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Università Telematica Pegaso La terapia endovenosa nel paziente pediatrico.
Tecniche d’impianto e complicanze
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 ACCESSO VENOSO PERIFERICO --------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 TECNICA D’IMPIANTO ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 ACCESSO VASCOLARE PERIFERICO-CENTRALE -------------------------------------------------------------- 11
4 ACCESSO VASCOLARE CENTRALE ---------------------------------------------------------------------------------- 18
5 ACCESSO VASCOLARE INTRAOSSEO ------------------------------------------------------------------------------- 23
6 COMPLICANZE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 27
Università Telematica Pegaso La terapia endovenosa nel paziente pediatrico.
Tecniche d’impianto e complicanze
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1 Accesso Venoso Periferico
L’accesso venoso periferico si realizza generalmente mediante incannulamento per puntura
transcutanea o preparazione chirurgica di vene superficiali, sopra-aponeurotiche,visibili e/o
palpabili, generalmente localizzate in segmenti corporei facilmente accessibili: vene distali degli
arti superiori, vene distali degli arti inferiori, vene del distretto cranio-cervicale. Nel bambino non
esistono significative differenze rispetto all’adulto, eccetto il minor calibro e la minore evidenza
della rete venosa sottocutanea; l’esiguo spessore della parete venosa la rende più fragile nonostante
la maggiore elasticità. Nel neonato e nel lattante le ancor più ridotte dimensioni, l’estrema
sottigliezza della parete vasale e la notevole salienza del pannicolo adiposo, rendono la pratica
meno accessibile. A volte il patrimonio venoso utilizzabile è molto ridotto e di difficile gestione,
spesso tale problema viene amplificato da precedenti cicli di terapia parenterale o da reiterati ed
impropri tentativi di venipuntura. Una buona conoscenza dell’anatomia è indispensabile per un
corretto approccio a questa procedura nella cui esecuzione è indispensabile rispettare rigidi criteri
nell’ordine sequenziale di ricerca della vena da incannulare, nella scelta di materiali idonei, nella
tecnica di incannulamento e nella gestione del catetere venoso. Evidente è l’influenza del
programma terapeutico e della sua durata sulla scelta dell’ accesso venoso e sulla sua gestione.
Nella pratica clinica l’impiego delle agocannule presenta certamente importanti vantaggi
quali bassi costi d’inserzione e mantenimento, e minimo rischio di complicanze batteriemiche
(tab.6) .
Il limite all’utilizzo di tali presidi è costituito dalla possibilità di somministrare
esclusivamente soluzioni o farmaci non endotelio-lesivi per le vene periferiche, solo in malati con
vene periferiche agibili, per periodi limitati di tempo, possibilmente in ambito ospedaliero (tab.7); il
cateterismo venoso periferico è inoltre gravato da un alto tasso di complicanze locali (tab.8) ed in
caso di terapie non estemporanee o addirittura protratte si può avere un notevole incremento della
spesa di gestione per il rilevante costo del tempo infermieristico connesso al posizionamento
ripetuto ed al controllo pluriquotidiano delle agocannule.
In alternativa, specie in condizioni d’emergenza in cui vi sia stato insuccesso della tecnica
percutanea, si può ricorrere all’accesso chirurgico per la preparazione di una vena periferica. In
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passato tale tecnica (cut-down) è stata di notevole aiuto negli accessi venosi difficili, attualmente le
sue indicazioni sono state ridimensionate, ma rimane indispensabile in emergenza quando non siano
disponibili rapidamente valide alternative, il tempo medio della procedura richiede solo pochi
minuti. In genere si pratica l’isolamento della vena safena interna, vena accessibile lungo tutto il
suo decorso anche se di preferenza la procedura viene effettuata anteriormente al malleolo mediale;
possono essere agevolmente isolate anche le vene giugulari esterne o le vene superficiali degli arti
superiori.
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2 Tecnica d’impianto
Un errore nella ricerca della vena ed una non corretta esecuzione della tecnica d’impianto
del catetere possono influire negativamente sul programma terapeutico e possono determinare danni
immediati che riducono l’accessibilità al sistema venoso periferico e costringono gli operatori alla
ricerca di accessi vascolari più invasivi, più impegnativi nella gestione e maggiormente rischiosi
per il bambino. Il susseguirsi di reiterati ed inappropriati tentativi di accesso al sistema venoso
superficiale e/o un inadeguato utilizzo degli accessi venosi periferici, determinano un progressivo
depauperamento del patrimonio venoso che riduce progressivamente l’accessibilità al sistema
vascolare nell’immediato, e determina una importante riduzione del materiale autologo per innesti
vascolari nella vita futura.
Per ottimizzare l’approccio al sistema venoso periferico bisogna seguire dei rigidi criteri
nella ricerca della vena da incannulare, nella tecnica e nella gestione dell’impianto.
