occasione » 206

28. La felicità accidentale » 217

29. La Cittadella » 231

30. «Lasciarsi vivere» » 239

31. Ballata della gioia perfetta » 249

32. Rivelazione » 261

33. La festa toscana » 266

34. La sofferenza e la grazia » 274

35. La presenza nell’assenza » 286

36. Pace regale » 297

Page 20: Joy e la ricerca della felicità - estratto libro - Paoline

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La ricerca della felicità non è più cosa da filosofi greci. Sagamore,per esempio, giovane un po’ svagato originario di non si sa bene qua-le lontano paese, è venuto a cercare la felicità nella grande città. Quitutto lo stupisce, a cominciare dal fatto che la gente non si stupiscepiù di nulla.

Nella sua ricerca, Sagamore incontra Joy, una ragazzina dal nomequanto mai opportuno, che gli fa da guida con mistico entusiasmo,« come se l’infinito fosse entrato per sbaglio dentro di lei ». Joy è untorrente di vita, e si diverte a provocare benevolmente in tutti quelliche incontra un « sussulto dell’essere », una sferzata che li scuota daltorpore.

Con l’incoraggiamento di questa musa in calzini bianchi, la ricercadi Sagamore prende i toni di una storia ricca di colpi di scena, altale-nante come i volteggi della gioia nei destini umani: presenza vulnera-bile ma duratura, sempre attesa e sempre minacciata, vezzeggiata eincompresa, pronta ad abbandonare i suoi territori per poi tornare contutta la sua vitalità proprio quando si pensava di averla perduta persempre.