Lascuolapossibile marzo 2012

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________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it Pag.1 Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010 N.21 marzo 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti Editoriale Per fare giustizia ...perdiamo la diversità La preoccupazione che non ce ne sia abbastanza per tutti di Rosci Manuela - Editoriali La primavera è la stagione del risveglio. Ri- sveglio dal letargo invernale che a volte sembra durare un'infinità di tempo e invece poi ci riserva la ripresa di colori, di profumi e di sensazioni, di energia anche se questa a volte sembra mancare con i primi caldi dei giorni primaverili. Quale tema potevamo scegliere per sottoli- neare questa ri-presa alla vita? Abbiamo dedicato la nostra attenzione -questo nu- mero- all'INTEGRAZIONE. Nelle scienze sociali, il termine integrazione indica l'insieme di processi sociali e culturali che rendono l'individuo membro di una so- cietà. Mi soffermo su questa semplice definizione che tutti possono trovare cliccando su Wiki- pedia, senza dover scomodare trattati im- portanti. Cosa mette in relazione la prima- vera e il risveglio con l'integrazione, cioè con l'insieme dei processi che rendono una persona parte di una comunità? Provo a formulare a voce alta ciò che mi passa nei pensieri e che alberga nel mio cuore. Nella comunità scolastica, i "processi inte- grativi" per includere una persona (o più persone) sembrano tardare a risvegliarsi da un letargo che sta perdurando da troppo tempo; sembra che lo stato di torpore in cui siamo scivolati inconsapevolmente -forse!- ci trattenga in quella zona di confort che rende ogni AZIONE ... rinviabile, procrasti- nabile. La crisi e la conseguente politica dei tagli hanno reso tutti noi "poveri di energia" (non solo economica), e facciamo fatica a rintracciare nel quotidiano quei germi di mission che tanto (o poco) tempo fa hanno orientato la nostra scelta professionale, ap- prodando al mondo della scuola. In un periodo in cui certamente si è più orientati alla PERDITA - di identità scolasti- ca, di finanziamenti, di tempo pieno e di compresenze, di supplenze, oltre che di cer- tezze - potrebbe essere conveniente ricor- rere ad un po' di sano buon senso affinché non si cada "ingenuamente" nel tranello di credere che la giusta formula sia ... toglie- re un po' a tutti! Con l'idea appunto della "giusta parità", sembra lecito pensare che nelle situazioni di mancanza si possa/si debba quindi togliere nella stessa maniera,

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Rivista telematica www.lascuolapossibile.it numero marzo 2012

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Pag.1

Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci

Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it

Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010

N.21 marzo 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti

Editoriale

Per fare giustizia ...perdiamo la diversità La preoccupazione che non ce ne sia abbastanza per tutti di Rosci Manuela - Editoriali

La primavera è la stagione del risveglio. Ri-

sveglio dal letargo invernale che a volte

sembra durare un'infinità di tempo e invece

poi ci riserva la ripresa di colori, di profumi

e di sensazioni, di energia anche se questa

a volte sembra mancare con i primi caldi

dei giorni primaverili.

Quale tema potevamo scegliere per sottoli-

neare questa ri-presa alla vita? Abbiamo

dedicato la nostra attenzione -questo nu-

mero- all'INTEGRAZIONE.

Nelle scienze sociali, il termine integrazione

indica l'insieme di processi sociali e culturali

che rendono l'individuo membro di una so-

cietà.

Mi soffermo su questa semplice definizione

che tutti possono trovare cliccando su Wiki-

pedia, senza dover scomodare trattati im-

portanti. Cosa mette in relazione la prima-

vera e il risveglio con l'integrazione, cioè

con l'insieme dei processi che rendono una

persona parte di una comunità?

Provo a formulare a voce alta ciò che mi

passa nei pensieri e che alberga nel mio

cuore.

Nella comunità scolastica, i "processi inte-

grativi" per includere una persona (o più

persone) sembrano tardare a risvegliarsi da

un letargo che sta perdurando da troppo

tempo; sembra che lo stato di torpore in cui

siamo scivolati inconsapevolmente -forse!-

ci trattenga in quella zona di confort che

rende ogni AZIONE ... rinviabile, procrasti-

nabile.

La crisi e la conseguente politica dei tagli

hanno reso tutti noi "poveri di energia"

(non solo economica), e facciamo fatica a

rintracciare nel quotidiano quei germi di

mission che tanto (o poco) tempo fa hanno

orientato la nostra scelta professionale, ap-

prodando al mondo della scuola.

In un periodo in cui certamente si è più

orientati alla PERDITA - di identità scolasti-

ca, di finanziamenti, di tempo pieno e di

compresenze, di supplenze, oltre che di cer-

tezze - potrebbe essere conveniente ricor-

rere ad un po' di sano buon senso affinché

non si cada "ingenuamente" nel tranello di

credere che la giusta formula sia ... toglie-

re un po' a tutti! Con l'idea appunto della

"giusta parità", sembra lecito pensare che

nelle situazioni di mancanza si possa/si

debba quindi togliere nella stessa maniera,

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nella stessa quantità, un po' a tutti, com-

presi, se non soprattutto, quelli che sem-

brano per alcuni versi essere dei ... PRIVI-

LEGIATI.

La tentazione di mettere sullo stesso piano

di emergenza tutto e tutti, fa sì che si possa

scivolare nella convinzione che "qualcuno"

abbia qualcosa di più e che non sia poi così

giusto visto che tutti sono chiamati a fare

dei ... sacrifici.

Ovvio che sto girando intorno al tema della

disabilità, ma non solo. La voglia e la ne-

cessità di dare risposte all'utenza possono

far prendere delle decisioni che "apparen-

temente" risolvono il problema della giusti-

zia sociale -quel poco che c'è viene distri-

buito in parti uguali!-; nascondono invece il

malsano pensiero di togliersi dai guai livel-

lando e non differenziando le esigenze, trat-

tando tutti come se ... fossimo tutti uguali.

Sappiamo che così non è, anzi teniamo

sempre a sottolineare quanto l'altro sia DI-

VERSO da me. Tuttavia sembra venir meno,

in tempo di crisi, anche il conseguente trat-

tamento/investimento diversificato.

Lo sforzo di fare AZIONI intenzionalmente

dedicate e rivolte alla salvaguardia di chi è

diverso (o sta in una situazione di diversità)

sembra appunto essere sopita, e la lenta e

continua distrazione che si pone all'altro -

perché richiede anche un investimento di

RISORSE energetiche attualmente limitate

un po' per tutti- sta progressivamente pro-

ducendo un disinvestimento generale, sia di

pensiero rinnovato che di attenzione. Una

politica che sottolinea "la perdita" (indiscu-

tibile) provoca inevitabilmente un acuirsi

dell'individualismo, del pensare ognuno per

sé, dell'accaparrarsi il possibile perché ...

non ce n'è abbastanza per tutti!

In questa visione del quotidiano in cui la

sensazione é di perdere qualcosa, anche la

comunità scolastica ne fa le spese, ricor-

rendo a comportamenti che sono meno "di

corpo" e più "di sfogo", in cui l'altro -sia es-

so alunno, genitore o collega- pone preva-

lentemente PROBLEMI, fa richieste di atten-

zioni particolari, assorbe energia e richiede

"investimenti". Si sa, in tempo di crisi si ha

paura di fare investimenti perché non si rie-

sce a capire quali siano quelli ... convenien-

ti!

La scelta allora di dedicare questo numero

al tema dell'integrazione, nelle sue tante

sfaccettature, è stata dettata dalla vo-

glia/necessità di mantenere l'attenzione vi-

va, di ricordare a noi stessi e agli altri che

... indietro non si torna! Le trasformazio-

ni che hanno accompagnato la scuola negli

ultimi trent'anni sono avvenute anche gra-

zie allo sforzo di andare verso l'altro, prima

con diffidenza poi con maggiore naturalez-

za; e la necessità di dare risposte ha creato

l'esigenza di maggior dialogo tra le persone,

di condividere un progetto di inclusione

piuttosto che delegarlo solo all'altro.

Gli articoli raccontano piccoli spaccato e/o

riflessioni di vita vissuta, di persone che

"credono" anche in tempo di crisi.

La strada è ancora in salita ma alcune espe-

rienze sono state talmente significative che

solo apparentemente sembrano perse. La

sensazione di smarrimento è lecita ma la

convinzione che può accompagnare un

momento così ricco di cambiamenti è che

ciò che è stato fatto una volta ... si può ri-

petere, sta a noi non farci scoraggiare, non

accettare il tentativo di trafugare ciò che è

dentro di noi. Il suggerimento è di affer-

marlo con forza e convinzione.

Il futuro dell'integrazione -e della scuola-

dipende anche da ognuno di noi. Buon lavo-

ro!

Manuela Rosci

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In questo numero di marzo 2012

Area Tematica Titolo Autore

Per fare giustizia perdiamo la diversità Rosci Manuela

FANTACITY La redazione

Hanno collaborato in questo numero marzo 2012

La redazione

L'integrazione è di tutti, è un gioco di squadra!

Caruso Giovanna

Quando Alice bussò alle porte del cielo Crasso Antonella

Con competenza e amore....insieme si può

Ricci Fiammetta

Diversamente abili e diversamente inabili

Sabatini Roberto

La forza propulsiva dell'Integrazione Infantino Aminta Patrizia

Il SalinaDocFest Riccardi Barbara

Generazioni di donne di scuola Natale Olga

Un'esperienza da vendere... e da ac-quistare

Nucera Roberto

Le bon sauvage ovvero la rappresenta-zione culturale del concetto di alterità

Presutti Serenella

All'origine dell'idea di integrazione Ansuini Cristina

Che cosa è normale? Niente. Chi è normale? Nessuno

Agolino Simona Loretta

Educazione psicomotoria a scuola Lugaresi Adriana Nora

L'INVALSI Maranzana Enrico

Lo scavo archeologico ...risorsa per in-tegrare

Riccio Filomena

Dimensionamento: paura di perdere la propria identità!

Melchiorre Antonia

Diverso da chi? Giuliano Rosanna

Michela e gli altri Paci Lucia Giovanna

Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione

D'Agosta Luciana

Se noi mortali riuscissimo a capirlo! Poli Roberta

Un paradigma per l'inclusione Ruggiero Patrizia

Non si può più attendere! Damiano Maria Antoniet-ta

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DDalla prima pagina

Dalla prima pagina

Non si può più attendere! Una consultazione per raccogliere suggerimenti e proposte di Damiano Maria Antonietta - Sotto la lente

Quando a scuola si parla di integrazione, sia

tra gli addetti ai lavori sia tra i genitori, si

sottintende quale suo soggetto un alunno

con disabilità.

Certamente un soggetto disabile è meno

provvisto di risorse che agevolino la sua in-

tegrazione nel gruppo e quindi gli adulti in-

torno a lui attivano modalità relazionali,

strategie didattiche, percorsi educativi e

vissuti esperenziali mirati al raggiungimento

di quell'obiettivo.

Alla luce delle esperienze maturate e delle

verifiche realizzate, non tutte confortanti, si

impone una riflessione sottaciuta e nel con-

tempo molto evidente e non eludibile: non

si dà integrazione autentica, e non mera-

mente declamata, in una realtà educante

che conserva i tratti distintivi dell'indi-

vidualismo e dell'operare a "comparti-

menti stagni" e non di rado conflittua-

le.

I tentativi di avviare il superamento di que-

sta condizione infeconda con l'adozione di

tempi-scuola che richiedono team di due o

più docenti interagenti non hanno, salvo lo-

devoli e fortunate eccezioni, conseguito l'o-

biettivo auspicato.

I motivi dell'esito insoddisfacente dell'espe-

rienza sono, a nostro avviso, riconducibili al

permanere di un abito professionale radica-

to e restio al confronto, alla trasparenza,

alla verifica oggettiva sorretto da un malin-

teso principio della libertà di insegnamento.

Ma su tale atteggiamento, d'altro canto, ha

rivestito un'incidenza determinante il per-

manere di una formazione, a livello univer-

sitario, ancorato a schemi obsoleti, mera-

mente disciplinari e non congrui alle neces-

sità imposte da un contesto sociale e cultu-

rale in continua e rapida trasformazione.

L'AUTONOMIA SCOLATICA, inoltre, indivi-

duata come la risorsa per conferire alla co-

munità educante la responsabilità diretta

nella definizione del progetto educativo e

della gestione della istituzione, è rimasta a

livello puramente nominale e non è stato

l'enzima in grado di favorire la nascita

e l'affermazione di un SISTEMA SCO-

LASTICO INTEGRATO.

Ecco allora che l'insegnante continua a vi-

vere nella sua "solitudine", socialmente di-

sconosciuto, economicamente umiliato,

vessato dalle esigenze delle famiglie inva-

denti e insoddisfatte del servizio erogato,

ripiegato su se stesso e non più sorretto da

motivazioni, si appiattisce e, sempre meno

integrato nella comunità educante, non è

più disponibile a dar prova di coraggio, a

rimettersi in discussione e a ricercare in-

sieme agli altri vie innovative, produttive e

gratificanti.

Come uscire da tale condizione?

La sfida è alta e tutti, Dirigenti, docenti e

genitori, sulla scorta della propria esperien-

za, possono fornire un contributo proficuo.

Auspichiamo, pertanto, di aprire una con-

sultazione per raccogliere suggerimenti,

proposte che, dal basso, diano indicazioni

per realizzare un'autentica "integrazione" e

favorire l'uscita della scuola dalla palude in

cui è immersa.

Maria Antonietta Damiano, Dirigente scola-

stica IC Via Nobiliore - Roma

Francesco Gori, ha insegnato nella scuola

elementare e alle superiori, chiudendo la

carriera insegnando Lettere alla SMS I. Cal-

vino

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Con competenza e amore....insieme si può La testimonianza di una mamma di Ricci Fiammetta - Integrazione Scolastica

Sono la mamma di Chiara, una bambina af-

fetta da una rara e grave patologia che l'ha

resa "disabile".

Chiara non cammina, non parla e secondo i

medici il suo futuro era destinato ad una vi-

ta vegetativa. A distanza di 9 nove anni

posso dire con orgoglio di madre, che mia

figlia, nonostante la sua disabilità, è

una bambina "viva".

Lei non parla ma comunica ed è una comu-

nicazione fatta di sorrisi, carezze, piccoli

suoni, segni di contrarietà ma soprattutto

fatta di baci ed abbracci.

Sembra strano parlare di orgoglio o di sod-

disfazione verso una bambina come Chiara.

La gente a volte non capisce come si possa

dire ciò ma, oltre il grandissimo dolore che

ogni genitore porta con sè ogni giorno nel

cuore, in esso c'è tanto amore perché sono

veramente dei bambini speciali. Ogni loro

piccolo gesto, che per gli altri è normale,

per loro è una grande conquista ed io mi

sento sempre più "mamma".

Chiara oggi va a scuola, frequenta la 1°

elementare dell'I.C. Via Marco Fulvio Nobi-

liore a Roma e, anche se all'inizio della sua

vita scolastica ha incontrato degli ostacoli,

perché è difficile scoprire quale sia la mi-

gliore strategia per arrivare a Lei, ora è

perfettamente inserita e felice nel suo am-

biente. Ha la fortuna di avere accanto per-

sone qualificate e disponibili che hanno

trovato il modo di interagire con lei e

stanno ottenendo grandi risultati.

Chiara non usava la sue manine per la ma-

nualità fine, ora riesce a toccare da sola la

sabbia, la farina , l'acqua, il Das. Sta sco-

prendo un nuovo mondo. Risponde ai co-

mandi che gli vengono rivolti, comincia a

stimolare l'intenzionalità comunicativa del

DA, inteso come DAMMI l'oggetto che hai in

mano. Risponde alla parola SU, quando

viene richiamata perché ha la testa verso il

basso. Accetta alcune proposte e si contra-

ria rispetto ad altre. Quando si rende conto

di aver fatto qualcosa di positivo si applau-

de da sola e sorride perché si accorge della

felicità delle persone che la circondano.

Ma la scuola è importante anche dal punto

di vista relazionale.A Chiara piace stare a

scuola, ricerca i suoi compagni, li tocca

e per attirare la loro attenzione emette

un bellissimo "oooooooh". E' forse l'inizio di

un futuro di parole verosimili? Chissà!

La comunicazione attraverso lo stimolo del-

le emozioni, del contatto visivo richiamato e

protratto nel tempo, l'uso di tutti i sensi ri-

spettando le difficoltà e la percettività di

Chiara, stanno rendendo efficace il progetto

iniziato a scuola e danno un'altra piccola

speranza a Chiara e a noi genitori.

Fiammetta Ricci, genitore, I.C. Via Nobiliore

– Roma

Dalla prima pagina

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Il SalinaDocFest Intervista a Giovanna Taviani di Riccardi Barbara - L'intervista

"Se la conoscenza dell'altro ci turba

vuol dire che siamo turbati anche

dalla conoscenza di noi stessi".

Ritorni G. Taviani

L'Integrazione: tema scelto del mese. Pen-

so, per non ripetere sempre gli stessi con-

tenuti a riguardo, rifletto, uhmmmmm, siiiii,

si accende una lampadina, certamente, lei è

la persona giusta che fa a nostro caso, lei e

la sua "creatura", dove poter attingere uno

spaccato di esperienza in campo talmente

viva e innovativa, che voglio diffondere con

orgoglio e ammirazione.

1) Come nasce l'idea di realizzare un

Festival Internazionale del documenta-

rio narrativo? Perché proprio all'Eolie?

L'idea nasce da una scommessa e da una

provocazione: dare visibilità agli invisibili - il

documentario in Italia sconta la mancanza

di distribuzione e quindi inevitabilmente la

propria clandestinità e invisibilità -. In que-

sto senso l'isola di Salina, con tutte le pro-

blematiche che le isole portano con sé, pri-

ma fra tutte l'isolamento dal continente e i

disagi legati ai trasporti - le Isole Eolie sono

collegate all'Italia dai traghetti e aliscafi Si-

remar che rischiano in questi mesi la sop-

pressione - ci sembrava lo scenario adatto

.

