lascuolapossibile febbraio 2012

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________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it Pag.1 Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010 N.20 febbraio 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti Editoriale Ma di quale didattica parliamo? Il peso della didattica nel fare scuola di Rosci Manuela - Editoriali Sempre più mi imbatto in mortificazioni che la scuola -attraverso gli insegnanti- regala spesso inconsapevolmente ai propri alunni. Non credo di dire nulla di nuovo se affermo che il docente sembra indossare un abito antico, un po' demodé, uno stile passato di moda, che mette in difficoltà la sua "esibi- zione" agli occhi degli alunni, soprattutto dei più grandicelli. Come reagisce il docente? Impugnando in maniera più salda lo scettro del potere: valuta (spesso giudica) quello che un alunno sa oppure no, e l'operazione si compie sotto l'egida della DIDATTICA, l'e- lemento che fa sì che la scuola e i docenti definiscano la propria professione. Intorno alla didattica, quindi, si organizzano e si strutturano i tempi e i modi per cui l'altro - lo studente- possa prendere ciò che ogni in- segnante ha da dare. La didattica spesso si esaurisce nella singola disciplina che, a sua volta si impernia sul contenuto: cosa inse- gno (meno, come lo insegno)? Torniamo un momento indietro e accettiamo la definizio- ne di didattica (dal greco didàsko = inse- gno): è la teoria e la pratica dell'INSEGNA- RE. Questo concetto è da sempre messo in re- lazione con l'APPRENDIMENTO: il docente insegna, l'alunno apprende. Siamo andati avanti così per molto tempo, con la convin- zione che l'apprendimento fosse un qualco- sa riferibile solo allo studente e non alla persona. Abbiamo invece scoperto che si apprende anche in altri contesti, come la famiglia, il gruppo dei pari, le attività ri- creative, inoltre si apprende per tutta la vi- ta. Questo cambia un po' il paradigma di ri- ferimento con cui il docente oggi insegna. Prendiamo in considerazione la tesi che af- ferma che la nostra conoscenza della realtà è una costruzione individuale e sociale. Il termine "costruzione" indica qualcosa che si sviluppa in situazione, che potrebbe non essere esistito prima di quel momento: è quindi poco pertinente con un modello di scuola che si basa ancora troppo su modali- tà didattiche sostanzialmente trasmissive, che sottendono posizioni di sostanziale og- gettivismo (esiste un'unica realtà oggettiva che può e deve essere raccontata e tra- mandata). Se condividiamo il valore delle discipline

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Pag.1

Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci

Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it

Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010

N.20 febbraio 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti

Editoriale

Ma di quale didattica parliamo? Il peso della didattica nel fare scuola di Rosci Manuela - Editoriali

Sempre più mi imbatto in mortificazioni che

la scuola -attraverso gli insegnanti- regala

spesso inconsapevolmente ai propri alunni.

Non credo di dire nulla di nuovo se affermo

che il docente sembra indossare un abito

antico, un po' demodé, uno stile passato di

moda, che mette in difficoltà la sua "esibi-

zione" agli occhi degli alunni, soprattutto

dei più grandicelli.

Come reagisce il docente?

Impugnando in maniera più salda lo scettro

del potere: valuta (spesso giudica) quello

che un alunno sa oppure no, e l'operazione

si compie sotto l'egida della DIDATTICA, l'e-

lemento che fa sì che la scuola e i docenti

definiscano la propria professione. Intorno

alla didattica, quindi, si organizzano e si

strutturano i tempi e i modi per cui l'altro -

lo studente- possa prendere ciò che ogni in-

segnante ha da dare. La didattica spesso si

esaurisce nella singola disciplina che, a sua

volta si impernia sul contenuto: cosa inse-

gno (meno, come lo insegno)? Torniamo un

momento indietro e accettiamo la definizio-

ne di didattica (dal greco didàsko = inse-

gno): è la teoria e la pratica dell'INSEGNA-

RE.

Questo concetto è da sempre messo in re-

lazione con l'APPRENDIMENTO: il docente

insegna, l'alunno apprende. Siamo andati

avanti così per molto tempo, con la convin-

zione che l'apprendimento fosse un qualco-

sa riferibile solo allo studente e non alla

persona. Abbiamo invece scoperto che si

apprende anche in altri contesti, come la

famiglia, il gruppo dei pari, le attività ri-

creative, inoltre si apprende per tutta la vi-

ta. Questo cambia un po' il paradigma di ri-

ferimento con cui il docente oggi insegna.

Prendiamo in considerazione la tesi che af-

ferma che la nostra conoscenza della realtà

è una costruzione individuale e sociale. Il

termine "costruzione" indica qualcosa che si

sviluppa in situazione, che potrebbe non

essere esistito prima di quel momento: è

quindi poco pertinente con un modello di

scuola che si basa ancora troppo su modali-

tà didattiche sostanzialmente trasmissive,

che sottendono posizioni di sostanziale og-

gettivismo (esiste un'unica realtà oggettiva

che può e deve essere raccontata e tra-

mandata).

Se condividiamo il valore delle discipline

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come costrutto storico, dobbiamo anche ac-

cettare che non possono essere utilizzate

come descrizioni oggettive di realtà ma so-

no invece la testimonianza di come si è

evoluto nel tempo il rapporto dell'uomo con

il mondo; si comprende allora il perché di

un susseguirsi di modelli interpretativi e di

concetti chiave che possono nel tempo es-

sere cambiati all'interno delle stesse disci-

pline.

Se la scuola è imperniata sulla didattica

...che tipo di didattica (teoria e pratica) può

adottare oggi il docente per essere "dentro

il presente"?

Se la teoria di riferimento è che la cono-

scenza è una "costruzione", diventa impen-

sabile limitarsi a spiegare ciò che il testo

racconta perché quei contenuti -se non

trattati a dovere- rimangono racconti più o

meno interessanti ma gli studenti continue-

ranno a chiedersi: ma che ci azzeccano con

la vita di tutti i giorni?

Non voglio banalizzare l'importanza della

nostra tradizione culturale ed educativa ma

dobbiamo decidere che è ora di abbandona-

re l'area di confort (dove ci troviamo meglio

perché conosciamo le regole) per avventu-

rarci nel campo della ri-cerca continua,

quotidiana, insieme ai nostri ragazzi.

Mi vengono in mente i docenti che riutiliz-

zano i quaderni di qualche anno prima, già

sperimentati con altri alunni, in un'altra

epoca. La massima negazione della dinami-

cità della conoscenza, che non si limita a

prendere contenuti "preconfezionati" ma li

crea dentro le situazioni che accadono sul

momento.

L'esempio scolastico più calzante è il con-

fronto tra le classi: presento lo stesso ma-

teriale e i due gruppi classe si comportano

diversamente, gli uni sono bravi gli altri un

po' meno. Eppure io sono sempre la stessa,

insegno nella stessa maniera!

Noi insegnanti ci illudiamo di essere perso-

ne "asettiche": senza pregiudizi, senza pre-

ferenze, solo con convinzioni positive, con

un alto senso di giustizia e responsabilità, e

potrei continuare oltre.

Attribuiamo così all'altro (in genere l'alunno

ma non è lasciata indenne nemmeno la fa-

miglia) l'insuccesso dell'operazione DIDAT-

TICA: io insegno da sempre nello stesso

modo, anzi mi sono aggiornato e l'altro (l'a-

lunno ma anche tutta la società) non ap-

prezza il mio impegno.

Torniamo alla teoria: se parliamo di "co-

struzione" della conoscenza dobbiamo ab-

bandonare l'idea che a costruire sia soltanto

IO, meglio ritenere responsabili tutti NOI, in

quello spaccato di vita scolastica che è la

classe, che raccoglie due livelli gestiti -da

sempre- in maniera dicotomica: l'individuo

e il gruppo. Come se non appartenessero

allo stesso contesto, come se l'agire di uno

non incidesse sull'altro livello e viceversa.

Quindi la costruzione della conoscenza "ac-

cade" nel gruppo con l'apporto di tutti.

Va da sé che se accettiamo la teoria per cui

i bambini non sono "tabula rasa", anzi svi-

luppano precocemente "teorie ingenue"

sulla realtà, microteorie utilizzate come

cornici interpretative, come paradigmi validi

fin quando non vengono smentiti, la funzio-

ne del docente CAMBIA NECESSARIAMEN-

TE, non è tanto quella di "riempire" di no-

zioni e convincere che le cose stanno così

come vengono raccontare, ma è il predi-

sporre un contesto di apprendimento in cui

le cose che già si sanno (sia adulti che

bambini/ragazzi) vengono rimesse in di-

scussione da ciò che accade di nuovo, che

ha proprio il compito di modificare gli

schemi già acquisiti e che, con l'andar del

tempo, diventano improduttivi alla crescita

della persona. Il docente è colui che solleci-

ta dubbi non colui che dà risposte (vi consi-

glio di leggere l'articolo di Simonetta Mel-

chiorre), è colui che abbandona sempre più

la centralità della lezione frontale a favore

dell'esperienza diretta, ben sapendo però di

non lasciarsi tentare di ridurre anche l'espe-

rienza a qualcosa di già visto, già vissuto.

Fare scuola significa accettare che tutto ciò

in cui hai creduto può essere confutato, tra-

sformato, diversamente interpretato. Non

esisterà mai una realtà OGGETTIVA uguale

per tutti, perché ognuno percepisce sulla

base della nostra intenzionalità e dipende

inoltre dalla costruzione interna che ognuno

di noi ha fatto.

Possiamo pensare quindi che l'apprendi-

mento che cerchiamo di sollecitare nei no-

stri alunni attraverso la didattica, avviene

non in forma lineare, in risposta al nostro

input didattico ma a quanto siamo riusciti a

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creare "intorno" alla situazione e cosa sia-

mo "insieme" riusciti a provocare. All'inter-

no di questo processo è fondamentale valo-

rizzare la dimensione sociale della cono-

scenza, le potenzialità che può esprimere la

classe come gruppo, nell'imparare dagli altri

e con gli altri, nella negoziazione di inter-

pretazioni ad un livello sempre più raffinato

e condiviso.

Per una didattica "costruttivista" c'è ancora

posto, anzi c'è da farle posto!

Manuela Rosci

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In questo numero di febbraio 2012

Area Tematica SottoTitolo Autore

Il peso della didattica nel fare

scuola Rosci Manuela

Per evitare gli appiatti-menti e la

dispersione scolastica ... è que-

stione di "STILE"!

Riccardi Barbara

I nuovi traguardi e le nuove sfi-

de Agolino Simona Loretta

La didattica dell'inglese con i

Beatles Ansuini Cristina

Una mente aperta al dubbio,

consapevole delle differenze, di-

sponibile al cambiamento

Del Guercio Nadia

Sono i più vecchi di tutta Europa La redazione

L'organizzazione di una didattica

pensata per raggiungere tutti Melchiorre Antonia

Con gli occhi della ragione Riccardi Barbara

Preparare il fisico... e la mente Nucera Roberto

Una didattica che inizia là dove

sembra avere fine Traversetti Marianna

Il mio ideale di maestro Melchiorre Simonetta

Verso la definizione della Qualità

dei percorsi educativo-didattici Presutti Serenella

Una dimensione inverificabile e

non relativa Sabatini Roberto

Le mie proposte didattiche Paci Lucia Giovanna

Tecniche passive e tecniche atti-

ve a confronto Infantino Aminta Patrizia

Non è poi così difficile! Ruggiero Patrizia

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DDalla prima pagina

Dalla prima pagina

La didattica metacognitiva Non è poi così difficile! di Ruggiero Patrizia - Sotto la lente

Questo della didattica metacognitiva è un

argomento che mi è molto caro e che ho già

trattato su questa rivista (vedi articolo ot-

tobre 2008 le domande per imparare ad

imparare). È connessa allo spostamento

del focus dall'insegnamento all'apprendi-

mento.

È la base della personalizzazione in quanto

prende in esame anche gli aspetti emotivo-

relazionali, oltre che quelli cognitivi, perché

considera la mente, naturalmente, intera-

mente, interconnessa.

Tiene conto, sottolinea e risalta le differen-

ze di ciascuno nell'approccio allo studio ed è

essenziale per diversificare il lavoro in clas-

se.

È considerata un requisito e un propedeuti-

co allo stesso tempo, per promuovere il tu-

toraggio tra pari, l'aiuto reciproco, le varie

forme di apprendimento cooperativo.

È considerata un ottimo strumento com-

pensativo per gli alunni con DSA (Gabriel

Levi).

