[NAZIONALE - 25] GIORN/CULTURA/PAG03 03/01/08 · 2012. 8. 22. · cultura moderna....

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Album Il Giornale Giovedì 3 gennaio 2008 25 sfarzo, qui non ha niente del- la spacconeria araba, da emi- ro che si mette in mostra per- ché in grado di acquistare l’automobile più costosa e di far erigere il grattacielo più alto del mondo. L’arabo usa i beni dell’Occidente proprio perché sa di non avere, con essi, nulla a che fare. Sono un gingillo, un ornamento, un di- stintivo per appartenere a un club esclusivo, come quando da bambini ci si riconosceva tra adepti di improvvisate so- cietà segrete per una stella o una croce disegnate a biro sull’interno della mano. Non è necessario essere si- nologi per capire che la Cina non è così. Qui la post-moder- nità assume un volto più im- ponente rispetto a noi. Il co- munismo rappresenta tutto ciò che di moderno la Cina abbia conosciuto: un mezzo per industrializzare un Pae- se agricolo. Ma non ci fu la cultura moderna. L’ideolo- gia comunista, nipote di quel- la hegeliana, era la più adat- ta perché la più simile alla struttura teocratica e imper- sonale dell’impero (marxi- smo ed hegelismo sono, infat- ti, due ideologie ugualmente teocratiche), e dunque la più rivoluzionaria ma, insieme, la più conservatrice possibi- le. Ma, dal punto di vista cul- turale, la Cina non è mai sta- ta moderna, non ne ha mai avuto bisogno. L’ingresso nella post-modernità, ossia nella globalizzazione, si è ri- velato più naturale per Paesi come la Cina rispetto ai no- stri, malati di modernità. Qui si comprende come tra «mo- derno» e «post-moderno» non sussista alcuna filiazio- ne diretta. La modernità è una cultura, la post-moderni- tà una prassi. La Cina coniuga coerente- mente la propria storia e la propria antropologia con il modello globalista, che non è né occidentale né orientale. Rispetto all’Occidente, ha una storia altrettanto antica ma appare molto più pronta ad abbracciare il mondo glo- balizzato, come se la globaliz- zazione fosse stata inventata appositamente per i cinesi. Il loro vantaggio sta nella mini- ma considerazione accorda- ta alla persona umana, nella superiorità della funzione sull’individuo. L’impressio- nante muro di palazzi che co- steggia le grandi vie di Pechi- no comunica una freddezza che Manhattan non ha. Fine- stra dopo finestra, piano do- po piano, noi vediamo con l’immaginazione corridoi e stanze, scrivanie, sedie, com- puter, moquette, marmi, fon- tane, show-room, sorrisi, ma- ni ben curate, vediamo le fun- zioni e le cariche, direttore generale, direttore di diparti- mento, segretario generale, dirigente di reparto, capuffi- cio, impiegato, telefonista: ma non vediamo il volto delle persone. Senza la persona umana e i suoi diritti, la piani- ficazione può trionfare, il pia- no potrà essere realizzato. UOMO E DESTINO Man mano che si cammina da Oriente verso Occidente, si fa sentire di nuovo la gran- de domanda che anima una celebre pagina di Lev Tolstòj, il più grande di tutti i narrato- ri. «Di che vivo- no gli uomi- ni?». Questa, ben più degli Urali, è la porta che immette dall’uno all’al- tro mondo. L’Occidente non è tecnolo- gia, grattacieli, vita spregiudi- cata, happy hour, Internet, Second life: l’Occidente consiste in quella domanda, è l’ingresso del- l’uomo nell’orizzonte del de- stino. Che ne sarà di me? L’Oriente è pieno di incar- nazioni divine, incarnazioni di ipostasi divine, incarnazio- ni gnostiche, ma Gesù Cristo, il Dio-Uomo, non ha nulla a che vedere con esse. Le paro- le di Gesù sono parole total- mente umane: «Che ti giova guadagnare il mondo intero se poi perdi la tua anima? Co- sa darà l’uomo in cambio di sé stesso?». Paro- le umane non solo nel lessico (l’io, l’anima) ma anche nella sintassi, che non è rituale ma, più prosai- camente, econo- mica: guada- gnare, perdere, dare in cambio. I cinesi cono- scono bene que- sto valore universale, questo umanesimo, portato dall’Oc- cidente ma assolutamente non coincidente con esso. Proprio per questo una «bat- taglia tra dèi» si preannun- cia, e noi dobbiamo essere pronti. Non che io sottovaluti l’Islam: ma la penetrazione islamica può aver luogo solo in una situazione di grande debolezza dell’Occidente, poiché non esiste, in realtà, un vero modello islamico. Per la Cina il discorso è di- verso. Il giorno in cui la clas- se agiata sarà ulteriormente cresciuta rispetto al presente (già oltre 300 milioni di perso- ne vivono nell’agiatezza) e la Cina dovrà cercare altrove le proprie risorse, avremo una nazione compatta, una nazio- ne enorme, che muoverà alla conquista del nostro