Abbiamo pensato per prima cosa ai giovani

di quei territori, che in estate quando arri-

vano i turisti si sentono al centro del mon-

do, ma in inverno quando le isole si svuota-

no restano soli con il loro pezzo di mare. Ci

siamo detti, portiamo il mondo da loro, e

facciamolo attraverso il documentario, che

mai come in questo momento riesce più del

film di finzione a raccontare quel che le Tv e

i giornali spesso celano o rimuovono. La

realtà del nostro paese, il "fuori" da noi,

l'"altro" da noi.

E così è nato il SalinaDocFest, Festival del

documentario narrativo che si svolge alla

fine di Settembre, il mese rosso delle ven-

demmie, in un percorso itinerante che coin-

volge il pubblico dell'isola, le scuole e i gio-

vani del territorio.

2) Cosa ti regala ogni edizione, cosa ti

porti via da questa esperienza, cosa hai

imparato e quali sono i punti di forza

del Festival?

Dirigere un Festival è un'impresa molto fati-

cosa, spesso impossibile in un paese come

l'Italia. Soprattutto quando il Festival si

svolge su un'isola sprovvista di sale cine-

matografiche, circondata da un mare spes-

so in tempesta, e poco abituata, per così

Dalla prima pagina

G.Taviani

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dire, a ricevere nelle proprie strutture un

pubblico internazionale. Pochi giorni prima

di ogni edizione, esausta dopo un anno di

lavoro speso a trovare fondi che non si tro-

vano, organizzare spettacoli e concerti,

convincere artisti, registi e produttori a ve-

nire sull'isola, spesso a costo zero, mi dico:

questa sarà l'ultima. Ma il giorno dopo la

chiusura penso già alla edizione successiva,

ai temi da affrontare, agli ospiti da invitare.

E' più forte di me. Forse perché senti di far

parte di una "comunità" al di qua e al di là

del Mediterraneo che, anche solo per una

settimana, si riunisce sotto un cielo "comu-

ne", per riflettere insieme sullo stato del

nostro cinema e il destino dei nostri paesi.

Un bel sogno che il SalinaDocFest mi ha re-

galato.

3) Cosa significa essere figlia "di" ed

essere cresciuta in una famiglia dove si

respira e vive di e per il cinema?

Un'arma a doppio taglio, soprattutto quan-

do i padri sono due, come nel mio caso.

Spesso quando mi chiedono di chi sei figlia

rispondo automaticamente "dei fratelli Ta-

viani", come fossero una entità unica, una

coppia indissolubile. In realtà, e per fortu-

na, mio padre è solo uno dei due, Vittorio,

ed è lui il "responsabile" del mio amore per

il cinema, colui che mi ha insegnato ad ave-

re uno sguardo cinematografico sul mondo.

In generale, essere figlia di autori che han-

no firmato la regia di film come Padre Pa-

drone, La notte di San Lorenzo, San Michele

aveva un gallo, Allonsanfan, credo mi abbia

insegnato soprattutto questo: anche

quando tutto sembra perduto, non bi-

sogna arrendersi. Occorre resistere, ieri

come oggi, e non dimenticare mai da dove

veniamo e dove andiamo.

4) Orgoglio di figlia e nipote, cosa ti

accresce dell'esperienza del film "Cesa-

re deve morire" dei Fratelli Taviani, an-

che questa è una forma di integrazio-

ne?

L'Orso d'oro a Berlino mi rende felice e or-

gogliosa non solo perché il film è forte e in

qualche modo torna ai Taviani più speri-

mentali nello stile e nel linguaggio. Ma an-

che per il connubio inedito e insolito tra film

di finzione e film documentario. Gli attori

che recitano Shakespeare sono i detenuti

del carcere di massima sicurezza di Rebib-

bia, e i drammi shakesperiani che mettono

in scena sono i loro drammi reali, drammi

che parlano di tradimenti, uccisioni, potere,

libertà. Un ritorno alla realtà attraverso il

grande cinema che forse, da qualche parte,

deve qualcosa anche alla rinascita del do-

cumentario nel nostro paese di cui io, come

documentarista e direttrice del Salina-

DocFest, mi sento in parte responsabile.

5) Progetti e novità...

Sto lavorando con le scuole, dieci giorni fa a

Lipari, con le scuole medie dell'isola, oggi a

San Miniato, con gli Istituti Tecnici della cit-

tà natale dei Taviani, dove mi hanno chia-

mata per un corso su La Notte di San Lo-

renzo, a 30 anni dalla sua uscita. Un film

che va portato nelle scuole e riproposto ai

giovani, orfani di passato e di futuro, pro-

prio per insegnare loro che coltivare la me-

moria è l'unica forma di libertà che l'uomo

possa conoscere e che se riesci a salvare

anche solo

uno dei tuoi

ricordi sei

salvo. Un

modo an-

che questo

per lavora-

re a una

scuola pos-

sibile e a un

futuro "al-

tro" rispetto

a quello che ci hanno prospettato.

Il "SalinaDocFest" luogo di incontro, dove

condividere le riflessioni ascoltando altre

realtà, consapevoli che tra "gli altri" e noi,

la distanza e la separazione sono solo un

concetto geografico che la storia e i fatti

moderni stanno abbattendo, per far spazio

ad una contaminazione positiva, verso un

mondo sempre più globale DOVE SENTIRSI

ED ESSERE INTEGRATI.

Non è soltanto un Festival del documenta-

rio, ma è il festival dei popoli del Medi-

terraneo. È un festival che promuove

l'integrazione degli immigrati.

GRAZIE GIOVANNA PER IL BELLO DI ALTRE

... "VISIONI"!

Il sito del Salina docfest

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P.S. Se siete stati colti da curioso interesse

e volete sentire/vedere un diverso punto di

vista ad ampio spettro, andate a sbirciare

tra i suoi lavori: I nostri 30 anni generazioni

a confronto; Ritorni e Fughe e approdi.

Documentari realizzati sul confronto con

l'altro, che trattano esperienze diverse, so-

no differenti modi di affrontare e vivere la

lontananza dal proprio paese d'origine e

dalla volontà di scoprire e confrontarsi.

Immagini/voci come tentativo di andare ol-

tre i cliché sugli immigrati e sul fenomeno

dell'integrazione, per superare il non cono-

sciuto, per dare sfogo alla curiosità della

scoperta dell'altro.

Barbara Riccardi,

docente 143° CD "Spinaceto" – Roma

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Le bon sauvage ovvero la rappresentazione culturale del concetto di alterità Lo sguardo lungimirante dell'integrazione e il limite insop-portabile del razzismo. di Presutti Serenella - Oltre a noi...

La rappresentazione dell'"altro da sé" sta

all'idea che ognuno di noi ha del mondo

fuori dei confini dell'io-se stesso come la

rappresentazione di altre comunità sta all'i-

dea politico e sociale che una società coltiva

nei confronti degli altri paesi...

questa è l'equazione, idea quasi banale per

la sua semplicità, che sottende una magni-

fica mostra allestita e attualmente in corso

presso il "musée du Quai Branly", museo

etnografico di Parigi, allestito già nel pro-

getto originario dell'architetto Jean Nouvel

come "...un complesso culturale che propo-

ne un approccio diversificato ed innovativo

delle culture non occidentali", come recitato

sulle brochure tradotta in tutte le lingue a

disposizione all'ingresso del museo.

La mostra

si intitola

"L'inven-

tion du

sauvage",

l'invenzio-

ne del sel-

vaggio, an-

zi la co-

struzione

del mito

del selvag-

gio, e pro-

pone un

affascinan-

te viaggio

attraverso i

continenti

e la storia

con l'occhio

di chi è

stato oggetto delle colonizzazioni, conside-

rati non solo buon investimento economico

e affaristico, ma soprattutto come il più

grande progetto educativo scientifico ed an-

tropologico con l'obiettivo ultimo della nor-

malizzazione, vale a dire della negazione

delle diversità presenti nella specie umana

vivente sul pianeta...

L'esposizione inizia con un excursus storico

sulle esplorazioni e le scoperte geografiche

che poi hanno portato alla nascita dei gran-

di imperi coloniali, francese-inglese-

spagnolo, e alle prime trasmigrazioni di

esemplari etnici presso le più importanti

corti europee; l'invenzione del selvaggio

raggiunge il massimo fulgore intorno al

500-600,secoli teatro di grandi guerre, sco-

perte e cura di rappresentazioni artistiche,

che con la protezione e il sovvenzionamento

economico di potenti mecenati (spesso gli

stessi regnanti) hanno dato luogo ad impor-

tanti scoperte scientifiche nonché a rappre-

sentazioni di forte impulso e sviluppo delle

arti moderne, per esempio alle rappresen-

tazioni teatrali e alle arti figurative.

La scoperta del diverso da noi, del lontano

e dell'esotico è anche l'inizio dell'invenzione

del selvaggio, del diverso in quanto non

uguale a noi, inferiore per le sue non-

conoscenze delle coordinate del nostro si-

stema culturale occidentale e quindi biso-

gnoso di essere educato a tutto questo, di

apprendere ciò che possa trasformarlo in un

"bon sauvage" utile al mondo occidentale e

(perché no?) che possa essere anche un

buon affare...

ecco a voi Signore e Signori!!!!.....il ter-

ribile prodigio... che diventa, a secondo

del momento storico, la donna barbuta,

il bambino nero albino, la Venere afri-

cana della tribù ottentota, il grande ca-

po Omai, arrivato con il capitano Cook

dall'Australia...

insomma inizia l'era del "circo umano",

tra cui il più importante e famoso di tutti è

certamente il circo Barnum, che fu autore

dell'abile trovata pubblicitaria del " What is

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Pag.10

it?", alias l'afro-americano William

Henry Johnson, sofferente di una leggera

deficienza mentale, venduto a quattro anni

a Barnum che pensò bene di presentarlo

con un costume completamente ricoperto di

peli come il "perfetto" selvaggio catturato in

Africa che tutti vogliono vedere da vicino...

Gli "zoo umani" hanno rappresentato la

normalizzazione dell'asservimento a cui è

stato sottoposto il diverso che, attraverso

l'equivoco della necessità scientifica, viene

mostrificato e come tale rappresentato ed

esposto al ludibrio e alla comune giustifica-

zione della necessità della detenzione e/o

quantomeno del controllo da parte della

"comunità educante" formata dai bianchi

occidentali superiori.

La mostrificazione è un processo inar-

restabile che investe ben presto tutte

le diversità, per cui diventa legittimo esse-

re curiosi di assistere oltre che allo spetta-

colo del diverso perché selvaggio, anche al-

la visione da vicino del mostro-diverso per-

ché disabile...la storia degli zoo umani, dal

"what is it?" portano sul palco anche "ele-

phant man" o i fratelli siamesi...se poi le

diversità sono sommate (disabili nati in altri

continenti) maggiore è la ragione della cu-

riosità e maggiormente giustificata in nome

della conoscenza...

Uno degli ispiratori (commissario generale

della mostra) di questa esposizione è un di-

verso diventato ricco grazie al suo talento:

il giocatore di calcio Lilian Thuram, che

dalla Guadalupe arrivò giovane nella regio-

ne parigina e assaggiò gli sguardi di molti

sulla sua pelle nera e si domandò da dove

avessero origine questi sentimenti razzisti

e, soprattutto come il razzismo fosse assun-

to come giustificazione scientifica, alla base

degli zoo umani, dell'inferiorità delle razze

appartenenti al cosiddetto terzo mondo...

Tali giustificazioni hanno sviluppato false

credenze e false verità; il razzismo pone le

sue più profonde radici culturali sulla paura

degli altri e soprattutto sulla convinzione

che il proprio mondo, il proprio potere vada

difeso ad ogni costo con la sopraffazione e

l'assoggettamento di interi popoli, costi an-

che il genocidio.

Le radici di tutto questo non sono state

estirpate, nonostante ancora siano aperte

le ferite di un olocausto, e molti i genocidi

siano stati consumati; l'assunto di partenza

è sempre lo stesso...

Noi siamo i più forti e siamo arrivati per

primi ad occupare le postazioni del potere

economico-politico su questo pianeta, per

cui è dimostrata la nostra superiori-

tà...dunque siamo legittimati alla sua difesa

e alla rivalsa sui popoli inferiori perché sel-

vaggi e diversi, diversi e selvaggi...diversi

da noi e "pericolosi".

L'affermazione che l'altro è inferiore è

qualcosa di rassicurante; pone il limite

massimo alla domanda di quanto valga

ognuno di noi e quanto debba essere tute-

lato dalla comunità nella quale vive...

La tutela della diversità, della diversità di

ognuno, passa attraverso la sua conoscenza

e comprensione; lo scambio tra culture è

l'inizio di ogni storia d'integrazione. La rie-

laborazione della conoscenza, la risultante

delle integrazioni dei punti di vista è alla

base delle aperture delle menti e della co-

struzione del rispetto dei principi della con-

vivenza democratica.

L'unico antitodo contro la paura delle modi-

fiche dei punti di vista...è probabilmente la

consapevolezza che il cambiamento in

quanto tale è possibile...e innarrestabile!

Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, che

cosa accadrebbe un giorno se tutti gli uma-

ni fossero costretti come tali in uno "zoo";

le suggestioni suggerite dalla letteratura,

come dalla filmografia fantascientifica sono

molte e alcune molto note....una su tutte

"la metamorfosi" di kafkiana memoria.

L'angoscia provocata dall'incapacità di ac-

cettazione del diverso e della diversità ge-

nera solitudine, discriminazione e morte.

L'integrazione invece racconta il lungo

cammino della conoscenza e della conquista

della civiltà delle "umane" genti.

Lo spettacolo offerto da questa mostra,

senza tema di essere smentita, varrebbe il

viaggio a Parigi quanto la vista della Torre

Eiffel o la visita al Museo del Lou-

vre...vedere per credere!

Serenella Presutti, Dirigente scolastico,

psicopedagogista e counsellor 143° Circolo

didattico "Spinaceto" di Roma

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Diverso da chi? Gli ingredienti essenziali per una vera integrazione di Giuliano Rosanna - Orizzonte scuola

"Quelli che vanno nella mia scuola sono

stupidi. Solo che non mi è permesso dirlo,

anche se è vero. Vogliono che dica che

hanno delle difficoltà nell'apprendimento o

hanno esigenze particolari. Il termine esatto

è gruppo H. Questa sì che è una cosa stupi-

da, perché tutti hanno dei problemi nell'ap-

prendimento, perché imparare a parlare

francese o capire il principio della Relatività

è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno

ha le sue esigenze particolari, come mio

padre che deve portarsi dietro le pillole dol-

cificanti da mettere dentro il caffè per non

ingrassare, oppure la signora Peters che gi-

ra sempre con un apparecchio acustico co-

lor crema, o Siobban che ha degli occhiali

talmente spessi che ti fanno venire il mal di

testa se li provi, e nessuna di queste perso-

ne viene classificata come gruppo H, anche

se hanno delle esigenze particolari".

(Mark Haddon, Lo strano caso del cane uc-

ciso a mezzanotte)

Spesso siamo noi, con i nostri atteggiamen-

ti e i nostri giudizi, a sancire ciò che è nor-

male da ciò che non lo è; con questo inten-

do dire che la normalità può essere vista

come una condizione che avvertiamo dentro

di noi, quando sentiamo di essere inseriti in

un contesto che ci accetta.

Quali sono gli "ingredienti" essenziali per

una vera integrazione? Personalmente ri-

tengo che l'instaurazione di un clima colla-

borativo in classe, la rinuncia ad atteggia-

menti conflittuali, legati ad un esasperato

individualismo e ad una scarsa accettazione

dei ragazzi con difficoltà di apprendimento,

possano contribuire a rendere un contesto

accogliente.

Acquisteremo maggiore fiducia nelle nostre

capacità di interagire con gli altri se avverti-

remo di essere accolti dal gruppo-classe nel

quale siamo inseriti, se percepiremo la no-

stra presenza e il nostro contributo signifi-

cativi nello svolgimento di un'attività e se

vedremo considerate le nostre idee da parte

dei nostri compagni di classe.

A mio avviso, si avrà una vera integrazione

solo se questa sarà percepita come un'e-

sperienza di arricchimento per tutti, non so-

lo per i ragazzi svantaggiati: ognuno può

crescere e migliorare solo se riesce ad

accettare dentro di sé la propria e le al-

trui diversità. E' fondamentale che qual-

siasi apprendimento passi attraverso l'affet-

tività e la relazione emotiva con l'insegnan-

te e con il gruppo classe. E' indispensabile,

a questo proposito, incentivare i momenti di

socializzazione attraverso attività ludiche,

una didattica di tipo laboratoriale, incorag-

giare e promuovere, sempre, lo sviluppo

dell'autonomia di ogni alunno, coinvolgerlo

e permettergli d'investire nel processo di

apprendimento, i suoi desideri, le sue ambi-

zioni, far leva sulle sue potenzialità, sulle

sue risorse individuali, poiché queste sono

anche fonte di creatività.

Rosanna Giuliano,

docente di sostegno scuola secondaria di

primo grado, IC Perazzi - Roma

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Generazioni di donne di scuola Una scelta convinta che parte da lontano di Natale Olga - Long Life Learning

Guardandomi indietro posso affermare di

essere la quarta generazione delle donne

della mia famiglia che siede dietro la catte-

dra..... la mia bis-nonna nell' ottocento su

un bel cocchio andava a far lezione nelle

case di pochi. Mia nonna ha prestato servi-

zio per ben quaranta anni nel Convitto Na-

zionale della sua città. La mia mamma era

un insegnante di sostegno proprio come

me. Ella, mi ha insegnato il vero significato

dell'integrazione. Oltre trent'anni fa era do-

cente nelle scuole speciali dove di integra-

zione se ne poteva fare ben poca....formate

come erano da soli "figli di un Dio minore",

come li chiamerebbe Haines. Allora mia

madre l'integrazione la attuava in casa, si ,

proprio così, in casa nostra, portandovi a

pranzo ora uno ora un altro disabile della

scuola speciale di Forte Antenne.

Ricordo con tenerezza come mio fratello piú

grande di me di cinque anni, allora studente

delle scuole medie, non fosse proprio a suo

agio nel condividere quel fugace pasto in

compagnia di quei ragazzi cosí bisognosi di

essere ascoltati e accettati anche da chi non

parlasse la loro stessa lingua. Io al contra-

rio ero felice ed emozionata ogni volta di

piú.

