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COSTRUIRE ITINERARI DI APPRENDIMENTO: UNA SCELTA DI METODOPROF.SSA TIZIANA FAIELLA

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Università Telematica Pegaso Costruire itinerari di apprendimento:

una scelta di metodo

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LA SCUOLA TRA METODI E STRATEGIE DIDATTICHE ------------------------------------------------------- 3

2 COSTRUIRE ITINERARI DI APPRENDIMENTO EFFICACI----------------------------------------------------- 6

3 LA RICERCA-AZIONE A SCUOLA E L’APPRENDIMENTO COLLABORATIVO ------------------------ 11

4 LA LOGICA DELLA RICERCA-AZIONE: MIGLIORARE IL PROCESSO EDUCATIVO ---------------- 15

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 21

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1 La scuola tra metodi e strategie didattiche

Prima di inoltrarci nella presentazione dei metodi didattici più innovativi che caratterizzano

la nuova scuola del terzo millennio è utile definire dal punto di vista semantico il significato di

metodo. La domanda da porci è: “Che cosa è il metodo?” Il metodo (méthodos dal greco meta

(lungo) e hodós (strada) “la strada che si percorre”) è il cammino da percorrere per raggiungere

una meta. È utile fare una distinzione tra ciò che comunemente s’intende con il termine “metodo

didattico” e con quello di “tecnica didattica”, nonostante la maggior parte della letteratura su questo

tema non evidenzia come sia necessaria tale distinzione poichè in effetti i due termini nascondono

due concetti molto diversi anche se tra di loro ben correlati. Come sottolinea P. L. Muti1, con il

termine “metodo didattico” s’intendono i concetti e i principi che stanno alla base di un’azione

formativa; mentre con il termine “tecnica didattica” s’intendono semplicemente le modalità

operative vere e proprie che si impiegano in un’azione formativa. Scrive Vergnano2 che “il metodo

è l’insieme di principi, regole, operazioni, pratiche che si adottano e seguono consapevolmente in

vista del conseguimento di un fine attraverso l’uso di tecniche specifiche”.

Scegliere sin dall’inizio un metodo adatto alla difficoltà da risolvere costituisce quindi un

mezzo per non procedere a tentoni3. Il metodo è la strada da percorrere per perseguire gli obiettivi

formativi, cioè per acquisire le competenze personalizzate che sono previste nelle unità di

apprendimento e che si articolano in conoscenze (sapere), capacità (saper fare) e atteggiamenti

(saper essere).

1 L. Muti, Organizzazione e formazione. Angeli, Milano, 1988, p. 44.

2 I. Vergnano, Il problema della società educativa. Paravia, 1975, 92.1.

3 Goguelin, La formazione animazione. tr. it, Isedi, Torino, 1991, p. 92.

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Il metodo è quindi il percorso che conduce al risultato; esso riguarda il come insegnare ma

ha origine dall’intreccio di due fattori:

il che cosa si vuole insegnare;

a chi si vuole insegnare.

Il metodo didattico si configura come una modalità procedurale e processuale attivata e

programmata dal docente, che facilita l’acquisizione significativa, stabile e fruibile di ciò che si

offre con l’azione di insegnamento. L’insegnamento è una proposta complessa di contenuti, metodi

e tecniche operative, di valori, di strategie e di visioni del mondo. Il compito specifico di un metodo

didattico è di creare le condizioni, interne ed esterne al soggetto, che consentano l’attivazione di

operazioni intellettuali necessarie all’assimilazione dei contenuti dell’apprendimento nella struttura

conoscitiva dell’allievo e alla riorganizzazione di tale struttura. È utile affermare che non esiste un

metodo migliore dell’altro, può esserci un metodo più efficace o meno efficace, ma oggi l’idea è

quella di utilizzare più metodi e quindi creare più percorsi attraverso l’utilizzo di strategia che

aiutano la personalizzazione dell’insegnamento e creano le condizioni per attivare tutti i processi

cognitivi dei singoli alunni portatori di intelligenze multiple (Gardner).