mondo. Non so se ci sarà una guerra combattuta con le armi: i ci- nesi, se ho ben capito, tendo- no a evitare lo scontro cruen- to. Sono laici, tolleranti, non hanno divinità da installare nel mondo. Quella che si pre- para è una battaglia diversa, e molto più dura, nella quale l’Occidente può tracollare. È una battaglia culturale, una battaglia tra modelli di vita ugualmente credibili: è lo scontro decisivo del mondo globalizzato. La Cina non può non immaginare sé stes- sa come leader all’interno di questo mondo. Il suo model- lo culturale non si fonda sul- la domanda di Tolstòj: di che vivono gli uomini? L’uomo ci- nese conosce questa doman- da, la studia attentamente, ne esamina i fondamenti, ma non la fa propria. Il suo modello culturale ci propo- ne un tipo d’uomo per il qua- le quella domanda non ha più senso. Uomini che sanno lavora- re, preparati, intelligenti e al tempo stesso semplici, o me- glio modesti nelle pretese, che non hanno e comunque non vogliono avere proble- mi, a cui è sufficiente man- giar bene, avere una bella ca- sa, soldi in banca, una o più belle automobili, poter fare sesso e, generalmente par- lando, poter usare il mondo a proprio piacere. Sono uomi- ni che non amano gli eccessi perché seimila anni di storia li hanno con- dotti alla condi- scendenza e al- la moderazio- ne, e oggi que- sta moderazio- ne è diventata un’arma formi- dabile. Nessu- na domanda, nessuno sgo- mento. E po- chissime rifles- sioni sui massi- mi sistemi. Del resto, la stessa lingua cinese non si presta ai concetti. Il pen- siero cinese (ivi incluso Confu- cio) è un pensie- ro eminente- mente pragmatico, non a ca- so tra gli autori occidentali più amati in Cina c’è Machia- velli. È un pensiero spesso fi- nissimo, ma che tende a fer- marsi, senza sconfinamenti, sui problemi pratici e a risol- verli secondo la loro solubili- tà immediata. Questo è il confronto di do- mani. Sul piano del lavoro, dell’organizzazione, dell’eco- nomia, della produzione del- la ricchezza la Cina non ha niente da invidiare al nostro mondo. Sul piano della vita personale, la sua è un’impo- stazione lineare, che riduce le problematiche della vita, ed è - a quanto è dato vedere oggi - un modello vincente. Il mondo occidentale, a sua vol- ta, sembra essersi incammi- nato verso l’eliminazione di ciò che lo ha caratterizzato davanti alla storia. Il suo umanesimo è oggi un umane- simo senza domande. Abbia- mo fatto una grande fatica per togliere dalla nostra cul- tura ciò che i cinesi non han- no mai avuto. In questo gioco al ribasso loro non potranno che avere la meglio, è un gio- co che conoscono meglio e lo giocano molto più ordinata- mente di noi. (2. Fine) U na volta, ai tempi di Mao e dei piani quinquennali, l’arte cinese era tutta un tripudio di «realismo» socialista, un fiorire di «arte per le masse» pensata per educare milio- ni di individui attraverso l’immagine. Guai a rifarsi all’arte occi- dentale o, peggio, alla tradizione millenaria, all’iconografia, del Celeste Impero. Quest’ultima era infatti considerata ancora più deviazionista, mollemente borghese e intimista, con tutti quei paesaggi sfocati, le immagini dettagliate e graziose di fiori e uccelli. Ma le cose ormai sono profondamente cambiate. Una brezza di mutamento appena percepibile ha iniziato a soffiare con Den Xiaoping a partire dalla fine degli anni ’70. E oggi è diventata un vento impetuoso che riscuote, grazie anche al fascino di esotica novità, un grande successo presso i mercanti occidentali e le nostre gallerie e musei. Un successo che gli artisti e gli intermediari d’arte oltre la Grande Muraglia hanno subito tradotto, con lo spirito imprenditoriale loro pro- prio, in quotazioni a più zeri. Per rendersi conto di quanto sia cre- sciuta, in qualità e varietà, la produzione cinese è utile percorrere le sale del Palaz- zo delle Arti di Napoli visitando «La Cina è vicina», mostra a cura di Diego Esposi- to che fornisce, sino al 25 febbraio, una panoramica completa dell’evoluzione, dei gusti e degli artisti della cultura visi- va made in China. Una carrellata che parte dall’influenza della Pop art occi- dentale su pittori come Shi Xinning (che si è permesso di immaginare Mao men- tre gioca a Las Vegas) sino ad arrivare alle giovani artiste come Cui Xiuwen che hanno messo la questione della condizione della donna, del sesso e dello sfruttamento al centro delle loro opere. Il tutto senza dimenticare quegli artisti, forse per noi occidentali i meno comprensibili, che hanno recuperato l’arte tradizionale come forma estrema di provocazione. È il caso di Huang Yan, pittore che percorrendo la strada della