É passato tanto tempo e più consapevole mi

sono ritrovata giovanissima a poter attuare

inclusione, quella vera, quella promossa

dalla L.517; ma le difficoltà si mostrarono

sin da subito numerose. Come potevo facili-

tare inclusione se ero la prima a non riusci-

re ad integrarmi tra la cerchia delle inse-

gnanti curriculari?!?! Alla fine, regolarmen-

te, gli alunni disabili ed io finivamo nell'au-

letta di sostegno a raccontarci storie fanta-

stiche.....e cosí ho trascorso molto tempo,

fino a quando, entrata in ruolo, sono arriva-

ta nella scuola dove ora ricopro la carica di

Funzione Strumentale H.

La strada è stata lunga e dura ma posso di-

re finalmente di riuscire nell'intento cardine

di questa missione, detta come mi piace

chiamarla "l' integrazionabile".

Sono ormai tanti anni che condivido il sus-

seguirsi dei cicli con un team valido e alli-

neato come me, sugli obiettivi fondamentali

della L. 104/92. Ogni giorno è una nuova

scommessa, una partita da vincere con la

giusta consapevolezza che la vera integra-

zione viene pienamente realizzata solo se

condivisa dagli interi team, dai collegi, dai

consigli di interclasse, soli "noi e loro" ri-

marremmo sempre e solo una goccia nel

mare...

Olga Natale,

docente di sostegno IC Uruguay – Roma

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L'integrazione è di tutti, è un gioco di squadra! Questo slogan mi piace! di Caruso Giovanna - Dedicato a te

E' un invito a riflettere su un importante e

basilare obiettivo del nostro lavoro.

L'adulto se vuole riesce, ha tante strategie

da mettere in atto, deve solo decidere di

impegnarsi in questo.

Non è facile riuscire a mettere da parte tutti

quegli "influssi negativi" che arrivano da

"ogni parte", (famiglia, istituzione scuola,

ecc..).

Occorre decidere che il "nostro" lavoro fa

parte della nostra vita, del nostro tempo, e

come tale è importante, va vissuto al me-

glio.

E cosa c'è di meglio di sentirsi utili nel riu-

scire a raggiungere degli obiettivi?

L'insegnante cresce con l'alunno, impara da

lui, dai suoi bisogni prende le direttive per

tracciare un percorso formativo.

Ogni alunno è un alunno da integrare per-

ché ogni alunno è un individuo a sé.

L'esperienza ci insegna che anche l'alunno

che didatticamente riesce meglio ha qual-

che fragilità e questa va compresa e aiuta-

ta.

E' determinante entrare in empatia con l'a-

lunno, ecco perché è importante la continui-

tà e il tempo della scuola.

La scuola deve creare un tempo e uno spa-

zio di benessere per tutti gli alunni, soprat-

tutto per quelli più "fragili", e oggi tutti

hanno delle fragilità, delle carenze affettive,

sociali....

L'integrazione scolastica secondo me va in-

tesa come integrazione di tutti gli alunni in

un gruppo coeso, che si sostiene per un

senso di "appartenenza", e proprio in nome

di quella appartenenza, individualmente si

sente più forte.

L' adulto insegnante, guidato dalla propria

esperienza, deve captare i bisogni di ognu-

no, le difficoltà di ognuno e tirar fuori, a

volte istintivamente, nuove strategie affin-

ché nel gruppo integrato ognuno sente di

avere un ruolo importante e di dare un con-

tributo originale.

Nel momento di necessità, l'insegnante sa

diventare creativo.

Una delle chiavi sta nell'instaurare un vero

rapporto con ogni alunno, dunque cono-

scersi e stimarsi, riuscire ad entrare delica-

tamente nell'interiorità dell'alunno per com-

prendere i suoi veri bisogni, per aiutarlo ad

integrarsi. Una ricerca continua che dura

per tutta la vita professionale.

Giovanna Caruso,

docente, 115° CD "A. Mauri" - Roma

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Quando Alice bussò alle porte del cielo Oggi si muore per ... la fretta. di Crasso Antonella - Dedicato a te

C'è una storia che voglio raccontare. Una

storia accaduta qualche giorno fa, paradig-

ma di questo tempo nel quale tutto corre

veloce, nel quale tutto si consuma così,

condensando le esistenze in attimi che bru-

ciano rapidi e rapaci. Tutto è dilaniato dalla

fretta: il tempo, il cibo, le emozioni, il pen-

siero, l'amore. E soprattutto la vita.

La storia di Alice mi ha fatto troppo male, e

per fare scudo a questo dolore devo almeno

trarre delle riflessioni da tutto questo, e

condividerle.

Alice aveva solo 22 anni, una ragazza bella

e piena di vita, profondamente impegnata

nella sua parrocchia e in mille altre attività.

Era una educatrice. Si occupava delle gio-

vani coccinelle del suo gruppo scout con un

amore e un entusiasmo che erano anche

gratitudine per ciò che lei stessa aveva ri-

cevuto e voleva quindi ridonare; amata da

tutti, era un vulcano di idee alla ricerca di

giochi sempre nuovi per le "sue" bambine.

E giocando insegnava. A vivere, a stare in-

sieme. A rispettare gli altri ed il mondo, ad

essere felici, a godere di tanti piccoli prezio-

si momenti che l'esistenza ci offre.

Amava questo nostro mondo scombinato,

Alice, e cercava di rispettarlo, nel suo picco-

lo. Andava in bicicletta, come qualche gior-

no fa, una splendida mattina di marzo nella

quale però il suo tempo si è fermato ad un

semaforo. Rosso. Perché un altro essere

umano, fagocitato dagli impegni della gior-

nata, passando con il rosso ha spento la

sua luce. Chissà dove andava quella perso-

na, e quante volte, per il resto della sua

vita, ritornerà con un rimpianto inelu-

dibile a quei momenti, a come sarebbe

stato diverso se...

E allora mi viene da pensare che viviamo

così, immersi in un tempo tiranno e veloce

che inghiotte la capacità di soffermarsi a

pensare, sospesi sulla soglia di attimi che

possono decidere una vita.

Siamo derubati dal tempo, che ormai è più

un nemico che un alleato. Una volta si dice-

va che il tempo cura tutto: oggi il tempo e

la sua creatura più temibile, La Fretta, divo-

rano le nostre giornate, frastornandoci

nell'ansia di riuscire a fare tutto oggi, tutto

subito, tutto in fretta. La Fretta è la compa-

gna malevola e corrodente delle nostre

azioni, e troppo spesso non tiene il passo

con il pensiero cosciente e razionale, por-

tandoci a compiere gesti che, in frazioni in-

fitesimali di tempo, decidono destini.

Per La Fretta oggi si muore.

Anche questa oggi è una guerra, nella quale

tutti sono vittime, anche chi resta: gli ami-

ci, i familiari, i colpevoli. Guidare una auto-

mobile oggi in fondo equivale ad avere in

mano un'arma e si sa che se si maneggia

un'arma, quale che sia, non è ammesso di-

strarsi. Per questo è agghiacciante pensare

che questo può capitare a tutti, proprio

compiendo quei gesti ormai entrati nella

quotidianità tanto da risultare quasi auto-

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Pag.15

matici, come parlare al cellulare, truccarsi

in macchina o chinarsi per infilare un CD.

Gesti dei quali non si percepisce più la

potenziale pericolosità.

Noi siamo insegnanti, educatori. Mi piace-

rebbe tanto che ai nostri ragazzi, figli loro

malgrado senza colpa di una generazione

che consuma ogni cosa nella velocità e nella

fretta, insegnassimo anche a recuperare il

senso del fermarsi un attimo. A pensare. A

godere magari di quel raggio di sole che si

riflette sul primo verde di primavera. Ad as-

saporare un cibo distinguendo l'armonia dei

sapori, senza scaraventarlo giù per la gola,

dove tutto si mescola, e tutto si annulla.

Così "fast". Così assurdo. Che forse è ora di

lasciarsi alle spalle il tempo dello "Zang

tumb tumb" e della esaltazione della veloci-

tà di futurista memoria. L'elogio della Fret-

ta.

Alice nel suo diario aveva scritto il suo inno

d'amore per la vita: la sua scomparsa però

è solo una delle ormai tante notizie simili.

Appunto, non fa notizia. Per chi l'ha cono-

sciuta però sarà bello ricordarla con le im-

magini che ci hanno lasciato i genitori, i

quali, nei giorni disperati immediatamente

successivi alla sua scomparsa, sono andati

a cercare un po' di pace sulla cima di una

montagna che lei amava tanto: e qui, per

tutta la giornata, una farfalla gialla ha se-

guito ogni loro passo, misteriosamente,

perché non è ancora tempo di farfalle.

Così, in un giorno di marzo, Alice ha bussa-

to alla porta del cielo.

A noi resta in eredità lo sforzarci di esse-

re responsabili di ogni nostra azione, di

insegnare il rispetto delle regole, la consa-

pevolezza degli altri, la gioia di fermarsi un

attimo, fosse anche il tempo di un respiro.

Antonella Crasso,

docente di sostegno, SMS E.Majorana -

Roma

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Se noi mortali riuscissimo a capirlo! DISLESSIA: questo termine spesso sconosciuto di Poli Roberta - Orizzonte scuola

Quando si pronuncia la parola, a volte le

facce sono sbigottite: "Che roba è?" La rea-

zione di sorpresa non riguarda solo i ragaz-

zi, ma anche i colleghi, persone che inse-

gnano da anni magari proprio Lingue, Let-

tere, Matematica, eppure non riescono a

spiegarsi perché certi ragazzi "Proprio non

ce la fanno!"

Quando i ragazzi arrivano alle Scuole Supe-

riori, sono già grandi e spesso il "fenomeno

Dislessia" è stato archiviato.

C'è chi non sa nemmeno di esserlo, chi

semplicemente non si chiede più per-

ché non ce la fa a seguire il passo; l'e-

lemento comune che si ritrova, a volte, è

l'iperattività e la fuga dal compito che è in-

nanzi tutto una fuga da se stessi e dalle

proprie difficoltà.

C'è poi il passaggio dalle Medie alle Supe-

riori, caratterizzato dalla negazione del so-

stegno (tra l'altro ora non più previsto per i

DSA), che spesso viene vissuto dai ragazzi

come il "marchiare" in forma indelebile la

propria "diversità".

Credo che l'aspetto più importante sia il non

sentirsi capiti, una difficoltà funzionale che

passa per svogliatezza, indolenza o man-

canza di impegno. Eppure di impegno ce ne

vuole tanto, anzi tantissimo per fare poco

più della metà di quello che i compagni fan-

no in molto meno tempo e poi l'angoscia di

inseguire un obiettivo che non si raggiunge

mai fino in fondo, almeno rispetto a quello

che gli altri si aspettano da te.

Ma la cosa che fa più male, a volte, è lo

sguardo rassegnato dei genitori, la loro pe-

na nel vedere un figlio che non potrà arriva-

re a quello che loro avevano sognato per

lui.

Le lacrime negli occhi di una madre che si

vergogna delle carenze della figlia fanno

male all'insegnante ma soprattutto alla ra-

gazza che rispecchia così la sua inadegua-

tezza che dalla performance passa alla vita

stessa: si sente diversa, viaggia con una

marcia in meno e fa tantissima fatica a

proseguire non solo a scuola, ma soprat-

tutto nel viaggio della crescita.

Forse la legge 170/2010 Potrà avere qual-

che conseguenza positiva sulla considera-

zione in cui si tengono questi ragazzi ma

soprattutto potrebbe servire a dare voce ai

loro bisogni che PER LA PRIMA VOLTA DI-

VENTANO DIRITTI, nella speranza però che

l'ottusità di qualche/molti docenti possa

trasformarsi in apertura ma soprattutto nel-

la capacità di vedere con occhi (e richieste)

diverse questi ragazzi.

Quando mi capita di dover spiegare a chi è

a digiuno che cosa è la dislessia, ricorro

spesso ad una metafora: mentre noi "co-

muni mortali" viaggiamo sui binari con il

nostro "regionale", loro (i ragazzi con DSA)

sono come un treno ad alta velocità che

non riesce ad essere ingabbiato negli stessi

binari perché le potenzialità sono molto più

avanti: Leonardo Da Vinci, Picasso, Ein-

stein, Walt Disney solo per citare alcuni dei

"dislessici famosi".

E allora, se riusciamo a rovesciare l'imbuto,

potremmo vedere oltre e soprattutto po-

tremmo vedere la ricchezza che si nasconde

dietro un vestito troppo stretto che gli vor-

remmo cucire intorno ingabbiandoli in un

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involucro che non potrà mai contenere la

loro fervida fantasia.

Geni incompresi, se noi "mortali" riuscissi-

mo a capirlo, forse avremmo la possibilità

di coltivare dei gioielli che troppo spesso si

sentono pietre, zavorre, ma solo perché noi

li facciamo sentire tali.

Ringrazio R., C., G., E., V. e tutti gli altri

ragazzi che mi hanno fatto capire come si

vive da dislessici, nelle mie parole ci sono

tutti loro, le loro storie e soprattutto ci sono

i tanti/troppi docenti che non li hanno sapu-

ti apprezzare.

Roberta Poli,

docente I.I.S. "S. Aleramo" – Roma

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Lo scavo archeologico ...risorsa per integrare Un caso concreto per una integrazione possibile di Riccio Filomena - Organizzazione Scolastica

Dopo aver insegnato matematica per alcuni

anni, da oltre dieci anni sono docente di So-

stegno nella scuola secondaria. La ricerca di

strumenti che mi supportino nella realizza-

zione del desiderio di aiutare chi si trova in

situazioni di svantaggio, è stato il motivo

principale che mi ha spinto a lavorare in ta-

le ambito scolastico.

La mia scuola è un Istituto Tecnico Superio-

re ad Indirizzo Informatico. E' frequentato

da alunni con disabilità certificata, alunni

con problemi relazionali e molti altri che

conseguono ripetuti insuccessi e che inevi-

tabilmente abbandonano la scuola.

Durante i lavori di costruzione della scuola,

nel 1982, è stato ritrovato un insediamento

di età romana, in particolare i resti di una

Villa Rustica Romana della quale sono visi-

bili solo alcune parti.

Lo scavo venne eseguito dalla Soprinten-

denza Archeologica di Roma che riuscì a

salvare solo alcuni ambienti della Villa di-

strutta nel corso dello sbancamento per la

costruzione dell'edificio scolastico. Su tale

insediamento è stato realizzato e inserito

nel POF 2005/06, un progetto di valorizza-

zione della Villa considerata bene culturale

e strumento di conoscenza ed opportunità

di crescita sociale e culturale. Il progetto ha

visto la presenza attiva dell'Archeologa

all'interno della scuola ed è stato finanziato

con i fondi della Legge 440/97. Il progetto

ha come finalità la costruzione di un

ambiente di apprendimento favorevole

e l'eliminazione di tutti gli ostacoli noti,

sia ambientali che cognitivi, per le per-

sone svantaggiate interessate alle offerte

formative della scuola. Vuole essere un so-

stegno alle attività di integrazione scolastica

degli alunni diversamente abili attraverso

interventi mirati a rendere possibile la frui-

zione di tutte le opportunità didattiche e

formative che la scuola offre.

Il progetto, che prevede anche l'uso di

strumenti informatici, è rivolto a tutti gli al-

lievi ed al territorio, ma non può però esse-

re fruito pienamente dalle persone con diffi-

coltà a deambulare. Per ovviare a tale pro-

blematica è prevista la realizzazione di un

percorso accessibile ai non deambulanti.

La didattica inclusiva

Le classi coinvolte nel progetto sono sei

(biennio e triennio), per un totale di 18

alunni, di cui 6 con disabilità e gli altri in si-

tuazione di svantaggio o con gravi lacune di

base nelle diverse materie. Il lavoro si svol-

ge in gruppi disomogenei, prevalentemente

in Laboratorio di Tecnologia e Disegno o

nell'area archeologica. Ogni alunno disabile

lavora insieme a due compagni di classe.

Gli obiettivi principali del progetto sono:

• Favorire il processo di socializzazione ed

integrazione

• Aumentare e favorire la motivazione al la-

voro

• Valorizzare i progressi ottenuti dai ragazzi

• Potenziare la sfera della comunicazione

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attraverso l'uso di software specifici

• Far lavorare in gruppo

• Saper utilizzare autonomamente il com-

puter per la consultazione di programmi che

rafforzino le abilità di lettura, comprensione

e approfondimento

• Saper utilizzare software per l'acquisizio-

ne di abilità che consentano agli alunni un

inserimento nell'ambito scolastico

• Consentire l'accesso all'interno dell'area

archeologica a tutti gli alunni e cittadini del

territorio

Il progetto vede la partecipazione di alcuni

docenti di Italiano, Matematica, Inglese,

Sostegno, Tecnologia e Disegno che prepa-

rano schede di lavoro e percorsi didattici

personalizzati e di gruppo e dell'Archeologa

che ha svolto gli scavi della Villa. Esso pre-

vede due fasi: la creazione di un laboratorio

dove far lavorare insieme gli alunni per

creare un pannello descrittivo degli ambien-

ti della Villa e, successivamente, la realizza-

zione di un percorso accessibile ai disabili. Il

laboratorio si usa al mattino per approfon-

dimenti con l'alunno disabile o con piccoli

gruppi in cui è inserito l'alunno disabile; il

pomeriggio si usa per recuperi ed appro-

fondimenti anche individuali.

Con gli alunni del biennio (nell'ambito della

materia di Tecnologia e Disegno e con la

collaborazione dei docenti di italiano e di

inglese), si esegue la progettazione del per-

corso di visita del sito archeologico e del

materiale didattico illustrativo del sito e dei

suoi reperti. Gli alunni hanno realizzato un

pannello bilingue, descrittivo degli ambienti

della villa romana collocato nell'atrio della

scuola e dei disegni (alcuni con il CAD) dei

vari "cocci" trovati. Gli alunni, con l'aiuto

dell'Archeologa, hanno imparato a cataloga-

re e a riconoscere i reperti. Il lavoro svolto

dagli alunni, disabili e non, è stato valutato

dai docenti in sede di scrutinio finale.

All'ingresso dell'area archeologica si è rea-

lizzato un percorso dotato di rampa di ac-

cesso dalla quota stradale; esso è costruito

con materiali ecocompatibili e consente il

passaggio di persone con difficoltà a deam-

bulare. Tale attività valorizza le capacità

espressive e di relazione degli alunni disabi-

li. Lungo il percorso sono situati i pannelli

descrittivi con testi ed immagini realizzati

dagli alunni sia in italiano che in inglese.

