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ORIENTAMENTI INTERNAZIONALI NELLEDUCAZIONE DEGLI ADULTI DOCUMENTI GUIDAPROF. BARBARA DE CANALE

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Università Telematica Pegaso Orientamenti internazionali nell’educazione degli

adulti – Documenti Guida

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 TENSIONI EDUCATIVE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 4

3 I PILASTRI DELL’EDUCAZIONE---------------------------------------------------------------------------------------- 6

4 I SETTE SAPERI -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 7

4.1. CECITÀ DELLA CONOSCENZA ----------------------------------------------------------------------------------------------- 7 4.2. CONOSCENZA PERTINENTE --------------------------------------------------------------------------------------------------- 8 4.3. INSEGNARE LA CONDIZIONE UMANA --------------------------------------------------------------------------------------- 9 4.4. INSEGNARE L’IDENTITÀ TERRESTRE -------------------------------------------------------------------------------------- 10 4.5. AFFRONTARE LE INCERTEZZE --------------------------------------------------------------------------------------------- 11 4.6. INSEGNARE LA COMPRENSIONE ------------------------------------------------------------------------------------------- 11 4.7. ETICA DEL GENERE UMANO ------------------------------------------------------------------------------------------------ 12

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1 Introduzione

La parte di programma che svilupperemo insieme per questo insegnamento di Educazione

degli adulti è suddivisa in tre sezioni o blocchi: con il primo prenderemo in considerazione gli

Orientamenti internazionali nell’Educazione degli adulti; con il secondo, riprendendo e analizzando

il pensiero di alcuni Autori, affronteremo le peculiarità dei processi di apprendimento nel soggetto

adulto; con il terzo, infine, metteremo a fuoco le caratteristiche dei gruppi di lavoro e delle

comunità di pratiche, soffermandoci in modo particolare sul passaggio dagli uni agli altri.

Con questa lezione diamo inizio al primo dei tre blocchi; la nostra analisi partirà dalla

considerazione di alcuni documenti guida che in qualche modo orientano i programmi e le iniziative

che la comunità internazionale promuove e conduce nel campo dell’Educazione degli adulti. Questi

Documenti sono sostanzialmente due:

- J. DELORS, L’Éducation, un trésor est caché dedans. Rapport à l’Unesco de la Commission

internationale pour l’éducation du vingt et unième siècle, Editions Unesco/Editions Odile Jacob,

Paris 1996, tr. it. Nell’educazione un tesoro, Armando, Roma 1997.

E. MORIN, Les sept savoirs nécessaires à l’éducation du futur, Unesco, Paris 1999, tr. it I

sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina, Milano 2001. Saggio scritto su

Commissione dell’Unesco nell’ambito del Programma Internazionale dell’Educazione.

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2 Tensioni educative

Nel Rapporto all’UNESCO della Commissione internazionale sull’educazione per il XXI

secolo, Jacques Delors individua una serie di tensioni che sono al cuore delle problematiche del

ventunesimo secolo e a cui l’educazione deve fornire una risposta.

1. La tensione tra il globale ed il locale: divenire cittadini del mondo senza perdere le proprie

radici e partecipando attivamente alla vita della propria Nazione e della propria comunità.

2. La tensione tra l’universale e il singolare: il processo in atto di mondializzazione della cultura è

ineludibile con le sue promesse ed i suoi rischi, tra i quali il maggiore è quello di dimenticare

l’unicità di ciascuna persona con la sua vocazione a scegliere il proprio destino e a realizzare le

proprie potenzialità, nella ricchezza delle proprie tradizioni e della propria cultura, minacciate dai

cambiamenti in corso.

3. La tensione tra tradizione e modernità: adattarsi ai cambiamenti senza rinnegare il passato;

costruire la propria autonomia compatibilmente alla libertà e all’evoluzione dell’altro;

padroneggiare il progresso scientifico.

4. La tensione tra “a lungo termine” e “a breve termine”: nel dominio dell’effimero e

dell’istantaneo, il sovraccarico di informazioni e di emozioni senza domani conduce ad una

concentrazione sui problemi immediati che richiedono delle soluzioni rapide, laddove molteplici

questioni necessitano di strategie pazienti, concertate e negoziate.