body art, della pittura che si modella al corpo umano e diventa quasi tatuaggio, si dedi- ca a paesaggi tradizionali. Paesaggi che impressi sulla pelle ren- dono ancora più visibile il rapporto fra visione della natura e intimità, proprio di una tradizione millenaria. S ono davvero fortunati i bambini «na- ti con la camicia»? È vissuto davvero un Uomo elefante o un Papa medico? E la cintura di castità è realmente esistita? Sembrerebbero tutte fantasie se non fosse- ro realtà ben documentate dalla storia pas- sata e recente della medicina ufficiale: la «polvere di mummia» o le pietre preziose somministrate per curare le malattie e la ranocchia di vetro quale primo termome- tro per misurare la febbre. Queste e tante altre storie vengono brillantemente descrit- te da un medico e storico della medicina, Luciano Sterpellone, nel suo nuovo libro Nati con la camicia (SEI Edizioni, pagg. 145, euro 13). Accanto ai grandi protagonisti della scien- za più vicina all’uomo, accanto ai sorpren- denti progressi della medicina, emergono in filigrana fatti singolari, eventi inquietan- ti, testimoni, sulla base di una rigorosa do- cumentazione storica, del difficile procede- re per tentativi, per successi ma anche per errori strabilianti, di questa disciplina. Medici, pazienti o individui comuni venu- ti comunque a contatto con la medicina so- no stati nel tempo autori e protagonisti di avventure e di pratiche che hanno sfiorato l’inverosimile, che sembrano partorite dalla mente di uno scrittore a dir poco fantasio- so: ecco la cu- ra delle malat- tie a suon di ta- rantella, il bambino che a due anni cono- sceva a memo- ria la Bibbia, l’incredibile storia della pil- lola anticonce- zionale, il cer- vello di Ein- stein fatto a fettine, la na- scita dei far- maci antitumo- rali dopo il bombarda- mento del por- to di Taranto, i succhiatori di sangue. Con la stessa tranquillità con cui oggi ci distendiamo sul lettino del- la Tac, certi della validità del responso diagnostico, o con cui assu- miamo un farmaco sicuri di trarne vantag- gio, così i nostri predecessori - dalla prei- storia all’altro ieri - si sottoponevano alle terapie più stravaganti nella beata illusio- ne di guarire. Ciò non significa tuttavia che le cose di oggi siano altrettanto evanescen- ti e aleatorie: la medicina si basa attual- mente non più, come ieri, sull’empirismo e sull’immaginazione, bensì su criteri rigoro- samente convalidati dalla ricerca e dal- l’esperimento scientifico, perfezionabili sì, ma certamente non approssimativi: difficil- mente gli odierni metodi di diagnosi e di cura verranno del tutto smentiti nei loro princìpi di base. D’altra parte, le credenze e le pratiche del passato, il più delle volte precarie e non di rado risibili, non sono state tutte inutili, perché da esse sono spesso derivate prezio- se invenzioni e scoperte: i primi antibiotici furono isolati proprio studiando le muffe applicate dall’Uomo preistorico per guari- re le ferite; e la ricerca sui farmaci antitu- morali nacque proprio dalle sommarie, af- fannose prime osservazioni sulle vittime del bombardamento del porto di Taranto nella seconda guerra mondiale. Luciano Sterpellone ci guida, con il suo stile vivace e accattivante, in questa avvin- cente e diversa storia della medicina. Pato- logo clinico, accanto all’attività professio- nale di medico Sterpellone s’è sempre occu- pato di divulgazione medica e giornalismo scientifico. È stato per molti anni collabora- tore e conduttore di alcune fortunate tra- smissioni scientifiche Rai (Dottore Buona- sera, S come salute, Check up) e nel 2001 ha vinto il premio Saint Vincent per la divul- gazione medica. È autore di oltre un centi- naio di libri, molti dei quali tradotti all’este- ro, fra cui Le cavie dei lager che ebbe la presentazione di Simon Wiesenthal. [SL] IN MOSTRA A NAPOLI Tradizione reinventata CON CURA Da un antico manoscritto Quella generazione di artisti che non hanno paura di Mao STORIA E SALUTE Pillole di medicina con uno strano sapore di magia Luciano Sterpellone in «Nati con la camicia» svela i misteri dei rimedi antichi e moderni RETAGGI DEL PASSATO PROSSIMO Un assembramento di persone vestite con le tradizionali tute blu, spettacolo ormai raro nelle metropoli cinesi, in cui il cambiamento sociale è molto veloce RITO In costume tradizionale La loro cultura è piena di ipostasi divine, di incarnazioni sapienziali, ma Gesù non ha nulla a che vedere con esse Quella che si sta preparando a Oriente è «una battaglia tra dei» Due concezioni della vita si affrontano: da un lato ci sono i diritti e l’individuo, dall’altro la pianificazione e l’armonia