I risultati raggiunti

I punti di forza del progetto:

• la prospettiva di un obiettivo ambizioso

come la realizzazione dei pannelli descrittivi

• la capacità di saper illustrare ai visitatori

la storia del sito

• il ruolo importante dell'Archeologa che ha

incuriosito e stimolato gli alunni

• la divisione del lavoro in piccoli gruppi

• le diversità delle attività, (catalogazione e

studio dei reperti, realizzazione dei disegni

dei reperti, ricerche su Internet, ascolto,

studio delle immagini, raccolta delle infor-

mazioni, traduzione in inglese del pannello

descrittivo, recupero/approfondimento di

matematica, ...) ha permesso a tutti di uti-

lizzare al meglio le proprie capacità ciò ha

fatto aumentare nei ragazzi la sicurezza

• miglioramento dell'autostima

• gli obiettivi continuamente esplicitati, così

come i criteri di valutazione

Considerazioni finali

Per tutti gli alunni, ma soprattutto per i ra-

gazzi disabili, i miglioramenti riguardano

principalmente il potenziamento dell'AREA

RELAZIONALE e dell'AREA dell'AUTONOMIA

PERSONALE e SOCIALE. Infatti, gli alunni

coinvolti, devono collaborare e lavorare con

i pari, con i docenti e con l'Archeologa.

Per la maggior parte degli alunni interessa-

ti, la partecipazione al progetto è stata vis-

suta come "premio", finalizzato al miglio-

ramento del rendimento scolastico. In altri

allievi, al contrario, il lavoro sulle strutture

archeologiche ha sviluppato un inaspettato

entusiasmo verso la scuola. Nel corso degli

ultimi quattro anni in alcuni studenti si è

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notato un interesse e una partecipazione

superiore alle aspettative.

In particolare un alunno disabile ha ricevuto

dall'archeologia un grande stimolo allo svi-

luppo della propria personalità e pertanto,

d'accordo con i docenti del Consiglio di

Classe, negli anni successivi l'alunno ha

partecipato al progetto della Villa. Inserito

nel POF, con la presenza costante durante

le ore del progetto, il ragazzo è diventato

un vero leader del gruppo. Egli ha appreso

la metodologia archeologica ed è stato in

grado di comunicarla agli altri studenti as-

segnando compiti e seguendo con attenzio-

ne il lavoro svolto. Ha fatto ricerche sulle

Ville romane e tradotto in inglese i risultati.

Il progetto ha migliorato il comportamento

e il rendimento scolastico di molti alunni,

ma ha anche entusiasmato e stimolato gli

alunni con difficoltà di apprendimento ai

quali l'archeologia è "servita" a sviluppare

un percorso di autonomia e integrazione.

di Filomena Riccio –

Docente di Sostegno nella scuola seconda-

ria di II grado

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Diversamente abili e diversamente inabili La mia esperienza con la disabilità nella scuola secondaria di Sabatini Roberto - Integrazione Scolastica

Ero solito apostrofare scherzosamente i

miei studenti, quando erano particolarmen-

te lenti a comprendere e scarsi a risponde-

re, come diversamente inabili per accostarli

simpaticamente ai loro compagni portatori

di handicap che da qualche anno in qua

erano stati definiti diversamente abili.

L'Istituto dove ho insegnato i miei ultimi 8

anni era ed è tuttora, da questo punto di

vista, una scuola di frontiera, famosa nella

zona per la sua capacità di accogliere una

popolazione di disabili. Il Dirigente Scolasti-

co dell'Istituto è una colonna portante

dell'integrazione e del lavoro con l'handi-

cap, una stakanovista dei GLH, una infati-

cabile promotrice di iniziative volte ad arric-

chire l'offerta formativa a loro destinata, a

volte persino sottovalutando le conseguen-

ze che queste iniziative avrebbero potuto

generare su quella ordinaria.

Ma nella Secondaria Superiore l'inseri-

mento dei diversamente abili presenta

delle criticità che non sono state anco-

ra ben affrontate nelle sedi istituzionali

deputate e che la generale riduzione degli

investimenti, coniugata con l'aumento del

numero di allievi per classe e del numero di

studenti H affidabili al singolo docente di

sostegno, rende la situazione ancora più

difficile.

Anche senza entrare nel merito delle pro-

blematiche del settore, la fascia di età inte-

ressata in queste scuole pone due questioni

ineludibili per l'identità dei disabili e per il

loro definitivo sviluppo: la sessualità e la

professionalità, ossia due aspetti della vita

adulta per i quali, a mio avviso, la scuola

non ha risorse e non trova soluzioni. Eppure

sono proprio questi due aspetti a scavare

un solco profondo tra la normalità e la di-

versità e si manifestano potentemente pro-

prio in questo contesto scolastico.

Ma detto questo vorrei ricordare alcuni

di questi allievi che hanno abitato la

mia esperienza professionale e umana.

Ho avuto una classe per l'intero quinquen-

nio ed è inutile dire quanto ci siamo affe-

zionati reciprocamente e in questa classe

c'era anche Valentina una ragazza che ave-

va oggettive difficoltà di apprendimento, sia

per una contenuta memoria a breve termi-

ne, sia per un non completo sviluppo delle

capacità di astrazione. Ne risultava una

sensibile lentezza nella comprensione e nel-

la rielaborazione, ma il massimo della fru-

strazione lei lo provava quando si sottopo-

neva alle varie prove, soprattutto alle inter-

rogazioni: a quel punto, sommando la sua

emotività all'evanescenza della traccia

mnestica, il suo rendimento dopo ore di

studio era modesto e doveva per forza pre-

parare singoli argomenti per non fare con-

fusione e rischiare comunque di dimenticar-

li.

Un lavoro enorme e costante per una pre-

stazione contenuta: era difficile non rilevare

la sua grande soddisfazione quando i voti

premiavano questo sforzo, ma altrettanto

difficile era non percepire la sensazione di

inferiorità che lei provava nell'inevitabile

confronto con la spavalderia o con l'abilità

di molte sue compagne. Lei stava speri-

mentando un PEI che non le preclude-

va la possibilità di conseguire un vero

titolo di studio: le erano state messe a di-

sposizione facilitazioni temporali e strumen-

tali per compensare i suoi disturbi, senza

tuttavia compromettere i contenuti che do-

veva conoscere e senza escludere il rag-

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Pag.22

giungimento di un livello di preparazione

simile a quello dei suoi compagni; si tratta-

va ovviamente di un'operazione volta al suo

bene e al suo futuro, ma era anche un lavo-

ro gravoso e incessante.

A questo si accompagnava una cortese se-

paratezza: ad una prima lettura sembrava

proprio che le sue compagne la consideras-

sero una pari e le volessero anche bene,

ma nei momenti significativi per

quell'età al suo banco era sola, ovvero

quasi sempre seduta accanto ad un'altra

compagna che aveva una sindrome decisa-

mente peggiore della sua.

Fortunatamente Valentina aveva una

straordinaria capacità di impegnarsi e lavo-

rava tutti i giorni tutto il giorno; inoltre

aveva un ottimo carattere e la sua compa-

gnia riusciva gradevole praticamente a tut-

ti: qualche compagna di classe si affezionò

davvero e le fu vicina proprio come amica;

un bene prezioso sempre, inestimabile a

quell'età.

Si iscrisse anche ad un corso per l'au-

tostima e l'autodifesa che proprio io

tenevo in quegli anni e frequentò assi-

duamente le lezioni. In quella circostanza

sperimentai di persona ( trovando puntuali

conferme in altri disabili che frequentarono

quel corso) che in queste persone anche lo

schema motorio subisce danni e disturbi e

esse non ne acquisiscono una completa pa-

dronanza. La lateralizzazione è precaria,

non memorizzano i movimenti complessi e

faticano ad imitarli, li eseguono con una

goffaggine caratteristica.

Secondo me lei conseguì degli effettivi be-

nefici da questi esercizi, ma, anche in que-

sto caso, molto lavoro, molto sforzo, per un

potenziamento di entità contenuta: mi sono

chiesto più volte e non solo nel suo caso,

quale strategia didattica potesse risultare

più efficace per trasmettere questa o quella

competenza comportamentale (in questo

caso abilità corporee, soprattutto cinetiche),

ma mentre nella stessa lezione vedevo al-

lievi apprendere bene e prontamente, con-

statavo che altri rimanevano estranei e im-

permeabili al movimento, alla postura, alla

logica stessa degli esercizi proposti ed

esemplificati; è in situazioni come queste

che si sperimenta quanto poco possa fare

l'insegnante, rispetto a quanto possa fare

l'allievo!

Valentina arrivò all'esame di maturità

e, sia pure in forma facilitata, lo superò

degnamente, ma finita la scuola, che un

certo grado di uguaglianza democratica rie-

sce a conferire ai suoi studenti, il resto del

mondo che sta oltre la soglia delle scuole e

il titolo di studio, torna ad essere classista e

selettivo, del tutto privo di pari opportunità:

Valentina, per quanto ne seppi, non si

iscrisse all'università, ma al professionale

serale e al momento non so con quale esito,

non so con quale futuro.

Come accennavo poc'anzi al corso di auto-

difesa parteciparono altri disabili non fisici,

tra l'altro due ragazzi autistici e un ipercine-

tico. Erano stati iscritti dalle famiglie certo

forse anche nella speranza che traessero

giovamento da un lavoro in palestra, ma

forse anche per tenerli semplicemente im-

pegnati in una giornata altrimenti troppo

lunga da passare in casa. Ricordo viva-

mente la mia impotenza di fronte alla

loro quasi totale incapacità di riprodur-

re le tecniche e gli spostamenti che

erano parte integrante del corso stes-

so. La rigidità del loro corpo, la confusione

del loro schema corporeo, la loro estraneità

al significato dei movimenti erano una sfida

superiore alle mie forze. Bastava lasciarli un

attimo per dedicarsi agli altri che subito si

fermavano, quasi immobili, in piedi, magari

l'uno di fronte all'altro, senza quasi vedersi

o "sentirsi".

Ricordo anche che i normali, i "diversamen-

te inabili" che frequentavano il corso, co-

minciarono a disertare, allontanati dalla loro

presenza e, alla fine, dovetti arrendermi: il

corso non andava bene per chi aveva disa-

bilità e io non avevo le competenze e i

mezzi (per esempio assistenti) per condurlo

con loro.

Desidero anche raccontare brevemente l'e-

sperienza con Matteo, un ragazzo enigmati-

co che presentava una diagnosi funzionale

assolutamente insolita (almeno per me):

era un ragazzo affetto dalla sindrome di

Down e, ad un tempo, un autistico; con lui

non si parlava e lui non parlava, scriveva, o

meglio faceva scrivere al computer un'assi-

stente che recepiva un quasi impercettibile

assenso (se non ricordo male una lieve

pressione sul suo braccio) a premere que-

sto o quel tasto della tastiera!

Matteo frequentava assiduamente e passa-

va interminabili ore seduto al suo banco in

un apparente stato di calma, ma anche di

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totale estraneità a quanto veniva detto, fat-

to e spiegato; la classe era affezionata alle

sue stranezze e sia pure senza apparenti

scambi di comunicazione aveva relazioni

con tutti. Il suo rendimento scolastico era

medio-alto, soprattutto in matematica! Fa-

ceva pensare a Dustin Hofmann di Rain

man! All'inizio (lo conobbi al quarto anno, in

una classe di trenta allievi di cui sette ripe-

tenti e altri due portatori di Handicap!) ebbi

qualche problema a sintonizzarmi sulle

sue prestazioni, c'era qualcosa che non

mi convinceva e anche lui aveva un PEI

che gli avrebbe consentito di prendere co-

munque un diploma autentico e questo mi

creava problemi di giustizia scolastica nei

confronti dei tanti scarsi, per motivi che non

prevedevano facilitazioni: se uno studente è

svogliato e va male, dopo averlo esortato

un paio di volte ed averlo scusato un altro

paio, ci sembra del tutto ovvio cominciare a

penalizzarlo e, se insiste ed è il caso, anche

a non promuoverlo; ma quando ci troviamo

di fronte all'handicap scatta la protezione

della legge, anche se, trattandosi di un

handicap di minore gravità, si può persona-

lizzare il percorso educativo e consentire al-

lo studente il perseguimento del titolo di

studio.

Ma ci sono una quantità di fattori che ren-

dono molti studenti refrattari ed estranei al

processo educativo (famiglie multiproble-

matiche, esperienze traumatiche, crisi di

identità, frequentazioni pericolose, gravi

scontri e incomprensioni tra docenti e allie-

vi, e così via) e quel che si fa in questi casi

è inconfrontabile con quanto viene posto in

opera nell'integrazione dell'handicap e que-

sta disparità mi ha sempre creato malumori

deontologici.

Matteo non poteva essere interrogato e uf-

ficialmente la mia materia (Scienze Sociali)

era orale! Poiché l'uso delle interrogazioni

scritte, dei test e dei compiti in classe era

prassi consuetudinaria, non era la fine del

mondo, ma tutti quelli che hanno insegnato

sanno bene che si tratta di due prestazioni

ben diverse.

Inoltre si trattava di una disciplina discorsi-

va, in cui c'è molto da argomentare, invece

Matteo, proprio per la tecnica comunicativa

impiegata era estremamente sintetico. Co-

munque quel poco che scriveva era concet-

tualmente denso e rispondente, acuto ed

essenziale e faceva a pugni con il suo

sguardo eternamente perso nel vuoto! Ri-

cordo che un giorno era rimasto solo in aula

perché la classe era andata a fare qualcosa

che lui non voleva fare e passammo un'o-

retta in perfetto silenzio, con lui che fissava

a tratti il nulla, a tratti mi guardava e intan-

to giocherellava col mio ginocchio.

Infine una breve testimonianza su Veronica,

studentessa timida e assolutamente priva di

fiducia in sé: la incontro al terzo anno del

suo percorso, presenta una diagnosi funzio-

nale di Disturbo specifico dell'Apprendimen-

to, ha un PEI vero e proprio ed è la stessa

famiglia, soprattutto il padre, che spinge af-

finché lei possa frequentare senza pretese,

perché non può farcela a fare di più. Per

qualche mese le cose marciano così, lei è

timida e non manifesta risultati apprezzabi-

li, il padre insiste a dire che lei è limitata e

una collega di matematica sostiene che, ef-

fettivamente, non possiede nemmeno la

nozione di numero.

Poi di colpo si apre uno spiraglio imprevisto

e un'altra collega, di filosofia, si accorge che

questa ragazza ha delle potenzialità ine-

spresse e che è tenuta a freno dai genitori e

comincia a battersi perché sia diversamente

considerata e che si riveda lo stesso PEI.

Con queste premesse si conclude il terzo

anno e all'inizio del quarto Veronica è in

ascesa verticale. Acquista un po' di fiducia

in sé, riesce, anche nella mia materia, a ef-

fettuare interrogazioni degne del nome,

esce, in parte, anche dal suo isolamento re-

lazionale in classe.

La collega di matematica insiste: non capi-

sce la nozione di numero, allora io e l'inse-

gnante di filosofia facciamo dei controlli ca-

serecci. Dal momento che suo padre ha un

negozio in cui anche lei da una mano le

chiedo: ma se viene uno che compra per 7

euro e ti paga con una banconota da 10

quanto gli devi dare di resto? Lei mi guarda

come se fossi scemo (e un po' mi ci sento)

e mi risponde: "ma tre euro, no!?" Forse

possiede solo il concetto di euro, ma sostie-

ne un paio di interrogazioni concordate in

cui non solo dimostra di sapere tutto, ma

risponde anche a domande provocatorie e

stabilisce nessi non espliciti, insomma un

successo, anche a prescindere dal contesto

della classe, che non è davvero da top ten.

Organizziamo una visita didattica presso

una scuola elementare per verificare sul

campo alcune nozioni di psicologia dello svi-

luppo e dobbiamo convincere il padre che è

in grado di servizi di mezzi pubblici e che

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comunque può andare con le compagne

della classe, essere autonoma nel quotidia-

no: un altro tabù della famiglia, certo a pro-

tezione della sua incolumità, ma anche una

pesante ipoteca sulla sua indipendenza e a

più di qualcuno di noi docenti viene il dub-

bio: ma non sarà stata la famiglia a impe-

dirle di sviluppare le sue potenzialità?

Insomma quando lascio la classe Veronica

sta transitando dalla prospettiva di un'atte-

stazione di frequenza ad un diploma vero e

proprio da una condizione di diversa abilità

ad una di abilità normale, come gli altri e

mi domando: quanti casi come questo si

saranno verificati?

Naturalmente ci sono stati e ci sono

tuttora casi invece in cui le cose sono

andate male, in cui la scuola è stata solo

un parcheggio, un luogo di contenimento;

casi difficili, peggio: impossibili! Situazioni

che hanno depresso il già precario profilo di

molte classi, che hanno scatenato dinami-

che distruttive e prive di esiti per tutti,

compresi i docenti, soprattutto quelli di so-

stegno e gli assistenti, in crisi di identità

professionale, stanchi e demoralizzati per-

ché il disagio mette a disagio, perché la sof-

ferenza genera sofferenza. Il problema è

aperto e si salda con il più generale males-

sere giovanile che non trova nella scuola

una medicina, ma un fattore di ulteriore

aggravamento: c'è molto lavoro da fare e le

previsioni a breve termine non sono delle

migliori!

Roberto Sabatini

è stato Docente di Scienze Sociali

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La forza propulsiva dell'Integrazione La bellezza di essere tutti diversamente uguali di Infantino Aminta Patrizia - Integrazione Scolastica

Il senso dell'integrazione sta nel salvaguar-

dare una compartecipazione alla vita scola-

stica e di classe assicurando il miglior svi-

luppo possibile delle competenze individua-

li.

Tutti i ragazzi, indipendentemente dalla loro

attitudini e dalle differenze individuali che li

contraddistinguono, vivono il bisogno di

sentirsi inclusi.

Sentirsi esclusi ci fa sentire diversi? Ma chi

è il diverso? Il diverso è lo straniero, il di-

slessico, l'omosessuale, il musulmano, l'au-

tistico, il buddista, l'immigrato, il diverso è

semplicemente l'altro, il diverso siamo noi.