Risulta fondamentale scegliere la vena da incannulare in base alla taglia ed alla compliance
del bambino, alle richieste del programma terapeutico ed alla disponibilità di vene superficiali
accessibili ed utilizzabili.
Nella scelta del segmento venoso da incannulare è fondamentale ricercare vene superficiali,
palpabili, non ipotrofiche, rettilinee e pervie; che non presentino segni di precedenti traumatismi
e/o postumi di pregresse venipunture (dolorabilità, impervietà, presenza di ematomi o di sclerosi).
La scelta del lato deve escludere in prima istanza l’arto dominante; bisogna evitare segmenti
corporei edematosi, ipotrofici o affetti da patologie cutanee; gli arti inferiori possono essere
utilizzati esclusivamente nel neonato/lattante o nella primissima infanzia. Compatibilmente alla
disponibilità di vene accessibili, possiamo proporre il seguente algoritmo (tab.1), considerando che
è sempre preferibile iniziare la procedura su segmenti corporei distali, procedendo successivamente
in senso centripeto in caso di insuccesso, e che bisogna sempre utilizzare agocannule adeguate al
calibro ed alla lunghezza del segmento venoso scelto.
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Vene dorsali della mano
Vene antecubitali
Tributarie della vena mediana al polso
(esclusivamente in narcosi per difficile stabilizzazione)
Vene dorsali del piede
(età < 2 anni)
Vene safene interne in regione malleolare mediale
(età < 2 anni)
Vene giugulari esterne
(difficile stabilizzazione, flusso influenzabile dalle variazioni posturali del collo)
Vene dello scalpo
(età neonatale)
Tab.1 – Algoritmo di ricerca delle vene.
Una corretta esecuzione della procedura prevede una adeguata dotazione di materiali (tab.2)
ed una sequenza operativa standardizzata effettuata spesso in collaborazione con altra unità (tab.3).
Guanti monouso
Telino barriera
Laccio emostatico
Antisettici
(Clorexidina 2% - Iodopolivinilpirrolidone)
Garze sterili
Medicazioni adesive trasparenti semipermeabili
Taglienti
Linee infusionali
Soluzioni infusionali
Agocannule di calibro diverso
Siringhe
Prolunghe infusionali
Goccimetri
Pompe infusionali
Bioconnettori
Contenitore per materiale contaminato
Doccia per immobilizzazione dell’arto
Tab.2 – Accesso venoso periferico – materiale occorente.
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La tecnica di cateterismo venoso periferico (fig.1) prevede l’inserimento percutaneo, nella
vena da utilizzare, di un’agocannula costituita da un catetere di materiale plastico coassiale ad un
mandrino metallico. Le fasi sequenziali della procedura sono estremamente semplici da
effettuare(tab.3).
Fig.1 – Accesso venoso periferico – tecnica di cateterismo venoso periferico.
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Corretta informazione dei genitori e del bambino sulla procedura da eseguire
Ottenere collaborazione o immobilizzare il bambino se necessario
Posizione orizzontale e rettilinea del segmento corporeo
Detersione cutanea (Clorexidina 2%) ed eventuale tricotomia
Telino barriera inserito sotto il segmento corporeo
Lavaggio antisettico delle mani dell’operatore
Impiego di guanti monouso
Applicazione prossimale di laccio emostatico
Ricerca di un segmento venoso rettilineo, pervio e di calibro adeguato
Disinfezione in senso disto-prossimale
Stabilizzazione del segmento venoso esercitando trazione cutanea distale al punto d’inserzione
Ingresso cutaneo separato dalla venipuntura
Bisello orientato superiormente
Angolo d’incidenza di circa 15-30° rispetto al piano cutaneo
Inserimento di agocannula di calibro e lunghezza adeguati
Arresto della progressione dell’agocannula dopo aver superato la
resistenza della parete venosa ed aver verificato reflusso di sangue
nella camera di raccolta
Estrazione parziale del mandrino e progressione dell’agocannula assicurandosi di non incontrare
resistenza
Rimozione del laccio emostatico
Compressione della vena nel punto in cui termina la cannula ed estrazione totale del mandrino
Verifica della pervietà del sistema e raccordo alla linea infusionale
Fissazione con medicazione adesiva, trasparente e semipermeabile
Registrazione della data d’inserzione (scheda infermieristica e medicazione)
Eventuale immobilizazione del segmento corporeo
Regolazione della velocità infusionale
Corretta eliminazione del materiale contaminato
Rotazione dell’impianto ogni 72/96 h
Tab.3 – Accesso venoso periferico – fasi sequenziali della procedura.
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La programmazione di terapia i.v. compatibile con la somministrazione in vena periferica
prevede, per terapie non estemporanee, la rotazione dell’accesso venoso ogni 72/96 h; in alternativa
all’approccio tradizionale attualmente suscita notevole interesse, per terapie protratte (> 7gg.), una
nuova metodologia: l’impianto di cateteri Midline (fig.2), in grado di coprire con un solo impianto
tutto il periodo di cura.
