Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per...

9
Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLX n. 88 (48.412) Città del Vaticano sabato 18 aprile 2020 . y(7HA3J1*QSSKKM( +"!"![!=!:! TEMPORE F AMIS L’abbeveratoio e la promessa dentro al cuore Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa Francesco ha un «piano per risorgere» dopo la pandemia del covid-19: è indirizzato a tutta l’umanità ed è contenuto nero su bianco in una lettera scritta in spagnolo — la sua lingua madre — fatta pervenire a «Vida Nueva», rivista e portale di notizie religiose e di Chiesa, che l’ha pubblicata venerdì 17 aprile. Di seguito ne riportiamo una nostra traduzione in italiano. «E d ecco Gesù venne loro in- contro dicendo: “Rallegratevi”» (cfr. Mt, 28, 9)*. Sono le prime parole del Risorto do- po che Maria Maddalena e l’altra Maria scoprirono il sepolcro vuoto e s’imbatterono nell’angelo. Il Signore va loro incontro per trasformare il loro lutto in gioia e consolarle in mezzo alle afflizioni (cfr. Ger 31, 13). È il Risorto che vuole risuscitare a una vita nuova le donne e, con loro, l’umanità intera. Vuole farci già ini- ziare a partecipare della condizione di risorti che ci attende. Invitare alla gioia potrebbe sem- brarci una provocazione, e persino uno scherzo di cattivo gusto dinanzi alle gravi conseguenze che stiamo subendo a causa del Covid-19. Non sono pochi quelli che potrebbero ri- tenerlo, al pari dei discepoli di Em- maus, come un gesto d’ignoranza o d’irresponsabilità (cfr. Lc 24, 17-19). Come le prime discepole che anda- vano al sepolcro, viviamo circondati da un clima di dolore e d’incertezza che porta a chiederci: “Chi ci rotole- rà via il masso dall'ingresso del se- polcro?” (Mc 16, 3). Come faremo per affrontare questa situazione che ci ha completamente sopraffatti? L’impatto di tutto ciò che sta acca- dendo, le gravi conseguenze che già si segnalano e s’intravedono, il dolo- re e il lutto per i nostri cari ci diso- rientano, angosciano e paralizzano. È la pesantezza della pietra del se- polcro che s’impone dinanzi al futu- ro e che minaccia, con il suo reali- smo, di seppellire ogni speranza. È la pesantezza dell’angoscia di perso- ne vulnerabili e anziane che attraver- sano la quarantena nella più assoluta solitudine, è la pesantezza delle fa- miglie che non sanno più come por- tare un piatto di cibo sulla loro ta- vola, è la pesantezza del personale sanitario e degli addetti alla sicurez- za quando si sentono esausti e so- praffatti... quella pesantezza che sembra avere l’ultima parola. È tuttavia commovente ricordare l’atteggiamento delle donne del Van- gelo. Di fronte ai dubbi, alla soffe- renza, alla perplessità dinanzi alla si- tuazione, e persino alla paura della persecuzione e di tutto ciò che sa- rebbe potuto accadere loro, furono capaci di mettersi in movimento e di non lasciarsi paralizzare da quello che stava succedendo. Per amore verso il Maestro, e con quel tipico, Nell’omelia di Santa Marta L’emergenza pandemia e la nostalgia della comunità in carne e ossa di ANDREA TORNIELLI «U na familiarità senza comunità, senza il pa- ne, senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti, è pericolosa». Francesco, nell’ome- lia della Messa mattutina di Santa Marta, un appuntamento che ac- compagna e conforta milioni di persone in questo tempo di isola- mento forzato e aiuta a tenere uni- te le comunità, ha parlato del ri- schio di una fede vissuta in modo intimistico. La riflessione del Papa parte dal racconto del Vangelo di Giovanni: Gesù che attende i di- scepoli sulla riva del lago di Tibe- riade, si intrattiene con loro e man- gia insieme a loro il pesce arrostito sulla brace. È una familiarità che passa attraverso lo stare a tavola discutendo insieme. Quella del cristiano, ha spiegato Francesco, è «una familiarità quoti- diana con il Signore», come quella di chi si siede a tavola per far cola- zione e parlare con naturalezza di ciò che gli sta a cuore. Una familia- rità che è sempre comunitaria, pur essendo personale e intima. Perché una familiarità senza comunità, sen- za rapporti umani, senza la condivi- sione del pane, senza i sacramenti, può correre il rischio di diventare «gnostica», evanescente. Cioè di ri- dursi a «una familiarità per me sol- tanto, staccata dal popolo di Dio». Mentre quella sperimentata dagli apostoli con Gesù è sempre stata una familiarità comunitaria, vissuta a tavola, segno della comunità, «con il Sacramento, con il pane». L’isolamento a cui siamo costret- ti in questo momento a causa della pandemia, l’impossibilità di parte- cipare alla celebrazione eucaristica in questa situazione di emergenza, non deve portare con sé anche il ri- schio di assuefarci a vivere una fe- de intimistica. Milioni di persone oggi si collegano attraverso i mass media per cercare di vivere la loro appartenenza alla comunità, sono insieme attraverso uno schermo, senza esserlo fisicamente. Una mo- dalità necessaria in questo momen- to, l’unica possibile nell’emergenza che tutti speriamo possa finire al più presto. Ma questa non può farci dimen- ticare che la Chiesa, i Sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. La familiarità vissuta attraverso i mez- zi di comunicazione è un aiuto e rappresenta oggi — spiega il Papa — un modo per «uscire dal tunnel, non per rimanerci». Francesco ci invita pertanto a non considerare normale questa modalità, che pure sta portando conforto a tante per- sone nelle ultime settimane soste- nendole nella solitudine e nella prova. I cristiani infatti sono inseri- ti nella comunità, nel popolo di Dio. Un popolo in carne e ossa che spezza il pane, ascolta la Paro- la, condivide nella carità e annun- cia da persona a persona, attraver- so testimonianza di vita e concreta prossimità, la gioia del Vangelo. Un popolo che sa sfruttare con creatività tutte le opportunità offer- te dalle nuove tecnologie per man- tenersi in contatto e raggiungere chi è solo, sempre in attesa, quan- do sarà possibile, di potersi ritrova- re fisicamente attorno alla mensa eucaristica. Un popolo che si sente quotidianamente accompagnato dal Papa, e che guarda con gratitudine ai tanti sacerdoti, religiose, volonta- ri che in questi giorni hanno trova- to il modo di essere concretamente vicini ai morenti, agli ammalati, agli scartati, mettendo a repenta- glio la loro vita e, in non pochi ca- si, anche sacrificandola. A causa del coronavirus chiuse le scuole in 188 Paesi Istruzione negata per oltre un miliardo di bambini La Storia era già qui ma non l’abbiamo riconosciuta La responsabilità di (ri)vivere VINCENZO SCOTTI E MARCO EMANUELE A PAGINA 3 L’orizzonte del dopo pandemia nella riflessione di Luigi Ferrajoli Una Costituzione globale FAUSTA SPERANZA A PAGINA 3 Incontro con Nicola Longo di FRANCESCA ROMANA DE’ANGELIS Il cinema di genere italiano del 1970 di EMILIO RANZATO Ufficio oggetti smarriti di CRISTIANO GOVERNA Il mondo secondo Minna Canth di SILVIA CAMISASCA Q quattro pagine APPROFONDIMENTI DI CULTURA , SO CIETÀ SCIENZE E ARTE NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Nunzio Apostolico in Guatemala Sua Eccellenza Monsignor Fran- cisco Montecillo Padilla, Arcive- scovo titolare di Nebbio, finora Nunzio Apostolico in Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Yemen e Delegato Apo- stolico nella Penisola Arabica. Sua Santità ha altresì nomina- to Nunzio Apostolico in Samoa Sua Eccellenza Monsignor No- vatus Rugambwa, Arcivescovo titolare di Tagaria, Nunzio Apo- stolico in Nuova Zelanda, Fiji, Palau, Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Tonga e Delegato Apo- stolico nell’Oceano Pacifico. Il Santo Padre ha nominato Membro Ordinario della Ponti- ficia Accademia delle Scienze Sociali l’Illustrissima Professo- ressa Niraja Gopal Jayal, Do- cente presso il Centro per lo Studio del Diritto e delle Politi- che di Governo della Jawaharlal Nehru University di New Delhi (India). L’intenzione della messa Per le mamme in attesa PAGINA 10 Annibale Carracci, «Pie donne al sepolcro» (1600 ca.) CONTINUA A PAGINA 10 Nell’antica pieve di San Pietro a Romena nel comune di Pratovecchio ancora oggi il visitatore può trovare incisa, in un capitello della navata sinistra, una scrit- ta con il nome del committente, Alberico, e la data, che recita così: TEMPORE FAMIS MCLII (in tempo di carestia 1152). Questa scritta ha dato il nome alla presente rubrica che da più di un mese raccoglie rifles- sioni, spunti e meditazioni che vengono offerte al lettore in questo terribile “tempo di fame”. La suggestione sot- tostante è evidente: nonostante si viva un periodo di privazione e di sofferenza, la comunità umana rispon- de, resiste e si concentra nel proprio lavoro, nella pro- pria “arte”, sforzandosi anzi a generare bellezza, perché questa è la risposta adeguata all’uomo, all’altezza del- la sua chiamata. In termini etici è la stessa risposta di chi, in un momento di difficoltà, non si concentra sul male subito ma risponde con il bene generoso, pen- sando concretamente e operosamente agli altri anziché rinchiudersi nel contemplare il problema che lo affligge o nel crogiolarsi nel risentimento del proprio dolore. È la risposta di Maria che all’annuncio dell’angelo non si paralizza ma al contrario si mette in movimento e raggiunge la cugina Elisabetta per aiutarla, sospinta dalla forza di una chiamata e di una promessa. Sulla sorprendente “operosità” propria dell’uomo il seguente testo è quanto mai emblematico; è tratto da Non è un paese per vecchi di Cormac McCarthy, non il suo migliore romanzo ma senz’altro il più famoso, gra- zie alla trasposizione cinematografica che valse il pre- mio Oscar ai registi, i fratelli Ethan e Joel Coen. di CORMAC MCCARTHY Q uando uscivi dalla porta del retro di casa, da un lato trovavi un abbeveratoio di pietra in mezzo a quelle erbacce. C’era un tubo zincato che scendeva dal tetto e l’abbeveratoio era quasi sempre pieno, e mi ricordo che una volta mi fermai lì, mi accovacciai, lo guardai e mi misi a pensare. Non so da quanto tempo stava lì. Cento anni. Duecento. Sulla pietra si vedevano le tracce dello scalpel- lo. Era scavato nella pietra dura, lungo quasi due metri, largo sup- pergiù mezzo e profondo altrettan- to. Scavato nella pietra a colpi di scalpello. E mi misi a pensare all’uomo che l’aveva fabbricato. Quel paese non aveva avuto perio- di di pace particolarmente lunghi, a quanto ne sapevo. Dopo di allora ho letto un po’ di libri di storia e mi sa che di periodi di pace non ne ha avuto proprio nessuno. Ma quell’uomo si è messo lì con una mazza ed uno scalpello e aveva scavato un abbeveratoio di pietra, che sarebbe potuto durare diecimi- la anni. E perché? in che cosa cre- deva questo tizio? Di certo non credeva che non sarebbe cambiato nulla. Uno potrebbe pensare anche a questo. Ma, secondo me, non po- teva essere così ingenuo. Ci ho ri- flettuto tanto. Ci riflettei anche do- po essermene andato da lì quando la casa era ridotta a un mucchio di macerie. E ve lo dico, secondo me quell’abbeveratoio è ancora lì. Ci voleva ben altro per spostarlo, ve lo assicuro. E allora penso a quel tizio seduto lì con la mazza e lo scalpello, magari un paio d’ore do- po cena, non lo so. E devo dire che l’unica cosa che mi viene da pensare è che quello aveva una specie di promessa dentro il cuore. E io non ho certo intenzione di mettermi a scavare un abbeveratoio di pietra. Ma mi piacerebbe essere capace di fare quel tipo di promes- sa. È la cosa che mi piacerebbe fa- re più di tutte. NEW YORK, 17. «Con la pandemia che mette a ri- schio così tanti bambini del mondo, ribadisco il mio appello urgente: proteggiamo i nostri piccoli e salvaguardiamo il loro benessere». Queste le parole usate ieri dal segretario generale dell’O nu, António Guterres, presentando il rapporto sull’impatto del coronavirus sui minori. Tra i rischi maggiori da affrontare, c’è anzitut- to quello dell’istruzione. Nel dossier si legge che 188 Paesi hanno chiuso le scuole, misura che col- pisce oltre 1,5 miliardi di bambini e giovani. Inol- tre, quasi 369 milioni di bambini in 143 Paesi che normalmente fanno affidamento sui pasti a scuo- la per avere una fonte regolare di nutrizione quo- tidiana ora ne sono privati. Guterres ha parlato della sicurezza: «I minori sono sia vittime che testimoni di violenze dome- stiche e abusi. Con le scuole chiuse, manca un importante meccanismo di allarme rapido». Ci sono poi i rischi relativi alla salute. «La riduzione del reddito familiare costringerà le famiglie pove- re a ridurre spese sanitarie e alimentari essenziali, in particolare per bambini, donne in gravidanza e madri che allattano» ha spiegato Guterres. «Ol- tre al fatto che le campagne di vaccinazione con- tro la poliomielite sono state sospese, e quelle di immunizzazione del morbillo si sono fermate in almeno 23 Paesi». Nel rapporto si afferma che a seguito dell’in- combente recessione globale, quest’anno potreb- bero morire centinaia di migliaia di bambini in più rispetto allo scenario pre-pandemia. «Dob- biamo agire ora su ciascuna di queste minacce. I leader devono fare tutto il possibile per attutire l’impatto della covid-19». Intanto, continua a cre- scere il bilancio della pandemia. Sono più di 145.000 i morti nel mondo. Il bilancio aggiornato della Johns Hopkins University parla di 145.533 decessi e di 2.158.594 casi a livello globale. LABORATORIO DOPO LA PANDEMIA

Transcript of Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per...

Page 1: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSO

Non praevalebunt

Anno CLX n. 88 (48.412) Città del Vaticano sabato 18 aprile 2020

.

y(7HA

3J1*QS

SKKM(

+"!"![!=

!:!

TEMPORE FAMIS

L’abbeveratoio e la promessa dentro al cuore

Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19

Il coraggio di una nuova immaginazionedel possibile

Papa Francesco ha un «piano perrisorgere» dopo la pandemiadel covid-19: è indirizzato a tuttal’umanità ed è contenuto nero subianco in una lettera scritta inspagnolo — la sua lingua madre —fatta pervenire a «Vida Nueva»,rivista e portale di notizie religiose e diChiesa, che l’ha pubblicata venerdì 17aprile. Di seguito ne riportiamo unanostra traduzione in italiano.

«E d ecco Gesùvenne loro in-contro dicendo:“Rallegratevi”»(cfr. Mt, 28, 9)*.

Sono le prime parole del Risorto do-po che Maria Maddalena e l’altraMaria scoprirono il sepolcro vuoto es’imbatterono nell’angelo. Il Signoreva loro incontro per trasformare illoro lutto in gioia e consolarle inmezzo alle afflizioni (cfr. Ger 31, 13).È il Risorto che vuole risuscitare auna vita nuova le donne e, con loro,l’umanità intera. Vuole farci già ini-ziare a partecipare della condizionedi risorti che ci attende.

Invitare alla gioia potrebbe sem-brarci una provocazione, e persinouno scherzo di cattivo gusto dinanzialle gravi conseguenze che stiamosubendo a causa del Covid-19. Nonsono pochi quelli che potrebbero ri-tenerlo, al pari dei discepoli di Em-maus, come un gesto d’ignoranza od’irresponsabilità (cfr. Lc 24, 17-19).Come le prime discepole che anda-vano al sepolcro, viviamo circondatida un clima di dolore e d’incertezzache porta a chiederci: “Chi ci rotole-rà via il masso dall'ingresso del se-p olcro?” (Mc 16, 3). Come faremoper affrontare questa situazione checi ha completamente sopraffatti?

L’impatto di tutto ciò che sta acca-dendo, le gravi conseguenze che giàsi segnalano e s’intravedono, il dolo-re e il lutto per i nostri cari ci diso-rientano, angosciano e paralizzano.È la pesantezza della pietra del se-polcro che s’impone dinanzi al futu-ro e che minaccia, con il suo reali-smo, di seppellire ogni speranza. Èla pesantezza dell’angoscia di perso-ne vulnerabili e anziane che attraver-

sano la quarantena nella più assolutasolitudine, è la pesantezza delle fa-miglie che non sanno più come por-tare un piatto di cibo sulla loro ta-vola, è la pesantezza del personalesanitario e degli addetti alla sicurez-za quando si sentono esausti e so-praffatti... quella pesantezza chesembra avere l’ultima parola.

È tuttavia commovente ricordarel’atteggiamento delle donne del Van-

gelo. Di fronte ai dubbi, alla soffe-renza, alla perplessità dinanzi alla si-tuazione, e persino alla paura dellapersecuzione e di tutto ciò che sa-rebbe potuto accadere loro, furonocapaci di mettersi in movimento e dinon lasciarsi paralizzare da quelloche stava succedendo. Per amoreverso il Maestro, e con quel tipico,

Nell’omelia di Santa Marta

L’emergenza pandemiae la nostalgia

della comunità in carne e ossadi ANDREA TORNIELLI

«U na familiarità senzacomunità, senza il pa-ne, senza la Chiesa,

senza il popolo, senza i sacramenti,è pericolosa». Francesco, nell’ome-lia della Messa mattutina di SantaMarta, un appuntamento che ac-compagna e conforta milioni dipersone in questo tempo di isola-mento forzato e aiuta a tenere uni-te le comunità, ha parlato del ri-schio di una fede vissuta in modointimistico. La riflessione del Papaparte dal racconto del Vangelo diGiovanni: Gesù che attende i di-scepoli sulla riva del lago di Tibe-riade, si intrattiene con loro e man-gia insieme a loro il pesce arrostitosulla brace. È una familiarità chepassa attraverso lo stare a tavoladiscutendo insieme.

Quella del cristiano, ha spiegatoFrancesco, è «una familiarità quoti-diana con il Signore», come quelladi chi si siede a tavola per far cola-zione e parlare con naturalezza diciò che gli sta a cuore. Una familia-rità che è sempre comunitaria, puressendo personale e intima. Perchéuna familiarità senza comunità, sen-za rapporti umani, senza la condivi-

sione del pane, senza i sacramenti,può correre il rischio di diventare«gnostica», evanescente. Cioè di ri-dursi a «una familiarità per me sol-tanto, staccata dal popolo di Dio».Mentre quella sperimentata dagliapostoli con Gesù è sempre statauna familiarità comunitaria, vissutaa tavola, segno della comunità,«con il Sacramento, con il pane».

L’isolamento a cui siamo costret-ti in questo momento a causa dellapandemia, l’impossibilità di parte-cipare alla celebrazione eucaristicain questa situazione di emergenza,non deve portare con sé anche il ri-schio di assuefarci a vivere una fe-de intimistica. Milioni di personeoggi si collegano attraverso i massmedia per cercare di vivere la loroappartenenza alla comunità, sonoinsieme attraverso uno schermo,senza esserlo fisicamente. Una mo-dalità necessaria in questo momen-to, l’unica possibile nell’e m e rg e n z ache tutti speriamo possa finire alpiù presto.

Ma questa non può farci dimen-ticare che la Chiesa, i Sacramenti,il popolo di Dio sono concreti. Lafamiliarità vissuta attraverso i mez-zi di comunicazione è un aiuto erappresenta oggi — spiega il Papa— un modo per «uscire dal tunnel,non per rimanerci». Francesco ciinvita pertanto a non considerarenormale questa modalità, che puresta portando conforto a tante per-sone nelle ultime settimane soste-nendole nella solitudine e nellaprova. I cristiani infatti sono inseri-ti nella comunità, nel popolo diDio. Un popolo in carne e ossache spezza il pane, ascolta la Paro-la, condivide nella carità e annun-cia da persona a persona, attraver-so testimonianza di vita e concretaprossimità, la gioia del Vangelo.Un popolo che sa sfruttare concreatività tutte le opportunità offer-te dalle nuove tecnologie per man-tenersi in contatto e raggiungerechi è solo, sempre in attesa, quan-do sarà possibile, di potersi ritrova-re fisicamente attorno alla mensaeucaristica. Un popolo che si sentequotidianamente accompagnato dalPapa, e che guarda con gratitudineai tanti sacerdoti, religiose, volonta-ri che in questi giorni hanno trova-to il modo di essere concretamentevicini ai morenti, agli ammalati,agli scartati, mettendo a repenta-glio la loro vita e, in non pochi ca-si, anche sacrificandola.

A causa del coronavirus chiuse le scuole in 188 Paesi

Istruzione negata per oltre un miliardo di bambiniLa Storia era già quima non l’abbiamo riconosciuta

La responsabilitàdi (ri)vivere

VINCENZO SCOTTIE MARCO EMANUELE A PA G I N A 3

L’orizzonte del dopo pandemianella riflessione di Luigi Ferrajoli

Una Costituzioneglobale

FAU S TA SPERANZA A PA G I N A 3

I n c o n t rocon Nicola Longodi FRANCESCA ROMANADE’ ANGELIS

Il cinema di genereitaliano del 1970di EMILIO RA N Z AT O

Ufficio oggetti smarritidi CRISTIANO GOVERNA

Il mondo secondoMinna Canthdi SI LV I A CAMISASCA

Qquattro pagineAPPROFONDIMENTI

DI C U LT U R A , SO CIETÀSCIENZE E ARTE

NOSTREINFORMAZIONI

Il Santo Padre ha nominatoNunzio Apostolico in GuatemalaSua Eccellenza Monsignor Fran-cisco Montecillo Padilla, Arcive-scovo titolare di Nebbio, finoraNunzio Apostolico in Kuwait,Bahrein, Emirati Arabi Uniti,Qatar, Yemen e Delegato Apo-stolico nella Penisola Arabica.

Sua Santità ha altresì nomina-to Nunzio Apostolico in SamoaSua Eccellenza Monsignor No-vatus Rugambwa, Arcivescovotitolare di Tagaria, Nunzio Apo-stolico in Nuova Zelanda, Fiji,Palau, Isole Marshall, Kiribati,Nauru, Tonga e Delegato Apo-stolico nell’Oceano Pacifico.

Il Santo Padre ha nominatoMembro Ordinario della Ponti-ficia Accademia delle ScienzeSociali l’Illustrissima Professo-ressa Niraja Gopal Jayal, Do-cente presso il Centro per loStudio del Diritto e delle Politi-che di Governo della JawaharlalNehru University di New Delhi(India).

L’intenzione della messa

Per le mammein attesa

PAGINA 10Annibale Carracci, «Pie donne al sepolcro» (1600 ca.)