Siamo noi l'altro da integrare, siamo tutti

da integrare.

La forza propulsiva dell'integrazione ri-

sveglia il senso di appartenenza al

mondo innalzando la forza vitale che ci

rende più energici e felici.

Accettare che siamo tutti diversamente

uguali è il senso dell'inclusione.

Riuscire ad integrare e includere tutti senza

escludere nessuno predispone ad accettare

parti di sé che non sempre accettiamo, parti

che a volte ci imbarazzano e che preferiamo

non vedere, nascondere, occultare. Sono

quelle parti che ci mettono in disarmonia

con noi e con chi, presentando lo stesso

aspetto caratteriale, ci ricorda come uno

specchio ciò che di noi non vorremmo vede-

re.

Accettare e integrare significa far pace con

sé stessi. E' con la finalità di comprendersi

e riconoscersi che dobbiamo condurre i ra-

gazzi verso una conoscenza metacognitiva

e meta emozionale.

La parola ai ragazzi: Oggi in classe è sta-

to letto un brano sulla diversità Abbiamo

provato a metterci nei panni del personag-

gio ed è stato particolarmente difficile. La

parola 'diverso' incute un senso di isola-

mento, di esclusione. Propongo delle rifles-

sioni e, come sempre, faccio sgombrare i

banchi da libri e quaderni e distribuisco un

foglio bianco ad ognuno.

Non c'è niente di più pericoloso che l'essere

rifiutati da parte dei nostri simili, anche

l'essere ignorati negli scambi via internet,

dove apparentemente non si rischia nulla,

finisce per comportare seri disturbi dell'au-

tostima attivando fantasmi di rifiuto...

Anche questa volta le proposte sono gra-

duali e lo step successivo arriva solo a con-

clusione del precedente.

L'unico divieto è fare riferimenti a persone.

Cerco di riportare l'attenzione solo su

aspetti fisici o caratteriali. Ribadisco che

non dobbiamo ne giudicarci e ne giudicare

quello che ascoltiamo e diciamo ma solo

prenderne atto per conoscerci meglio. Se

siamo sinceri ne usciremo più ricchi, perché

avremo ampliato la nostra conoscenza, al-

trimenti avremo fatto un'esercitazione di

scrittura!

Ormai sono appassionati a questo genere di

lavoro. Sono sé stessi e scrivono di getto,

liberamente e senza badare agli errori.

1. Ci sono momenti in cui mi sono sentito

diverso dagli altri. Mi sono sentito così

quando...

Integrazione Scolastica

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2. Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho

difficoltà ad accettare e che mi rendono

estraneo all'altro...

3. Tra gli aspetti che negli altri non mi piac-

ciono ce n'è qualcuno che mi ricorda qual-

che aspetto di me...

Ci sono momenti in cui mi sono sentito

diverso dagli altri. Mi sono sentito così

quando...

Anonimo: Mi sono sentito diverso quando

mi escludevano perché sono Rumeno e

all'inizio non potevo capire molto bene le

parole che dicevano. Parlavano in romanac-

cio, mi chiedevano il significato delle parole

e io non sapevo rispondere. Devo ammette-

re che non è stata una sensazione piacevole

quello che ho provato e che in certi casi ri-

provo.

Valerio: Io sinceramente non mi sono mai

sentito diverso dagli altri e non ho nemme-

no una parte di me che vorrei nascondere.

In ogni situazione mi sono sempre sentito a

mio agio senza sentirmi indesiderato o

escluso o diverso dagli altri, e spero che ciò

non mi succeda mai.

Caterina: Nei momenti di timidezza cercavo

di trattenermela e di buttarla fuori. Alle in-

terrogazioni mi agito e poi vado male. Alla

fine dell'interrogazione mi sento diversa

perché tutti mi guardano. Non mi piace sta-

re al centro dell'attenzione.

Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho

difficoltà ad accettare e che mi rendono

estraneo all'altro...

Anonimo: Reagire con le mani, perché è

troppo inaccettabile. Non apprezzo quando

qualcuno fa il sapientino oppure quando

prende le cose con superficialità.

Valerio: A me stanno antipatiche le persone

che hanno queste varie caratteristiche: su-

perbia, che si vantano di se stessi, quelli

che parlano alle spalle, invidiosi nei con-

fronti di altri, chi si crede superiore, chi va

oltre il suo volere per sentirsi accettato, le

persone false

Caterina: Non mi piace quando una persona

vuole sapere per forza un tuo segreto. Non

mi piace quando do una risposta sbagliata e

gli altri ridono di me.

Tra gli aspetti che negli altri non mi

piacciono ce n'è qualcuno che mi ricor-

da qualche aspetto di me...

Anonimo: Quando mi dicevano 'rumeno' io

cercavo in tutti i modi di occultare l'eviden-

za dicevo che mio padre è italiano.

Valerio: Quando ero piccolo ero superbo di

me stesso, mi sentivo superiore a tutto e a

tutti.

Caterina: Mi ricordo quando ero bambina

che ridevo quando gli altri davano risposte

sbagliate. Ora non lo faccio più perché ho

capito che da fastidio. Rido solo se quella

persona lo fa apposta e dice una stupidag-

gine per far ridere...e allora si che mi diver-

to!

Dopo la riflessione scritta individuale nasce

un momento di confronto in cui, chi vuole,

si espone leggendo ciò che ha scritto. L'am-

biente accogliente favorisce il dialogo. I ra-

gazzi si soffermano molto sul fatto che tra

gli aspetti che non ci piacciono degli altri e i

nostri ci siano tante similitudini.

Aminta Patrizia Infantino,

Docente di Sostegno Scuola Superiore di

primo grado "SMS Pintor"e "Cecco Angiolie-

ri" – Roma

N.B. L'articolo è parte del testo in corso di

pubblicazione con Edizioni La Meridiana

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All'origine dell'idea di integrazione Un'esperienza di continuità da condividere di Ansuini Cristina - Organizzazione Scolastica

Sono nata e cresciuta in un quartiere popo-

lare di Roma, fatto di cortili, piccole piazze,

tanti punti di incontro, dove non ci si pone-

va affatto il problema dell'integrazione: il

buon senso, regole condivise non scritte,

facevano sì che ognuno trovasse un suo po-

sto preciso, in armonia con il resto, non

sottraendosi a scontri e rivalità, disagi e

sconfitte, ma con gli strumenti giusti, fatti

di affetti forti e duraturi, che consentivano

di superare le difficoltà e diventare forti, ma

non da soli.

Questa scorta grande di preziosità affettive,

questa brillante riserva di amore variegato,

mi hanno portato a vivere il mio stare con

gli altri in un modo speciale, senza riserve,

spesso senza schermi - con tutti i rischi che

ciò comporta... -, ma sempre alla ricerca di

modi giusti per incontrare, mescolare, met-

tere insieme in modo sano mondi diversi.

Le realtà in cui ci troviamo a lavorare a

scuola sono sempre più ricche, con sempre

maggiori possibilità di esplorare modalità

nuove di stare insieme, di imparare a fare e

a pensare, di utilizzare strumenti originali.

Allo stesso tempo però, sempre maggiore è

il disagio legato alla nostra professione, il

senso di inadeguatezza, la paura di perdere

terreno, la necessità di avere dei punti fer-

mi in mezzo a tanta confusione...

La tentazione di ripiegarsi in se stessi e vi-

versi gioie e dolori in dorata solitudine è

grande, ma anche un vero e proprio mirag-

gio tra spezzettamenti orari, supplenze,

progetti, commissioni....

Tanto vale quindi integrarsi, magari attra-

verso il confronto ed il lavoro comune!

Pochi giorni fa mi è stato comunicato, che

avrei dovuto organizzare, in concerto con le

colleghe della Scuola dell'Infanzia, un'attivi-

tà nell'ambito di un Progetto Continuità, at-

tività in cui i miei ragazzi di quinta, avreb-

bero dovuto guidare e accompagnare in una

nuova entusiasmante avventura i piccoletti

di cinque anni.

La cosa mi ha inizialmente spiazzato, mi

sono venuti in mente i tanti lavori in cui

siamo attualmente impegnati, gli incastri

orari, le uscite previste, il campo-

scuola...un'ondata di panico rischiava di

travolgermi!

Poi è tornata a galla la mia "scorta emoti-

va", il mio bagaglio di affetti, la mia infanzia

passata in cortile con noi grandi che prepa-

ravamo la campana per i più piccoli, le se-

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rate d'estate ad ascoltare le storie dai più

grandi, le merende condivise, le birichinate

organizzate con precisione chirurgica.

E allora mi sono chiesta: come possiamo

aiutare questi bambini ad integrarsi in

una situazione nuova che, in quanto tale,

attrae e spaventa? Nel modo più naturale,

cercando i punti di incontro, le piacevolez-

ze, le preferenze, dando anche ai "grandi"

la possibilità di essere tutor, di ripercorrere

quei sentieri già battuti che li hanno portati

così lontano, ad un passo dalla scuola me-

dia! (usando una vecchia e più comprensi-

bile nomenclatura...)

Un punto d'incontro privilegiato mi è

sembrato potessero essere le storie, da

ascoltare, mangiucchiare, mimare, scara-

bocchiare, raccontare... In concerto con le

colleghe della scuola dell'infanzia abbiamo

stabilito un certo numero dei incontri nei

quali esplorare una storia tutti insieme, at-

traverso tappe tranquille:

1. Presentazione dei bambini attraverso uno

scambio di cartelloni di ritratti.

2. Lettura animata (magari anche un po'

mimata) di una storia

3. Invenzione di rime divertenti con i per-

sonaggi e gli ambienti della storia

4. Illustrazione delle scene principali speri-

mentando il disegno condiviso

5. Ricomposizione della storia nelle giuste

sequenze disegnate

6. Merenda in allegria!

Quest'ultima tappa legata alla condivisione

"mangereccia" penso sia molto importante

perché non c'è niente di più naturale e bello

che mangiare divertendosi tutti insieme!

Ritengo che questa esperienza, semplice e

complessa allo stesso tempo, con tutte le

implicazioni che porta con sé, consenta tan-

te integrazioni: quella tra bambini di età di-

verse, tra docenti, tra esperienze, tra modi

di lavorare, tra linguaggi e questo arricchirà

un po' tutti, aggiungendo qualcosa al nostro

modo di essere.

Sono certa che questa esperienza porterà

dei buoni frutti sia per i ragazzi "in uscita"

che per i piccoli che stanno arrivando che

per noi docenti...finora il mio bagaglio affet-

tivo non mi ha mai tradito!

Cristina Ansuini,

Psicologa, Docente presso la scuola "2 otto-

bre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca,

Roma

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Che cosa è normale? Niente.

Chi è normale? Nessuno Tutti uguali e tutti diversi di Agolino Simona Loretta - Organizzazione Scolastica

Qual è il confine tra normalità e anormalità?

Tra uguale e diverso? Caratteristiche che

spesso nella nostra società sono considera-

te importantissime per poterne far parte o

per esserne esclusi. Tutto ciò che sappiamo

su quello che viene considerato normale è

per il modo con cui siamo stati educati.

Da tempo la scuola ha cercato di coniugare

le singole diversità degli alunni e farne un

punto di forza per sottolineare il valore del-

le potenzialità di ciascuno.

Rimane tuttavia la necessità di definire "ciò

che è diverso": ma il diverso da noi, non è

forse uguale a noi intanto perché apparte-

niamo tutti alla stessa specie umana?

Le domande sulla "diversità" mi sembrano

necessarie per il genere umano (e io ne

faccio parte!) perché siamo persone sempre

alla ricerca di continue conferme.

Qual è dunque l'esigenza di delineare la li-

nea di confine tra normalità e diversità?

Esisterà davvero una linea di confine tra ciò

che viene considerato normale o diverso o

semplicemente vogliamo immaginarla noi

per dare un confine/contorno alla "nostra"

normalità?

Molte volte viviamo con coloro che sono

stati etichettati come diversamente abili

come se fossero inseriti in un calderone,

senza neanche degnarci di capire veramen-

te le loro reali differenze e le loro reali diffi-

coltà. Mi accorgo come la parola DISABILI-

TA' susciti problemi per tutti: all'interno

della categoria "diversamente abili" molte

persone debbono lottare strenuamente per

dimostrare di essere perfettamente uguali

agli abili e, d'altra parte, "gli abili" rimarca-

no che proprio questo tentativo di imitare

gli abili ... li conferma nella categoria disa-

bili. Poiché tra gli abili non si deve dimo-

strare di essere abili, il solo fatto di affer-

marlo da parte del disabile o della loro fa-

miglia, conferma e sottolinea la differenza.

In questo gioco a chi è abile/normale e chi

invece è diversamente abile/diverso ... ri-

schiamo di perderci tutti.

A contatto con i disabili e le loro famiglie ho

conosciuto il volto di una umanità ferita,

con una grande voglia di riscatto, ma non

annullata; provata ma non amareggiata;

sofferente ma non sconfitta. Ho conosciuto

persone che sanno trovare mille strade per

vivere in modo creativo la solidarietà, an-

che in totale assenza di risorse disponibili.

Vi confesso che molte volte mi sono sentita

inabile a vivere rispetto alla loro capacità di

riuscire a farlo in maniera così piena e pro-

fonda.

Uomini e donne "diversamente abili" che ci

insegnano l'arte di accogliere e affrontare la

vita con gesti semplici, pazienti, tolleranti

ed intraprendenti.

Anche la scuola deve saper progettare e

realizzare sempre meglio tutta una serie di

attività utili ad un bambino disabile affinché

il dopo -la vita futura fuori dal mondo della

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scuola- lo veda il più possibile autonomo in

ogni sua azione.

La mia esperienza personale d'insegnante

con alunno disabile in classe è stata per

quanto possibile molto buona. Nella mia

classe, sin dal primo anno abbiamo avuto

una alunna "diversa" e se il pensiero mi

torna indietro nel tempo, quanti progressi

abbiamo fatto grazie all'aiuto di tutti. Ma

quello su cui abbiamo puntato l'attenzione

con la collega è stato di renderla il più au-

tonoma possibile, da punto di vista fisico e

psicologico, aiutandola ad avere più stima

di se stessa.

Era una bambina molto poco abituata alla

sua autonomia personale, confortata dal

fatto che i genitori -e comprendiamo la loro

giusta paura- limitavano ogni semplice mo-

vimento, rendendola ancora più diversa dai

suoi coetanei.

Noi insegnanti e tutto il gruppo classe ab-

biamo lavorato nella stessa direzione, pur

stando sempre molto attenti alla sua parti-

colare situazione, è sempre stata al centro

di ogni attività proposta, anche semplifi-

candola, per darle modo di svolgerla con-

temporaneamente agli altri.

E adesso che siamo arrivati quasi al termine

del nostro percorso educativo posso sempli-

cemente affermare che questo piccolo spic-

chio di umanità conosciuta e affrontata per

cinque anni, ha reso tutti noi più capaci e

più attenti a costruire rapporti d'amore con

il prossimo, senza commiserazione, sorrisi

forzati o sguardi furtivi o frasi stereotipate

ma cercando di offrire sempre comprensio-

ne, affetto e opportunità intelligenti.

Questo tipo di rapporto non conosce

abili o non abili, riguarda l'uomo.

E' un difficile rapporto da creare, che si im-

para vivendo "la vita" in modo profondo e

consapevole, riguardo alle nostre poliedri-

che e differenti capacità che fanno così bel-

la e ricca l'umanità.

Simona Loretta Agolino,

giurista, docente I.C."2Ottobre

1870",piazza Borgoncini Duca Roma.

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Educazione psicomotoria a scuola Il contributo allo sviluppo di abilità psico-fisiche nei bambini di Lugaresi Adriana Nora - Organizzazione Scolastica

L'educazione psicomotoria è un'azione pe-

dagogica che contribuisce a soddisfare i bi-

sogni educativi primari degli alunni con dif-

ficoltà diverse, che vanno dalle disabilità, ai

disturbi specifici dell'apprendimento o a

problemi di linguaggio.

Non si tratta di una tecnica misteriosa ma

di una vera e propria azione educativa

che può favorire l'integrazione scola-

stica ed interpersonale del bambino, in

quanto punta a:

• Normalizzare

e migliorare il

comportamen-

to generale;

• Preparare

l'educazione di

abilità che sa-

ranno richieste

nell'apprendi-

mento;

• Favorire gli

apprendimenti

scolastici.

L'evoluzione

psicomotoria

del bambino

condiziona gli

apprendimenti

scolastici di

base (scrittu-

ra, lettura,

dettato). Per

fissare l'atten-

zione, il bam-

bino deve es-

sere capace di

attuare il con-

trollo del pro-

prio corpo ed

attivare un

PROCESSO DI

INIBIZIONE VOLONTARIA.

Per acquisire ed utilizzare i mezzi dell'e-

spressione grafica, non solo ha necessità di

vedere ed osservare, ma anche di ricordare

per poi trascrivere in un senso ben definito.

Si tratta sempre di abitudini motorie e psi-

comotorie e la mano che si prolunga in uno

strumento per scrivere (matita, penna), di-

viene il mezzo per attuare l'espressione

grafica.

La scrittura è quindi un'attività neuro-

psico-motoria dato che implica l'indipen-

denza del braccio in rapporto alla spalla,

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Pag.32

della mano in rapporto al braccio, e l'indi-

pendenza delle dita. Allo stesso tempo, è

un esercizio di prensione, di pressione, di

coordinazione.

Per quanto vi sia simultaneità, prima di im-

parare a leggere occorre imparare a scrive-

re. Una lettera, inizialmente, è un gesto

che, gradualmente, si riduce ad un segno,

associato alla capacità di articolare o ad un

suono. Nella preparazione alla scrittura non

si può prescindere dall'utilizzo concreto di

varie sensazioni, connettendo il senso mu-

scolare e del movimento all'udito e alla vi-

sta. Per questo si rivela utile insegnare a

scrivere prima nello spazio ambiente, con la

spalla ed il braccio, e poi con la mano nello

spazio foglio. La O, per esempio, è un

grande cerchio del braccio ma anche della

gamba. All'inizio tutto il corpo partecipa ad

un gesto ampio e rapido, poi meno rapido e

sempre meno ampio e, gradualmente,

sempre più preciso.

Tenendo presente questi principi, molto

giochi motori (per es. all'asilo) possono ri-

velarsi utilissimi per l'avvio alla lecto-

scrittura.