Fig.2 – Cateteri Midline.
Questi cateteri sono derivati e del tutto sovrapponibili ai PICC (fig.3) (cateteri centrali ad
inserzione periferica), in quanto l’unica differenza durante l’impianto è il posizionamento
dell’estremo distale del catetere nel sistema vascolare (fig.5):
in vena ascellare o in vena succlavia (linea emiclaveare), per i Midlline;
alla giunzione cavo-atriale (come per i cateteri venosi centrali classici), per i PICC.
Nella pratica clinica i cateteri Midline conservano tutte le indicazioni relative all’accesso
venoso periferico, con la prerogativa di mantenerlo efficiente per un periodo protratto; i PICC sono
da considerarsi invece degli accessi venosi centrali a tutti gli effetti, anche se realizzati mediante il
cateterismo di una vena periferica, e quindi utilizzabili per NPT, polichemioterapia, etc.
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Fig.3– Peripheral Inserted Central Catheter - PICC
I cateteri Midline (Fig.2) sono cateteri in poliuretano di ultima generazione o in silicone, a
punta aperta o a punta chiusa valvolata, della lunghezza da 8 a 30 cm., presenti in commercio nelle
misure da 2 a 6 Fr., utilizzabili per accessi venosi periferici di durata prolungata (possono essere
lasciati in sede fino a fine uso o all’insorgere di complicanze), da posizionare preferibilmente per
via ecografica (quindi anche in assenza di vene visibili/palpabili), adatti anche a terapie
extraospedaliere; il loro impianto richiede training del personale infermieristico; il costo iniziale è
elevato, ma il loro impiego è caratterizzato da massimo confort per l’ammalato e da una notevole
riduzione di tutti gli altri costi di gestione.
I PICC (fig.3-6) vengono prodotti negli stessi diametri dei Midline (da 2 a 6 Fr.), la
lunghezza massima dei presidi è intuitivamente maggiore per consentire la localizzazione della
punta in vena cava superiore (50 – 70 cm.).
L’impianto dei Midline e dei PICC si attua mediante procedure percutanee che prevedono
generalmente l’inserimento attraverso le vene degli arti superiori (vv. basilica, cefalica e mediana) e
la progressione dell’estremo distale in corrispondenza del segmento venoso prossimale prescelto
(fig.4); in casi particolari tali presidi possono richiedere la preparazione chirurgica della vena per
essere impiantati.
Le tecniche d’impianto sono sostanzialmente due: la tecnica blind e la tecnica ecoguidata.
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3 Accesso vascolare periferico-centrale Corretta informazione dei genitori e del bambino sulla procedura da eseguire
Ottenere collaborazione o effettuare la procedura in sedo analgesia o narcosi
Posizione supina del malato ad arto superiore abdotto
Detersione cutanea (Clorexidina 2%) ed eventuale tricotomia
Lavaggio antisettico delle mani dell’operatore
Vestizione dell’operatore ed allestimento in asepsi di campo operativo comprendente l’arto
superiore e la superficie toracica antero-superiore
Applicazione prossimale di laccio emostatico sterile
Ricerca della vena basilica alla fossa antecubitale (in alternativa della vena cefalica o della vena
mediana)
Misura della proiezione cutanea del segmento venoso da cateterizzare (dalla sede scelta per la
venipuntura alla sede scelta per il posizionamento della punta)
Priming del catetere
Sezione dell’estremo distale eccedente del catetere dopo averne retratto opportunamente il
mandrino (procedura non necessaria per i cateteri a punta chiusa)
Stabilizzazione del segmento venoso esercitando trazione cutanea distale al punto d’inserzione
Accesso percutaneo sovrapponibile alla tecnica classica ma realizzato inserendo un’agocannula
introduttrice peel-away o un microintroduttore
Arresto della progressione dell’agocannula dopo aver superato la resistenza della parete venosa ed
aver verificato reflusso di sangue nella camera di raccolta
Rimozione del laccio emostatico
Iinserimento/progressione del catetere assicurandosi di non incontrare resistenza
Estrazione del mandrino
Verifica della pervietà del sistema e raccordo alla linea infusionale
Monitoraggio radiografico, radioscopico o elettrocardiografico del corretto posizionamento della
punta in vena cava superiore (PICC)
Fissazione del presidio con sistema di fissaggio suturless e medicazione adesiva, trasparente e
semipermeabile
Registrazione della data d’inserzione (scheda infermieristica e medicazione)
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Eventuale immobilizazione del segmento corporeo
Regolazione della velocità infusionale
Corretta eliminazione del materiale contaminato
Flushing ed eventuale eparinizzazione del sistema solo per cateteri a punta aperta
Tab.4 – Accesso venoso periferico-centrale – fasi sequenziali della procedura blind.
