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L’AZIENDAPROF. GIANCARLO LAURINI

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 NOZIONE E NATURA GIURIDICA -------------------------------------------------------------------------------------- 3

2 IL TRASFERIMENTO ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5

3 GLI EFFETTI DEL TRASFERIMENTO --------------------------------------------------------------------------------- 8

4 L’USUFRUTTO E L’AFFITTO DELL’AZIENDA -------------------------------------------------------------------- 15

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1 Nozione e natura giuridica

Il codice civile, all’art. 2555, definisce l’azienda come “il complesso dei beni organizzati

dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.

Il legislatore dunque, nel fornire tale definizione, fa riferimento all’organizzazione non solo

dei beni, ma anche dei servizi, indispensabili per l’esercizio di un’attività imprenditoriale, della

quale sono complementari.

I beni e i servizi utilizzati nell’azienda, pur avendo natura eterogenea (in quanto oltre ai

beni fisicamente tangibili, si considerano parte dell’azienda anche i diritti economicamente

rilevanti) devono essere considerati come un’unica entità economica e un abile organizzazione di

tali beni e servizi, che consente di realizzare un valore complessivo maggiore rispetto a quello dei

beni singolarmente considerati.

Si tratta del cd avviamento, che costituisce un vero e proprio valore aggiunto dell’azienda,

che è tanto maggiore quanto più vasta è la clientela la quale, a sua volta, è indicativa della

produttività dell’impresa. Il concetto abbraccia l’avviamento oggettivo e l’avviamento soggettivo: il

primo si riferisce al maggiore valore intrinseco dell’azienda, come, per esempio, la posizione

particolarmente vantaggiosa di un locale; il secondo, invece, si riferisce esclusivamente

all’imprenditore e alla sua capacità personale di sviluppare l’impresa.

Le norme a tutela dell’avviamento commerciale, quelle cioè volte alla salvaguardia

dell’azienda, si pongono, tra l’altro, l’obiettivo di agevolare l’imprenditore nella conservazione

dell’immobile in cui viene esercitata l’attività aziendale, concedendo un diritto di prelazione

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all’imprenditore locatario, riconoscendogli un diritto all’indennizzo a carico del locatore se, a causa

della perdita dell’immobile, subisce anche una perdita della clientela.

Da questa normativa balza evidente che l’azienda, entità economicamente rilevante, è

tutelata sia per evitar di limitarne la polverizzazione, sia per agevolarne la circolazione.

Quanto alla natura giuridica dell’azienda, secondo alcuni i singoli beni che la compongono

vanno sempre considerati autonomamente e, come tali sono oggetto di diritti, rilevando il

collegamento aziendale solo ai fini economici e non giuridici (teoria atomistica). Secondo altri

invece, quel collegamento ha anche rilevanza giuridica, fino al punto da rendere l’azienda oggetto

autonomo di diritti (teoria organica).

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2 Il trasferimento

Il trasferimento dell’azienda è regolato dall’art. 2556 c.c., e dalla legge 12 agosto 1993, n.

310.

La necessità dell’atto scritto vige solo con riferimento agli accordi che comportano il

trasferimento o il godimento di complessi aziendali relativi a imprese soggette a registrazione.

A seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 310/1993, il co. 2 dell’art. 2556 c.c.

sancisce il regime pubblicitario dell’atto di trasferimento o di concessione in affitto richiedendone,

ai fini della sua opponibilità ai terzi, la forma pubblica o la scrittura privata autenticata,

condizione indispensabile per l’iscrizione nel registro delle imprese a cura del notaio rogante o

autenticante. I contratti di cessione dell’azienda sono soggetti a iscrizione nel registro delle

imprese in cui è iscritto l’imprenditore alienante ovvero concedente in affitto, nel termine di trenta

giorni dalla loro definizione, nella sezione ordinaria.

In base a quanto disposto dall’art. 2557 c.c., chi aliena l’azienda deve astenersi, per il

periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che, per l’oggetto,

l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta (divieto di

concorrenza). Le parti possono comunque concordare, nell’esercizio dell’autonomia contrattuale,

limiti più stringenti per il cedente rispetto a quelli sopra richiamati, purché tali patti non determinino

per lui la sostanziale impossibilità di esercitare una qualsiasi attività professionale.