Al docente il compito di tenere desta l’attenzione dei propri alunni attraverso scelte

metodologiche adeguate. Un buon insegnante, oggi, è colui che sa coniugare attività di

progettazione, programmazione, valutazione con attività di motivazione, animazione, gratificazione

degli alunni e di gestione della classe. Quindi il modo di presentare l’argomento, l’uso dei linguaggi

verbali e non verbali, l’impiego dei media tecnologici, il tipo di lavoro da assegnare agli alunni,

l’utilizzo delle dinamiche di gruppo attivate nella classe diventano degli espedienti importantissimi

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per conseguire dei buoni risultati di apprendimento. Il docente nell’attività di insegnamento deve

tenere conto della specificità di ogni alunno a cui si rivolge, che è il vero protagonista del sistema

insegnamento–apprendimento.

Colui che insegna, per tale motivo, non deve avere modelli fissi a cui ispirarsi, ma deve

possedere un metodo duttile da adattare alle esigenze formative dei singoli studenti e alle particolari

capacità. Guidare lo studente verso un apprendimento autonomo è lo scopo principale dell’attività

di insegnamento. Una corretta metodologia didattica deve partire sempre dall’alunno, cioè dalla sua

situazione di partenza (di carattere non solo cognitivo ma anche socio–relazionale e culturale legato

all’ambiente di appartenenza), quindi dai prerequisiti che possiede in relazione ad alcuni contenuti

disciplinari da apprendere (in mancanza dei quali ci si attiva per un recupero o per un’eventuale

ridimensionamento dei contenuti o degli obiettivi) e infine dalle conoscenze pregresse, sulle quali

innestare le nuove. In tal modo si renderà l’apprendimento significativo per gli alunni, poiché si

partirà dai loro interessi, dai bisogni formativi, dalla realtà socio-culturale in cui vivono,

mantenendo, così, alto il livello motivazionale e l’interesse e premiando l’applicazione.

L’insegnante, inoltre, deve essere in grado di attivare diversi canali di comunicazione, in modo da

coinvolgere tutti gli alunni e da stimolarne la partecipazione al processo di apprendimento. A tale

scopo la metodologia didattica deve comprendere il maggior numero possibile di tecniche, al

fine di rendere vario, flessibile, ricco ed efficace l’insegnamento.

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2 Costruire itinerari di apprendimento efficaci

Il processo insegnamento/apprendimento, oggi, assume in vista anche della Riforma un

ruolo sempre più decisivo. L’alunno non può assolutamente essere concepito più come passivo

destinatario dell’azione didattica del docente, ma si deve pensare ad un alunno attivo, protagonista

della propria formazione.

In tale prospettiva, il compito dei docenti non è più tanto quello di fare lezione, di spiegare

come si scrive, o come si risolvono i problemi ecc., quanto di creare situazioni che consentano agli

alunni di operare a livello fisico e psichico. Occorre creare situazioni di apprendimento, contesti

formativi, percorsi apprenditivi, itinerari di apprendimento.

Gli itinerari di apprendimento4 sono considerati proprio nelle sua definizione semantica di

itinerari, cammino, percorso e quindi attività da effettuare, attraverso l’utilizzo di determinati

strumenti didattici. Pertanto, una volta individuato un itinerario di apprendimento, ai docenti spetta

la conoscenza degli strumenti più adeguati, scegliendoli tra quelli concreti, iconici e simbolici, a

seconda dei livelli di sviluppo degli alunni. I docenti devono non solo conoscere ma anche saper

valutare in maniera adeguata a quali tecniche educative far ricorso, perché in questo modo possano

promuovere le competenze adeguate. Sulla base di tale premesse è utile attivare le tre forme di

rappresentazione di cui parlano, in particolare Piaget e Bruner, cioè concrete, iconiche e

simboliche, rappresentazioni accompagnate e sostenute dal linguaggio verbale, come precisa il

Mialaret il quale ci descrive, così, il processo di rappresentazione:

4 U. Tenuta “Itinerari di apprendimento”. Rivista Educazione&Scuola.

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Occorre partire dalle esperienze concrete utilizzando materiali comuni e strutturati, tenendo

presente che le operazioni a livello iconico hanno significato solo se si sono già effettuate le

esperienze concrete e che dalle esperienze concrete ed iconiche occorre pervenire alle

rappresentazioni simboliche. Le esperienze concrete ed iconiche costituiscono la base dei processi

di astrazione e di simbolizzazione alle quali necessariamente, anche se con opportuna gradualità e

senza una rigida scansione temporale, occorre pervenire. Pertanto, la scelta dei materiali didattici,

l’uso delle tecnologie educative che gli alunni debbono utilizzare è un elemento essenziale,

decisivo, ai fini dell’efficacia degli itinerari di apprendimento. Non possiamo sottovalutare che oggi

esiste una rappresentazione che si pone tra la rappresentazione concreta e la rappresentazione

iconica: la rappresentazione virtuale.