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AlbumIl Giornale � Giovedì 3 gennaio 2008 25

sfarzo, qui non ha niente del-laspacconeriaaraba,daemi-rochesi mette in mostraper-ché in grado di acquistarel’automobile più costosa e difar erigere il grattacielo piùalto del mondo. L’arabo usa ibeni dell’Occidente proprioperché sa di non avere, conessi,nulla ache fare.Sonoungingillo,unornamento,undi-stintivo per appartenere a unclub esclusivo, come quandoda bambini ci si riconoscevatra adepti di improvvisate so-cietà segrete per una stella ouna croce disegnate a birosull’interno della mano.

Non è necessario essere si-nologi per capire che la Cinanonècosì.Qui lapost-moder-nità assume un volto più im-ponente rispetto a noi. Il co-munismo rappresenta tuttociò che di moderno la Cinaabbia conosciuto: un mezzoper industrializzare un Pae-se agricolo. Ma non ci fu lacultura moderna. L’ideolo-giacomunista,nipotediquel-la hegeliana, era la più adat-ta perché la più simile allastruttura teocratica e imper-sonale dell’impero (marxi-smoedhegelismosono, infat-ti, due ideologie ugualmenteteocratiche), e dunque la piùrivoluzionaria ma, insieme,la più conservatrice possibi-le. Ma, dal punto di vista cul-turale, la Cina non è mai sta-ta moderna, non ne ha maiavuto bisogno. L’ingressonella post-modernità, ossianella globalizzazione, si è ri-velato più naturale per Paesicome la Cina rispetto ai no-stri, malati di modernità. Quisi comprende come tra «mo-derno» e «post-moderno»non sussista alcuna filiazio-ne diretta. La modernità èunacultura, lapost-moderni-tà una prassi.

