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INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO LEZIONE IL CONTRATTO IN GENERALE: DEFINIZIONE, CLASSIFICAZIONE E STRUTTURAPROF. GIOVANNI SABBATO

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Istituzioni di Diritto Privato Il contratto in generale: definizione, classificazione e struttura

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 Il contratto: definizione e caratteri -------------------------------------------------------------------- 3

2 La classificazione dei contratti -------------------------------------------------------------------------- 5

3 La struttura del contratto -------------------------------------------------------------------------------- 7

4 Gli elementi accidentali ----------------------------------------------------------------------------------- 8

5 Gli elementi naturali -------------------------------------------------------------------------------------- 9

6 La causa del contratto: evoluzione del concetto --------------------------------------------------- 10

7 La causa in concreto ------------------------------------------------------------------------------------ 13

8 La causa come limite dell’autonomia privata ----------------------------------------------------- 14

9 Le distorsioni della causa : negozio indiretto e fiduciario --------------------------------------- 15

10 L’affidamento contrattuale ---------------------------------------------------------------------------- 16

11 Il principio di irrilevanza dei motivi ----------------------------------------------------------------- 17

12 Il negozio astratto: nozione ---------------------------------------------------------------------------- 20

13 La cambiale ----------------------------------------------------------------------------------------------- 22

14 Le cd. prestazioni isolate ------------------------------------------------------------------------------- 23

15 L’astrazione processuale ------------------------------------------------------------------------------- 25

16 La causa lecita -------------------------------------------------------------------------------------------- 26

17 Norme imperative, ordine pubblico e buon costume --------------------------------------------- 28

18 I contratti misti. ------------------------------------------------------------------------------------------ 30

19 I contratti collegati -------------------------------------------------------------------------------------- 32

20 La forma --------------------------------------------------------------------------------------------------- 33

21 La forma volontaria ------------------------------------------------------------------------------------- 35

22 La forma degli atti risolutori -------------------------------------------------------------------------- 36

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23 Il problema della sottoscrizione ---------------------------------------------------------------------- 37

1 Il contratto: definizione e caratteri Tra le fonti di obbligazione il contratto occupa una posizione di primaria importanza, sia per

la frequenza con la quale esso ricorre nella vita sociale, sia per la ricchezza della sua disciplina

legislativa.

Il codice civile definisce il contratto come l’accordo di due o più parti per costituire,

regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.)1.

Esso costituisce una sottospecie del negozio giuridico; più precisamente è un negozio

giuridico bilaterale o plurilaterale di contenuto patrimoniale.

Facile è ricollegare l’articolo 1321 c.c. al 1173 c.c. - in tema di fonti di obbligazioni, tra le

quali il contratto si inserisce - e all’art. 1174, in tema di patrimonialità della prestazione.

Espressione apparentemente tautologica è quella di accordo, che in realtà ha un significato

più ampio rispetto a quella di contratto, proprio perché quest’ultimo ha necessariamente contenuto

contrattuale.

Esempi di accordi non contrattuali : gli accordi sindacali, gli accordi tra i coniugi in materia

di rapporti matrimoniali e familiari, il matrimonio.

Per quanto attiene il rapporto tra il negozio e il contratto, può quindi ritenersi che il primo

sia un genus, il secondo una species.

I caratteri del contratto, quindi, sono :

la bilateralità o plurilateralità : infatti occorre l’accordo tra due o più parti

che manifestino la loro volontà su un affare che interessa entrambe, per convalidare i diritti e

gli obblighi che ne derivano ;

la patrimonialità : il contratto deve avere per oggetto cose o prestazioni

suscettibili di valutazione economica. Se due parti si scambiano impegni su materie non

economiche, non danno vita ad un contratto ( il matrimonio, negozio giuridico bilaterale,

non è un contratto, poiché manca l’elemento della patrimonialità) ;

1 La dottrina (M.GIORGIANNI, La crisi del contratto nella società contemporanea, in RDA, 1972, I, p. 385 ss)

evidenzia come, a fronte del declino del contratto in ambito civilistico, dovuto in primis all’erosione del mito della

liberta contrattuale, si assiste da alcuni anni ad un rinnovato pancontrattualismo, profilandosi nuove aree applicative

dello strumento contrattuale, ad esempio in seno all’attività della pubblica amministrazione.

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la finalità di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico

patrimoniale2.

Nella maggior parte dei casi i contratti sono rivolti a costituire un rapporto che prima non

esisteva, come la vendita, la locazione, la donazione, il mutuo, il mandato; questi contratti si dicono

appunto costitutivi.

Altre volte sono rivolti a modificare un rapporto giuridico già esistente ( es. la cessione di

credito ) o a estinguere un rapporto ( es. la compensazione volontaria ).

2 Alcuni (A.FALZEA, Accertamento, p. 209 ss) suggeriscono di aggiungere, accanto alla classica tripartizione degli

effetti in costitutivi, modificativi ed estintivi, le nozioni di effetti cd. preclusivi e dispositivi-novativi. I primi sarebbero

prodotti dal negozio di accertamento.

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2 La classificazione dei contratti Oltre alla distinzione dei contratti in costitutivi, modificativi ed estintivi, abbiamo altre

classificazioni, basate sui criteri generali del negozio giuridico:

- contratti bilaterali, costituiti dalla manifestazione di volontà di due parti, e contratti

plurilaterali, costituiti dalla manifestazione di volontà di più parti (es. la delegazione).

Nella nozione di contratto non possono esservi contratti unilaterali, nei quali cioè vi sia una

sola parte ( questa espressione ricorre talvolta per indicare i contratti a obbligazioni unilaterali ).

Circa il concetto di parte, esso non si identifica con quello di persona in quanto esprime un

centro di interessi, che può essere formato da una sola persona come da più persone.

- contratti a titolo gratuito, mediante i quali un soggetto tende a procurare un

vantaggio a un altro soggetto senza un corrispettivo ( es. la donazione ), e contratti a titolo oneroso,

nei quali vi è un corrispettivo ( es. la vendita ).

- contratti solenni o formali ( es. la vendita di un immobile ) e contratti non solenni, a

seconda che per la esistenza del contratto sia richiesta, oppure no, una forma determinata.

Vi sono poi delle classificazioni che sono specifiche del contratto, in quanto prendono in

considerazione caratteristiche proprie di tali forme negoziali.

Secondo le modalità con le quali si perfezionano :

- i contratti possono essere puramente consensuali o reali.

I contratti puramente consensuali si perfezionano con il semplice consenso, cioè con

l’accordo delle parti ( es. la compravendita e la locazione )3.

I contratti reali sono quelli per il cui perfezionamento è necessario, oltre il consenso, la

tradizione o consegna della cosa ( cioè della res ). Sono esempi di contratti reali : il mutuo, il

comodato, il deposito, l’atto costitutivo di pegno.

Secondo gli effetti che il contratto produce, si distinguono :

- contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori.

I contratti ad effetti reali sono quelli che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o

di altro diritto, oppure la costituzione o il trasferimento di un diritto reale su cosa altrui.

Tali sono ad esempio, la permuta, il mutuo e, di regola, la compravendita.

3 La distinzione tra contratti consensuali e reali attiene alla perfezione, quella tra contratti ad effetti reali e obbligatori

all’efficacia.