Corretta informazione dei genitori e del bambino sulla procedura da eseguire
Ottenere collaborazione o effettuare la procedura in sedo analgesia o narcosi
Posizione supina del malato ad arto superiore abdotto
Detersione cutanea (Clorexidina 2%) ed eventuale tricotomia
Lavaggio antisettico delle mani dell’operatore
Vestizione dell’operatore ed allestimento in asepsi di campo operativo comprendente l’arto
superiore e la superficie toracica antero-superiore
Ricerca ecografia della vena basilica al terzo medio della regione brachiale in corrispondenza del
solco bicipitale mediale (in alternativa della vena cefalica, delle vene brachiali, della vena ascellare)
Misura della proiezione cutanea del segmento venoso da cateterizzare (dalla sede scelta per la
venipuntura alla sede scelta per il posizionamento della punta)
Priming del catetere
Sezione dell’estremo distale eccedente del catetere dopo averne retratto opportunamente il
mandrino (procedura non necessaria per i cateteri a punta chiusa)
Ricerca ecografia della vena basilica al terzo medio della regione brachiale in corrispondenza del
solco bicipitale mediale (in alternativa della vena cefalica, delle vene brachiali, della vena ascellare)
Accesso percutaneo ecoguidato realizzato inserendo un’agocannula introduttrice peel-away o un
microintroduttore
Arresto della progressione dell’agocannula dopo aver superato la resistenza della parete venosa ed
aver verificato reflusso di sangue nella camera di raccolta
Inserimento/progressione del catetere assicurandosi di non incontrare resistenza
Estrazione del mandrino
Verifica della pervietà del sistema e raccordo alla linea infusionale
Monitoraggio radiografico, radioscopico o elettrocardiografico del corretto posizionamento della
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punta in vena cava superiore (PICC)
Fissazione del presidio con sistema di fissaggio suturless e medicazione adesiva, trasparente e
semipermeabile
Registrazione della data d’inserzione (scheda infermieristica e medicazione)
Eventuale immobilizazione del segmento corporeo
Regolazione della velocità infusionale
Corretta eliminazione del materiale contaminato
Flushing ed eventuale eparinizzazione del sistema solo per cateteri a punta aperta
Tab.5 – Accesso venoso periferico-centrale – fasi sequenziali della procedura ecoguidata.
Fig.4 – Impianto Midline – PICC – Vie di accesso.
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Fig.5 – Impianto PICC – Midline – Posizione dell’estremo distale nel sistema vascolare.
L’impianto blind (tab.4) di cateteri Midline o PICC prevede delle misure di asepsi più
rigorose ed estese ad una area operativa più ampia, ma una volta effettuato un adeguato training e
raggiunto il necessario know-how, l’operatore è assolutamente in grado eseguire una tecnica di
cateterismo periferico forse più indaginosa, ma che sostanzialmente non si discosta
significativamente da quella classica. L’approccio ecoguidato (tab.5consente di effettuare
l’impianto su vene più profonde, non visibili e/o palpabili; necessariamente la curva di
apprendimento della tecnica prevede tempi più lunghi, ma una volta raggiunto un adeguato livello
di esperienza, gli operatori possono effettuare la procedura in massima sicurezza, con bassissima
percentuale di complicanze e/o insuccessi, estendendone le indicazioni anche a malati che in
passato venivano indirizzati ad impianti mediante cateterismo venoso centrale.
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Fig. 6 - PICC – Impianto blind in vena basilica sinistra.
Basso costo d’inserzione
Basso costo di mantenimento
Bassa incidenza di complicanze batteriemiche (CRBSI)
(0.5 infezioni/1000 gg cat)
Tab.6 – Agocannule – vantaggi.
Soluzioni compatibili con somministrazione in vena periferica
- farmaci con osmolarità < 600 mOsm/L (INS)
- nutrizione parenterale < 800 mOsm/L (SINPE)
- farmaci non irritanti, non vescicanti (5<ph<9)
Periodi limitati di tempo
Ambito ospedaliero (cfr.delibera Regione Lazio 2002)
Accessibilità del sistema venoso periferico
Alta incidenza di complicanze locali
Tab.7 – Agocannule – limiti.
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Complicanze meccaniche
- dislocazione + infiltrazione
- ostruzione
Flebiti
- meccanica (flebotrombosi da decubito, da precipitati)
- chimica (danno endoteliale)
- batterica (“third day fever)
Tab.8 – Agocannule – complicanze.
Consentono un accesso periferico di medio-lungo termine (da 1 settimana a 2 - 4 mesi, in media 30
gg)
Basso costo d’impianto (inserzione infermieristica)
Basso costo di mantenimento
Bassa incidenza di complicanze batteriemiche (CRBSI)
(0.2 infezioni/1000 gg cat)
Possibilità di inserimento in malati privi di vene visibili (tecnica eco-guidata)
Bassa incidenza di complicanze locali
Tab.9 – Midline – vantaggi.