E ugualmente, pur essendo la modalità

scelta per sviluppare una delle competenze

base consigliata dal Parlamento Europeo,

ossia imparare ad imparare, vedo che è

ancora poco conosciuta o applicata in modo

sporadico e poco mirato.

È poco trattata come prassi quotidiana!

La didattica metacognitiva ha come obietti-

vo quello di promuovere la conoscenza me-

tacognitiva: tutto ciò che un individuo pen-

sa sul funzionamento della propria mente.

Gli elementi costitutivi della didattica meta-

cognitiva, quelli che bisogna fare uscire allo

scoperto e in qualche modo sistematizzare

sono (da Ianes):

- le conoscenze sul funzionamento cogni-

tivo in generale, teoria della mente: stili di

apprendimento, le intelligenze ,il pensiero

ecc.

--la autoconsapevolezza del proprio fun-

zionamento cognitivo, cosa e come sto pen-

sando, ricordando, cosa mi facilita o cosa

ostacola ,quali sono i miei punti di forza e

deficit, cosa mi può aiutare a comprendere,

a ricordare.

---l'uso di strategie di autoregolazione

cognitiva: autoosservazione, autodirezione

e autovalutazione come ho fatto, come pos-

so fare, come sono andato - le strategie di

problem solving e planning- l'autoistruzione

verbale

----le variabili psicologiche di media-

zione, immagine di sé come persona in

grado di imparare: stile di attribuzione (in-

terno o esterno), convinzioni riguardo al

proprio uso di strategie, al senso di autoef-

ficacia, alla immagine di sé come studente

sono/non sono capace, in cosa penso di es-

sere/ non essere bravo, alla propria capaci-

tà di trovare risorse per .. ce la posso fare!

Un campo di azione molto vasto! Che sicu-

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ramente necessita di parecchio tempo di

applicazione.

Confrontandomi con i colleghi, soprattutto

delle superiori (es. Liceo Croce), ho visto

che utilizzano dei questionari, esaminati an-

che con il supporto di esperti e con una re-

stituzione anche alle famiglie, oltre che agli

studenti e agli insegnanti, che indagano: le

strategie per collegare nuovi apprendimen-

ti, la capacità di organizzazione, la tenden-

za a perdersi di fronte agli impegni scolasti-

ci, l'uso di organizzatori come mappe o

schemi, ecc. come pure il livello di ansia, la

capacità di portare a termine gli impegni, la

percezione di competenza scolastica ecc.

Io penso che questo può essere un ottimo

modo per cominciare, per "mettere in tavo-

la" questo "cibo" ma poi bisogna anche

"masticarlo e digerirlo".

Un modo per far radicare questa forma di

didattica nel quotidiano può essere quello di

utilizzare i contenuti delle discipline non

(solo) come un fine a sé stante ma come

un mezzo per esplorare, conoscere o per

allenare la propria mente.

In maniera sistematica, l'obiettivo, il

percorso e il risultato devono essere

presi in considerazione insieme, in un

parametro di tempo, per valutare il la-

voro complessivo e apportare variazio-

ni o implementazioni.

In questo caso è necessario suddividere ed

esplicitare in modo dettagliato l'obiettivo.

Monitorare il percorso facendone oggetto di

riflessione.

Valutare il proprio risultato e compararlo

con altri propri percorsi.

Preannunciando cosa sviluppa quel deter-

minato compito o chiedendo agli alunni di

scoprirlo, l'insegnante può mettere anche a

confronto, sempre in positivo, le differenze

individuali, evidenziando su cosa il nostro

cervello si sta sperimentando o quali stra-

tegie sono state impiegate e quali quelle più

utili per ciascun alunno per raggiungere

quell'obiettivo specifico.

Per esempio nello studio di un testo pos-

siamo esercitarci nella lettura espressiva, o

nella comprensione del testo, o nella elabo-

razione orale o scritta, o nell'ascolto, o nella

memoria, o nell'ampliamento del lessico, o

nell'analisi extratestuale o prevedendo dal

titolo quali sono gli sviluppi o trovando le

parole chiave o sintetizzando in una mappa.

È importante, io credo, proporre o cercare,

insieme a loro, un metodo per misurare la

performance realizzata, per compararla do-

po un certo tempo.

Si costruisce così la percezione di efficacia e

si motiva la spinta a mettersi in gioco spez-

zando lentamente il preconcetto radicato

profondamente negli alunni con difficoltà

"non so' bono!".

Oltre che sviluppare autonomia nello studio,

che diventa la ricerca di un percorso perso-

nale, aiutiamo i nostri ragazzi a diventare

problem solver: persone che si speri-

mentano per superare, fronteggiare,

aggirare, abbattere l'ostacolo, scoprire,

valorizzare e mettere in campo le pro-

prie capacità.

Patrizia Ruggiero,

docente di sostegno SMS Fellini – Roma

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La corsa al recupero Preparare il fisico... e la mente di Nucera Roberto - Long Life Learning

Da buon insegnante di scienze motorie e

sportive, poi docente di sostegno, devo dire

che l'argomento "recupero" rientra a pieno

titolo nel mio bagaglio, prima motorio ed in

seguito in quello didattico.

Pur essendo in pieno inverno, i corsi di re-

cupero riscaldano ampiamente l'atmosfera

scolastica, sia dei docenti che degli alunni,

che spesso non sono molto contenti di

riempire i pomeriggi del loro tempo, ancora

a scuola, a ripetere, o meglio rivedere i

concetti che non trovano "collocazione neu-

ronale" nella testa degli alunni.

Il dilemma sta proprio nella parola re-

cupero, che non apprezzo particolarmente

in quanto classifica qualcuno che sta indie-

tro, che sembra ripetergli a voce alta: "ehi

tu, forza, ma quanto ci metti, lumacone,

recupera!". Recupera, recupero, RECUPE-

RO. Io mi chiedo, ma forse se lo chiede an-

che l'alunno, cosa mai dovrà recuperare

se non ha perso niente? Se una cosa non

è "entrata", non ha fatto il giro delle imper-

vie circonvoluzioni cerebrali, che gli permet-

tono di impiantarsi "dentro", cosa dovrà re-

cuperare?

Quando un soggetto si avvia all'attività fisi-

ca, quindi si appresta ad eseguire una serie

di movimenti che quotidianamente non fa,

perché non sono necessari, i muscoli non

sono abituati, esercitati, insomma allenati,

la conseguenza è una stanchezza fisica, a

volte dolorante, ma è tutto nella norma. Pe-

rò in seguito, prima di riavvicinarsi alla

stessa attività, deve recuperare. Proprio co-

sì! Deve consentire a quella parte interessa-

ta di "riprendersi", riorganizzarsi, recupera-

re appunto.

Alla luce di ciò, credo che i nostri alunni non

debbano recuperare quello che non sono

riusciti ad apprendere la mattina, bensì

hanno bisogno di organizzare meglio i

loro concetti, quelli che già posseggono e

aiutarli a preparare il loro fisico (la loro

mente) allo sforzo che poi devono fare. Bi-

sogna rinforzarli. Questo è il termine che

preferisco all'inappropriato recupero: RIN-

FORZO.

Io vado a rinforzare quello che possiede.

Non posso fare un recupero, ops rinforzo,

se prima non faccio un'analisi di quelli che

sono i suoi punti deboli, se non conosco il

suo metodo di studio, se non mi apro al

suo mondo e modo di vedere le cose e

come si applica.

In genere, dopo il plotone d'esecuzione de-

gli scrutini, mi "offro" ai colleghi dicendo lo-

ro di affidarmi qualche alunno, durante l'o-

rario curricolare per cercare di rinforzarli e

recuperare (solo qua ci sta bene) quel mo-

stro di quattro in pagella. Nessuno pretende

di fare miracoli, ma il tentativo è quello di

offrire loro degli altri momenti, DIVERSI, di

apprendimento, dove il gruppo fa forza e la

motivazione potrebbe subire una nuova fi-

brillazione.

Ebbene, storia che si ripete, ecco l'elenco

Dalla prima pagina

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degli "sfigati", termine che sembra stia

cambiando valore in questo periodo storico:

"allora, ti porti Giovannino, Pasqualino, Ma-

riolino, ah si anche lui che mamma mia...".

Conclusione: elenco dei perdenti, nullafa-

centi; un bella lista di personaggi che a

guardarli fanno paura, non perché siano

brutti, ma sentono pronunciare il loro nome

solo quando c'è qualcosa che non va. Pen-

sate la loro espressione. Pensate anche alla

mia, alla vostra, a quelle di chi vede in loro

anche quel buono che c'è.

E qui subentra la mia opinione, che in qual-

che modo cerca di non ostacolare troppo la

lista pensata dal collega (non sempre ci si

riesce): inizia la campagna degli acquisti:

"guarda, io direi che se mettiamo anche

Mirco, Marco e Maria, Lucia - che magari

vanno un pochino meglio -, un po' li con-

fondiamo e non comunichiamo loro che so-

no SOLO LORO ad andare male". Bene, ogni

tanto ce la facciamo, troviamo colleghi di-

sponibili.

PRIMO GIORNO di R...INFORZO: tutti sedu-

ti, tutti zitti, libri aperti a pagina ics.

NOOOO! Seduti senz'altro, ambiente nuovo,

magari accattivante, disposizione dei banchi

in un certo modo, si parla, io parlo, loro

parlano, tutti parliamo. La prima cosa che

chiedo loro, quando mi accingo a fare que-

sti corsi, è quella di capire come studiano a

casa, mi faccio fare degli esempi, mi faccio

dire se studiano soli, se li aiutano, come lo

fanno, se hanno la tv accesa, computer e

tutta la compagnia tecnologica.

Cerco di capire i loro ingranaggi, i loro

linguaggi, cosa non è chiaro.

Ho bisogno di tanti elementi per improntare

un'azione ed ognuno diverso, altri più o

meno validi per tutti, perché abbiamo mo-

di diversi di intendere ciò che ci circonda,

quello che ci viene detto, quanto ci viene

proposto. I nostri cari alunni sono conti-

nuamente bombardati da stimoli, di ogni

genere, che spesso non sanno gestire o ge-

stiscono male. Hanno bisogno di guide, di

qualcuno che dica loro ciò che è bene e ma-

le, quello che serve e quello che serve me-

no.

Noi, non dobbiamo stancarci di ripetere che

ci sono tante strade per arrivare ad un

obiettivo, magari non sempre facili; che

una scelta non esclude un'altra e non è

MAI definitiva; che le opportunità sono

sempre dietro l'angolo.

Roberto Nucera,

docente di sostegno scuola secondaria I

grado, IC Carlo Levi - Roma

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Faccia a faccia Con gli occhi della ragione di Riccardi Barbara - L'intervista

Dei figli "imperfetti" a volte possono tirar

fuori il peggio da un padre,

sia che questo padre sia un famoso capitali-

sta o un importante leader comunista.

"Nel nome del pa-

dre" è una comme-

dia sentimentale

come la definisce

l'autore Luigi Lunari.

E' l'incontro tra una

donna ed un uomo

che battuta dopo

battuta svelano i

contenuti delle loro

vite da "confinati" e

che finalmente con

gli occhi della ragio-

ne, riescono ad

aprire i loro cuori

raccontandosi e ri-

trovandosi uniti nel

dolore e nella soffe-

renza di esperienze

simili, liberandosi dalle ombre di un passato

angoscioso, di figli scomodi, di genitori am-

biziosi e famosi.

Per vedere il Trailer del film, clicca qui

Gli attori Margherita Buy e Patrick Rossi

Gastaldi con la loro bravura interpretativa

riescono a caratterizzare ancor più, le note

sentimentali e poetiche, di una trama scon-

volgente e particolarmente intensa.

La stessa intensità ed intraprendenza che

trapela nell'intervista al Professor Carlo Fe-

lice Casula dell'Università Roma 3 Scienze

della Formazione e alle due Maestre di

Scuola Primaria, Simonetta Rossini e Ma-

rianna Traversetti: un "confronto a distan-

za" tra soggetti che si occupano di ... DI-

DATTICA!

1. La differenza didattica tra un Profes-

sore Universitario ed una Maestra: co-

me si "muovono" per trasmettere il lo-

ro stile nella didattica?

Il Professore - La principale differenza è

nell'età dei soggetti della nostra didattica.