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I contratti ad effetti obbligatori, invece, non trasferiscono diritti, ma fanno sorgere delle

obbligazioni, ossia rapporti di debito e credito. Tali sono ad esempio la locazione e il comodato.

Si distinguono inoltre :

- contratti con prestazioni corrispettive o sinallagmatici e contratti a obbligazioni

unilaterali; nei primi entrambe le parti assumono obbligazioni reciprocamente ( come nella vendita

e nella donazione ), nei secondi una sola parte assume obbligazioni verso l’altra, ad esempio nel

mutuo, nel quale il mutuatario è obbligato a restituire la somma al mutuante e a pagargli gli

interessi, mentre nessun obbligo incombe al mutuante.

I contratti con prestazioni corrispettive si distinguono a loro volta in :

- contratti commutativi e aleatori.

Sono commutativi i contratti nei quali, fin dal momento della conclusione, le parti possono

valutare i vantaggi e i sacrifici che ne deriveranno.

Sono aleatori i contratti nei quali tale valutazione non è possibile, in quanto i vantaggi o i

sacrifici per entrambe le parti dipendono dalla sorte. Così accade nel gioco e nella scommessa,

nell’assicurazione, nella rendita vitalizia.

Si dicono, poi, a esecuzione istantanea i contratti la cui esecuzione si esaurisce in un solo

momento (uno actu), come ad esempio la compravendita.

Si dicono, infine, contratti di durata quelli la cui esecuzione ha carattere continuativo ( cioè

si prolunga per un certo tempo ) o periodico; sono tali i contratti di locazione, di società, di

somministrazione.

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3 La struttura del contratto Poiché il contratto è un negozio giuridico, anche rispetto a esso si distinguono elementi

essenziali, accidentali e naturali.

Elementi essenziali, ai sensi dell’art. 1325 c.c., sono :

a) l’accordo o il consenso delle parti. Si parla di accordo o consenso e non di manifestazione

di volontà ( come nel negozio giuridico ) perché qui occorrono due o più concordi manifestazioni.

La dichiarazione di colui che prende l’iniziativa si chiama proposta, l’altra, o le altre, prendono il

nome di accettazione ;

b) la causa, cioè la ragione economico sociale del contratto. Essa è unica per ogni tipo di

contratto e perciò è detta tipica .

Ad esempio la causa del contratto di compravendita è lo scambio della proprietà della cosa

con la proprietà di una somma di danaro, mentre la causa del contratto di deposito è la custodia

della cosa.

La causa, come vedremo, deve essere tenuta distinta dai motivi individuali, cioè dai moventi

o scopi particolari che inducono le parti al compimento di un dato tipo di contratto.

Il motivo è irrilevante giuridicamente, tuttavia diventa rilevante nei contratti quando è

illecito e comune a entrambe ( o a tutte ) le parti, rendendo il contratto nullo.

c) l’oggetto, che nel contratto coincide con l’oggetto dell’obbligazione, cioè consiste nella

prestazione a cui sono tenute le parti; deve quindi essere di contenuto patrimoniale, oltre che essere,

come in qualsiasi negozio giuridico, possibile, lecito, determinato o determinabile.

d) la forma, cioè il mezzo attraverso il quale si manifesta la volontà contrattuale.

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4 Gli elementi accidentali Gli elementi accidentali sono tutte quelle clausole che le parti sono libere di apporre o meno

al contratto al fine di precisarne le modalità o modificarne gli effetti.

Fra gli elementi accidentali vi sono la condizione, il termine e il modo, oggetto di disamina

nell’ambito del negozio giuridico.

Altri elementi accidentali specifici del contratto sono la clausola penale, la caparra, la

clausola salvo buon fine, la clausola oro, la clausola numeri – indici, tutti esaminati a proposito

delle obbligazioni.

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5 Gli elementi naturali Gli elementi naturali sono quelli del negozio giuridico in generale.

Più che elementi naturali del contratto sono effetti giuridici denominati naturali perché

inerenti alla natura di quel dato tipo di contratto posto in essere dalle parti, e pertanto si producono

per norma di legge, anche senza che queste ne facciano espressa dichiarazione.

Ad esempio, un elemento, o meglio un effetto naturale, della vendita è che il venditore è

tenuto a garantire al compratore che la cosa venduta non risulti di proprietà di altra persona (

garanzia per l’evizione - art. 1476 c.c. ) : a questa garanzia il venditore è obbligato per legge e non

occorre che il contratto contenga alcuna clausola al riguardo.

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6 La causa del contratto: evoluzione del concetto Tra gli elementi essenziali viene in considerazione innanzitutto la causa del contratto.

La nozione di causa presenta profili particolarmente problematici, anche in considerazione

della evoluzione concettuale della quale essa risulta protagonista.

Ogni sistema giuridico, infatti, si trova di fronte al problema di dover decidere se accordare

riconoscimento ad ogni ipotesi di accordo o invece subordinare tale riconoscimento ad un ulteriore

requisito, che consenta di affermare che quel particolare accordo è meritevole di tutela ad opera

dell’ordinamento giuridico.

A distinguere un accordo giuridicamente rilevante da uno di mera cortesia può essere

l’intento delle parti di vincolarsi giuridicamente, il che può essere desumibile ad esempio

dall’interesse patrimoniale che le anima.

Ma la causa attiene ad un aspetto diverso : si tratta di vedere se accordi, anche se di carattere

patrimoniale, abbiano bisogno di essere ulteriormente caratterizzati, in funzione del loro scopo o

contenuto, per meritare tutela da parte dell’ordinamento.

A tale problema i vari ordinamenti possono rispondere in modo diverso.

Il diritto italiano, sul modello di quello francese, risponde menzionando, tra i requisiti del

contratto quello della “causa” ( art. 1325 c.c. ).

Il codice naturalmente non dice che cosa debba intendersi per “causa”.

La mancanza di causa determina, comunque, la nullità del contratto - ai sensi dell’articolo

1418 c.c. - e della causa lo stesso codice parla agli articoli 1343 e 1345 per definirla “illecita”

quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

All’articolo 1344 vi è la definizione di contratto in frode alla legge, che è un contratto con

causa illecita.

L’articolo 1345 stabilisce, altresì, le condizioni in presenza delle quali anche un motivo

illecito può rendere nullo il contratto.

L’attuale codice riferisce il requisito della “causa” al contratto complessivamente inteso

come accordo diretto a costituire, regolare od estinguere un rapporto giuridico patrimoniale.

Non era questa la visuale del codice civile abrogato del 1865, che invece riferiva la causa

all’obbligazione. Infatti tra i requisiti essenziali per la validità del contratto il codice del 1865

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menzionava “una causa lecita per obbligarsi”. Tale formulazione riproduceva alla lettera quella del

codice civile francese.

In realtà, nel modello del codice abrogato, che seguiva il codice francese, la causa aveva una

connotazione prevalentemente soggettiva, nel senso di indicare lo “scopo” in funzione del quale un

soggetto si obbligava4.

E così nei contratti cd. sinallagmatici ( o a prestazioni corrispettive ) la causa

dell’obbligazione dell’una parte era nell’obbligazione dell’altra parte.