5. La tensione tra l’esigenza della competizione ed il principio di uguaglianza delle opportunità: la

pressione esercitata dall’obbligo della competizione fa sovente dimenticare il dovere di fornire a

ciascuno gli strumenti per cogliere le proprie opportunità.

6. La tensione tra lo straordinario sviluppo delle conoscenze e le capacità di assimilazione

dell’uomo: i programmi scolastici sono sempre più ricchi di discipline e di nozioni. Occorre,

dunque, in una strategia di riforma, operare delle sagge scelte che non sacrifichino gli elementi

essenziali di un’educazione di base che, attraverso la conoscenza, la sperimentazione e la

costruzione di una cultura personale, veicoli gli strumenti per un miglioramento della qualità della

vita.

7. La tensione tra lo spirituale ed il materiale: il mondo ha sete di ideali e di valori morali.

L’educazione ha il nobile compito di suscitare in ciascuno, secondo le sue convinzioni e tradizioni,

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nel pieno rispetto del pluralismo, un’elevazione del pensiero e dello spirito sino all’universale ed in

qualche modo sino ad un superamento di se stessi. È in gioco la sopravvivenza dell’umanità.

Posta di fronte a queste tensioni, l’educazione ha il compito di fornire ai suoi destinatari le

mappe di un mondo complesso, trasmettendo la crescente quantità di conoscenze e di cognizioni

tecniche in continua evoluzione. Essa non può tuttavia tralasciare di offrire anche la “bussola” che

consenta di orientarsi in questo mondo, indicando quei punti di riferimento capaci di prospettare

quale fine dell’educazione, lo sviluppo tanto degli individui, quanto delle comunità.

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3 I pilastri dell’educazione

Per riuscire nei suoi compiti, J. Delors ritiene che l’educazione debba poter garantire quattro

tipi fondamentali di apprendimento:

- imparare a conoscere: risiede non tanto nell’acquisizione di informazioni codificate che

consentono al soggetto di comprendere il proprio ambiente, quanto nel possesso degli strumenti

stessi della conoscenza, nel piacere di capire, di scoprire, nell’affinamento delle capacità di giudizio

critico, di riflessione, di concentrazione, di memoria. La prima educazione è ben riuscita se ha

fornito gli stimoli e le basi che consentiranno al soggetto di continuare ad apprendere per tutta la

vita.

- Imparare a fare: sta ad indicare l’acquisizione non tanto di abilità professionali, quanto di

competenza personale, intesa quale misto di comportamento sociale, di attitudine al lavoro di

gruppo e alla gestione dei conflitti, di capacità di progettazione, di innovazione, di iniziativa e di

disponibilità ad affrontare i rischi.

- Imparare a vivere insieme: significa sviluppare la conoscenza degli altri, della loro storia, delle

loro tradizioni e della loro spiritualità e, a partire dalla consapevolezza delle interdipendenze e da

un’analisi condivisa dei rischi e delle sfide del futuro, giungere alla realizzazione di progetti comuni

e ad una gestione intelligente dei possibili conflitti.

- Imparare a essere: il ruolo fondamentale dell’educazione è quello di attrezzare gli individui di

libertà di pensiero, di giudizio, di sentimento e di immaginazione, affinché essi possano sviluppare i

propri talenti e mantenere il controllo della propria vita.

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4 I sette saperi

Prendendo ora in considerazione il secondo dei testi prima menzionati, E. Morin sottolinea in esso

come l’educazione debba adoperarsi per fornire quelli che lui suggestivamente chiama i sette saperi

necessari all’educazione del futuro:

- Far comprendere come la conoscenza possa talvolta essere fonte di errore e di illusione