Il computer con le sue innovative applicazioni anche in rete consente di creare oggetti

virtuali, anche tridimensionali, che possono essere manipolati come gli oggetti reali, ma che sono

molto flessibili come le immagini, e quindi modificabili permettendo di adattarli alle specifiche

esigenze personali dei singoli alunni.

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L’attività didattica, oggi, non può non avvalersi di tali strumenti che grazie alle continue

ricerche ed innovazioni sono estremamente accessibili e facilitanti. I laboratori didattici delle scuole

si arricchiscono di questi strumenti virtuali che rappresentano un supporto valido all’azione

didattica quotidiana. Pur non sostituendo le tecnologie didattiche concrete, sempre necessarie,

indispensabili, prioritarie, tuttavia le tecnologie didattiche virtuali risultano estremamente utili.

In sintesi gli itinerari di apprendimento delineano il flessibile itinerario tra i punti di

partenza, diversi da alunno ad alunno, e gli obiettivi formativi che gli alunni debbono perseguire,

anche se a diversi livelli di conseguimento. Sono diversi i punti di partenza, perché ogni alunno si

presenta con diversi livelli di sviluppo e di apprendimento, e quindi di conseguenza diversi sono i

punti di arrivo.

Ma sono diversi anche i percorsi apprenditivi perché ogni alunno procede secondo i suoi

ritmi ed i suoi stili di apprendimento. Spetta ai docenti delineare itinerari di apprendimento flessibili

che consentano a ciascun alunno di utilizzare le strategie apprenditive e gli strumenti didattici

meglio rispondenti ai suoi stili ed ai suoi ritmi di apprendimento.

Peraltro, gli itinerari di apprendimento debbono essere flessibili anche per gli alunni che si

presentano con gli stessi stili e ritmi di apprendimento, non solo perché in effetti non esistono stili e

ritmi perfettamente uguali, ma anche e soprattutto perché gli itinerari non possono essere tracciati in

astratto, ma si mettono a punto, si definiscono, si precisano durante il loro svolgimento,

continuamente, sempre, inevitabilmente. È difficile prevedere e programmare in via definitiva rigidi

itinerari di apprendimento per tutti gli alunni di una classe e per i singoli alunni. I docenti possono

solo delineare, ipotizzare, prospettare gli itinerari di apprendimento, ma lasciandoli aperti ad ogni

opportuna modifica. È questo, in fondo, il significato che assume il discorso intorno alla creatività

didattica e anche il rifiuto alla programmazione didattica rigida ed uniforme.

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Tuttavia, forse anche per questo, gli itinerari di apprendimento vanno delineati, ipotizzati,

prospettati con estrema cura, impegnandosi a ricercare, individuare, mettere a punto le strategie e

utilizzando le tecnologie più adeguate ai singoli alunni. Ai docenti spetta il compito di individuare

attraverso quali attività i singoli alunni possano pervenire alla scoperta/costruzione/invenzione dei

concetti. La lezione espositiva, dove il docente si limita ad esporre i concetti senza eccessivamente

preoccuparsi delle attività che contemporaneamente gli alunni debbono effettuare per comprenderli

ed apprenderli, è stata superata da un’idea nuova di attività di

ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione (problem solving), dove il docente si preoccupa

soprattutto di individuare attraverso quali percorsi, attraverso quali attività, gli alunni possano

arrivare a scoprire/costruire/inventare i concetti utilizzando gli strumenti didattici più adeguati ai

loro livelli di apprendimento, ai loro ritmi ed ai loro stili apprenditivi.

Concludendo gli itinerari di apprendimento sono le sequenze di attività che gli alunni

vengono motivati e guidati a svolgere quando il docente ha “il coraggio di non dire”, quando il

docente riesce a resistere alla tentazione di esporre i concetti prima che gli alunni li abbiano

scoperti.