Nei contratti cd. unilaterali ( mutuo, comodato, deposito ) la causa dell’obbligo di restituire

ciò che si era ricevuto risiedeva nella preventiva consegna da parte dell’altro soggetto.

Nei contratti a titolo gratuito tale scopo risiedeva nella volontà di sottoporsi ad un sacrificio

senza ricevere contropartita ( c.d. animus donandi ).

La concezione soggettiva della causa era in funzione della tutela dell’interesse individuale

del singolo contraente, quando si accingeva ad assumere un obbligo.

Con il codice attualmente vigente la visuale è cambiata.

Esso supera le singole obbligazioni che fanno parte del contratto per riferirsi all’intero

contratto.

La causa dunque designa oggettivamente la funzione che contrassegna quel singolo contratto

nel contesto più generale delle operazioni contrattuali.

E così causa della compravendita è lo scambio di cosa contro prezzo, così come del

contratto di appalto è l’esecuzione di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo; causa del

contratto di società è l’esercizio in comune di un attività economica per dividerne gli utili; causa del

contratto di mandato è assicurarsi la collaborazione di altri in ordine all’attività giuridica e cioè sia a

titolo oneroso che gratuito.

Detta “funzione” è uguale per tutti i contratti appartenenti al tipo che le parti hanno scelto e

quali che siano i diversi motivi ( soggettivi ) che hanno spinto il singolo contraente a contrarre.

I motivi possono variare, ma ciò non impedisce che la causa di quel singolo contratto resti

sempre la stessa.

Quindi accentuare della “causa” l’aspetto oggettivo significa contrapporlo ai motivi, che

sono invece gli scopi, soggettivi e individuali, che hanno indotto il soggetto a contrarre.

4 Per eventuali approfondimenti : A.DI MAJO, Causa del negozio giuridico, in Enc. Giur. Treccani, VI, Roma, 1988.

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Dato che la causa caratterizza oggettivamente l’intero contratto, e non le singole

obbligazioni che da esso scaturiscono, non è consentito alle parti “separare” le singole obbligazioni

( ad esempio quelle del venditore e del compratore ), così, ad esempio, da fare in modo che una

eventuale causa di nullità che avesse a colpire l’una di esse non avesse a travolgere anche l’altra.

Cioè, non è consentito al venditore, adducendo l’autonomia della promessa del compratore,

agire contro di esso ove la promessa di esso venditore fosse per qualche ragione inesistente o nulla.

La scelta di una concezione “oggettiva” della causa e la sua netta distinzione dai motivi non

significa che la causa si debba contrapporre alla volontà delle parti, rappresentando un elemento in

alternativa a quest’ultima. In realtà la causa deve essere oggetto della volontà delle parti, ossia

“voluta” e condivisa da entrambe.

Quindi la causa è pur sempre un aspetto della volontà delle parti contraenti, nel senso di

designare la funzione verso la quale la volontà si dirige.

La causa rappresenta la risposta che dà l’ordinamento al problema riguardante il presupposto

di ordine sostanziale e non formale, in presenza del quale l’accordo delle parti può meritare

riconoscimento ad opera dell’ordinamento5.

5 La stessa importanza cui attende la nozione di “ causa “ nel nostro ordinamento, in altri sistemi giuridici, ad esempio

in quello anglosassone provvedono altri elementi, come quello definito della “consideration”. Questa rappresenta

quell’elemento che rende giuridicamente vincolante la singola promessa. La consideration così viene definita in quanto

trattasi di un profitto o di un beneficio che riceve colui che promette, o rispettivamente, una perdita o un sacrificio cui

va incontro il soggetto cui la promessa è rivolta. L’ottica del diritto anglosassone non è quella del contratto, ma della

singola promessa in esso contenuta.

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7 La causa in concreto La causa, quindi, non è altro che la ragione dell’affare ovverosia la funzione economica che

le parti intendono realizzare attraverso lo schema negoziale adoperato.

Ma il concetto ha ricevuto una progressiva soggettivizzazione, nel senso che da alcuni è

intesa non come funzione economico sociale, così ricollegando la causa al tipo ( cd. causa tipica ),

ma come funzione economico individuale ( cd. causa in concreto).

Oggi la dottrina e la giurisprudenza6 sono fortemente divise tra i sostenitori dell’una e

dell’altra tesi, con conseguenze notevoli per quanto attiene all’ampiezza del giudizio di liceità e alla

differenza tra causa e motivo.

Per quanto riguarda il primo aspetto, i sostenitori della causa in concreto ritengono che il

giudizio di liceità debba essere espresso sia con riguardo ai contratti atipici che a quelli tipici,

rendendo però particolarmente problematica la differenza con il motivo, quale ragione ulteriore che

le parti intendono conseguire attraverso il contratto e che non colora il profilo causale dello stesso,

così rimanendo su di un piano di rilevanza giuridica.

Il motivo illecito o impossibile non rende nullo il contratto, ma rimane aperto il problema

della sua identificazione rispetto alla causa7.

Ma tornando alla distinzione tra causa tipica e causa in concreto, a quale tesi il legislatore ha

ritenuto di aderire in sede di redazione del codice?

Forse alla tesi della causa tipica, in quanto nel codice è inserita una norma che sembra

preludere alla esigenza di concepire la eventuale illiceità anche dei contratti tipici : l’art. 1344

(frode alla legge), ove si prevede la illiceità del contratto ( rectius della causa ) quando questa

costituisca il mezzo per eludere una norma imperativa8.

Si discorre al riguardo di illiceità indiretta e si discute se essa abbia natura oggettiva o se sia

necessario l’elemento soggettivo dell’intento fraudolento affinché tale fattispecie possa riverberarsi

sulla validità del contratto concluso.

6 Opta per la tesi soggettiva della causa : C.Cassazione, 25 maggio 1973, n. 1552; per quella oggettiva (tesi prevalente) :

C.Cassazione, 29 gennaio 1983, n. 826. 7 Vedremo che il criterio utilizzato è quello della esteriorizzazione : il motivo rimane implicito, non trasfuso nel testo

contrattuale, quindi irrilevante. 8 Secondo questa ricostruzione, quindi, la liceità diretta si confà ai contratti atipici, come la illiceità indiretta ai contratti

tipici.

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8 La causa come limite dell’autonomia privata Abbiamo detto che la causa non va confusa con il tipo.

Con la configurazione di tipi legali di contratto ( ad esempio compravendita, locazione,

mandato ) il legislatore intende apprestare nell’interesse delle parti, schemi di disciplina, composta

prevalentemente di norme dispositive.

Nel caso, ad esempio, del contratto di compravendita, il legislatore stabilisce quelle che sono

le obbligazioni di garanzia cui è tenuto il venditore e i relativi effetti.

Le parti, quando concludono una compravendita, sanno di dover sottostare a tali effetti,

salvo che non intendono ad essi derogare.

Con la predisposizione di contratti tipici non si intende porre un limite all’autonomia delle

parti, ma potenziarla perché si mettono a disposizione delle parti schemi di operazioni contrattuali

che esse possono adottare o anche rifiutare, scegliendo invece contratti atipici o anche misti.

Con lo stabilire che ogni contratto abbia una “causa” si intende esigere che le parti, nella

conclusione del contratto, perseguono in concreto un interesse meritevole di tutela.