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Soluzioni compatibili con somministrazione in vena periferica
- farmaci con osmolarità < 600 mOsm/L (INS)
- nutrizione parenterale < 800 mOsm/L (SINPE)
- farmaci non irritanti, non vescicanti (5<ph<9)
Elevato costo del catetere (silicone o PUR alifatici)
Training specifico per apprendere le tecniche d’inserzione
Know how specifico richiesto per la gestione
Possibili complicanze locali (flebiti – tromboflebiti)
Tab.10 – Midline – limiti.
Complicanze meccaniche
- dislocazione - incarcerazione (neonato – lattante)
- ostruzione - rottura
Flebiti
- meccanica (flebotrombosi da decubito, da precipitati)
- chimica (danno endoteliale)
- batterica (“third day fever)
Tab.11 – Midline – complicanze.
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4 Accesso vascolare centrale
Il cateterismo venoso centrale consiste nell’incannulare una vena profonda, sottofasciale,
caratterizzata da rapporti anatomici abbastanza costanti, da buon calibro e buon flusso anche in
ipovolemia; esso si realizza con diverse tecniche: le più frequentemente utilizzate sono la tecnica di
Seldinger ed alcune sue varianti che utilizzano cannule dilatatici-introduttrici (tecniche
percutanee), o la preparazione chirurgica di una vena profonda o di una vena periferica (cut-down).
Quando possibile, l’accesso venoso centrale deve sempre essere preceduto da opportuna
informazione ed autorizzazione da parte dei genitori, il consenso informato, essendo una pratica
non scevra da rischi o complicanze anche di severa entità.
La preparazione del bambino prevede anestesia generale o locale nei più grandi d’età (> 10
anni) e ben collaboranti, disinfezione accurata della cute con realizzazione di un vero campo
chirurgico, disponibilità di diagnostica per immagini intraoperatoria (radioscopia, radiologia,
contrastografia, ecocardiografia, elettrocardiografia intracavitaria).
La tecnica di Seldinger prevede l’inserimento percutaneo, nella vena da cateterizzare, di un
ago introduttore attraverso il quale viene fatta progredire in atrio destro, in radioscopia, una sonda
metallica flessibile con estremità forgiata a j; praticata un microincisione nel punto di ingresso
cutaneo, si estrae l’ago e si posiziona direttamente il catetere raggiungendo il lume vascolare sulla
guida della sonda precedentemente inserita; constatato un soddisfacente reflusso di sangue, si
estrae la sonda metallica avendo cura di posizionare la punta del catetere in corrispondenza della
giunzione cavo-atriale sotto controllo radioscopico, e di controllare la pervietà del sistema prima di
fissare il catetere alla cute con sutura, eventuale tunnellizzazione e medicazione sterile
semipermeabile.
Le varianti di tecnica consentono l’impianto di cateteri di grosso calibro ed a punta chiusa,
consistono nell’incannulamento della vena mediante un ago introduttore attraverso il quale viene
fatta progredire in atrio destro la guida metallica sempre sotto controllo radioscopico; dopo aver
estratto l’ago e praticata una microincisione cutanea per allargare il punto d’ingresso, si posiziona
sulla guida un dilatatore-introduttore che viene spinto alcuni centimetri oltre il tratto di vena
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incannulata; si estraggono quindi la guida metallica ed il dilatatore e si introduce il catetere avendo
cura di posizionarne la punta in corrispondenza della giunzione cavo-atriale; infine si controlla la
pervietà del sistema e si rimuove l’introduttore (letteralmente “sbucciandolo” (peel-away )
lasciando in situ il catetere; il fissaggio e la medicazione del sistema sono sovrapponibili a quanto
detto in precedenza.
In età pediatrica le vene di prima scelta da incannulare sono quelle del distretto cavale
superiore, in particolare la vena giugulare interna il cui cateterismo risulta essere più semplice e
sicuro; tale pratica in condizioni di emergenza non ostacola le manovre di rianimazione cardio-
polmonare.
E’ preferibile aggredire la vena giugulare interna a destra perché è generalmente di calibro
maggiore, la cupola pleurica è più bassa rispetto alla controlaterale, è più in asse con la vena cava
superiore e non vi è rischio di puntura accidentale del dotto toracico.
La preparazione del bambino prevede: decubito supino, non indispensabile la posizione di
Trendelenburg, iper-estensione (supporto radiotrasparente sotto-scapolare) del collo ed extra-
rotazione contro-laterale della testa.
In letteratura sono riportati essenzialmente tre tipi di approccio, con diverse varianti in base
all’esperienza delle diverse scuole e alla taglia corporea, in relazione alla sede di puntura in
rapporto al muscolo SCM : via assiale, via anteriore e via posteriore.
L’approccio assiale (Daily) , con extra-rotazione controlaterale moderata della testa, prevede
l’ingresso dell’ago al centro del triangolo di Sédillot, con direzione caudale, parallelamente al piano
sagittale ed inclinazione di circa 30° sul piano frontale, la vena viene raggiunta in genere a 1,5 – 2,5
cm. dal piano cutaneo.