CO N T I N UA A PA G I N A 10

Nell’antica pieve di San Pietro a Romena nel comunedi Pratovecchio ancora oggi il visitatore può trovareincisa, in un capitello della navata sinistra, una scrit-ta con il nome del committente, Alberico, e la data,che recita così: TEMPORE FA M I S MCLII (in tempo dicarestia 1152). Questa scritta ha dato il nome allapresente rubrica che da più di un mese raccoglie rifles-sioni, spunti e meditazioni che vengono offerte al lettorein questo terribile “tempo di fame”. La suggestione sot-tostante è evidente: nonostante si viva un periodo di

privazione e di sofferenza, la comunità umana rispon-de, resiste e si concentra nel proprio lavoro, nella pro-pria “arte”, sforzandosi anzi a generare bellezza, perchéquesta è la risposta adeguata all’uomo, all’altezza del-la sua chiamata. In termini etici è la stessa rispostadi chi, in un momento di difficoltà, non si concentrasul male subito ma risponde con il bene generoso, pen-sando concretamente e operosamente agli altri anzichérinchiudersi nel contemplare il problema che lo affliggeo nel crogiolarsi nel risentimento del proprio dolore. È

la risposta di Maria che all’annuncio dell’angelo nonsi paralizza ma al contrario si mette in movimento eraggiunge la cugina Elisabetta per aiutarla, sospintadalla forza di una chiamata e di una promessa. Sullasorprendente “o p e ro s i t à ” propria dell’uomo il seguentetesto è quanto mai emblematico; è tratto da Non èun paese per vecchi di Cormac McCarthy, non ilsuo migliore romanzo ma senz’altro il più famoso, gra-zie alla trasposizione cinematografica che valse il pre-mio Oscar ai registi, i fratelli Ethan e Joel Coen.

di CORMAC MCCARTHY

Quando uscivi dalla portadel retro di casa, da un latotrovavi un abbeveratoio di

pietra in mezzo a quelle erbacce.C’era un tubo zincato che scendevadal tetto e l’abbeveratoio era quasisempre pieno, e mi ricordo che unavolta mi fermai lì, mi accovacciai,lo guardai e mi misi a pensare.Non so da quanto tempo stava lì.Cento anni. Duecento. Sulla pietrasi vedevano le tracce dello scalpel-

lo. Era scavato nella pietra dura,lungo quasi due metri, largo sup-pergiù mezzo e profondo altrettan-to. Scavato nella pietra a colpi discalpello. E mi misi a pensareall’uomo che l’aveva fabbricato.Quel paese non aveva avuto perio-di di pace particolarmente lunghi,a quanto ne sapevo. Dopo di alloraho letto un po’ di libri di storia emi sa che di periodi di pace nonne ha avuto proprio nessuno. Maquell’uomo si è messo lì con unamazza ed uno scalpello e aveva

scavato un abbeveratoio di pietra,che sarebbe potuto durare diecimi-la anni. E perché? in che cosa cre-deva questo tizio? Di certo noncredeva che non sarebbe cambiatonulla. Uno potrebbe pensare anchea questo. Ma, secondo me, non po-teva essere così ingenuo. Ci ho ri-flettuto tanto. Ci riflettei anche do-po essermene andato da lì quandola casa era ridotta a un mucchio dimacerie. E ve lo dico, secondo mequell’abbeveratoio è ancora lì. Civoleva ben altro per spostarlo, ve

lo assicuro. E allora penso a queltizio seduto lì con la mazza e loscalpello, magari un paio d’ore do-po cena, non lo so. E devo direche l’unica cosa che mi viene dapensare è che quello aveva unaspecie di promessa dentro il cuore.E io non ho certo intenzione dimettermi a scavare un abbeveratoiodi pietra. Ma mi piacerebbe esserecapace di fare quel tipo di promes-sa. È la cosa che mi piacerebbe fa-re più di tutte.

NEW YORK, 17. «Con la pandemia che mette a ri-schio così tanti bambini del mondo, ribadisco ilmio appello urgente: proteggiamo i nostri piccolie salvaguardiamo il loro benessere». Queste leparole usate ieri dal segretario generale dell’O nu,António Guterres, presentando il rapportosull’impatto del coronavirus sui minori.

Tra i rischi maggiori da affrontare, c’è anzitut-to quello dell’istruzione. Nel dossier si legge che188 Paesi hanno chiuso le scuole, misura che col-pisce oltre 1,5 miliardi di bambini e giovani. Inol-tre, quasi 369 milioni di bambini in 143 Paesi chenormalmente fanno affidamento sui pasti a scuo-

la per avere una fonte regolare di nutrizione quo-tidiana ora ne sono privati.

Guterres ha parlato della sicurezza: «I minorisono sia vittime che testimoni di violenze dome-stiche e abusi. Con le scuole chiuse, manca unimportante meccanismo di allarme rapido». Cisono poi i rischi relativi alla salute. «La riduzionedel reddito familiare costringerà le famiglie pove-re a ridurre spese sanitarie e alimentari essenziali,in particolare per bambini, donne in gravidanza emadri che allattano» ha spiegato Guterres. «Ol-tre al fatto che le campagne di vaccinazione con-tro la poliomielite sono state sospese, e quelle di

immunizzazione del morbillo si sono fermate inalmeno 23 Paesi».

Nel rapporto si afferma che a seguito dell’in-combente recessione globale, quest’anno potreb-bero morire centinaia di migliaia di bambini inpiù rispetto allo scenario pre-pandemia. «Dob-biamo agire ora su ciascuna di queste minacce. Ileader devono fare tutto il possibile per attutirel’impatto della covid-19». Intanto, continua a cre-scere il bilancio della pandemia. Sono più di145.000 i morti nel mondo. Il bilancio aggiornatodella Johns Hopkins University parla di 145.533decessi e di 2.158.594 casi a livello globale.

LABORATORIODOPO LA PA N D E M I A

Page 2: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 sabato 18 aprile 2020

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSONon praevalebunt

Città del Vaticano

o r n e t @ o s s ro m .v aw w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAdirettore responsabile

Giuseppe Fiorentinov i c e d i re t t o re

Piero Di Domenicantoniocap oredattore

Gaetano Vallinisegretario di redazione

Servizio vaticano: [email protected] internazionale: [email protected] culturale: [email protected] religioso: [email protected]

Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 [email protected] w w w. p h o t o .v a

Segreteria di redazionetelefono 06 698 83461, 06 698 84442

fax 06 698 83675segreteria.or@sp c.va

Tipografia VaticanaEditrice L’Osservatore Romano

Tariffe di abbonamentoVaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198Europa: € 410; $ 605Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665America Nord, Oceania: € 500; $ 740Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):telefono 06 698 99480, 06 698 99483fax 06 69885164, 06 698 82818,[email protected] diffusione.or@sp c.vaNecrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675

Concessionaria di pubblicità

Il Sole 24 Ore S.p.A.System Comunicazione Pubblicitaria

Sede legaleVia Monte Rosa 91, 20149 Milanotelefono 02 30221/3003fax 02 30223214

s e g re t e r i a d i re z i o n e s y s t e m @ i l s o l e 2 4 o re . c o m

Aziende promotricidella diffusione

Intesa San Paolo

Ospedale Pediatrico Bambino Gesù

Società Cattolica di Assicurazione

Mentre l’amministrazione presenta un piano di riapertura in tre fasi

Stati Uniti, quasi raddoppiatoil numero delle vittime in un giorno

Colpiranno anche i programmi contro altre malattie

I tagli di Trumpduro colpo per l’Africa

WASHINGTON, 17. Quasi 4600 mortiin un giorno negli Stati Uniti. Unnuovo record di decessi legati al co-ronavirus, quello stabilito nelle 24ore comprese tra le sere di mercoledìe giovedì, che supera di circa 2000unità il dato, sempre da record, delgiorno precedente. Gli Stati Unitisembrerebbero dunque essere entratinella fase più difficile e dolorosa del-la pandemia di coronavirus. Nono-stante questo continuo peggioramen-to dei numeri relativi alle vittime, ilpresidente Donald Trump continuaa ripetere che «il picco è superato».Ieri, come previsto, durante il brie-fing alla Casa Bianca insieme all’uni-tà di crisi anticoronavirus ha illustra-to un possibile piano di riaperturain tre fasi. Il presidente da tempoauspica una riapertura più rapidapossibile delle aziende statunitensi,con un progressivo allentamento del-le misure restrittive di quarantena edistanziamento sociale. E ieri a chia-re lettere ha concluso puntualizzan-do con un «È ora!».

«Possiamo iniziare quello che è ilnuovo fronte della nostra guerra chechiameremo “riaprire l’America”. Pertutelare la salute dei cittadini dob-biamo preservare la salute e il fun-zionamento della nostra economia.L’America vuole riaprire. Dobbiamoavere un’economia che gira e la vo-gliamo avere molto, molto rapida-mente», ha dichiarato Trump, ag-giungendo che avrebbe lasciato aisingoli governatori la decisione a se-conda della gravità dell’epidemia inciascuno stato. Secondo la CasaBianca in 29 stati la situazione èbuona e si può riaprire in tempi bre-vi, anche prima del 1° maggio.

Nella ipotetica prima fase dellariapertura è previsto il mantenimen-to del distanziamento sociale inpubblico, il divieto di eventi o as-sembramenti con più di 10 persone,la prosecuzione del telelavoro dovepossibile e che le scuole continuinoa restare chiuse, così come i bar. Perpalestre e ristoranti possibile l’ap er-tura solo se vengono rispettate lenorme riguardanti la distanza fisica.

Sulla riapertura si è pronunciatoanche Anthony Fauci, l’esperto viro-logo che fa parte della task force an-

ticoronavirus, che ha voluto rassicu-rare sul fatto che il piano delineatodal presidente è rivolto in primis agarantire la «sicurezza e la salute de-gli americani». Per Fauci per avviarela prima fase i singoli stati devonoregistrare un periodo di 14 giorni didiminuzione dei contagi e rimanereentro alcuni parametri “medici”.

La grande preoccupazione delpresidente sembra essere rivolta dun-que ai numeri relativi all’economia.La scorsa settimana sono state regi-strate 5,2 milioni di altre richieste disussidi di disoccupazione che porta-no a oltre 22 milioni il dato com-plessivo in quattro settimane. Suquesto fronte le stime sono peggioririspetto alla crisi del 2008, e supere-rebbero addirittura quanto avvenutonella “Grande depressione” del 1929.Per giugno è previsto un tasso, a dirpoco considerevole, del 20 per centodi disoccupati. Durante il briefing,Trump ha poi posto l’accento sul ri-schio che, durante la fase di riaper-tura, il coronavirus arrivi dall’e s t e roo comunque si ripresenti. Ha sottoli-neato come «i controlli ai confini, lerestrizioni sui viaggi e le altre limita-zioni sugli ingressi sono più impor-tanti che mai» e ha poi rassicuratoche «se il virus dovesse riemergerepiù avanti nel corso dell’anno, gliStati Uniti saranno pronti ad affron-tarlo».Medici a New York durante un momento di pausa (Reuters)

GINEVRA, 17. La decisione annun-ciata dal presidente statunitense,Donald Trump, di sospendere ifondi all’Organizzazione mondialedella sanità (Oms) nel pieno dellapandemia «avrà un grandissimoimpatto sull’Africa e non solo perquanto riguarda le iniziative legatealla lotta al coronavirus». Lo hadenunciato la direttrice dell’Ufficioregionale in Africa dell’O rganizza-

zione, Matshidiso Moeti. I taglidel governo Usa — principale fi-nanziatore dell’agenzia delle Na-zioni Unite — avranno difatti riper-cussioni anche sugli sforzidell’Oms per combattere la polio-mielite, l’Hiv e la malaria nel conti-nente, ha spiegato Moeti. «Servi-ranno circa 300 milioni di dollarinei prossimi sei mesi», per sostene-re i paesi africani impegnati nellalotta al covid-19, ha aggiunto, di-chiarando che la sospensione deifondi è «un duro colpo al budgetglobale dell’O ms».

Si inaspriscono intanto le misu-re, per imporre il distanziamento inalcuni paesi africani. È il caso dellaNigeria, dove le forze di sicurezzahanno ucciso almeno 18 personedurante l’imposizione dei provvedi-menti restrittivi. Lo rende noto laCommissione nazionale dei dirittiumani della Nigeria, riferendo diaver ricevuto «105 denunce relativea episodi di violazioni dei dirittiumani perpetrate dalle forze di si-curezza» in 24 dei 36 Stati del Pae-se. La commissione ha inoltre evi-denziato che le misure messe in at-to stanno uccidendo più personerispetto alle vittime del covid-19,che a oggi ammontano a dodici.

In Camerun invece il presidentePaul Biya ha ordinato il rilascio diun numero imprecisato di detenuti,al fine di decongestionare le carce-ri, le quali sono ad alto rischiod’infezione da coronavirus. Lo ren-de noto Jeune Afrique.Da Intesa Sanpaolo

un concretogesto

di solidarietàROMA, 17. Un concreto gesto di soli-darietà. Undicimila indumenti intimisono stati consegnati da parte di In-tesa Sanpaolo in collaborazione conil Gruppo Calzedonia ad alcuniospedali della Lombardia e del Ve-neto per essere distribuiti urgente-mente e a titolo gratuito a pazienticovid-19 ricoverati che non ricevonoil ricambio necessario dalle famiglieferme a causa della quarantena. Par-te dei capi è stata acquistata da Inte-sa Sanpaolo, parte è donata dalGruppo Calzedonia. Gli ospedali in-teressati sono: Papa Giovanni XXIIIdi Bergamo, Spedali Civili di Bre-scia, Ospedale di Cremona, di OglioPo e Nuovo Robbiani di Soresina inprovincia di Cremona, AziendaOspedale-Università di Padova.

In questo momento di emergenzasanitaria — si legge in un comunica-to — Intesa Sanpaolo ha così decisodi orientare verso i pazienti di coro-navirus il suo progetto “Golden Lin-ks: i legami sono oro” nato due annifa per contrastare la necessità di in-dumenti intimi da parte di persone efamiglie indigenti attraverso il coin-volgimento di organizzazioni nonprofit e aziende clienti della Banca.Il progetto è sviluppato in collabora-zione con Caritas Italiana e S-Nodiper rispondere a un’esigenza spessosottaciuta che tocca profondamentela dignità umana. In due anni hapermesso la distribuzione di 114 milaindumenti e proseguirà nel 2020-21per far fronte alle crescenti necessitàdi sempre più persone.

Contro la decisione di molti paesi di avviare un graduale deconfinamento

L’Oms mette in guardia l’E u ro p a

Hans Kluge, direttore regionale per l’Europa dell’Oms

Esteso lo stato di emergenza a tutto il Giapponementre Pechino e Mosca rafforzano la cooperazione

In aumentoi contagiati

in Iraq

BAGHDAD, 17. Negli ultimi giorni, ilnumero di pazienti positivi al co-vid-19 in Iraq è aumentato in mo-do significativo, con oltre 1400 casie 78 decessi confermati, secondo idati forniti dal ministero della Sa-lute di Baghdad e riportati in unanota di Medici senza frontiere(Msf). Dall’inizio della diffusionedell’epidemia nel paese, la capitaleè la città che ha registrato il mag-gior numero di casi e di morti.

Dallo scorso primo aprile, Msfsupporta l’ospedale Ibn al-Khatibdi Baghdad, una delle tre struttureindividuate dal ministero della Sa-lute per la cura dei pazienti conta-giati dal coronavirus.

Gli operatori sanitari sono al la-voro anche nella regione settentrio-nale di Mosul, ex roccaforte deimiliziani del sedicente stato islami-co (Is), e a Erbil. A Mosul, nel go-vernatorato di Ninewa, dove tuttoil sistema sanitario è stato pesante-mente colpito dal conflitto nel2017, l’ospedale al Shifaa, ricostrui-to da Msf nel 2019, è diventato ilcentro di riferimento per i pazienticovid-19.

A Erbil, situata nel nord del pae-se e capitale della regione autono-ma del Kurdistan iracheno, sonoinvece tre gli ospedali dove si com-batte l’epidemia.

BRUXELLES, 17. L’O rganizzazionemondiale della Sanità (Oms) hamesso in guardia i Paesi europeiche stanno allentando le restrizioniper permettere una progressiva ri-partenza delle attività produttivemesse a terra dalla pandemia di co-ronavirus. Il vecchio continente «èancora nel bel mezzo della tempe-sta», nonostante «segnali incorag-gianti» ha avvertito ieri Hans Klu-ge, direttore regionale per l’E u ro p adell’O ms.

Un rallentamento dei nuovi con-tagi, associato a un calo dei ricoverie a una maggiore disponibilità delleunità di terapia intensiva, in alcuniPaesi europei ha spinto i governi asviluppare e pianificare la fase 2,quella cioè che prevede un allenta-mento di alcune misure restrittive epermettere di ridare slancio all’eco-nomia. L’Austria ha già riaperto inegozi, la Spagna è ripartita dafabbriche e cantieri, la Svizzera,l’ultima in ordine di tempo, ha an-nunciato per il 27 aprile avvierà un“deconfinamento graduale”, la Da-nimarca ha riaperto le scuole permetà dei suoi studenti, Germania eFrancia dovrebbero fare lo stessoda maggio.

Sebbene la maggior parte deipaesi europei sembrerebbero sullabuona strada, l’epidemia non è an-cora pienamente sotto controllo. Esu alcuni fronti i «numeri continua-no a salire». «Negli ultimi 10 giorniil numero dei casi registrati in Eu-ropa è quasi raddoppiato e ha quasi

raggiunto il milione. Questo signi-fica che il 50 per cento circa dei ca-si di covid-19 ricade su questa re-gione. Purtroppo oltre 84 mila per-sone in Europa hanno perso la vitaper il virus», ha dichiarato ancoraKluge. E secondo un calcolo

dell’agenzia di stampa francese«Afp», sono 90 mila i morti in Eu-ropa. I numeri dei decessi giorna-lieri sono ancora decisamente alti,soprattutto nel Regno Unito (861),in Francia (753), Italia (565) e Spa-gna (551).

Kluge ha poi sottolineato che ilpicco deve ancora essere raggiuntoin Gran Bretagna, Turchia, Ucrai-na, Bielorussia e Russia. Sembrachiaro che per l’Oms un ritorno al-la normalità sarà molto lento e gra-duale. Nella classifica dei numeri ilBelgio è diventato il primo paesenel rapporto tra morti e abitanti ein Olanda il covid-19 ha colpito unterzo delle case di cura per anziani.In Svezia il governo ha deciso diadottare misure restrittive in tempirapidi, sconfessando una inizialepresa di posizione alquanto lassista.

La preoccupazione dell’Oms ri-guarda inoltre i contagi tra il perso-nale medico e sanitario. «Su 300mila test per il coronavirus effettua-ti in Europa, un caso di contagiosu tredici riguarda gli operatori del-la sanità», ha detto la dottoressaCatherine Smallwood dell’Oms Eu-ro p a .

Intanto nel Regno Unito, dove icontagi hanno superato la sogliadei centomila, il governo guidatotemporaneamente dal ministro Do-minic Raab, sostituto del convale-scente premier Boris Johnson, haannunciato il prolungamento dellockdown per altre tre settimane.Sul fronte Brexit invece il governobritannico non accetta pause. DaLondra infatti hanno annunciatoche i nuovi rapporti tra l’Unioneeuropea e il Regno Unito dopo laBrexit riprenderanno l’inizio dellaprossima settimana, il 20 aprile.

TO KY O, 17. Il primo ministro giap-ponese, Shinzo Abe, ha esteso atutto il territorio nazionale lo statodi emergenza per far fronte alla dif-fusione di covid-19. Lo stato diemergenza era stato inizialmentedichiarato, il 7 aprile, solo per lacapitale e altre sei regioni, mentreora coprirà le 47 prefetture del Pae-se. Lo riferisce l’agenzia Kyodo,spiegando che Abe conta così di ri-durre i contatti tra le personedell’80 per cento, soprattutto inprevisione del periodo di festivitàdella Golden Week a inizio mag-

gio. Oltre un quarto del totale delleinfezioni si sono verificate a Tokyo,con quasi 2600 casi dopo i 149 dioggi. Sul fronte nazionale i contagisi assestano a 9005, e il numero deimorti a 182.

In Cina, nel frattempo, a causadella pandemia si registra un crollosenza precedenti del Pil, pari al 6,8per cento nel primo trimestredell’anno. Lo riferisce l’Ufficio na-zionale di statistica, secondo cui lavariazione congiunturale è pari a -9,8 per cento. Si tratta della primacontrazione dal 1992, anno di avvio

delle statistiche su base trimestrale,mentre l’ultima recessione annua ri-sale al 1976. Per fronteggiare la cri-si, ieri, il presidente cinese, Xi Jin-ping, e il suo omologo russo, Vladi-mir Putin — nel corso di un collo-quio telefonico — si sono dettipronti a rafforzare la cooperazionee il coordinamento tra Mosca e Pe-chino nella prevenzione e nel con-trollo dell’epidemia. Lo rende notoil Cremlino e l’agenzia ufficiale distampa cinese “Xinhua”. Nel frat-tempo a Wuhan le autorità rettifi-cano il bilancio dei decessi, riferen-

do di altri 1290 morti e 325 nuovicasi. Sale così a 3869 il numero del-le vittime, mentre sono 50.333 i casiconfermati.

Il Fondo monetario internaziona-le ha approvato un prestito diemergenza di 1,4 miliardi di dollaria favore del Pakistan per far frontealle conseguenze economiche dellapandemia. Sono più di 7000 i casiconfermati con 134 morti. L’India,invece, invia tonnellate di medici-nali a Mauritius e Seychelles. L’iso-la conferma 324 casi e 9 decessi,mentre l’arcipelago 11 contagi.

Page 3: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOsabato 18 aprile 2020 pagina 3

LABORATORIOD OPO LA PA N D E M I A

«Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente in quest’a f f a re ,

ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene» (D. Bonhoeffer)

La Storia era già qui ma non l’abbiamo riconosciuta

La responsabilitàdi (ri)vivere

di VINCENZO SCOTTIE MARCO EMANUELE

In linea con quanto indicato daldirettore de L’Osservatore Ro-mano lo scorso 4 aprile (A i u t a re

oggi e immaginare il domani. L’esem-pio di De Gasperi), questo è il mo-mento di pensare a chi diventeremo.Partiamo, come segno rivolto a cia-scuno e al mondo, e a ciascuno nelmondo, dalla preghiera di PapaFrancesco del 27 marzo. Quell’im-magine di Francesco solo nella piaz-za, al contempo tragica e ricca disperanza, ci evoca un silenzio chenon è assenza di parola ma che at-traversa le nostre parole vuote, vani-tose, inutili.

Francesco ci ha ricordato ciò cheè straordinariamente necessario tan-to quanto impossibile: che nessunosi salva da solo. Sul fatto che sia ne-cessario non può esserci dibattito,sul fatto che sia impossibile dipendedal fatto che ciascuno di noi, e gliStati che ci governano, talvolta met-tiamo/mettono davanti al futuro co-mune i propri rapporti di forza, leproprie ambizioni (com’è sempre ac-caduto, insomma). Come se il do-po-pandemia fosse “o ccupabile” daqualcuno, come se questa pandemianon rappresentasse una straordinarialezione per tutti.

Va detto, fin da subito, che nonavremmo dovuto aspettare questocoronavirus. Già nel 2007/2008, inoccasione della ben nota pandemiafinanziaria, avremmo potuto capireche siamo immersi in un cambio diera. Eppure non è successo, abbia-mo continuato imperterriti a crederenell’urgenza di un sistema planeta-rio considerato inevitabile, come seil processo storico fosse inarrestabi-le, se si fosse dovuto lasciar fare so-lo ai competenti, a chi aveva capitotutto; come se le differenze non esi-stessero, se il pianeta non avesse unsuo equilibrio da preservare e daconsolidare. Abbiamo vissuto, in so-stanza, in una sorta di infinito pre-sente, in una permanente “fine dellastoria”.