La causa rappresenta quindi un “limite” al principio dell’efficacia del puro consenso.

Non è sufficiente il mero consenso per creare obbligazioni o disporre di diritti : occorre che

alla base di esso figuri un interesse concreto meritevole di tutela.

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Istituzioni di Diritto Privato Il contratto in generale: definizione, classificazione e struttura

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9 Le distorsioni della causa : negozio indiretto e fiduciario

Può accadere che le parti intendano conseguire un fine ulteriore o diverso, rispetto a quello

cui lo schema contrattuale è destinato.

In tal caso le parti ricorreranno alle figure, genericamente indicate, di negozio indiretto e di

negozio fiduciario, che poi costituiscono il classico ambito applicativo della frode alla legge.

Il negozio indiretto si caratterizza per il fatto che il fine perseguito dalle parti è eccedente

rispetto alla causa, per cui le parti ricorrono a più negozi collegati che nel loro insieme siano idonei

a perseguire l’intento pratico.

Nel negozio fiduciario invece è il fine, questa volta, ad essere più ristretto rispetto alla causa,

che sarà quella propria di un contratto di mandato o di garanzia; le parti ricorrono a un patto

fiduciario, avente natura soltanto obbligatoria e non reale, mediante il quale limitano gli effetti del

contratto di compravendita formalmente concluso, imponendo al fiduciario di trasferire il bene una

volta cessata la esigenza.

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10 L’affidamento contrattuale Tale argomento si riconnette a quello più generale della natura stessa del negozio giuridico e

va inquadrato storicamente : si tratta di stabilire se debba prevalere la volontà interna o quella

esterna dell’autore del negozio, ossia quella reale o quella dichiarata.

La risposta al quesito prelude la configurazione che si voglia dare, in termini soggettivi o

oggettivi, del negozio giuridico, cioè se esso vada inteso come manifestazione di volontà, con

conseguente sistematica prevalenza della volontà interna, o come autoregolamento impegnativo,

con conseguente sistematica prevalenza questa volta della volontà esterna, cioè dichiarata.

All’epoca di vigenza del codice del 1865 la giurisprudenza ha optato per la visione

soggettiva del negozio giuridico, però temperando gli effetti pregiudizievoli per il destinatario della

dichiarazione attraverso la teoria dell’autoresponsabilità : chi emette una dichiarazione ne sopporta

le conseguenze, anche quando, per sua colpa, essa non corrisponda all’intimo volere del dichiarante.

Ben presto ci si è resi conto, infatti, che la questione non andava posta in termini di astratta

tutela della volontà interna o esterna, ma di concreta tutela degli interessi del dichiarante ovvero del

destinatario della dichiarazione.

La soluzione non poteva essere escogitata in maniera univoca, ma occorreva contemperare

gli interessi contrapposti.

Di qui la scelta compromissoria del legislatore che richiede la riconoscibilità dell’errore

affinchè questo possa valere come vizio del volere, nonché il grave pregiudizio e la mala fede

perché l’incapacità naturale possa comportare l’annullabilità dell’atto compiuto in tali condizioni9.

9 La problematica in esame è ben esposta da F.SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del Diritto Civile, Napoli,

1986, p. 145 ss..

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11 Il principio di irrilevanza dei motivi Si è già evidenziato che mentre la causa è un elemento rilevante del contratto, a tal punto

che la sua mancanza o illiceità ne determina la nullità, i motivi, in quanto rappresentazioni

soggettive del contraente, sono destinati ad essere irrilevanti.

Fa eccezione l’ipotesi in cui le parti si sono determinate a concludere il contratto per un

motivo illecito comune ad entrambe. Il motivo illecito è quello contrario alle norme imperative,

all’ordine pubblico o al buon costume.

Il principio di irrilevanza dei motivi va meglio approfondito.

Per esso si intende il principio in base al quale soltanto ciò che ha trovato espressione nel

contenuto del contratto ( e nelle singole clausole di esso ) può ottenere riconoscimento giuridico, sia

in senso positivo che negativo.

Esigenze connesse alla sicurezza degli scambi, alla difesa dell’autonomia della volontà, alla

diffidenza verso il potere dei giudici, hanno indotto ad esasperare la contrapposizione tra causa e

motivi e ad assegnare soltanto alla causa, oggettiva ed astratta, la funzione di circoscrivere l’ambito

degli interessi rilevanti la cui mancata realizzazione può essere fatta valere dal soggetto.

L’insufficienza è nel ritenere che detti interessi si possono risolvere nella causa, oggettiva e

astratta, del contratto.

Ad esempio, accertato che la causa del contratto è lo scambio di cosa contro prezzo, interessi

diversi dalla consegna del bene e dal pagamento del prezzo non potrebbero essere tutelati perché

non si tratterebbe di interessi “rilevanti”.

I motivi hanno, quindi, la funzione di rendere possibile individuare quale sia in concreto la

funzione economico individuale di quel tipo di contratto10

.

Ma rimane assolutamente importante capire in cosa consista la differenza tra la causa e i

motivi, proprio perché la causa è elemento essenziale del negozio, per cui, se risulta mancante o

viziata, ciò avrà conseguenze sulla validità o l’efficacia del negozio stesso; il motivo invece è

giuridicamente irrilevante, per cui se esso rimane inattuato non vi sarà alcuna conseguenza sul

negozio concluso.

10

Ad esempio, il mutuo concesso dalla casa da gioco al giocatore per consentirgli di continuare a giocare. avrà causa

illecita come conseguenza della illiceità del motivo, mentre non sarebbe illecito se tale mutuo venisse concesso da un

terzo allo stesso giocatore anche nella conoscenza che la somma sarebbe servita per giocare.

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Si può dire che il motivo attiene al foro interno dei contraenti, nel senso che rappresenta gli

obbiettivi ulteriori che le parti intendono realizzare con il contratto, ma che non sono stati esplicitati

in alcuna clausola contrattuale.

La possibilità di individuare la differenza tra causa e motivo discende anche dalla nozione

che di causa viene accolta, per cui la distinzione diviene ancora più difficile ove si opti per la tesi

della causa in concreto : se la causa è la funzione economico individuale del contratto ben

potrebbero, in teoria, refluire in essa i motivi personali delle parti.

Si è detto che tuttora appare sfuggente la differenza ontologica tra le due figure, tanto che le

definizioni dottrinali sul motivo e sulla sua rilevanza ai fini della patologia del negozio sono

alquanto variegate.

Alcuni, ad esempio, distinguono tra motivo impulsivo e motivo finale ovvero tra motivo

giuridicamente irrilevante e interesse rilevante, quest’ultimo che, rappresentando un interesse

obbiettivo nella sfera economica del contraente, colora il profilo causale del contratto.

Ecco perché la dottrina preferisce rimanere ancorata ad un criterio empirico che fa leva sulla

caratteristica peculiare del motivo, quella di non essere esplicitata in alcuna clausola contrattuale :

se le parti vogliono rendere rilevanti i motivi devono esplicitarli in quella clausola che è deputata

propria a tale fine, la clausola condizionale.