L’approccio anteriore (Mostert) si realizza repertando la pulsazione della carotide comune
circa 5 cm sopra la clavicola ed attraendo medialmente l’arteria in modo da allontanarla dalla vena
che è immediatamente laterale, si inserisce l’ago con un angolo di 30-45° rispetto al piano frontale,
dirigendolo caudalmente e lateralmente verso l’unione tra terzo medio e terzo interno della
clavicola, la vena viene raggiunta a circa 2 cm. dal piano cutaneo.
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Tecniche d’impianto e complicanze
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’approccio posteriore (Jernigan) si pratica introducendo l’ago tra il terzo medio ed il terzo
inferiore del margine postero-laterale del muscolo SCM , in direzione caudale e ventrale, mirando
all’incisura giugulare dello sterno, con angolazione di 45° rispetto ai piani sagittale e orizzontale e
di 15° rispetto al piano frontale, la vena viene raggiunta a circa 5 cm. dal piano cutaneo.
Una variante della tecnica di Jernigan, l’approccio postero-laterale inferiore, sembra
costituire la via preferenziale per il cateterismo della vena giugulare interna, essendo estremamente
facile da realizzare e con significativamente bassa incidenza di complicanze: puntura arteriosa
accidentale (1.2%), malposizione (0.8%), assenza di pnx, bassa incidenza di tentativi ripetuti
(3.3%).
Essa si realizza, localizzato il triangolo costituito dal margine postero-laterale del capo
claveare del muscolo SCM, il margine superiore della clavicola e la vena giugulare esterna,
inserendo l’ago al centro di questo triangolo, appena lateralmente al margine posteriore del
muscolo, circa un dito traverso superiormente alla clavicola; l’ago viene diretto dietro il capo
claveare del muscolo SCM per incannulare la vena giugulare interna in prossimità della confluenza
con la vena succlavia, tratto in cui la vena decorre superficialmente ed è facilmente localizzabile a
circa 1,5 cm. dal piano cutaneo, coperta solo dal platisma, dal tessuto lasso sottocutaneo e dalla
fascia cervicale superficiale. La direzione iniziale dell’ago è parallela alla clavicola sul piano
frontale, per poi tendere ventralmente passando sotto e rasente al margine posteriore del capo
claveare del muscolo SCM, infine dopo aver punto la vena, si progredisce caudalmente.
La vena succlavia costituisce una soluzione alternativa, ma il suo cateterismo espone a
maggiori rischi ( pnx, emomediastino ) e non è molto utilizzato in età pediatrica precoce.
Le vie di approccio sono essenzialmente due: sopraclaveare e sottoclaveare.
Nell’approccio sovra-claveare (Yoffa) il bambino viene posto in posizione supina, l’ago
viene inserito nell’angolo clavi-sterno-mastoideo e diretto in direzione caudale con angolazione di
45° sul piano sagittale e 15° sul piano frontale, incontra la vena a circa 4 cm. dal piano cutaneo.
L’approccio sub-claveare (Aubaniac), meno indicato in età pediatrica, si realizza in
posizione di Trendelenburg, con supporto sottoscapolare per iperestendere il collo ed extrarotazione
controlaterale del capo, introducendo l’ago 1 cm sotto la clavicola al punto di unione tra il terzo
medio ed il terzo interno di essa, e dirigendolo verso il margine posteriore del giugulo, avendo cura
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di passare rasente al margine inferiore della clavicola, si raggiunge la vena a 2 – 5 cm dal punto di
ingresso cutaneo.
In casi particolari anche il distretto cavale inferiore può essere raggiunto attraverso la vena
femorale, ma con maggiore esposizione a complicanze trombotiche e settiche.
La tecnica d’incannulamento (Duffy) si realizza in decubito supino e abduzione ed
extrarotazione dell’arto inferiore; l’ago viene inserito appena medialmente alla pulsazione arteriosa,
1 o 2 cm sotto l’arcata crurale, con inclinazione di circa 30° rispetto al piano cutaneo ed
orientamento secondo l’asse longitudinale dell’arto, il lume viene raggiunto ad alcuni cm dal piano
cutaneo.
La tecnica chirurgica consiste in una ridotta incisione cutanea che consente di esporre il
tratto di vena da isolare e sospenderlo tra due lacci, si pratica quindi una flebotomia minima che
deve consentire appena il passaggio del catetere, favorendo una emostasi spontanea che non
necessiti di sutura o legatura della vena; il catetere viene successivamente fatto progredire fino a
posizionare la punta in corrispondenza della giunzione cavo-atriale sotto radioscopia o
ecocardiografia; si pratica quindi la tunnellizzazione sottocutanea dell’estremo prossimale del
catetere impiantato facendolo fuoriuscire in un punto lontano dalla flebotomia, si fissa il segmento
extracorporeo del catetere con dispositivo suturless, si pratica la sintesi dell’incisione cutanea con
sutura continua endermica, si medica sterilmente con bio-patch e medicazionei trasparente
semipermeabile.
