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“LA PROTEZIONE ANTINCENDIO (PARTE SECONDA)PROF. GERARDO RIZZO

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Università Telematica Pegaso La protezione antincendio (parte seconda)

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LA PROTEZIONE ATTIVA ------------------------------------------------------------------------------------------------ 3

2 I MEZZI DI ESTINZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------- 7

3 ILLUMINAZIONE DI SICUREZZA ------------------------------------------------------------------------------------- 16

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1 La protezione attiva

Le misure di protezione attiva sono volte a:

• tenere sotto controllo gli ambienti e rivelare il prima possibile l’insorgenza di un incendio;

• segnalare l’avvenuto inizio di un incendio, diffondendo l’allarme ed eventualmente

attivando i sistemi di estinzione vera e propria o gli ausili all’evacuazione;

• estinguere il principio d’incendio attraverso apparecchi automatici o azionati dal personale

addetto;

• coadiuvare l’evacuazione azionando apparati di segnalazione e illuminazione di sicurezza, di

espulsione di fumo, calore e gas nocivi.

Il primo obiettivo della protezione attiva è quello di rilevare la presenza di un principio

d’incendio e segnalarlo dando, se necessario, l’allarme.

Quest’obiettivo è perseguibile sia con l’operato degli addetti antincendio e con il contributo di tutto

il personale, adeguatamente formato, sia con l’ausilio di sistemi tecnologici automatici, sia con la

combinazione di entrambe le modalità.

Il maggior vantaggio dei sistemi automatici di rivelazione incendio, è nella riduzione del tempo che

intercorre tra la scoperta di un principio d’incendio e l’invio della relativa segnalazione.

La sorveglianza degli ambienti di lavoro può ovviamente essere fatta dalle persone, che, ove

presenti, sono in grado di rilevare quasi immediatamente l’insorgere di un incendio. In genere, però,

non tutte le aree o i locali di un edificio sono costantemente frequentati o presidiati, specialmente

nelle ore notturne. In questo caso, al verificarsi dell’incendio, la rilevazione potrebbe non esser

tempestiva. I sistemi automatici di rivelazione incendio, invece, potendo funzionare

continuativamente, rilevano l’eventuale principio d’incendio al suo manifestarsi, essendo sensibili

ad uno degli effetti dell’incendio: la presenza di fumo, gas di combustione, di fiamma o di calore.

Il segnale di allarme deve essere inconfondibile e chiaramente udibile in tutto il luogo di lavoro o in

quelle parti dove esso è necessario.

L’allarme a voce si usa solo in ambienti piccoli, ad esempio quando i lavori si svolgono in un unico

locale, in attività a basso rischio.

In ambienti più grandi e complessi, si deve ricorrere a sistemi acustici elettrici che possono essere

attivati manualmente o in modo automatico.

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In ambienti particolarmente rumorosi può essere opportuno aggiungere anche una segnalazione di

tipo ottico. Questa però non può mai essere l’unica segnalazione.

I sistemi elettrici possono essere ad attivazione manuale, automatica, o combinata, eventualmente

anche in abbinamento con i sistemi di rivelazione, così da permettere, oltre alla segnalazione

automatica, anche quella da parte delle persone che rilevassero la presenza di un incendio.

In ambienti molto affollati, dove possono essere presenti persone estranee all’attività lavorativa, è

consigliato l’utilizzo di messaggi vocali trasmessi tramite altoparlanti, in aggiunta alle segnalazioni

acustiche e ottiche.

I dispositivi di segnalazione manuale devono essere posizionati in modo da essere facilmente

raggiungibili, di semplice uso e inequivocabilmente identificabili.

Essi sono in genere a leva od a pulsante e sono protetti dagli azionamenti accidentali, tipicamente

con dei sottili schermi di plastica trasparente o vetro (per il vetro deve essere messo a disposizione

un martelletto di rottura).

La funzione di un impianto automatico di rivelazione incendi è quella di rilevare un principio

incendio nel minor tempo possibile e di fornire segnalazioni ed indicazioni opportune per

permettere di intraprendere le azioni del caso (effettuare controlli, isolare gli ambienti a rischio,

circoscrivere e spegnere l’incendio, dare l’allarme ed evacuare le persone, attuare piani

d’emergenza).

La funzione di un sistema automatico di allarme antincendio è quella di attivare le segnalazioni

acustiche, ed eventualmente ottiche, che avvisino dal pericolo tutti i presenti negli ambienti di

lavoro.

Le funzione dei due impianti possono essere riunite in un unico sistema.