Quindi un canone didattico del docente che proponendosi di tacere o di parlare quanto meno

possibile, mette a punto le proposte delle attività che gli alunni debbono svolgere utilizzando

adeguati materiali didattici e strumenti operativi. Quando si parla di scelta di itinerari di

apprendimento assumono grandissima rilevanza i materiali didattici e le strategie da utilizzare,

infatti nella lezione espositiva il docente può limitarsi ad utilizzare pochissimi strumenti didattici (in

genere, la parola, i gesti, la mimica, il disegno alla lavagna, i cartelloni ed oggi anche le tecnologie

multimediali), negli itinerari di apprendimento gli strumenti didattici acquistano un ruolo primario,

essenziale, fondamentale, perché è attraverso il loro impiego che gli alunni possono pervenire alla

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scoperta dei concetti. In tal senso la Montessori utilizzava il materiale strutturato, il quale

rappresentava la concretizzazione dei concetti e andava utilizzato in un determinato modo per

pervenire alla scoperta dei concetti.

Forse nella scuola non si fa adeguato uso dei materiali strutturati, ma in linea generale

occorre dare pari importanza anche ai materiali comuni, non strutturati, perché la guida che gli

alunni debbono seguire è costituita soprattutto dalla meta, a condizione però che essi avvertano

l’esigenza di perseguirla, sappiano dove muovere i loro interessi e dove desiderano arrivare.

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3 La ricerca-azione a scuola e l’apprendimento collaborativo

L’avvio di una progettualità è sempre determinato dalla rilevazione di un bisogno, di una

situazione problematica e di conseguenza è finalizzato alla messa in atto di una strategia in grado di

fornire risposte in termini educativi.

La Legge 53/2003 vuole indirizzare la scuola in questo percorso affinché la proposta

formativa, da essa elaborata, sia il risultato di una coerente coniugazione dei bisogni formativi dello

studente e delle caratteristiche dell’ambiente di apprendimento. Essere in grado di dare

significatività all’apprendimento.

Comprendere e dominare le grandi e complesse trasformazioni dell’attuale periodo che

viviamo non è semplice, tuttavia la scuola si trova a dover svolgere un ruolo fondamentale:

elaborare la propria progettualità tenendo presenti le esigenze provenienti dal territorio in quanto il

sistema scuola è un sistema interagente con l’ambiente esterno.

Tutto questo si deve coniugare con l’idea forte e ormai consolidata che l’informazione non è

più patrimonio esclusivo della scuola, ma viene erogata dall’intera società con mezzi

tecnologicamente molto sofisticati e la stessa formazione dei giovani non è più solo il risultato del

settore formale, proprio dell’istituzione scolastica, ma è il risultato di una forte integrazione con i

settori informali e non formali della società.

La scuola si trova ad affrontare diversi ordini di problemi:

quale organizzazione darsi per attuare una progettualità in grado di intercettare i bisogni

formativi e mettere in atto processi finalizzati al cambiamento;

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come creare condivisione all’interno dell’istituzione scolastica a fronte di una complessità

che facilita divisioni e qualche volta contrapposizioni fra i diversi operatori;

con quale identità rapportarsi al territorio per creare condivisione in una logica di Rete.

I costrutti “progetto, progettualità, progettazione” costituiscono un volano per la qualità del

servizio educativo in grado di rilevare i bisogni e di incidere su di essi con interventi di tipo

educativo (D.P.R. 275/99). Tuttavia il ciclo di vita di un progetto di intervento nell’ambito

scolastico può essere rappresentato più da una figura circolare che da una rappresentazione lineare:

esso ha sicuramente un inizio, uno svolgimento e una fine, ma ha anche continui ritorni.

In campo educativo trova sempre più spazio la ricerca-azione: una metodologia che ha lo

scopo di individuare e migliorare una situazione problematica attraverso il coinvolgimento di ogni

singolo attore. Viene anche definita “catalizzatore del cambiamento” (Pourtois 1981).

La ricerca-azione nasce dalle riflessioni di Kurt Lewin nell’ambito della psicologia sociale.

Negli anni quaranta del Novecento, egli muove una critica ai metodi di ricerca basati sul

riduzionismo e sugli approcci classificatori e frequenziali allora in voga, in favore di metodi che

comportino uno studio analitico dei fattori situazionali e ambientali, all’interno dei quali i soggetti

della ricerca vivono e operano.