E’ questo il criterio della esteriorizzazione : è rilevante ai fini della patologia del contratto

tutto ciò che sia stato esteriorizzato in clausole contrattuali, anche considerato che la clausola per

eccellenza utilizzata dal contraente per consentire ai suoi personali motivi di fare ingresso nel

tessuto contrattuale è la condizione, quale classica figura di elemento accidentale del negozio.

Ma è possibile che tutto ciò che non sia stato trasfuso in clausole contrattuali sia destituito di

ogni rilevanza, così impedendo l’esercizio di azioni di annullamento nel caso di loro mancata

attuazione ?

Viene in evidenza l’articolo 1345 c.c. ove è statuito che il motivo illecito rende illecito

l’intero contratto quando sia comune ad entrambe le parti e sia determinante del consenso.

Ma qui si tratta di stabilire se non l’illiceità del motivo, ma la sua mancata attuazione possa

riflettersi sulla validità del contratto concluso.

In taluni casi è già la legge che ricollega al venir meno di una circostanza un determinato

effetto, come nel caso della sopravvenienza dei figli nel testamento o nella donazione.

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Ma quando ciò non sia la giurisprudenza11

ormai è dell’avviso che il venire meno di una

circostanza rilevante nell’assetto di interessi contrattuali, non condizionata dalla volontà di uno dei

contraenti e nota anche alla controparte, possa influire sulla validità o sull’efficacia del contratto

concluso (cd. presupposizione).

Naturalmente quando le parti scelgono di concludere un contratto tipico del quale ricorrono

astrattamente tutti gli elementi ( ad esempio cosa e prezzo nella compravendita ), il difetto di causa

potrà riguardare non l’astratta operazione che le parti hanno scelto, ma la presenza di qualche

elemento che impedisca al contratto di svolgere la funzione propria.

Ad esempio, la compravendita di una cosa già propria o di un contratto di assicurazione in

cui manchi l’elemento del rischio.

Quando invece le parti danno vita ad un contratto atipico, non essendovi alcun parametro al

quale poter commisurare la presenza della causa, occorre verificare se l’interesse perseguito dalle

parti con quel singolo contratto sia o meno meritevole di tutela.

In ordine alla distinzione tra causa e tipo di contratto occorre precisare che accertare se un

contratto abbia una causa meritevole di tutela racchiude un problema di interpretazione

dell’accordo delle parti, mentre verificare quale tipo di contratto in concreto ricorra coinvolge un

problema di qualificazione dell’accordo.

Non si può dire cosa debba avvenire prima o dopo, se l’interpretazione o la qualificazione; a

volte per accertare se sussista una causa, è necessario prima procedere alla qualificazione del

contratto.

11

Vi sono appunto dei casi in cui i motivi delle parti, seppure non esteriorizzate nella condizione riescono ad incidere

sulla validità o efficacia del negozio concluso : si tratta della cosiddetta presupposizione che secondo la giurisprudenza

consiste in circostanze rilevanti nell’assetto degli interessi contrattuali che siano note anche alla controparte. Al

riguardo valgono anche le esperienze della dottrina tedesca che ha enucleato la nozione di base negoziale soggettiva

quale comune rappresentazione delle parti nella fase preliminare al contratto, così distinguendola dalla base negoziale

cosiddetta oggettiva, che è costituita dalle circostanze che le parti presuppongono affinchè il contratto concluso abbia

ragion d’essere.

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12 Il negozio astratto: nozione I negozi o contratti astratti sono quelli in cui la presenza della causa sarebbe irrilevante.

Sicuramente con tale espressione non si può intendere che il negozio sia privo della causa,

che non solo è espressamente previsto come requisito essenziale del contratto ma, rappresentando

esso la funzione dell’atto posto in essere, appare come elemento per sua natura indefettibile.

Evidentemente il concetto di astrazione si ricollega non alla esistenza del negozio, bensì alla

sua patologia : si tratta cioè di stabilire se i vizi della causa possano influire sulla validità e sulla

efficacia del negozio.

C’è allora da chiedersi se il nostro ordinamento abbia accolto il principio causalista, che

vuole ogni attribuzione patrimoniale sorretta da una causa, ovvero quello della astrazione causale

fatto proprio dall’ordinamento tedesco, ove non vige il principio del consenso traslativo, ma si

vuole che il negozio, con il quale le parti si obbligano a trasferire la proprietà di un bene, non sia di

per sé idoneo a produrre tale effetto, in quanto il contratto obbligatorio deve essere doppiato da un

successivo contratto reale che attui la dazione del bene.

Ciò significa che non solo la espressione del consenso non produce alcun effetto traslativo,

ma il contratto reale che produce il medesimo effetto è astratto rispetto a quello obbligatorio che lo

precorre.

Ebbene la natura astratta di tale negozio si evidenzia proprio nelle ipotesi in cui il contratto

obbligatorio venga meno senza che ciò possa inficiare l’effetto traslativo ormai prodotto dal

contratto reale.

Nell’ordinamento italiano quindi vige il principio causalista, per cui ove la causa di un

negozio risulti viziato o assente il negozio non potrà più produrre l’effetto al quale esso è

preordinato, così come è statuito dal combinato disposto degli articoli 1325 - 1418 c.c..

Dobbiamo allora concludere, in base a queste prime annotazioni, che del negozio astratto nel

nostro ordinamento non può parlarsi.

Eppure in dottrina si è messo in evidenza che la causa non ha lo stesso peso in tutti i negozi,

essendo esso maggiore, ad esempio, nei trasferimenti immobiliari, ove, essendo la forma scritta

obbligatoria, la causa deve essere addirittura dichiarata.

Ma soprattutto si è sottolineata la facoltà delle parti di aggirare il principio causalista

attraverso gli strumenti della confessione, della simulazione o del negozio di accertamento.

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In virtù di tali strumenti giuridici, infatti, si può rendere operante un rapporto in realtà privo

di causa.

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13 La cambiale La dottrina deve riconoscere che sicuramente un negozio astratto esiste ed è la cambiale,

titolo di credito costituito da un obbligo di pagare un proprio debito (cambiale propria) o

dall’ordine di pagamento che il cliente dà alla propria banca ( cambiale tratta), titolo che può

circolare attraverso successive girate fino a che non viene negoziato per essere tradotto in carta

moneta.

Possiamo allora distinguere tra diversi soggetti : colui che rilascia il titolo detto emittente;

colui a beneficio del quale il titolo è rilasciato, detto primo prenditore; coloro ai quali il titolo è

successivamente girato, detti giratari.

La causa di tale negozio cambiario è il cosiddetto rapporto fondamentale tra l’emittente e il

primo prenditore.

Ebbene, se siffatto rapporto è viziato, ciò non impedirà ai successivi prenditori di pretendere

il pagamento della somma di denaro in esso dedotto potendo l’emittente far valere le sue ragioni

solo in un momento successivo e nei confronti della controparte nel rapporto fondamentale12

.

In conclusione, alla luce dello schema tipico della cambiale si può affermare che il negozio

astratto si ha quando i vizi della causa possono essere fatti valere soltanto successivamente alla

produzione degli effetti del negozio stesso.