Eppure la storia era lì, mai linea-re, a dirci che non era finita. Era lìcon tutte le sue contraddizioni e lesue fragilità, che sono le nostre. Ab-biamo accompagnato la “fede” inun inarrestabile progresso con unamancata riforma del pensiero. Cisiamo illusi, sarebbe meglio dire au-to-ingannati, che quel verso della

storia fosse l’unico possibile. Comese, in ogni istante, si fosse ripetuto(e si ripetesse) simbolicamente ilcrollo del muro di Berlino. Ci siamodetti, convincendocene, che erava-mo dalla parte giusta della storia.

Poveri noi. Ma ora? Crediamoche sia venuto il tempo di accoglie-re la responsabilità di (ri)vivere.Qualunque sia la nostra tensioneculturale e religiosa, ci vuole unanuova alleanza. E ci vuole un pen-siero adeguato ai tempi. Proponia-mo qui quattro nodi, proponendocidi svilupparli in un dibattito ampioe transdisciplinare.

Il primo punto riguarda il ruolodell’educazione e della formazione.Il recente appello dell’Unesco, ri-preso da questo giornale, va nellagiusta direzione. Se non ripartiamodal far maturare classi dirigenti, co-me possiamo pensare di cambiarevia? Il sistema educativo e della for-mazione (fino all’università e oltre)ha il dovere di (ri)pensarsi nel sensodi aiutare a comprendere un mondonon più “o rd i n a t o ” secondo para-digmi novecenteschi e non più “or-dinabile” secondo gli stessi. Unmondo in tre mondi: della connetti-vità e dell’innovazione; del disagio edelle diseguaglianze; dei conflitti edei muri. Un mondo, in sostanza,nel quale le luci e le ombre (con)vi-vono, tanto quanto i processi linearie complessi, prevedibili e imprevedi-bili. Un mondo in metamorfosi,grazie, soprattutto, alle innovazionitecnologiche e al loro impatto nellenostre vite. In questo mondo, con ilquale dobbiamo fare i conti, qualeeducazione e formazione possiamodare ai più giovani? Per quali pro-spettive, verso quali lavori? Sarebbemeglio non parlare più solo di futu-ro ma di futuri e di contro-futuri.

Il secondo punto, mai affrontatoseriamente negli ultimi trent’anni,riguarda il rapporto tra Stato e mer-cato e, soprattutto, tra quale Stato equale mercato. È bene avviare dialo-ghi che, portando dentro l’inevitabi-le dialettica, si pongano il tema stra-tegico del rapporto Stato-mercato-uomo. In una visione a-centrica, ciòche va (ri)pensato è la relazione.Anche la riproposizione d’imp ortan-ti approcci keynesiani non bastapiù: servono altri paradigmi, altrelogiche, per altre dinamiche. Ilmondo di Keynes è finito, irrimedia-bilmente.

Il terzo punto riguarda l’innova-zione tecnologica. Certo vi sono ri-schi (quelli analizzati da ShoshanaZuboff in “Il capitalismo della sor-veglianza” sono ben realistici) maanche grandissime opportunità.Dobbiamo guardare alle “buone”tecnologie, quelle che — in questafase di emergenza — ci mostrano lepotenzialità di un dopo che spetta anoi rendere possibile. Nuove prossi-mità, forme di didattica, lavori emodalità di lavoro, migliore efficien-za nei servizi pubblici alla persona(si pensi, in particolare, alla sanità)sono già “in nuce” e, in molti casi,già parte dei nostri modi di vita. At-traverso le tecnologie, infine, possia-mo (ri)pensare il pensiero, una filo-sofia-nel-presente: compito arduoma più che mai fondamentale nelcambio di era.

L’ultimo punto riguarda il delica-tissimo rapporto tra costruzione del-la communitas e bisogno dell’immu-nitas. Da sempre, e per sempre,l’uomo cerca l’alterità e, al contem-po, ha un bisogno di difesa da ciòche ancora non conosce (sia anchel’altro) e da ciò che lo minaccia. Ilmomento di preghiera meravigliosa-mente “tempiterno” (che passa “at-traverso” il tempo, nella sua unità,senza separazione tra passato, pre-sente e futuro) offerto da Francescosi cala in un mondo diviso, fragileche sembra aver smarrito ciò che,misteriosamente, lo tiene insieme.Un mistero che si può (ri)trovarenel “comune”, luogo tutto da co-struire attraverso l’esercizio della no-stra responsabilità e “schiacciato”tra ciò che è privato e ciò che èpubblico. Si tratta di un lavorocomplesso e paziente. Se vediamonascere, e crescere, forme di(com)partecipazione in diversi am-biti della nostra vita, dai rapportipersonali alle relazioni internaziona-li, altrettanto emergono — e si radi-calizzano — voglie di exit, di autar-chia, di esasperazione di moti diprotezione, d’illusioni di auto-suffi-cienza. Communitas (bisogno di alte-rità) e immunitas (bisogno di difen-dersi) devono entrare in dialogo,mai più sfidarsi, parti non elimina-bili nel nostro percorso espe-rienziale.

(Ri)vivere, dunque, perché dallacrisi non usciremo come ci siamoentrati. Accogliamo questo tempoper accogliere l’oltre che già vive nelnostro presente.

L’orizzonte del dopo pandemia nella riflessione di Luigi Ferrajoli

Una Costituzione globalepiù forte dei mercati

di FAU S TA SPERANZA

In un mondo globale che tendea ridistribuire la potenza politi-ca e la ricchezza concentrandola

in capo ai giganti emergenti, l’infe-zione da covid-19 ha messo in crisil’interdipendenza mondiale per untempo che ancora non sappiamoquantificare, ma soprattutto ha evi-denziato, come in una cartina torna-sole, sfide epocali. Non ci sono soloi sistemi sanitari o la viabilità inter-nazionale a essere messi in discus-sione dalla pandemia. L’onda lungadello tsunami del coronavirus lasciaintravedere seri contraccolpi perl’economia e scuote le fondamentadell’ordine liberale su cui ci siamobasati per decenni. Da tempo siparla di una globalizzazione chenon può restare senza forme di go-vernance globale. Basti considerareil moltiplicarsi di conflitti e l’ina-sprirsi della forbice delle disugua-glianze sociali in praticamente tuttele aree geografiche, mentre solo l’in-ternazionalizzazione delle organiz-zazioni illecite non conosce crisi orecessioni. Si pone l’esigenza di unaforma concettualmente nuova e ope-rativamente inedita di regolamenta-zione su scala mondiale che tuteli iprincipi di bene comune. Per riflet-tere su questi temi abbiamo intervi-

Costituzione della Terra che a que-sta mancanza ponga rimedio. Più diqualunque altra catastrofe, essa ren-de perciò più urgente e, insieme,più universalmente condivisa la ne-cessità di colmare questa lacuna. C’èpoi un’altra ragione, più specifica,che distingue questa emergenza datutte le altre e impone una sua ge-stione a livello globale: non solo lagaranzia dell’uguaglianza nel dirittoalla vita e alla salute di tutti gli es-seri umani, ma anche l’efficacia del-le misure adottate, la quale dipendelargamente dalla loro coerenza eomogeneità. I diversi paesi della ter-ra si muovono invece ciascuno constrategie diverse, con il pericolo chele misure inadeguate o intempestivedi taluni di essi possano riaprire ilcontagio per tutti gli altri.

Cosa intende per “costituzionalismoglobale”?

Esistono, e stanno diventandosempre più drammatici, problemiglobali che non fanno partedell’agenda politica dei governi na-zionali ma dalla cui soluzione, pos-sibile soltanto a livello globale, di-pende la sopravvivenza dell’umani-tà: il salvataggio del pianeta dal ri-scaldamento climatico, i pericoli diconflitti nucleari, la crescita della

Quali sono, secondo lei, i principaliostacoli a una prospettiva di questog e n e re ?

Sono fondamentalmente due. Ilprimo è la miopia delle forze politi-che, determinata da una grave apo-ria della democrazia rappresentativa:gli spazi angusti e i tempi brevi cuisono ancorate, in democrazia, la ri-cerca del consenso delle forze politi-che e che impediscono di farsi cari-co dei problemi del pianeta di solitoignorati dalle pubbliche opinioni. Ilsecondo è costituito dai potenti in-teressi economici che si oppongonoal progetto di una sfera pubblicagarante dell’uguaglianza nei dirittifondamentali e della pace, la cui at-tuazione imporrebbe una fiscalitàmondiale, limiti e controlli sullo svi-luppo industriale ecologicamente in-sostenibile e la subordinazione aidiritti fondamentali dei poteri sel-vaggi dei mercati.

Davvero il dopo pandemia potrebberappresentare una occasione per com-prendere la necessità di un nuovo oriz-zonte?

Certamente. Giacché essa, ripeto,ci fa toccare con mano l’insensatez-za della mancanza di preparazione edi previdenza che ha colto tutti gliStati, rendendoci consapevoli delfatto che piani adeguati di emergen-za saranno tanto più efficaci quantopiù omogenei e perciò globali. Mipare che questo sia l’insegnamentopiù ovvio di questa pandemia: lanecessità di trasformare l’O rganizza-zione Mondiale della Sanità, attual-mente priva di mezzi e di poteri, inuna vera istituzione globale di ga-ranzia del diritto alla salute per tuttigli abitanti della Terra. Si può in-somma sperare che il dramma chestiamo vivendo provochi un risve-glio della ragione. Colpendo tutto ilgenere umano, senza distinzioni dinazionalità e di ricchezze, essa puòforse generare, a livello di massa, laconsapevolezza — anche con riguar-do alle altre emergenze globali, daquella ecologica a quella nucleare ea quella umanitaria — della nostracomune fragilità, della nostra inter-dipendenza e del nostro comune de-stino.

Professore, le accademie hanno svilup-pato negli ultimi anni diversi modellidi governance globale: il modello libe-ral democratico, quello della democra-zia radicale, o quello della democraziacosmopolita o infine della democraziamultipolare; secondo lei qual è il piùadatto a fronteggiare l'attuale crisi?

Le tipologie dei modelli di demo-crazia possono essere le più svariate.Dei quattro modelli da lei indicatiquello più idoneo a rispondere allesfide globali è certamente quellodella democrazia cosmopolitica. È ilsogno di Kant, che oggi è possibileintegrare, attuare e garantire dandoa esso la forma e la sostanza di unaCostituzione globale, rigidamentesopraordinata ai poteri sia degli Sta-ti che dei mercati.

Nella sua riflessione continua che postooccupa l’Onu?

L’Onu è oggi il solo ordinamentointernazionale di cui sono membripraticamente tutti gli Stati dellaTerra. Si tratta di democratizzarla,di rafforzarla e, soprattutto, di mo-dificarne la struttura. Ciò che si ri-chiede non è tanto il rafforzamentodelle funzioni e delle istituzioni po-litiche di governo: tali funzioni, inquanto legittimate dalla rappresen-tanza politica, lo sono tanto piùquanto più sono vicine agli elettorie perciò di livello statale o regiona-le. Ciò che è necessario è soprattut-to l’implementazione — che ovvia-mente richiede una decisione politi-ca a opera delle istituzioni di gover-no — di adeguate funzioni e istitu-zioni di garanzia della salute, dellasussistenza, dell’istruzione di base,dell’abitabilità del pianeta, cioè didiritti fondamentali già stabiliti intante carte dei diritti umani che sitratta semplicemente di prendere sulserio. In questa prospettiva, unaCostituzione della Terra dovrebbeintrodurre un demanio planetariodei beni comuni come l’atmosfera,l’acqua potabile, i grandi ghiacciai eil patrimonio forestale. Dovrebbeinoltre prevedere una fiscalità globa-le in grado di finanziare l’O rganiz-zazione Mondiale della Sanità, laFao e altre autorità di garanzia.

Scambio di prigionieritra Ucraina e gruppi armati

Atene annuncia un piano di trasferimentiper i migranti bloccati sulle isole

ATENE, 17. Centinaia di migranti an-ziani e richiedenti asilo saranno pre-sto trasferiti dai campi ormai conge-stionati sulle isole greche per il ri-schio di contagio da coronavirus. Loha annunciato ieri il ministerodell’Immigrazione greco, precisandoche l’operazione inizierà il 19 aprilee durerà circa due settimane.

Sono 2380 le persone vulnerabiliche saranno portate via dalle isoledell’Egeo in appartamenti, alberghie altri campi sulla terraferma. Traquesti ci sono 200 richiedenti asiloover 60 che saranno accompagnatidalle loro famiglie. Al momento nonè stato registrato nessun caso di co-vid-19 sulle isole di Lesbo, Chio,Samos, Leros e Cos.

Questa settimana è iniziato ancheun altro piano per ricollocare 1600minori provenienti da zona di guer-ra in diversi Paesi europei che si so-no offerti di accoglierli. Va dettoche ieri la Commissione Ue ha pre-sentato le linee guida per l’attuazio-ne delle regole europee sull’asilo,sulle procedure di rimpatrio dei mi-granti, e sui reinsediamenti dei pro-fughi durante l’emergenza del coro-navirus. Bruxelles ha chiarito che leesenzioni alle restrizioni dei viaggivalgono per quanti necessitano diprotezione internazionale o per altrimotivi umanitari, secondo il princi-pio di non respingimento.

Intanto, oggi i 149 migranti abordo della nave Alan Kurdi saran-

no trasbordati sul traghetto Rubatti-no della Tirrenia, dove saranno sot-toposti ai controlli per il coronavi-rus dal personale della Croce Rossae resteranno in quarantena in attesadi essere poi redistributi tra i paesidella Ue.

Le due navi sono a circa un mi-glio dal porto di Palermo, in attesadi ricevere l’autorizzazione al tra-sbordo. I dettagli dell’op erazionesono stati decisi nel corso di un in-contro tra il prefetto di Palermo, ilsindaco, i responsabili della CroceRossa, dell’Asp e della ProtezioneCivile. I 149 migranti erano statisoccorsi circa due settimane fa nelMediterraneo dalla nave della ongtedesca Sea Eye.

stato Luigi Ferrajoli, giurista, exmagistrato, professore universitarioe filosofo del diritto, che da anniporta avanti i suoi studi su un “co-stituzionalismo globale”.

Quali spazi trovano nel suo ragiona-mento i valori della salute e il possibilecontrasto all’attuale livello di disegua-glianze nel mondo, tale che l’un percento della popolazione mondiale detie-ne il 99 per cento delle ricchezze? Ecosa ci può insegnare la pandemia dacovid-19?

Il diritto alla salute è un dirittofondamentale stabilito non solo nel-le costituzioni statali più avanzate,ma anche in molte carte internazio-nali dei diritti umani. L’a g g re s s i o n ealla salute e alla vita del coronavi-rus, con il suo terribile bilancioquotidiano di morti in tutto il mon-do, ha reso più clamorosamente visi-bili e intollerabili di qualunque altraemergenza i costi della mancanza diadeguate istituzioni di garanzia ditali diritti vitali e la necessità di una

povertà e la morte ogni anno di mi-lioni di persone per la mancanzadell’alimentazione di base e dei far-maci salva-vita, il dramma di centi-naia di migliaia di migranti e, ora,la tragedia di questa pandemia delcoronavirus. È da questa banaleconsapevolezza che è nata, un annofa, l’idea di dar vita a un movimen-to politico — la cui prima assembleasi è svolta qui a Roma il 21 febbraio— diretto a promuovere una Costitu-zione della Terra. Lo strumento cheabbiamo adottato è quello dellascuola “Costituente Terra”: precisa-mente, l’istituzione di più scuole,che vorremmo fossero organizzatenon solo a Roma, ma in tutta Italia(e in prospettiva in tutto il mondo)e che saranno in realtà luoghi di ri-flessione, di dibattito e di elabora-zione delle tecniche e, soprattutto,delle istituzioni di garanzia dei di-ritti umani e della pace che una Co-stituzione della Terra dovrebbe pre-vedere per dar vita a una sfera pub-blica internazionale all’altezza dellesfide globali.

KI E V, 17, Nuovo scambio di prigio-nieri, ieri, fra Ucraina e gruppi ar-mati di Donetsk e Luhansk. Sitratta del primo scambio di dete-nuti del 2020, il terzo dall’iniziodella presidenza di Volodimir Ze-lensky, lo scorso maggio. Lo riferi-sce l’agenzia di stampa ucrainaUnian.

Secondo quanto ha reso notoun comunicato della presidenzaucraina, sono stati rimessi in liber-tà venti tra militari di Kiev e civili,che a causa dell’epidemia di covid-19, dovranno osservare un periododi isolamento prima di potere riab-bracciare i propri cari.

Le autorità di Kiev hanno dalcanto loro rilasciato 14 persone.

Questo nuovo passo «dimostral’efficacia della strategia del presi-dente e il rispetto degli accordiraggiunti a Parigi nel vertice nelformato Normandia del dicembredel 2019», si precisa nella nota.

Il Servizio europeo per l’azioneesterna (Seae) ha definito la noti-zia «un gradito passo verso l’attua-zione di una delle misure concor-date» al vertice nella capitale fran-cese del 9 dicembre scorso.

«Un cessate il fuoco permanen-te, anche in risposta alla chiamataglobale del segretario generaledelle Nazioni Unite, AntónioGuterres, rafforzerebbe la fiducia eallevierebbe la terribile situazioneumanitaria», ha aggiunto il Seae.

Page 4: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 4 sabato 18 aprile 2020

Il vescovo di Dori parla della situazione in Burkina Faso uno dei paesi africani più colpiti dalla pandemia

Con coraggiosi lotta per la vita

di CHARLES DE PECHPEYROU

Nonostante il Burkina Faso siauno dei paesi africani piùcolpiti dal coronavirus — il

cardinale arcivescovo di Ouagadou-gou, Philippe Nakellentuba Oué-draogo è risultato positivo al covid-19 — «è nel segno della speranza chela popolazione aspetta la fine dellapandemia, così come l’avvenire digiorni migliori». E, in particolare, icattolici locali «hanno fiducia inDio, seguendo in questo anche lacultura religiosa africana che sa affi-darsi sempre e innanzitutto a Dio».È quanto confida a «L’O sservatoreRomano» il vescovo di Dori, monsi-gnor Laurent Birfuoré Dabiré, spie-gando che comunque «in Africa silotta per la vita ma non si ha pauradella morte». Commentando le mi-sure adottate per arginare la diffu-sione del virus, il presidente dellaConferenza episcopale del BurkinaFaso e Niger teme che un rigidoconfinamento della popolazionepossa «trovare un ostacolo proprionel modo di vivere di una grandemaggioranza della popolazione»burkinabé e suggerisce di «trovareuna formula che si presti alle esigen-ze di vita» del popolo africano. Ilpresule non manca, infine, di ricor-dare che nella sua diocesi «si vivegià una specie di confinamento acausa degli attacchi terroristici chehanno limitato notevolmente glispostamenti e i raduni».

Il Burkina Faso è uno dei paesi africa-ni più colpiti dalla pandemia da coro-navirus: per quali motivi?

Il Burkina Faso ha registrato ilsuo primo caso di covid-19 con lacontaminazione del pastore Mama-dou Philippe Karambiri e di suamoglie, entrambi testati positivi il 9marzo scorso. Erano appena rientratidalla Francia, dove avevano parteci-pato, dal 17 al 24 febbraio, a una set-timana di digiuno e di preghiera or-ganizzata dalla Chiesa evangelicaPorte Ouverte a Mulhouse, in Alsa-zia, uno dei principali focolaidell’epidemia in Francia. Prima diavvertire i primi sintomi che li han-no portati al ricovero in ospedale,sono stati accolti da una folla nume-rosa e molte persone si sono recatenel loro domicilio come si suol farein Africa dove i contatti sociali sonofrequenti e ravvicinati. Il virus si èallora propagato molto rapidamente,particolarmente a Ouagadougou, lacapitale del Burkina Faso, poi, nellealtre località. E la risposta, benchéimmediata, non è stata sufficienteper contenere la propagazione delvirus a causa della mancanza di suf-ficienti mezzi a disposizione.

Quali sono le misure varate dallo Statoe dalle collettività locali? Sono accettatee rispettate dalla popolazione?

Le misure sono state prese gra-dualmente: inizialmente si è trattatodi raccomandazioni di igiene, comelavarsi spesso le mani con il saponeo utilizzando soluzioni idroalcoliche,tossire o starnutire in un fazzoletto,evitare abbracci e strette di mano erispettare la distanza interpersonaledi almeno un metro nei luoghi diaggregazione. Poi sono state indicatele regole da seguire nei casi sospetti:

immediato autoisolamento, con unnumero verde a disposizione. Le au-torità hanno successivamente adotta-to misure più drastiche per limitarela diffusione del virus: sono statiproibiti gli incontri che prevedonopiù di 50 persone, chiuse le frontie-re, così come i mercati, le sale dispettacolo, immobilizzati i servizi ditrasporto pubblico, instaurato il co-prifuoco notturno dalle 19 alle cin-que del mattino e la quarantena perle città e località dove sono stati re-gistrati casi avverati di coronavirus.

Le misure sono state rispettate,tranne alcuni casi di abitanti non an-cora al corrente o per una frangiadella popolazione che vede in que-sto contesto un’occasione per sfidarel’autorità pubblica. Casi comunqueminoritari rispetto all’insieme dellapopolazione che ha accettato questemisure nonostante il disagio che nederiva per la vita quotidiana.

Per ora in alcune città vige il coprifuo-co. Lei pensa che a breve si profili ilconfinamento, o ritiene questa una re-strizione inadatta vista la cultura e ilmodo di vivere degli africani?

Di fatto, l’insieme delle misure giàprese e quella del confinamento chesi profila non trovano un ostacolonella cultura africana in quanto tale,ma nel modo di vivere di una gran-de maggioranza della popolazione.Infatti nei quartieri poveri, nei vil-laggi e nelle città, gli alloggi e glispazi comuni come le docce sonocondivisi da numerose famiglie chemangiano insieme, spesso nello stes-so piatto, vivono alla giornata, eescono ogni giorno per cercare diche sopravvivere. Perciò non pensoche si possa imporre nel Burkina Fa-so un confinamento all’europea, bi-sogna trovare una formula che sipresti alle esigenze di vita delle po-polazioni africane. Penso piuttostoche per limitare la diffusione si de-vono applicare delle misure parten-do da “centri concentrici”. Cioè limi-tare inizialmente i movimenti di po-polazione tra le regioni, poi via viatra regioni e province, tra comunidella stessa provincia, tra città e pae-si fino al confinamento delle fami-glie. Misure che devono essere ne-cessariamente accompagnate da faci-litazioni nella distribuzione dei benialimentari di prima necessità enell’accesso delle cure. Penso che leautorità del Burkina Faso stanno la-vorando in questo senso, purtroppomancano i mezzi concreti per agirein tempo reale. Ecco perché l’app el-lo del Santo Padre alla solidarietà ealla fratellanza deve essere più chemai ascoltato, come anche l’app ellodel segretario generale delle NazioniUnite che invita i paesi sviluppati aaiutare l’Africa, pur essendo attual-mente i più colpiti dal coronavirus.

Quali sono le sue più grandi preoccu-pazioni? C’è il rischio di assistere aduna grande epidemia dopo il rientro inBurkina Faso di persone contaminatein Europa o in Asia?

