FANTASIA IMMAGINAZIONE CONOSCENZA - LED - Edizioni

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STUDI E RICERCHE Andrea Colli Chiara Selogna FANTASIA IMMAGINAZIONE CONOSCENZA UNO STUDIO SUL DE IMAGINE DI GIOVANNI DUNS SCOTO

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STUDIE

RICERCHE

Andrea ColliChiara Selogna

FANTASIAIMMAGINAZIONE

CONOSCENZAUNO STUDIO SUL DE IMAGINE DI GIOVANNI DUNS SCOTO

colli-498-6-fronte 14-11-2011 8:59 Pagina 1

Colli A. - Selogna C.
Fantasia Immaginazione Conoscenza. Uno studio sul ‘De imagine’ di Giovanni Duns Scoto
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IL “DE IMAGINE” DI GIOVANNI DUNS SCOtOUna nota introduttiva

Il De imagine di Giovanni Duns Scoto si inserisce nelle discussioni di fi-ne XIII e inizio XIV secolo che hanno come principale obiettivo quello di ridefinire la forma e i caratteri della conoscenza, individuando un ambito stabile di evidenza e di certezza, che permetta di garantire un contatto con la realtà. Il processo gnoseologico, che dal mondo reale conduce alla pro-duzione di un’immagine e da questa porta all’intellezione dell’universale, non deve presentare interruzioni e fratture che pregiudichino la possibilità di conoscenza da parte dell’uomo.

1. Distinzionetra“notitiaintuitiva”e“notitiaabstractiva”

La volontà di garantire un’effettiva corrispondenza fra rappresentazioni mentali e realtà esterna e la possibilità reale di conoscere l’universale 1 è evidente in Scoto nella distinzione tra notitia intuitiva e notitia abstractiva e nella difesa della species intelligibilis. In questo modo infatti egli si distacca dalle precedenti dottrine della conoscenza, ammettendo la possibilità di conoscere direttamente l’individuale: l’intelletto umano è dunque in gra-do di avere l’immediata certezza della sua esistenza, pur non riuscendo ad apprendere il carattere distintivo dell’individuale o del singolare. Di conse-guenza vengono postulati due tipi di conoscenza, una cognitio abstractiva, che considera l’oggetto esterno prescindendo dalla sua esistenza attuale e dalla sua presenza reale, e una cognitio intuitiva, che coglie l’oggetto im-mediatamente nel suo essere presente ed esistente in atto. Le due forme

1 Cfr. Duns Scoto, par. 348.

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Il “De imagine” di Giovanni Duns Scoto

di conoscenza riguardano la semplice apprensione e non il giudizio, ossia si riferiscono agli oggetti semplici espressi dai singoli termini della propo-sizione, agli incomplexa, distinguendosi così da un sapere di tipo discor-sivo. In questo modo Scoto si allontana anche dalla tradizione filosofica che, a partire dal principio aristotelico intellectus est universalium, sensus autem particularium, sosteneva l’impossibilità per l’intelletto di apprendere il singolare e l’individuale, mostrando come la distinzione tra le due parti dell’anima non riguardi due facoltà poste sullo stesso livello, ma si riferisca a due potenze con gradi di perfezione differente: è la conoscenza sensibile quindi a essere esclusa dalla possibilità di apprendere l’universale, mentre l’intelletto, essendo una facoltà più perfetta del senso, è in grado di cono-scere in modo più perfetto tutto ciò che viene appreso dalla parte sensibile del l’anima.

La condizione necessaria per l’intuizione è quindi la presenza e l’esi-stenza dell’oggetto esterno (cognitio intuitiva non est nisi quando res est praesens), che permette di cogliere la realtà nella sua forma esistenziale; gli oggetti vengono colti nel loro attuarsi nel tempo e nello spazio e la relazio-ne tra oggetto e atto cognitivo diviene in questo modo una relazione reale e attuale, che esclude ogni genere di mediazione. Il legame essenziale che si costituisce tra la res e la notitia intuitiva non ha alcuna importanza per il secondo tipo di conoscenza, l’astrattiva, che non si rivolge direttamente alla realtà, ma a un aliquid, che Scoto definisce sia come aliqua diminuta seu derivata similitudo sia come ciò in quo res habet esse cognoscibile. La ra­tio formalis motiva della conoscenza astrattiva non è la cosa esistente nella realtà, ma una rappresentazione, una species, un’immagine, che rappresenta l’oggetto e consente di conoscerlo a prescindere dalla sua esistenza. Sembra quindi che il carattere distintivo della cognitio abstractiva sia costituito dal fatto di richiedere necessariamente un ente che svolga la funzione di inter-mediario tra l’oggetto e la facoltà conoscitiva dell’uomo, sottolineando una causa o un referente diverso tra i due tipi di conoscenza.

Scoto sottolinea inoltre che il duplice modo di conoscere – intuitivo e astrattivo – riguarda anche la conoscenza intellettiva, utilizzando un’ana-logia con la conoscenza sensibile, che risulta più facilmente indagabile. L’intuizione intellettiva infatti viene spiegata ricorrendo a un paragone con la visione sensibile che è capace di apprendere immediatamente un oggetto attualmente esistente, mentre la conoscenza astrattiva intellettuale viene de-scritta in modo analogo all’immaginazione, che opera a partire da immagini o species. Infine, mentre la percezione visiva rimane legata ai caratteri della presenza, dell’esistenza e della temporalità e li trasmette alla parte intellet-tiva dell’anima, l’immaginazione, e di conseguenza la conoscenza astrattiva,

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prescindono proprio da tutti questi caratteri, lavorando sull’immagine o sulla species che hanno la caratteristica di presentare un oggetto proprio a partire dalla sua assenza.

La novità quindi introdotta dalla teoria gnoseologica di Scoto è sicu-ramente la possibilità di ammettere, sia in ambito sensibile sia in ambito intellettuale, la conoscenza diretta di un oggetto senza dover introdurre una specie che consenta il contatto con le cose esistenti. Scoto infatti, limi-tatamente al momento iniziale, che riguarda il primo contatto immediato tra oggetto e organo di senso, nega la necessità del ricorso alla species sia nel caso della intuizione sensibile sia in quello della intuizione intellettiva. Se si tiene presente che tali momenti non sono anteriori ai corrispondenti momenti astrattivi, in quanto la sensazione risulta simultanea all’immagi-nazione e la conoscenza intuitiva alla conoscenza astrattiva dell’intelletto, ne consegue che, nello stesso istante in cui l’oggetto esterno si presenta alla facoltà sensitiva, si produce la specie sensibile su cui lavora l’immagi-nazione e lo stesso avviene nell’ambito intellettivo. questi aspetti posso-no evidentemente portare a un fraintendimento della teoria di Scoto, che tuttavia si allontana indubbiamente dalle teorie dei perspectivi basate sulla trasmissione di specie dall’oggetto al soggetto conoscente, caratterizzato da una ricezione passiva della realtà esterna. Rimane tuttavia un legame con il modello scientifico della visione basato sugli studi di ottica, in quanto si afferma la necessità della specie per l’attività dell’immaginazione e della co-noscenza astrattiva, e si sottolinea in questo modo che i concetti universali possono prodursi solamente a partire dalla presenza di immagini o simili-tudini con la funzione di rappresentare l’oggetto reale. Da questo punto di vista rimane però aperto un aspetto problematico che riguarda sia la natura delle species sia la loro funzione all’interno del processo conoscitivo; anche Scoto ritiene infatti che le species degli oggetti esterni abbiano un essere intenzionale o diminuito (esse diminutum), differente dall’essere reale (esse simpliciter et reale) che caratterizza gli oggetti esterni, e allora ci si può do-mandare in che modo, a partire dalla loro natura essenzialmente differente da quella della realtà materiale, le specie o immagini siano in grado di far conoscere veramente tale realtà.