12

Esempio : Tizio si reca presso un negozio di elettrodomestici di Caio e acquista un televisore pagandone il prezzo

mediante una cambiale che viene successivamente girata a favore di Sempronio. Il rapporto fondamentale intercorre tra

Tizio emittente e Caio primo prenditore per cui ove Tizio restituisca il televisore a Caio in quanto non funzionante non

potrà esimersi dal pagare la cambiale a favore di Sempronio, potendo poi rivalersi successivamente nei confronti di

Caio per il danno subito.

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14 Le cd. prestazioni isolate Si è visto che, riguardo alla conclusione di contratti di scambio, siano essi tipici o atipici, è

piuttosto rara l’ipotesi che in essi abbia a mancare la causa.

Una volta accertata l’esistenza di uno scambio è difficile che possa dirsi che manchi una

causa.

Con riguardo poi ai contratti a titolo gratuito, l’ipotesi di mancanza di causa sarà ancora più

difficile.

Esempio : prendendo in esame il contratto di donazione ( art. 769 c.c. ), si può dire che in tal

caso il cosiddetto spirito di liberalità, che dovrebbe contraddistinguere la causa di questo contratto,

si identifica con il motivo soggettivo (liberale) che induce il donante ad arricchire altri senza

corrispettivo; in tali attribuzioni (a titolo gratuito) non è più un elemento oggettivo (come lo

scambio) di facile accertamento, ma un elemento soggettivo, quale l’animus donandi, a costituire la

ragione giustificativa dell’atto.

Quindi non a caso taluno ha sostenuto che nel contratto di donazione la forma (l’atto

pubblico) tiene luogo della causa.

Vi è dunque un largo settore di attribuzioni patrimoniali che sfugge al principio causalista e

cioè al controllo che dovrebbe esercitarsi attraverso la causa.

Frequenti saranno le ipotesi in cui la mancanza di causa si ipotizza in relazione a fattispecie

in cui singole prestazioni non costituiscono elementi di un contratto tipico o atipico, ma si

presentano per così dire “isolate”, cioé collegate ad uno “scopo” ad esse esterno.

Non si tratta di prestazioni astratte, cioè svincolate dalla causa, ma di prestazioni in cui la

causa è collocata “all’esterno” 13

.

In linea generale si dovrà riconoscere che una ricerca dell’interesse concreto del soggetto si

porrà in quelle fattispecie in cui la promessa o la singola attribuzione non costituiscono elementi di

un contratto sinallagmatico ( a prestazioni corrispettive ), dovendosi verificare se quella promessa o

attribuzione abbia una causa o giustificazione.

La tematica interferisce con quella delle “promesse unilaterali” ossia delle promesse che

non costituiscono elementi di un contratto.

13

Ad esempio, quando un soggetto trasferisce un bene a titolo di datio in solutum per adempiere un debito, la causa

del trasferimento, a differenza che nella compravendita, è all’esterno di esso.

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Il collegamento delle promesse unilaterali con la teoria del contratto è assicurata nel nostro

codice dalla figura del contratto con obbligazioni del solo proponente ( art. 1333 c.c. ).

Ove si tratti di promesse unilaterali allo stato puro vi è l’ostacolo costituito dall’articolo

1987 c.c. in ordine a promesse non previste dalla legge.

In tali casi di promesse unilaterali, indici e criteri per giudicare dell’esistenza di un interesse

apprezzabile di colui che promette o subisca un sacrificio possono essere rappresentati dallo stesso

vantaggio che consegue il promittente, come quando la promessa è condizionata ad un evento che

ritorna a vantaggio di esso promittente e la cui verificazione dipende in tutto o in parte dal

promissario.

Si può dire che in tal caso vi sia un tacito scambio anche se affidato al meccanismo della

condizione.

In altre ipotesi, come negli atti di assunzione di una garanzia (ad esempio fideiussione) o di

costituzione di un diritto reale di garanzia ( ad esempio atto di concessione di ipoteca ), è la stessa

esistenza del debito in favore del quale si presta o si costituisce la garanzia a fornire la

giustificazione dell’atto.

Restano infine le promesse a titolo gratuito, non supportate da forma scritta, ma rette

dall’interesse soggettivo del promittente. Anche di tale interesse dovrà verificarsi l’apprezzabilità in

termini di causa.

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15 L’astrazione processuale L’astrazione appena descritta, cd. materiale, va distinta da quella detta processuale o

formale, quale fenomeno giuridico totalmente diverso che si riconduce alle figure della promessa di

pagamento e della ricognizione del debito che hanno come unico effetto quello di invertire l’onere

della prova nel rapporto obbligatorio : se il creditore riesce a conseguire dal debitore un atto tra

quelli indicati potrà esercitare l’azione giudiziaria semplicemente producendolo, senza quindi dover

dimostrare l’esistenza del credito che si presume con onere della prova contraria a carico del

debitore.

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16 La causa lecita L’articolo 1343 c.c. recita: “la causa è illecita quando è contraria a norme imperative,

all’ordine pubblico al buon costume”.

E’ rara l’ipotesi che le parti abbiano a concludere contratti privi di causa e cioè privi di un

qualche concreto interesse che abbia a giustificare il vincolo contrattuale.

Concreta è invece l’ipotesi che tale interesse sia illecito.

Già la chiara distinzione tra causa e tipo può contribuire a chiarire che un problema di

illiceità della causa può porsi anche per i contratti tipici, oltre che per quelli atipici.

Se il tipo designa un modello di operazione contrattuale che le parti possono scegliere

perché conforme ai propri interessi, non vi è alcun ostacolo a ritenere che le parti, pur nell’adozione

di quel tipo di contratto, abbiano a perseguire un interesse contrario, ad esempio, a norme

imperative.

Basti considerare che l’adozione di un contratto tipico è solo la prima fase di una operazione

complessa, in quanto nelle successive fasi, le parti dovranno adeguare quel contratto tipico ai loro

concreti interessi e cioè attraverso clausole ad hoc o intese più o meno trasparenti od occulte.

Ad esempio, funzione della compravendita è lo scambio di cosa contro prezzo; ebbene, ove

l’intento del venditore, come del compratore, non sia tanto l’acquisto definitivo della cosa oggetto

del contratto quanto la costituzione di una garanzia a favore del compratore, che si dichiara essere

per altre ragioni creditore del venditore ( per debito preesistente o per debito creato contestualmente

in occasione della compravendita in quanto il prezzo da esso versato è in realtà un prestito effettuato

al venditore ), la vendita vedrà stravolta la funzione sua propria che è quella del trasferimento

oneroso.

Una tale diversa funzione di garanzia in astratto ammissibile nella forma della vendita con

patto di riscatto, diviene illecita ove le parti siano d’accordo che in realtà quel trasferimento è solo

provvisorio e diventerà definitivo solo nella ipotesi in cui il venditore non abbia a restituire al

compratore la somma dovuta. La giurisprudenza ha ritenuto che la causa fosse (indirettamente)

illecita ex art. 1344 per violazione del divieto del patto commissorio solo qualora il trasferimento si

presentasse “sospeso” al verificarsi della condizione (mancata restituzione della somma ); ma in

realtà la sostanza non muta anche quando le parti abbiano consegnato le cose in modo tale che il

trasferimento abbia a risolversi ove la somma non venga restituita ( condizione risolutiva ).