Un Prof. ha che fare con persone adulte,

minimo ventenni, molte di queste sono an-

che maestre che proseguono il loro percor-

so formativo. Il ruolo del Prof. che opera

all'interno dell'Università è quello di tra-

smettere la chiave di lettura per interpreta-

re i fenomeni della realtà storica e dei me-

todi. Nel percorso di formazione universita-

rio è importane lo studio individuale e di

gruppo; lo studente durante l'offerta forma-

tiva si confronta con la classe ed i professo-

ri. Il corso funziona quando nella classe si

creano delle dinamiche, quando gli studenti

sono soggetti attivi; nella scuola invece

funziona il modello, l'imitazione e scatta l'e-

lemento emotivo/affettivo, quindi si tratta

di un sistema riduttivo, fondato sulla parola

ripetuta e quello che conta è acquisire l'abi-

tudine a ripetere e padroneggiare delle co-

noscenze. Per gli studenti universitari inve-

ce l'apprendimento avviene quando impa-

rano a trascrivere, a prendere appunti sa-

pendoli ordinare e classificare, nel fare ri-

cerca, nel saper consultare i libri, le mono-

grafie che sono un esempio di come si fa

ricerca.

2. Che idea ha della scuola, di quello

che si fa, di come si insegna, di come si

fa didattica?

Il Professore - Sulla base di quello che os-

servo in chi partecipa ai miei corsi, è la

mancanza di esperienza e di pratica effetti-

va sul campo per diventare vere maestre

capaci, e anche la prova, la verifica delle

conoscenze, dei bagagli teorici di appren-

dimento. Per esempio, dal punto di vista

della didattica registro una convinzione:

quando in classe sono presenti bambini

immigrati o di altre religioni, la gentilezza e

la bontà sono gli strumenti prevalentemen-

te scelti dall'insegnante per affrontare un

dialogo interculturale adeguato, mentre il

punto di partenza è il valore, il riconosci-

mento del valore della diversità culturale. Il

cinema, ad esempio, ha reso famosi gli ha-

mish anche se sono una comunità chiusa

Dalla prima pagina

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ma non per questo sono un elemento nega-

tivo, anzi rappresentano ugualmente una

ricchezza. Essendo io uno studioso della

Storia dell'Unesco e avendo una cattedra

all'Unesco per l'insegnamento della pace e

della diversità culturale, porto avanti questi

valori come fondanti per la nuova cittadi-

nanza, che sempre di più non è Nazionale,

chiusa e patriottica, ma Universale e globa-

le.

3. Come si trasmette la memoria stori-

ca?

Il Professore - Aver tolto lo studio della

storia contemporanea dai programmi mini-

steriali per la scuola elementare, vuol dire

aver privato i bambini del ricorso a quella

che viene chiamata la storia orale, le sto-

rie di vita, la storia dei loro nonni e bi-

snonni. E' come aver effettuato "il furto

della storia antica", ridurre lo studio della

storia al bacino mediterraneo, è aver com-

piuto un vero furto. Pensiamo in classe, un

bambino del Bangladesh o delle Filippine si

sentirà escluso, deprivato come rappresen-

tante di quella parte di storia, di quella par-

te di storia antica. Trattando solo la storia

del bacino mediterraneo si è privato il mon-

do della sua storia, affermando il fenomeno

dello Eurocentrismo. A riguardo uno dei

maggiori antropologi, Jack Goody, ha scritto

il libro "Il furto della storia", sottolineando

l'importanza della storia nella sua colloca-

zione geografica e la partizione della storia

costruita sulle vicende storiche dell'Europa.

4. Come leggere la storia?

Il Professore - E' necessario far toccare

con mano che la storia avviene nel tempo e

nello spazio e non è comprensibile se non si

ha una visione globale dei due. Un esempio

che uso con successo durante le mie lezione

è il colonialismo: faccio vedere sulla cartina

il Belgio e il Congo Belga, faccio notare le

loro differenze di grandezza, sollecitando gli

studenti all'uso delle cartine geopolitiche

per capire la realtà in cui vivono. Nell'inse-

gnamento c'è una tradizione a tramandare

e parlare solo delle istituzioni politiche e

delle guerre, mentre la storia è anche poli-

tico militare, è la storia del clima, delle

grandi trasformazioni dell'economia, delle

mentalità, è la storia delle tradizioni, dell'e-

voluzione demografica, di come la popola-

zione cresce, è la storia delle immigrazioni,

e ricondurre la storia solo allo studio della

politica e delle guerre è una visione angusta

e limitatissima.

5 Cosa le piace trasmettere di lei quan-

do fa lezione e che arrivi ai suoi stu-

denti?

Il Professore - Mi piace trasmettere l'idea

di una visione ottimistica della realtà e nel

caso specifico trasmettere l'esperienza vis-

suta; che studiare è un lavoro e bisogna

farlo nei tempi e nei modi giusti e che non

si va avanti solo per raccomandazioni e per

intrallazzi, in questo caso ricorro alla mia

esperienza, parlando del mio vissuto della

"storia della mia famiglia", di mio padre che

era un pastore analfabeta ed io sono diven-

tato un docente universitario.

La Maestra Simonetta - Vorrei che loro

percepissero il mio ruolo come di colei che li

aiuta a dare il meglio di se stessi e quindi a

capire che le materie che insegno possano

essere una chiave di lettura per la realtà, di

tutto quello che fa parte del loro quotidiano

e della vita in genere.

La Maestra Marianna - Far capire loro che

attraverso la forza del proprio carattere e

della propria volontà si può raggiungere la

sicurezza di sé: questo è un aspetto dal

punto di vista educativo; dal punto di vista

didattico, nell'arco di tempo di cinque anni,

in un lavoro pedissequo, mi piace far capire

loro che la lingua italiana che io insegno, se

analizzata in tutti i suoi molteplici aspetti, è

una perfetta armonia tra la cultura e il sa-

pere, la capacità relazionare dell'uomo e la

logica che sta dietro ai ragionamenti e agli

apprendimenti.

6 La funzione del contesto urbano,

dell'ambiente/terreno, quanto influen-

zano la consapevolezza e la presa di

coscienza nel processo didattico?

Sia la città, ma anche la campagna, il pae-

saggio urbano, sono di grande utilità per

vedere le trasformazioni della storia, per

vedere tutto il lascito del lavoro fatto nei

secoli dall'uomo. Lo studente deve abituarsi

a leggere i contesti, non c'è nulla di più

umanizzato del paesaggio agrario. La delo-

calizzazione delle sedi universitarie in tante

città di provincia ha facilitato sì l'accesso

all'Università, con il rischio però di liceizzare

e provincializzare invece di creare uno sti-

molo per poter andare via dalle città di pro-

vincia, per essere un elemento di crescita.

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Purtroppo le Università non si sono struttu-

rate per accogliere la grande richiesta da

parte degli studenti, e non adeguandosi,

siamo arrivati a questo processo di deloca-

lizzazione.

7 Ultime novità nel mondo universita-

rio, progetti, ricerche...

Il Professore - L'avvio della produzione

scientifica viene monitorato, come la produ-

zione, la quantità e la qualità scientifica in

tutti i campi e questa è la novità positiva;

quella negativa, il taglio in questi ultimi an-

ni ai finanziamenti anche nella gestione or-

dinaria, come è avvenuto nella scuola in

genere.

8 Qual è uno strumento adottato, idea-

to, che ha funzionato, che le ha dato

soddisfazione?

Il Professore - L'uso del film, perché la vi-

sione e l'uso del documento audiovisivo è il

modo per ottenere i migliori risultati

nell'apprendimento; l'altro, stimolare gli

studenti a prendere appunti nelle lezione e

portare poi degli elaborati scritti agli esami,

possibilmente realizzati in gruppo.

9 Cinema, TV ed Internet, quale impor-

tanza rivestono nell'educazione?

Il Professore - La TV è anche trasmissione

del cinema, è il cinematografo della nostra

epoca. Il cinema prima era consumato in

gruppo e le emozioni venivano condivise e

percepite insieme agli altri, mentre il cine-

ma in TV è un consumo individuale. Uno

studente apprende così, sa della storia non

più dai libri ma dal cinema, che offre mag-

giori conoscenze, sia dai film fiction che dai

film documentari: i ragazzi ricordano mag-

giormente un film fiction, resta di più im-

presso.

10 La sua ultima esperienza nel mondo

della Tv?

Il Professore - L'ultima esperienza in

campo è stata la consulenza storica che ho

fornito per la produzione della fiction "Il ge-

nerale dei briganti", andata in onda su Rai

1. Il mio intervento è stato confrontarmi

con il regista e la sceneggiatrice, il risultato

è stata una fiction che riesce a dar conto

della complessità e dell'importanza storico

culturale del fenomeno, del cosiddetto bri-

gantaggio nel primo decennio dell'Italia uni-

taria.

11 Un consiglio da dare alle nuove ge-

nerazioni di maestre che affrontano il

lavoro per la prima volta?

La Maestra Simonetta - Grande conside-

razione e rispetto per gli alunni e cercare di

imparare da persone e da metodologie effi-

caci, tutto quello che incontriamo ci può in-

segnare e non partire quindi dal presuppo-

sto che sappiamo tutto. Mettersi sempre in

discussione e verificare quello che si inse-

gna, essere umili, sensibili e ricominciare da

capo se le strategie non hanno portato dei

risultati.

12 Le nostre classi somigliano a noi,

sono un po' la nostra impronta ... Cosa

vedi nella tua classe di te?

La Maestra Simonetta - Sono dei bambini

ottimisti, molto autonomi, capaci e con un

pizzico di ironia che fa parte di me, sono

contenta perché essere ironici significa es-

sere osservatori ed intelligenti.

La Maestra Marianna - C'è stata una clas-

se che ho amato tantissimo, una classe di

dieci anni fa chiamata da me "I mitici", che

si è avvicinata di più al mio stile, non è giu-

sto dire che somiglino alla propria maestra

ma sicuramente sono stati un gruppo che

mi ha capito ed io ho capito loro. Abbiamo

passato cinque anni fantastici, non vedevo

l'ora di entrare in classe e alle quattro e

mezza nessuno di noi voleva andar via.

Questo è il vero successo formativo -e di

insegnamento- che si può avere. Il senso di

responsabilità degli alunni nell'assolvere i

compiti a casa ... è una cosa a cui tengo di

più in assoluto!

Una rete di intenzioni, dalla Scuola Primaria

all'Università, fatta di PASSIONE e di CRE-

DO nella propria missione, fa la differenza,

verso una crescita di saperi di qualità, per

un passaggio di conoscenze e di saperi da

impartire ai nostri ragazzi del futuro, per

dei RAGAZZI di VALORE, per dei nuovi

cittadini Universali e Globali, come dice

il nostro amico Prof. Casula!!!

VIVERE LA VITA

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Barbara Riccardi, docente CD 143° "Spina-

ceto"

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Il postino, un poeta per maestro Il mio ideale di maestro di Melchiorre Simonetta - Orizzonte scuola

"Sono un viaggiatore e un navigatore,

e ogni giorno scopro qualche nuova regione

dentro la mia anima"

Kahlil Gibran

Qual è il mio ideale di maestro? Quale la

guida, l'insegnante speciale per me? Non

credo possa esistere nulla di perfetto per

fortuna, ma il poeta Neruda nel film "Il po-

stino", si avvicina molto all'immagine del

MAESTRO che vorrei essere per i miei alun-

ni o che vorrei incontrare per me.

Mario Ruoppolo, Massimo Troisi nel film, è

un giovane con tanti sogni e molti desideri

ma nessuna idea di come realizzarli.

Insoddisfatto della sua vita nell'isola, egli è

diverso da tutti i pescatori che la abitano,

preoccupati solo di tornare al porto con i

pesci, sbarcare il lunario, bere un po' di lat-

te caldo la sera con un tozzo di pane,

aspettare l'acqua una volta alla settimana.

Lui sa scrivere, sa leggere (anche se a sten-

to), a differenza degli altri, ma non sa anco-

ra cosa farci con tutto questo desiderio. Fi-

no a quando arriva lui, il poeta Neruda, fa-

moso per le sue idee politiche, per il suo

impegno sociale, per le splendide poesie e il

successo con le donne.

Mario rimane affascinato dalla bellezza di

quest'uomo, dalla sua capacità di dire paro-

le che egli ha sempre sentito di avere den-

tro sé ma che non era mai riuscito ad

esprimere in quel modo tanto sublime

quanto semplice.

L'incontro con

la poesia, e

con quest'uo-

mo pieno di

carisma, aiuta

Mario, il posti-

no, a trovare

dentro di sé la

bellezza che

c'è, lo aiuta a

trovare i doni, i

talenti che egli

possiede e che

non riesce an-

cora ad espri-

mere perché non ha ancora gli strumenti

per farlo.