È importante sottolineare che l’intuizione intellettiva non riguarda so-la mente il livello dell’interiorità, ma viene estesa alla realtà esteriore nel momento in cui Scoto vuole dare conto del fenomeno della memoria; ri-cordare non significa semplicemente conservare una specie intelligibile nell’intelletto possibile o trattenere un’immagine con l’immaginazione, ma corrisponde anche alla possibilità di percepire l’esistenza di qualcosa che nel presente non esiste più. tale conoscenza, definita intuitio imperfecta o

Distinzione tra “notitia intuitiva” e “notitia abstractiva”

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Il “De imagine” di Giovanni Duns Scoto

habitualis cognitio intuitiva, diviene concepibile solamente se si ha presente l’atto intuitivo grazie al quale l’oggetto è stato precedentemente conosciu-to; la memoria diviene l’elemento che conferma l’esistenza di una intui-zione intellettiva, in quanto consente al soggetto di ricordare attraverso la conoscenza di tali atti e dunque di avere certezza dell’esistenza degli oggetti esterni e di poter costruire proposizioni contingenti.

2. Laconoscenzaastrattiva:iL“Deimagine”

Risulta pertanto evidente che la particolarità e l’interesse principale della dottrina gnoseologica di Scoto rispetto alle teorie della conoscenza prece-denti è di stabilire quale tipo di conoscenza permetta di apprendere un oggetto reale nella sua effettiva esistenza; tale funzione è svolta dalla co-noscenza intuitiva che permette un contatto diretto con la realtà, dal mo-mento che consente di conoscere l’oggetto esterno in quanto presente ed esistente, mentre l’astrattiva apprende l’oggetto attraverso la mediazione di una rappresentazione che ha la funzione di renderlo presente all’intel-letto quando viene a mancare. Il De imagine, che si occupa proprio della conoscenza astrattiva, risulta particolarmente interessante proprio perché consente di approfondire la concezione scotiana del processo della cono-scenza, mettendo in evidenza la necessità di porre una specie intelligibile, anteriore all’atto di intellezione 2, e di definire le cause che permettono la conoscenza.

Il testo è strutturato in quattro questioni, che prendono in considera-zione i seguenti temi:• se nella parte propriamente detta intellettiva dell’anima, ossia nella me-

moria, si trovi una specie intelligibile anteriore per natura all’atto di in-tellezione (utrum in parte intellectiva proprie sumpta, sit memoria, habens speciem intelligibilem priorem naturaliter actu intelligenti; par. 333-400);

• se la parte propriamente detta intellettiva dell’anima sia la causa totale che genera la conoscenza in atto e la ragione della sua produzione (utrum pars intellectiva proprie sumpta vel aliquid eius sit causa totalis gignens ac­tualem notitiam vel ratio gignendi; par. 401-553);

• se la causa principale grazie alla quale si genera la conoscenza attuale sia l’oggetto, presente in sé o in una specie, oppure piuttosto la parte intel-

2 Cfr. Duns Scoto, par. 349; cfr. anche par. 359.

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lettiva dell’anima (utrum principalior causa notitiae genitae sit obiectum in se vel in specie praesens, vel ipsa pars intellectiva animae; par. 554-568);

• se vi sia nello spirito un’immagine distinta della trinità divina (utrum in mente sit distincte imago Trinitatis; par. 569-604).

Mentre le prime tre questioni risultano collegate, in quanto trattano un problema esclusivamente gnoseologico, ossia cercano di spiegare il proces-so che permette di raggiungere una conoscenza dell’universale chiarendone i passaggi e le cause principali, la quarta questione invece si occupa di un tema propriamente teologico, che riprende il pensiero agostiniano e con-sidera lo studio dell’anima e delle sue facoltà, considerandole non per se stesse, cioè in quanto facoltà conoscitive dell’uomo con specifiche funzioni, ma nella loro relazione, cioè in quanto immagine reale e distinta, anche se imperfetta, della trinità divina.

È possibile tuttavia comprendere in modo più chiaro il legame tra le quattro questiones e quindi tra i due ordini differenti di ricerca – gnoseolo-gico e teologico – mostrando come il De imagine si inserisce nella struttura del I libro dell’Ordinatio.

1. Prima parte (1-280) De cognoscibilitate dei si compone di 4 questiones: 1.1. Utrum deus sit naturaliter cognoscibilis ab intellectu viatoris. 1.2. Utrum deus sit primum cognitum a nobis naturaliter pro statu isto. 1.3. Utrum deus sit primum obiectum naturale adaequatum respectu intel­

lectus viatoris. 1.4. Utrum aliqua veritas certa et sincera possit naturaliter cognosci ab in­

tellectu viatoris absque lucis increatae speciali illustratione.

2. Seconda parte (281-332) De vestigio presenta una sola questione: 2.1. Utrum in qualibet creatura sit vestigium trinitatis.

Il percorso generale è dunque di questo genere: ci si domanda se Dio possa essere conosciuto naturalmente dall’intelletto dell’uomo in quanto viator, ossia dopo il peccato originale; quindi se Dio possa essere un oggetto ade-guato e proporzionato all’intelletto.

Una simile domanda implica indagare, da un lato, i limiti e le possibi-lità della conoscenza naturale e, dall’altro lato, il valore di tale conoscenza, ossia significa comprendere se l’uomo sia in grado, senza alcun intervento speciale, di ottenere conoscenze certe e sicure. La seconda parte invece cer-ca di chiarire in che senso Dio possa essere inteso come oggetto adeguato all’intelletto, mostrando come tutta la natura creata, che in Dio ha la sua causa esemplare, lo rappresenti come una traccia, mentre una natura intel-lettuale è capace di offrire un’immagine di Dio, perché in essa concorrono

La conoscenza astrattiva: il “De imagine”

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Il “De imagine” di Giovanni Duns Scoto

più elementi in grado di rendere conto della unità e trinità divina, in parti-colare la relazione che intercorre tra le facoltà dell’anima.

Il De imagine tenta pertanto di chiarire questo percorso e approfon-dire cosa sia questa immagine: dopo il peccato la natura intellettuale, che in quanto tale potrebbe conoscere l’essere nella sua totalità, presenta dei limiti e questi limiti devono essere chiariti.

Il percorso del De imagine è dunque di questo genere: si parte dalla possibilità reale di conoscere l’universale; questo significa che è realmen-te possibile conoscere l’universale solo se le cause che lo producono sono reali (per Scoto la possibilità reale si distingue da quella logica, per cui è lo-gicamente possibile tutto ciò che non implica contraddizione, anche se non è necessariamente reale). Stabilita questa possibilità è necessario definire le cause (questio 2) e, se molteplici, bisogna capire quale sia la principale (questio 3).

3. iLprocessoconoscitivoseconDoDunsscoto

Secondo quanto sostiene Enrico di Gand – nella rielaborazione delle sue tesi offerta da Scoto –, l’atto gnoseologico andrebbe suddiviso in due mo-menti: in una prima fase la specie sensibile viene acquisita attraverso un’im-pressione nell’organo sensoriale, giungendo così all’immaginazione; in una seconda fase l’intelletto agente astrae l’oggetto contenuto nell’immagine e muove l’intelletto possibile all’apprensione semplice dell’essenza 3.

Scoto condivide la descrizione della prima fase, ma nella seconda ri-tiene indispensabile la presenza di una specie intelligibile a partire dalla quale è possibile giungere all’atto di intellezione. Sarebbe infatti assurdo ritenere che l’intelletto, sia esso agente o possibile, possa in qualche mo-do astrarre l’universale direttamente dall’immagine, poiché quest’ultima, rappresentando sempre l’oggetto sotto la ragione del singolare, non lo può contenere 4.

Rigettando dunque l’ipotesi astrattiva tipicamente aristotelica, che non riesce a spiegare esaustivamente come un oggetto possa passare dall’ordine esteso e materiale del sensibile a quello inesteso e immateriale dell’intel-ligibile, Scoto deve in ogni caso rendere conto del problematico passag-gio dall’immagine dell’oggetto particolare, alla formazione di un concetto

3 Duns Scoto, par. 340. 4 Cfr. Duns Scoto, par. 365.

Colli Andrea - Selogna Chiara
Fantasia, immaginazione e conoscenza
SEGUE
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PRIMA qUEStIONE

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PRO E CONtRO

Nella parte intellettiva dell’anima, propriamente detta “memoria” vi sono specie intelligibili anteriori per natura all’atto di intellezione?

ARGOMENtI CONtRARI RISPOStE DI SCOtO

Sostenitore Argomentazione Auctoritateschiamate in causa

Auctoritateschiamate in causa

1 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 174Y).

• Premessa (a): ogni spe-cie impressa rap pre sen-ta l’oggetto nei termini in cui es so la im prime.

• Premessa (b): la specie è impressa dal l’og getto in quanto sin golare.