Il sistema di rivelazione ed allarme incendi automatico può essere così composto:

• rilevatori d’incendio;

• centrale di controllo e segnalazione;

• dispositivi d’allarme incendio;

• eventuali punti di segnalazione manuale (comandi di attivazione);

• apparecchiature di alimentazione;

• cablaggi per il trasporto segnali ed energia.

La velocità di rivelazione, dipende dalla taratura dei sensori e dal metodo di rilevazione.

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In questa diapositiva è rappresentato un esempio di sistema automatico di rivelazione e

allarme.

I collegamenti e le didascalie sono solamente indicativi.

I sensori dei sistemi di rivelazione sono in grado di percepire uno o più prodotti della combustione.

La classificazione dei rivelatori è stabilita secondo tre criteri:

1. L’effetto della combustione percepito;

2. Il metodo di rivelazione;

3. La configurazione degli apparecchi di rivelazione.

In funzione dell’effetto percepito, si distinguono:

1. rivelatore di calore (è sensibile all‘aumento di temperatura);

2. rivelatore di fumo (a ionizzazione o ottici) sensibile alle particelle trascinate in sospensione

nel fumo;

3. rivelatore dei gas: rileva i prodotti gassosi della combustione e/o di decomposizione termica;

4. rivelatore di fiamme: reagisce alla radiazione ottica emessa dalle fiamme di un incendio;

5. rivelatore multi-criterio: è in grado di percepire più di un prodotto dell'incendio.

In base al metodo di rivelazione si ha:

a. rivelatore statico: invia un segnale se il valore del fenomeno misurato supera un certo valore

di soglia;

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b. Differenziale: genera il segnale quando la differenza (normalmente piccola) tra i livelli del

fenomeno misurato in due o più punti nello spazio, supera il valore di soglia per un periodo

di tempo determinato;

c. velocimetrico: il segnale deriva dalla velocità di variazione nel tempo del fenomeno

misurato, che supera il valore di soglia per un periodo di tempo determinato.

Infine, la classificazione in base alla configurazione suddivide i rivelatori in:

I. rivelatore puntiforme: reagisce all’effetto per cui è sensibile, in prossimità di un punto fisso;

II. rivelatore lineare: risponde al fenomeno sorvegliato lungo una linea continua;

III. rivelatore multi-punto: rileva l’effetto controllato in prossimità di un certo numero di punti

fissi.

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2 I mezzi di estinzione

L’estinzione di un incendio può avvenire con l’ausilio di mezzi di spegnimento manuali o grazie ad

impianti automatici.

I mezzi di spegnimento manuali sono di due tipi:

1. quelli mobili, costituiti dagli estintori, portatili e carrellati;

2. quelli fissi, ovvero gli idranti ed i naspi.

Gli impianti automatici sono:

idraulici, e cioè gli impianti sprinkler e quelli a schiuma

a gas, ad anidride carbonica o a gas inertizzanti

Esistono anche impianti automatici di estinzione a polvere chimica, ma sono poco diffusi.

Gli estintori sono il primo mezzo di estinzione a cui si accede per spegnere un principio di incendio;

la loro caratteristica principale è, infatti, la possibilità di intervento rapido e puntuale sul focolaio

d’incendio, per sfruttare il fatto che la massima probabilità di successo nello spegnimento si ha

proprio nei primi momenti in cui un incendio si sta avviando.

La rapidità di intervento con estintore portatile non ha confronto con quella di idranti e naspi.

Inoltre, dal punto di vista del deterioramento dei beni, un intervento localizzato effettuato mediante

estintore è sicuramente meno invasivo dell’uso massiccio di acqua, inevitabilmente rilasciata da

impianti fissi, automatici o manuali.

Di contro, è bene essere consapevoli che gli estintori portatili perdono la loro efficacia con incendi

in fase avanzata, perché la loro scarica ha una durata variabile da 8 a 15 secondi ed una gittata utile

che varia da 5 ad 8 metri, valori troppo limitati per incendi estesi, con grande sviluppo di calore.

Gli estintori si definiscono portatili, se il loro peso è contenuto entro i 20 kg, carrellati oltre 20 kg

fino a 150 kg.

Gli estintori portatili sono concepiti per l’utilizzo ed il trasporto a mano, da parte di un solo

operatore, ragione per la quale un peso superiore a quello definito, comporterebbe difficoltà nelle

operazioni di estinzione.

Gli estintori carrellati, a causa del loro peso, sono dotati di ruote e sono concepiti per un utilizzo da

parte di due operatori, dei quali uno trasporta ed attiva l’estintore, l’altro impugna la lancia e opera

l’estinzione.