Sono molto preoccupato per tremotivi: innanzitutto, ho paura che lasfida per contenere la pandemia ne-cessiti un dispiegamento di forze chesupera le possibilità del mio paese.E che per questo si assista a un cata-strofico aumento del numero deimorti. Non escludo poi il rischio cheil Covid-19 finisca per mutare, a for-za di trascinarsi in giro nel paese.Un mutamento del virus rischiereb-be di annientare gli sforzi finoracompiuti e produrre una secondaondata nel mondo intero, questa vol-ta con milioni di morti. Ecco perchéogni persona che rientra dall’E u ro p ae dall’Asia in Burkina Faso rappre-senta un eventuale rischio. Dato chei paesi non possono — e personal-mente penso che non devono —chiudersi ermeticamente, penso chebisogna valutare misure di preven-zione specifiche destinate a questicasi di cittadini che cercano di rien-trare nel loro paese.

Parliamo della Chiesa, quali misuresono state adottate? Nella diocesi diDori e a livello della Conferenza epi-scopale Burkina Faso e Niger ?

Le autorità religiose hanno natu-ralmente seguito il Governo nellalotta contro il coronavirus, adottan-do le misure necessarie per le cele-brazioni e le attività religiose. Giàdal 12 marzo scorso, seguendo ilprovvedimento che limita il numerodi persone presenti in uno stessoluogo, la Conferenza episcopaleBurkina Faso e Niger ha diffuso ledirettive sanitarie per la celebrazione

dei sacramenti e le attività pastorali.Successivamente, il 18 marzo, sonostate sospese tutte le celebrazionicon la presenza di fedeli (messe, viacrucis, matrimoni, funerali, corsi dicatechesi). Anche le altre Chiesehanno adottato misure analoghe, co-sì come la comunità musulmana delBurkina Faso, in uno spirito di con-certazione reciproca. In quanto ve-scovo di Dori sono responsabile del-la loro applicazione nella mia dioce-si e posso dire che sono generalmen-te rispettate senza problemi. Vorreianche ricordare che nella diocesi diDori, viviamo già una specie di con-finamento a causa degli attacchi ter-roristici che hanno limitato notevol-mente gli spostamenti e i raduni. Lanostra Caritas diocesana è impegna-ta nella protezione delle personesfollate all’interno del nostro paesecon la distribuzione di viveri e kitsanitari per l’igiene. Ma tutto questoè così aleatorio nei campi profughidove sono ammassate tante persone,il covid-19 è un nuovo problema chesi aggiunge ai tanti altri

Di cosa risentono più particolarmente icattolici e come stanno vivendo questotempo di Pasqua? Come annunciare lagioia della Risurrezione in queste circo-stanze?

Tutto dipende da dove si vive, incittà o in campagna. Nelle città, sipercepisce un senso di angoscia, diansietà di fronte a questa malattiache sta dilagando rapidamente e mo-dificando le abitudini. In campagnapermane ancora la spensieratezza,anche se le informazioni della pan-demia cominciano a circolare. Inogni caso, non c’è alcuna psicosi,anzi c’è un senso di calma e serenitàtra i fedeli. I cattolici hanno fiduciain Dio, in conformità alla cultura re-ligiosa africana dove ci si affida sem-pre e innanzitutto a Dio. È nel se-

gno della speranza che la popolazio-ne aspetta la fine della pandemia co-sì come l’avvenire di giorni migliori,perciò l’annuncio della gioia della ri-surrezione non presenta difficoltàparticolari, anzi, questo annuncio èportatore di speranza di vita nuova eeterna. In Africa si lotta per la vita,ma non si ha paura della morte.

Come si svolge l’accompagnamento deimalati colpiti dal virus e dei morenti?

Per rispettare le esigenze sanitarie,sono cambiate le forme dell’accom-pagnamento ai malati e ai morenti.Non più vicinanza fisica — i malatisono in isolamento — ma confortotelefonico quando le loro forze loconsentono. C’è anche la possibilitàdi videochiamate, che sono di gran-de aiuto. Quando il malato è acces-sibile, si raccomanda ai preti di por-tare l’unzione degli infermi indos-

sando i guanti appropriati e rispet-tando tutte le altre misure precauzio-nali. Se sopravviene la morte, è sem-pre possibile impartire l’assoluzionedei peccati, mentre la celebrazionedella messa esequiale è rinviata.

Le persone sono più portate a rifletteresulla morte in questo periodo di crisi?Cosa si aspettano dalla Chiesa?

Rispondo in poche parole: nellacultura religiosa africana, si passa lavita a preparare la morte. Perciòogni insegnamento sul come viveregli ultimi istanti della vita è accoltofavorevolmente. Quello che le perso-ne si aspettano dalla Chiesa, sonodei chiarimenti per affrontare que-st’ultimo tratto della vita, e un ac-compagnamento nel pellegrinaggioverso la casa del Padre. Spetta allaChiesa di indicare il giusto camminoe gli strumenti per seguirlo.L’appello del cardinale Ouédraogo

Un’ondata di solidarietàA Bangui pochi casi di coronavirus ma il sistema sanitario non è pronto

Il paradosso centrafricanoOUAGAD OUGOU, 17. «Dal fondo delmio cuore di pastore, vorrei rivol-gere un grande appello per unagrande ondata di solidarietà sia alivello locale che regionale e inter-nazionale in favore dei pazienti dicovid-19. C’è urgente bisogno dimezzi adeguati per salvare le moltevite umane colpite! “Un dito nonraccoglie la farina”, ci insegna lasaggezza africana. Uniamoci quin-di per scacciare dal nostro paese edal mondo questa terribile pestilen-za che genera conseguenze cosìgravi»: a parlare è il cardinale Phi-lippe Nakellentuba Ouédraogo, ar-civescovo di Ouagadougou, dimes-so di recente dalla clinica Les Ge-nets, nella capitale, dove era statoricoverato dopo essere risultato po-sitivo al coronavirus a fine marzo.«La situazione dovuta alla pande-mia ha causato problemi a livellosanitario, socioeconomico, culturalee spirituale, e questo vale per tutti.Quindi, come discepoli di Cristo,ribadiamo l’atto di fiducia dell’ap o-stolo Pietro: “Signore, da chi an-dremo? Tu hai parole di vita eter-na!” (Giovanni, 6, 68)», afferma ilporporato in un messaggio indiriz-zato alla sua diocesi e ai suoi amicicristiani e non, pubblicato sul sitodella Conferenza episcopale delPa e s e .

«Una grande folla, vicina o lon-tana, di fedeli, genitori, amici e co-noscenti (cattolici, musulmani, pro-testanti e seguaci della religionetradizionale, autorità consuetudina-rie, politiche e amministrative) hatenuto a esprimere la sua vicinan-za: per telefono, tramite messaggi,a volte prodigando consigli su co-me curare la mia malattia, o ancoraorganizzando novene di preghiereper me», racconta il cardinaleOuédraogo. «Di fronte a tutte que-ste espressioni di solidarietà e com-passione, offro volentieri questomomento di prova e soprattutto lamia preghiera quotidiana perchiunque sia malato di covid-19 oaffetto da altri disturbi, per porrefine alla morte di persone innocen-ti perpetrata dalle forze del male,per la riconciliazione, la giustizia ela pace in Burkina Faso».

Nel presentare le direttive dellaChiesa burkinabé per lottare con-tro la propagazione del covid-19, ivescovi avevano assicurato di segui-re «con attenzione la diffusionedell’infezione e della malattia intutto il mondo e nel Paese», consa-pevoli della loro «responsabilità diproteggere il popolo di Dio e i cit-

tadini collaborando con il gover-no». «Questo non è il momentodelle polemiche o della psicosi —avevano sottolineato — ma del rigo-roso rispetto da parte di tutti noidelle istruzioni fornite dalle autori-tà competenti nel nostro paese».

Nell’Africa sub-sahariana dove,secondo l’Onu, 76 milioni di per-sone hanno bisogno dell’aiuto delleorganizzazioni umanitarie per vive-re, la pandemia complica ulterior-mente il lavoro delle ong che ven-gono in aiuto a popolazioni giàmolto vulnerabili. In Niger e Bur-kina Faso, in preda agli attacchi digruppi jihadisti, i voli che traspor-tano personale umanitario sono so-spesi. Secondo una ricerca condot-ta dalla London school of hygieneand tropical medicine e pubblicatasulla rivista «Lancet», l’epidemiadi covid-19 che tocca Burkina Fasoe Senegal è di «particolare preoc-cupazione» perché in entrambi iPaesi i casi «potrebbero evolversiin modo simile a quanto osservatonei Paesi europei con le epidemiepiù vaste» come Italia e Spagna.Secondo i ricercatori l’impatto diun’epidemia simile a quella attual-mente osservata in Europa sarebbedevastante in quella zona. La mag-gior parte dei Paesi della regioneha meno di cinque letti ospedalieriogni diecimila abitanti (Italia eSpagna hanno valori di 34 e 35ogni diecimila) e meno di due me-dici ogni diecimila abitanti (Italia eSpagna sono a quota 41). L’epide-mia, spiegano i ricercatori, è inizia-ta «più tardi» nell’Africa occiden-tale rispetto ad altre regioni delmondo «a causa del limitato traffi-co aereo internazionale».

di PAT R I Z I A CA I F FA

«È una situazione capovolta e paradossalequella di essere messi meglio dell’E u ro p a .Per una volta chi soffre non è l’Africa. Ma

non dimentichiamo che l’Africa resta povera e lo saràancora di più se esploderà anche questa crisi». A parla-re della situazione nella Repubblica Centrafricana ri-spetto alla diffusione del coronavirus è padre FedericoTrinchero, del monastero del Carmelo di Bangui. Ori-ginario di Casale Monferrato, da undici anni missiona-rio in Centrafrica, padre Trinchero si occupa della for-mazione dei giovani a Bimbo, periferia della capitale,un complesso con un vasto terreno agricolo di 130 etta-ri. Durante la visita di Papa Francesco nel 2015, inapertura del Giubileo della Misericordia, qui erano ac-colti oltre 10.000 profughi in fuga dalle violenze di unconflitto che si è concluso da poco.

In Centrafrica finora sono stati segnalati 12 casi dicovid-19, di cui due residenti a Bangui. «Questi duenuovi casi e i due precedenti confermano l’esistenza diuna trasmissione locale», afferma una nota del ministe-ro della salute e della popolazione. Le autorità stannocercando di isolare tutte le persone con cui i contagiatisono venuti in contatto e invitano la popolazione «allacalma, alla solidarietà e alla cooperazione». Il puntocritico è che qui l’assistenza sanitaria è una delle peg-giori al mondo: mancano medici e infermieri e nel casoscoppiasse l’emergenza sarebbe un disastro. «Abbiamosolo tre respiratori su una popolazione di cinque milio-ni di persone — spiega il missionario — la terapia inten-

siva non esiste, ci sono pochissimi letti. Lo Stato sache se l’epidemia dovesse diffondersi saremmo in gran-de difficoltà».

Dal 27 marzo il governo ha chiuso le scuole di ogniordine e grado, i bar, i ristoranti, le discoteche. Tutti ivoli sono stati bloccati, le frontiere chiuse. I prezzi deibeni essenziali già stanno aumentando. «Le scuole nor-malmente sono molto affollate — dice padre Trinchero— ci sono classi con centinaia di allievi alle elementari,medie e superiori. Perciò bisogna essere molto pruden-ti, anche se il virus sembra che colpisca meno le fascegiovanili». In Centrafrica il 50 per cento della popola-zione ha meno di 18 anni. Ma 2,2 milioni di personevivono già in condizioni precarie, 700.000 sono sfollatia causa delle violenze subite dai vari gruppi armati cheper anni hanno seminato il terrore nel Paese: gli anti-balaka (cristiani e animisti) e gli ex-Séléka (milizianimusulmani). Vivono in campi sovraffollati con pocaacqua e scarsa igiene, per cui le misure di prevenzionecome il lavaggio delle mani e il distanziamento socialesono di difficile realizzazione. Perfino i caschi blu dellaMinusca, la missione di pace dell’Onu, sono scesi incampo per informare la cittadinanza sulle nuove normecomportamentali da adottare. Un altro problema sonoi trasporti: le persone si spostano su “taxi-moto”, chepossono trasportare anche tre o quattro persone: «Imedici hanno proposto di non prendere più di un pas-seggero ma non pare li abbiano ascoltati». Anche i taxicollettivi portano fino a otto persone, mentre i minibusarrivano a 15 posti. «Sono sempre strapieni, bisogneràintervenire e fare attenzione».

A livello ecclesiale l’arcidiocesi di Bangui ha dato di-sposizioni di seguire le celebrazioni attraverso le dueradio cattoliche. «Prima alle messe partecipavano 500persone — ricorda il missionario — ora invece siamo so-lo noi frati della comunità». Anche il seminario doveinsegna è stato chiuso e tutti i carmelitani restano persicurezza a casa: «Ora abbiamo più tempo per la pre-ghiera, c’è più silenzio e possiamo dedicarci al lavoroche non avevamo tempo di fare. Il morale è alto. Ab-biamo sfruttato questi giorni di Pasqua per pregare dipiù e stare insieme. Come sentinelle che hanno la pos-sibilità di celebrare l’Eucaristia tutti i giorni, sentiamola responsabilità di portare gli altri nella preghiera».

I suoi confratelli sostengono che il virus non verrà«perché qui c’è più fede e preghiera»: «Lo speriamo —afferma — perché sarebbe una catastrofe in un Paesegià segnato da guerra e povertà. Ricordiamo poi cheabbiamo già migliaia e migliaia di bambini e adulti chemuoiono per le epidemie di morbillo, la malaria, la tu-bercolosi, ma non fanno notizia».

Padre Trinchero spera in cuor suo che i 30 gradi ditemperatura e il caldo impediscano la diffusione di uncontagio massiccio come negli altri Paesi. Ma il vicinoCamerun ha già quasi mille casi, «quindi bisogna farecomunque attenzione». Per certi aspetti gli africani so-no più preparati a vivere situazioni di emergenza e diprecarietà. «Abbiamo vissuto una guerra da poco —conclude il carmelitano — siamo abituati a stare in casaanche per 40 giorni. Vediamo giorno dopo giorno co-me andrà: Siamo nelle mani del Signore».

Page 5: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOsabato 18 aprile 2020 pagina 5

Nicola Longo è nato nel 1945ad Alberobello (Bari). Ordi-

nario di Letteratura ita-liana presso Tor VergataUniversità di Roma, nel-la sua attività di ricerca si

è occupato inizialmente dellostudio della letteratura del Ri-nascimento e della critica let-teraria con particolare riferi-mento all’opera di De Sanctis.Poi il lavoro scientifico si èindirizzato verso la ricercadella dimensione urbana nelleforme della letteratura, conparticolare attenzione al rap-porto di Roma con i classicidella letteratura italiana (Dan-te, Petrarca, Tasso, Pirandello,Carlo Levi e Bassani tra glialtri). Un altro importantesettore di ricerca, a cui si ècostantemente accompagnatoun intenso lavoro di conferen-ze, lezioni e seminari, è rap-presentato da studi sulla Divi-na Commedia. Ha svolto unciclo di letture dantesche pres-so l’Università di CastelSant’Angelo di Roma promos-sa dall’Unione contro l’Anal-fabetismo di cui è Coordina-tore scientifico dei corsi. Tra i

tanti volumi pubblicati: Lettu-re novecentesche (Bulzoni,2001), I Papi, Roma e Dante.L’idea e le immagini di Romanella Commedia (Bulzoni,2004), Petrarca: geografia e let-t e ra t u ra .Da Arezzo ad Arquà, da Parigia Praga, passando per Roma(Salerno Editrice, 2007), Studidanteschi. Da Francesca allaTr i n i t à (Studium, 2013), P i ra n -dello tra Leopardi e Roma(Studium, 2018).Di prossima pubblicazioneper Studium Roma nei classiciitaliani.

QA P P R O F O N D I M E N T I D I C U L T U R A , S O C I E T À , S C I E N Z E E A R T E

quattro pagine

Cittàche ne contiene

infinite altreIncontro con Nicola Longo

Le Chiese gemelledi Piazza del Popolo

in un dipintodi Tano Festa

di FRANCESCA ROMANA DE’ ANGELIS

Alto, sottile, un incedereelegante come i suoi mo-di, di una naturale gar-bata compostezza. Stu-dioso di grande tempra

nasconde le mille cose che sa dietrouna straordinaria semplicità, così co-me protegge le sue passioni — la fa-miglia, le amicizie, la letteratura eRoma — dietro un fare discreto e ri-servato. Docente scrupoloso e rispet-tosissimo del mestiere che ha scelto,è sempre stato molto apprezzato daisuoi allievi. Un episodio di tanti an-ni fa lo racconta bene. Aula piccoladi Italianistica alla Sapienza dove te-neva un seminario sulla Retorica an-tica. A quel tempo io, appena lau-reata, ero lì per aiutarlo a condurrequel seminario, in realtà in quei dueanni non feci che imparare da lui,come un’allieva che si aggiungevaagli allievi. Più della ricchezza dellasua preparazione a colpirmi fu l’im-pegno che metteva a trasformare unargomento difficile in qualcosa ditrascinante per i ragazzi. Lezionibellissime le sue, dove una figura re-torica fioriva come un albero al pri-mo sole di primavera e si portava acascata citazioni, aneddoti e il richia-mo all’immancabile Dante. Una pre-dilezione così scoperta e appassiona-ta che un giorno uno studente si al-zò e gli chiese: «Professore mi scusi,parlo a nome di tutti. Per una voltainvece delle figure retoriche ci puòparlare di Dante?». Un accenno disorpresa, un sorriso di felicità e poi«d’accordo» disse Nicola a precipi-zio, forse nel timore che i ragazzipotessero cambiare idea. Non ci funeanche bisogno di un testo dellaCommedia, perché di versi ne ricor-dava tanti a memoria. Quell’episo-dio mi è rimasto nel cuore e neltempo è diventato il simbolo di unamagia che qualche volta avviene inun’aula: maestro e allievi che stannodalla stessa parte, legati da una pas-sione largamente condivisa.

Il primo ricordo della tua vita?

Il mio primo ricordo è una coper-ta rossa da culla con cui mi coprivotutto, anche la testa. E questo acca-deva prima che Schulz inventasse lacoperta azzurra di Linus! Per il restoho tanti ricordi dell’infanzia. Sononato ad Alberobello e la nostra casaera in Corso Vittorio Emanuele.Conservo ogni dettaglio di quellache era la strada principale, del pa-lazzo — la facciata, le due colonneche sostenevano un balcone e l’em-porio che era accanto al portone — edella casa dove abitavamo.

Chi ha contato di più nella tua in-fanzia?

Sono cresciuto come un figlio uni-co pur avendo una sorella più gran-de. Avevo tutta per me mia madreJacovina, una donna molto bella,dalla carnagione chiarissima e daicapelli castani. E poi era dolce, af-fettuosa. Una presenza dominantenella mia vita che mi portò, una vol-ta arrivata la giovinezza, ad affronta-re una rispettosa ma necessaria lottadi liberazione per diventare adulto.Di nove anni più grande di miopadre rimase tutta la vita perduta-mente innamorata. Lui, che purel’aveva amata e sposata, sfidando ilpregiudizio della differenza d’età el’affetto geloso dei sei fratelli, con iltempo si era intiepidito. Lei non dis-se mai niente, ma dovette soffrirnemolto. Mio padre Giuseppe era an-che lui un bell’uomo, elegantissimoe capace di spendere molti soldi inabiti. A differenza di mia madre ave-va pochissimo senso dell’infanzia enon mi trattò mai come un bambi-no. Ricordo che per le nozze di unasua sorella, la zia Lina, mi fece con-fezionare un abito di vigogna grigioa doppio petto con 4 bottoni invecedi 6 perché allora, avevo sette anni,ero piccolissimo: un adulto in minia-tura. Oltre i genitori sono stati im-portanti zio Santillo che mi portavaa caccia, zio Pasqualino, fratello dimio padre e poi mia sorella. Quan-do nel 1951 ci trasferimmo nella casapaterna di mia madre, zio Pasquali-no con il dono di una magnifica bi-cicletta color argento mi regalò la li-bertà di andare in giro per il paesesenza controllo.

Poi ci fu il trasferimento a Roma.

Il 7 novembre del 1957, nell’anni-versario della Rivoluzione russa, la-sciammo Alberobello per la capitale.Una coincidenza naturalmente, an-che se per noi fu davvero una rivolu-zione. Mio padre, che era avvocato,all’età di 44 anni aveva deciso di in-ventarsi una nuova vita a Roma.Non mi turbò l’idea di partire e lacittà mi piacque subito. Ricordo cheil giorno stesso dell’arrivo mio padremi prese per mano e da via Saboti-no, dove era la nostra nuova casa ro-mana, attraversammo tutto il quar-tiere Prati passeggiando. Arrivati davia Marcantonio Colonna a via Coladi Rienzo, girato l’angolo sulla de-stra, mi indicò una signora che usci-va da una profumeria. RiconoscereSilvana Pampanini, un’attrice alloramolto nota che avevo visto sulle co-pertine delle riviste o sui manifestidei film, mi colpì molto, come seRoma fosse la città delle mille sor-prese e delle mille opportunità.

Cominciò allora il tuo amore per Ro-ma?

Cominciò allora. Mio padre avevalo studio di avvocato in via dellaColonna Antonina e io spesso a finepomeriggio lo raggiungevo. Ognivolta facevo un percorso diverso,senza preoccuparmi di allungare iltragitto. Nel 1958, da viale Marconidove ci eravamo trasferiti, prendevola linea celere L, scendevo a via Ve-neto e andavo alla scoperta di un al-tro quartiere di Roma. Volevo cono-scere tutto di quella città che mi ave-va rapito il cuore e di cui sentivo didovermi impadronire. Del tutto di-verso il discorso per la scuola. Mi civollero tempo, fatica e qualche delu-sione per adattarmi a un mondo alquale non ero abituato.

Raccontaci

Le mie difficoltà derivarono dadue problemi diversi. Ad Alberobel-lo avevo frequentato la I e la II me-dia in un istituto parificato che erastato aperto da poco per iniziativadel sindaco e su suggerimento dimia madre. Un ambiente familiare,accogliente, tranquillo, dove ci si co-nosceva tutti. La III media a Romala frequentai al Belli e per la primavolta sperimentai una severità e una

freddezza che mi disorientarono. Manon era solo colpa dell’ambiente di-verso e in qualche modo avverso odella difficoltà ad adattarmi. Venivoda una preparazione sommaria e inpiù avevo un accento forte di cui mivergognavo e che rendeva il mio ita-liano molto imperfetto. Non dovevosolo imparare cose nuove, dovevoimpadronirmi di un’altra cultura. Fual liceo Orazio che trovai chi mi feceuno dei più bei regali che ho ricevu-to nella vita. La professoressa MariaCisternino in qualche modo mi sal-vò. Avrebbe potuto respingermi manon lo fece e mi rimandò solo in la-tino e greco. «Lasciamolo crescere»disse, accordandomi una fiducia chepochi mi avrebbero concesso. Tuttal’estate del 1960, quella delle Olim-piadi a Roma, la trascorsi a studiare.Superai brillantemente gli esami diriparazione e quando iniziò l’annonuovo cambiò tutto. Il mio V ginna-sio lo ricordo come l’anno delle sco-p erte.

Eri cresciuto in un’estate, come avevasperato la tua insegnante?