In sintesi, sia che esista un parallelismo fra

insufficienze motorie e psichiche, che vi

siano relazioni di causa/effetto fra le prime

o le seconde oppure che semplicemente il

comportamento motorio del bambino in-

fluenzi il suo comportamento generale, la

motricità resta strettamente collegata

con lo sviluppo cognitivo per tutto il

corso dell'infanzia.

Queste correlazioni portano a concludere

che non è possibile separare, per educarle,

le funzioni motoria, psicomotoria, percetti-

vo-motoria dalle funzioni puramente intel-

lettuali. L'educazione del bambino con disa-

bilità deve essere in primo luogo e soprat-

tutto un'educazione motoria e psicomotoria.

Ma quali sono gli aspetti da osservare in un

bambino al fine di realizzare un'educazione

psicomotoria nella scuola? Iniziamo proprio

dal movimento.

Il movimento: attività del cervello mol-

to sofisticata

I movimenti non sono un semplice mecca-

nicismo: essi sviluppano la logica della

mente, insegnano al bambino cosa sia il

prima e il dopo, i nessi di causa ed effetto,

permettono di percepire lo spazio e di im-

parare ad orientarsi in ambienti nuovi e più

complessi. Senza il movimento il bambino

non potrebbe scoprire il mondo né le leggi

che lo regolano, siano esse fisiche, naturali

o sociali. Le nuove abilità vanno esercitate,

sperimentate e riprovate affinché i movi-

menti diventino forti, fluidi e coordinati. Ec-

co perché i bambini che sono poco motivati

ad imparare o che non provano piacere nel-

le competizioni fisiche spesso sono quelli

che, per varie ragioni, non hanno sviluppato

un sufficiente desiderio di esercitare abilità

motorie. Un corretto sviluppo psicomotorio

gioca inoltre un ruolo fondamentale nell'in-

telligenza linguistica, attraverso l'imitazione

dei suoni degli adulti che avviene con speci-

fici movimenti delle labbra e del volto.

L'apprendimento motorio si realizza soprat-

tutto attraverso L'ESPLORAZIONE, la quale

produce nel bambino non solo la consape-

volezza di ciò che lo circonda ma gli per-

mette di sviluppare una capacità essenzia-

le: testare e valutare l'interazione tra il

proprio corpo e l'ambiente. Vi è quindi uno

stretto legame tra lo sviluppo delle compe-

tenze motorie e l'apprendimento percettivo-

intellettivo. Educare alla percezione può

quindi favorire l'espressione di abilità cogni-

tive.

Aspetti sensoriali dell'apprendimento

motorio

Quando un organo sensoriale (per es. occhi

o orecchie) viene stimolato da un evento

(un'immagine o un suono), l'organo recet-

tore trasmette le informazioni al cervello

dove l'informazione viene organizzata ed

utilizzata per favorire un piano di azione.

Questo processo viene definito RICEZIONE

SENSORIALE. Si parla invece di PERCEZIO-

NE SENSORIALE relativamente alla capacità

del cervello di dare un senso alle informa-

zioni trasmesse dall'organo recettore.

Per quanto problemi ricettivi e percettivi

possano coesistere, generalmente si ritiene

che i bambini con difficoltà percettive ab-

biano organi sensoriali normali ed una nor-

male trasmissione di informazioni sensoriali

al cervello. Tuttavia, per motivi non com-

presi, il cervello di un bambino con pro-

blemi percettivi ha difficoltà a dare un

senso alle informazioni che vengono

trasmesse.

Le difficoltà percettive possono manifestarsi

in vari ambiti. Ad esempio, un bambino con

disturbo percettivo visivo può avere difficol-

tà nel riconoscimento di forme o lettere, o

nel prestare attenzione ai dettagli di un

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Pag.33

immagine complessa o "affollata". Un bam-

bino con problemi percettivi uditivi spesso

ha difficoltà ad imparare i suoni corretti del

linguaggio. Inoltre, percezione visiva e tat-

tile giocano un ruolo importante nello svi-

luppo delle abilità motorie. Si comprende,

allora, come le varie problematiche possono

intersecarsi, con profonde ricadute sul pia-

no espressivo, motorio e cognitivo, del

bambino stesso.

Infine, ogni bambino è "bombardato" da in-

formazioni provenienti sia dall'ambiente

esterno che interno. Deve quindi imparare a

prestare attenzione a ciò che è utile nella

situazione in cui si trova e ad ignorare le in-

formazioni superflue. Tale processo, definito

modulazione sensoriale, permette di at-

tivare l'attenzione selettiva. I bambini con

difficoltà diverse presentano generalmente

anche problemi di modulazione sensoriale,

mostrando un livello di attivazione basso

(ipo-responsivi) o alto (iper-responsivi) o

fluttuante tra un livello basso e uno alto.

Ipo e iper-responsività

Alcuni BAMBINI IPO-RESPONSIVI necessi-

tano di una stimolazione molto intensa per

"farli partire". Questi bambini possono

sembrare stanchi, pigri o riluttanti all'idea

di partecipare a varie attività. Ci sono tut-

tavia bambini ipo-responsivi che possono

apparire irrequieti in quanto necessitano di

input sensoriali più alti della media per

mantenere costante l'attenzione. Cercano,

in modo afinalistico, delle opportunità per

ottenere quelle sensazioni di cui il loro si-

stema nervoso ha particolare bisogno, e lo

fanno toccando, muovendosi, manipolando

oggetti.

I BAMBINI IPER-RESPONSIVI tendono, ge-

neralmente, a essere molto attivi e hanno

un controllo degli impulsi deficitario. Il loro

sistema nervoso non è in grado di ignorare

gli stimoli in eccesso e può interpretarli co-

me minacciosi anche quando non lo sono.

Dal momento che tendono ad evitare espe-

rienze ritenute spiacevoli, questi bambini

mostrano generalmente facilità ad arrab-

biarsi, impulsività e difficoltà a relazionarsi

con i pari. Alcuni, tuttavia, imparano ad evi-

tare situazioni che potrebbero bombardare

il loro sistema nervoso con input sensoriali,

causando angoscia. Di conseguenza, posso-

no rifugiarsi in un atteggiamento passivo.

Tono muscolare

Un altro aspetto che merita particolare at-

tenzione nell'educazione psicomotoria è il

tono muscolare, ossia il livello di tensione di

un muscolo. Bambini con problemi cerebrali

gravi, quali la paralisi cerebrale, tendono ad

avere un tono muscolare o troppo elevato

(spasticità) o troppo basso (ipotonia o ato-

nia) o alternante tra i due poli. Quelli con

disturbi nello sviluppo della coordinazione

possono mostrare anomalie nel tono mu-

scolare, generalmente più limitate.

Un tono muscolare anomalo può avere una

serie di conseguenze, sia sulla capacità di

sviluppare un buon equilibrio che di muo-

versi da una posizione all'altra nonché sulla

capacità di sviluppare un senso di sicurezza

e controllo sul proprio corpo. Per es., i

bambini con ipotonia possono mostrare

un'eccessiva flessibilità delle articolazioni

(gomiti e articolazioni delle dita in particola-

re), per cui possono tenere la matita o altri

oggetti in mano utilizzando una posizione

inefficiente a applicando spesso una forza

eccessiva.

Motivazione esplorazione sperimen-

tazione

Bambini con differenze percettive o senso-

riali possono apparire sotto tono e passivi

quando devono affrontare circostanze che li

mettono alla prova e riguardo le quali si

percepiscono privi di risorse e capacità. Op-

pure possono apparire iperattivi e disorga-

nizzati quando cercano le sfide ma non rie-

scono ad attuare strategie adeguate né ad

imparare dalla sperimentazione.

Altro problema: bambini con problemi mo-

tori o con ritardo dello sviluppo possono es-

sere presi in giro o infastiditi dai compagni

e ciò rinforza la riluttanza a partecipare

ad attività che attirino l'attenzione sui

loro deficit.

D'altra parte, genitori ed insegnanti posso-

no involontariamente concentrarsi sui limiti

del bambino, causa la preoccupazione e

l'insistenza a far provare e riprovare. Il

bambino ne può ricavare l'impressione che

sia impossibile accontentare l'adulto, con

conseguente bassa autostima e scarsa tol-

leranza alle frustrazioni.

In tal senso, sarebbe utile identificare me-

todi appropriati, anche all'interno della

scuola, per motivare a sperimentare le abi-

lità motorie che sono necessarie. Per es., se

il bambino ha difficoltà a manipolare oggetti

molto piccoli, eviterà di giocare con il lego,

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Pag.34

ma potrebbe essere felice di decorare bi-

scotti con pezzettini di cioccolato. La bam-

bina che, all'uscita da scuola, si scontra con

la difficoltà di indossare il cappotto nel ver-

so giusto, con asole e bottoni allineati, po-

trebbe trovare lo stesso compito più moti-

vante in un gioco di travestimenti. Oppure il

bambino che stenta a scrivere potrebbe di-

vertirsi con la lista della spesa se gli viene

suggerito di aggiungere ad essa uno o due

dei suoi cibi preferiti.

E' importante fornire feedback positivi,

concentrandosi più sul comportamento

del bambino che sulla qualità della sua

performance. Non dire, quindi: "Ben fatto"

"Bravissimo!", se non corrisponde alla veri-

tà. Ma dire: "Ho visto che questa volta ci

hai messo molta attenzione" - "Mi piace

come sei riuscito a non farlo di corsa".

Sono feedback che rendono più alta la pro-

babilità che il bambino ci provi di nuovo.

In sintesi, gli apprendimenti scolastici sono

solo un aspetto dell'azione educativa in ge-

nerale. L'osservazione del bambino, come si

è visto, può permettere di identificare pro-

blematiche sul piano percettivo e/o motorio

che influiscono sul piano cognitivo, con ine-

vitabili ricadute sugli apprendimenti. Che

fare?

Un laboratorio di educazione psicomotoria

all'interno della scuola, come già attuato

all'interno di alcune scuole dell'infanzia e

primarie, potrebbe rivelarsi molto utile, so-

prattutto per i bambini disabili o con varie

difficoltà. Per mia esperienza personale,

avendo partecipato personalmente ad ini-

ziative del genere all'interno di alcune scuo-

le, posso dire che l'apporto educativo psi-

comotorio migliora il comportamento gene-

rale del bambino, può contribuire efficace-

mente a creare nuove condizioni per l'at-

tenzione, educa le capacità percettive,

struttura nel bambino abitudini motorie e

neuromotorie corrette e non può che favori-

re l'integrazione degli elementi che fanno

parte dell'educazione scolastica vera e pro-

pria.

Adriana Nora Lugaresi –

Psicologa – Psicoterapeuta

Bibliografia Formenti L. (a cura di) (2006), Psicomotricità, educazione e prevenzione. La progettazione in

ambito socio educativo, Ed. Erickson.

Kurtz, Luisa A. (2006), Disturbi della coordina-zione motoria - Come aiutare i bambini goffi a casa e a scuola, Ed. Erickson. Oliverio A. (2001), La mente, istruzioni per l'uso, Rizzoli. Picq L. - Vayer P. (2002), Educazione psicomoto-

ria e ritardo mentale, Armando Editore.

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Pag.35

L'INVALSI Un edificio dalle fondamenta traballanti di Maranzana Enrico - Organizzazione Scolastica

Il ciclone "valutazione" si è abbattuto sulla

scuola, originato da raccomandazioni euro-

pee. Il fatto che l'INVALSI radichi su una

sollecitazione esterna, formulata da un ente

che opera per ottimizzare l'impiego delle ri-

sorse, è di notevole significatività: la scuola

è vista come una entità impenetrabile, i cui

processi interni sono privi di significato per

cui il controllo sarà da esercitare sui risulta-

ti che l'istituzione produce. La lettura

dell'articolo della legge che ha costituito l'i-

stituto romano offre molti elementi a soste-

gno di questa tesi.

Non è messa in discussione l'importanza di

un organismo di vigilanza che, in parallelo

con l'ordinaria gestione, segnali le devianze

dall'ordinato, coordinato, strutturato, fina-

lizzato itinerario verso la meta, per miglio-

rarne la percorribilità.

Miglioramento e armonizzazione della

qualità del sistema di istruzione e di

formazione

La finalità dell'istituto è limitata all'istru-

zione e alla formazione: gli aspetti educativi

non sono di pertinenza dell'Invalsi. L'accer-

tamento del grado di avanzamento sul per-

corso dell'apprendimento è affidato ai do-

centi e alle commissioni dell'esame di Stato.

Esclusione significativa, in quanto la titola-

zione dell'articolo della legge è "Valutazione

degli apprendimenti e della qualità del si-

stema educativo di istruzione e di formazio-

ne":

o L'ordinamento vigente scandisce i proces-

si scolastici a partire dagli aspetti formativi,

a cui seguono quelli educativi, di coordina-

mento e, finalmente, quelli dell'insegna-

mento. La "programmazione dell'azione

educativa" è il momento più significativo

della progettazione d'istituto, in quanto lo

studente e le sue qualità sono state poste a

cardine del servizio. L'aver escluso tale fun-

zione dal campo di lavoro Invalsi consegna

all'istituto uno scenario frantumato e non

unitario, inibendo l'assunzione di un'ottica

sistemica. Una limitazione che rappresenta

un impedimento al lavoro dell'istituto cen-

trale: un'ampia gamma d'informazioni, es-

senziali per lo svolgimento del suo compito,

è inaccessibile.

I traguardi educativi sono l'aspetto qualifi-

cante la vita e l'operatività delle singole

scuole: la loro enunciazione, seguita dalla

descrizione delle progressioni comporta-

mentali che gli studenti sono chiamati ad

esibire, è la piattaforma su cui si generano

le ipotesi d'intervento.

Organizzazione Scolastica

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Pag.36

o L'armonizzazione delle attività del sistema

scolastico implica la valutazione della pro-

gettazione organizzativa d'istituto. La sua

analisi fornisce le informazioni necessarie

per diagnosticare l'origine d'eventuali dis-

sonanze. La "verifica della qualità comples-

siva dell'offerta formativa" è una delega

troppo generica per indurre l'Invalsi a farsi

carico di una problematica tanto spinosa.

Lo scritto "Coraggio! Organizziamo le scuo-

le", visibile in rete, descrive il cambiamento

che il passaggio dall'idea di scuola al con-

cetto di "sistema educativo di formazione e

istruzione" avrebbe dovuto innescare:

aspetto essenziale per la valutazione della

qualità del servizio.

Effettua verifiche periodiche e sistema-

tiche sulle conoscenze e abilità degli

studenti

L'art. 2 della legge 53/2003 stabilisce l'o-

rientamento del sistema: "raggiungere ele-

vati livelli culturali e sviluppare le capacità e

le competenze, attraverso conoscenze e

abilità, generali e specifiche".

o Capacità e competenze sono i fini dell'isti-

tuzione; le conoscenze e le abilità sono gli

strumenti per il loro conseguimento. Quale

possibilità di successo ha un ente che, per

valutare la qualità del servizio, osserva gli

strumenti e ne trascura le finalità?

o Le capacità sono il fondamento della pro-

gettualità educativa, l'aspetto rilevante del

lavoro scolastico. La loro assenza nell'og-

getto del mandato Invalsi depriva il termine

"competenza" del suo significato vitale.

o Competenza è un termine non primitivo:

le sue componenti elementari sono le capa-

cità e le conoscenze o, in alternativa, le abi-

lità e le conoscenze.

La prima associazione è quella indicata dal

legislatore che ha espresso la finalità del

servizio in termini di capacità:

La natura delle competenze certificate alla

fine obbligo scolastico confermano l'anoma-

lia dell'oggetto del mandato affidato all'In-

valsi: i comportamenti dei giovani sono

classificati a partire dalla mission della

scuola.

Le capacità

o Leggere comprendere e interpretare testi

scritti di vario tipo;

o Produrre testi di vario tipo in relazione ai

differenti scopi comunicativi;

o Utilizzare e produrre testi multimediali;

o Individuare le strategie appropriate per la

soluzione dei problemi;

o Osservare, descrivere ed analizzare fe-

nomeni appartenenti alla realtà naturale e

artificiale e riconoscere nelle varie forme i

concetti di sistema e di complessità sono

state associate a un'area disciplinare al fine

di esplicitare le competenze generali og-

getto della valutazione.

In altri casi il documento prevede compe-

tenze specifiche: il campo di applicazione

della capacità è ben delineato come per

o Confrontare ed analizzare figure geome-

triche, individuando invarianti e relazioni;

o Collocare l'esperienza personale in un si-

stema di regole fondato sul reciproco rico-

noscimento dei diritti garantiti dalla Costitu-

zione, a tutela della persona, della colletti-

vità e dell'ambiente.

Le capacità, enucleate dalle competenze,

sono il faro di tutti gli insegnamenti: un al-

tro fronte per il monitoraggio del sistema.

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Pag.37

Gli aspetti

costitutivi

dell'Invalsi

coprono solo

una piccola

parte della

questione qui

affrontata: la

sollecitazione

europea ha

condizionato

l'inquadra-

mento del

problema

"valutazione

della qualità

del servizio"

e ha condotto a una sua definizione inade-

guata. Il breve periodo è l'ambito entro cui

sono stati identificati i risultati attesi. Si

tratta di una semplificazione che non fa i

conti con le dinamiche scolastiche, i cui esiti

sono visibili solo nel lungo andare: la bus-

sola del sistema educativo punta alle capa-

cità!

L'attività educativa è analoga a quella dei

vivaisti che allevano piante d'alto fusto: sol-

tanto a distanza d'anni si può constatare e

apprezzare l'esito del lavoro fatto. Nel bre-

ve periodo il controllo focalizzerà esclusi-

vamente la normalità dell'evoluzione, le

pratiche d'allevamento, l'esposizione, i fat-

tori accidentali, vale a dire aspetti procedu-

rali e ambientali.

Si apre così uno scenario molto diverso da

quello a cui la legge ha fatto riferimento

quando ha costituito l'Invalsi. Tale visione,

associata alle problematiche generate dal

vorticoso cambiamento del mondo contem-

poraneo, rivelano le traiettorie rispetto a cui

l'istituto, di concerto con gli organi ispettivi,

dovrebbe concepire i suoi interventi.