Inoltre, non è possibile prolungare gli effetti dell’accordo oltre il limite dei cinque anni

dalla data del trasferimento dell’azienda. E, se nel patto è indicata una durata maggiore o la durata

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non è stabilita, il divieto di concorrenza vale comunque per il periodo di cinque anni dal

trasferimento.

Le sopra indicate disposizioni in materia di divieto di concorrenza trovano applicazione

anche in riferimento al nudo proprietario che ha costituito l’usufrutto sull’azienda e al soggetto

(proprietario o usufruttuario) che la dà in affitto.

Anche nel caso in cui la clientela e l’avviamento si consolidino bene prima del termine

legale, il divieto di concorrenza non viene meno. Ciò per non vanificare l’esigenza di certezza insita

nella norma.

Il divieto non trova comunque applicazione qualora, prima del quinquennio, termini

definitivamente l’esercizio dell’impresa esercitata con l’azienda trasferita.

Le predette pattuizioni possono essere contenute nell’ambito del contratto con cui si realizza

il trasferimento dell’azienda, ovvero essere sottoscritte separatamente; ma anche in quest’ultimo

caso è necessario che dette pattuizioni risultino per iscritto (ad probationem) e non eccedano la

durata di cinque anni, conformemente al disposto dell’art. 2596 c.c.

Il divieto di concorrenza opera solo per i contratti di trasferimento dell’azienda che abbiano

per oggetto attività commerciale, escludendo così tutte le attività agricole, ma trova la sua

applicazione se, oltre a questa, è previsto anche lo svolgimento di un’attività di trasformazione e

commercializzazione della produzione agricola.

L’art 2557 c.c. non dispone alcunché in merito alle conseguenze che derivano dall’eventuale

violazione del divieto di concorrenza, nonché delle pattuizioni eventualmente inserite nel contratto.

Nel silenzio della legge il cessionario danneggiato potrebbe esercitare innanzitutto un’azione

inibitoria, al fine di ottenere la cessazione del comportamento “vietato” e un’azione risarcitoria

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per il ristoro del danno subito per lo stesso. Qualora poi l’inadempimento rivesta i connotati di

“importanza”, di cui all’art. 1445 c.c., potrebbe chiedere la risoluzione del contratto per

inadempimento contrattuale della controparte.

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3 Gli effetti del trasferimento

Il trasferimento dell’azienda ha come effetto anche la cessione di tutti i rapporti dell’attività

aziendale derivanti dalla collocazione sul mercato dei beni prodotti e dei servizi offerti.

Il legislatore, oltre a prevedere la disciplina riguardante il trasferimento dell’azienda quale

complesso unitario di beni, ha previsto una serie di norme volte a disciplinarne gli effetti:

a) sui crediti – L’art. 2559 c.c. prevede che i crediti dell’alienante siano trasferiti

automaticamente all’acquirente dell’azienda, con effetti verso i terzi dalla di annotazione nel

registro delle imprese del contratto di cessione dell’azienda. Cosi derogando a quanto

espressamente previsto dall’art. 1265

c.c. in tema di accettazione ovvero di notifica della cessione ai debitori.

L’art. 2559 c.c. pone, comunque, un temperamento a questa norma: il debitore il cui debito è

stato ceduto, è liberato anche se paga in buona fede all’imprenditore alienante, ignorando cioè

l’avvenuto trasferimento.

Il disposto dell’art. 2559 c.c. trova applicazione con riferimento a tutti i “crediti puri”, ossia

quelli non aventi a fronte alcun debito corrispettivo quali, ad esempio, i crediti di fonte

extracontrattuale, i crediti derivanti da contratti con prestazioni a carico del solo terzo contraente e i

crediti nascenti da contratti a prestazioni corrispettive, se l’alienante abbia già compiutamente

eseguito la propria prestazione.