Sì, a volte nella vita è così, per ca-pire basta un lampo di luce che tilascia vedere il mondo. C’è un’im-magine che riassume tutto il cambia-mento che avvenne quell’anno nellamia vita. Primo giorno di scuola, miavvio verso l’ultimo banco — da pic-colissimo che ero a un tratto avevoiniziato a crescere e in poco tempoero diventato alto — e nel posto ac-canto trovo un ragazzo che stava di-segnando su un blocco a spirale. EraMarco che sarebbe rimasto il miomigliore amico. Mentre cresceva l’in-tesa iniziò una collaborazione artisti-ca fra noi: lui disegnava e io illustra-vo con dei versi quelle immagini.Facemmo anche una mostra in unlocale sotterraneo delle case popolaridi Monte Sacro grazie a padre Enri-co, il nostro insegnante di religione,che aveva creato un centro culturale,uno spazio di incontro per i ragazzidel quartiere. L’estate di quell’anno,promosso a pieni voti, tornai per levacanze ad Alberobello. Per me è ri-masto l’anno delle pere, perché con imiei compagni d’infanzia ritrovatinon facemmo altro che mangiarequei frutti che dovevano essere parti-colarmente abbondanti.

E al liceo continuò questo rapporto feli-ce con la scuola?

Non solo continuò ma addiritturamigliorò, anche se fu preceduto daun colpo di scena che si sarebbe ri-velato un’altra delle fortune dellamia vita. Frequentavamo la I B e citrovammo con docenti di una ferociainusuale e di un livello altissimo alquale noi allievi non eravamo ade-guati. L’anno finì con 18 bocciati,tra i quali compatto il nostro gruppodi amici. L’anno dopo il preside eb-be l’intelligenza di salvaguardare noicompagni e ci inserì tutti nella I D,una classe di geni, ragazzi che nellavita avrebbero mantenuto tuttoquanto allora promettevano. La suapreoccupazione non fu rovinareun’ottima classe con quel gran nu-mero di bocciati, ma recuperare de-gli allievi offrendo loro un’altra oc-

casione fra compagni davvero trai-nanti. Cosa che regolarmente avven-ne. In più in quella classe entraronocinque ragazze: tra loro c’era Lea, ladonna che avrei sposato, il grandeamore della mia vita. Il nostro grup-po non solo rinsaldò i legami, ma siaprì ad accogliere altri compagni. Cisi ritrovava a casa di Marco, una ca-sa grande e sempre accogliente dovesi parlava, si discuteva, i grandi face-vano interminabili partite a canasta,si commentavano le rappresentazioniteatrali che andavamo a vedere gra-zie a un compagno di classe che ciprocurava i biglietti per la claqueall’Eliseo e al Quirino. Marco era lafantasia: oltre a suonare a orecchiopianoforte, armonica e, più tardi, lachitarra, inventava giochi, come ilcelebre Tic-Tac con 11 lattine di birraper squadra e una pallina di sughe-ro .

Nacque allora la passione della lettera-t u ra

Negli anni del liceo, grazie a duestraordinari docenti: Eugenio Falco-ne prima e poi Francesco Zambrano,un uomo piccolo, all’apparenza insi-gnificante, che indossava sempre unimpermeabile chiaro stazzonato macapace di fare delle lezioni meravi-gliose. A loro due, che mi avevanoiniziato alla lettura della Commedia,dedicai il mio primo libro dantesco.Dedicai un libro anche alla professo-ressa Maria Cisternino che mi avevaregalato tempo per crescere. L’inse-gnamento di Zambrano fu così de-terminante che in nove scegliemmoLettere. Salire per la prima volta lescale della facoltà alla Sapienza fuuna grande emozione; essere in tantie così amici un conforto di cui ricor-do ancora oggi la dolcezza.

Roma e la letteratura, quando questedue passioni hanno cominciato a coinci-d e re ?

Negli anni dell’università mi at-traeva la civiltà quattro-cinquecente-sca, dalle invenzioni dell’Umanesi-mo e del Rinascimento fino allaestenuata esasperazione del Manieri-smo. Dopo la laurea del 1970 e ilmatrimonio del 1972, sono nati Ales-sandro (attento nel saper ascoltaregli altri) e Francesco (per il quale laletteratura è una cosa molto seria)che ci hanno regalato tre nipoti spe-ciali. Poi la vita accademica mi por-tò in luoghi diversi — dopo Roma,Mogadiscio, Potenza, Chieti e anco-ra Roma — e a percorrere altri secolie altri autori. Ricordo l’esperienza didocente in Somalia da dove ricavaidue insegnamenti: che la letteraturafiltra la vita per cui ad esempio siste-mare la biblioteca era importantequanto tenere i corsi e che, comesuonava un detto popolare, «quando

c’è sole cammina in fretta, ma quan-do vedi un’ombra fermati». Più cheun accorgimento pratico, un inse-gnamento di vita! Nel 2000 mi ven-ne affidata la voce Roma per il Di-zionario dei temi letterari della Utet.Fu l’occasione che mi fece scoprirequella che da allora sarebbe stata lastrada maestra nei miei studi, Romae la letteratura, come a dire duegrandi passioni raccontate insieme.Con Dante naturalmente, poeta su-blime per me accanto a Leopardi.

Un tuo volume di prossima uscita siintitola «Roma nei classici italiani.Da Dante a Palazzeschi», una sortadi compendio di tanti anni di lavorodedicato a questo tema.

L’idea fin dall’inizio è sempre sta-ta questa: le parole, si dice, sonopietre, a Roma vale il contrario, lepietre diventano parole. La letteratu-ra trasforma la città perché ogniscrittore finisce nelle sue pagine conil creare una città diversa. La spiega-zione si trova già in un antichissimoelogio di Roma. Siamo nel II secolo.e, cogliendo l’essenza della città, ilretore greco Elio Aristide la definisceun laboratorio comune perché den-tro le sue mura confluiscono «quan-to è prodotto e generato dalla terra»e quanto viene creato dall’ingegnoumano, quello che di meglio c’è almondo: Roma ha tutto e quindi ètutto. È questa esuberante ricchezzache permette una straordinaria liber-tà di sguardo e di sentimenti.

Bella questa idea di Roma come unacittà che ne contiene infinite altre.

È proprio questo il segreto delletante, personalissime letture. Ho ini-ziato a indagare il rapporto lettera-tura/Roma con il padre della nostraletteratura che collega la Roma au-gustea celebrata da Virgilio con lasacralità della Roma di Pietro, av-viando così la distinzione tra passatoe presente, indispensabile a una cor-retta prospettiva storica. Per gliumanisti Roma è «parte del cielo»per le caratteristiche uniche e prezio-se, quasi divine che ne fanno la cittàeterna per antonomasia e il luogodell’ideologia classicista. Alla finedel Settecento, in pieno clima neo-classico, Roma diventa una tappafondamentale per i giovani europeicolti che affrontano il Grand Tour. Èla premessa per l’entusiasmo degliscrittori romantici. I due secoli suc-cessivi vedono la città protagonistadi tante opere letterarie. Prevale il ri-ferimento al contesto urbano nellarappresentazione di una Roma menomonumentale e più quotidiana, an-che se il mito dell’antico, la sacralità,la leggendaria bellezza dei panoramie del clima, la preziosità delle testi-monianze del passato continuano ariempire le pagine dei cantori inna-morati della città. Naturalmente esi-stono anche prese di distanza, sguar-di accusatori e voci di denuncia.

Un altro modo di raccontare Roma

Tra gli scrittori che non subisconoil fascino della città possiamo ricor-dare Alfieri che attraversa Roma sen-za vedere nulla di quello che dai piùviene celebrato come magnifico eLeopardi che vede tutto e disprezzatutto, a partire dalla grandezza dellacittà «tanti spazi gittati fra gli uomi-ni in vece d’essere spazi che conten-gano uomini».

E la tua Roma del cuore?

Tutta, ma la Roma che amo dipiù non è quella della magnificenzache rapisce gli occhi, ma la città de-gli angoli segreti che senza presun-zione si accontentano di una bellez-za semplice, appena suggerita, scorciche si nascondono più che appariree non si vantano delle emozioni chesuscitano. Un’unica eccezione: piaz-za del Popolo, con le sue meravi-gliose chiese gemelle, che ti abbrac-cia sotto un cielo che cattura tutti icolori. Per me è la bellezza, ma nonsolo. È Roma al tramonto che trat-tiene l’oro del sole quando, manonella mano di mio padre, tornavamoa casa: in piazza sostavano le carroz-zelle e s’incontrava solo qualche raropassante.

• Tutti e ciascunodi SI LV I A GUSMANO

• Tris d’assidi EMILIO RA N Z AT O

• Ufficio oggetti smarritidi CRISTIANO GOVERNA

• Il mondo secondo Canthdi SI LV I A CAMISASCA

Page 6: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

pagina 6 sabato 18 aprile 2020 L’OSSERVATORE ROMANO sabato 18 aprile 2020 pagina 7da

legg

ere

da v

eder

e

Tris d’assiIl cinema di genere italiano del 1970

Vite dromedariee i limiti del night

Qquattro pagine

Facendo levaanche sulla crisi di Hollywood

il cinema italianoconobbe cinquant’anni fa

una delle sue stagionidi maggior rigoglio

puntando con successo sul westernsul poliziesco e sul thriller

Storie per includere e allargare lo sguardo

Tutti e ciascunoDue splendide proposte della casa editrice Uovonero

L’aria della libertàSi affaccia da uno dei vicoli più belli di Urbino Piero Calamandrei,dalla copertina del libro L’aria della libertà (Roma, Edizioni di Storia eLetteratura, 2020, pagine 144, euro 29). In esso gli autori — Nino Cri-scenti e Tomaso Montanari — fanno dialogare fotografie e voce narran-te, tratte rispettivamente dall’archivio di Calamandrei, costituente egiurista tra i più importanti dell’Italia del Novecento, e dal suo Diario.Il risultato è un viaggio nell’Italia, tra fascismo prima della guerra(«anni pesanti e grigi nei quasi si sentiva avvicinarsi la catastrofe») eResistenza; tra luoghi in cui trovare conforto e ispirazione per «ritrova-re una tradizione di civiltà». Ritratti dalla Rolleiflex di Calamandrei,quei luoghi sono campagne, pievi, abbazie, scorci, siti archeologici emonumenti storici che in tempi bui e dolorosi con la loro bellezza di-ventano strumenti di resistenza attraverso i quali «voler bene all’Ita-lia». I torricini di Urbino compaiono anche nell’ultima foto del libro,con Calamandrei che saluta ricordando che «la libertà è come l’aria. Cisi accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Con lenti e an-tagonisti diversi, ce ne stiamo accorgendo anche oggi.

Non essere una macchinaAnche la lettura di Non essere una macchina. Come restare umani nell’Era digi-tale (Roma, Luiss, 2020, pagine 256, euro 20) assume un sapore particolarein questo tempo di coronavirus. In esso Nicholas Agar — docente di eticaalla Victoria University di Wellington, considerato uno dei massimi espertial mondo del tentativo anche artificiale di andare oltre i limiti umani (hu-man enhancement) — si fa molte domande sui tantissimi mestieri che nell’eradell’economia digitale potranno essere svolti non più dagli esseri umani, madalle macchine. In modo più efficiente ed economico. Secondo Agar però ilprezzo più alto che l’umanità rischia di pagare non è la perdita dei posti dilavoro, quanto la perdita di umanità. Si tratta infatti di macchine program-mate non solo per svolgere funzioni automatiche, ma anche per ragionare,prender decisioni e risolvere problemi. Per evitare questo Agar vede una solapossibilità: costruire una società che sia capace di integrare l’economia digi-tale con quella sociale, promuovendo un progresso tecnologico che metta alcentro l’umanità e le sue interazioni. La crisi mondiale causata dal covid-19renderà questo progetto ancora più difficile?

di CRISTIANO GOVERNA

«E sembra un sabato qualunque, un sabatoitaliano, il peggio sembra essere passato». Eroun ragazzino e Sergio Caputo mi aspettavaproprio di sabato pomeriggio, a casa di unamico del liceo. Sul piatto del giradischi girava

Un sabato italiano ed io ebbi la netta sensazione di essere osservato.Di essermi imbattuto in un amico, quasi un sodale segreto, che miavrebbe fatto sentire meno solo da lì in avanti. Di quanti altriautori possiamo dire lo stesso? Chiariamo subito, l’autore romanonon è un oggetto smarrito, semplicemente è un piccolo gioiello cheviene da un passato, quello della mia generazione, alla quale hasaputo parlare senza promettere e senza disperarla. Ma torniamo aquel sabato del quale Sergio sembrava conoscere i segreti, quelgiorno della settimana che quasi tutti attendono a patto di avereuna vita, una famiglia, un amore, qualcuno da vedere. E se, magarimomentaneamente, tu ne fossi sprovvisto? Se anche tu sentissi sullapelle tutta l’insidia del sabato, il giorno nel quale la felicità attornoa te esplode e tu resti lì come un sordo a un concerto, a sperare chetutto finisca presto? Finché alla fine, poco prima di sera, t’imbattiin quel punto del sabato nel quale, misteriosamente, la tua ansia siscioglie e l’istinto a vivere e ad uscire ti spinge nuovamente fuori.«Il peggio sembra essere passato». Caputo sapeva. Come siconoscono le cose che tu provi? Avendole vissute. Questo era unodei nodi più resistenti del lenzuolo che legava Caputo ai suoi fan,avere sempre l’impressione che quel che ci spaventava avessespaventato anche lui, che gli sgangherati rimedi a quella paura liavesse posti in essere anche lui e che alla fine, tutto sommato, altronon c’era da fare che riderci sopra. Viene in mente Jerry Lewisquando diceva «La felicità non esiste, non ci resta che essere felicisenza di lei», questo è quanto (a modesto avviso di chi scrive) tisussurravano le canzoni di Sergio. La vita vale di più di quella chetu chiami “felicità”. Viene da chiamarlo per nome, anche se non gliho mai rivolto la parola in vita mia (il mondo è pieno di gente checonosce i propri idoli, questa è una delle catastrofi di internet altempo dei social) per tutte le volte che con un verso di una suacanzone, ha scattato una polaroid della nostra vita. Un pizzico diverità, un pizzico di surreale, ecco la sua ricetta formidabile nelrestituire il vivere attraverso i suoi personaggi. Ricorre spesso ilviveur de noantri che tutti prima o poi siamo stati, sempre il bilicofra sinuose atmosfere chandleriane/simenoniane e la tragicasomiglianza con un Fantozzi della notte, sono i limiti del Nightbellezza... «È così che mi ritrovo a divagare su chimere easpirazioni da viveur nell’intrigo della notte in quest’oasi di lamé aprescindere dai fatti penso a te. Parla più forte ti telefono da unnight ho i nervi un po’ in disordine e il fegato nei guai. Tiro astupirti ma non mi riesce più a barare son più abile anche quandovinci tu. Nel brivido del night nell’ottica del night ognuno ha unsegreto nel cuore da non rivelare mai. Nei limiti del night nell’eticadel night si diventa didascalici ma tu non lo sai» (tratto da Night)La trasgressione che rende didascalici è il più atroce e al contemporidicolo dei contrappassi e ce lo spiega Sergio Caputo. E così, daaspiranti viveur ci ritroviamo fantini di dromedari a preoccuparci diesistere, con una vita ormai scandita da cose che ci sfuggono dimano e gli ultimi, quasi eroici, tentativi di mentire a noi stessi«… e la vita dromedaria se ne va nel deserto della quotidianità.Noi la seguiamo incompetenti eludendo i cambiamenti sopraggiunticon l’andare dell’età. Ahimè, tempi duri per noi, Gagà» (tratto daVita Dromedaria). La vera difficoltà dei tempi è sfuggire allospecchio nascosto nei nostri bagagli, abbiamo il coraggio discoprire chi siamo davvero? «Effetti personali, non metterci lemano, potresti forse avere delle brutte sorprese» (tratto da Effettip e rs o n a l i ). Nel frattempo ci si prova, con l’amore intendo dire, ma irisultati sono sempre gli stessi, il nostro arrivo da improbabili (coimostri nell’armadio e un killer nella radio) dandoci un tonoimpegnato e aggrapparci al nonsense per farla ridere quando nonne siamo più capaci: «Reduce da un party missilistico, preda dellearpie psicosomatiche Sfuggito per miracolo a un blitz dei tabaccai,Alfredo un martini dry… Dietro la finestra di un hotel, io con imostri nell’armadio e un killer nella radio che mi tramortiva con ladance… Io e te braccati dall’effimero, noi due traditi dalcronometro Mi scusi che ora sarà a New York? Chiami la SIP whynot?» (tratto da Amore all’e s t e ro ) . E allora se il destino ti strappa lecarte di mano e ride all’idea del tuo bluff, non resta che trasformarela solitudine in speranza grazie a una forma di distrazione semprepiù professionale: «T’ho incontrata domani, o perlomeno mi èsembrato fossi tu, c’era troppa fuliggine ora non ricordo più».L’idea di aver giù vissuto ciò che il futuro promette e — per nonrestarci male — fingere di non ricordare più quel che ci attende èl’ultimo coniglio dal cilindro. Sergio Caputo ci rivela un segreto:funziona. L’arte di sperare in fondo, nasce da un calcolo che,finalmente, non torna.«L’uccello dalle piume di cristallo» (1970)

In basso, «Lo chiamavano Trinità» (1970)A destra, «La polizia ringrazia» (1972)

Tavola tratta da «Che bambino fortunato!»di Lawrence Schimel e Juan Camilo Mayorga

Ufficio oggetti smarriti

Il passato

i m p re v e d i b i l e

Giorgio de Chiricoe la pittura metafisicaIl coronavirus non si ferma, e l’arte nem-meno. I musei sono chiusi ma grazie allatecnologia, usata a fin di bene, è possibi-le non dover cancellare le voci diun’agenda culturale sempre fitta. Una diqueste voci è rappresentata dalla mostradedicata a Giorgio de Chirico dal titoloMetaphysical Painting allestita al Muséede l’Orangerie, a Parigi, dal primo aprileal 13 luglio. Tramite congegni digitali at-tivi sui social network il “v i s i t a t o re ” puòripercorre un significativo tratto dell’itine-rario del pittore e scrittore nato a Volo,città della Tessaglia, in Grecia. L’esp osi-zione — che presenta quindici opere — si

focalizza sul periodo compreso tra il 1911,anno in cui de Chirico arriva a Parigi, e il1918, quando ebbe fine la prima guerramondiale. È in questo arco di tempo chel’artista si configurò come uno dei mag-giori esponenti del movimento della pit-tura metafisica. L’esposizione rivolge l’at-tenzione anche agli anni precedenti al1911, quando de Chirico era studenteall’Accademia di belle Arti di Monaco. AParigi l’artista entrò in contatto con i cir-coli letterari e artistici dell’epoca. Fu ilpoeta e critico d’arte Guillaume Apolli-naire a scoprirlo e fu lui a farlo scopriread altri intellettuali di spicco, tra cui An-dré Breton e Paul Eluard, i quali subitoapprezzarono la carica innovativa dellapittura di de Chirico. Tra le opere visita-

bili figurano La nostalgia dell’infinito,Piazza con Arianna, L’incertezza del poeta,La stazione di Montparnasse, Il servitore fe-dele, Il grande metafisico. La dimensionemetafisica che ispirò la sua arte si confi-gura come un’interpretazione romanticadella classicità che attinge alla sublimetecnica dei maestri rinascimentali. Fu aFirenze, nel 1910, che de Chirico fondò ilmovimento della pittura metafisica. Masolo sette anni più tardi tale movimentoacquistò la matura consapevolezza di sé edel tratto inedito di cui si faceva incarna-zione e modello. Ricoverato, nel 1917,all’ospedale militare di Ferrara, de Chiri-co conobbe il pittore futurista Carlo Car-rà, con cui iniziò un percorso che lo por-tò a perfezionare i canoni della pittura

metafisica. Lungo questo percorso s’im-pone la figura del manichino, espressionedella cifra stilistica del pittore nonchésimbolo del rapporto, travagliato e spiaz-zante, tra l’uomo automa e senza volto el’universo che lo circonda. Un rapportoche finisce per tradursi nella incomunica-bilità e nell’afasia. Abbracciando la di-mensione metafisica, de Chirico intese di-pingere «ciò che non si vede», mutuandol’intuizione di Charles Baudelaire, secon-do cui «tutti i veri disegnatori dipingonodall’immagine scritta nel loro cervello enon dalla natura». Strategia, questa, di-retta a superare i confini della realtà ap-parente delle cose per approdare a imma-gini sospese nel tempo e ammantate dimistero. (gabriele nicolò)

«Certamen 1246», romanzo ambientato nella Lombardia del XIII secolo

La misteriosa malattia dell’abate Ariberto

di EMILIO RA N Z AT O

Mezzo secolo fa, il cinemadi genere italiano vivevauna delle sue stagioni dimaggior rigoglio, facen-do inevitabilmente leva

anche sulla crisi profonda di Hollywood.Al pubblico si offrivano senza troppe re-more emozioni forti, attraverso generi —il western, il poliziesco, il thriller — chein qualche modo intercettavano e subli-mavano il malessere e i traumi della na-zione in un’epoca di violenza e sconvol-gimenti sociali.

Quando Dario Argento arriva a realiz-zare la sua opera prima, nel 1970, il giallocinematografico italiano esiste ormai dauna decina d’anni. Già nel 1960 c’eranostati Il rossetto (Damiano Damiani) e Quelmaledetto imbroglio (Pietro Germi). Piùtardi, ci saranno altri discreti tentativi daparte di esperti del cinema di genere, fracui Antonio Margheriti, Riccardo Freda,Umberto Lenzi. Ma a ispirare Argentosono soprattutto i due seminali gialli diMario Bava: La ragazza che sapeva troppo(1963) e Sei donne per l’assassino (1964).Entrambi splendidi visivamente — il pri-mo in un bianco e nero cupo e contrasta-to, il secondo in colori saturi — sono filmche sicuramente si lasciano ammirare so-prattutto per le loro qualità formali, frut-to della pregressa esperienza del registacome direttore della fotografia nonchécome pittore.

Bava non credeva troppo al giallo, eproprio nell’anno dell’esordio del piùgiovane collega arriverà non a caso aspingere il genere fino ai confini di unageniale parodia, dai toni quasi metafisicie sul crinale del surrealismo, con Cinquebambole per la luna d’agosto.

Alcuni elementi narrativi ed estetici diquei primi due film, tuttavia, farannobreccia nell’immaginario argentiano. DaLa ragazza che sapeva troppo, il regista ro-mano prenderà l’idea di una mefistofelicafigura femminile al centro dell’intrigo —retaggio anche del genere gotico, di cuisempre Bava era stato maestro — ma so-prattutto l’idea di sfruttare il paesaggiocittadino nei suoi aspetti più arcani esuggestivi, tanto da farlo diventare un ve-ro e proprio protagonista del racconto.

Mentre la scelta di un investigatore nonprofessionista che si ritrova al centro diun intrigo per caso, viene sì dal film diBava, ma ancora prima dal cinema hitch-cockiano di cui quest’ultimo porta chiarisegni nel titolo.

Da Sei donne per l’assassino, invece, Ar-gento mutuerà parte della trama, ma so-prattutto quello che diventerà uno deimarchi di fabbrica dei suoi gialli, ovverol’iconografia dell’assassino con impermea-bile e mani guantate di nero, dettaglio davalorizzare con febbrili soggettive. Più ingenerale, è questa tendenza alla modalità

del thriller, dunque alla suspense legataad azioni criminose particolarmente effe-rate, che interessa ad Argento. Caratteri-stica che affrancherà sempre di più il ge-nere cinematografico italiano dalle sue ra-dici letterarie anglosassoni, con una rap-presentazione della violenza che spessosarà tanto esplicita quanto stilizzata.