• Conclusione: la specie non può rap presentare l’u niver sa le.

La specie impressa rap-presenta il singo la re, cioè l’oggetto, ma non se con-do le modalità proprie del l’og get to (mo do del-l’a gente), ma secondo la for ma dell’intelletto che coo pe ra con l’oggetto al-l’at to di intellezione (mo -do dell’agire).

2 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14(f. 174z).

• Premessa (a): la presen-za della specie è effetto e non cau sa della pre-senza del l’oggetto.

• Premessa (b): l’oggetto è presente.

• Conclusione: è inutile sup porre la presenza di una spe cie.

L’oggetto è presente alla fa coltà del conoscere se-condo due modalità:1. in modo tale da poter

generare la specie nel-l’intelletto;

2. nella specie generata co me oggetto cono sci- bile.

È falso allora sostenere che la specie nell’intellet-to non è causa della pre-senza dell’oggetto, se ci si riferisce alla presenza in quanto conoscibile.

3 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14(f. 174z).

• Premessa (a): ogni spe-cie nell’intelletto pro du- ce per sua natura una in-tellezione.

• Premessa (b): se nell’in-telletto può essere pre-sente una specie, ne se-gue che per lo stesso mo tivo ne possono esse-re presenti molte.

• Conclusione: nell’intel-letto sarebbe presente una molteplicità si mul-tanea di intellezioni.

Algazali, Philosophia (Metaph.), 1, tr. 3, sent. 4.

Analogia tra sensazione e atto di intellezione.Più un oggetto agisce for-temente su un senso, più efficacemente agirà sul-l’in telletto. La specie dun-que può muovere l’in-tellezione, ma questo vale per la specie che muo ve in modo più efficace. Non ne deriva quindi la neces-sità di dover ammettere una molteplicità di specie simultanee.

• Agostino, De trin. XIV,

6.8.• Agostino, De lib. arb. III,

5.74.• Algazali (diversa

in terpretazione della stes sa tesi).

• Aristotele, Metaph. VII, 1032a 32 - 1032b 3.

• Averroè, In Metaph. VII, comm. 23.

4 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14(f. 175F).

Una specie intellettiva an-teriore all’atto di in telle-zione sarebbe per l’in tel-let to come un acciden te per un soggetto e questo è manifestamente con tra rioalla natura e alle operazio-ni del l’in telletto.

Va distinta una relazione reale tra specie e in-telletto da una relazione intenzionale. Nel no-stro caso si sta considerando una relazione di tipo intenzionale, per cui non ha senso allude-re a un legame come quello che si costituisce tra sostanza e accidente.

tAVOLE RIASSUNtIVE

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5 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176O-177O).

Se la specie intellettiva fosse precedente all’atto di intellezione, potrebbe conservarsi senza l’atto di conoscenza e quindi non sarebbe necessario che l’in telletto si rivolga alle im magini.

Avicenna, De an., pars 5, c. 6 (26rb).

6 Enrico di Gand, Summa, a. 45,q. 2; Quodl. V,q. 14 (f. 176O).

Dato che l’oggetto è pre-sente alla facoltà volitiva in quanto si trova nell’in-telletto, per analogia esso sarà presente all’intellet-to in quanto si trova nel-l’immagine.

OPINIONI SOStENUtE DA ALtRI AUtORI

RISPOStE DI SCOtO

ENRICO DI GAND

Opinione Auctoritateschiamate in causa

Auctoritateschiamate in causa

L’intelletto agente opera un’astra-zione dall’immagine e porta l’in-telletto possibile alla conoscenza del l’essenza senza aver bisogno del le specie intelligibili.

Ogni facoltà cognitiva ha una spe-cie che rappresenta il proprio og-getto, antecedente all’atto di cono-scenza. Nel caso della facoltà orga-nica, l’oggetto è presente nell’orga-no, che è parte costitutiva della fa-coltà stessa. Nel caso dell’intelletto l’oggetto che è impresso nella fa-coltà stessa, precede l’atto di intel-lezione ed è la specie intelligibile.

GOFFREDO DI FONtAINES RISPOStE DI SCOtO

• Premessa (a): ogni potenza è por-tata all’atto cui è immediatamen-te ordinata da un agente presente e proporzionato.

• Premessa (b): la facoltà dell’ap-prensione è direttamente ordina-ta all’atto dell’apprensione.

• Conclusione: la facoltà dell’ap-prensione viene direttamente por-tata all’atto da un agente propor-zionato.

Bisogna distinguere due atti:1. l’atto che rende l’oggetto pre-

sente in quanto intelligibile;2. l’atto che opera sull’oggetto in-

telligibile (species) in quanto pre-sente (atto di intellezione).

I due atti non vanno intesi come una successione cronologica o di causa-effetto, nel senso che l’atto di intellezione (2) sia causato dalla produzione della species (1). L’in-telletto infatti è a fondamento di entrambi gli atti tra i quali esiste solo una relazione di ordine.

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Prima questione

tEStO

1. LamemoriaèinpossessoDiunaspecieinteLLigibiLe

anterioreaLL’attoDiinteLLezione?

(333) Nella parte terza di questa distinzione, che riguarda l’immagine, ci si domanda se nella parte intellettiva dell’anima, propriamente detta, la memo-ria possieda una specie intelligibile anteriore per natura all’atto di intellezione.

1.1. Argomenti contrari

1.1.1. Non si può passare dalla specie sensibile impressa a quella intelligibile

Ogni specie impressa da un oggetto lo rappresenta esattamente nei termini in cui essa viene impressa dall’oggetto; se la specie è impressa da qualcosa di diverso dall’oggetto, essa lo rappresenta ancora esattamente nei termini in cui lo rappresenterebbe se fosse impressa dall’oggetto, perché altrimenti non sarebbe una vera specie dell’oggetto; ma la specie, quando è impressa dal l’oggetto, è impressa dall’oggetto in quanto singolare, perché ciò che agisce è un singolare; di conseguenza, qualunque sia la cosa che la imprime, la specie non può rappresentare l’universale; questo può avvenire solo se si tratta di un universale come quello che viene rappresentato all’intelletto: nessuna specie impressa rappresenta pertanto l’intelligibile esattamente nei termini di un intelligibile 1.

1.1.2. L’oggetto non è l’effetto di una specie

(334) Ancora, la presenza dell’oggetto è causa della presenza della specie e non il contrario: non è il fatto di avere la specie del bianco nell’occhio che implica la presenza di qualcosa di banco, ma vale il contrario; dunque la prima rappresentazione di un oggetto non è dovuta a una specie, e dunque, dal momento che l’oggetto è presente, risulta superfluo porre una specie 2.

1.1.3. Molteplicità e simultaneità di intellezioni

(335) Ancora 3, qualunque specie fosse presente nell’intelletto, sarebbe una forma che per natura produce una intellezione; ma, se si pone che una spe-

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cie sia presente nell’intelletto, ne segue che potrebbero essere presenti mol-te specie simultaneamente; di conseguenza tutte le specie produrrebbero per natura intellezioni loro corrispondenti e dunque nell’intelletto sarebbe-ro presenti simultaneamente più intellezioni, corrispondenti alla pluralità delle specie. Se poi una qualunque di queste specie agisce naturalmente senza che si dia l’intellezione corrispondente, ne segue che mai si darà alcu-na intellezione relativa a questa specie; infatti quando agisce naturalmente, una causa agisce secondo il grado massimo della propria potenza; se quindi non può causare il proprio effetto, mai sarà in grado di farlo. Ma la plura-lità di specie, posta per ipotesi, è negata da Algazali nella sua Metafisica, in quanto sostiene che un unico e identico corpo non può essere informato si­multaneamente da più forme differenti, né allo stesso modo un solo e identico intelletto può essere informato contemporaneamente da più oggetti differen­ti 4, cosa che invece accadrebbe nel caso si ammetta la presenza simultanea di più specie intelligibili.

1.1.4. Specie intellettiva come forma accidentale

(336) Ancora, in quarto luogo, sembra derivare da questa ipotesi che l’in-telletto subirebbe non l’azione dell’intelligibile in quanto intelligibile, ma solamente una passione reale ricevendo una forma che per lui risulta una perfezione reale; secondo questa ipotesi, in effetti, l’intelletto riceve questa specie come un soggetto riceve un accidente reale e di conseguenza non subisce l’azione dell’intelligibile in quanto intelligibile. Ne segue anche che conoscere non sarà il movimento di una cosa verso l’anima; al contrario ogni intellezione sarà un’azione assoluta della cosa, come una forma sussistente per sé, che non ha un termine esteriore a se stessa 5.