Quando, invece, al credito si accompagna un debito per prestazioni corrispettive, ci si trova

nel diverso contesto disciplinato dall’art. 2558 c.c., in materia di successione nei contratti.

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Rientrano nella nozione di “crediti relativi all’azienda ceduta” non soltanto quelli di natura

pecuniaria, ma anche quelli aventi per oggetto il godimento o la consegna di cose, nonché la

prestazione di servizi.

Il trasferimento dal cedente al cessionario dei crediti relativi all’azienda costituisce un effetto

“automatico”, ancorché non necessario, della cessione d’azienda e l’automaticità è data dal fatto

che essa si verifica ipso iure, per il solo fatto del trasferimento dell’azienda, senza dunque la

necessità di una specifica indicazione nell’atto di cessione.

Di contro, le parti con un’esplicita previsione contrattuale, possono escludere dal

trasferimento al cessionario tutti o parte dei crediti relativi all’azienda, senza che ciò determini una

alterazione concettuale e giuridica dell’operazione di cessione dell’azienda.

Nei casi di crediti trasferiti unitamente al complesso aziendale, alla notifica o

all’accettazione della cessione del credito da parte del debitore deve intendersi equiparata la

registrazione dell’atto di cessione d’azienda nel registro delle imprese. Una volta che l’atto sia stato

iscritto nel registro delle imprese, infatti, il cessionario dell’azienda prevale su tutti gli eventuali

altri soggetti cui i medesimi crediti siano stati ceduti, qualora la notifica della cessione al debitore

da parte di tali “altri acquirenti” (o l’accettazione da parte del debitore con atto avente data certa)

sia successiva alla data di iscrizione dell’atto presso il registro imprese.

In ogni caso, come abbiamo già ricordato, il secondo periodo del co. 1 dell’art. 2559 c.c. fa

salva la liberazione del debitore qualora quest’ultimo paghi in buona fede il proprio debito al

soggetto che ha ceduto l’azienda.

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A parte quanto sopra detto, la cessione dei crediti effettuata nell’ambito della cessione del

complesso aziendale cui i crediti ineriscono, segue le stesse regole “generali” previste per le

ordinarie cessioni di crediti, di cui agli artt. da 1260 a 1267 c.c.

È appena il caso di sottolineare che le espresse pattuizioni contrarie (in ordine alla garanzia

dell›esistenza dei crediti ex art. 1266 c.c. e/o in ordine alla garanzia della solvibilità del debitore ex

art. 1267 c.c.) possono essere inserite nell’atto di cessione d’azienda solo con riferimento a

specifiche poste creditorie e non con riferimento alla generalità dei crediti.

b) sui debiti – L’art. 2560 c.c. disciplina la sorte dei debiti dell’azienda ceduta:

- il primo comma sancisce che l’imprenditore alienante continua a rispondere dei debiti,

anche se trasferiti insieme all’azienda, a meno che non risulti che i creditori abbiano acconsentito

espressamente al trasferimento e implicitamente abbiano dato il consenso alla liberazione del debito

così come previsto dall’art. 1273 c.c;

- il secondo comma prevede una responsabilità in solido dei debiti relativi all’azienda

commerciale anche per l’acquirente, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.

Le clausole del contratto di cessione di azienda che in merito al trasferimento delle passività

in capo al cessionario dispongono l’esonero del cedente dalla obbligazione hanno quindi una mera

efficacia “interna” tra le parti, nel senso che il cedente non è comunque liberato verso il terzo

creditore, salvo che questi vi abbia espressamente acconsentito.

Pertanto, il terzo creditore può agire per il soddisfacimento del proprio credito nei confronti

del cessionario che ha acquisito il complesso aziendale, cui il debito era strutturalmente e

funzionalmente connesso, anche se il credito risulta tra i debiti aziendali rimasti in capo al cedente.