Ecco, credo che un insegnante debba

essere straordinario, speciale e sempli-

ce, come la poesia, capace di guardare

il mondo e i suoi alunni con occhi im-

mensi. Pablo Neruda non rispondeva a tut-

te le domande di Mario, né ha aderito a tut-

te le sue richieste, a tutte le sue pretese

ma lo guardava con fiducia, sapeva che egli

era in grado di trovare da sé la sua stra-

da... è stato il primo a dare valore ai suoi

sogni e alle sue aspirazioni. Questo dovreb-

be fare, secondo me, un grande insegnan-

te.

E' difficile sintetizzare in poche righe, pagi-

ne e pagine di dialoghi profondi, teneri, in-

telligenti, è impossibile rendere la luce e la

bellezza dei luoghi del film, vi invito a rive-

derlo e a pensare al poeta come ad un

maestro e al postino come un allievo; tro-

verete in quel rapporto molti più spunti che

in una guida didattica, un libro di psicologia

o di organizzazione scolastica.

Per questo non sono qui a dirvi come pre-

sentare l'aggettivo piuttosto che il verbo o

Dalla prima pagina

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la divisione a due cifre (anche se è impor-

tantissimo ed utile cercare e trovare nuove

strategie di presentazione degli argomenti)

ma sento che è molto più importante do-

mandarsi COSA SONO mentre spiego

questo o quell'argomento, riesco a

passare loro la bellezza, l'utilità, direi

quasi l'anima dell'aggettivo o del ver-

bo?

Per tentare di rendere ciò che ho in mente,

trascrivo la scena in cui Neruda spiega a

Mario cos'è una metafora

"Neruda [= N]: [...] È indegno che tu mi

sottoponga a questo tipo di paragoni e me-

tafore.

Postino [=P]: Don Pablo?

N: Metafore, diamine!

P: E cosa sarebbero?

Il poeta posò una mano sulla spalla del ra-

gazzo.

N: Per spiegartelo più o meno confusamen-

te, sono modi di dire una cosa paragonan-

dola con un'altra.

P: Mi faccia un esempio.

Neruda guardò l'orologio e sospirò.

N: Be', quando dici che il cielo sta piangen-

do, cos'è che vuoi dire?

P: Semplice! Che sta piovendo, no?

N: Ebbene questa è una metafora.

P: E perché se è una cosa così semplice, ha

un nome così complicato?

N: Perché gli uomini non hanno nulla a che

vedere con la semplicità e la complessità

delle cose. Secondo la tua teoria, una cosa

piccola che vola non dovrebbe avere un

nome lungo come farfalla. Pensa che ele-

fante ha lo stesso numero di lettere di far-

falla, ed è molto più grande e non vola.

Conclude Neruda esausto. Con un ultimo

scampolo di energia gli indicò la rotta per la

caletta. Ma il postino ebbe la baldanza di di-

re.

P: Come mi piacerebbe essere poeta!

[...]

P: È che stavo pensando

Neruda strinse le dita al gomito del postino

e lo condusse con fermezza fino al lampione

a cui aveva appoggiato la bicicletta.

N: E per pensare rimani fermo? Se vuoi di-

ventare poeta, comincia a pensare cammi-

nando [...]. Ora te ne vai alla caletta peda-

lando lungo la spiaggia, e mentre osservi il

movimento del mare puoi metterti a inven-

tare metafore.

P: Mi faccia un esempio.

N: Ascolta questa poesia:

Qui nell'isola, il mare,// quanto mare //Esce

da sé, a ogni istante,//dice di sì //dice di

no//poi di no// nell'azzurro, nella spuma//

nel galoppo//dice di no//poi di no//non può

stare //tranquillo // - mi chiamo mare- ripe-

te// appiccicandosi a una pietra // senza

riuscire a convincerlo// allora //con sette

lingue verdi// di sette tigri verdi //di sette

cani verdi //di sette mari verdi //la percorre

//la bacia //la inumidisce //e si batte il pet-

to //ripetendo il suo nome.

N: Che te ne pare?

P: Strano.

N: Strano. Sei un critico severo.

P: No, don Pablo. Non è la poesia che è

strana. Strano è come io mi sentivo

mentre lei recitava la poesia.

N: Mio caro Mario, vedi di svegliarti un po',

perché non posso passare tutta la mattina

ad ascoltare le tue chiacchiere.

P: Come posso spiegarmi? Quando lei reci-

tava la poesia, le parole andavano di qua e

di là.

N: Come il mare, allora!

P: Sì, ecco, si muovevano come il mare.

N: E questo è il ritmo.

P: E mi sentivo strano, perché con tutto

quel movimento mi veniva il mal di mare.

N: Il mal di mare.

P: Certo! Ero come una barca cullata dalle

sue parole.

Le palpebre del poeta si scollarono lenta-

mente.

N: Come una barca cullata dalle mie parole.

P: Sicuro!

N: Lo sai cos'hai fatto, Mario?

P. Cosa?

N: Una metafora.

P: Però non vale, perché mi è venuta così,

per caso.

N: Non c'è immagine che non sia casuale,

figliolo.

Mario si portò la mano al cuore, e cercò di

controllare una prepotente palpitazione che

gli era salita fino alla lingua e lottava per

esplodergli tra i denti. Arrestò il passo, e

roteando un dito impertinente a pochi cen-

timetri dal naso del suo illustre cliente, dis-

se:

P: Lei crede che tutto il mondo, voglio dire

tutto il mondo, con il vento, i mari, gli albe-

ri, le montagne, il fuoco, gli animali, le ca-

se, i deserti, le piogge ...

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N: Adesso puoi già dire "eccetera".

P: Eccetera eccetera ! Lei crede che il

mondo intero sia la metafora di qualco-

sa?

Neruda spalancò la bocca, e il suo mento

robusto parve distaccarsi dal volto.

P: È una stronzata quella che ho domanda-

to, don Pablo?

N: No, davvero no.

P: Però ha fatto una faccia così strana.

N: No, il fatto è che mi sono messo a pen-

sare (1).

Una frase bellissima in mezzo ad un dialogo

splendido e profondo: "Strano come mi

sentivo io mentre la dicevate". Mario si sen-

te strano mentre il poeta recita la sua poe-

sia, le parole sbattono di qua e di là nella

sua mente e lui si sente come una barca in

mezzo alle onde. Ci siamo mai domanda-

ti come si sentono i nostri alunni men-

tre noi parliamo? Ci domandiamo mai

se quello che gli diciamo li emoziona,

ha un senso per loro o lo ha soltanto

per noi?

Io desidero essere, nella mia professione di

insegnante, come un poeta che parla di bel-

lezza con passione e gusto, non credo di

dover necessariamente stupire la mia classe

con effetti speciali, utilizzando chissà quali

orpelli per rendere sempre nuova e all'a-

vanguardia la mia lezione. Io voglio essere

come il Neruda del film, sensuale e innamo-

rata della vita, del godimento, entusiasta,

idealista, appassionata, capace di vedere il

mondo non solo così com'è ma come una

metafora di qualcos'altro, una viaggiatrice

dentro e fuori di me, per conoscere, come

scrive Gibran, altri mondi, altri spazi, altre

regioni in me stessa e negli altri.

"Facciamo così Mario, ora rifletterò sul-

la tua domanda poi domani ti darò una

risposta". Ecco la sintesi sublime di quello

che intendo per maestro. L'insegnante,

secondo me, non è colui che ha una ri-

sposta ad ogni domanda, non deve

riempire tutti gli spazi, tutti i silenzi,

tutti i dubbi. Egli è piuttosto colui che

prende sul serio tutte le domande, tutti

i silenzi, tutti i dubbi. E' colui che si

prende il tempo per riflettere su quanto ac-

cade all'interno della sua classe, tra i ragaz-

zi, tra lui e i suoi alunni. Perché sa che

prendere sul serio una domanda, dare il

giusto spazio ad una richiesta, significa da-

re valore a chi è lì pieno di fiducia nella no-

stra capacità di giudizio. Senza dimenticare

l'amore.

Il postino, alla fine del film, riesce a scrive-

re la sua prima ed unica poesia. Non impor-

ta quanto è bella, né che non avrà il suc-

cesso delle poesie di Neruda. Ciò che è ve-

ramente importante è che egli sia riuscito a

creare, grazie a questo rapporto speciale, la

propria opera d'arte, a dare senso e valore

alla propria vita. Le parole del maestro gli

sono servite per trovare dentro di sé altre

parole per esprimere ciò che è, senza più

doverle prendere in prestito.

Ecco ciò che conta di un insegnante: egli

mostra, fa vedere ma soprattutto dà valore,

insegna il valore perché non c'è lezione più

grande e fondamentale di quella in cui cia-

scun allievo impari piano piano a dare a se

stesso quello che si aspetta venga dagli al-

tri: darsi valore e trovare dentro di sé la

strada per costruire la propria poesia.

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1) Ho unito i dialoghi di due scene perché

mi sembravano significative entrambe.

Per visualizzare clicca qui

Simonetta Melchiorre, docente IC Viale

Adriatico - Roma

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Ci vorrebbe una scuola seriamente divertente! L'organizzazione di una didattica pensata per raggiungere tutti di Melchiorre Antonia - Integrazione Scolastica

Come più volte ho scritto nei miei articoli,

ciò che è più difficile per un insegnante è

tenere in considerazione le "diverse diversi-

tà" che vivono all'interno della classe. Non è

facile!

I bambini sono tanti, le sfumature diverse,

pensare "individualmente" a tutti è dif-

ficilissimo, dovremmo prevedere un com-

pito diverso per ogni bambino!

In una scuola montessoriana il materiale

che è a disposizione delle classi facilita que-

sto compito, perché organizzando un per-

corso (A→Z) che prevede delle tappe (B,C,

D, ecc), il materiale permette ad ogni bam-

bino di svolgere il proprio lavoro autono-

mamente rispetto al suo compagno che

magari è un po' più indietro o un po' più

avanti. Infatti, in una scuola montessoriana

la lezione per lo più non è frontale, come

invece accade più facilmente in una scuola

tradizionale. Spiegare lo stesso argomento

ad una classe intera aumenta le possibilità

che le nozioni non arrivino ad ogni bambino

allo stesso modo.

Allora, come raggiungere tutti?

Sicuramente la spiegazione fatta alla classe

è importante per presentare l'argomento,

POI PERÒ VA VERIFICATO CHI LO HA COM-

PRESO E COME.

Il mio compito come insegnante di sostegno

non è solo quello di "pensare" ai bambini

certificati, ma di collaborare con le inse-

gnanti di classi per far fronte insieme pro-

prio a queste difficoltà.

Con il team ci siamo organizzati in modo da

poter ricavare spazi e tempi per affrontare

nuovamente in piccoli gruppi gli argomenti

trattati e ancora non assimilati dai bambini.

Le strategie per lo più sono basate, anche

in questo caso, su materiale sia strutturato

che non.

Per esempio abbiamo utilizzato dei sempli-

cissimi tappi di plastica, di misura diversa,

per capire il concetto di decina ed esercitar-

ci al "cambio" con il "gioco della banca".

Oppure li abbiamo utilizzati per risolvere

problemi di logica e capire per esempio i

concetti di: tanto quanto, più di, meno di,

uguale a.

Quando lavorano insieme a piccoli gruppi,

utilizzando del materiale concreto e non so-

lo il quaderno, i bambini solo felicissimi per-

ché imparano divertendosi!

Facilitare il compito ai bambini dovreb-

be essere nostro dovere, questo non

vuol dire lasciarlo sempre ad un "basso li-

vello", ma alzare di volta in volta il tiro, os-

sia rimanere sempre nell'area di svilup-

po prossimale definita da Vygotskij come

la zona all'interno della quale un bambino

può risolvere, con l'aiuto di un educatore o

di un compagno, problemi che non sarebbe

in grado di risolvere da solo.

Uno dei bambini che seguo ha difficoltà di

letto-scrittura ed ho utilizzato con lui il me-

Dalla prima pagina

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todo Panlexia (1). Per questo bambino riu-

scire a leggere piccolissimi brani è una

grande soddisfazione, così come riuscire a

scrivere in stampato minuscolo o il corsivo,

e nel momento in cui riesce in queste im-

prese, sentirlo esclamare con gioia "questo

è il più bel giorno della vita mia a scuo-

la!" è una grande soddisfazione anche per

noi insegnanti.