1.1.5. Inutilità dell’immagine per l’intellezione

(337) [Ancora, la specie potrebbe conservarsi senza l’atto di conoscenza, per cui non sarebbe necessario che l’intelletto si rivolga all’immagine 6.

1.1.6. L’intelletto non ha bisogno di ricevere qualcosa di estrinseco

(338) Ancora, la volontà ha un oggetto che le è sufficientemente presente perché essa possa esercitare il proprio atto verso quello, senza ricevere in se nulla da un oggetto. Può dunque andare nello stesso modo per il caso presente, nella misura in cui l’oggetto è ciò su cui termina l’atto di cono-

Testo

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Prima questione

scenza 7. Conferma: dato che l’oggetto è presente alla volontà in quanto è nell’intelletto, perché non avviene lo stesso per l’intelletto e l’immagine?] 8.

1.2. Argomento a favore 9

(339) quando l’intelletto passa dall’essere totalmente in potenza, essendo ancora lontano dalla conoscenza, all’essere in potenza in modo accidentale, essendo ormai prossimo alla conoscenza, bisogna necessariamente che in esso abbia luogo un certo cambiamento che evidentemente riguarda non l’oggetto, ma l’intelletto stesso. Il cambiamento che porta a una potenza prossima a una conoscenza appare mutamento verso una certa forma, gra-zie alla quale l’oggetto intelligibile è presente all’intelletto, ma questa forma è anteriore all’atto d’intellezione, dal momento che la potenza prossima, per mezzo della quale si è in grado di conoscere, è naturalmente anteriore all’atto di intellezione; e la forma, attraverso cui l’oggetto è presente in que-sto modo, è detta specie; dunque ecc.

1.3. Opinioni di altri autori

1.3.1. Enrico di Gand

(340) Esistono molti modi diversi di argomentare a proposito della presen-te questione. La prima opinione 10 nega ogni specie intelligibile precedente per natura all’atto d’intellezione, per le ragioni esposte nella prima parte della presente questione. tale opinione viene sostenuta in questi termini: una volta che la specie sensibile è stata acquisita, attraverso un’impressio-ne nell’organo sensoriale, e, completando il proprio processo, è giunta alla facoltà dell’immaginazione, l’intelletto agente astrae dall’oggetto contenuto nell’immagine e muove l’intelletto possibile all’apprensione semplice del-l’essenza, senza che l’intelletto possibile riceva dall’immagine una specie che in esso si imprime e senza che sia presente all’intelletto un oggetto che non è presente all’immaginazione 11.

(341) questo si prova attraverso la seguente deduzione: la specie sensibile ricevuta dal senso è cosa diversa dall’atto con cui viene ricevuta, sia perché l’organo sensoriale è della stessa natura del mezzo intermedio, sia perché la specie ricevuta produce la disposizione immediata all’atto del sentire quan-to deve essere ricevuto. Nell’intelletto non si dà né l’una né l’altra condizio-

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ne: da un lato infatti l’intelletto non è una facoltà organica; dall’altro lato è in se stesso perfettamente disposto all’atto di intellezione; dunque ecc. 12.

(342) Si afferma che questa opinione 13 è conforme a quanto viene sostenu-to dal Filosofo nel libro III del De anima, quando loda gli antichi filosofi per aver detto che “non l’anima nella sua totalità, ma solamente l’anima intellettiva è luogo delle specie” 14. questa precisazione sembra erronea se la si intende come se indicasse che le altre parti dell’anima non possiedono specie (vi sono infatti specie nella facoltà sensitiva); in realtà significa che le altre parti contengono specie non come fossero luoghi, ma come soggetti che hanno accidenti; l’intelletto invece le contiene come un luogo, in quan-to forme espresse e non impresse 15.

(343) questa opinione 16 si basa ancora sul libro III del De anima, quando Aristotele sostiene che “noi vediamo il ciò che è nelle immagini”, che “le immagini si rapportano all’intelletto come i sensibili ai sensi”, che “non conosciamo alcuna cosa nell’intelletto senza l’immagine” e altre tesi simi-li 17. Da ciò concludono che il Filosofo non pone alcuna specie intelligibile, perché se una specie fosse posta, l’intelletto non vedrebbe il ciò che è nelle immagini, ma nella specie intelligibile; per la stessa ragione l’intelletto non avrebbe bisogno di rivolgersi alle immagini, in quanto sarebbe sufficiente la specie intelligibile, mediante la quale sarebbe presente l’oggetto verso cui l’intelletto si rivolgerebbe 18.

(344) Se si argomenta in senso contrario, facendo riferimento al passo del-lo stesso trattato in cui il Filosofo afferma: “necessariamente nell’anima vi sono o le cose o le loro specie, ma non vi sono le cose, dunque vi sono le loro specie” 19, si risponde che dalla parte dell’intelletto, cioè nell’intelletto, vi è una specie impressa, che è habitus 20 oppure atto, o una specie espressa, che è specie presente nell’immagine o quidditas, e la quidditas che splende nell’immagine è specie in rapporto al singolare (in effetti non è questa pietra qui a essere presente nell’anima, ma la quidditas della pietra, che in rappor-to a questa pietra qui è una specie) 21.

(345) Si è affermato 22 allo stesso modo che questo sia il punto di vista di Agostino, secondo il quale il verbo nasce da un habitus e non da una specie intelligibile. Egli dice in effetti nei capitoli 10 o 24 del XV libro del De trinitate che “dal sapere che conserviamo grazie alla memoria nasce il ver-bo” 23 e nello stesso libro, nei capitoli 12 o 28: “il verbo nasce dal sapere che dimora nell’anima”.

Testo

Colli Andrea - Selogna Chiara
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NOtE

1 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 174Y): vd. Appendice I.2 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 174z): vd. Appendice I.3 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 174z, 179B): vd. Appendice I.4 Algazali, Philosophia (Metaph.), 1, tr. 3, sent. 4, p. 68: Sicut enim non possumus imagi­

nari duas celaturas vel duas figuras in eadem cera simul eodem modo circa idem; sic non possunt imaginari in anima esse duae scientiae discretae simul praesentes eodem modo, sed succedunt sibi adeo subito ut non possit comprehendi earum successio propter brevita­tem temporis.

5 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 175F): vd. Appendice I.6 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176O-177O): vd. Appendice I. Avicenna, De anima, pars 5, c. 6 (26rb): Impossibile est enim dici hanc formam intelligi­

bilem esse in anima in effectu perfecte et non intelligi ab ea in effectu perfecte.7 Enrico di Gand, Summa, a. 45, q. 2, 107: Quare, cum bonum quod est in re ut in re

exis tens, nullo modo habet movere voluntatem, sicut verum quod est in re, non habet movere intellectum secundum quod habet esse in re, sed solum secundum quod habet esse in intellectu, actus ergo voluntatis qui est velle, etsi terminatur ad bonum ut est in re existens, nullo tamen modo ad huiusmodi actum eliciendum habet voluntas moveri a bono, nisi metaphorice, aut pati ab ipso. Quare, cum non possit aliquid dici virtus passiva, nisi quia ab aliquo patiatur quod agat in ipsam eliciendo actum suum, quemadmodum intellectus dicitur virtus passiva, quia non agit eliciendo actum intelligendi, nisi moveatur a re obiecta quae sit in ipso ut forma eius secundum esse spirituale, ut habitum est supra de intellectu Dei, non est autem aliud quod natum est agere in virtutem quamcumque, nisi proprium obiectum, sicut non agit in visum nisi color vel lux, dicendum igitur quod voluntas et in Deo et in aliis simpliciter debet dici virtus activa et non passiva, e contrario intellectus qui, ut habitum est, debet dici simpliciter virtus passiva et non activa.