L'importanza di un organismo che accom-

pagni, sorregga e stimoli le singole scuole

nella gestione del cambiamento appare in

tutta evidenza se si considerano le scarne e

inefficaci risposte che sono state elaborate

per dar attuazione ai nuovi riferimenti e alle

nuove modalità operative che la legge ha

introdotto. Le scuole non hanno mostrato la

forza di rinunciare alla sicurezza che l'inse-

gnamento tradizionale dava loro, non hanno

superato l'individualismo che impedisce l'i-

dentificazione e il perseguimento di obiettivi

comuni, non hanno compreso che la proget-

tualità è un potente agente di valorizzazio-

ne della professionalità docente.

Queste tematiche sono state l'oggetto degli

scritti: "La scuola del XXI° secolo" - "La

scuola rivedrà le stelle?", visibili in rete.

Solo la dilatazione del campo temporale

d'osservazione può consentire l'acquisizione

delle informazioni necessarie al "migliora-

mento e all'armonizzazione della qualità del

servizio" quali, ad esempio: cosa fanno gli

studenti dopo cinque/dieci/quindici anni

dalla fine dei loro studi? Quali sono state le

situazioni che hanno contribuito alla loro

crescita personale?

Enrico Maranzana

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Un'esperienza da vendere... e da acquistare Integrazione è uguale a unione di Nucera Roberto - Long Life Learning

C'è o non c'è la crisi? Non si parla di altro in

questi ultimi mesi e coloro che ci governa-

no, cercano attraverso i quotidiani e i media

di declinare le problematiche di un paese, di

una società che disorientata circumnaviga

in mezzo al mare della gente passando so-

pra la loro continua richiesta di aiuto o

semplicemente quella di avere una pista da

seguire per affrontare una quotidianità

sempre più gravosa.

Eccoli lì, i soliti, a comandare la nave e a

gridare dall'alto cosa bisogna fare per risol-

vere le cose, e gridano, urlano, tutti insie-

me senza rendersi conto, intanto, che quel

mezzo pesante che li sostiene e li protegge,

investe e travolge persone. Persone uguali

a loro in termini di umanità, figli dello stes-

so cielo, persone diverse da loro per "so-

stanza" ed esperienza di vita.

È un po' quello che succede in molti am-

bienti, nelle famiglie, nelle scuole, tra amici,

ovunque vi sia presenza di vita.

L'uomo ha preso su di sé, mediamente "ob-

bligato", quella responsabilità che dai tempi

gli piombò addosso: la sopravvivenza della

specie. E ci riuscì... si riprodusse! E in effet-

ti è quello che stanno continuando a fare gli

uomini e donne di oggi, stanno contribuen-

do alla conservazione della "loro" specie,

spesso fatta di superficialità e inconsisten-

za, che ha poco da raccontare e tanto da

discutere. E poi ci sono gli altri, i diversi,

che dall'altra parte fanno leva su valori e

talenti dimenticati, su quelli non riconosciu-

ti, spesso infossati che tentano di opporsi

ad un'arbitraria e continua presa di potere.

Chiunque si distingue da una massa, per

qualsiasi tipologia, caratteriale, fisica, intel-

lettuale, modaiola è sempre preso di mira,

quasi all'unisono, perché rappresenta il sas-

solino nella scarpa, il pisello sotto la pila di

materassi della principessa, rompe uno

pseudo-equilibrio già di per sé precario. La

tendenza è sottolineare il "disease"

(dall'inglese disuso in senso di malattia),

cioè quello che non va e andrebbe elimina-

to, insolito, proprio quello che facevano i

comandanti della nave o lo stile dell'uomo-

custode attuale i quali, invece di vedere ol-

tre l'apparenza, di comprenderne il conte-

nuto, di mettersi in ascolto, i primi parlava-

no dei problemi senza cercare la soluzione e

i secondi procedevano ad una selezione, più

che naturale, ad - loro - personam.

Ma i diversi, gli altri, la gente, che crede

ancora nella metamorfosi di una collettività

"degente" pur essendo una minoranza (è

quello che vorrebbero farci credere) sembra

essere messa da parte. Noi, però, non dob-

biamo nemmeno essere sempre arrendevoli

e indulgenti ad una situazione che sappia-

mo malsana, piuttosto agguerriti e affronta-

re non la profetica fine di un mondo fisico

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Pag.39

dove tutti potremmo fare veramente poco,

bensì impedire il disfacimento di un

mondo valoriale e virtuoso attraverso

armi come la conoscenza, la competen-

za, la volontà, la determinazione, la

condivisione e il bene comune.

Ma chi sono i custodi delle "armi"?

Facendo una riflessione sulla mia esperien-

za scolastica, che seppur breve per una

questione meramente anagrafica, ma credo

anche molto significativa grazie a tutte le

persone incontrate sul mio cammino, alcuni

mesi fa ho avuto modo di frequentare e co-

noscere persone, professioniste, le quali,

attraverso la condivisione e il confronto,

hanno sempre cercato di mettersi in

g...uerra (passatemi il termine). Parlo del

corso ICARE della rete del IV e V muni-

cipio di Roma, dei validi rappresentanti

che ne curavano il percorso, di tutti coloro

che ne hanno fatto parte, con i quali si è

tentato di mettere insieme, di integrare,

soggetti diversi e opinioni diverse e trovare

soluzioni comuni a problematiche, magari

anche diverse, ma facenti parte dello stesso

nucleo: il cambiamento... "in-naturale", do-

ve per quest'ultimo intendo una discrepan-

za tra crescita (in senso di maturazione

"controllata", normale, fisiologica) dell'indi-

viduo e velocità di stimoli ricevuti e richie-

ste (che sfuggono al controllo, non adeguati

a, forzati).

La sfida è continua e richiede impegno

e dedizione, determinazione e rottura

di equilibri, a volte prese di posizioni,

dovute o meno, magari non sostenute, ma

certamente condivisibili.

È quello che in questi ultimi mesi ho speri-

mentato nell'eterogeneità del gruppo di do-

centi dei quali facevo parte e con i quali, in-

sieme, abbiamo provato a rispondere alle

richieste, più o meno espresse, presentate

nel nostro quotidiano, a quelle ambigue

proposte fra le righe, altre derivanti da

qualche disappunto delle persone che ci

stavano intorno, fino ad arrivare a quelle

silenti che non si osavano dire.

La bellezza di trovarsi intorno ad un tavolo,

pur non essendo rotondo, non stava nella

pretesa di trovare ad ogni costo la soluzione

pronta e servita, bensì nella voglia di guar-

dare e guardarsi con gli occhi della realtà,

dalla più triste e infelice a quella possibile

ed efficace, e dire e dirsi cosa si poteva fare

e si può fare, come si poteva e si può agire,

quanto si poteva e si deve dare.

La guerra di cui parlo è quella della divi-

sione, della separazione di accordi, che

solo attraverso una integrazione possi-

bile e possibilista di persone adulte può

essere affrontata. Parlo di soggetti adulti

in termini di dare risposte, genitori, inse-

gnanti, politici e altri che si assumono le re-

sponsabilità proprie del loro ruolo nella so-

cietà, che non delegano sempre e comun-

que e non contribuiscono al "non regolare"

accrescimento della persona.

Quello a cui si deve tendere è l'integrazione

di buone prassi, che derivano da soggetti

diversi con punti di vista diversi, problema-

tiche diverse, ma che guardano, tutti as-

sieme, La LUNA ANZICHE' IL DITO. È l'o-

rientamento che deve essere comune: l'o-

rizzonte della crescita sana di un individuo

che è diverso, ma è pari in dignità e occu-

pazione dello spazio terrestre, è pari in op-

portunità, è che deve essere innanzitutto

(accettato e) integrato in un contesto e

progetto di vita.

L'esperienza vissuta con i miei colleghi è

stata proprio quella dell'integrazione, da

uno a tanti, rappresentanti delle scuole del-

la rete e che si potrebbe allargare a mac-

chia d'olio; una rete che non vuole mie-

tere "vittime" di chi passa da quelle

parti, come una potenziale preda nella

tela del ragno ma, per il principio impre-

scindibile della libertà personale, fatta di

persone che decidono di farne parte con vo-

lontà, con disponibilità, a braccia aperte e

pronte ad accogliere.

L'integrazione che intendo io è l'unione

continua di persone "volenterose", che

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Pag.40

affrontano insieme le intemperie di un si-

stema e gioiscono del bel tempo, che si

contorcono, si smuovono, ma rimangono

saldi l'uno con l'altro, che a volte fanno la

ola e altre proteggono e soccorrono quello

che opportunamente reputano giusto.

L'esperienza dell'integrazione, è un'espe-

rienza da fare, da acquistare, provare e poi

rivenderla, senza scopo di lucro, ai migliori

acquirenti, quelli che spesso non riescono a

farsi sentire, quelli che a volte non hanno le

risorse necessarie, quelli che non pagano

per un servizio che dovrebbe essere loro

sempre riconosciuto e che le persone capaci

(e fortunate) dovrebbero e devono loro

concedere.

Roberto Nucera,

docente di sostegno scuola secondaria I

grado, IC Carlo Levi – Roma

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Michela e gli altri Se integrazione non fa rima con educazione di Paci Lucia Giovanna - Orizzonte scuola

Conosco Michela da diversi anni ormai, abi-

tiamo nello stesso quartiere e frequentiamo

la stessa chiesa, lei è "amica" dei miei figli,

è cresciuta con loro.

Le virgolette stanno a dire che Michela è un

po' diversa. Io non so cosa abbia esatta-

mente, non l'ho mai chiesto ai suoi genitori,

per pudore forse, ma anche perché non era

necessario saperlo, non avrebbe aggiunto

niente né a Michela né a me, né al rapporto

instaurabile con lei. Io so solo ciò che vedo:

una sedia a rotelle super, alla moda, colora-

ta e "trendy", come direbbero le mie figlie,

una ragazza ormai diciottenne, sempre ve-

stita con gusto, colori vivaci e abbinati, fiori

e mollettine varie tra i capelli ricci corti, che

ti guarda con i suoi occhioni scuri brillanti e

la testa un po' inclinata, in difficoltà a

esprimersi in un dialogo botta e risposta,

ma non a comunicare i suoi sentimenti. Mi-

chela ti sa dire che è contenta, che sta bene

o che è infastidita o arrabbiata, che ti rico-

nosce e ti accoglie; Michela canta, forse

senza coscienza di ciò che dice, ma sente la

musica e ripete le parole. Michela sa perfet-

tamente cosa vuole e trova il modo per far-

telo sapere perché, questa cosa la so su

tutte, è una ragazzina amata, con tanta

sapienza e gioia, dalla sua meravigliosa

famiglia, che la vive in tutta la sua pe-

culiarità con un amore benigno, pa-

ziente e smisurato.

Sono andata ad una sua festa di complean-

no con i miei figli e mi sono commossa. La

famiglia era riunita intorno a lei, compresi i

nonni, ma quanti amici, quanti ragazzi si

sono stretti a festeggiare lei, protagonista

comunque, anche se ogni tanto ritirata in

camera con la sua assistente a riposare!

Quanto calore, quanta accoglienza, quanta

serenità, quanta inclusione, con quale le-

zione di vita siamo tornati a casa!

Da due anni Michela è in classe di mia figlia

in un liceo psicopedagogico, dove forte è la

presenza di ragazzi con diversità. In realtà,

la sua presenza in classe è più nominale

che reale, perché la maggior parte della

mattina, lei la passa fuori, in un'aula dove

si radunano tutti quelli che vivono una con-

dizione simile alla sua, se non peggiore. Mi

chiedo allora quale sia l'utilità di averla in-

serita in una scuola normale, in una classe

normale, se poi si ritrova a passare il suo

tempo tra i diversi come lei. Sarebbe que-

sta l'integrazione? Solo perché è presen-

te in una lista di classe e la professoressa

che ha sempre la prima ora la segna assen-

te, arrabbiata come fa con le altre, perché

manca, non avendo capito che ha il per-

messo di entrata alle nove? Questo la rende

integrata al gruppo classe? Non lo so e non

capisco!

Certo Michela non potrebbe studiare psico-

logia o latino, ma non è per quello che è

stata mandata in quella scuola. Nessuno si

aspetta che lei prenda un diploma che certi-

fichi il suo grado di preparazione o di matu-

rità, ma credo che possa trovare grande

stimolo e giovamento nel gruppo di ragazze

che la circondano, così come avviene nella

sua famiglia, nel gruppo della chiesa, tra i

suoi amici e credo ancora di più che le

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compagne di scuola potrebbero impa-

rare tantissimo dal continuo rapportar-

si con lei, soprattutto se guidate dai

professori, con voglia, generosità,

apertura, umiltà.

E' difficile, immagino, inserire attivamente

una ragazza così particolare in un contesto

a lei lontano, soprattutto se non si è molto

capaci nemmeno di gestire il contesto co-

siddetto normale, ma si può fare. Credo,

però, che si debba avere fede nel proprio

lavoro, amore verso i ragazzi, tutti, vo-

glia di spendersi, scomodarsi, mettersi

in gioco, ma spesso a questa sfida si ri-

nuncia in partenza ... proprio quando ci si

riempie la bocca con la parola integrazio-

ne, che, però, non fa rima con educa-

zione!

Lucia Paci, genitore

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Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione Il Laboratorio di Sviluppo Professionale dei Docenti che la-vorano sui DSA nella scuola primaria di D'Agosta Luciana - Orizzonte scuola

"Il termine giapponese "educazione" può

essere scritto anche con gli ideogrammi

"crescere insieme".

I bambini sono una meraviglia della natura

e le loro vite risplendono radiose.

La loro vivacità è fonte di energia per gli

adulti.

Dove risuonano le voci allegre dei bambini,

là scaturiscono speranza, pace e gioia di vi-

vere".

(tratto da: "La mappa della felicità" di Dai-

saku Ikeda, filosofo buddista, ed. Esperia

2011)

I temi trattati in questo laboratorio nascono

dalla rilevazione dell'aumento - in questi ul-

timi anni - delle segnalazioni di bambini con

problemi nell'acquisizione della lettura e

della scrittura, e della difficoltà che si in-

contra nel fare una corretta diagnosi di

disturbo specifico piuttosto che di ri-

tardo, rallentamento o difficoltà di ap-

prendimento. La facilità con cui talvolta si

definisce "dislessico" un bambino o, al con-

trario, non lo si riconosce come tale, porta

a confusioni nelle famiglie e negli insegnanti

e, a volte, ad interventi sbagliati.

In particolare, si è voluto dare risposta ad

alcuni interrogativi che spesso contribuisco-

no ad aumentare la confusione piuttosto

che facilitare la comunicazione e la collabo-

razione tra le persone che si prendono cura

dei bambini:

Quali sono i Disturbi Specifici di Appren-

dimento?

Quali sono i "segnali" che ci devono met-

tere in allarme?

Quali comportamenti dell'insegnante pos-

sono aiutare un bambino con DSA?

Quali richieste sono assolutamente da

evitare?

Cosa si può "inserire" nel quotidiano lavo-

ro in classe che possa aiutare un bambino

con DSA?

È possibile già dalla scuola materna indi-

viduare bambini "a rischio" e, soprattutto,

ci sono giochi che possono aiutare/facilitare

i successivi apprendimenti della lettura e

della scrittura?

C'è un metodo d'insegnamento della let-

to-scrittura da preferire rispetto ad altri?

Si è voluto poi, sollecitare curiosità e in-

teresse verso altre domande che, a vol-

te, ci si sente "timidi" a fare:

Ma "chi è" un DSA? cosa prova, come

passa la giornata, a cosa pensa, con chi

gioca...

Cosa fa lo "specialista" col DSA, chiuso

nel suo studio professionale?

Orizzonte scuola

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Pag.44

Gli insegnanti possono collaborare col lo-

gopedista, portare "dentro" la scuola moda-

lità di lavoro, attività specifiche, utili per

tutti e non solo per i DSA?

Di cosa ha bisogno un DSA: di essere

compreso, aiutato, corretto.......?

Come si crea una rete capace di non far

precipitare un DSA nel baratro della soffe-

renza?

Qual è il metodo più efficace per il trat-

tamento di questa problematica?

Per rispondere a queste domande sono sta-

te usate le conoscenze del conduttore e le

esperienze e difficoltà dei partecipanti nel

progettare il lavoro quotidiano, oltre che

prendere confidenza con le indicazioni con-

tenute nelle linee guida della legge 170 e

del "Consensus Conference" per poter, pos-

sibilmente, realizzare cambiamenti soddi-

sfacenti nel lavoro quotidiano con i bambini.

Nella parte pratica del laboratorio, è stata

fatta una presentazione di "come" legge un

dislessico, le difficoltà che incontra nella de-

codifica e i sentimenti di inadeguatezza che,

purtroppo, spesso lo accompagnano. In un

successivo incontro sono stati illustrati al-

cuni dei giochi che si possano fare, sin dalla

scuola materna, per sviluppare le abilità fo-

nologiche - fondamentali nel processo di

apprendimento strumentale del codice scrit-

to - e suggerite alcune semplici accortezze

che potrebbero facilitare ai bambini l'ap-

prendimento della parte esecutiva della

scrittura: impugnatura della penna, verso

delle lettere, progressione nella presenta-

zione dei caratteri ecc.

Infine, è stata fatta un'esperienza collettiva

di GIOCO LINGUISTICO in cui, attraverso

una simulata, si è finto di essere una classe

di alunni che avesse il tutor del laboratorio

per maestra. Attraverso questa esperienza

si è preso confidenza con alcuni strumenti

operativi con lo scopo di verificare se nel-

le classi dei partecipanti fosse possibile

trovare un momento quotidiano da de-

dicare ai "giochi linguistici", così come

proposto da esperti e tecnici dell'apprendi-

mento.

Hanno fatto parte del gruppo anche due

giovani "amici invisibili" di cui ho riportato

l'esperienza:

- Ugo, un bambino di 7 anni, segnalato co-

me dislessico e "scoperto" come portatore

di un ritardo di apprendimento,

- e Luca, un ragazzetto che ora ha 13 anni

e mezzo, diagnosticato all'ingresso alla

scuola elementare e che, passato nell'infer-

no del DSA, ne è uscito, un pò malconcio

ma vivo, allegro, desideroso di vivere gra-

zie.... alle sue insegnanti di classe! Non solo

grazie a loro, ma - come dice Luca - soprat-

tutto grazie a loro.