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L’interesse perseguito contra jus è l’illegittimo approfittamento del creditore ai danni del

proprio debitore con violazione anche del principio della par condicio creditorum. Tale interesse

viene, ma solo in apparenza, legittimamente perseguito attraverso la conclusione del contratto di

compravendita.

Non è sempre facile distinguere tra un contratto nullo per illiceità della causa o per illiceità

di altri elementi del contratto ( ad esempio l’oggetto ); occorrerà avere riguardo, ad esempio, alla

connessione instaurata tra le due prestazioni.

Una parte di decisioni giurisprudenziali riguarda ipotesi di contratti o di accordi

“innominati”, con i quali l’assunzione di obblighi ( o la promessa di prestazioni ) viene messa in

relazione con oggetto o materie che non appaiono suscettibili di essere termini di scambio.

In realtà anche i contratti tipici lasciano spazi ad accordi o patti innominati.

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17 Norme imperative, ordine pubblico e buon costume

Per quanto riguarda la contrarietà della causa all’ordine pubblico o al buon costume è nota

ad esempio quella interpretazione giurisprudenziale del concetto di buon costume inteso come

complesso di quei principi etici che, suscettivi di venire universalmente adottati, costituiscono la

morale sociale perché ad essi uniforma il suo comportamento la generalità delle persone oneste,

corrette, di buona fede, e di sani principi in un determinato ambiente e in una determinata epoca.

Per ordine pubblico non si intende soltanto l’ordine pubblico politico, attinente alla difesa

dello Stato e delle pubbliche istituzioni, ma anche l’ordine pubblico economico attinente alla difesa

delle fondamentali regole che individuano la struttura di un sistema economico ( ad esempio la

libertà di concorrenza, di lavoro, di professione, il divieto di esportazione di capitali ).

Il che è comunque testimonianza del fatto che un elemento quale la causa si presta ad un

controllo del genere.

Questi termini costituiscono la ricorrente triade nella materia dei contratti, ad esempio

prevista dall’articolo 1343 in tema di illiceità della causa; facile è la comprensione delle norme

imperative, quali norme puntuali e inderogabili che presiedono a valori ritenuti fondamentali

dall’ordinamento; per quanto attiene all’ordine pubblico esso è costituito non da norme puntuali, ma

da principi generali informatori dell’ordinamento e trattasi di nozione nata in epoca in cui la

costituzione non era rigida, per cui l’ordine pubblico ne costituiva implicito usbèrgo.

Con l’avvento della Costituzione rigida l’ordine pubblico ha conservato la sua ratio e la sua

autonomia, in quanto strumento di applicazione di principi generali, non solo giuridici ma anche

economici.

Si ritengono contrari all’ordine pubblico, e quindi nulli ai sensi del combinato disposto degli

articoli 1343 - 1418 c.c., i contratti che costituiscono nocumento di libertà individuali (libertà

matrimoniale) o collettive (diritto di voto).

Per quanto attiene poi il buon costume, si sostiene che tale nozione appartenga alla realtà

sociale, mentre quella dell’ordine pubblico alla realtà normativa.

In tale nozione, quindi, vanno a confluire non norme o principi giuridici, ma criteri morali o

etici che il legislatore prende in considerazione nel quadro di un concetto elastico come quello del

buon costume, atteggiantesi a vera e propria clausola generale.

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Istituzioni di Diritto Privato Il contratto in generale: definizione, classificazione e struttura

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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E’ importante stabilire in concreto se la nullità di un contratto vada dichiarata con riguardo

all’ordine pubblico o al buon costume perché soltanto in questo secondo caso troverà applicazione

l’articolo 2035 c.c. che esclude, come nelle obbligazioni naturali, la ripetibilità di quanto prestato,

quando la prestazione sia stata eseguita per uno scopo che anche da parte del debitore costituisca

offesa al buon costume.

Si ritiene che tale norma si riconduca all’antico brocardo in pari causa turpitudinis melior

est condicio possidentis e si riconnette alla esigenza di evitare ulteriori discussioni in presenza di

una condotta immorale14

.

La giurisprudenza però applica estensivamente la norma anche ai contratti nulli, sia per

contrarietà all’ordine pubblico che al buon costume.

14

Classico è l’esempio della prestazione resa alla meretrice.

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18 I contratti misti. La tematica dei contratti misti interferisce strettamente con quella della causa e del tipo.

Non è rara l’ipotesi in cui le parti, per realizzare l’interesse che hanno di mira, concludono

contratti in cui si trovano commisti più tipi contrattuali, cioè elementi di un tipo ed elementi di un

altro.

Si è dunque vicini ad un contratto atipico, ma con la differenza che in detto contratto sono

presenti frammenti di tipi già noti all’ordinamento ( ad esempio della vendita e dell’appalto ).

La commistione dei diversi tipi dà così vita ad un contratto misto.

Ove invece più che della presenza di elementi del tipo debba riconoscersi la presenza di più

prestazioni tipiche ( quali ad esempio il trasferimento di proprietà o la cessione di un credito),

combinate in modo da divergere da una funzione tipicamente riconosciuta, avremmo un contratto

atipico più che un contratto misto.

Si pensi al trasferimento di un bene in cui figuri come corrispettivo l’assunzione di un

obbligo di facere ( ad esempio,

la ristrutturazione ).

Certamente i confini tra un contratto misto e quello atipico non sono sempre facili da

tracciare.

Prendiamo ad esempio il contratto di leasing.

In esso sono presenti sia l’elemento della vendita di un bene con patto di riservato dominio o

della locazione, come quello di un finanziamento concesso all’utilizzazione della cosa presa in

leasing.

Quando si parla di leasing, cioè di locazione finanziaria, si ha riguardo all’interesse che

spinge l’un soggetto ( in genere un imprenditore ), il quale non dispone di denaro sufficiente per

acquistare un bene necessario alla propria attività imprenditoriale ( ad esempio un macchinario ), a

rivolgersi ad altro soggetto il quale gli metterà a disposizione il bene desiderato, ricevendo come

corrispettivo un canone, che generalmente rappresenterà la somma sufficiente affinchè il

concedente riottenga il finanziamento erogato comprensivo del capitale, dell’interesse, dell’utile e

delle spese.

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Il leasing per un certo tempo è stato considerato un contratto misto perché risultante dalla

commistione tra il tipo della vendita e del finanziamento .

Gradualmente si è finito col ritenere che il leasing configurasse un contratto atipico,

caratterizzato da una causa unitaria, quella del finanziamento, alla cui realizzazione convergono

prestazioni a loro modo atipiche, come la cessione in godimento di un bene verso il pagamento di

un canone.

Si ritiene un contratto misto e non atipico, quello relativo al servizio delle cassette di

sicurezza, in quanto in questo a tale caso, all’elemento della locazione della cosa ( la cassetta ) si

aggiunge quello della prestazione di un’opera o di un servizio da parte della banca.

Quindi si può affermare che i contratti atipici sono la risultante di più “frammenti” di

contratti tipici, ma nei contratti misti è la causa unitaria che induce i contraenti ad utilizzare lo

schema del contratto misto.

Così, ad esempio, nel contratto riguardante il servizio delle cassette di sicurezza è interesse

del cassettista quello di poter utilizzare la cassetta per immettervi valori, ma ciò al fine di poter

esigere dalla banca la prestazione avente per oggetto la custodia dei locali. La causa unitaria è

quest’ultima.