Enrico di Gand, Summa, a. 58, q. 2 ad 3 (II f. 129D-130H): Consimiliter autem agens se habet ad phantasmata. Ipsa enim ut particularia et sub conditionibus materialibus non sunt species universalium nisi in potentia; nec possunt movere intellectum possi­bilem nisi in potentia. Sed lumen agentis splendens spiritualiter super illa sicut lumen materiale materialiter resplendet super colores, separat ea a conditionibus materialibus et particularibus et sub ratione speciei universalis proponit ea intellectui possibili qui et movetur mediantibus illis a revus universalibus et informatur intellectione universalium secundum actum; quemadmodum colores specie sua in luce actu movent visum ad viden­dum colores.

8 Enrico di Gand, Summa, a. 45, q. 2, 107: vd. nota 7. Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (176O): vd. Appendice I.9 questa è l’opinione di Scoto.10 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 178V, 177R, 174V): vd. Appendice I.11 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176O): vd. Appendice I. Enrico di Gand, Summa, a. 58, q. 2 ad 3 (II f. 129D-130H): vd. nota 7. Enrico di Gand, Quodl. IV, q. 21 (f. 136G-137H): Intellectu vero materialis ab obiecto

nullam recipit speciem impressivam, sed solum expressivam, qua de potentia intelligente fit actu intelligens; oportet enim, quod secundum aliquam similitudinem sicut sensus se habet ad sensibilia, sic intellectus se habeat ad intelligibilia.

12 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176M): vd. Appendice I.13 Vd. par. 340.

Note

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44

Prima questione

14 Aristotele, De anima, III, 4, 429a 27-28: quindi si esprimono bene coloro che affer-mano che l’anima è il luogo delle forme, solo che tale non è l’intera anima, ma quella intellettiva, ed essa non è in atto, ma in potenza le forme.

15 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176K): vd. Appendice I.16 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 177O-176O): vd. Appendice I. Enrico di Gand, Summa, a. 1, q. 8, 156-157: Tertio modo principali ponendi angelum

docere hominem, operando scilicet circa nostrum phantasticum, triplex modus ponendi, quorum duo sunt impossibiles, tertius vero possibilis. Primus illorum est quod ipse an­gelus existens in organo phantasiae ostendit intellectui species ima ginabiles, non tamen imprimendo eas in phantasia, quales ipsa phantasia nata est eidem ostendere, ut ab eis abstrahantur species intelligibiles per quas intelligat, et sic per illas angelus hominem do­ceat. Quod est omnino impossibile, quia talis species imaginabilis non est nata fieri nisi ab obiecto sensibili et in organo corporali. Et cum hoc si ab alio nata esset fieri per se sub­sistens, non tamen ab ea intellectus abstraheret species intelligibiles, quia non est natus abstrahere eas nisi a speciebus existentibus in phantasmate, quae se habent ad intellectum sicut colores ad visum, ut vult Philosophus in III De anima.

17 Aristotele, De anima, III, 7, 431a 14-17: Nell’anima razionale le immagini sono presenti al posto delle sensazioni, e quando essa afferma o nega il bene o il male, lo evita o lo persegue. Perciò l’anima non pensa mai senza un’immagine.

Aristotele, De anima, III, 8, 432a 9: Infatti le immagini sono come le sensazioni, tranne che sono prive di materia.

18 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 177O): vd. Appendice I.19 Aristotele, De anima, III, 8, 431b 28 - 432a 1: tali facoltà devono essere identiche o alle

cose stesse o alle loro forme. Ora non sono identiche alle cose stesse, poiché non è la pietra che si trova nell’anima, ma la sua forma.

20 Si è scelto volontariamente di lasciare il termine in latino.21 Enrico di Gand, Quodl. V, q. 14 (f. 176K): vd. Appendice I.22 Enrico di Gand, Summa, a. 58, q. 2 ad 3: vd. nota 7. Enrico di Gand, Quodl. IV, q. 8 (f. 97L): Cum haec fuerit formata, erit creatura quae

formabilis fuit, ut nihil iam desit eius formae ad quam pervenire debet. Ecce expressa sententia Augustini quid appellet verbum, quoniam formatam notitiam in intelligentia de re cuius notitiam habemus in memoria. In qua notitia intelligentiae est duo considerare: scilicet ipsum noscendi, sive intelligendi, sive cogitandi in actum, et id quo informatus.

23 Agostino, De trinitate, XV, 10.19: Chiunque perciò può comprendere che cosa sia il verbo, non soltanto prima che risuoni al di fuori, ma anche prima che il pensiero si occupi delle immagini dei suoni (questo verbo infatti non appartiene ad alcuna lingua, a nessuna di quelle che chiamano “lingue delle genti”, tra le quali c’è anche la nostra lingua latina); chiunque, dico, può comprendere che cosa sia il verbo, può già vedere, per mezzo di questo specchio ed in questo enigma una certa somiglianza di quel Verbo di cui è detto: In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio. Infatti quando diciamo il vero, cioè ciò che sappiamo, è necessario che nasca dalla scienza che con-serviamo nella nostra memoria un verbo che sia pienamente della stessa specie della scienza da cui è nato. Il pensiero che si è formato a partire da ciò che già sappiamo è il verbo che pronunciamo nel cuore: verbo che non è né greco, né latino, che non appartiene ad alcun’altra lingua; ma quando c’è bisogno di portarlo a conoscenza di coloro ai quali parliamo, si fa ricorso a qualche segno che lo esprima. tale segno è nella maggior parte dei casi un suono, talvolta è un gesto; il primo si dirige agli orecchi, il secondo agli occhi, affinché per mezzo dei segni corporei venga fatto conoscere anche ai sensi corporei il verbo che portiamo nello spirito. Perché anche il fare un gesto, che altro è se non parlare, in qualche modo, visibilmente? Nelle Sacre Scritture si trova una

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prova di questa affermazione; infatti nel Vangelo secondo Giovanni si legge: In verità, in verità vi dico, uno di voi mi tradirà. I discepoli allora si guardarono l’un l’altro, non sapendo a chi volesse alludere. Ma uno dei suoi discepoli, quello da Gesù prediletto, stava appoggiato presso il petto di lui. A questo fece cenno Simon Pietro e gli disse: Chi è quello di cui parla? Ecco, Pietro esprime con un gesto ciò che non osa dire con le parole. Ma questi segni corporei ed altri di questo genere sono diretti agli orecchi o agli occhi dei presenti con i quali parliamo. La Scrittura invece è stata inventata anche per permetterci di comunicare con gli assenti, ma le lettere scritte sono segni delle parole, mentre le parole nella nostra conversazione sono segni delle cose che pensiamo.

Note

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tERzA qUEStIONE

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tAVOLE RIASSUNtIVE

quale, tra intelletto e oggetto, è la causa principale dell’atto conoscitivo?

OGGEttO

tESI ANtItESI

Motivazione Auctoritatescitate Motivazione Auctoritates

citate

1 Muove senza essere mosso. Aristotele,De anima, III, 433b 11-12.

L’oggetto muove senza essere mos-so, ma si tratta di un motore secon-dario, mentre l’intelletto in uno dei due movimenti (agente, possibile) muove senza essere mosso dall’og-getto che con lui coopera all’intelle-zione.

2 Determina maggiormente l’atto co-noscitivo.

Una causa più perfetta assimila l’ef-fetto di più di una causa inferiore, sebbene essa sia più prossima.

3 È causa dell’abito conoscitivo e del-l’unità della scienza.

L’oggetto permette determina l’u-ni tà della scienza cui si riferisce. tut tavia l’intelletto permette di ri-condurre a ciò che è primo in modo semplice, visto che determina l’uni-tà degli effetti.

INtELLEttO

1 Ha capacità illimitata nel causare.

2 È completamente libero.

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tEStO

3. QuaLetrainteLLettoeoggettoèLacausaprincipaLe

DeLL’attoconoscitivo?

(554) A proposito del confronto tra queste due cause parziali [intelletto e og-getto], che causano la conoscenza generata, mi domando se la causa principa-le sia l’oggetto in sé, la specie presente, o la parte intellettiva stessa del l’anima.

3.1. L’oggetto è la causa principale

3.1.1. Muove senza essere mosso

E che sia l’oggetto lo dimostro, per il fatto che ciò che muove senza essere mosso è superiore rispetto a ciò che è mosso e muove, come risulta chiaro per tutte le cause ordinate in modo essenziale. Ora l’oggetto muove senza essere mosso, come scrive il Filosofo nel III libro del De anima, mentre l’in-telletto non muove se non è mosso, dunque, ecc. 1.