La Cina coniuga coerente-mente la propria storia e lapropria antropologia con ilmodello globalista, che non èné occidentale né orientale.Rispetto all’Occidente, ha

una storia altrettanto anticama appare molto più prontaad abbracciare il mondo glo-balizzato,comese laglobaliz-zazione fosse stata inventataappositamente per i cinesi. Illorovantaggio stanellamini-ma considerazione accorda-ta alla persona umana, nellasuperiorità della funzionesull’individuo. L’impressio-nantemurodipalazzicheco-steggia le grandi vie di Pechi-

no comunica una freddezzache Manhattan non ha. Fine-stra dopo finestra, piano do-po piano, noi vediamo conl’immaginazione corridoi estanze,scrivanie, sedie, com-puter,moquette,marmi, fon-tane,show-room, sorrisi,ma-nibencurate,vediamole fun-zioni e le cariche, direttoregenerale,direttoredidiparti-mento, segretario generale,dirigente di reparto, capuffi-cio, impiegato, telefonista:ma non vediamo il volto dellepersone. Senza la personaumanaei suoidiritti, lapiani-ficazionepuòtrionfare, ilpia-no potrà essere realizzato.

UOMO E DESTINOMan mano che si camminada Oriente verso Occidente,si fa sentire dinuovo la gran-de domandache anima unacelebre paginadi Lev Tolstòj, ilpiù grande ditutti i narrato-ri. «Di che vivo-no gli uomi-ni?». Questa,ben più degliUrali, è la portache immettedall’uno all’al-tro mondo.L ’Occ identenon è tecnolo-gia, grattacieli,vita spregiudi-cata, happyhour, Internet,Second life:l’Occidente consiste in quelladomanda, è l’ingresso del-l’uomo nell’orizzonte del de-stino. Che ne sarà di me?

L’Oriente è pieno di incar-nazioni divine, incarnazionidi ipostasidivine, incarnazio-ni gnostiche, ma Gesù Cristo,il Dio-Uomo, non ha nulla achevedereconesse.Leparo-le di Gesù sono parole total-mente umane: «Che ti giovaguadagnare il mondo interosepoiperdi la tuaanima?Co-

sa darà l’uomoin cambio di séstesso?». Paro-le umane nonsolo nel lessico(l’io, l’anima)ma anche nellasintassi, chenon è ritualema, più prosai-camente,econo-mica: guada-gnare, perdere,dare in cambio.

I cinesi cono-sconobeneque-

sto valore universale, questoumanesimo, portato dall’Oc-cidente ma assolutamentenon coincidente con esso.Proprio per questo una «bat-taglia tra dèi» si preannun-cia, e noi dobbiamo esserepronti. Non che io sottovalutil’Islam: ma la penetrazioneislamica può aver luogo soloin una situazione di grandedebolezza dell’Occidente,poiché non esiste, in realtà,

un vero modello islamico.Per la Cina il discorso è di-

verso. Il giorno in cui la clas-se agiata sarà ulteriormentecresciutarispetto alpresente(giàoltre300milionidiperso-ne vivono nell’agiatezza) e laCina dovrà cercare altrove leproprie risorse, avremo unanazionecompatta,unanazio-neenorme,che muoveràallaconquista del nostro mondo.Non so se ci sarà una guerracombattuta con le armi: i ci-nesi, se ho bencapito, tendo-noaevitare loscontro cruen-to. Sono laici, tolleranti, nonhanno divinità da installarenelmondo.Quella che sipre-para è una battaglia diversa,e molto più dura, nella qualel’Occidente può tracollare. Èuna battaglia culturale, unabattaglia tra modelli di vitaugualmente credibili: è loscontro decisivo del mondoglobalizzato. La Cina nonpuò non immaginare séstes-sa come leader all’interno diquesto mondo. Il suo model-lo culturale non si fonda sul-la domanda di Tolstòj: di chevivonogliuomini?L’uomoci-nese conoscequesta doman-da, la studia attentamente,ne esamina i fondamenti,ma non la fa propria. Il suomodello culturale ci propo-ne un tipo d’uomo per il qua-le quella domanda non hapiù senso.