- Trasmettere una conoscenza pertinente

- Insegnare la condizione umana

- Insegnare l’identità terrestre

- Affrontare le incertezze

- Insegnare la comprensione

- Costruire un’etica del genere umano

4.1. Cecità della conoscenza

L’educazione deve dimostrare che non esiste conoscenza che non sia in qualche modo minacciata

dai rischi di errore e di illusione. La conoscenza non è uno specchio fedele delle cose o del mondo

esterno. Tutte le nostre percezioni sono delle traduzioni e delle ricostruzioni cerebrali a partire da

stimoli o da segni che sono catturati e codificati dai sensi. Nessun dispositivo cerebrale permette di

distinguere l’allucinazione della percezione, il sogno dalla veglia, la fantasia dalla realtà, il

soggettivo dall’obiettivo. In ciascuno di noi esiste la possibilità di mentire a se stessi che è una fonte

permanente di errori e illusioni. L’egocentrismo, il bisogno di auto-giustificazione, la tendenza a

proiettare sugli altri la causa del male fanno sì che ciascuno possa mentire a se stesso senza rendersi

conto di essere portatore e dunque artefice di questo errore o menzogna.

La conoscenza sotto forma di parola, idea, teoria, è il risultato di una traduzione / ricostruzione per

mezzo del linguaggio e del pensiero e, quindi, anche qui risiede un rischio di errore. Questa

conoscenza, infatti, intesa come traduzione e ricostruzione, è frutto di interpretazione, perciò,

nonostante i nostri controlli razionali, è esposta alla proiezione dei nostri desideri o delle nostre

paure, alle perturbazioni provocate dalle nostre emozioni. Tutto questo può indurre l’errore.

La razionalità è la migliore salvaguardia contro l’errore e l’illusione. La razionalità costruttiva

elabora teorie coerenti, verificando il carattere logico dell’organizzazione teorica, la compatibilità

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tra le idee che compongono la teoria, l’accordo tra le sue affermazioni e i dati empirici ai quali si

applica. È importante che la razionalità rimanga aperta a ciò che può contestarla, altrimenti essa si

trasforma in dottrina e diventa razionalizzazione. La razionalità, infatti, porta anche in sé la

possibilità di errore e di illusione quando si tramuta per l’appunto in razionalizzazione. La

Razionalizzazione si presume razionale in quanto costituisce un sistema logico perfetto, fondato

sulla deduzione o sull’induzione, si basa però su basi false o parziali, e si arresta alla contestazione

degli argomenti e alla verifica empirica. La Razionalizzazione è chiusa, laddove la razionalità deve

rimanere aperta.

Un’altra possibilità di errore si cela nei paradigmi da noi posseduti. Un paradigma è un

modello di riferimento utilizzato per spiegare la realtà, organizzare i dati, il sapere; esso può celare

il rischio di errore in quanto comporta la selezione dei concetti e la determinazione delle operazioni

logiche (inclusione-esclusione, la disgiunzione-congiunzione, implicazione-negazione); gli

individui conoscono, pensano e agiscono secondo i paradigmi culturali iscritti in loro. I paradigmi

più diffusi la cui origine risale a Descartes sono quelli che hanno introdotto la separazione tra:

soggetto-oggetto, anima-corpo, spirito-materia, qualità-quantità, finalità-causalità, sentimento-

ragione, libertà-determinismo, ecc. Un paradigma può all’occorrenza chiarire o ingannare, rivelare

o nascondere. Al suo interno si trova dunque una questione chiave in agguato nel gioco della verità

e dell’errore.

Al determinismo dei paradigmi e dei modelli esplicativi si unisce il determinismo di

convinzioni e credenze che, nel momento in cui regnano su una società, impongono a tutti e a

ciascuno la forza imperativa del sacro, la forza normalizzatrice del dogma, la forza proibitiva del

tabù.

Tutte le convinzioni e determinazioni propriamente socio-economico-politiche e tutte le

determinazioni propriamente culturali convergono e si coordinano per intrappolare la conoscenza in

un multideterminismo di imperativi, norme, divieti, rigidità. Vi è dunque, sotto il conformismo

cognitivo, una sorta di imprinting culturale, una sorta di normalizzazione che elimina ciò che può

contestarla.

4.2. Conoscenza pertinente

La conoscenza oggi è caratterizzata dall’iperspecializzazione di discipline separate e non

comunicanti tra loro, dalla tendenza a leggere e a spiegare i fenomeni secondo un approccio che

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riduce il complesso, il multidimensionale al semplice, dall’impiego di una falsa razionalità, cioè di

una razionalizzazione astratta e unidimensionale.