Trovare strategie efficaci che possano "ri-

solvere problemi" è l'attività più frequente

nel nostro team, come per molte altre inse-

gnanti! Tra i bambini che seguo c'è anche

una bimba autistica che non utilizza spon-

taneamente la parola per comunicare e nel-

la sua classe c'è un bambino cinese che an-

cora non conosce bene la nostra lingua. Per

l'acquisizione di parole che richiamano og-

getti che fanno parte dell'ambiente scolasti-

co, o adoperati nella vita di tutti i giorni,

con questi due bambini utilizziamo immagi-

ni e cartelli con i relativi nomi. A volte que-

sti due bambini lavorano insieme ed Ales-

sandra, conoscendo i nomi di alcuni oggetti

,"aiuta" il bambino straniero ad imparare

parole nuove, o viceversa è lui a sollecitare

la compagna quando conosce il nome pro-

posto. Hao è contento di lavorare con Ales-

sandra perché si sente importante: nono-

stante la sua difficoltà con la lingua, anche

lui può aiutare la sua compagna.

Sicuramente il piccolo gruppo, l'ambiente

laboratoriale, il supporto di un materiale o

di un compagno, sono strumenti che aiuta-

no il bambino ad imparare con più facilità e

divertimento e con meno paure. Ciò che noi

insegnanti dovremmo cercare di mettere in

atto sono strategie che possano migliorare

la QUALITÀ DELLA VITA SCOLASTICA dell'a-

lunno, in modo da attivare la resilienza

educativa "la capacità, cioè, di tollerare le

frustrazioni e le difficoltà che s'incontrano

nel corso dell'apprendimento senza turbarsi

e battere prematuramente in ritirata." (1)

Il compito di noi insegnanti dovrebbe

essere proprio quello di rendere la

scuola un luogo sereno e divertente

dove si imparano ...cose serie!

Antonia Melchiorre,

docente di sostegno, IC Perazzi – Roma

Bibliografia

(1) Kvilekval Pamela, Il metodo Panlexia.

La rieducazione della dislessia, Ed. M

Antonia Melchiorre, I laboratori come

strategia didattica, ebook Sysform Edito-

re, 2010

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Tecniche di strategie didattiche, la parola ai ragazzi Tecniche passive e tecniche attive a confronto di Infantino Aminta Patrizia - Orizzonte scuola

Alcune strategie didattiche per animare le

lunghe mattine e le noiose lezioni frontali

mettono in primo piano il ruolo attivo degli

alunni.

Sperimento quotidianamente che un compi-

to mal compreso dalla spiegazione dell'in-

segnante, può venire 'accettato' meglio se

spiegato da un compagno. Il 'tutoring tra

pari' è una tecnica efficacissima di aiuto tra

compagni. "Oggi io insegno la battuta di

pallavolo a te e tu domani insegni le equa-

zioni a me...." e la valutazione va data ad

entrambi i ragazzi in base alla qualità del

rapporto insegnamento /apprendimento che

si è saputo creare.

Genitori non abbiate timore a far studiare i

ragazzi insieme. Apprendono meglio!

Dato che lo sviluppo cognitivo è un proces-

so sociale ed è appurato che la capacità di

ragionare aumenta nell'interazione con i

propri pari e con persone maggiormente

esperte, possiamo affermare che lavorare

in gruppo accresce le capacità di ragio-

namento critico. Con la partecipazione at-

tiva e la cooperazione tra compagni, che la

pedagogia oggi chiama 'tecniche attive' in-

cludendo il brainstorming, il cooperative

learning, il problem solving, il tutoring tra

pari....) andiamo ad operare con un meto-

do pedagogico che, istruendo, educa alla

responsabilità individuale e alla capacità di

relazione con gli altri.

Vita da scuola media: la parola ai ra-

gazzi :-)

Ragazzi cosa ne pensate delle lezioni fron-

tali e delle tecniche attive? Propongo un

brainstorming sui vantaggi e svantaggi del-

le lezioni frontali e vantaggi e svantaggi del

lavoro cooperativo. Tiriamo fuori tutto quel-

lo che ci viene in mente, liberamente, unica

regola 'alzare la mano per poter parlare uno

alla volta'. Un compagno scrive tutto quello

che emerge.

Vantaggi e svantaggi delle lezioni fron-

tali 'ex cattedra'

Vantaggi:

La professoressa spiega senza interruzioni,

cercando di far capire tutto a tutti; la lezio-

ne frontale aumenta di molto l'apprendi-

mento dei ragazzi, instaurando un po' di

sana competizione tra i ragazzi; ci si impe-

gna di più per apprendere e imparare per-

ché ci si sente più responsabili; apprendi di-

rettamente ciò che ti insegna l'insegnante,

stai più attento; la prof spiega a tutti, con

voce alta e chiara e se non hai capito te lo

rispiega; possiamo capire tutti insieme

quello che ci spiega l'insegnante; c'è più si-

lenzio; impari a controllarti meglio, resisti

Dalla prima pagina

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ancora di più all' ansia, capisci che devi

studiare meglio; ascoltare, ripetere, essere

zitti, stare uniti, dire se hai capito o no e

essere attenti; l'alunno è più attento, ap-

prende meglio, si impegna di più; quando la

prof spiega, tutti quelli che sono stati atten-

ti apprendono allo stesso modo, così ,tra

quelli che stanno attenti, non c'è nessuno

che si sente superiore in fatto di sapere di

più e non può di certo dire a qualcuno che è

stato attento: "So più di te e sono più bra-

vo!"; si può ascoltare la lezione senza inter-

ruzioni e si studia meno a casa; il silenzio

aumenta l'attenzione e la concentrazione; si

apprende meglio, ci si mette alla prova;si

sta più attenti;se vieni interrogato puoi di-

mostrare quello che vali; si può valutare in-

dividualmente; ci mettiamo alla prova su

quello che abbiamo studiato, stiamo più at-

tenti; l'alunno si impegna e può dimostrare

quanto vale, quanto ha studiato e quanto si

è impegnato.

Svantaggi:

Non si fanno domande, bisogna riflettere da

soli; ci vuole molta attenzione da parte de-

gli studenti; non c'è divertimento e capita

spesso di non capire un argomento;per

chiedere ulteriori spiegazioni non devi esse-

re timido; spesso ti senti rispondere "potevi

stare attento", quando ti va bene

...sennòòò!; interagisci poco; mentre tu sei

al banco, però, puoi benissimo distrarti se,

ad esempio, i compagni fanno i commenti

buffi o ti annoi; a volte non tutti capiamo la

lezione; più ansia; l'ansia, paura di prende-

re un brutto voto; l'alunno ha sempre un

po' di paurastrizza, si annoia, si perde nella

propria fantasia, E' STAN-

COOOOOOOOOOOOOOO; non rendono mol-

to partecipe l'alunno alla lezione, perché io,

quando la professoressa spiega, devo sen-

tirmi al centro della lezione, non ai margini,

anche perché, quando lei spiega, io mi pos-

so distrarre, se sono coinvolto invece, non

mi posso proprio distrarre. La passività ti fa

perdere nei pensieri; devi stare tutto il

tempo fermo e zitto ad ascoltare; noia, di-

strazione; io sbuffo, mi viene voglia di dor-

mire, di andare in bagno, ho paura; devi

studiare; mi sale l'ansia e la paura di ri-

spondere giusto o sbagliato; quanta noia,

ansia nelle interrogazioni; ti senti osserva-

to; apprendi da solo, nessun consiglio; è

noiosa e non possiamo parlare mentre la

prof spiega; all'interrogazione se qualcuno

non si ricorda un avvenimento storico o una

regola, tutti gli altri alzano le mani per ri-

spondere quindi si crea una specie di com-

petizione a chi ne sa di più e alla persona

interrogata può venire l'ansia e dall'agita-

zione scordarsi le cose

Vantaggi e svantaggi del lavoro coope-

rativo

Vantaggi:

Aiutarsi, dare consigli, tutti impariamo tante

cose nuove anche dai compagni; conoscere

nuove idee, conoscere nuove lingue, cono-

scere cose interessanti prese dall'esperien-

za dell'altro; lavorare in gruppo, scrivere

alla lavagna (a me piace tanto!); invitare a

casa qualche compagno; quando si fa un

cartellone mi piace che il gruppo scrive be-

ne e colora bene; puoi creare, puoi fare

amicizia, puoi essere te stesso, puoi aprirti

agli altri; studiare, giocare, riflettere e per-

donare;conoscere meglio le persone

;aiutarci a lavorare insieme; quando non sai

qualcosa magari la sa un altro;la fortuna di

capitare con Simone che scrive bene e che

ha buon gusto sulla scelta dei colori; il lavo-

ro cooperativo ci fa stare tutti uniti, tutti in-

sieme, tutti amici; è bello condividere le co-

se create insieme; in gruppo se tu non sai

la soluzione la sa l'altro; mi piacciono i

compagni, l'amicizia, la simpatia, la collabo-

razione; si impara a lavorare divertendosi;

si impara ad essere comprensivi e a rispet-

tare il lavoro e le idee che non ti piacciono.

Svantaggi:

si potrebbe litigare; si potrebbe litigare per-

ché vogliono fare sempre tutto gli altri; po-

tresti avere la sfortuna di litigare con chi

non sa perdonare; puoi capitare con chi

vuole fare tutto da solo, con chi non t'ascol-

ta e non ti aiuta; non è adatto per chi è ti-

mido, per chi si vergogna, per chi è perma-

loso; puoi avere la sfortuna di capitare con

chi vuole avere sempre ragione; alcune

persone se ne approfittano e fanno di testa

loro e rovinano il lavoro di altri che ci hanno

messo tutto l'impegno; non puoi fare come

ti pare; puoi entrare in competizione con gli

altri e ci rimani male quando dicono di es-

sere più bravi e allora preferisci lavorare da

solo; quando vuoi dare lo stesso contributo

sulla stessa parte del lavoro; quando non ci

decidiamo a chi inizia e poi litighiamo per-

ché non vogliamo più finire; quando non

condividi le stesse scelte; se ti sta antipati-

ca una persona ci devi stare per forza; se

scrivi o disegni male non vieni accettato;

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non lavorare in armonia se nascono incom-

prensioni.

Emerge chiara la distinzione:'l'uno contro

l'altro o l'uno con l'altro?'

L'APPRENDIMENTO COOPERATIVO può es-

sere adattato a ogni compito, ogni materia

e ogni curricolo. L'efficacia è stata dimo-

strata e la ricerca mostra che la coopera-

zione e il lavoro di gruppo a confronto del

lavoro competitivo e individualistico, per-

mette di ottenere risultati migliori, gli stu-

denti lavorano di più, memorizzano meglio

e più a lungo, sviluppano una maggiore

motivazione intrinseca, migliorando il ra-

gionamento e la capacità di pensiero critico.

Le relazioni si fanno più positive e si crea

un maggiore benessere psicologico miglio-

rando il senso di autoefficacia, l'autostima e

l'immagine di sé; gli studenti sviluppano

competenze sociali e una maggiore capacità

di affrontare lo stress....Ma si, lasciamoli

parlare con il compagno di banco di tanto in

tanto che, magari, ha i suoi frutti!!!

Aminta Patrizia Infantino,

docente di sostegno scuola superiore di

primo grado "SMS Pintor"e "Cecco Angiolie-

ri" – Roma

N.B. L'articolo è parte del testo in corso di

pubblicazione con Edizioni La Meridiana

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Sessualità e amore Le mie proposte didattiche di Paci Lucia Giovanna - Orizzonte scuola

Dopo la consegna del documento di valuta-

zione, per ripartire con un nuovo quadrime-

stre, è necessaria una pausa di riflessione,

di analisi, di ragionamento, di proposte "per

correggere il tiro" degli interventi: recupe-

rare, consolidare, potenziare. Ecco perché

la scelta di dedicare alla didattica la rivista

di questo mese.

Come al solito, ogni qualvolta si trattano

argomenti tecnici, non essendo un docente,

ma solamente un genitore, mi sento un po'

disorientata e senza argomenti, ma poi rie-

sco sempre a "pescare" qualcosa dalla mia

realtà quotidiana. Con quattro figli, vivo

quotidianamente in più modi gli sforzi che

ogni scuola fa nel proprio piccolo per essere

degna di questo nome, a livello di persone e

di proposte e non mi sento di giudicarne la

portata, sia pure dall'osservatorio di chi vi-

ve la scuola da un altro punto di vista e può

offrirne letture diverse. Mi sembra di finire

col dire sempre le stesse cose, che pure se

minimamente intelligenti, diventano spesso

idealismi o retorica da strapazzo.