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Se, viceversa, il suo credito non risulta dai libri contabili obbligatori, il terzo creditore può rivalersi

in via diretta esclusivamente sul cedente.

c) sui contratti – Si definiscono “contratti in corso di esecuzione” quei contratti a

prestazioni corrispettive in cui entrambe le parti non abbiano ancora dato esecuzione alle proprie

obbligazioni. Se invece una delle parti avesse adempiuto interamente a una delle prestazioni

previste, la disciplina si sposterebbe a quella prevista per i crediti e per i debiti di cui agli artt. 2559

e 2560 c.c.

In linea generale, il subentro di un soggetto terzo in un contratto non può avere luogo senza

il consenso degli altri contraenti. Tale principio generale viene tuttavia derogato allorché il subentro

nel contratto si realizza nell’ambito di un’operazione di cessione di azienda. Infatti l’art. 2558 c.c.

prevede in materia di subentro del cessionario d’azienda nei contratti stipulati dal cedente per

l’esercizio dell’impresa, una maggiore autonomia decisionale delle parti del contratto mediante il

quale viene trasferita l’azienda, a discapito del contraente ceduto, per il quale la possibilità di

opporsi alla cessione viene significativamente limitata.

Inoltre, atteso che, sempre nell’ambito del trasferimento di azienda, la disciplina della

successione nei contratti di cui all’art. 2558 c.c. risulta a sua volta derogata dalle norme “speciali”

previste in relazione a particolari tipologie di contratto, la successione del cessionario opera ex

lege (salvo differente pattuizione espressa tra le parti) per ciò che riguarda i contratti stipulati dal

cedente per l’esercizio dell’azienda, ma non in riferimento a quei contratti che hanno “carattere

personale”.

Si tratta di quella categoria di contratti, che trova la sua principale giustificazione in ragioni

non strettamente connesse al fine della gestione aziendale, ma piuttosto in ragioni personali, in cui

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la specifica rilevanza della persona ha un’importanza tale da determinare l’insostituibilità del

soggetto rispetto alle prestazioni contrattuali che dalle qualità specifiche del soggetto stesso

rimangono individuate.

Anche i contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni rimangono esclusi

dall’applicazione dell’art. 2558 c.c.

Le ragioni dell’esclusione operata dall’art. 2558 c.c. sono quindi riconducibili a esigenze di

tutela del terzo contraente, il quale altrimenti si troverebbe vincolato a rapporti contrattuali non

voluti.

Pertanto se il terzo contraente può recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del

trasferimento dell’azienda qualora sussista una giusta causa, se non vi fosse la sopra indicata

limitazione il terzo contraente risulterebbe meno tutelato rispetto alle diverse fattispecie relative alla

modificazione soggettiva delle parti contrattuali che si realizzano al di fuori del trasferimento di un

complesso aziendale.

Evidenziata la finalità della distinzione tra contratti aventi natura personale e contratti privi

di tale caratteristica, risulta facilmente comprensibile perché il carattere personale o meno del

contratto debba essere valutato esclusivamente sul fronte della prestazione dovuta dal cedente,

mentre a nulla rileva la natura personale o meno della prestazione dovuta dal contraente ceduto.

Salvo la previsione caso per caso, la giusta causa di recesso può essere fatta valere sia per

ragioni obiettive, sia per ragioni soggettive avente carattere personale.

Il recesso dal contratto, qualunque sia la causa, comporta un’incompiuta esecuzione del

contratto stesso, configurando un inadempimento da parte del cedente l’azienda. Il legislatore,

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quindi, anche se il recesso avviene successivamente al trasferimento dell’azienda, rende

responsabile l’alienante per il danno eventualmente subito dalla controparte recedente.

Particolare disciplina è prevista per i contratti di lavoro, per i contratti relativi ai consorzi,

quelli aventi per oggetto la cessione di diritti d’autore e, in modo particolare, quelli con oggetto la

locazione di immobili a uso commerciale.

Per quanto concerne la disciplina del subentro del cessionario di azienda nei contratti di

lavoro dipendente, la norma di riferimento è costituita dall’art. 2112 cc, la quale dispone che, in

caso di trasferimento dell’azienda, il preesistente rapporto di lavoro continua con l’acquirente: il

lavoratore, pertanto, conserva tutti i diritti che ha già acquisito in precedenza.