3.1.2. Determina maggiormente l’atto conoscitivo

(555) In secondo luogo, l’agente assimila a sé l’effetto, dunque è l’agente principale quello che lo assimila maggiormente; l’atto si assimila prevalen-temente all’oggetto piuttosto che all’intelletto; dunque, l’oggetto è l’agente principale.

3.1.3. È causa dell’abito conoscitivo e dell’unità della scienza

(556) In terzo luogo l’unità della scienza è stabilita a partire dall’unità dell’og-getto che virtualmente la racchiude, mentre tale capacità di contenimento ri-spetto all’abito non è attribuita all’intelletto. Dato che contenere virtualmente spetta a una causa attiva, la causa principale di quell’abito sarà l’oggetto e non l’intelletto, e se l’oggetto è la causa dell’abito conoscitivo, lo è anche dell’atto.

Obiezione

(557) In opposizione a questo terzo argomento va detto che, quanto più una cosa è attuale, formale e perfetta, tanto più è attiva. Perciò l’anima, che

Testo

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Terza questione

è la forma più attuale tra le molte altre cause cooperanti, sarà più attiva, e così quando coopera con altre cause nell’agire, essa sarà l’agente principale.

(558) Inoltre, a un ente relativo non spetta di essere un atto semplice, ma quando possiede tale essere relativo grazie a un altro ente semplice, allora il ruolo attivo principale spetta all’ente semplice, se quest’ultimo è in qualche modo attivo rispetto a quello. Ora, l’oggetto, conosciuto da noi in modo naturale, possiede un essere in relazione soltanto nel nostro intelletto, a cau-sa dell’essere semplice della sua parte intellettiva, in quanto l’oggetto in essa è come il conosciuto nel conoscente. Dunque la causa principale dell’azio-ne, rispetto alla quale due cose cooperano, non sarà l’oggetto che ha un essere di questo genere, ma la parte intellettiva, grazie alla quale l’oggetto ha tale essere.

3.2. L’intelletto è la causa principale

3.2.1. Ha capacità illimitata nel causare

(559) Rispondo. Sembra che la parte intellettiva sia la causa principale ri-spetto agli atti di intellezione che ci sono propri naturalmente. In primo luogo perché quando una delle cause ordinate è indeterminata rispetto a molti effetti, ed è come illimitata, mentre un’altra è determinata al massimo della sua capacità rispetto a un effetto particolare, è la causa più illimitata e universale a essere la più perfetta e principale (si veda l’esempio del sole e della generazione da parte delle cose particolari). Anche l’intelletto ha una capacità pressoché illimitata e indeterminata rispetto a tutte le intellezio-ni, mentre gli oggetti da noi conosciuti naturalmente hanno una capacità determinata rispetto a intellezioni determinate e relative a essi, e questo al massimo della sua capacità, come qualunque oggetto rispetto alla sua intellezione, dunque, ecc.

3.2.2. È completamente libero

(560) In secondo luogo, perché è causa principale quella con cui si agi-sce, mentre un’altra causa coopera, e non accade mai l’inverso. quando il nostro intelletto agisce per giungere a un atto di intellezione, l’oggetto presente in sé o in una specie coopera: infatti conoscere è in nostro potere in quanto noi conosciamo quando vogliamo, come si dice nel II libro del De anima  2. La ragione principale non è dunque la specie – che è forma

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naturale – ma l’intelletto, con cui possiamo utilizzarla quando vogliamo. All’azione dell’intelletto che è la principale, fa seguito l’azione della specie che per natura agisce sempre in modo uniforme.

(561) tuttavia qualche oggetto, che eccede di molto il potere della parte in-tellettiva, per esempio l’oggetto beatifico, quando sia visto in modo chiaro, si può ritenere abbia una causalità completa nei confronti della visione, o sia causa principale rispetto alla parte intellettiva. questo avviene per l’ec-cellenza di tale oggetto e per la debolezza della parte intellettiva, ma di ciò si parlerà nel quarto libro.

(562) tuttavia per quanto riguarda gli oggetti che conosciamo in modo na-turale, sembra essere vera la prima parte della risposta. Pare infatti che per l’intellezione delle cose che conosciamo in modo naturale, la specie presen-te nell’intelletto costituisca in qualche modo uno strumento dell’intelletto stesso, mosso ad agire dall’intelletto non come se la specie ricevesse qual-cosa dall’intelletto, ma nel senso che l’intelletto se ne serve in vista della sua azione: quando l’intelletto agisce, la specie – in qualità di agente meno principale – coopera in vista di un medesimo effetto comune.

3.2.3. “L’oggetto è la causa principale?” – Analisi degli argomenti

3.2.3.1. “L’oggetto muove senza essere mosso” – Risposta

(563) Per quanto riguarda il primo argomento, dico che duplice è l’atto dell’intelletto rispetto agli oggetti che non ha presenti in sé, quali sono quelli che conosciamo in modo naturale: il primo atto è la specie, per mez-zo della quale l’oggetto è presente, in quanto oggetto, all’atto intelligibile; il secondo atto è l’intellezione in atto e, in relazione a entrambi gli atti, l’in-telletto opera senza essere mosso dalla causa parziale che coopera con lui a quell’azione, nonostante un atto dell’intelletto preceda il suo movimento verso l’altro atto. Per quanto riguarda il primo atto, l’intelletto agente ope-ra con l’immagine, e in questo caso l’intelletto agente costituisce la causa principale nei confronti dell’immagine, ed entrambi formano insieme una causa totale rispetto alla specie intellegibile. Per quanto riguarda il secondo atto, operano la parte intellettiva (l’intelletto agente o l’intelletto possibile, non mi interessa per il momento) e la specie intelligibile come fossero due cause parziali, e in questo caso la parte intellettiva non è mossa dalla specie, ma muove per prima, cioè agisce come se fosse la specie a cooperare con essa.

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Terza questione

NOtE

1 Aristotele, De anima, III, 433b 11-12: (…) ciò che muove sarà specificamente unico, ossia la facoltà appetitiva in quanto tale (e anzitutto l’oggetto della tendenza, poiché questo muove senza essere mosso, per il fatto di essere pensato o immaginato), mentre numericamente i motori saranno molteplici.

2 Aristotele, De anima, II, 417b 24: Pertanto il pensare dipende dal soggetto, quando lo voglia, mentre il percepire non dipende da lui, giacché è necessaria la presenza del sensibile.

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qUARtA qUEStIONE

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Quarta questione

tEStO

4. neLLamenteumanaesisteinmoDoDistinto

un’immagineDeLLatrinità?

(569) Infine, per quanto riguarda questa distinzione che ha per oggetto l’im magine, mi domando se nella mente vi sia chiaramente un’immagine del la trinità.

4.1. Nella mente umana non esiste in modo distinto un’immagine della Trinità

4.1.1. La conoscenza naturale andrebbe oltre le proprie possibilità

Ritengo non vi sia, perché l’immagine rappresenta di cui è immagine, per-tanto la mente dovrebbe rappresentare distintamente la trinità e questo è falso. Lo si dimostra, da una parte, perché, se così fosse, con la conoscenza naturale si potrebbe cogliere la trinità, dopo che sia stata conosciuta dalla mente in modo naturale; dall’altra parte perché nessuna creatura, nel com-piere un atto di rappresentazione, eccede la perfezione della sua idea. Ora l’idea della mente non può rappresentare Dio in quanto trino, perché idea di Dio in quanto causa e Dio causa in quanto uno.

4.1.2. La mente umana non possiede alcune nozioni indispensabili alla rappresentazione

(570) Inoltre, nella mente umana non c’è nulla che rappresenti una persona piuttosto che una’altra, pertanto la mente nella sua totalità non può rap-presentare la trinità nella sua interezza. Nel capitolo VII del XV libro del De trinitate, Agostino scrive che il Padre è memoria, intelligenza e volontà, ecc.  1; di conseguenza il Padre è formalmente intelligenza e volontà così come memoria, e lo stesso vale per il Figlio. Perciò la memoria non rappre-senta il Padre più distintamente di quanto rappresenti il Figlio.