Nella convinzione che il futuro è nella colla-

borazione e nella condivisione di esperienze

e soluzioni (riflessione personale del tutor),

obiettivo finale di questi 5 incontri era che

tutti sapessero rispondere alla seguente

semplice domanda:

• Quanti DSA ho aiutato senza neanche

saperlo? Quante "buone" cose faccio "istin-

tivamente", guidata/o dalla mia esperienza,

dalla passione, dalla conoscenza, dalla cu-

riosità, dal coraggio, dalla paura, dall'insi-

curezza ....? Quanto ben essere creo senza

esserne consapevole?

Negli ultimi anni tanti passi avanti sono sta-

ti fatti per aiutare, tutelare, individuare pre-

cocemente i bambini e i ragazzi con questa

specificità. In questo contesto sono stati of-

ferti materiali ed esperienze col fine di ren-

dere i partecipanti liberi di formarsi la pro-

pria idea sull'argomento e su come affron-

tare la battaglia per vincere l'emarginazione

e la "non-conoscenza" che spesso accom-

pagnano questa problematica.

Infine, pur sapendo che le risposte ai temi

proposti esistono già, dette e ridette da

personaggi ben più autorevoli di noi in ma-

teria, siamo altresì consapevoli che saranno

tanto più VERE quanto più saranno frutto

del nostro vissuto: in questo modo si po-

tranno utilizzare per costruire altre doman-

de, dare ulteriori risposte, costruire cono-

scenza.

Sono convinta che solo facendo insieme

vinceremo questa battaglia, contribuendo

ciascuno con la sua specificità e professio-

nalità, scambiandoci indicazioni, errori, suc-

cessi, idee, esperimenti.

Il mio augurio e la mia proposta è di rima-

nere un gruppo di ricerca-azione "sperimen-

talmente attivo" e darci fin d'ora appunta-

mento al prossimo corso I CARE per appro-

fondire cos'è e come si interviene sulla di-

scalculia!

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Pag.45

Luciana D'Agosta,

logopedista – Roma

(Esperta, tutor d'aula e su piattaforma e-

learning nel corso di formazione "Valutare

la qualità dell'integrazione scolastica. I CA-

RE 3 organizzato dalla rete del IV e V Muni-

cipio di Roma in collaborazione con

Sysform- promozione di sistemi formativi.

In questo numero, altri articoli sullo stesso

corso: di Patrizia Ruggiero (altra esper-

ta/tutor) e Roberto Nucera (corsista).

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Pag.46

Dimensionamento: paura di perdere la propria identità! In attesa dei cambiamenti prossimi futuri di Melchiorre Antonia - Orizzonte scuola

Come molti istituti della regione Lazio, an-

che il mio è stato "colpito" dall'intervento di

riorganizzazione della rete scolastica.

Non voglio qui discutere sulle modalità o

necessità che muovono tali decisioni, non

voglio entrare in merito a certi argomenti,

anche perché non cambierebbero le deci-

sioni ormai prese da chi è più in alto di me,

ma piuttosto provare a descrivere che cosa

significa per un'insegnante tutto questo.

Non posso nascondere però che l'idea che ci

siano (pochi) individui che decidano del fu-

turo di (molte) PERSONE attraverso azioni

contabili (arrivare a 1000 alunni per scuola)

e per far quadrare questi conti debbano

spostare e accorpare plessi come se stes-

simo giocando a "monopoli" ... mi disturba

molto!

Angeli della Città, come tante altre scuole,

non è stata vista come un luogo vissuto da

bambini, genitori, insegnanti, AEC, collabo-

ratori, cuochi, inservienti, insomma da

PERSONE, ma solo un edificio che si trova

in una certa zona della città e che per far

quadrare "i conti" è stato spostato!

E per chi sta dentro ancora non è chiaro

come "il gioco" continuerà!

Costruirsi un'identità non è cosa da po-

co: è il lavoro di anni di scontri, di ten-

tativi e di errori, di passioni e di paure,

di confronto continuo con se stessi e

con gli altri, tutti!

Perché ho deciso di affrontare tale questio-

ne questo mese in cui l'argomento della no-

stra rivista è l'integrazione, la diversità? La

risposta mi è sembrata chiara! Vivere in

una comunità significa confrontarsi conti-

nuamente con le "diversità" di ognuno cer-

cando di "integrarle" tra loro per costruire,

appunto, un'identità che rappresenti il più

possibile tutti.

Il nostro plesso scolastico, come è stato

detto più volte, ha cercato sempre di orga-

nizzarsi per far fronte alle difficoltà di nu-

merosi alunni con certificazione e con disagi

in genere.

Questo ha significato per noi docenti la ne-

cessità di riprogrammare la nostra vi-

sione rispetto all'insegnamento.

Sappiamo tutti quanto sia difficile ... far

"cambiare" la scuola!

Pur avendo avuto da diversi anni a disposi-

zioni leggi che ci permettevano una certa

autonomia di organizzazione, solo da poco

tempo ne abbiamo fatto tesoro. La scuola

dovrebbe fare davvero un salto enorme per

recuperare il tempo che impiega a metabo-

lizzare i cambiamenti che il mondo esterno

chiede di fare! È come se tutto ciò che ruo-

ta intorno al mondo scolastico andasse più

veloce e noi ... rimaniamo sempre indie-

tro! Probabilmente è un problema genera-

zionale: i genitori sono sempre un passo in-

dietro ai propri figli! Ma questo è un altro

Orizzonte scuola

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Pag.47

grande capitolo della nostra storia e non è

ora il momento di affrontarlo!

Accogliere il Teatro integrato Piero Gabrielli,

avviare il progetto dell'Inviato Speciale, il

nostro giornalino scolastico, lavorare per

classi aperte con i LARSA, organizzare labo-

ratori di manipolazione e di psicomotricità,

musica e danzaterapia, per i più piccoli o

per i bimbi in difficoltà, attivare con la

dott.ssa D'Agosta interventi di logopedia

all'interno della scuola per bimbi in attesa

da tempo di una valutazione, sono state

conquiste belle ma non facili, hanno richie-

sto molta apertura da parte di tutti, impe-

gno, collaborazione, attriti inevitabili per

metterci d'accordo. Tutto questo da una

parte ci ha resi più forti come gruppo e più

competenti come insegnanti; dall'altra però,

questo modo di lavorare ha fatto sì che i

bambini con difficoltà aumentassero proprio

perché le famiglie sapevano che i loro figli

nella nostra scuola avrebbero avuto ....

UN'ATTENZIONE PARTICOLARE!

Con la riduzione delle ore di compresenza

molto del lavoro possibile prima, ora è diffi-

cile portarlo avanti, siamo costrette a ricer-

care continue strategie per poter continuare

a lavorare in un certo modo. Sicuramente la

presenza in classe dell'insegnante di soste-

gno e di un AEC sono diventate risorse

preziose per tutti i bambini, perché re-

sta l'unico momento di compresenza.

A questo proposito è importante riconosce-

re il valore che ha avuto in questi anni il

gruppo di lavoro sull'integrazione, formato

da tutte le insegnanti di sostegno (in passa-

to anche dalle docenti curricolari) e coordi-

nato da Manuela. In questi anni il collegio

docenti e la direzione hanno ritenuto impor-

tante investire su questa figura, sollevando-

la dalla classe, e sul gruppo di lavoro, pro-

prio per organizzare percorsi d'integrazione

adeguati alle sempre maggiori richieste di

inserimento nel nostro istituto. Organizzare

i numerosi GLH, che si ripetono almeno due

volte l'anno e per i casi più delicati anche 3

o 4 volte l'anno, tenere i contatti con gli

specialisti delle ASL e con i centri dove i

bambini sono inseriti per le terapie, soste-

nere i genitori e noi insegnanti nel quotidia-

no lavoro con i bambini, tutto questo se fat-

to bene, come è stato, richiede tempo che

non è mai abbastanza!

Per quanto riguarda me, ma credo di parla-

re anche a nome di tante mie colleghe, la

figura di un coordinatore è stata fondamen-

tale per il lavoro fatto sull'integrazione in

questi anni, e grazie a tale percorso sono

cresciuta sia come persona, sia come inse-

gnante. Ma riconosco anche che senza la

nostra collaborazione tutto questo non si

sarebbe potuto realizzare: è stato un bel

lavoro di squadra!

In prossimità dell'accorpamento ad un altro

istituto con una sua identità ... è inevitabile

avere dei timori, porsi delle domande. Che

cosa accadrà il prossimo anno? Quali colle-

ghe rimarranno, chi andrà via? Che ne sarà

dei progetti portati avanti in questi anni, a

cui teniamo tanto? Ci sarà un gruppo di so-

stegno e una coordinatrice?

Come alla fine di una storia o di una espe-

rienza significativa si fa il bilancio di cosa ha

funzionato e cosa no, e cosa ci si porta via.

Personalmente sono dispiaciuta innanzitutto

di lasciare le colleghe degli altri plessi con le

quali si è condiviso molto lavoro, idee ed

emozioni: spero che continueremo a trova-

re spazi d'incontro! Mi dispiace abbandona-

re progetti a me cari come il teatro Gabrielli

e l'Inviato Speciale, ai quali ho dedicato

tanto tempo e nei quali credo fermamente.

Ed inoltre ciò che sicuramente mi mancherà

di più il prossimo anno è lavorare con il

gruppo delle mie colleghe di sostegno, sicu-

ramente anche con loro ci vedremo fuori

dall'ambito scolastico ma non sarà la stessa

cosa affrontare i problemi senza il loro SO-

STEGNO!

Anche io, come tutte, ho timore dei cam-

biamenti ma contemporaneamente so-

no curiosa di ciò che il futuro ci può ri-

servare. Ho fiducia che la nostra identità

conquistata ci sosterrà in questo passaggio,

ma sono anche consapevole del fatto che in

una fase di fusione, sarà inevitabile un la-

voro di "integrazione" di due mondi diversi

che dovranno trovare un nuovo equilibrio.

Spero ci sia accoglienza e rispetto per noi

nuove arrivate e contaminazione reciproca

delle buone pratiche, necessarie per la cre-

scita e il miglioramento di ognuno.

Antonia Melchiorre,

docente di sostegno, IC Perazzi (ancora per

un po'!) – Roma

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Un paradigma per l'inclusione Ma che paroloni! di Ruggiero Patrizia - Orizzonte scuola

Paradigma, paradigma l'ho già sentita, ma

dove?

Quando, recentemente, ho letto questa pa-

rola su alcuni testi di pedagogia, suonava

familiare.

Ho faticato alquanto a ricollocarla, ma poi

mi sono riaffiorati vecchi ricordi, quasi or-

mai sopiti e, finalmente, mi sono tornate in

mente le forma verbali del latino che stu-

diavo a scuola e mi si è accesa la fatidica

lampadina.

fĕro, fĕrs, tuli, latum, fĕrre - indicativo pri-

ma e seconda persona singolare, perfetto,

supino e infinito presente

Cinque parole chiave che ti consentivano di

coniugare tutto il verbo!

Sufficienti e necessarie, specialmente nei

verbi più difficili, a sciorinare tutte le forme

verbali.

Radici da cui spuntano alberi

"Programmare" nella scuola media è un'im-

presa ardua, ai limiti dell'impossibile, se

non altro per lo scarso tempo e per la mol-

teplicità e varietà di persone coinvolte.

Spesso sono parole che rimangono sulla

carta e non si concretizzano in azioni utili

ad armonizzare e dare un senso al lavoro di

tutti.

Potrebbe aiutarci definire dei campi entro

cui "giocare" questa partita?

Potremmo cercare dei punti fermi da artico-

lare?

Può la costruzione di un paradigma aiutare

a programmare e coordinare le azioni da

compiere?

Questa è stata la sfida/proposta che ho fat-

to al gruppo che ha partecipato al corso I

CARE 3- Valutare la qualità dell'inclusione

scolastica - nel modulo "Come program-

mare gli interventi in presenza di alun-

ni con DSA nella scuola secondaria di

1° e 2°grado".

Ecco i cinque punti chiave che sono stati

approfonditi nei cinque incontri.

1 Curricolo implicito: I valori-la vision-le

regole-la diversità- la pluralità-i concetti di

giustizia ed equità-lo sfondo integratore.

2 Didattica metacognitiva: "Il primo

strumento compensativo è imparare ad im-

parare"(G.Levi) - La personalizzazione

dell'apprendimento.

3 Autovalutazione: A chi serve la valuta-

zione-consapevolezza e motivazione- "dare

un valore"- verifiche e valutazione persona-

lizzate.

4 Formazione del gruppo: Aiuto recipro-

co- valorizzazione- l'altro come risorsa- il

bisogno di appartenenza- il senso dello sta-

re insieme- la costruzione di obiettivo co-

mune.

5 Relazione: gli aspetti inter ed intra rela-

zionali- self efficacy "I ragazzi con DSA pos-

sono essere curati sostenendo lo sviluppo

della persona( G.Levi)" - locus, convinzioni,

dialogo interno.

Orizzonte scuola

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Pag.49

Parallelamente siamo entrati nella specifici-

tà dei DSA attraverso: l'analisi in gruppo

delle Linee Guida, il confronto tra alcuni

modelli di Piani Didattici Personalizzati, al-

cuni esempi tratti dalla pratica, la descrizio-

ne dei materiali inseriti in piattaforma e

suggeriti sia da esperti di settore che dai

partecipanti stessi.

Ho scelto di non proporre strategie e stru-

menti compensativi e misure dispensative

tout court per vari motivi.

Non credo che sia solo questo il nodo cen-

trale della specifica problematica dei DSA,

anche per la grande varietà di gravità e di

comorbilità che ci troviamo ad affrontare

nelle classi medie e superiori.

Penso invece che sia più urgente trovare un

modo nuovo o almeno più consapevole e

sistematizzato di "trattare" la specificità e

singolarità di ciascun alunno.

La maggior parte del gruppo ha mostrato di

seguirmi su questa linea con criticità co-

struttiva, anche perché si trattava di perso-

ne già molto preparate e sensibili al tema

dell'integrazione, già PROMOTRICI DI CAM-

BIAMENTO.

Patrizia Ruggiero,

docente di sostegno, SMS Fellini – Roma

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FANTACITY Concorso per la scuola di La redazione - Dalla redazione

FANTACITY

Concorso per la scuola

C'è tempo fino al 31 marzo 2012 per par-

tecipare al grande Concorso Nazionale di

Fantacity rivolto alle classi delle scuole

primarie.

La sfida corre sul filo di parole e colori, in

compagnia della famiglia Guerrieri in Un

divano per dodici (Giunti Junior), la nuova

divertentissima serie sul fenomeno delle

famiglie "allargate". "Un divano per dodici"

è la collana edita da Giunti Junior che fa

da spunto al concorso. Prendendo ispirazio-

ne da questi personaggi, le classi possono

partecipare scrivendo un racconto o realiz-

zando un'opera pittorica (tutti i materiali

utili su www.fantacity.eu nella sezione dedi-

cata al concorso, dove è disponibile anche

la scheda di iscrizione).

http://www.fantacity.eu/

Incontri-caffè per i Familiari Assistenti

e Volontari

"Essere un familiare assistente: diffi-

coltà e domande"

Gli incontri-caffè riuniscono i familiari assi-

stenti, le famiglie e tutte le persone che as-

sistono un congiunto o un vicino/amico non

autosufficiente per colloqui conviviali parte-

cipativi, informativi o di riflessioni per uno

scambio di buone prassi allo scopo di favo-

rire l'amicizia e la conoscenza tra i parteci-

panti, una migliore qualità di vita della per-

sona disabile e della famiglia nonché un

mutuo-aiuto.

L'associazione CO.FA.AS."Clelia" organizza

l'incontro presso il Bibliobar dell'Istituto L.

Vaccari in Viale Angelico, 20/22 Roma -

Mercoledì 18 aprile dalle ore 16, 30 alle

18.00: "Conoscere i bisogni dei familiari

assistenti: prendersi cura di se stessi".

Nell'ambito di questo incontro sarà presen-

tata e prenderà così il via la sperimentazio-

ne sul "Progetto Case manager" che vedrà

coinvolte alcune famiglie dell'Associazione

che saranno monitorate e tutorate da un

Case manager per tutte le loro necessità o

sviluppi assistenziali.

Gli incontri sono a titolo gratuito, tuttavia è

gradita una segnalazione di adesione da

parte di chi intende partecipare, ai seguenti

numeri : 334 8184597 - 334 84779 - 334

8182 807

Si rimanda al sito www.cofaasclelia.it per

ogni altra informazione.

Autismo, il 2 aprile a Roma verrà pre-

sentata la petizione bipartisan

L'obiettivo è riaprire la discussione sul-

le linee guida

Secondo i promotori della petizione "il testo

ha escluso dal dibattito tutti gli approcci di-

versi da quello neo comportamentale. Fatto

grave, l'addestramento non rispetta l'indivi-

dualità del singolo bambino e annulla le loro

potenzialità".

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http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TE

MATICI/Salute/Il_Punto/info-

742654928.html

Disabilità e Diritti

Invito per tutte le Associazioni

Organizzato dal Coordinamento Nazionale

Famiglie Disabili Gravi e Gravissimi. Sabato

12 maggio 2012, dalle ore 11 alle 19 a Ro-

ma in Via Antonina (Terme di caracalla)

avrà luogo un sit-in di Associazioni per i di-

ritti dei disabili, al quale sono invitate tutte

le Associazioni. Verrà messo a disposizione

uno spazio gratuito per rivendicare i diritti

negati ai disabili e alle loro famiglie ma an-

che per promuovere le attività. Un' atmo-

sfera di festa e spettacolo accoglierà fami-

glie e studenti affinchè la disabilità NON SIA

PIU' UN MONDO A PARTE MA UNA PARTE

DEL MONDO.

http://www.famigliedisabili.org/

Basta usare le parole RITARDO o RI-

TARDATO!

da superando.it

C'è una campagna mondiale, lanciata nel

2004 da Special Olympics, che punta all'a-

bolizione dei termini "ritardato" e "ritardo

mentale", per contribuire a una giusta con-

siderazione delle persone con disabilità in-

tellettiva e relazionale, educando sui danni

che possono venire da quelle parole, non

sempre considerate sbagliate, mentre lo

sono molto.

Vediamo perché

http://www.superando.it/content/view/865

4/112/

La redazione