Con L’uccello dalle piume di cristallo,Argento porta dunque a piena maturazio-ne tutti questi elementi, dimostrando dasubito una consapevolezza nei proprimezzi, soprattutto tecnici, davvero raraper un esordiente. Le scene madri sono

orchestrate con grande perizia, e conun’eleganza che ne rende sopportabile ilcontenuto violento fino a sublimarlo inpuro gesto estetico. Lo scenario è offertoda una Roma in buona parte inedita etrasfigurata. Una scelta che rende eviden-te come nel giallo-thriller italiano non visia una grande attenzione — per lo menodiretta, semmai inconscia — per la realtànazionale del tempo.

L’atmosfera nervosa dell’epoca trapelanitidamente, ma tutto è sottoposto al fil-tro del gioco metacinematografico, fina-lizzato a servirsi di un genere ormai vec-chio e sostanzialmente saturo di situazio-ni narrative per farne un laboratorio dicinema puro — di nuovo in ossequio del-le teorizzazioni di Sir Alfred — in cui leimmagini in sé contano più del raccontoe i singoli momenti più dell’insieme.

Argento diventerà in poco tempo ilmaestro riconosciuto del genere, e i suoititoli andranno a eclissare omologhi di li-vello non inferiore firmati da altri autori,i quali non dimostreranno però la stessafedeltà a questo tipo di film. La cortanotte delle bambole di vetro (Aldo Lado,1971), Una farfalla con le ali insanguinate(Duccio Tessari, 1971), Giornata nera perl’ariete (Luigi Bazzoni, 1971), sono solo al-cuni di quei prodotti che, pur nascendocome epigoni della matrice argentiana,non sfigurano nel confronto con il mo-dello.

Altro genere che avrà grande successonel decennio che si va ad aprire, sarà ilcosiddetto “p oliziottesco”, ovvero il poli-ziesco all’italiana, che spesso tenderà alnoir, a seconda che l’accento della tramavenga posto sulle forze dell’ordine o suicriminali. Come già accaduto oltreocea-no, il poliziesco sarà depositario del lasci-to di alcune fra le dinamiche narrativepiù semplici del morente western, a parti-re ovviamente dalla contrapposizione frachi difende la legge e chi la trasgredisce.Ma il poliziottesco arriverà a maturazioneanche sulla scia del cinema d’impegno ci-vile di Francesco Rosi e di Damiano Da-miani, di cui costituirà una semplificazio-ne. Il capostipite ufficialmente ricono-sciuto del genere, sarà La polizia ringrazia(Steno, 1972), ma nel 1970 ci sono già unpaio di riconoscibili prodromi. Indaginesu un cittadino al di sopra di ogni sospetto

(Elio Petri) accorcia la distanza fra cine-ma d’impegno e prodotto commerciale,con una trama paradossale che vale tantoquanto metafora sul potere e sulle tenta-zioni di autoritarismo dell’epoca, quantocome semplice fonte d’intrattenimento.Inoltre la regia di Petri è già quella velo-ce e senza fronzoli del genere che sta na-scendo. Ancora più vicino all’atmosfera eallo stile del poliziottesco, è La morte ri-sale a ieri sera (Duccio Tessari), tratto daun racconto di Scerbanenco, autore chenon a caso verrà preso in considerazionepiù volte dal nuovo genere.

A fare del film di Tessari un capostipi-te non riconosciuto, è soprattutto la de-scrizione credibile del milieu criminalemilanese, gli accenni superficiali ma effi-caci alle dinamiche sociali che lo sotten-dono, una detection delineata con preci-sione, e ovviamente l’uso, anche qui, del-lo scenario cittadino, che diventa para-dossalmente spettacolare proprio nei suoiaspetti più desolati e squallidi. Con unprotagonista che deciderà di vendicarsi inprima persona dell’uccisione della figlia,inoltre, il film anticipa Un borghese piccolopiccolo (Mario Monicelli, 1977) e più ingenerale l’inquietante tema della giustiziaprivata che imperverserà qualche annopiù tardi sugli schermi italiani e america-ni.

Alla fine del 1970 arriverà invece unodei più grandi successi di pubblico dellastoria del cinema italiano, Lo chiamavanoTr i n i t à (E.B. Clucher), pellicola che inau-gura il filone leggero del western all’ita-liana. A partire da Per un pugno di dollari(Sergio Leone, 1964), il genere avevasfornato centinaia di titoli, e in quel 1970il suo versante drammatico era ancora vi-vo, come dimostrano prodotti ancora pre-gevoli: Vamos a matar compañeros ( S e rg i oCorbucci), E Dio disse a Caino (AntonioMargheriti), Ma t a l o ! (Cesare Canevari).Persino la coppia Bud Spencer e TerenceHill fino a pochi mesi prima prendevaancora sul serio il genere con La collinadegli stivali, capitolo finale di una trilogiafirmata da Giuseppe Colizzi che aveva

già fatto notare la non comune alchimiafra i due attori.

Se in altri contesti, dunque, la rappre-sentazione della violenza prende il largo,nel western comincia invece ad attenuar-si. Ma ciò non dipende da considerazionidi ordine morale.

A differenza del western americano,quello italiano non ha mai avuto unagrande varietà di contenuti, vertendo fon-damentalmente sui temi piuttosto ele-mentari della vendetta e della contrappo-sizione fra cacciatori di taglie e fuorileg-ge. Nel giro di pochi anni, complice laquantità davvero impressionante di filmprodotti, era quindi fisiologico che si ar-rivasse a una precoce saturazione di si-tuazioni narrative. E il registro ironico eludico di Lo chiamavano Trinità nasce so-stanzialmente come una scappatoia daquesta situazione.

Il regista E.B. Clucher, alias Enzo Bar-boni, figlio del grande direttore della fo-tografia Leonida, scrive di suo pugnouna storia semplice che contamina il cini-smo e la violenza tipici del sottogenereitaliano non solo con l’ironia, ma anchecon accenni di romanticismo che riconci-liano con le radici americane.

Dal sapore un po’ hollywoodiano è an-che la regia, con uno spiccato gusto perla composizione dell’inquadratura e ilparziale recupero di una retorica tecnico-espressiva classica. Il risultato è uno spet-tacolo da oratorio che aspira ad allargareil pubblico dello spaghetti-western a tuttala famiglia. Ciò non toglie che la sceneg-giatura presenti anche delle raffinatezze.L’incipit con Hill su una lettiga trascinatoda un cavallo, cita apertamente I fanciullidel West (“Way out West“,” James W.Horne, 1937), uno dei più famosi successidi Laurel e Hardy, a profetica confermadi quanto Barboni credesse nelle doti co-miche del nuovo duo. E l’idea di uno sce-riffo a cui il personaggio di Spencer si so-stituisce, e che prima o poi, forse, dovràtornare, conferisce alla cornice narrativaun qualcosa di beckettiano che esplicital’atmosfera da teatro dell’assurdo da sem-pre serpeggiante nel western all’italiana.

Particolare da una tavola tratta da «Che cos’è una sindrome» di Giovanni Colaneri

di SI LV I A GUIDI

«Q ualcosa marciva dentro di lui. Unmorbo stava avvelenando il suo spi-rito. Ne era certo. Avrebbe dovuto

rifiutare di ricevere il notaio. Non aveva più latempra di un tempo, che gli permetteva direagire in ogni frangente, trovando sempre ilmodo di risollevarsi. L’ottimismo se ne eraandato. Ora, se fosse caduto, niente e nessunol’avrebbe più rimesso in piedi».

Un lago di Como cupo, fangoso, invernale,fa da sfondo all’inquietudine dell’abate Ari-berto da Cassago. Siamo nell’anno del Signo-re 1268, ma in questo caso il contesto storiconon è poi così importante; le dinamiche inter-ne al cuore dell’uomo, le battaglie interioriche si combattono nel segreto dell’anima sonosempre le stesse, nel tredicesimo come nelventunesimo secolo.

E Ariberto, ormai, sente tutto il peso diquesta battaglia: gli equilibrismi necessari allagestione del potere, la forza corrosiva di se-

greti taciuti troppo a lungo, la stanchezza diuna dissimulazione sempre più faticosa con ilpassare degli anni. «Ero sul punto di narrarglil’epilogo di quel terribile 1246 — confessa a unamico — ma ho avuto paura. Temo i fantasmiappostati dietro la porta dove da tanto tempoli ho rinchiusi».

Certamen 1246 di Giovanni Casella Piazza(Lecce, Besa Editrice, 2019, pagine 572, euro28) è un thriller storico, come si legge in co-pertina, «una storia di sacrificio e lealtà allacorte di Federico II» ma anche una riflessionesugli effetti collaterali del potere, e si interro-ga sul mistero delle relazioni umane. Un tes-suto complesso di storie, ricco di trame e sot-totrame.

Il motore (mobile, mobilissimo, fino all’ulti-ma pagina del libro) della vicenda è un giova-ne studente di legge, Zirìolo della Mora; ilpatriarca di Aquileia, Gregorio da Montelon-go, lo ha affidato al notaio Giuliano Aielli —insieme a un plico sigillato — perché lo ac-compagni a Como, dall’abate dell’abbazia be-nedettina. Zirìolo, ospite del monastero, viene

a conoscenza di quello che lì è successo moltianni prima, durante la contesa tra il Papa eFe d e r i c o II di Svevia.

Improvvisamente scompare; poco prima dilui erano scomparsi anche altri due giovanimonaci, in circostanze non chiare. Ci sono an-tiche ruggini fra i mercanti del lago e l’abba-zia, potrebbe essere una vendetta trasversale,o un ricatto.

Il notaio inizia a indagare; grazie al ritrova-mento dei diari di viaggio di Zirìolo, la matas-sa intricata degli avvenimenti del presente (edel passato) inizia a dipanarsi. Fino al sor-prendente finale.

«Te lucis ante terminum — si legge nell’ulti-ma pagina — Rerum Creator poscimus / Ut so-lita clementia / Sis praesul ad custodiam... cantasereno Ariberto in mezzo ai suoi monaci, orache la giornata si conclude. Ora che intravedeil cielo oltre la nebbia».

La storia dell’abate di Cassago è approdataanche sul grande schermo, nel thriller Oltre lanebbia. Il mistero di Rainer Merz di GiuseppeVarlotta, girato nel 2018.

di SI LV I A GUSMANO

«D avide èmolto for-tunato»:anche senon lo ha

chiesto, gli hanno regalato uncane, un labrador affettuosissi-mo di nome Rocco. Inoltre Da-vide — che ha una memoria pro-digiosa, utilissima in tante occa-sioni ed è bravissimo a inventaree raccontare le storie — ha lafortuna di poter leggere a lettofinché vuole, anche dopo chepapà e mamma hanno spentodefinitivamente la luce nellastanza dei bambini.

Così racconta il fratello mino-re di Davide, io narrante del li-bro Che bambino fortunato! ( C re -ma, Uovonero 2019, traduzionedallo spagnolo di Lorenza LuzPozzi, pagine 40, euro 14.50) diLawrence Schimel, scrittore etraduttore statunitense, e JuanCamilo Mayorga, artista e illu-stratore colombiano. Certo, cisono anche dei doveri nell’e s s e resuo fratello: dopo averli usati,ad esempio, gli oggetti di casavanno rimessi tassativamente alloro posto, in modo che Davide

possa poi trovare quello che cer-ca. E quando viene in visital’amico Carlo non ci si può sbiz-zarrire con i soldatini, lasciando-li lì dove sono quando gli adultichiamano per la merenda. Pocomale: Davide è un fratello mera-

viglioso, e tutto passa in secon-do piano. Anzi, peccato perCarlo che è figlio unico.

È allegro e spensierato Chebambino fortunato!, un libro deli-zioso per le tavole e molto intel-ligente per il contenuto: Davide,infatti, viene presentato in posi-tivo per tutto quello che sa faree può fare. Un libro sul valoredella differenza, raccontata —senza sdolcinatezze, banalità omitizzazioni al contrario — dalfratello di un bambino cieco, evissuta come un arricchimento.La disabilità di Davide, infatti,lo porta a sviluppare alcune ca-ratteristiche, rendendolo agli oc-chi del fratello un formidabilecompagno di giochi.

La storia — che contiene duepagine in alfabeto braille e unapiccola appendice che raccontaai bambini cos’è e come si usaquesta particolare forma di scrit-tura — è solo una dei tanti titoliproposti da Uovonero, casa edi-trice lombarda che ha appenacompiuto dieci anni.

Nata grazie all’incontro trapsicologia dell’autismo, comuni-cazione e musica (le specializza-

zioni dei tre fondatori), Uovo-nero — il cui nome viene da unafiaba di Luigi Capuana che par-la della bellezza della diversità,e di come essa vada valorizzatae non normalizzata — prop onelibri accessibili e adatti a tutti ibambini senza distinzioni, inclu-si coloro che presentino unosvantaggio nella lettura. Non siè voluto, cioè, fare libri specialiper bambini speciali, ma libriche possano essere condivisi datutti: storie per includere, e nonstorie che finiscano per accen-tuare l’esclusione. Edizioni inol-tre — e qui Uovonero fa davverola differenza — che non rinun-ciano mai alla qualità in terminidi materiali, testi e illustrazioni.

Rivolgendosi a piccoli e ado-lescenti, Uovonero pubblicadunque testi con rinforzi comu-nicativi, che si tratti di bimbi inetà prescolare o con difficoltàcognitive; saggi sull’autismo; al-bi illustrati e libri di narrativache aiutano a capire e ad accet-tare chi è diverso; narrativa adalta leggibilità che affronta il te-ma della dislessia in modo at-tento, leggero e divertente; unacollana di giochi per divertirsi eimparare nel rispetto delle diver-sità e della collaborazione noncompetitiva, e via dicendo.

Tra gli ultimi libri usciti, ri-cordiamo anche lo splendidoChe cos’è una sindrome (2019, pa-gine 60, euro 18) con testi e illu-strazioni di Giovanni Colaneriche presenta — in modo curioso,colorato e avvincente — le tantis-sime declinazioni assunte dallaparola “s i n d ro m e ”, termine om-brello che include realtà infinita-mente varie. Giungendo allaconclusione che qualsiasi cosauna sindrome sia (una cosa se-ria, una crisi, un disordine, unsentiero, un punto di vista, unasalita, un colore, un pregiudi-zio...), qualsiasi effetto essa pro-vochi sul singolo individuo osulla realtà in cui costui vive, lasindrome — che è «qualcosa chenon si può nascondere» — è pri-ma di tutto qualcosa che ci ri-guarda. Tutti e ciascuno.

Page 7: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 8 sabato 18 aprile 2020da

seg

uire

Qquattro pagine

Il mondo secondo Minna CanthA 175 anni dalla nascita della romanziera finlandese più conosciuta e amata

Giuseppe Pontiggia e le sue trentasette lezioni per aspiranti narratori

Per scrivere bene imparate a nuotare

Villa LanteLa giornatadi studio MinnaCanth e l’emanci-pazione della don-na si è tenutanella rinascimen-tale Villa Lantesul Gianicolo,sededell’InstitutumRomanumFinlandiae,nonchédell’Ambasciatadi Finlandiapresso la SantaSede.

di SI LV I A CAMISASCA

«U no scrittore de-ve mostrare tut-to esattamentecome è nellarealtà, senza

nulla abbellire. La letteratura deve es-sere uno specchio che dimostra agliuomini come sono»: sono queste le pa-role che hanno fatto da sfondo a Ro-ma all’incontro teso a celebrare, a 175anni dalla sua nascita, la figura diMinna Canth, scrittrice e giornalistafinlandese vissuta nella seconda metàdell’Ottocento. Minna Canth e l’eman-cipazione della donna è stato il tema at-torno al quale si sono confrontate lestudiose Carla Santoro, responsabileper la letteratura del sito Cultfinlandia,e Taika Martikainen, professoressa dilingua e letteratura finlandese al LiceoSibelius di Helsinki.

All’attività letteraria la scrittrice af-fiancò, infatti, per tutta la vita (1844-1897) il costante impegno per l’ugua-glianza di genere e a favore dei dirittidei soggetti più deboli, in particolare,di quello allo studio per le ragazze diogni ceto sociale. Proprio l’attualità,con la recente elezione a premier diuna donna e la forte impronta femmi-nile nei ruoli di leadership, come datradizione scandinava, ha offerto lo

spunto per una prima riflessione, unasorta di bilancio sulla storia del femmi-nismo finlandese.

L’intervento, a tal proposito, di Car-la Santoro ha ricordato il discorsoinaugurale di Jenni Haukio, consortedel presidente della Repubblica finlan-dese, per l’anno giubilare di MinnaCanth, iniziato il 19 marzo 2019: «Gra-zie anche a lei, in ambito di uguaglian-za tra uomini e donne, la Finlandia sicolloca oggi al secondo posto nelmondo. Le nostre ragazze possonoavanzare a qualsiasi posizione sognata,anche ad un’altissima carica come lapresidenza della Repubblica o la dire-zione della radiotelevisione». TaikaMartikainen ha voluto sottolineare, in-vece, quanto, nonostante le umili origi-ni, fosse stata incoraggiata dal padre afrequentare le scuole e a perseverarenel raggiungimento dell'autonomia,anche dopo il matrimonio con il chi-mico Ferdinand Canth.

Tenacia e caparbietà furono proprioi tratti distintivi di Minna che, a di-spetto delle critiche e delle aggressioniche subì da parte dei connazionali perla sua lotta contro ogni forma di op-pressione e sopruso sociale, mai si per-se d’animo, continuando a battersi pergiusti princìpi. «Se vivesse questo no-stro tempo, la Canth certamente con-trasterebbe le minacce e le diffamazio-

ni, diventate pratica quotidiana dellasocietà odierna, come i proclami diodio, senza risparmiarsi nel progetto dicostruire un futuro più giusto, non so-praffatto dalla paura e da chi la fo-menta» dichiara la Santoro. E batta-gliera Minna lo fu anche nel reggere leprove che la vita le sottopose: nel 1879la sua esistenza virò drasticamente.

Rimasta sola con sette figli dopo laperdita del marito, rifiuta l’app oggio,anche economico, dei parenti: si rim-boccò le maniche, tornò nel paesed’origine e decise di riscattare la mer-ceria del padre, di cui assume la ge-stione. In pochi anni la sua visione delmondo prende una prospettiva del tut-to diversa. Alla conduzione dell’attivitàcommerciale e alla presenza accanto aifigli affianca la scrittura, che, fin dasubito, si caratterizza per lo stile forte-mente realistico, per la potenza concui illustra la magra esistenza dei po-veri e denuncia ingiustizie e sottomis-sioni.

Non a caso, la Martikainem ha volu-to sottolineare che la Canth rappresen-ta il primo autore in Finlandia ad es-sersi ispirato al naturalismo francese ealle correnti del realismo europeo, i cuimodelli confluirono nelle sue opere.Già nelle due commedie — scritte daMinna negli anni Settanta e portate inscena un decennio dopo — Furto con

scasso e Nella casa di Roinila è evidentequanto lo stile delle opere teatrali assu-ma i contorni della tragedia umana. Lastessa autrice confessò che, durante lascrittura del dramma La moglie dell’ope-ra i o , sentiva in sé coraggio, libertà espirito di sfida, propri dei protagonistidell’opera. A tal punto si appassionò aipersonaggi nati dalla sua penna che

dal 1880, fino alla morte, Minna Canthnon smise mai di scrivere.

Ma anche il pubblico si lasciò coin-volgere e trasportare dalla veridicitàdel suo stile. Pur fortemente critico neiconfronti delle istituzioni, il primopezzo teatrale drammatico ebbe un di-screto successo, mentre il successivo, Ifigli della sventura, risultò a tal puntoforte nel suo naturalismo, che fu ritira-to dalle scene dopo un’unica rappre-sentazione: tuttavia il pubblico parteci-pò emotivamente a quel dramma, inparte piangendo, in parte indignando-si, in parte addirittura svenendo. «Cer-to è che, da quel momento, ogni operadi Minna Canth era attesa con trepida-zione e curiosità — spiega la Santoro —destinata com’era a spaccare la platea,ma sempre ad animare il dibattito. Emai deluse il suo pubblico».

In Sylvi e Anna-Liisa la crudezzadelle storie di disperazione raccontateintendono denunciare, senza mezzi ter-mini, l’oppressione e le costrizioni cuierano sottomesse, e a cui la societàdell’epoca non offriva alternativa, ledonne delle fasce più povere della po-polazione. Nel 1886 con il romanzopsicologico di formazione Hanna, uni-ca opera della Canth pubblicata in ita-liano (Vocifuoriscena, 2016) l’autriceraccoglie le tematiche femministe a leicare, senza, tuttavia, vestirle di precon-cetti ideologici: qui il realismo si fa piùraffinato, senza nulla togliere alla lace-rante analisi di un paese che, pur nelmezzo di un pieno risveglio nazionale,si rivela arcaico in quanto al ruolo del-le donne nella società. Hanna, infatti,pur appartenendo ad una famiglia bor-ghese, vede la sua inesauribile vogliadi studiare e conoscere contrastata dairagazzi coetanei, già liberi ed emanci-pati, che la costringono a rinunciare al-la sua vocazione professionale. Non leè possibile realizzarsi in ciò che unisceuomini e donne: libertà, giudizio e in-telletto.

«Oltre a combattere per i diritti deipoveri e l’emancipazione femminileMinna Canth fu innanzitutto, unadonna, e persino vulnerabile — ha con-cluso Taika Martikainen — infatti, neglistudi più recenti è stata ridimensionatal’“e ro i n a ”, restituendo all’autrice lesembianze umane di una figura corag-giosa, intelligente, ma anche estrema-mente sensibile». Minna Canth: Sensi-bile, dolce e fervida è, non a caso, il tito-lo della nuova biografia critica. Appro-fondendo la conoscenza di questa let-terata non sfuggirà perché diverse cittàdella Finlandia ospitano la sua statua.L’unica immagine femminile scolpita,da sempre, nella storia della letteratu-ra. finlandese. L’unica scrittrice chia-mata dal popolo finlandese semplice-mente Minna.Lorenzo Mattotti, «Senza titolo» (2001)

di SERGIO VALZANIA

Nella sua critica al darwinismo,intitolata L’uomo e la scimmia,Nicolò Tommaseo individuadue caratteri come specificidell’uomo: la morale e la pa-

rola. Occuparsi della parola significa per lo

studioso del linguaggio sviluppare una ri-flessione umanistica, che trascende tecnica-lità, studi grammaticali o approfondimentifilologi.

Ancora più qualificante è la ricerca mira-ta sulla scrittura, dimensione se possibilepiù elevata del parlato. Giuseppe Pontiggiaera uno specialista riconosciuto di questo

campo, nel quale agiva in solitaria, comebattitore libero, lontano ed estraneoall’esperienza delle scuole di scrittura chehanno segnato una stagione della narrativanon solo italiana. A oltre quindici anni dal-la sua scomparsa, i testi di alcune lezioni dalui tenute in forme e circostanze diverse —corsi al Teatro Verdi di Milano e articoli suWimbledon — vengono raccolti e ripropostiin un volume dal titolo criptico Per scriverebene imparate a nuotare. Trentasette lezioni dis c r i t t u ra (Milano, Mondadori, 2020, pagine187, euro 19). La frase, individuata dai cura-tori del volume si riferisce a una delle affer-mazioni paradossali care a Pontiggia, cheamava definire le modalità di insegnamentoche praticava con il termine sorridente di“sapienziali”. Probabilmente in opposizioneall’impostazione tecnico-scientifica caratteri-stica di altri approcci.