Secondo Lewin le statistiche e le operazioni classificatorie, astraendo gli oggetti dal loro

contesto, non fornirebbero strumenti in grado di rendere appieno la complessità dei fenomeni.

Obiettivo del ricercatore dovrebbe essere lo studio di situazioni particolari, concrete,

all’interno delle quali le interrelazioni tra fattori possono essere messe in evidenza nel modo più

semplice possibile.

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Già John Dewey, nei primi anni del Novecento, aveva sviluppato un’idea di educazione in

cui l’interazione attiva con il mondo aveva un ruolo centrale nell’apprendimento5

Tale approccio - scrive Maria Luisa Iavarone - si ricollega al modello anglosassone

dell’action-learning che punta a realizzare un rapporto circolare tra apprendimento e azione

attraverso un potenziamento, allo stesso tempo, tanto dell’apprendimento dall’esperienza quanto

della sperimentazione in azione di ciò che si è appreso; in altri termini è una modalità di

promozione del cambiamento basato sulla nozione dell’imparare facendo.

Le procedure della ricerca-azione teorizzato da Lewin secondo il noto paradigma:

PIANIFICARE – AGIRE – OSSERVARE per poi RIPIANIFICARE – AGIRE – OSSERVARE,

quindi riflettere di nuovo. Operativamente queste fasi richiedono un momento di VALUTAZIONE

dopo ciascuna di esse per decidere se si può passare alla fase successiva.

Tale metodo ha trovato ampie risonanze sia nella ricerca sperimentale sia nella pedagogia

classica, ma ciò che caratterizza in modo particolare la ricerca-azione è il suo approccio olistico che

ben si adatta all’educazione, in quanto processo organico, complesso, più circolare che lineare,

sempre dinamico e aperto: nella ricerca–azione teoria e prassi educativa sono momenti inscindibili.

La scientificità della ricerca–azione dipende dai risultati ottenuti che devono basarsi su:

coinvolgimento dell’intero gruppo di docenti che condivide la progettualità;

completezza di analisi della realtà scolastica coinvolta;

legame dei risultati educativi al contesto;

migliore consapevolezza metodologica e didattica dei docenti;

5 R. Trinchero, I metodi della ricerca educativa. Roma-Bari, laterza, 2004, p. 140.

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miglioramento del servizio educativo agli alunni.

La caratteristica essenziale della ricerca-azione, condivisa da quanti si riconoscono in questa

tradizione di ricerca, si basa sul riconoscimento del cambiamento nel modo di educare che essa è in

grado di produrre sul sistema scolastico e sul miglioramento professionale e personale degli attori

coinvolti nel processo.

Essa richiede il pieno coinvolgimento di tutti gli “attori”, quindi ciascun docente assume il

ruolo di attore-ricercatore all’interno del processo che lo vede pienamente attivo.

Le maggiori consapevolezze acquisite durante la ricerca-azione possono fornire agli

insegnanti maggiore potere decisionale in quanto più capaci di migliorare un contesto scolastico che

conoscono bene.

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4 La logica della ricerca-azione: migliorare il processo educativo

Per ricerca-azione si intende oggi una forma di ricerca partecipativa, compiuta da persone

direttamente impegnate nell’azione all’interno di una struttura o istituzione al fine di risolvere una

specifica difficoltà.

Essa salda inscindibilmente il momento conoscitivo della ricerca, finalizzato alla produzione

di conoscenza su una data realtà educativa con quello dell’azione, finalizzato alla messa in pratica

di un adeguato piano di intervento.

La ricerca non finisce con l’azione ma azione e ricerca sono contemporanee: la ricerca

fornisce il supporto conoscitivo per l’azione che a sua volta modifica la situazione e rende

necessaria nuova ricerca per delineare il nuovo quadro che si è creato.

Prerequisito indispensabile della ricerca-azione è che gli operatori, che sono gli attori

principali della ricerca, abbiano un effettivo potere decisionale, ossia abbiano la possibilità di

mettere in atto interventi concreti sulla situazione in oggetto, in accordo con quanto suggerito dai

risultati della ricerca da loro stessi condotta.