Uomini che sanno lavora-re, preparati, intelligenti e altempo stesso semplici, o me-glio modesti nelle pretese,che non hanno e comunquenon vogliono avere proble-mi, a cui è sufficiente man-giarbene,avereunabellaca-sa, soldi in banca, una o piùbelle automobili, poter faresesso e, generalmente par-lando,poterusare ilmondoaproprio piacere. Sono uomi-ni che non amano gli eccessiperché seimila anni di storia

li hanno con-dottiallacondi-scendenzaeal-la moderazio-ne, e oggi que-sta moderazio-ne è diventataun’armaformi-dabile. Nessu-na domanda,nessuno sgo-mento. E po-chissime rifles-sionisuimassi-mi sistemi. Delresto, la stessalingua cinesenon si presta aiconcetti. Il pen-sierocinese (iviincluso Confu-cio)èunpensie-ro eminente-

mente pragmatico, non a ca-so tra gli autori occidentalipiù amati in Cina c’è Machia-velli. È un pensiero spesso fi-nissimo, ma che tende a fer-marsi, senza sconfinamenti,sui problemi pratici e a risol-verli secondo la loro solubili-tà immediata.

Questo è il confronto di do-mani. Sul piano del lavoro,dell’organizzazione,dell’eco-nomia, della produzione del-la ricchezza la Cina non haniente da invidiare al nostromondo. Sul piano della vitapersonale, la sua è un’impo-stazione lineare, che riducele problematiche della vita,ed è - a quanto è dato vedereoggi - un modello vincente. Ilmondooccidentale,a suavol-ta, sembra essersi incammi-nato verso l’eliminazione diciò che lo ha caratterizzatodavanti alla storia. Il suoumanesimoèoggiunumane-simo senza domande. Abbia-mo fatto una grande faticaper togliere dalla nostra cul-tura ciò che i cinesi non han-no mai avuto. In questo giocoal ribasso loro non potrannoche avere la meglio, è un gio-co che conoscono meglio e logiocano molto più ordinata-mente di noi.

(2. Fine)

Una volta, ai tempi di Mao e dei piani quinquennali, l’artecinese era tutta un tripudio di «realismo» socialista, unfiorire di «arte per le masse» pensata per educare milio-

ni di individui attraverso l’immagine. Guai a rifarsi all’arte occi-dentale o, peggio, alla tradizione millenaria, all’iconografia, delCeleste Impero. Quest’ultima era infatti considerata ancora piùdeviazionista, mollemente borghese e intimista, con tutti queipaesaggi sfocati, le immagini dettagliate e graziose di fiori euccelli.

Ma le cose ormai sono profondamente cambiate. Una brezzadi mutamento appena percepibile ha iniziato a soffiare con DenXiaoping a partire dalla fine degli anni ’70. E oggi è diventata unvento impetuoso che riscuote, grazie anche al fascino di esoticanovità, un grande successo presso i mercanti occidentali e lenostre gallerie e musei. Un successo chegli artisti e gli intermediari d’arte oltre laGrande Muraglia hanno subito tradotto,con lo spirito imprenditoriale loro pro-prio, in quotazioni a più zeri.

Per rendersi conto di quanto sia cre-sciuta, in qualità e varietà, la produzionecinese è utile percorrere le sale del Palaz-zo delle Arti di Napoli visitando «La Cinaè vicina», mostra a cura di Diego Esposi-to che fornisce, sino al 25 febbraio, unapanoramica completa dell’evoluzione,dei gusti e degli artisti della cultura visi-va made in China. Una carrellata cheparte dall’influenza della Pop art occi-dentale su pittori come Shi Xinning (chesi è permesso di immaginare Mao men-tre gioca a Las Vegas) sino ad arrivare alle giovani artiste comeCui Xiuwen che hanno messo la questione della condizione delladonna, del sesso e dello sfruttamento al centro delle loro opere.Il tutto senza dimenticare quegli artisti, forse per noi occidentalii meno comprensibili, che hanno recuperato l’arte tradizionalecome forma estrema di provocazione. È il caso di Huang Yan,pittore che percorrendo la strada della body art, della pitturache si modella al corpo umano e diventa quasi tatuaggio, si dedi-ca a paesaggi tradizionali. Paesaggi che impressi sulla pelle ren-dono ancora più visibile il rapporto fra visione della natura eintimità, proprio di una tradizione millenaria.

Sono davvero fortunati i bambini «na-ti con la camicia»? È vissuto davveroun Uomo elefante o un Papa medico?

E la cintura di castità è realmente esistita?Sembrerebbero tutte fantasie se non fosse-ro realtà ben documentate dalla storia pas-sata e recente della medicina ufficiale: la«polvere di mummia» o le pietre preziosesomministrate per curare le malattie e laranocchia di vetro quale primo termome-tro per misurare la febbre. Queste e tantealtre storie vengono brillantemente descrit-te da un medico e storico della medicina,Luciano Sterpellone, nel suo nuovo libroNati con la camicia (SEI Edizioni, pagg.145, euro 13).