In questa accezione lo scrivere diventauna pratica non diversa dal nuoto, che ri-chiede costanza e concentrazione per essereappresa, e cura dei dettagli. Tecniche tuttenecessarie al bravo nuotatore, che le dimen-tica nella pratica sportiva, tanto le ha in-troiettate. Lo stesso vale per lo scrittore,che deve conoscere e studiare le modalitàdello scrivere, farle proprie e trasferirle nel-lo spazio dell’automatismo per farne un usoefficace.

La buona scrittura — professionale, la de-finisce Pontiggia, dato che l’arte è qualcosache non si apprende, ma l’artigianato sì —si fonda allora sulla lettura attenta, dei clas-sici prima di tutto, ma qualunque testo vabene per una riflessione accorta, persinouna frase, poche parole possono essere suf-ficienti. Magistrale la riflessione sulla se-quenza «felice-molto felice-felicissimo» in-serita nel capitolo dedicato alla «falsa ener-gia degli avverbi» e utilizzata per dimostra-re come la descrizione grammaticale delleparole possa non corrispondere affatto alsenso della loro espressività reale.

«Felice — avverte Pontiggia — esprime lapienezza, la totalità. Chi è felice non rim-

piange né desidera nulla. Molto feliceintroduce una gradualità nella felicità». Fe-licissimo, in quanto superlativo assoluto,dovrebbe descrivere un grado sommo difelicità, mentre in realtà prosegue l’a u t o re«è il più debole dei tre. Felicissimo è bana-le. Si usava nelle presentazioni tra scono-sciuti».

Poche parole sono sufficienti a liquidareuna questione. Per esempio riguardo ai«cosiddetti sinonimi, che da un punto divista espressivo non esistono». Il suono diun vocabolo contiene una parte del suo si-gnificato, provare a sostituire una parola in-vece di un’altra è un esercizio di stile consi-gliato, insieme a quello parallelo di toglier-ne una, un aggettivo, per scoprirne la ne-cessità.

Come esempio di questa pratica Pontig-gia propone un passo di Ambrose Bierce.Un racconto di questo giallista americano siapre con un parricida in età giovanile, ilquale ricorda quell’uccisione dicendo che sitrattò di «un atto che, a quel tempo mi feceuna profonda impressione». L’aggettivoprofonda sostiene la frase, le dà tensione.Se ne viene privata, si banalizza. Nella poe-sia la necessità e insostituibilità di ogni pa-rola si esalta, rendendo impossibili parafrasio riassunti. «Non manca qualche dantistairresponsabile — si lamenta Pontiggia — cheancora traduce “Nel mezzo del cammin dinostra vita” con l’espressione “A trentacin-que anni”, mentre Dante non si sogna affat-to di dirci questo».

Scrivere non significa raccontare una sto-ria che è al di fuori del testo. Quello di cuiva in cerca lo scrittore è invece proprio iltesto, le parole che sceglie e individua comeopportune per esprimere ciò che sente, cheincontra solo scrivendo e che prima gli è inparte ignoto. «Il testo — dice Pontiggia —va oltre ai programmi, le previsioni, il sape-re stesso dell’autore. Altrimenti non varreb-be la pena di scrivere».

Rischio demolizione perla casa di Etty HillesumL’edificio in cui Etty Hillesum abitò finoal giugno 1943 — al secondo piano delnumero 6 della Gabriël Metsustraat — ri-schia di sparire per sempre. Il Comune diAmsterdam ne ha già approvato la demo-lizione, mentre la richiesta di costruzionedel nuovo edificio — un condominio dilusso di sei appartamenti — attende la ri-sposta dell’Ufficio tecnico municipale. Daoltre un anno, però, anche grazie alleproteste della giurista Annemieke Bierin-ga, che abita in zona, è iniziata una rac-colta firme per bloccare il progetto. Unappello che presto si è esteso alle tante

fondazioni intitolate alla scrittrice in tuttoil mondo. Giovane ebrea olandese, lonta-na da Dio, inquieta e insoddisfatta, Ettyintraprende un viaggio interiore alla ricer-ca di sé stessa, mentre intorno a lei infu-ria il dramma dell’occupazione nazista.Ad avviare questo percorso è l’i n c o n t rocon Julius Spier, psicologo e psicotera-peuta allievo di Jung, che la sollecita atrovare dentro sé stessa la sorgente inarre-stabile che la muove. Etty, affascinata daSpier, ne segue il metodo e scopre il mi-stero del proprio essere fino ad arrivare ariconoscerlo in Dio. Scoperto Dio Ettycomincerà a rivolgersi a Lui come a unTu a cui chiedere, un Tu per cui dovràimpegnarsi dentro la vita, un Tu da ama-re per imparare ad amare ogni uomo, an-

che il nemico. Dalla presa di coscienzadel suo essere passa a decidere di viveretutto in rapporto a Dio, di aprirsi almondo e agli altri, certa che in ogni cir-

costanza si possa ricavare qualcosa di po-sitivo. Nell settembre 1942 Etty entra vo-lontariamente nel campo di Westerbork,un campo di transito verso i lagerdell’est. Di quest’ultimo periodo sono lemolte lettere che scrive agli amici, arrivatefino a noi; documenti preziosi, che dimo-strano l’importanza che aveva per la Hil-lesum l’amicizia come sfida a vivere lasua condizione senza rinunciare in nessunmomento alla sua umanità. Il 7 settembre1943 viene portata ad Auschwitz. La suaultima testimonianza è una cartolina get-tata dal treno, in cui scrive «Abbiamo la-sciato il campo cantando». (silvia guidi)

Page 8: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOsabato 18 aprile 2020 pagina 9

Ramadan al tempo della pandemiaFra distanziamento e iniziative di solidarietà

Coordinamento fra arcidiocesi di Buenos Aires e istituzioni pubbliche per gestire l’emergenza coronavirus

Parrocchie sul campoBUENOS AIRES, 17. In Argentina, almomento solo quasi sfiorata dallapandemia di coronavirus (2669 con-tagiati, 122 morti) è Buenos Aires lacittà più colpita. L’arcidiocesi, incoordinamento con la Direzione de-gli enti e dei culti e il ministero del-la Salute, ha messo a disposizionediciassette parrocchie per facilitarela classica vaccinazione antinfluen-zale per le persone di età superioreai 60 anni che vivono nella capitalee non hanno alcun tipo di coperturamedica sociale. Inoltre si stannopredisponendo altri spazi, in case di

riposo e luoghi di culto, per acco-gliere gli anziani in situazioni divulnerabilità. Le parrocchie sonostate scelte dopo aver mappato iquartieri con un’alta concentrazionedi adulti anziani e vicino alle scuolepubbliche in cui si svolgono mag-giormente le vaccinazioni.

I volontari di ogni singola comu-nità devono occuparsi dell’ap erturae della chiusura della chiesa, dellapulizia dei bagni e del servizio diaccompagnamento. L’esperienza —riferisce l’Agenzia informativa catto-lica argentina — è molto positiva:

dalle 9 alle 15 le squadre di medici einfermieri lavorano in modo profes-sionale, supportati dai volontaridella parrocchia; si riescono a vacci-nare fra le 170 e le 200 persone algiorno.

Questo lavoro congiunto è il ri-sultato di una decisione presa dalcapo del governo e dall’a rc i v e s c o v odi Buenos Aires, cardinale MarioAurelio Poli, in una conversazionetelefonica avvenuta all’iniziodell’emergenza. Si è creata così unacollaborazione fra la Chiesa e laDirezione degli enti e dei culti non-

gares de Cáritas con i loro quattro-cento letti per i senza fissa dimora.Tutti, viene sottolineato, rispettanol’isolamento. Sacerdoti, volontarilaici e membri delle Caritas conti-nuano a gestire le mense per i po-veri (sempre seguendo il doverosodistanziamento sociale), mentre de-cine di cappellani ospedalieri si so-no fatti avanti per assistere spiri-tualmente tutti coloro che ne hannobisogno, anche con l’aiuto di alcuniseminaristi.

Altra arcidiocesi, vicina a BuenosAires, impegnata sul campo è quelladi La Plata che ha reso disponibilenella località di Lisandro Olmos unacasa, appartenente alla Caritas, perospitare persone senza fissa dimora.Allo stesso modo un altro spazioadatto ai minori e una proprietà aVilla Elvira, gestita dai padri salesia-ni, sono in corso di allestimento perospitare possibili pazienti con sinto-mi lievi. La struttura della Caritas,dopo gli opportuni lavori (effettuatidal Comune) che l’hanno resa frui-bile per l’assistenza, può accoglierecinquanta persone, seguite da variprofessionisti con i quali è stato svi-luppato un protocollo sanitario peril covid-19. L’edificio a Villa Elvira(La Plata), messo a disposizione daisalesiani, ha invece più di sessantaposti letto e un’importante infra-struttura in grado di ospitare pa-zienti con sintomi lievi.

La polarizzazione come peccatoUna malattia sociale latinoamericana

di MARCELO FIGUEROA

Nel suo ultimo discorso aimembri del Corpo diploma-tico accreditato presso la

Santa Sede, Papa Francesco, riferen-dosi soprattutto all’America Latina,ha posto l’accento su una malattiae/o peccato sociale attuale e cre-scente che possiamo chiamare “c re -pa”, “binarismo”, “riduzionismo” o,come lui stesso lo definisce, “p ola-rizzazione”. Cito testualmente ilSanto Padre: «Le polarizzazionisempre più forti non aiutano a risol-vere i veri e urgenti problemi deicittadini, soprattutto dei più poverie vulnerabili, né tantomeno può far-lo la violenza, che per nessun moti-vo può essere adottata come stru-mento per affrontare le questionipolitiche e sociali».

Le polarizzazioni non nascono inmodo naturale, e tanto meno inmodo ascendente, nella scala socia-le. La necessità di dividere il pen-siero, le persone, i settori sociali inmaniera dicotomica generalmenteproviene dalle alte sfere del potere epoi “scende”, come un’epidemia, fratutta la popolazione. È il peccatodella disintegrazione che cerca diaccantonare idee e popoli e che ètristemente funzionale a diverse for-me di violenza economica, sociale epolitica. Si tratta dell’antica formu-la del fondamentalismo dell’o dioche viene continuamente seminatonelle trincee dell’anima dei popoliper generare una guerra quasi im-percettibile ma difficile da sradica-re. L’odio sociale polarizzato è ge-neratore di vecchi e nuovi mali che,come dice Papa Francesco nel citatodiscorso, produce «tensioni e insoli-te forme di violenza che acuiscono iconflitti sociali e generano graviconseguenze socio-economiche eumanitarie».

Nei vangeli vediamo il SignoreGesù Cristo affrontare l’attacco del-le polarizzazioni fondamentalistequando cercano di coglierlo in falloriguardo al pagamento dei tributiall’impero romano (cfr. Ma t t e o , 22,15-22). Il Signore non esita a sma-scherare l’inganno con parole durema precise: «Gesù, conoscendo laloro malizia, disse: “Perché mi ten-tate, ipocriti?”». Questa citazionebiblica fa riflettere e richiama la no-stra attenzione sul ruolo di alcuneespressioni religiose fondamentali-ste che, attraverso il loro potereproselitista, cercano — molto spessoutilizzando simboli religiosi, peresaltarli o denigrarli — di seminaredivisione tra i popoli. Come i fari-sei fondamentalisti dei raccontievangelici, finiscono col servire ilpotere politico imperiale e i suoiapparati di oppressione, propagan-da e corruzione.

Ma il peccato della polarizzazio-ne trova nei popoli, e soprattutto

nei settori più umili e vulnerabilidel nostro continente amerindio, lapurificazione di una cultura dell’in-contro inarrestabile e la saggezza dicontinui sforzi di convivenza pacifi-ca, pluriculturale e multireligiosa.Questa malattia dell’odio, che mi-naccia di diventare una pandemiasociale autodistruttiva, trova neldna dei nostri popoli gli anticorpidella bontà, della verità e fonda-mentalmente dell’amore senza fin-zioni.

Nel prendere molto seriamente leparole di Papa Francesco quandodice che, «in generale, i conflittidella regione americana, pur aven-do radici diverse, sono accomunatidalle profonde disuguaglianze, dalleingiustizie e dalla corruzione ende-mica, nonché dalle varie forme dipovertà che offendono la dignità

delle persone», non dobbiamo di-menticarci del suo invito alla spe-ranza che mostra anche gli antidotie la santità. Gli elementi polariz-zanti del racconto evangelico, chehanno cercato di spingere lo stessoFiglio di Dio sul bordo della crepa,devono aver provato vergogna eammirazione di fronte alla sua ri-sposta. Al potere politico spetta ciòche gli compete: impegnarsi per ri-stabilire con urgenza una culturadel dialogo in vista del bene comu-ne. Al potere religioso corrispondedare a Dio ciò che gli appartiene:seminare amore e misericordia nelletrincee dell’anima delle persone edei popoli fino a trasformarli incammini agevoli dove la speranzapuò transitare e in terra fertile dovela giustizia può fiorire.

Appello dei vescovi brasiliani

Con più forzaaccanto a chi soffre

Posticipato al 2021il Consiglio plenario

in AustraliaSY D N E Y, 17. È stato rinviato al 2021,ovviamente a causa della pandemiadel coronavirurs, l’avvio del Consi-glio plenario della Chiesa in Au-stralia, in programma quest’anno.Si tratta del più importante incon-tro nazionale dopo quello convoca-to nel 1937, in cui tutta la comunitàcattolica australiana, nelle sue variecomponenti, è stata chiamata a con-frontarsi e riflettere sul futuro dellamissione evangelizzatrice dellaChiesa nel Paese.

La prima sessione doveva svol-gersi ad Adelaide dal 4 all’11 otto-bre prossimi, ma la Commissioneorganizzativa dei vescovi ha decisodi rinviarla al 2021, quando era giàprevista la seconda assemblea aSydney, dal 28 giugno al 3 luglio.Le tradizionali lanterne per il Ramadan in vendita in un mercato del Cairo

BRASÍLIA, 17. Sebbene avvolti da incertezze e paure è doveroso non per-dere la consapevolezza di continuare a prendersi cura l’uno dell’altro edella propria spiritualità. È quanto auspicato dalla pastorale sociale dellaConferenza episcopale brasiliana (Cnbb) in una lettera che esorta a nondimenticare coloro che sono maggiormente esposti agli effetti della pan-demia di coronavirus. La situazione di migliaia di persone che vivono inuna situazione di vulnerabilità sociale in questo drammatico periodo dicontagio mondiale, scrivono i vescovi, è più difficile rispetto ai tempinormali, senza garanzie di diritti per senzatetto, carcerati — soprattuttoper le donne detenute — migranti, rifugiati, disoccupati e per le comunitàperiferiche che hanno bisogno di cibo e di prodotti per l’igiene. Con unpensiero anche «ai lavoratori a rischio, agli irregolari, ai disoccupati maanche al personale sanitario che spesso opera accanto agli altri senza ildovuto equipaggiamento e con carichi di lavoro massacranti».

Occorrono pertanto, ora come non mai, «azioni strategiche congiuntee attente che attraversino ogni realtà a seconda delle necessità» perché«siamo nella stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma allo stesso tempoè importante e necessario capire che siamo chiamati a remare insieme,tutti bisognosi di incoraggiamento reciproco».

I lavori in videoconferenza del Consiglio permanente della Cei

Sp eranzaoltre l’e m e rg e n z a

ROMA, 17. Un k a i ró s che segna unafrattura, un’interruzione con il pas-sato, lasciando «un’eredità preziosa,a livello sociale ed ecclesiale, dallaquale ripartire con fiducia e speran-za, facendo tesoro di tutte quelleesperienze di solidarietà, attenzioneagli ultimi e alle persone in difficol-tà sgorgate dalla fantasia della cari-tà delle nostre comunità». Con lacertezza che la ripresa «non saràcontraddistinta da ritmi e abitudiniprecedenti alla crisi», i vescovi ita-

liani partecipanti ieri in videoconfe-renza (anch’essa una cosa nuova,inusuale) alla sessione primaveriledel Consiglio episcopale permanen-te hanno sottolineato come la pan-demia di coronavirus, assieme allasofferenza e al lutto, abbia portatocon sé anche opportunità e grazia.

Dalla lettura spirituale e biblicadell’emergenza in atto, sotto la gui-da del presidente della Cei, cardi-nale Gualtiero Bassetti, sono scatu-rite domande che esigono risposte.«Se è vero che nessuno sa come sa-rà il nuovo inizio — si legge nel co-municato finale — è altrettanto veroche si è in cammino». Tre lezioni:la prima «riguarda la sobrietà, l’es-senzialità, la semplificazione»; laseconda «chiama in causa l’e s s e reChiesa e la capacità progettuale»ossia «quello sguardo che permettedi andare oltre l’emergenza deltempo presente»; la terza «è lagrande lezione sul valore della vitache include la malattia e la fragili-tà». La proposta è che questi temivengano ripresi nelle Conferenzeepiscopali regionali per poi poterliapprofondire alla prossima sessionedel Consiglio permanente, in pro-gramma a settembre. Dal 16 al 19novembre si svolgerà invece l’as-semblea generale, rinviata per l’at-tuale crisi sanitaria (era prevista dal18 al 21 maggio).

La riunione si è aperta con unmessaggio di solidarietà: «Abbiamonel cuore i defunti, i malati, quantisi stanno spendendo per alleviare lesofferenze della gente (medici, ope-ratori sanitari, sacerdoti). Nellostesso tempo, guardiamo al dopo-emergenza, con uno sguardo disperanza e di prospettiva». Unpensiero di vicinanza è stato espres-so inoltre per il cardinale AngeloDe Donatis, vicario generale delladiocesi di Roma, ancora convale-scente a casa dopo il ricovero inospedale. «La Chiesa c’è, è presen-te», affermano i vescovi: in questigiorni l’esperienza di fede è stata«forza morale», una «molla» cheha dato energia e fatto scaturire la«creatività» necessaria per animarele diverse iniziative spirituali e pa-storali. La Chiesa «è sempre statapresente e continua ad esserlo», an-che, si evidenzia nella nota, nell’in-terlocuzione con le istituzioni go-vernative «per definire un percorsomeno condizionato all’accesso e allecelebrazioni liturgiche per i fedeliin vista della nuova fase che si apri-rà dopo il 3 maggio».

ché con il ministero delloSviluppo umano e habitatper definire l’uso di alcuniedifici dell’arcidiocesi incittà (case di riposo, par-rocchie con spazi) in mo-do da ospitare gli anzianisoli, a rischio contagio oaltri in quarantena. Sono ivescovi vicari (di zona, perla pastorale e per le villas)a svolgere il lavoro dicoordinamento per facili-tare la comunicazione conil governo della città e glialtri organismi istituzionaliriguardo questioni logisti-che come l’acquisto di for-niture, le autorizzazioniper la mobilità dei respon-sabili o l’ambito normativodell’attività. Parallelamentesono funzionanti gli Ho-

di GI O VA N N I ZAVAT TA

«F inché l’epidemia conti-nuerà, deve essere evita-to il contatto con gli al-

tri nel quadro della regola dell’iso-lamento sociale e, in questa direzio-ne, ci si deve assolutamente astene-re dall’organizzare i pasti iftar conparenti, vicini e amici». Anche laTurchia si adegua alle stringenti re-strizioni imposte dalla pandemia dicoronavirus e in vista del Ramadan— il mese di digiuno, quarto pila-stro dell’islam, in programma dallasera del 23 aprile alla sera del 23maggio — detta precise norme dicomportamento. La Direzione pergli affari religiosi (Diyanet) spiegache «è un dovere religioso» oltreche responsabilità civile «garantireche il nostro popolo segua le regolestabilite dai funzionari responsabilidella protezione della salute pubbli-ca ed eviti atteggiamenti e com-portamenti che potrebbero metterein pericolo la vita propria e deglialtri».

La Turchia, con 74.193 contagiatie 1643 morti, è una delle nazionipiù colpite. Le prescrizioni riguar-dano soprattutto la pausa serale perconsumare l’i f t a r, il pasto che inter-rompe il digiuno quotidiano, e ilt a ra w i h , la preghiera recitata fra iltramonto e l’alba. Sono, queste, oc-casioni per invitare amici e familiarinelle proprie case o per radunarsiin moschea, ma la regola del di-stanziamento sociale e la chiusuradei luoghi di culto impongono que-st’anno di adempiere ai doveri reli-

giosi restando nelle abitazioni. IlDiyanet invita inoltre a donare lazakat, l’elemosina rituale che tutti imusulmani verseranno nel mese diRamadan, «ai nostri fratelli biso-gnosi. Aiutarli servirà a mantenereviva la nostra coscienza e a condivi-dere il Ramadan, che è il mese delsostegno».

Legata alla zakat è un’iniziativapresa dal principe giordano ElHassan bin Talal. L’idea, in questigiorni critici per la storia dell’uma-nità a causa del coronavirus, è di ri-svegliare la coscienza umana e diconsolidare la solidarietà attraversola creazione di un coordinamentomondiale per l’elemosina rituale.Secondo i promotori, il progettopotrebbe portare a un’inedita colla-borazione internazionale con il ver-samento in anticipo della zakat, chequest’anno è stimato in 400 miliardi

di dollari solo nel mondo islamico.Una cifra enorme che, messa insie-me, aiuterebbe i poveri, soprattutto inuovi poveri, vittime della crisi fi-nanziaria provocata dal covid-19.Hanno già firmato numerose istitu-zioni, in Italia la Comunità religiosaislamica italiana (Coreis) con il pre-sidente Yahya Pallavicini e l’imam diFirenze, Izzedin Elzir.

Se a Gerusalemme, durante ilRamadan, resterà chiusa la mo-schea al-Aqsa, in Iran, prima nazio-ne musulmana a essere raggiuntadal virus (a oggi si contano 77.995casi e 4869 vittime), saranno vietatele funzioni religiose di massa. Loha detto il presidente della Repub-blica Hassan Rohani, confermandoquanto preannunciato dalla guidasuprema, l’ayatollah Ali Khamenei.Rohani ha spiegato che la popola-zione potrà osservare i riti attraver-

so i social media e la televisione distato. A migliaia di chilometri didistanza l’Indonesia (il paese amaggioranza musulmana più popo-loso al mondo) ha dal canto suoimposto nuove regole per i traspor-ti pubblici in vista della fine delRamadan che porterà circa 75 mi-lioni di persone a viaggiare dallegrandi città verso i piccoli villaggi:autobus, treni, aerei e navi potran-no avere solo la metà dei posti pre-notati; inoltre massimo due personein auto, una in moto.

Ancora nessuna decisione invecesull’Hajj, il grande pellegrinaggiodei musulmani, quinto pilastrodell’islam, in programma quest’an-no dal 28 luglio al 2 agosto. InArabia Saudita (6380 contagiati e83 morti, secondo gli ultimi dati)prosegue il coprifuoco totale nellecittà sante della Mecca e di Medi-na, misura che potrebbe protrarsi alungo se la curva dei contagi nondovesse scendere significativamentenelle prossime settimane. I due luo-ghi santi sono le città dove si regi-strano i principali focolai, assiemealla capitale Riyad e a Gedda. Giàa marzo l’Arabia Saudita avevabloccato il cosiddetto “piccolo pel-legrinaggio” dell’Umra, che si svol-ge alla Mecca e a Medina durantel’anno, non essendo vincolato almese di Dhu l-Hijja, il dodicesimo,quello appunto dell’Hajj. Primadello scoppio della pandemia il mi-nistero dedicato all’evento contavasull’arrivo nel 2020 di circa2.700.000 fedeli.