La ricerca-azione non segue un disegno rigidamente predefinito. Essa può partire da ipotesi

ma il suo obiettivo primario non è il loro controllo. La ricerca-azione si svolge come un processo

ciclico in cui ogni nuovo elemento di evidenza empirica raccolto può servire da base per costruire

nuove ipotesi.

I momenti del processo potrebbero essere suddivisi in:

1) identificare una situazione-problema;

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2) sviluppare il gruppo di ricerca;

3) pianificare un intervento in risposta alla situazione-problema, basandolo su obiettivi

realistici e raggiungibili, definiti nel modo più preciso possibile;

4) agire per metterlo in atto;

5) rilevare gli effetti dell’intervento stesso;

6) riflettere su di essi per capire se l’intervento ha sortito gli effetti sperati oppure no, quali

sono stati gli effetti indesiderati, e come utilizzare questa conoscenza per pianificare un

nuovo intervento.

L’ottica è quindi quella di una continua verifica, valutazione e controllo dei risultati

conseguiti attraverso determinati interventi e della conseguente modifica di strategie adottate

quando queste si rilevino inadeguate.

La verifica costante e attiva può assumere la forma del monitoraggio, ossia una procedura di

osservazione sistematica degli interventi e delle risposte, allo scopo di rilevare le trasformazioni da

essi prodotte, i parametri in grado di descriverle, di tracciare le linee di evoluzione delle situazioni,

gli ostacoli al raggiungimento degli obiettivi, di mettere in luce i bisogni e le loro trasformazioni, le

criticità, le potenzialità della struttura e del gruppo di lavoro. “Sulla base dei dati di monitoraggio è

possibile mettere in atto opportuni aggiustamenti degli interventi” (R. Trinchero, I metodi della

ricerca educativa, Roma-Bari, laterza, 2004, p. 142/143).

Si tratta di una concezione di ricerca e di metodologia strettamente legata al farsi della

conoscenza scolastica e che si realizza pienamente solo in quanto indagine pratica di carattere

conoscitivo, tesa al miglioramento delle condizioni educative della classe:

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“… il significato della metodologia non è solo quello di ricetta per fare ricerca, essa è anche

un modello di lettura di esperienze educative innovative: può cioè rivelarci i passaggi logici e

cronologici di un determinato fatto o insieme di fatti in modo da chiarirci l’andamento dell’insieme

che analizziamo. Da questo punto di vista la riflessione metodologica assume i caratteri di

un’analisi metacognitiva di un processo” 6

Il coinvolgimento di tutti i membri della comunità nelle varie fasi del processo è molto

importante per poter cogliere il maggior numero possibile di aspetti della situazione sotto esame,

per interrogarsi sulle contraddizioni che potrebbero emergere durante la ricerca (…), per poter

giungere a soluzioni condivise e per poter avere effettive possibilità di cambiamento.

La ricerca viene condotta in modo partecipato da tutti i membri della comunità, che ne fanno

proprie le istanze attraverso una continua negoziazione.

Il processo di ricerca deve mirare all’acquisizione di consapevolezza da parte degli

insegnanti, inducendo in essi la sensibilità a un continuo lavoro sul proprio operato. Tale riflessione

ha sicuramente aspetti individuali, ma viene stimolata attraverso un processo di gruppo. È il gruppo

che deve acquisire consapevolezza delle proprie dinamiche e dei meccanismi che regolano il

funzionamento del servizio. Negli insegnanti si deve raggiungere la consapevolezza che un tale

percorso può evidenziare anche le proprie potenzialità ed i propri limiti, ed aiuta a sviluppare

capacità di autoanalisi e di analisi delle situazioni operative concrete. “L’acquisizione di

consapevolezza si esplica anche nelle abilità di autovalutazione7”

6 R. Gatti, Che cos’è la pedagogia sperimentale. cit. pp. 45/47.

7 R. Trinchero, I metodi della ricerca educativa, cit. pp. 144/145.

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Di seguito una griglia riassuntiva sulla metodologia di ricerca-azione esaminata.

RICERCA– AZIONE: Griglia metodologica

1° fase: PIANIFICARE

- Definizione del problema o situazione problematica (quale conoscenza voglio

migliorare/approfondire? Per quale motivo?).

- Definizione dei destinatari (La ricerca è rivolta alla classe? O a situazioni con

caratteristiche specifiche?).

- Definizione degli attori (Chi interverrà nel percorso? Chi contribuirà al raggiungimento

del fine previsto?)