Le parti contraenti sono obbligate in maniera solidale relativamente a tutti i crediti che il

lavoratore aveva maturato fino al momento in cui si è verificato il trasferimento dell’azienda. Il

dipendente può liberare l’alienante dalle obbligazioni che derivano dal rapporto di lavoro soltanto

ricorrendo alle procedure di conciliazione. Per effetto del subentro nella gestione, il compratore è

obbligato ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi, anche se

di carattere aziendale, in vigore al momento del trasferimento dell’azienda. Il cedente (ovvero

l’affittante o il nudo proprietario nel caso di usufrutto) deve sottostare a particolari obblighi in

materia di informazione e se sono occupati più di 15 dipendenti, sia l’alienante sia l’acquirente sono

obbligati a darne comunicazione scritta.

L’obbligo di informazione deve essere rispettato almeno 25 giorni prima della data

convenuta per l’operazione.

Nella nozione di “contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda” si possono indicare quelli

aventi per oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all’imprenditore e da lui acquisiti

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per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale e i contratti di impresa, ossia quelli non aventi per

oggetto i beni aziendali, ma attinenti all’organizzazione dell’impresa stessa (quali, per esempio, i

contratti di somministrazione con fornitori, di assicurazione, di appalto e simili).

In tali contratti vanno ricompresi anche quelli collegati all’azienda in un momento

successivo a quello della loro conclusione. Si può infatti trattare di contratti originariamente

conclusi da un terzo e poi ceduti all’alienante dell’azienda, naturalmente prima del trasferimento di

questa, o di contratti stipulati dall’alienante, ma inizialmente non attinenti all’esercizio della sua

impresa.

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4 L’usufrutto e l’affitto dell’azienda

L’art. 2561 c.c. disciplina l’usufrutto di azienda, stabilendo che l’usufruttuario deve

esercitare l’impresa utilizzando la ditta che la contraddistingue e durante tutto il periodo di

godimento dell’azienda non deve cambiarla.

Egli deve garantire la continua efficienza dell’organizzazione, degli impianti e le normali

dotazioni di scorte, mantenendo inalterato il valore dell’avviamento e qualora non dovesse

rispettare gli obblighi di conservazione dei valori aziendali, è soggetto alla discipline dell’art. 1015

c.c. in tema di abusi da parte dell’usufruttuario.

L’ultimo comma dell’art. 2561 c.c. prevede che al termine dell’usufrutto, la eventuale

differenza tra gli elementi aziendali risultanti dall’inventario iniziale e quelli emergenti

dall’inventario finale venga regolata in denaro, sulla base dei valori correnti degli elementi

aziendali.

Le medesime norme relative all’usufrutto, secondo quanto stabilito dall’art. 2562 c.c.,

valgono anche per l’affitto dell’azienda.

Applicando quanto previsto dall’art. 1615 c.c. al caso di specie, con il contratto di affitto

d’azienda il concedente, a fronte del pagamento di un canone periodico, trasferisce in godimento

all’affittuario un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, nonché la relativa

gestione. Perché si possa parlare di affitto d’azienda, non è necessario che al momento della

stipulazione del contratto siano presenti tutti gli elementi del complesso aziendale occorrenti per lo

svolgimento dell’attività, né è rilevante che l’attività sia temporaneamente cessata o che questa

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venga iniziata direttamente dall’affittuario. A tal fine è sufficiente che l’azienda sia astrattamente

idonea a produrre risultati e che non venga affittata per altro e diverso scopo.

Il contratto di affitto d’azienda comprendente un immobile va tenuto distinto dalla locazione

dell’immobile a uso non abitativo:

nel primo caso l’immobile non viene in considerazione autonomamente in quanto,

dal punto di vista funzionale, rientra tra i beni che compongono il complesso

aziendale;

nel secondo caso invece, l’immobile costituisce, da solo, l’oggetto del contratto di

locazione, dal quale il locatore-proprietario ricava il semplice corrispettivo del

godimento dell’immobile da parte del locatario (che può essere, a sua volta,

proprietario o affittuario dell’azienda sita in esso).