Page 9: Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile e la ......Il Papa propone «un piano per risorgere» dopo il covid-19 Il coraggio di una nuova immaginazione del possibile Papa

L’OSSERVATORE ROMANOpagina 10 sabato 18 aprile 2020

Nella messa a Santa Marta il Papa mette in guardia dal rischio di una comunità cristiana “virtuale”

Una preghieraper le mamme in attesa

La Chiesa deve uscire dal tunnel riscoprendo la familiarità concreta con il S i g n o re

Per le donne che stanno per diventa-re mamme proprio in questo tempodi pandemia e per non cadere nellatentazione di vivere in una Chiesa“virtuale”: nel raccogliere le sue quo-tidiane intenzioni di preghiera PapaFrancesco non ha usato giri di paro-le, schierandosi accanto a quanti —donne in attesa di un figlio e cristia-ni in difficoltà per la mancanza deisacramenti e costretti a una comuni-tà “viralizzata” e non concreta —stanno vivendo un momento di pau-ra e di disorientamento.

E così, all’inizio della messa cele-brata venerdì mattina, 17 aprile, aCasa Santa Marta e trasmessa in di-retta streaming, il pensiero del ve-scovo di Roma ha subito “abbraccia-to” le famiglie: «Vorrei che oggi pre-gassimo per le donne che sono in at-tesa, le donne incinte che divente-ranno mamme e sono inquiete, sipreoccupano» ha detto Francesco abraccio, facendosi interprete dei loropensieri: «Una domanda: “In qualemondo vivrà mio figlio?”. Preghia-mo per loro — ha invitato il Papa —perché il Signore dia loro il coraggiodi portare avanti questi figli con lafiducia che sarà certamente un mon-do diverso, ma sempre sarà un mon-do che il Signore amerà tanto».

«I discepoli erano pescatori: Gesùli aveva chiamati proprio nel lavoro»ha poi spiegato il Pontefice all’iniziodell’omelia, facendo riferimento alpasso del Vangelo di Giovanni (21,1-14) proposto dalla liturgia, che rac-conta l’incontro di Gesù risorto coni discepoli tornati a riva dopo unapesca infruttuosa sul lago di Tiberia-de: «Andrea e Pietro stavano lavo-rando con le reti. Lasciarono le reti eseguirono Gesù (cfr. Matteo 4, 18-20). Giovanni e Giacomo, lo stesso:lasciarono il padre e i ragazzi che la-voravano con loro e seguirono Ge-sù» (cfr. Matte0 4, 21-22)

«La chiamata è stata proprio nelloro mestiere di pescatori» ha fattonotare Francesco. E «questo passodel Vangelo di oggi, questo miraco-lo, della pesca miracolosa ci fa pen-sare a un’altra pesca miracolosa,

quella che racconta Luca (cfr. 5, 1-11): anche lì è successo lo stesso.Hanno avuto una pesca, quando lo-ro pensavano di non averne».

Il Papa ha così ripercorso il rac-conto dell’evangelista: «Dopo lapredica Gesù ha detto: “Prendete ill a rg o ” — “Ma abbiamo lavorato tuttala notte e non abbiamo preso nulla!”— “Andate” — Fidandomi della tuaparola “getterò le reti” disse Pietro».E nelle reti, si legge nel Vangelo,c’era «una quantità enorme di pe-sci», tanto che «furono presi da stu-pore» (cfr. Luca 5, 9) per «quel mi-racolo».

«Oggi, in quest’altra pesca, non siparla di stupore» ha affermato ilPontefice ritornando al passo evan-gelico di Giovanni. «Si vede — haosservato — una certa naturalezza, sivede che c’è stato un progresso, uncammino andato nella conoscenzadel Signore, nell’intimità con il Si-gnore». E, ha insistito il Papa, «iodirò la parola giusta: nella familiari-tà con il Signore».

Quando «Giovanni vide questo,disse a Pietro: “Ma è il Signore!”, e

Pietro si strinse le vesti, si gettò inacqua per andare dal Signore» (cfr.Giovanni 21, 7). E se «la prima voltasi è inginocchiato davanti a Lui:“Allontanati da me, Signore, che so-no un peccatore”» (cfr. Luca 5,8),Pietro «questa volta non dice nulla,è più naturale».

In realtà, ha fatto presente il Pon-tefice, tra i discepoli «nessuno do-mandava “chi sei?”» a Gesù. Infatti«sapevano che era il Signore, era na-turale l’incontro con il Signore. Lafamiliarità degli apostoli con il Si-gnore era cresciuta».

«Anche noi cristiani — ha prose-guito Francesco — nel nostro cammi-no di vita siamo in questo stato dicamminare, di progredire nella fami-liarità con il Signore». E, ha aggiun-to, «il Signore, potrei dire, è un po’“alla mano”, ma “alla mano” p erchécammina con noi, conosciamo che èLui». Tra i discepoli infatti «nessu-no gli domandò, qui, “chi sei?”: sa-pevano che era il Signore».

Insomma, «una familiarità quoti-diana con il Signore, è quella delcristiano» ha spiegato il Pontefice.

Proprio come quella dei discepoliche «sicuramente hanno fatto la co-lazione insieme, con il pesce e il pa-ne, sicuramente hanno parlato ditante cose con naturalezza».

«Questa familiarità con il Signore,dei cristiani, è sempre comunitaria»ha rilanciato il Papa, insistendo: «Sì,è intima, è personale ma in comuni-tà». Anche perché «una familiaritàsenza comunità, una familiarità sen-za il Pane, una familiarità senza laChiesa, senza il popolo, senza i sa-cramenti è pericolosa». Infatti «puòdiventare una familiarità, diciamo,gnostica, una familiarità per me sol-tanto, staccata dal popolo di Dio».Invece «la familiarità degli apostolicon il Signore sempre era comunita-ria, sempre era a tavola, segno dellacomunità». E «sempre era con il Sa-cramento, con il Pane».

«Dico questo — ha affermatoFrancesco — perché qualcuno mi hafatto riflettere sul pericolo che que-sto momento che stiamo vivendo,questa pandemia che ha fatto chetutti ci comunicassimo anche religio-samente attraverso i media, attraver-so i mezzi di comunicazione — an-che questa messa — siamo tutti co-municanti, ma non insieme, spiri-tualmente insieme. Il popolo è pic-colo. C’è un grande popolo: stiamoinsieme, ma non insieme».

Così è «anche il sacramento: oggice l’avete, l’Eucaristia, ma la genteche è collegata con noi soltanto lacomunione spirituale». E «questanon è la Chiesa: questa è la Chiesa

di una situazione difficile, che il Si-gnore permette, ma l’ideale dellaChiesa è sempre con il popolo e coni sacramenti. Sempre».

In proposito il Papa ha confidato:«Prima della Pasqua, quando è usci-ta la notizia che io avrei celebrato laPasqua in San Pietro vuota, mi scris-se un vescovo — un bravo vescovo,bravo — e mi ha rimproverato: “Macome mai, è così grande San Pietro,perché non mette trenta persone al-meno, perché si veda gente? Non cisarà pericolo”. Io pensai: “Ma, que-sto che ha nella testa, per dirmi que-sto?”. Io non capii, nel momento».

«Ma siccome è un bravo vescovo,molto vicino al popolo, qualcosavorrà dirmi — ha proseguito France-sco — e quando lo troverò gli do-manderò. Poi ho capito. Lui mi di-ceva: “Stia attento a non ‘v i r a l i z z a re ’la Chiesa, a non ‘v i r a l i z z a re ’ i sacra-menti, a non ‘v i r a l i z z a re ’ il popolodi Dio”». Perché «la Chiesa, i sacra-menti, il popolo di Dio sono concre-ti. È vero che in questo momentodobbiamo fare questa familiarità conil Signore in questo modo, ma peruscire dal tunnel, non per rimaner-ci». E proprio «questa è la familiari-tà degli apostoli: non gnostica, non‘viralizzata’, non egoistica per ognu-no di loro, ma una familiarità con-creta, nel popolo». Quello che vale,ha spiegato il Papa, «è la familiaritàcon il Signore nella vita quotidiana,la familiarità con il Signore nei sa-cramenti, in mezzo al popolo diD io».

I discepoli, ha detto ancora Fran-cesco, «hanno fatto un cammino dimaturità nella familiarità con il Si-gnore: impariamo pure noi a farlo».Fin «dal primo momento» i disce-poli «hanno capito che quella fami-liarità era diversa da quello che im-maginavano, e sono arrivati a que-sto. Sapevano che era il Signore,condividevano tutto: la comunità, isacramenti, il Signore, la pace, la fe-sta». Con questa consapevolezza, ilPapa ha concluso la sua meditazioneinvitando a pregare perché «il Si-gnore ci insegni questa intimità conLui, questa familiarità con Lui manella Chiesa, con i sacramenti, con ilsanto popolo fedele di Dio».

Infine, con la preghiera del cardi-nale Rafael Merry del Val il Pontefi-ce ha invitato «le persone che nonpossono comunicarsi» a fare «ades-so» la comunione spirituale. Conclu-dendo la celebrazione con l’adora-zione e la benedizione eucaristica.Per poi affidare — accompagnato dalcanto dell’antifona Regina Caeli — lesue preghiere alla Madre di Dio da-vanti all’immagine mariana nellacappella di Casa Santa Marta.

Successivamente, a mezzogiorno,nella basilica Vaticana il cardinalearciprete Angelo Comastri ha rilan-ciato la preghiera del vescovo di Ro-ma guidando la recita del ReginaCaeli e del rosario.

Il cardinale elemosiniere distribuisce beni di prima necessità

La carità del Pontefice per i bisognosi della stazione Termini

Il coraggio di una nuova immaginazione del possibileNuovo membrodella Pontificia

Accademiadelle scienze sociali

Niraja Gopal Jayal

Docente presso il Centro per lostudio del diritto e delle politichedi governo alla Jawaharlal NehruUniversity di New Delhi, è statavisiting professor al King’s Colle-ge di Londra, all’École des HauteÉtudes en Sciences Sociales(Ehess) di Parigi, alla PrincetonUniversity e all’Università diMelbourne. Dal 2011 al 2012 èstata vicepresidente dell’AmericanPolitical Science Association. Nel2015 ha vinto il premio AnandaKentish Coomaraswamy dell’As-sociazione di Studi Asiatici. È au-trice di numerose pubblicazioniin materia di scienze politiche.

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 1

insostituibile e benedetto genio fem-minile, furono capaci di accettare lavita come veniva e di aggirare astu-tamente gli ostacoli per stare accantoal loro Signore. A differenza di mol-ti degli Apostoli che fuggirono inpreda alla paura e all’i n s i c u re z z a ,che negarono il Signore e scapparo-no (cfr. Gv 18, 25-27), loro, senzaevadere né ignorare quello che stavaaccadendo, senza fuggire né scappa-re... seppero semplicemente esserci eaccompagnare. Come le prime disce-pole che, in mezzo all’oscurità e allosconforto, riempirono la loro borsadi olii aromatici e si misero in cam-mino per andare a ungere il Maestrosepolto (cfr. Mc 16, 1), così noi ab-biamo potuto, in questo tempo, ve-dere molti che hanno cercato di por-tare l’unzione della corresponsabilitàper accudire e non mettere a rischiola vita degli altri. A differenza diquanti fuggirono con la speranza disalvare sé stessi, siamo stati testimo-ni di come vicini e familiari si sonoimpegnati, con sforzo e sacrificio, arestare in casa e frenare così la diffu-sione. Abbiamo potuto scoprire co-me molte persone che già vivevano edovevano subire la pandemiadell’esclusione e dell’i n d i f f e re n z ahanno continuato ad adoperarsi, ac-compagnandosi e sostenendosi, af-finché la situazione sia (o meglio,fosse) meno dolorosa. Abbiamo vistol’unzione versata da medici, infer-mieri e infermiere, magazzinieri, ad-detti alla pulizia, badanti, trasporta-tori, forze di sicurezza, volontari, sa-cerdoti, religiose, nonni ed educatorie tanti altri che hanno avuto il co-raggio di offrire tutto ciò che aveva-no per dare un po’ di cura, calma eanimo alla situazione. Anche se ladomanda continuava a essere la stes-sa: «Chi ci rotolerà via il massodall’ingresso del sepolcro?» (Mc 16,3), tutti loro non hanno smesso difare ciò che sentivano di potere edover dare.

Ed è stato proprio lì, in mezzo al-le loro occupazioni e preoccupazio-ni, che le discepole furono sorpreseda un annuncio straripante: «Non èqui. È risorto». La loro unzione nonera un’unzione per la morte, ma perla vita. Il loro vegliare e accompa-gnare il Signore, persino nella mortee nella disperazione più grande, nonera vano, anzi permise loro di essereunte dalla Resurrezione: non eranosole, Lui era vivo e le precedeva lun-go il cammino. Solo una notiziastraripante era capace di rompere ilcircolo che impediva loro di vedereche la pietra era già stata rotolatavia, e il profumo versato aveva piùcapacità di diffusione di ciò che le

minacciava. Questa è la fonte dellanostra gioia e speranza, che trasfor-ma il nostro agire: le nostre unzioni,la nostra dedizione... il nostro ve-gliare e accompagnare in ogni formapossibile in questo tempo, non sononé saranno vani: non è dedizioneper la morte. Ogni volta che pren-diamo parte alla Passione del Signo-re, accompagniamo la passione deinostri fratelli, vivendo anche la stes-sa passione, le nostre orecchie ascol-teranno la novità della Resurrezione:non siamo soli, il Signore ci precedenel nostro cammino rimuovendo lepietre che ci paralizzano. Questabuona novella fece sì che quelledonne tornassero sui loro passi acercare gli Apostoli e i discepoli cherestavano nascosti per raccontare lo-ro: «La vita strappata, distrutta, an-nientata sulla croce si è risvegliataed è tornata a pulsare» (R. Guardi-ni, El Señor, 504). Questa è la nostrasperanza, quella che non potrà esser-ci strappata, messa a tacere o conta-minata. Tutta la vita di servizio e diamore che avete donato in questotempo tornerà a pulsare. Basta apri-re una fessura perché l’unzione cheil Signore ci vuole donare si espandacon forza inarrestabile e ci consentadi contemplare la realtà dolente conuno sguardo rinnovatore.

E, come le donne del Vangelo, an-che noi siamo ripetutamente invitatia tornare sui nostri passi e a lasciarcitrasformare da questo annuncio: ilSignore, con la sua novità, può sem-pre rinnovare la nostra vita e quelladella nostra comunità (cfr. Evangeliigaudium, n. 11). In questa terra deso-lata, il Signore s’impegna a rigenera-re la bellezza e a far rinascere la spe-ranza: «Ecco, faccio una cosa nuova:proprio ora germoglia, non ve ne ac-corgete?» (Is 43, 19). Dio non ab-bandona mai il suo popolo, è sem-pre accanto a lui, specialmentequando il dolore si fa più presente.

Se abbiamo potuto imparare qual-cosa in tutto questo tempo è chenessuno si salva da solo. Le frontierecadono, i muri crollano e tutti i di-scorsi integralisti si dissolvono di-nanzi a una presenza quasi impercet-tibile che manifesta la fragilità di cuisiamo fatti. La Pasqua ci convoca ec’invita a fare memoria di quest’altrapresenza discreta e rispettosa, gene-rosa e riconciliatrice, capace di nonrompere la canna incrinata né dispegnere lo stoppino che arde de-bolmente (cfr. Is 42, 2-3) per far pul-sare la vita nuova che vuole donarea tutti noi. È il soffio dello Spiritoche apre orizzonti, risveglia la creati-vità e ci rinnova in fraternità per di-re presente (oppure eccomi) dinanziall’enorme e improrogabile compitoche ci aspetta. È urgente discernere

e trovare il battito dello Spirito perdare impulso, insieme ad altri, a di-namiche che possano testimoniare ecanalizzare la vita nuova che il Si-gnore vuole generare in questo mo-mento concreto della storia. Questoè il tempo favorevole del Signore,che ci chiede di non conformarci néaccontentarci, e tanto meno di giu-stificarci con logiche sostitutive opalliative, che impediscono di soste-nere l’impatto e le gravi conseguenzedi ciò che stiamo vivendo. Questo èil tempo propizio per trovare il co-raggio di una nuova immaginazionedel possibile, con il realismo che so-lo il Vangelo può offrirci. Lo Spiri-to, che non si lascia rinchiudere néstrumentalizzare con schemi, moda-lità e strutture fisse o caduche, cipropone di unirci al suo movimentocapace di “fare nuove tutte le cose”(Ap 21, 5).

In questo tempo ci siamo resiconto dell’importanza “di unire tuttala famiglia umana nella ricerca diuno sviluppo sostenibile e integrale”(Lettera enciclica Laudato si’, 24maggio 2015, n. 13). Ogni azione in-dividuale non è un’azione isolata,nel bene o nel male. Ha conseguen-ze per gli altri, perché tutto è inter-connesso nella nostra Casa comune;e se sono le autorità sanitarie a ordi-nare il confinamento in casa, è il po-polo a renderlo possibile, consape-vole della sua corresponsabilità perfrenare la pandemia. «Un’e m e rg e n z acome quella del Covid-19 si sconfig-ge anzitutto con gli anticorpi dellasolidarietà» (Pontificia Accademiaper la Vita. Pandemia e fraternitàuniversale, Nota sulla emergenza daCovid-19, marzo 2020, p. 4). Lezioneche romperà tutto il fatalismo in cuici eravamo immersi e ci permetteràdi sentirci nuovamente artefici e pro-tagonisti di una storia comune e, co-sì, rispondere insieme a tanti maliche affliggono milioni di persone intutto il mondo. Non possiamo per-metterci di scrivere la storia presentee futura voltando le spalle alla soffe-renza di tanti. È il Signore che cidomanderà di nuovo: “D ov’è tuofratello” (Gn 4, 9) e, nella nostra ca-pacità di risposta, possa rivelarsil’anima dei nostri popoli, quel serba-toio di speranza, fede e carità in cuisiamo stati generati e che, per tantotempo, abbiamo anestetizzato e mes-so a tacere.

Se agiamo come un solo popolo,persino di fronte alle altre epidemieche ci minacciano, possiamo ottene-re un impatto reale. Saremo capacidi agire responsabilmente di frontealla fame che patiscono tanti, sapen-do che c’è cibo per tutti? Continue-remo a guardare dall’altra parte conun silenzio complice dinanzi a quel-

le guerre alimentate da desideri didominio e di potere? Saremo dispo-sti a cambiare gli stili di vita che su-bissano tanti nella povertà, promuo-vendo e trovando il coraggio di con-durre una vita più austera e umanache renda possibile una ripartizioneequa delle risorse? Adotteremo, co-me comunità internazionale, le misu-re necessarie per frenare la devasta-zione dell’ambiente o continueremoa negare l’evidenza? La globalizza-zione dell’indifferenza continuerà aminacciare e a tentare il nostro cam-mino... Che ci trovi con gli anticorpinecessari della giustizia, della caritàe della solidarietà. Non dobbiamoaver paura di vivere l’alternativa del-la civiltà dell’amore, che è “una civil-tà della speranza: contro l’angoscia ela paura, la tristezza e lo sconforto,la passività e la stanchezza. La civil-

tà dell’amore si costruisce quotidia-namente, ininterrottamente. Presup-pone uno sforzo impegnato di tutti.Presuppone, per questo, una comu-nità impegnata di fratelli” ( E d u a rd oPironio, Diálogo con laicos, BuenosAires, 1986).

In questo tempo di tribolazione edi lutto, auspico che, lì dove sei, tupossa fare l’esperienza di Gesù, cheti viene incontro, ti saluta e ti dice:«Rallegrati» (cfr. Mt 28, 9). E chesia questo saluto a mobilitarci a in-vocare e amplificare la buona novel-la del Regno di Dio.

* [Nell’originale spagnolo la paro-la di Gesù è “Al é g re n s e ”, che nellaversione italiana della Bibbia dellaCei corrisponde a “Salute a voi!”,n . d . r. ]

Non si ferma l’opera dell’elemosineria apostolica neltestimoniare la vicinanza e la carità del Papa verso gliultimi tra gli ultimi, le cui difficoltà continuano ad au-mentare con il prolungarsi delle misure restrittive im-poste per contrastare la pandemia del covid-19. Mentrenel mondo si rincorrono gli appelli a “restare a casa”nel rispetto delle norme anti-assembramento volte a li-mitare la diffusione del contagio da coronavirus, ilPontefice non dimentica quelle persone che una casanon ce l’hanno proprio: il popolo degli “scartati”, lecui fila sono destinate a ingrossarsi a causa delle conse-guenze economiche della crisi in atto. Particolarmentesignificativa in tal senso è stata la visita compiuta neltardo pomeriggio di giovedì 16 aprile dal cardinale ele-mosiniere Konrad Krajewski nei pressi della stazione diRoma Termini, il principale scalo ferroviario dell’Urb e,che è anche il più grande d’Italia. Accompagnato daalcuni volontari, il porporato ha distribuito beni di pri-ma necessità — sacchi a pelo, cibo, sapone e soprattut-to mascherine protettive — ai numerosi poveri che fre-quentano la zona.

Ma la prossimità di Papa Francesco si concretizzaanche in prima persona attraverso telefonate e biglietti-ni manoscritti per raggiungere quanti sono in prima li-nea nell’affrontare l’emergenza sanitaria. Tra i più re-centi vi è il breve messaggio fatto pervenire a France-sco Vaia, direttore sanitario dell’ospedale romano “Laz-zaro Spallanzani” - Istituto nazionale malattie infettive,in risposta — come rivela il Papa stesso — a una letteraindirizzatagli da quest’ultimo l’11 aprile scorso: «Vorreiche queste righe mi facciano presente fra voi per dire,anch’io con voi, “solo insieme possiamo farcela"», haspiegato il Pontefice, assicurando di sapere bene «tuttoquello che fanno i medici, gli infermieri, gli ausiliari egli amministrativi» del nosocomio, la cui «generositànon ha limiti». Per questo, conclude Francesco con pa-role di gratitudine, «vorrei esservi vicino in questo mo-mento ringraziando per la vostra testimonianza».

In un’altra circostanza, martedì 14, il Papa avevascelto invece il telefono per contattare il direttoredell’«Eco di Bergamo», quotidiano molto diffuso inuna delle province italiane più colpite dal coronavirus.«Vorrei ringraziare — ha esordito — per il ricordo chefate tutti i giorni dei defunti e per il vostro prezioso la-voro. Dare i nomi alla gente che muore e raccontare leloro storie è un’opera di carità molto grande». Nelloscambio di battute, entrambi hanno rimarcato «ildramma nel dramma» di questa tragedia in cui chi per-de la vita spesso lo fa in totale solitudine, senza poteravere un famigliare che gli stringa la mano, né tanto-meno un funerale. «È molto triste — ha commentato ilPapa — e credo che questo renda ancora più difficile ilvostro lavoro, ma credo anche lo impreziosisca».

E una telefonata, nella sera del lunedì dell’Angelo, ilPontefice aveva fatto pure all’arcivescovo FrancescoMassara di Camerino - San Severino Marche, per in-formarsi sulle condizioni dei terremotati colpiti dal si-sma del 2016. Una realtà che ha toccato con mano,avendola visitata il 16 giugno 2019.