Pensando alla didattica e dovendo trarre dal

mio vissuto, tuttavia, sento di dover de-

nunciare che la Scuola sta perdendo

molto il suo ruolo di istituzione educa-

tiva, principalmente perché ha essa per

prima smarrito la consapevolezza di

poterlo, doverlo essere, poi perché le

viene poco o per nulla riconosciuto dalla sua

controparte, la Famiglia, che dovrebbe so-

stenerla ed esserle complementare.

I miei figli sono tutti adolescenti, chi già,

chi ancora e chi in pieno e nonostante la

partecipazione attenta di noi genitori, che li

abbiamo accompagnati e continuiamo a far-

lo giorno per giorno nel loro cammino, la

loro generazione li ha inevitabilmente

contagiati di un analfabetismo emotivo

e sentimentale, che noi non abbiamo

sicuramente avuto alla loro età!

Anche noi abbiamo fatto le nostre scoperte

e le nostre esperienze, fisiche ed emozionali

e abbiamo vissuto le nostre "prime volte" in

questi campi, ma con una struttura diversa

alle spalle, più piena, un sistema di catego-

rie a fare da supporto e in cui appunto cata-

logare via via le esperienze. Loro ne sono

sprovvisti e l'emergenza educativa di cui si

discute tanto oggi riguarda moltissimo l'E-

DUCAZIONE SENTIMENTALE.

Il fatto di cronaca di qualche giorno fa che

ha visto protagonisti due quattordicenni,

scoperti nell'atto di un rapporto sessuale

nel bagno della scuola, mi ha atterrito, non

solo per la differenza di "punizione", che ha

penalizzato la ragazza rispetto al ragazzo,

ma per il fatto che due ragazzi così giovani

Dalla prima pagina

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considerassero l'atto sessuale mera soddi-

sfazione istintuale e unicamente fisica, così

impellente da essere velocemente consu-

mata in uno squallido bagno scolastico e

che la Scuola abbia perso la sua opportuni-

tà di intervento educativo, limitandosi a

quello punitivo.

Chi spiega ai ragazzi che non si viene puniti

perché si ha un forte desiderio, ma perché

lo si esprime a scuola?

Chi dice loro che così come non ci si mette

le mani nel naso o non si urla, così non ci si

bacia appassionatamente o non si fa sesso,

in pubblico o in un contesto dove "normal-

mente" si fa altro?

Chi spiega loro che è normale, soprattutto

alla loro età, avere delle pulsioni, che ti

fanno "accapponare la pelle" e ti eccitano i

sensi, ma che è giusto farle andare a brac-

cetto con i battiti del cuore, le emozioni del-

la mente che riconosce nell'altro qualcuno

con cui camminare "d'amore e d'accordo"?

Chi non ha paura di dire che il discorso ses-

suale va inquadrato in un discorso senti-

mentale, d'amore, che ha i suoi spazi, i suoi

tempi, il suo linguaggio, le sue leggi?

La Scuola dovrebbe farlo, potrebbe far-

lo, perché a volte capita che la Famiglia ci

provi, ma le manchi l'apporto utilissimo che

potrebbe darle la Scuola e a volte capita

proprio che la Famiglia sia inadeguata e in-

capace e allora la Scuola ha il dovere mo-

rale e deontologico di farlo!

Si parla da secoli della necessità di fare

"educazione sessuale" nelle scuole, ma si è

sempre frainteso cosa questo debba signifi-

care. I ragazzi non hanno bisogno di sapere

le tecniche, che ci mettono due minuti a

scoprire, ma hanno bisogno di crescere

nell'affettività e di sentirsi dire che la ses-

sualità non può essere fine a se stessa, ma

deve essere inquadrata nel rapporto d'amo-

re, che non si basa sulla qualità di una pre-

stazione ma è il completamento di un sen-

timento, che va "imparato" nella quotidiani-

tà del vissuto e non consumato frettolosa-

mente.

Perché non può dirle anche la Scuola queste

cose?

Attraverso i professori o attraverso degli

esperti appositamente consultati, senza

moralismi, senza indottrinamenti pseudo

religiosi, con il buon senso di adulti che

guidano i principianti alla scoperta di un

universo... Ce ne sarebbe un gran bisogno,

i ragazzi ne avrebbero, e anche noi genitori

e probabilmente anche ai docenti farebbe

un gran bene far passare il loro rapporto

con i ragazzi da questo!

Lucia Giovanna Paci,

genitore, IV Municipio - Roma

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Una comunità di ricerca Una mente aperta al dubbio, consapevole delle differenze, disponibile al cambiamento di Del Guercio Nadia - Attività Laboratoriali

" Pensiero, io non ho più parole.

Ma cosa sei tu in sostanza?

Qualcosa che lacrima a volte,

e a volte dà luce.

Pensiero, dove hai le radici?

Nella mia anima folle

o nel mio grembo distrutto?

Sei così ardito, vorace,

consumi ogni distanza;

dimmi che io mi ritorca

come ha già fatto Orfeo

guardando la sua Euridice

e così possa perderti

nell'antro della follia."

Alda Merini

Inizia intenzionalmente da questa poesia la

mia testimonianza nei confronti di un meto-

do, di una strategia didattica che abbia dato

un senso e anche un nome a quei percorsi

scolastici che già consideravo imprescindibi-

li dalla parola EDUCARE.

Interrogarsi sulla natura del pensiero, sulla

sua sede e sul suo "indagare" è proprio del-

la natura umana e come insegnante ho

sempre creduto che la ricerca dell'iden-

tità, del valore e del senso della vita sia

parte integrante della formazione an-

che per i bambini.

Ho ascoltato per anni le domande e le ar-

gomentazioni che i bambini si pongono e

poi ripropongono ai compagni e alle mae-

stre.

Ho ascoltato e cercato qualche volta di dare

risposte che mi sembravano adeguate; altre

volte tentavo di aiutarli a trarre fuori da lo-

ro stessi soluzioni o scelte possibili; ma il

più delle volte confesso di aver anticipato

certezze, perché, ora lo riconosco, è più fa-

cile e sbrigativo per un insegnante trasmet-

tere quello che si sa.

Poi un giorno sulla mia strada professionale

ho avuto un incontro con persone speciali:

insegnanti e formatori del curricolo Philoso-

phy for Children (noto con l'acronimo P4C).

L'incontro non è stato casuale perché ho

scelto di partecipare, con alcuni colleghi

della mia scuola, ad un corso di aggiorna-

mento-formazione all'interno di un progetto

finanziato dal Comune di Roma e realizzato

anche con gli operatori del nostro Municipio.

Noi adulti abbiamo sperimentato, durante le

sessioni di lavoro, come diventare "co-

munità di ricerca" con attività auto-

regolate del metodo dialogico-

argomentativo e, a turno, ogni insegnante

ha anche ricoperto il ruolo di facilitatore per

stimolare, gestire e orientare il dialogo filo-

sofico.

Sicuramente il numero degli incontri non è

stato esaustivo ma tra noi colleghi c'è chi

ha continuato, in classe con gli alunni,

la pratica del DIALOGO FILOSOFICO.

Per qualche tempo alcuni formatori hanno

continuato a seguirci come tutor, monito-

rando e riflettendo insieme su idee-guida

valide per individuare nuclei filosofici all'in-

terno di una qualsiasi "chiacchierata" o

"conversazione libera su vissuti quotidiani".

Dalla prima pagina

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Intervista a Lipman

Allo stesso scopo si è rivelata utile la lettura

e la discussione dei racconti filosofici di Li-

pman (scritti espressamente per il P4C), di-

versificati per l'età degli alunni dalle classi

liceali fino ai bambini più piccoli. Ai racconti,

veri e propri supporti didattici, sono allegati

dei manuali per l'insegnante in cui si sugge-

riscono gli approfondimenti delle tematiche

e si presentano esercizi di rinforzo delle abi-

lità cognitive implicate nel ragionamento fi-

losofico.

In questo senso il dialogo disciplinato su

tematiche precise, che già utilizzavo

per il circle-time, è diventato confronto

tra punti di vista, scambio intersogget-

tivo, ristrutturazione delle idee. Si può

ottenere, anche con i bambini più piccoli, il

riconoscimento dell'alterità, la diminuzione

di situazioni di prepotenze, disagio, prevari-

cazione o sottomissione; si può alimentare

la forza della ragione contro la ragione della

forza.

Non è poco... il P4C, inoltre, favorisce la

trasversalità delle discipline curricolari per-

ché arricchisce il patrimonio linguistico,

aumenta le competenze logiche, stimola,

attraverso l'aiuto dei compagni, le potenzia-

lità delle "zone di sviluppo prossimo" (Vygo-

tskij).

Infine, proprio per esaltarne il valore, con-

sidero il P4C alla stregua dell'idea meravi-

gliosa e romantica che ho sempre avuto

della filosofia, sviluppata nell'agorà, spazio

pubblico e quindi sociale, unico spazio pos-

sibile per il ragionamento.

Il Philosophy for Children è l'EDUCAZIONE

DELLA RAGIONE, percorso formativo neces-

sario, oggi più che mai, per la costruzione

di un buon cittadino in una società demo-

cratica.

PHILOSOPHY FOR CHILDREN e anche LI-

GUORI EDITORE DI NAPOLI e anche SO-

PHIA (a cui il P4C è associato).

Baci filosofici

Per approfondire clicca qui

Per un libro... clicca qui

Nadia Del Guercio,

docente IC Via dell'Archeologia - Roma

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Alla scoperta delle tracce Per evitare gli appiatti-menti e la dispersione scolastica ... è questione di "STILE"! di Riccardi Barbara - Attività Laboratoriali

<<C'era una volta un fiore che non voleva

essere un fiore, allora la fata dei fiori disse:

"Se tu vuoi diventare un essere umano io ti

accontenterò ma se non ti piace, ti dovrai

rassegnare perché non potrai più essere un

fiore". Il fiore accettò e la fata lo toccò con

la bacchetta e lo trasformò in un essere

umano. Il fiore si rese conto che la vita era

difficile. La fata allora lo fece diventare un

tulipano finto, per non farlo morire, poi

scomparì per sempre>>. Carla ha chiesto a

un compagno di classe: <<Secondo te che

cosa ha voluto dire Concetta con il suo rac-

conto?>>. <<Che il fiore non voleva morire

e così la fata lo ha fatto diventare immorta-

le>>. <<Però l'ha trasformato in un tulipa-

no finto! È meglio essere una persona uma-

na e morire o essere un fiore finto e non

morire mai?>>. <<È meglio morire>>.

Insegnare al Principe di Danimarca di

Carla Melazzini

Quale potrebbe essere un percorso che

permetta ai ragazzi di conoscere, imparare,

studiare IN MODO DIVERSO: In quale altro

modo posso fargli scoprire il piacere di co-

noscere?

"L'uomo è pienamente tale solo quando

gioca". Così scriveva il grande scrittore

Friedrich Schiller nel 1795 nel suo trattato

"Sull'educazione estetica dell'uomo". E'da

questa affermazione sull'importanza della

ludicità, che ho impostato la mia modalità e

il mio stile di insegnamento, così congeniale

al mio modo d'essere e che reputo essen-

ziale per un apprendimento dinamico e in-

novativo.

Così pensando e riflettendo sulle procedure

didattiche adottate lungo il mio percorso la-

vorativo, è uscito fuori dal mio "cilindro

esperienziale", quella che posso definire LA

MIA METODOLOGIA LUDICA.

Non una semplice messa in atto di giochi in

classe, al contrario, una metodologia di stile

che attribuisce al gioco un valore strategico

per raggiungere obiettivi: lo sviluppo delle

abilità, il realizzare strategie, lo sviluppo

cognitivo e comunicativo. Il gioco come

modalità privilegiata per un apprendi-

mento e una scoperta del mondo in

ogni età, efficace sempre e per chiunque,

essendo insita nell'uomo, la parte bambina

fatta di giochi e divertimento.

Ho potuto notare come il gioco e la curiosi-

tà, sono strumenti utili per rendere interes-

sante agli occhi dei bambini il contesto in

cui vivono, stimolandoli a scoprire un altro

modo, per imparare a studiare un argomen-

to, una materia, durante il loro percorso

scolastico e soprattutto di vita.

Perché allora non brevettare la stessa espe-

rienza sottoforma didattica/educativa in

classe?

Uno dei tanti GIOCHI-STUDIO da cui traggo

frutti, l'ultima mia "creatura creativa" - la

nostra esperienza in classe IV A e IV B del

TG Storia - con la quale ho constatato come

e quanto i ragazzi, anche i meno pro-

pensi allo studio, si sono attivati come

RICERCATORI di materiale informativo,

centrati/concentrati sul ruolo di GIOR-

NALISTI/CRONISTI di fatti ed eventi

della lettura storica.