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A causa delle maggiori dimensioni e peso presentano una minore maneggevolezza d’uso, dovuta

allo spostamento del carrello di supporto; per questo motivo sono generalmente muniti di tubo, di

lunghezza variabile da 3 a 6 metri e di una lancia di erogazione, con dispositivo di intercettazione

del getto.

In virtù della differente quantità di prodotto estinguente contenuto (la durata del loro getto varia da

30 a 90 secondi) rispetto agli estintori portatili, gli estintori carrellati sono in grado di spegnere

oltre i principi di incendio, anche piccoli incendi già sviluppati (tenendo sempre conto che non vi è

possibilità di estinzione di un incendio generalizzato).

La classificazione più utilizzata per gli estintori, ai fini pratici, è quella basata sulla sostanza

estinguente adoperata. Secondo questo criterio, si possono avere i seguenti tipi di estintori portatili:

• ad estintore idrico;

• estintore a schiuma;

• estintore a polvere;

• estintore ad anidride carbonica (CO2);

• estintore idrocarburi alogenati (Halon).

Gli estintori idrici, i primi mezzi portatili di spegnimento creati per i principi d’incendio, e quelli a

schiuma, avendo scarsa efficacia in dimensione portatile, non sono stati più adoperati nel tempo.

Si osserva però che, per motivi ecologici, stanno tornando in uso, anche perchè grazie all’utilizzo di

nuovi additivi messi a disposizione dalla ricerca scientifica, la loro efficacia è notevolmente

aumentata e vengono addirittura omologati per l’utilizzo su apparecchi in tensione fino a 1000 volt.

Inoltre gli estintori caricati con schiume specifiche sono gli unici idonei allo spegnimento dei fuochi

di classe F (olii da cucina), di recente introduzione.

Nella situazione attuale comunque, sono utilizzati quasi esclusivamente estintori a polvere ed a

CO2, in ragione della loro versatilità, essendo efficaci su più tipi di fuoco, compresi quelli sviluppati

in apparecchiature sotto tensione.

Gli estintori ad halon sono vietati dal 2008 perché dannosi per l’ambiente; i loro sostituti (gas

inertizzanti o clean agents) sono poco diffusi.

È molto importante che la scelta del tipo di estintore sia adeguata ai materiali combustibili presenti

nei luoghi di lavoro (che definiscono le classi di fuoco) e che la disposizione ed il numero di tali

estintori siano fissati in modo da consentire un impiego rapido in caso di necessità.

Porre attenzione alla presenza di apparecchi in tensione, per i quali possono essere impiegati solo

estintori dichiarati idonei.

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Si tenga presente che gli estintori da distribuire negli ambienti di lavoro a rischio di incendio basso

non devono avere capacità estinguente inferiore a 13A-89B.

Una volta scelto/scelti il tipo/i tipi di estintore, i criteri da seguire per stabilirne il numero e la

disposizione negli ambienti di lavoro, in modo da garantire la prontezza di impiego richiesta, sono

contenuti nelle disposizioni di legge specifiche, laddove esistenti; altrimenti sono di ausilio i criteri

generali di sicurezza antincendio contenuti nel DM 10/03/1998.

Nel decreto è stabilito che si deve:

1. posizionare almeno un estintore per piano.

Quando la valutazione manifesta situazioni di rischio incendio tali da non potere essere

adeguatamente affrontate con il solo impiego di estintori, portatili o carrellati, si devono predisporre

mezzi di estinzione di maggiore capacità, conseguibili solo con l’adozione di sistemi fissi.

I sistemi fissi di estinzione sono di due tipi, manuali od automatici.

I sistemi fissi manuali sono essenzialmente idrici e sono composti da idranti o da naspi.

I sistemi automatici possono essere idrici o a gas, di questi ultimi sono diffusi praticamente solo

quelli che usano gas che agiscono per soffocamento.

Idranti o naspi sono presidi antincendio locali o “puntuali”, nel senso che proteggono un area

circoscritta alla loro gittata.

I sistemi fissi automatici idrici possono essere sia locali (proteggono l’area limitata all’intorno

dell’erogatore) sia “ambientali”, nel senso che intervengono in tutto l’ambiente in cui si è

sviluppato un incendio e non solo vicino al focolaio.

I sistemi fissi a gas sono solo “ambientali”, dovendo saturare l’ambiente in cui intervengono.

Si evidenzia che idranti e naspi non possono essere sostitutivi degli estintori, perché un sistema

fisso non può garantire la stessa velocità e flessibilità di intervento degli estintori stessi. Allo stesso

modo, i sistemi automatici non possono essere alternativi agli idranti ed ai naspi.