Perché una conoscenza possa essere pertinente deve rendere evidenti:

- il contesto: La conoscenza di informazioni o di dati isolati è insufficiente. Bisogna situare dati e

informazioni all’interno di un contesto perché assumano significato.

- Il globale: esso è qualcosa in più del contesto, è l’insieme che contiene le diverse parti che sono

legate secondo modalità interdipendenti e interagenti. Il tutto ha delle qualità o delle proprietà

che non sarebbero presenti nelle parti se esse si trovassero isolate l’una dall’altra; alcune qualità

o proprietà delle parti possono essere inibite dai vincoli provenienti dal tutto.

- Il multidimensionale: le unità complesse, come gli esseri umani o la società, sono

multidimensionali, così l’essere umano è ad un tempo biologico, psicologico, sociale, emotivo,

razionale. La società comporta delle dimensioni storiche, economiche, sociologiche, religiose ...

La conoscenza pertinente deve riconoscere questa multidimensionalità non isolando ciascuna

parte dal tutto, ma riconoscendo interconnessioni e interdipendenze.

Il complesso: complexus significa ciò che è tessuto insieme; infatti, c’è complessità quando

sono inseparabili gli elementi differenti che costituiscono un tutto. C’è un tessuto interdipendente,

interattivo e inter-retroattivo tra l’oggetto della conoscenza e il suo contesto, le parti e il tutto, le

parti tra di esse. La complessità è, pertanto, il legame tra unità e molteplicità. Gli sviluppi propri

alla nostra era planetaria, ci impongono di confrontarci sempre di più con le sfide della

complessità.

4.3. Insegnare la condizione umana

L’insegnamento delle singole discipline tende a disintegrare questa unità complessa della

natura umana, Bisogna ricomporre questa unità, in modo che ciascuno abbia conoscenza e

consapevolezza della propria identità complessa e dell’identità che lo accomuna a tutti gli altri

esseri umani.

Insegnare la condizione umana significa anzitutto riconoscere la collocazione dell’uomo all’interno

del cosmo e riconoscere poi il suo essere contemporaneamente essere biologico e culturale.

La condizione umana è anche caratterizzata dalla triade ragione/pulsione/affettività: le relazioni tra

le tre istanze sono non soltanto complementari, ma anche antagoniste comportanti i conflitti ben

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conosciuti tra la pulsione, il cuore e la mente; non esiste una gerarchia ragione/affettività/pulsione,

ma c’è un relazione instabile, variabile tra le tre istanze. La razionalità non ha quindi il potere

supremo. Si tratta di un’istanza, che è in competizione e in antagonismo con le altre con altre

istanze all’interno di una triade inscindibile, ed è fragile: può essere dominata, controllata o

sopraffatta dalle emozioni o istinto.

Infine, vi è una relazione triadica individuo / società / specie. Gli individui sono i prodotti

del processo riproduttivo della specie umana, ma questo processo stesso deve essere prodotto da

due individui. Le interazioni tra individui producono la società, e questa che testimonia l’emergere

della cultura, proprio per il tramite della cultura retroagisce sugli individui. La Complessità umana

non può essere compresa in modo separato dai suoi elementi costitutivi: ogni sviluppo veramente

umano significa sviluppo congiunto delle autonomie individuali, della partecipazioni comunitarie, e

del sentimento di appartenenza alla specie umana. L’educazione del futuro dovrà vegliare a che

l’idea dell’unità della specie umana non cancelli quella della sua diversità e che quella della sua

diversità non azzeri quella di l’unità. C’è una unità del genere umano. C’è una diversità umana.

L’unità è non solo nei tratti biologici della specie homo sapiens. La diversità non è solo nei tratti

psicologici, culturali e sociali degli esseri umani. C’è anche una diversità propriamente biologica

entro l’unità del genere umano, vi è una unità non solo cerebrale, ma anche mentale, psicologico,

emotivo, intellettuale; di più, culture e società diverse hanno principi generativi e organizzativi

comuni. È l’unità umana che porta in sé i principi delle sue tante diversità. Comprendere l’umano

significa comprendere la sua unità nella diversità, e la sua diversità nell’unità.