Sono partita dal prospettare la parte ludica

di una proposta accattivante della Storia,

usando a paragone il personaggio di India-

na Jones.

L'idea ha preso corpo dall'esperienza del TG

Scuola dello scorso anno, visto i risultati ri-

scontrati in italiano, ricordate?

Con i miei ragazzi abbiamo cominciato a

vedere un vero TG, a sviscerare le tecniche

che utilizzano i grandi per realizzare un no-

tiziario, da quante e quali persone ruotano

intorno alla produzione di un TG. Abbiamo

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preso spunto per adattarlo agli argomenti

storici del programma di classe, alle nostre

esigenze e all'obiettivo primario da rag-

giungere: IMPARARE A STUDIARE DI-

VERTENDOCI!

Ognuno, nella libertà più assoluta, si è dato

un ruolo: regista, cameraman, videomaker,

realizzatore della sigla, segretaria di produ-

zione, chi ha scritto il ciak e colorato i nomi

dei giornalisti sui porta nomi da scrivania,

chi ha fatto ricerche su internet, su quoti-

diani e libri. Insomma tutti si sono imper-

sonati nel ruolo di esperti ricercatori, in cer-

ca della pietra verde, ovvero LA NOTIZIA

CHE FA MAGGIORE AUDIENCE.

Questo ha portato anche i più timidi e timo-

rosi a lanciarsi, a brevettarsi verso un modo

nuovo di approcciare la materia di studio

senza paura di essere giudicati, bensì ascol-

tati da un pubblico assolutamente non giu-

dicante, un pubblico amico, uditore at-

tento di notizie, presente nel condivi-

dere curiosità e novità scovate dai

compagni e raccontate nel TG Storia.

Ognuno si è sentito libero di ascoltare la

propria voce narrante, invece di ripetere a

"pappardella" le parole del libro, rimodulan-

done i contenuti, facendo un copia e incolla

delle parti ricavate dalla loro ricerca e ri-

proponendole e riadattandole al proprio sti-

le giornalistico/caratteriale. Chi in modo

scherzoso, chi serioso, chi con intonazione

alla Montalbano, chi passo e chiudo, chi si

sente Lilli Gruber, chi Alighiero Noschese,

chi in modo spontaneo, come un vero e

proprio giornalista, ha lanciato il servizio

come se finora non avesse fatto altro -

"Buongiorno a tutti i telespettatori dal TG

Storia, notizia del giorno ..."- altri più

preoccupati e meno espansivi; comunque

tutti, proprio tutti hanno provato a pro-

porsi, nel loro "modo di essere", nel lo-

ro stile più congeniale.

Questa la parte più bella e divertente: la

realizzazione delle "notizie frangiflutti" con-

tro l'apatica modalità di essere interrogati

da docenti in cattedra, da un ripetere ritmi-

co parole e contenuti, senza enfasi ed inte-

resse.

Hanno imparato l'importanza delle fonti sto-

riche, di come utilizzarle e sfruttarle nel mi-

gliore dei modi per poterne trarre spunto,

per realizzare la loro notizia da offrire agli

altri, in modo efficace e trasmettitrice di

saperi.

La genialità, la creatività, l'originalità la fa

da protagonista e protagonisti principali ...

LORO, I GIORNALISTI IN ERBA, veri giorna-

listi di un notiziario a portata di bambino,

autonomi e consapevoli di saper fare e

di saper trasmettere saperi assimilati.

Un TG Storia in alternativa alla solita tradi-

zionale lezione frontale (io spiego e voi

ascoltate, io interrogo e tu rispondi), una

presa di coscienza sull'importanza del con-

cetto di collaborazione attiva, perché insie-

me, uniti si può raggiungere un risultato

migliore.

Un lavoro didattico/educativo in/di équipe,

dove ognuno con le proprie competenze ed

abilità, messe a disposizione della classe,

ha imparato ... GIOCANDO! Provare per

credere!!!

Barbara Riccardi,

docente CD 143° Spinaceto – Roma

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Il mio mondo matematico I nuovi traguardi e le nuove sfide di Agolino Simona Loretta - Attività Laboratoriali

Non è vero che la matematica è rimasta

sempre la stessa da migliaia di anni, da

quando i Sumeri diedero il "VIA". Certa-

mente i contenuti sono ricorrenti ma la no-

stra Signora Matematica cambia d'abito, si

rinnova, introduce nel suo look nuove mo-

dalità e contenuti e, devo dire, sta sempre

al passo con i tempi moderni, proprio per

parlare alle future generazioni.

Di conseguenza il suo insegnamento non

deve rimanere ancorato ai vecchi schemi,

deve assolutamente inseguire nuove e di-

verse modalità per trasmettere il suo sape-

re, cercare di guardare avanti e di stupire i

nostri alunni con esempi più affascinanti e

con strumenti tecnologici, cercando di non

presentarla come una Signora arida e di-

staccata dalla realtà, tutt'altro!

La Signora Matematica ha bisogno di un ra-

dicale ripensamento da parte di tutti, a par-

tire da quei genitori che mi guardano "stra-

no" e si sentono "inadeguati" quando se-

guono i figli nei compiti che ho dato per ca-

sa; o da quei docenti che non si lasciano

andare all'utilizzo delle nuove tecnologie.

Si cerca sempre di usare meno ripetitività e

più consapevolezza nel discente, che non

deve essere giudicato ma guidato verso i

meandri della temuta Signora: si cerca di

dare spazio alla padronanza delle abilità e

delle conoscenze strategiche sempre perso-

nalizzate e significative.

La Signora Matematica tende giusta-

mente a modalità più vicine alle esi-

genze dell'apprendimento reale ed ef-

fettivo degli alunni, cercando di svilup-

pare curiosità e suggerimenti.

Cerca di mettere in movimento la mente

dell'alunno che affronta situazioni proble-

matiche, spinto da un vero entusiasmo, sa-

pendo di potersi confrontare con l'insegnan-

te, suo vicino ed alleato, che parla con la

Signora Matematica, nel viaggio avventuro-

so e mai noioso che deve caratterizzare il

percorso didattico di ogni bambino.

La MIA Signora Matematica deve di fondo

seguire sempre dei principi necessari e fon-

damentali, e che ricorrono ogni volta. Tut-

tavia è presente una totale libertà di porsi

obiettivi nuovi, più o meno profondi o più o

meno lungimiranti, ma sono sempre libe-

ra di scegliere come affrontarli o pro-

porli, sia al singolo alunno che al grup-

po classe.

Come insegnante di matematica, sin dalla

prima elementare ho costruito ogni oggetto

che la riguardasse, a partire dalle palline

rosse per indicare le decine e quelle bianche

per le unità, l'abaco dove metterle; ho cer-

cato di avvicinare gli alunni alla matematica

con la praticità, facendola vivere come una

esperienza sia mentale che manuale.

Ho continuamente spiegato ai miei alunni

che la Matematica è presente SEMPRE

nella vita di tutti i giorni, a partire dal ri-

sveglio fino al termine della giornata, e ho

Attività laboratoriali

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Pag.29

capito che i bambini, rassicurati da questo,

si sono sentiti anche più liberi di affrontare

le sfide con essa.

Adesso che siamo in quinta, mi stupisco

delle loro risposte e di quello che conoscono

e sono "orgogliosa" nel vedere i miei alunni

che hanno padronanza e rispetto verso la

Signora Matematica: non hanno più paura

di "Lei" ma cercano continue soluzioni, ci

giocano come si fa con le persone che si

stimano e si conoscono e che propongono

sempre nuove sfide.

La MATEMATICA deve poter essere sempre

protagonista, trasformando il linguaggio e i

tempi di una scuola che -prima o dopo, nel

bene e nel male- sa sempre affrontare i

cambiamenti.

Simona Loretta Agolino,

giurista, docente I.C."2Ottobre

870",piazza Borgoncini Duca Roma

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Obladì obladà La didattica dell'inglese con i Beatles di Ansuini Cristina - Attività Laboratoriali

Nell'affannosa ricerca di modi nuovi, e so-

prattutto piacevoli!, di avvicinare i bambini

all'apprendimento giocoso e fattivo dell'in-

glese, mi sono imbattuta nell'ACLE, un'as-

sociazione culturale che opera da anni nella

scuola e organizza attività diverse, sia di

formazione per noi insegnanti, sia per i

bambini, con un ampio ventaglio di propo-

ste, dai "City Camps" al "Theatrino".

L'incontro con l'ACLE mi ha dato la possibili-

tà di venire a conoscenza di laboratori da

relizzare a scuola legati all'apprendimento

dell'inglese, o all'approfondimento di tale

lingua, grazie alle canzoni dei Beatles!

Mi è sembrata un'opportunità preziosa

quella di far avvicinare i bambini alla lingua

e alla cultura inglese attraverso una musica

buona e così significativa per tante genera-

zioni! Ed in più con l'animazione di un inse-

gnante madrelingua!

Ma come si svolge realmente il workshop?

Dura all'incirca un'ora ed è calibrato sul li-

vello linguistico dei partecipanti.

L'animatore parla sempre in inglese e sti-

mola i bambini ad esprimersi nello stesso

modo! Questo, se da un lato può inizial-

mente disorientare i bambini, in realtà li

porta a mettersi in gioco, spinti dalla voglia

di comunicare.

L'energia trasmessa dalle canzoni dei

Beatles e dallo stesso animatore è dav-

vero travolgente e fa cadere quelle barriere

di timidezza... che spesso bloccano noi

adulti quando dobbiamo esprimerci in una

lingua straniera!

Attraverso la ripetizione canora di alcune

parti delle canzoni accompagnata da imma-

gini evocative, i bambini ampliano il loro

vocabolario e le loro competenze, compren-

dono i significati delle parole, li animano e

via via arrivano a meglio comprendere l'uti-

lizzo dell'imperativo e degli opposites, a

formulare le domande, a salutare e così via.

Modulando le attività per le varie fasce di

attività si seguono percorsi differenti che

vanno dal riconoscimento del protagonista

del cartoon di Octopus's garden e dal mimo

di Hello Goodbye, a note storiche sui Fab

Four (dead or alive?) e su Liverpool.

La bellezza delle attività fatte insieme sta

nell'energia trasmessa a piene mani dalla

musica e dalla globalità dell'affettività sti-

molata nei bambini.

Attività laboratoriali

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È chiaro che non è possibile esaurire tutta

le ricchezza di possibilità in un'unica volta:

è un po' da vedersi come un input, come

l'avvio di una serie di esperienze belle da

fare insieme, puntando di volta in volta sul-

la drammatizzazione, sull'ascolto, sul dise-

gno e, perché no?, sulla scrittura.

Non mi sono accontentata di osservare i visi

ridenti e urlanti dei bambini ma ho fatto lo-

ro un po' di domande, chiedendo di scrivere

di questa esperienza, mettendo un po' su

carta tutte le emozioni e le sensazioni prima

che volassero via con la musica e ne sono

uscite fuori delle osservazioni e delle note

utili a proseguire il percorso, per conto no-

stro, pur non essendo madrelingua, pur non

sapendo suonare la chitarra e pur non es-

sendo perfettamente intonati.

COSI' STIAMO PROSEGUENDO LA NOSTRA

AVVENTURA, ognuno a modo suo, chi con

cartelloni per "fermare" l'esperienza vissu-

ta, chi cercando video, chi canzoni da ri-

prendere...

Per me, in particolar modo è stato qualcosa

di più; sarà perché sono nata nell'anno in

cui sono venuti a Roma, sarà perché la

loro musica tocca delle corde sempre

sensibili, sarà perché hanno rappresentato

un'epoca e non solo, ma hanno quel posto

speciale che nessuno gli può togliere.

I don't know why you say goodbye, I say

HELLO!

Cristina Ansuini,

Psicologa, Docente presso la scuola "2 ot-

tobre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca,

Roma

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La valutazione a scuola: percorso di adempi-menti o opportunità di crescita? (2a parte) Verso la definizione della Qualità dei percorsi educativo-didattici di Presutti Serenella - Orizzonte scuola

Nel precedente numero della nostra rivista

ho cercato di esprimere un punto di vista

sui processi di valutazione che si focalizzas-

se sul "Sistema Scuola" piuttosto che su di

un elemento in particolare, che sia questo

considerare gli stessi Alunni, destinatari dei

percorsi di apprendimento, che siano gli in-

segnanti, dirigenti, Ata o le Famiglie, gli

Adulti corresponsabili, diretti ed indiretti,

dei detti percorsi.