Accanto ai grandi protagonisti della scien-za più vicina all’uomo, accanto ai sorpren-denti progressi della medicina, emergonoin filigrana fatti singolari, eventi inquietan-ti, testimoni, sulla base di una rigorosa do-cumentazione storica, del difficile procede-re per tentativi, per successi ma anche pererrori strabilianti, di questa disciplina.

Medici, pazienti o individui comuni venu-ti comunque a contatto con la medicina so-no stati nel tempo autori e protagonisti diavventure e di pratiche che hanno sfioratol’inverosimile,che sembranopartorite dallamente di unoscrittore a dirpoco fantasio-so: ecco la cu-ra delle malat-tie a suon di ta-rantella, ilbambino che adue anni cono-sceva a memo-ria la Bibbia,l’ incredibilestoria della pil-lola anticonce-zionale, il cer-vello di Ein-stein fatto afettine, la na-scita dei far-maciantitumo-rali dopo ilb o m b a r d a -mento del por-to di Taranto,i succhiatoridi sangue.

Con la stessatranqui l l i tàcon cui oggi cidistendiamosul lettino del-la Tac, certidella validitàdel responsodiagnostico, ocon cui assu-miamo un farmaco sicuri di trarne vantag-gio, così i nostri predecessori - dalla prei-storia all’altro ieri - si sottoponevano alleterapie più stravaganti nella beata illusio-ne di guarire. Ciò non significa tuttavia chele cose di oggi siano altrettanto evanescen-ti e aleatorie: la medicina si basa attual-mente non più, come ieri, sull’empirismo esull’immaginazione, bensì su criteri rigoro-samente convalidati dalla ricerca e dal-l’esperimento scientifico, perfezionabili sì,ma certamente non approssimativi: difficil-mente gli odierni metodi di diagnosi e dicura verranno del tutto smentiti nei loroprincìpi di base.

D’altra parte, le credenze e le pratichedel passato, il più delle volte precarie e nondi rado risibili, non sono state tutte inutili,perché da esse sono spesso derivate prezio-se invenzioni e scoperte: i primi antibioticifurono isolati proprio studiando le muffeapplicate dall’Uomo preistorico per guari-re le ferite; e la ricerca sui farmaci antitu-morali nacque proprio dalle sommarie, af-fannose prime osservazioni sulle vittimedel bombardamento del porto di Tarantonella seconda guerra mondiale.

Luciano Sterpellone ci guida, con il suostile vivace e accattivante, in questa avvin-cente e diversa storia della medicina. Pato-logo clinico, accanto all’attività professio-nale di medico Sterpellone s’è sempre occu-pato di divulgazione medica e giornalismoscientifico. È stato per molti anni collabora-tore e conduttore di alcune fortunate tra-smissioni scientifiche Rai (Dottore Buona-sera, S come salute, Check up) e nel 2001ha vinto il premio Saint Vincent per la divul-gazione medica. È autore di oltre un centi-naio di libri, molti dei quali tradotti all’este-ro, fra cui Le cavie dei lager che ebbe lapresentazione di Simon Wiesenthal.

[SL]

IN MOSTRA A NAPOLI

Tradizione reinventata

CON CURA Da un antico manoscritto

Quella generazione di artistiche non hanno paura di Mao

STORIA E SALUTE

Pillole di medicinacon uno stranosapore di magia

Luciano Sterpellonein «Nati

con la camicia»svela i misteri

dei rimediantichi e moderni

RETAGGI DEL PASSATO PROSSIMOUn assembramento di persone vestite

con le tradizionali tute blu, spettacolo ormairaro nelle metropoli cinesi, in cui

il cambiamento sociale è molto veloce

RITO In costume tradizionale

La loro cultura è pienadi ipostasi divine,di incarnazioni

sapienziali, ma Gesùnon ha nulla

a che vedere con esse

Quella che si sta preparandoa Oriente è «una battaglia tra dei»

Due concezioni della vitasi affrontano: da un lato ci sonoi diritti e l’individuo, dall’altrola pianificazione e l’armonia