- Brainstorming8 riguardante le caratteristiche e/o dati salienti da esaminare e i

problemi/dubbi/riflessioni connessi.

- Individuazione delle finalità generali.

- Individuazione dei bisogni formativi.

- Scelta del contenuto/bisogno formativo ritenuto prioritario, che sarà il focus della ricerca.

- Definizione degli obiettivi sulla base delle ipotesi condivise dal gruppo.

- Scelta degli interventi/azioni e dei tempi necessari.

8 Il brainstorming funziona focalizzando un problema, e poi lasciando emergere deliberatamente senza un ordine

prestabilito tante soluzioni originali quante sia possibile. Il fondamento del brainstorming è la generazione di idee, in

modo individuale o in gruppo, evitando di darne subito un giudizio di valore: la ricerca scientifica ha dimostrato che

questo principio è altamente produttivo sia nello sforzo individuale che nel lavoro di gruppo.

Università Telematica Pegaso Costruire itinerari di apprendimento:

una scelta di metodo

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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2° fase: AGIRE

Messa in atto degli interventi da parte di tutti gli attori coinvolti. L’intero gruppo di docenti

e gli eventuali esperti coinvolti conducono l’azione con ruoli assolutamente paritari, delineano e

sperimentano linee di intervento e metodologia per quel particolare contesto, conosciuto in modo

approfondito e con coinvolgimento emotivo, una realtà sentita e vissuta.

3° fase: OSSERVARE – MONITORARE

Scelta degli strumenti necessari da utilizzare:

- Diario di bordo (strumento a sfondo soggettivo). Di particolare importanza per rilevare

la collaborazione interattiva attraverso la modificazione delle proprie posizioni, in

quanto di volta in volta si può essere osservatori o osservati.

- Interviste – registrazioni – questionari (strumenti a sfondo oggettivo).

L’uso degli strumenti è finalizzato alla documentazione di quanto avviene nel laboratorio

per poter adeguatamente documentare i “processi” e gli eventuali “prodotti”.

4° fase: riflettere – valutare – ri/pianificare

Valutazione dei risultati: si sono verificati i cambiamenti previsti? Si registrano

miglioramenti rispetto alla situazione iniziale?

Il cambiamento/miglioramento prodotti nell’attività educativa si valutano con criteri di:

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- efficacia, congruenza tra obiettivi e situazioni partenza;

- efficienza conseguimento degli obiettivi con le risorse esistenti.

Nell’eventualità di mancato conseguimento degli obiettivi previsti si procede alla ri-

pianificazione delle ipotesi iniziali tenendo conto delle variabili intervenute. L’attività progettuale

nella ricerca/azione se ben utilizzata ed integrata nel comune fare scuola, è finalizzata a produrre

cambiamenti, in termini migliorativi del processo di apprendimento/insegnamento.

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Bibliografia

“L’apprendimento della matematica” di G. Mialeret. Armando, Roma, 1969, pp. 46-47.

“Dopo Dewey” di J. S. Bruner. Armando, Roma, 1964, p. 17.

“Insegnando s’impara. Ricerca-azione in classe e sviluppo professionale dell’insegnante”

di G. Pozzo. Torino, IRRSAE Piemonte, 1999.

“The emotional nature of qualitative research” di K. R. Gilbert. Boca Raton, CRC Press,

2001.

“La ricerca azione” di C. Trombetta, L. Rosiello. Trento, Erickson, 2000.

“Come fare ricerca qualitativa” di D. Silverman. Roma, Carocci, 2002.

“La faccia nascosta della classe” di P. Vayer, M. Camuffo. Roma, Magi Edizioni

Scientifiche, 2000.

“La ricerca qualitativa nelle organizzazioni. Teoria, tecniche, casi” di D. M. Macrì, M. R.

Tagliavento. Roma, Carocci, 2000.

“Organizzazione e formazione” di L. Muti. Angeli, Milano, 1988.

“Il problema della società educativa” di I. Vergnano. Paravia, 1975.

“La formazione animazione” di Goguelin. tr. it, Isedi, Torino, 1991.

“Che cos’è la pedagogia sperimentale” di R. Gatti. Editore Carocci 2002.

“I metodi della ricerca educativa” di R. Trinchero. Manuali Laterza 2015.