IL PUNTO DI VISTA SISTEMICO DELL'AP-

PRENDIMENTO non è semplicemente una

scelta di un osservatorio diverso da un altro

per poter operare analisi, monitoraggio e

valutazione, ma piuttosto ne rappresenta il

contenitore dell'intero processo, delinean-

done i confini come gli obiettivi ed gli orien-

tamenti complessivi.

La visione sistemica dei processi umani

è un'acquisizione non ancora compiuta per

quanto riguarda la nostra Istruzione nazio-

nale, sia per le sue origini anglossassoni,

sia per le difficoltà oggettive che rileviamo

per l'espressione di autonomia delle scuole,

conditio sine qua non, più adeguata per as-

sumere la connotazione di SISTEMA in sen-

so moderno.

Nonostante queste doverose considerazioni,

ritengo che grazie al DPR 275/99, il noto

Regolamento che istituisce l'Autonomia sco-

lastica, si è aperta una serie di impor-

tanti e improcrastinabili opportunità

soprattutto per quanto riguarda la co-

stituzioni di "Reti" di scuole.

All'art. 7/comma 2, troviamo che l'adesione

ad un accordo o protocollo di rete "può

avere per oggetto attività didattiche, di ri-

cerca, sperimentazione e sviluppo, di for-

mazione e aggiornamento; di amministra-

zione e contabilità, ferma restando l'auto-

nomia dei singoli bilanci; di acquisto di beni

e servizi, di organizzazione e di altre attività

coerenti con le finalità istituzionali; se l'ac-

cordo prevede attività didattiche o di ricer-

ca, sperimentazione e sviluppo, di forma-

zione e aggiornamento, è approvato, oltre

che dal consiglio di circolo o di istituto, an-

che dal collegio dei docenti delle singole

scuole interessate per la parte di propria

competenza."

Il punto di vista sistemico quindi, sulla defi-

nizione dei percorsi di diversa competenza,

ma che indicano comunque lo stesso orien-

tamento e obiettivo: il miglioramento

delle azioni didattico-educative e il

raggiungimento del successo formativo

degli Alunni

Al nascere dell'Autonomia scolastica, tra la

fine degli anni '90 e l'affacciarsi del nuovo

millennio, destò molto interesse, coagulan-

do attenzioni e energie di molti, il "Progetto

Qualità", ispirato ai modelli della qualità to-

simmetrie in rete

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tale; si introdussero concetti aziendalistici

come Domanda/Offerta/Cliente e la Custo-

mer Satisfation. Si cominciò anche a parlare

di Scuola come SERVIZIO EDUCATIVO e di

ISTRUZIONE.

Il primo decennio 2000 ha assistito al pas-

saggio degli aspetti "a la page", "trendy"

anche per ambiti insospettabili fino a dieci

anni prima, come la SCUOLA...

...questa però è la parte di demerito...

Ma i cambiamenti penetrati nel tessuto or-

ganizzativo hanno avuto una rielaborazione

positiva, intelligentemente creativa, nell'e-

volvere il concetto di qualità e valutazione,

contestualizzando le esperienze un pò

aziendalistiche e traducendole adeguata-

mente ai processi di insegnamento/ ap-

prendimento.

Le esperienze delle SCUOLE in RETE

hanno rappresentato il volano di que-

sto cambiamento.

L'istituto scolastico che dirigo fa parte di

una rete di scuole, 25 istituti di ogni ordine

e grado, di cui 13 hanno intrapreso un per-

corso per la realizzazione del "Progetto

Qualità", cioè la costruzione di un

...Sistema di Gestione per la Qualità (SGQ)

inteso come l'insieme degli elementi (pro-

cessi e risorse) che sono posti in atto per

predisporre e realizzare quanto pianificato.

La Rete ScuoleInsieme e tutte le 13

scuole aderenti al Progetto Qualità hanno

ottenuto la certificazione ISO

9001:2008 in data 29.11.11.

Si potrebbero porre alcuni interrogativi a

questo riguardo.

Che significato ha ottenere questo risultato?

Qual è il valore aggiunto che supera quello"

formale"? Perchè la valutazione di sistema,

che opera attraverso individuazione e vali-

dazione di indicatori condivisi può dare di

più anche alle singole scuole?

Bene, come si evince dai documenti di rete,

redatti dal Responsabile SGQ e approvati

nelle Assemblee di rete, possiamo afferma-

re che: Il significato più forte si ritrova nella

tipologia delle azioni approntate per rag-

giungere tale scopo: .... le 13 Istituzioni

Scolastiche del territorio che comprendono

scuole di primo e secondo ciclo, hanno pro-

gettato ed attuato in Rete un sistema inte-

grato di gestione dei propri processi primari

e di supporto al fine di garantire efficacia ed

efficienza nell'erogazione del servizio di

istruzione e formazione al quale sono chia-

mate.

IL VALORE AGGIUNTO è da ritrovare nel

fatto che:

In questo contesto il termine qualità si rife-

risce alla capacità di soddisfare i bisogni

degli utenti, intesi come fattore critico per il

successo formativo degli alunni di ogni età.

La scelta di rete comporta e ha comportato

da parte di ogni singola scuola l'aver adot-

tato un punto di vista altro dalla propria in-

dividualità istituzionale, munendosi di chiavi

di lettura che privilegiano l'osservazione del

territorio come unità di appartenenza e

(quindi) di paragone.

La valutazione si svolge pertanto a questo

punto del Sistema e ... attraverso l'attua-

zione del SGQ la Rete Interscolastica Scuo-

leInsieme e le Istituzioni Scolastiche ade-

renti al Progetto Qualità acquisiscono, infat-

ti, gli elementi per gestire e controllare i

propri processi interni, permettendo di indi-

viduare in modo chiaro ed efficace eventuali

problematiche e di ottenerne il superamen-

to

Per ultimo, ma solo nell'esposizione, l'a-

spetto importante della Sperimentazione e

la Ricerca

E' indubbio che RI-CERCARE, RI-

MODELLARE e RI-VALUTERE proprie moda-

lità in atto, come anche gli strumenti didat-

tici in uso, può rappresentare una formida-

bile opportunità di crescita e di sviluppo, sia

a livello di singolo come di comunità profes-

sionale e scommettere in risultati migliori.

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Abbiamo accettato questa sfida con

armi insolite e originali, con uno

sguardo al futuro, ma anche, con molta

Umiltà, consapevoli dell’importanza

delle proprie radici.

Non è di questo che la Scuola italiana ha bi-

sogno?

AI POSTERI L'ARDUA SENTENZA.

Serenella Presutti,

Dirigente scolastico, psicopedagogista e

counsellor,143° Circolo didattico Spinaceto

Roma

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Il fantastico mondo della didattica della lingua italiana Una didattica che inizia là dove sembra avere fine di Traversetti Marianna - Orizzonte scuola

La didattica della lingua italiana conosce

molteplici aspetti culturali e procedurali che

si snodano in modo complesso, ma armoni-

co, all'interno di una progettazione ampia e

transdisciplinare, frutto dell'intreccio dei pa-

radigmi semantici, espressivi e linguistici di

cui essa stessa è portatrice.

Forse è per questo che "insegnare italiano"

diviene una preziosa ed insostituibile oppor-

tunità professionale ed educativa sotto due

diversi punti di vista. Quello del docente il

quale, se è padrone della materia, riesce a

trasmettere all'alunno una modalità di ra-

gionamento concreto e plurimo che

"segna per la vita"; e quella dell'allievo

che, se coglie (attraverso l'accompagna-

mento dell'insegnante che, con motivazione

ed amore per la disciplina, mostra e fa sco-

prire le fattezze meravigliose di tutto ciò

che la materia di studio sottende e racchiu-

de) la possibilità di utilizzare a proprio pia-

cere le potenzialità della lingua, si appropria

di un atteggiamento mentale e di un

modus operandi, tale da consentirgli di

"varcare" ogni soglia del sapere, qual-

siasi esso sia, con fare indagatore e affasci-

nato.

Si tratta, senza dubbio, di un giudizio di va-

lore che proviene da una esperienza perso-

nale e professionale originata da una spinta

motivazionale interiore che, se usata in

classe in modo dinamico e sicuro, allora ha

la stragrande capacità di farsi anello por-

tante di un sapere vitale e consistente che

diviene, nel contempo, forza individuale e

veicolo di informazioni, di conoscenze, di

abilità che arricchisce la persona nell'ambito

di un contesto di identità, appunto, perso-

nale ma anche culturale. E quale didattica

per l'italiano?

Una didattica assolutamente flessibile, che

non ha la fretta di finire là dove un

aspetto del programma disciplinare

pone un punto, ma che sfrutta tutte le oc-

casioni possibili, siano esse personali

dell'allievo, esperenziali, culturali o "alter-

native".

Una didattica che non sta ferma all'interno

di una soffocante "logica" (che poi tanto lo-

gica non è) di una banale ed induttiva tra-

smissione di singoli saperi distaccati da

contesti comunicativi, relazionali, esperen-

ziali e concettuali, ma che, al contrario ed

in maniera dirompente, coniuga consape-

volmente una strategia metodologica che

è vibrante ma rigorosa, seria ma ludica,

chiara ma complessa con una disposizione

all'apprendimento da parte degli allievi

che è, gioco forza, una conseguenza natu-

rale di un impulso ad imparare, che ha le

sue radici nel tarlo della curiosità che lo

studio della lingua italiana suscita e rinvigo-

risce.

Marianna Traversetti, docente IC Perazzi -

Orizzonte scuola

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Roma

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Scuola, allarme insegnanti Sono i più vecchi di tutta Europa di La redazione - Dalla redazione

Scuola, allarme insegnanti

Sono i più vecchi di tutte Europa

È quanto emerge dal rapporto "Key Data on Education in Europe" pubblicato a Bruxelles sullo

stato di salute dell'insegnamento europeo. La percentuale di ultracinquantenni è del 57,8%. Ci

si avvicina solo la Germania. (da Il Fatto Quotidiano)

Per visualizzare clicca qui

Sara e le Sbiruline di Emily: io non temo l'epilessia

Un libro spiega come affrontare la malattia

IN ITALIA MEZZO MILIONE di persone soffrono di crisi epilettiche. Chi ne soffre deve fare i

conti con disturbi improvvisi e transitori a causa di un'alterazione dei neuroni. Molteplici le cau-

se: fattori genetici, lesioni al cervello da traumi, tumori, ictus. E numerose le conseguenze, tra

cui anche il disagio e l'emarginazione sociale. Ecco allora la necessità di preparare un bambino

ai sintomi di questa malattia. Ma come spiegare quelle crisi a volte convulsive che arrivano

all'improvviso? Se lo è chiesto un cuore di mamma, che insieme alla domanda ha cercato di

trovane anche la risposta. Da qui nasce il libro di Rachele Giacalone dal titolo Sara e le Sbiruli-

ne di Emily.

(da Quotidiano.net)

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La politica non mortifichi la scienza

F.A.N.T.A.Si.A.

Dalla Federazione delle Associazioni Nazionali a Tutela delle persone con Autismo e Sindrome

di Asperger il documento a difesa delle Linee Guida "Il trattamento dei disturbi dello spettro

autistico nei bambini e negli adolescenti", promossa dall'Istituto Superiore di Sanità uno stru-

mento essenziale per garantire alle persone che ne sono affette pari opportunità di una vita

piena e dignitosa ...

Per visualizzare clicca qui

Per visualizzare le linee guida clicca qui

Bari nasce clinica del sale per i bimbi

Se i bambini non possono andare al mare, il mare andrà da loro

E' il primo caso in Italia e ad usufruirne, per il momento, saranno bambini fra i 4 e i 12 anni.

Nasce a Bari la clinica del sale. Il mare finisce in una stanza nel reparto di Otorinolaringoiatria

del Policlinico Universitario di Bari, diretto dal professor Nicola Quaranta, dove ha preso il via

una sperimentazione sull'utilizzo dell'Aerosal, una camera le cui pareti, soffitto e pavimento,

sono interamente ricoperte da salgemma per garantire un ambiente ipoallergenico e a bassa

carica batterica nel quale il microclima mantiene un'umidita' (40-60%) e una temperatura (18-

24%) stabili. (da Dire Giovani.it)

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Aderisci al FAI con la tua classe!

FAI PER L'ITALIA. FAI ANCHE TU

Sottoscrivendo l'Adesione Scuola (1 insegnante + 1 classe), si diventa Classe Amica FAI: si ha

così l'opportunità di far crescere gli studenti nel rispetto delle radici e delle tradizioni

umane e culturali del loro territorio. (dal sito del FAI).

Per visualizzare clicca qui

La redazione