Il contratto misto pone dei problemi di disciplina, in quanto non vi è una disciplina che lo

contraddistingue.

Soccorrono a questo riguardo le due teorie dell’assorbimento15

, secondo cui la disciplina del

contratto sarebbe quella del tipo prevalente, o quella della combinazione16

, secondo cui la disciplina

sarebbe quella del tipo corrispondente.

Vi è l’ipotesi in cui le parti utilizzino un determinato tipo di contratto per realizzare una

funzione che è propria di un altro tipo di contratto. Si parla, al riguardo, di negozio indiretto.

15

C.Cassazione, 5 agosto 1977, n. 3545. 16

Trib. Napoli, 9 settembre 1988.

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19 I contratti collegati Diversa dal contratto misto è la figura dei contratti collegati.

Si parla dei contratti collegati dalla volontà delle parti ( cd. collegamento volontario ) e non

dei contratti collegati in forza di legge, che ha luogo in virtù di fenomeni come la procura e il

negozio concluso dal rappresentante ovvero il contratto preliminare in rapporto al definitivo.

Nel collegamento ciascun contratto mantiene la sua individualità e autonomia, anche se essi

sono voluti e concepiti come legati tra di loro da un nesso di reciproca interdipendenza.

Perché ricorra un collegamento di contratti occorre non soltanto un requisito oggettivo, cioè

il nesso teleologico tra i contratti, ma anche un requisito soggettivo, costituito dal comune intento

pratico delle parti17

.

Per effetto del collegamento le vicende dell’un contratto si riflettono anche sull’altro, e ciò

nel senso che l’invalidità dell’uno potrà provocare anche l’invalidità dell’altro, così come

l’inadempimento nell’un contratto potrà dare titolo alla parte non inadempiente nell’altro di

rifiutarsi di eseguire la prestazione.

Anche nei contratti collegati, come nel contratto misto, la causa va apprezzata unitariamente.

La causa riferito al contratto collegato, è il gruppo di effetti del contratto che consente di

fare luogo all’inserimento di quel frammento di contratto nel tipo.

Il collegamento può essere unilaterale o bilaterale, genetico o funzionale, volontario o

necessario e rientrano nella tematica dei negozi collegati i cd. negozi preparatori, come il contratto

preliminare rispetto a quello definitivo, e quelli accessori, come il negozio di convalida rispetto al

negozio annullabile18

.

17

C.Cassazione, I, 20 novembre 1992, n. 12401. Un esempio di collegamento negoziale : una società produttrice di

carburante dà in comodato ad un dettagliante un distributore con l’intesa che esso venderà il carburante della società,

ricavandone un utile.

18

C.Cassazione, 17 novembre 1983, n. 6864.

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20 La forma L’articolo 1325 c.c. considera la forma quale requisito del contratto purché sia prescritta

dalla legge a pena di nullità.

Di regola la forma è libera, in quanto le parti possono manifestare la volontà in qualunque

forma. Si discute se il nostro ordinamento si ispiri veramente al principio della libertà di forma,

anche se si ritiene generalmente che bisogna valutare caso per caso e quindi non è possibile

rispondere al quesito in maniera univoca.

Per particolari tipi di contratti o per certi effetti, la legge richiede una forma determinata, che

è normalmente la forma scritta.

L’atto scritto richiesto dalla legge è di solito la scrittura privata, cioè un documento

sottoscritto dalle parti.

Per taluni contratti ( es. la donazione ) è però richiesto sotto pena di nullità l’atto pubblico,

che è il documento redatto con le richieste formalità da un notaio o da un altro pubblico ufficiale

autorizzato.

La forma richiesta dalla legge si dice forma vincolata e si distingue in forma essenziale e

forma probatoria.

La forma essenziale (ad substantiam) è richiesta per l’esistenza del contratto e ciò allo scopo

di richiamare l’attenzione del soggetto sull’importanza dell’atto che sta per compiere e sulle

conseguenze che ne derivano.

In questo caso il contratto viene detto solenne o formale ( es. la vendita di un immobile ).

La forma probatoria (ad probationem) è invece richiesta come prova per avere certezza

dell’esatto contenuto delle dichiarazioni delle parti ( es. nel contratto di assicurazione ).

La differenza fra le due ipotesi è fondamentale : qualora non venga osservata la forma

essenziale, il contratto è nullo ossia non produce gli effetti suoi propri; qualora non venga osservata

la forma probatoria il contratto è tuttavia valido e può produrre tutti gli effetti suoi propri, ma se

dovesse sorgere delle contestazioni tra le parti esso non potrebbe venire provato a mezzo di

testimoni, poiché la legge prescrivendo la forma scritta esclude l’ammissibilità della prova

testimoniale.

L’art. 1350 c.c. individua gli atti che richiedono la forma scritta ad substantiam e tra questi

particolare rilievo assumono quelli che trasferiscono la proprietà di beni immobili.

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Ma in questi casi in cui la legge richiede una forma particolare, la dottrina ritiene che tale

formalismo attenga soltanto alle clausole essenziali del negozio stipulato costituenti il cd. contenuto

minimo del contratto, da distinguere dal contenuto cosiddetto effettivo al quale non si estende il

requisito formale.

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21 La forma volontaria Ben possono le parti convenire per iscritto di adottare una determinata forma per la futura

conclusione di un contratto.

In tal caso la legge presume che la forma sia stata voluta per la validità del contratto cui le

parti aspirano.

Tale presunzione è però relativa in quanto le parti hanno pur sempre la possibilità di provare

il contrario.

La dottrina ha cercato di temperare il rigore della disciplina relativa alle forme volontarie,

ritenendo che, ove il contratto venga stipulato in una forma diversa da quella volontaria, la nullità

che ne deriva può essere rilevata solo su istanza di parte (cd. nullità relativa).

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22 La forma degli atti risolutori Gli atti risolutori rientrano tra i contratti cd. di secondo grado, in quanto si innestano su di un

precedente contratto stipulato tra le parti.

Il quesito è se tali patti risolutori debbono essere rivestiti della stessa forma prescritta per il

contratto principale (forma per relationem).

La giurisprudenza19

è di solito per la soluzione positiva, ma non mancano opinioni contrarie

che si oppongono a concezioni eccessivamente formalistiche.

La dottrina, che opina nel medesimo senso, richiama il concetto del cd. contrarius actus, nel

senso che per distruggere un atto giuridico ne occorre un altro uguale e contrario.

19

C.Cassazione, II, 10 gennaio 1996, n. 162.

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23 Il problema della sottoscrizione E’ un problema che attiene alle scritture private come mezzi di prova, in quanto si discute se

la sottoscrizione sia o meno parte del contenuto del contratto : se si fosse per la negativa non

dovrebbe estendersi ad essa il requisito formale richiesto per il contratto.

Ciò significa che se per il contratto è richiesta la forma scritta non può essere esibita in

giudizio la scrittura privata che attesta documentalmente la conclusione del negozio se non quando

sia munita della sottoscrizione di entrambe le parti.

L’opinione generale è però nel senso che la sottoscrizione è elemento autonomo rispetto al

contenuto del contratto per cui non si estendono ad essa i requisiti formali richiesti per il contratto.