4.4. Insegnare l’identità terrestre

L’educazione deve mettere i suoi allievi nelle condizioni di acquisire:

- Coscienza antropologica, attraverso la quale riconoscere la nostra unità nella nostra diversità.

- Coscienza ecologica, vale a dire la coscienza di abitare, con tutti gli esseri mortali, la medesima

sfera vivente (biosfera); riconoscere il nostro legame consustanziale con la biosfera ci porta ad

abbandonare il sogno prometeico di controllo dell’universo per alimentare il desiderio di

convivialità sulla terra.

- La coscienza civica terrena, vale a dire, la responsabilità e la solidarietà per i bambini e per tutti

gli esseri umani della Terra.

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- La coscienza spirituale della condizione umana che nasce dall’esercizio complesso del pensiero e

ci permette sia di criticarci gli uni gli altri, sia di criticare noi stessi, sia di comprenderci gli uni

gli altri.

4.5. Affrontare le incertezze

È possibile anzitutto riconoscere una incertezza del reale: come abbiamo detto, la realtà non

è leggibile con tutta evidenza. Le idee e le teorie non riflettono, ma traducono la realtà che possono

tradurre e spesso in modo non corretto. La nostra realtà non è altro che la nostra idea di realtà.

Vi è poi una incertezza della conoscenza in quanto va riconosciuto:

- un principio di incertezza cerebro-mentale derivante dal processo di traduzione/ricostruzione

proprio a tutto il processo conoscitivo;

- Un principio di incertezza logica relativo alle operazioni mediante le quali costruiamo la

conoscenza;

- Un principio di incertezza razionale, poiché la razionalità se non mantiene un atteggiamento

autocritico può sfociare nella razionalizzazione.

- Un principio di incertezza psicologica poiché è impossibile essere totalmente coscienti di ciò che

avviene nella nostra mente, la quale conserva qualcosa di fondamentalmente inconscio.

Ci sono poi le incertezze derivanti dall’ecologia dell’azione. Nel momento in cui un

individuo compie un’azione, qualunque essa sia, essa inevitabilmente comincia a sfuggire alle sue

intenzioni. Questa azione entra in un mondo di interazioni, ed è in ultima analisi, il contesto che se

ne appropria in un modo che può talvolta essere in contrasto con l’intento originale.

Il principio di incertezza deriva ad esempio dalla doppia necessità del rischio e della precauzione, si

gioca nell’interdipendenza e nelle interazioni tra mezzi e fini, si manifesta nel momento in cui

un’azione sfugge alla volontà del suo autore ed entra nel gioco delle inter-retroazioni del contesto in

cui è immessa.

4.6. Insegnare la comprensione

Il problema della comprensione è doppiamente polarizzato. Vi è un polo individuale che

riguarda le relazioni tra prossimi, per le quali il maggior ostacolo è quello dell’egocentrismo che

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reca in sé il rischio dell’autoinganno derivante dall’autogiustificazione, dall’autoesaltazione, dalla

tendenza ad incolpare gli altri di tutti i mali.

Vi è poi un polo planetario relativo ai rapporti tra i popoli e le culture e nel quale i problemi

di incomprensione derivano dai rischi del sociocentrismo e dell’etnocentrismo, in virtù dei quali si è

portati a giudicare superiori le proprie convinzioni, credenze, costumi, valori, ecc.

4.7. Etica del genere umano

L’insegnamento dovrà portare alla costruzione di un’ “antropo-etica”, che faccia riferimento

alla triplice condizione umana, all’uomo come individuo, all’uomo come società e all’uomo come

specie. L’etica individuo/società richiede un controllo dell’individuo sulla società e della società

sull’individuo, questa è la democrazia; mentre l’etica individuo/specie assume nel XXI secolo il

significato di cittadinanza terrestre. L’etica non potrà essere insegnata attraverso lezioni di morale.

Dovrà essere sviluppata a partire dalla consapevolezza che l’uomo è a un tempo individuo, parte di

una società, parte di una specie. Portiamo in ciascuno di noi questa triplice realtà. Così dovremo

promuovere lo sviluppo congiunto dell’autonomia individuale, della partecipazione sociale e della

coscienza di appartenere alla specie umana.