4.1.3. L’immagine non ha in sé l’idea di “produzione”

(571) In terzo luogo, nella trinità due persone sono prodotte, mentre nel-l’immagine nulla è prodotto, come dimostrerò. Di conseguenza l’immagine

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non è rappresentativa del processo di produzione. Nell’anima non vi sono se non atti primi o atti secondi. Gli atti primi non si generano tra loro, in quanto sono creati simultaneamente all’anima stessa. Ma neppure gli atti secondi sono generati. Non si dà l’azione di un’azione, né in quanto sog-getto, né in quanto termine – secondo quanto scrive il Filosofo nel V libro della Fisica –, perché, se così fosse, si avrebbe un processo all’infinito 2. Di conseguenza non si dà un’azione di cui questi atti secondi costituiscano i termini generativi, dal momento che essi sono formalmente azioni. Essi so-no infatti atti secondi e non primi, ma se non fossero azioni, sarebbero atti primi.

(572) Inoltre, gli atti secondi generano gli abiti; l’azione, per mezzo della quale si genera una forma, è un’azione che appartiene al genere delle azio-ni; dunque ecc.

4.2. Nella mente umana ci può essere un’immagine distinta della Trinità

(573) In opposizione a quanto sostenuto in precedenza, Agostino scrive, nel XIV libro del De trinitate al capitolo VIII che bisogna cercare e trovare l’immagine dove la nostra natura non ha nulla di superiore 3.

4.3. Nella mente umana ci può essere un’immagine distinta della Trinità. Aspetti equivoci

(574) In primo luogo bisogna capire quale sia il significato di immagine nel-le cose corporee, per cui il vocabolo è stato adattato a quanto ci si propone di analizzare; in secondo luogo, bisogna capire rispetto a che cosa nella trinità si dia immagine; in terzo luogo, bisogna sapere in che cosa consista l’immagine che è in noi.

4.3.1. Immagine: ambiguità di significati

(575) Per quanto riguarda il primo interrogativo - come è stato detto nella questione riguardante il vestigio – ritengo che l’immagine sia rappresentati-va dell’intero, e in questo si differenzia dal vestigio, che è rappresentativo di una parte. Se infatti un corpo nella sua interezza lasciasse un’impronta nel-la polvere, così come la lascia un piede, si avrebbe l’immagine dell’intero, così come l’orma di un piede è immagine di una parte e vestigio dell’intero.

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Quarta questione

NOtE

1 Agostino, De trinitate, XV, 7.12: Ecco dunque che quelle tre perfezioni: la memoria, l’intelligenza, la dilezione o volontà, in quella suprema ed immutabile essenza che è Dio, non sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma il Padre solo. E poiché anche il Figlio è sapienza generata dalla sapienza, come non è il Padre che comprende per lui, non è nemmeno lo Spirito Santo che comprende per lui, ma egli stesso per se stesso; così pure non è il Padre che ricorda per lui, né lo Spirito Santo che ama per lui, ma lui per se stesso; egli infatti è la sua propria memoria, la sua intelligenza, il suo amore, ma che egli sia tale gli proviene dal Padre, da cui è nato. Anche lo Spirito Santo, poiché è sapienza che procede dalla sapienza, non ha il Padre come memoria, il Figlio come intelligenza e se stesso come amore; infatti non sarebbe nemmeno sapienza, se qualche altro ricordasse per lui e un altro comprendesse per lui ed egli stesso soltanto amasse per se stesso, ma anch’egli ha queste tre perfezioni e le possiede in tal modo, che è egli stesso tali perfezioni.

2 Aristotele, Physica, V, 2, 225b 15-16: (…) Difatti, anzitutto, ci potrebbe essere movi-mento di un movimento (…).

3 Agostino, De trinitate, XIV, 8.11: Sebbene infatti lo spirito umano non sia della stessa natura di Dio, tuttavia l’immagine di quella natura che è superiore ad ogni altra deve essere cercata e trovata presso di noi, in ciò che la nostra natura ha di migliore.

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APPENDICE IEnrico di Gand, Quodlibet V, quaestio 14

f. 174tSequitur quaesita ad cognitionem angeli pertinentia. Et erant duo. Pri-mum. Utrum intellectus angeli intelligit res alias a se per suam essentiam, an per rerum similitudines, an per praesentiam quiditatum earum. Secun-dum: utrum unus angelus possit aliquid de novo cognoscere per operatio-nem illuminationis aut locutionis alterius angeli circa ipsum. Circa primum arguitur quod angelus non conoscit res alias a se per suam essentiam, quia hoc soli Deo convenit, nec per species rerum ei impressas, quia aut per illas intelligit eas actualiter, aut in potentia tantum. Si primo modo, tunc angelus necessario semper et in actu simul omnia alia a se intelligeret, quod falsum est. Si secundo modo, tunc intelligeret alio transmutante ut exeat de potentia in actum et esset quaerere quod sit illud et quod faceret in in-tellectu ad actum intelligendi quod non posset facere sine specie; nec esset assignare quid, nec per praesentiam quiditatum ipsarum rerum, quia tunc non intelligeret non entia, quod falsum est. Praeterea quia res illae omnino non sunt, agere non possunt. Contra. Non est alius intelligendi modus aut ergo angelus nihil omnino intelligit: aut aliquo dictorum trium modorum intelligit.

f. 174VIn dissolutione huius quaestionis non est difficultas alia quam illa quae tractata est in argumento, quo scilicet agente intellectus de potentia intelli-gente fiat actus intelligens. Et propter fugam huius difficultatis, non prop-ter notitiam alicuius causalitatis quam species sive similitudo rei intellectui impressa operaretur in intellectu ad actum intelligendi: introducta est opi-nio de ipsis speciebus intelligibilibus impressivis. Unde ostendendum est quod huiusmodi species, si ponantur, non operantur ad eliciendum actum

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Appendice I

intelligendi, ut propter ipsum non oporteat eas ponere; immo etiam ipsis positis oportet ponere aliud motivum ad eliciendum actum intelligendi, quod etiam sine ipsis aequaliter natum est ipsum elicere et cum ipsis. quo investigatio patebit quod omnino frustra et otiosum sit ponere illas et es-se similiter si sunt. quare cum non sit ponere aliquod esse frustra in fun-damento naturae et creaturae: nullo igitur modo ponendum est in virtute intellectiva esse aliquas huiusmodi species. quod intellectus separatus ex se absque omni informatione speciei possit in actum intelligendi, arguitur sic. Si ad actum intelligendi indigeat specie qua informetur: aut ergo prop-ter rationem intellectivi in ipso, ut sine ipsa intellectivum quod consistit in essentia angeli, nullo modo ex se sufficit ut actu intelligat, sicut neque for-ma substantialis ignis ut ignis calefaciat, nisi informetur forma caloris. Aut requiritur propter rationem intelligibilis, quia oportet quodammodo esse unum in actu intelligens et intellectus et intelligibile non inest ei, neque illabitur per suam essentiam. Oportet ergo quod insit ei per suam speciem. Non primo modo, quoniam eius quod aliquid sit intellectivus et intelligibile una ratio communis est, scilicet quod sit forma separata a materia. Cum ergo separatum a materia quantum est ex se, intelligibile est secundum ac-tum absque omni alio informante quod sit ratio in eo qua actu intelligatur, separatum ergo a materia consimiliter quantum est ex se, est intellectivum secundum actum absque omni alio informante quod sit ratio in eo qua actu intelligat. Praeterea tunc nullum intellectivum omnino intelligere posset ni-si specie illius informatus: sicut nec ignis non informatus calore calefacere posset, consequens falsum est quia ut alias ostendimus, deum intellectuali-ter videt et intelligit absque omni informatione alicuius speciei.

f. 174XPraeterea seipsum intelligit absque omnis speciei informatione quam de se habeat. Ex parte ergo intellectivi inquantum intellectivum non requiritur species in ipso.

f. 174Yquod similiter neque ex parte intelligibilis, ut per ipsam presens sit intel-ligenti et quodammodo unum cum ipso constituat, quoniam praesentia in-telligibilis non requiritur in intelligente ad actum intelligendi nisi tamquam obiecti actu intellecti ex sua praesentia. Unde quia ipsa essentia angeli sem-per praesens est intellectui angeli in ratione obiecti et similiter ea quae per essentiam sunt in ipso, non requiritur species ut fiat unum ex intelligibili et intellectu tamquam ex cognoscente et cognito, non autem tamquam ex materia et forma et sit intellectus in intellectu ut in intelligente, non autem

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APPENDICE IIGoffredo di Fontaines, Quodlibet IX, quaestio 19

Utrum intelligere fiat in recipiendo speciem aliquam

Deinde circa pertinentia ad statum hominis quasi indifferentem, quia non importantem meritum nec demeritum, quaerebantur duo pertinentia ad perfectionem intellectus. Primum est utrum intelligere fiat in recipiendo speciem aliquam, sive sit aliqua species impressa intellectu, vel sit actio quae sit exercita per illam speciem. Secundum est utrum inter scientias, quibus perficitur intellectis, magis proprie debet dici scientia ipsa scientia philosophica naturalis vel scientia theologiae.