Le vene più frequentemente utilizzate per la preparazione chirurgica di un accesso venoso
centrale sono la v. giugulare interna e la v. giugulare esterna per il distretto cavale superiore, la v.
femorale e la v. safena interna alla crosse per il distretto cavale inferiore; meno frequentemente
possono essere preparate la v. cefalica al solco delto-pettorale, la v. faciale comune, la v.
epigastrica inferiore; l’isolamento della v. succlavia risulta particolarmente rischioso e non
consigliabile.
Il cateterismo venoso ombelicale viene discretamente utilizzato in emergenza neonatale
specie su prematuri di basso peso; questa via di accesso può essere tenuta solo per breve tempo
essendo connessa ad un alto rischio di trombosi portale con possibilità di conseguenze
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drammatiche nei primi anni di vita (cavernoma portale, ipertensione portale, emorragie gastro-
esofagee, insufficienza epatica).
In casi estremi, quando tutti gli altri accessi non siano utilizzabili, può essere incannulata la
v. azigos attraverso le vv. intercostali destre mediante toracotomia; la vena cava inferiore può essere
cateterizzata mediante approccio percutaneo translombare.
Estremamente importante è il monitoraggio intra-operatorio di un corretto impianto: la
punta del catetere deve essere posizionata in prossimità della giunzione cavo-atriale ed il tragitto
extravascolare non deve subire angolazioni o torsioni. La tecnica più utilizzata è la fluoroscopia
con eventuale opacizzazione con m.d.c. idrosolubile; molto affidabile, senza esposizione a
radiazioni, è il monitoraggio ecocardiografico; anche la elettrocardiografia intracavitaria viene con
successo utilizzata: il catetere riempito con soluzione fisiologica si comporta come un elettrodo
esplorante una volta collegato ad un elettrocardiografo, al progredire della punta verso l’atrio si
registra una progressiva deflessione dell’onda P che si inverte repentinamente quando viene
raggiunto il nodo seno-atriale.
Appena dopo l’impianto, prima di iniziare la terapia, è sempre necessario documentare la
corretta posizione del catetere.
Il sito d’inserzione e la tecnica adottata per un impianto venoso centrale spesso dipendono
dal grado d’esperienza e dal periodo di training dell’operatore; gli accessi venosi centrali più
frequentemente utilizzati sono quelli al distretto cavale superiore (v. giugulare interna, v. giugulare
esterna, v. succlavia); l’accesso al distretto cavale inferiore è meno utilizzato a causa del minore
flusso e quindi della più elevata trombogenicità; a volte il cateterismo della v. femorale può essere
la via da preferire in caso di arresto cardio-respiratorio o politraumi, potendo essere facilmente
realizzato lontano dalla zona dove si pratica la rianimazione cardio-respiratoria.
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5 Accesso vascolare intraosseo
Molti farmaci, soluzioni cristalloidi, emoderivati possono essere somministrati in emergenza
per via intraossea; l’assorbimento è rapido quanto quello endovenoso, sicuro (i vasi midollari non
collassano nello shock ipovolemico), il flusso è soddisfacente (circa 20 ml/min’), ma tale accesso
non può essere mantenuto che per la prima emergenza (max 24/48 h) per il considerevole rischio di
osteomielite.
L’accesso si realizza con particolari dispositivi (Jamshidi) dotati di mandrino metallico e
ghiera di fissaggio, ma possono essere adoperati in alternativa aghi da aspirazione midollare 16 G o
butterfly 19 G.
I siti di inserzione per neonati e lattanti sono la tibia, il femore, la cresta iliaca; per il femore
si procede in direzione cefalica circa 3 cm prossimamente ai condili; per la tibia in direzione
caudale da 1 a 3 cm distalmente alla tuberosità.
Attualmente è stato realizzato un nuovo dispositivo dotato di manipolo elettrico per
inserzione di aghi da infusione intraossea (EZ-IO by Vidacare); tale presidio sembra rappresentare
il gold standard nell’ambito della categoria, rendendo estremamente facile e rapida la procedura,
assicurando una eccellente stabilità dell’impianto ed estendendone le indicazioni pediatriche anche
oltre la prima infanzia.
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6 Complicanze
Le complicanze del cateterismo venoso centrale sono numerose e spesso di severa entità,
esse complicano più frequentemente gli accessi venosi alle giugulari interne e alle succlavie,
possono intervenire al momento dell’impianto o in tempi successivi.