Ad primum arguitiir quod intelligere nostrum solum consistit in re-ceptione speciei et non in actione exercita quia intellectus est quaedam potentia passiva; perfectio autem potentiae passivae consistit in receptione alicuius. Sibi impressi, et non in actione exercita; ergo et cetera.

Contra. Secundum Philosophum, nono Metaphysicae, intelligere est ac tio manens intra; ergo est actio.

Respondeo. Dicendum quod videtur aliquibus quod virtute obiecti nec species nec actus intelligendi fiunt in intellectu, sed ipse intellectus habet es-se in actu intelligendi se ipso, si adsit obiectum huiusmodi sui actus. Omni formae enim debetur aliqua actio; intellectus autem quaedam forma est; ergo aliqua actio ei debetur. Hoc autem non videtur nisi intelligere. quare; et ce-tera. Et hoc declaratur per simile. Cum enim alia entia imperfectiora habeant formas secundum quas se ipsis sunt in actu primo, scilicet semper, et secun-do etiam si adsit obiectum vel materia talis actionis, puta ignis semper est calidus actu primo, quo scilicet secundum se calet; et ex hoc etiam semper est; in actu secundo, scilicet calefaciendi si adsit materia; quae quidem mate-ria vel obiectum talis actionis ad hoc quod ignis sic in huiusmodi actu nihil penitus. Facit in ipsum ignem, sed ignis per primum suum actum hac materia

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Appendice II

praesente exit in hunc secundum actum. Ita etiam videtur in proposito, quod intellectus secundum se sit aliqua res et natura secundum formam et actum, secundum quem semper est in suo actu primo, et etiam ex se ipso ex huius-modi actu primo nata est exire in actum secundum, qui est intelligere in actu praesente obiecto non quidem ut agente aliquid in ipsum intellectum, sed ut id in quod terminatur actio intellectus. Et secundum hunc modum ponendi posset dici quod, licet obiectum sic per se nihil faciat in intellectu, est tamen ut causa sine qua non fit ipse actus intelligendi; nec respectu alicuius in intel-lectu habet rationem causae ut sine qua non nisi respectu ipsius actus et non alicuius alterius speciei quae ad actum ipsum requiratur, quia ad hoc sufficit ista actualitas intellectus secundum quam est secundum se in actu suo primo. Et secundum istos intelligere non est species aliqua proprie dicta ad modum alicuius qualitatis per modum inhaerentis et informantis se habens, nec etiam ad ipsum intelligere requiritur aliqua alia species vel forma ultra actualitatem naturalem ipsius intellectus, sed est intelligere actio exercitas.

Sed videtur inconveniens quod intelligere sit actio sic procedens ab intellectu et in intellectu per se nihil agente obiecto respectu intellectus. Cum enim intellectus possibilis de se sit in potentia ad actum intelligendi, nullo modo videtur quod possit se ipsum reducere in actum intelligendi hoc intelligibile vel illud, nisi aliquid fiat in actu virtute cuius possit pro-silire in talem actum intelligendi. Oportet. Ergo quod ab intelligibili fiat ipsum intelligere in intellectu vel saltem aliqua forma et species mediante qua intellectus factus in actu secundum illam, possit in se ipso producere actum intelligendi. Primum autem, scilicet quod intellectus fiat de poten-tia intelligente. actu intelligens absque hoc quod fiat in ipso. aliqua forma vel species rei intelligibilis, non videtur aliquibus ponendum; quia, cum se-cundum Philosophum, nono, Metaphysicae, duplex sit actio, oportet quod utraque fiat secundum aliquam formam. Et sicut forma, secundum quam provenit actio tendens in rem exteriorem, est similitudo obiecti actionis, ut calor calefacientis est similitudo calefacti, similiter forma secundum quam provenit actio manens in agente est similitudo obiecti unde similitudo visi-bilis est secundum quam visus videt et similitudo rei intellectae, quae dici-tur species rei intelligibilis, est forma secundum quam intellectus intelligit; et secundum hoc esset dicere quod intelligere est actio exercita. Sed ad hoc quod possit elici; ab intellectu, requiritur aliqua species impressa. Sed nec praedictus primus modus nec iste secundus videtur conveniens, quia illud, ex quo videtur accipi probatio primi dicti, tenet in actionibus transeuntibus extra et non perficientibus formaliter illa quae denominant ut agentia, sci-licet quod agens talem actionem debet esse secundum se perfectum secun-dum aliquam formam qua habeat esse in actu quasi primo, ut dictum est,

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Goffredo di Fontaines, Quodlibet IX, quaestio 19

et qua natum est esse in actu secundo non per hoc quod illud; quod ad hoc requiritur, aliquid agat in ipsum, sed quia est una causarum per se quae ad huiusmodi actionem requiruntur scilicet causa materialis in quam talis actio ut eius perfectio recipiatur. Unde lignum non est causa sine qua non ipsius calefactionis, sed causa per se materialis et ignis causa effectiva calefactionis non in se, sed in alio; unde ex hoc quod ignis actu calefacit sive ex calefac-tione quam efficit non consequitur aliquam perfectionem absolutam, sed solum relationem ad passivum in quo realiter est ipsa calefactio perfectio absoluta ab ipso igne effective causata. Sed non est ita in proposito, quia ipse actus intelligendi non est, actus transiens ab intellectu in obiectum, sed potius e converso; est enim intelligere motus rei ad animam. Cum ergo intellectus est in potentia, ad actum intelligendi ut est res et perfectio abso-luta ipsum intellectum ut subiectum perficiens, cum huiusmodi actio fit in actu, oportet hoc fieri aliquo alio agente. Non enim potest dici, sicut prius, quod fit in ipso se ipso agente, praesente tamen obiecto ut causa sine qua non ratione praedicti exempli, quod magis est in contrarium. Item dictum istud in se est irrationabile, scilicet quod aliquis existens vere impotentia ad aliquem actum, quo debet simpliciter perfici, habeat esse in illo et non ali-ter nisi praesente aliquo et tamen illud nihil omnino efficiat ad hoc, quia ex quo nihil facit unum in alterum, qualis cumque praesentia illorum non plus facit vel est necessaria respectu illius actus absoluti quam eorum absentia; ex quo cum praesentia sunt nulla est habitudo eorum ad invicem secundum rationem agendi et patiendi. Unde si hoc commune dictum aliquorum de causa sine qua non possit habere locum, hoc non potest esse in entibus absolutis et secundum se perfectis, sed aliquo modo in relativis. Nam Sorte existente albo et Platone existente nigro, si Plato fiat albus, Sortes fit rea-liter de non simili similis, et tamen nihil iactum est per se in Sorte ex hoc quod Plato est, realiter transmutatus. Sed in his quorum entitas non est in uno praecise, scilicet in relativis, est ratio specialis, ut alibi tractatur. Item si hoc dicatur de intellectu, dicetur etiam de sensu, sicut etiam isti dicunt. Immo, sicut alias dixi in alia materia, scilicet circa voluntatem, hoc poterit dici de quocumque alio passivo quod se ipsum reducit de potentia ad ac-tum, puta: aer tenebrosus ratione suae diaphaneitatis est sic in actu primo secundum esse lucidum quod praesente sole et nihil in ipsum agente faciet se ipsum lucidum in actu secundo et dicetur lucens vel lucidus.

Item, quia ad evitandum ista, dicitur in secunda positione quod obiec-to agente fit similitudo eius in intellectu et intellectus secundum illam fac-tus in actu elicit actionem intelligendi, non videtur bene dictum, tum quia non potest poni ratio propter quam talis species, ut est aliquid aliud realiter ab actu intelligendi, ab obiecto fiat intellectus; tum quia etiam si fieret in

Colli Andrea - Selogna Chiara
Fantasia, immaginazione e conoscenza
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