Le complicanze immediate includono:
embolia gassosa
emorragia
dislocazione del catetere
perforazione della vena da cateterizzare (stravaso tissutale,
perforazione di un’arteria limitrofa
(ematoma, pseudoaneurisma, emomediastino, emotorace)
perforazione del dotto toracico (chilotorace)
perforazione pleurica (pnx)
lesione del nervo frenico (paralisi diaframmatica)
perforazione cardiaca (emopericardio, tamponamento cardiaco)
Le complicanze tardive includono:
dislocazione del catetere (kinking)
distorsione-compressione-fissurazione-frattura del catetere (pinch-off)
migrazione del catetere
embolia di frammenti del catetere
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trombosi del catetere
emorragia retrograda (back-bleeding)
stravaso sottocutaneo retrogrado (back-tracking)
malfunzionamento a valvola (fibrin-sleeve)
flebotrombosi e tromboembolia
sepsi del catetere
sepsi del tunnel sottocutaneo
Le infezioni costituiscono la complicanza più frequente del cateterismo venoso centrale,in
letteratura è riportata una incidenza totale di 1.7 casi / 1000 gg di impianto, essa varia in ragione
dell’utilizzo del sistema e della via attuata per realizzarlo.
La diagnosi di sepsi correlata a cateterismo venoso centrale si sospetta in tutti i casi in cui
insorga febbre, specie di tipo settico, a volte preceduta da malfunzionamento del sistema;
emocolture quantitative che evidenziano un rapporto > 5-10 : 1 / ml fra le colonie isolate su
prelievo centrale e periferico sono molto suggestive per la conferma diagnostica. In alternativa si
può utilizzare la ricerca del delta temporale di crescita batterica da prelievi simultanei centrali e
periferici, tecnica di più semplice realizzazione, ma dotata di specificità e sensibilità sovrapponibili
alla precedente. L’ecocardiografia può evidenziare delle vegetazioni localizzate sulla punta del
catetere, una particolare iperecogenicità della parete vasale limitrofa, diminuizione di flusso e di
calibro del segmento venoso interessato .
La via femorale è stata spesso associata ad aumentata esposizione a tromboflebiti dell’arto
inferiore ipsilaterale e ad infezioni della ferita chirurgica dovute alla vicinanza con la regione
inguinale e la cosiddetta “ zona del pannolino “.
Sono anche state riportate come complicanze del cateterismo della vena femorale gangrene
degli arti inferiori, artrite settica dell’anca, fistole A-V, penetrazione accidentale del catetere in
viscere contenuto in misconosciuta ernia crurale, stravaso di fluidi nella parete addominale.
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La terapia inizialmente non prevede la rimozione del catetere che va temporaneamente
messo in stand-by, se l’accesso è indispensabile si può iniziare terapia antibiotica attraverso
l’impianto associata ad antibioticoterapia empirica sistemica in attesa dei risultati delle colture, e
terapia trombolitica (urokinasi) se si evidenziano segni clinici o ecocardiografici di riduzione del
flusso venoso o vegetazioni in prossimità della punta del catetere; dopo 14 giorni si ripetono le
emocolture e si procede alla riutilizzazione del catetere se la procedura ha avuto esito positivo o alla
rimozione-sostituzione in caso di esito negativo; il catetere va sempre rimosso quando le colture
siano positive per infezioni da candida.
Il migliore trattamento delle infezioni deve sempre essere la prevenzione mediante tecniche
d’impianto rigorosamente asettiche e rigidi protocolli di manutenzione (nursing) effettuati ogni 7 gg
mediante lavaggio e/o eparinizzazione della via, disinfezione con clorexidina al 2% e utilizzando
medicazioni trasparenti semipermeabili che consentano una facile ispezione e che proteggano dalla
contaminazione microbica.
La trombosi del catetere viene sospettata, prima di una occlusione completa, da una
riduzione del flusso , mancanza di reflusso e da un progressivo incremento della resistenza
all’iniezione.
Il volume del trombolitico da somministrare ( Urokinasi 5.000 u. / ml ) dipende dal volume
interno del catetere (0.8 - 2 ml); dopo 30 – 60 minuti , in caso di sblocco, si lava il catetere con
soluzione eparinata (100 u / ml)
Regolari somministrazioni di soluzioni eparinate diluite prevengono la formazione di trombi
e riducono l’incidenza di complicanze settiche. Un trombo intracardiaco situato sulla punta del
catetere può infettarsi e determinare sintomatologia settica, respiratoria, cardiaca e
malfunzionamento; il sospetto clinico viene confermato dalla ecocardiografia. I vari tipi di
trattamento includono la terapia trombolitica (Urokinasi 2.000-10.000 u / kg / h x 1 – 8 gg) ed
eparinizzazione con o senza rimozione del CVC; rimozione isolata del CVC; farmaci anti-
aggreganti (aspirina – dipiridamolo); la sola osservazione clinica e monitoraggio strumentale; nei
casi estremi l’atriotomia quando la sepsi non si risolve e bisogna rimuovere la compressione
meccanica esercitata dal trombo; il miglior approccio iniziale sembra essere la terapia trombolitica
ed antibiotica attraverso il catetere.
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