Gli impianti automatici intervengono in funzione della taratura dei sensori di rivelazione

rispondendo con grande consumo d’acqua su scala molto più ampia, fino all’intero ambiente di

lavoro, rispetto ad focolaio localizzato.

A titolo informativo si fa cenno all’esistenza di altri tipi di sistemi fissi, il cui utilizzo è però

previsto per situazioni di rischio incendio che sono al di fuori del livello di rischio basso.

Essi sono: sistemi fissi a schiuma ed a polvere.

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Gli idranti sono composti:

1. Dalla presa d’acqua:

- Dall’attrezzatura di erogazione, composta da:

- tubazione flessibile in genere lunga 20÷25 m (manichetta);

- lancia erogatrice semplice o con valvola commutatrice del getto.

La presa d’acqua, consistente in un attacco filettato dotato di valvola d’intercettazione manuale,

collegato alla rete di alimentazione idrica antincendio, può avere tre configurazioni:

- A parete;

- A colonna soprassuolo;

- Sottosuolo;

La manichetta è tecnicamente una tubazione tessile flessibile, che a riposo è piatta e che diventa a

sezione circolare, una volta srotolata e messa in pressione con l’acqua.

Per comodità si usano in spezzoni lunghi 20÷25 m, da giuntare tra loro, nel caso serva raggiungere

punti più lontani dall’idrante.

Alle estremità hanno due raccordi filettati, per le connessioni con lance, o attacchi degli idranti o

altri spezzoni di manichetta.

La loro fabbricazione avviene ormai solo con materiali sintetici rivestiti internamente di gomma,

per garantire l’impermeabilità e limitare l’attrito dell’acqua, con conseguenti perdite di carico (un

tempo erano fatte di cotone o canapa).

Anche con i nuovi materiali sintetici, le tubazioni flessibili, necessitano di una manutenzione

accurata; soprattutto, devono essere fatte ben asciugare, una volta utilizzate.

Le lance idriche sono gli elementi terminali che servono ad erogare l'acqua e dirigerne il getto.

La lancia idrica tradizionale è costituita da una parte in bronzo filettata, di raccordo alle manichette,

da un corpo conico in rame e dal bocchello erogatore in bronzo, avvitato sul corpo, munito di in un

foro calibrato.

È una lancia ancora molto diffusa, ma oggi è sempre più frequente la sua sostituzione a favore di

quelle a triplice effetto.

Quest’ultima ha generalmente il corpo in alluminio, parzialmente protetto da materiale isolante

plastico ed è dotata di un rubinetto a 3 posizioni, che consente di aprire o chiudere il getto e di

selezionare “Getto pieno” o “Getto frazionato”.

Gli idranti possono essere ad umido o a secco (cioè con tubazioni d’impianto sempre piene d’acqua

oppure piene d’aria in pressione e dove fluisce l’acqua solo al momento di entrare in servizio).

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I naspi sono composti:

A. Da una bobina girevole collegata alla rete idrica antincendio;

B. Dall’attrezzatura di erogazione, composta da:

tubazione semirigida in gomma, avvolta intorno alla bobina, normalmente lunga 20÷25 m;

lancia erogatrice dotata di una valvola commutatrice del getto.

Se la bobina su cui è avvolta la manichetta, può ruotare solo su un piano, il naspo si dirà fisso; se

invece è dotato di un sistema, quale ad esempio un braccio snodabile ed un giunto orientabile

all’attacco idrico, che permette la rotazione della bobina su più piani, allora si avrà un naspo

orientabile.

Le manichette dei naspi sono realizzate con tubi in gomma, più rigidi di quelle tessili, tanto che

mantengono la sezione circolare anche senza l’azione della pressione dell’acqua.

I naspi sono normalmente ad umido.

Idranti e naspi sono concettualmente dei mezzi di estinzione simili, atti a gettare acqua sul fuoco a

determinate pressioni, in modo da sfruttare, oltre all’effetto raffreddante e soffocante con cui agisce

l’acqua come estinguente, anche l’impatto del getto per disgregare i materiali solidi e penetrare in

profondità per riuscire ad entrare in contatto con le braci.

La differenza tra i due mezzi consiste nelle prestazioni offerte in termini di pressione e portata,

prestazioni che di contro pesano, da una parte a livello impiantistico, sulla rete idrica e, dall’altra,

sulla difficoltà nel loro uso.

Si deve tener presente, che l’acqua che esce dal bocchello di una lancia esercita una spinta

sull'operatore, tanto maggiore quanto maggiore è la pressione.

Nel caso degli idranti, tale spinta può essere, in alcuni casi, difficilmente sostenibile da un solo

operatore.

I naspi, invece, operando a pressioni e con portate minori, risultano di maggior facilità d’uso.

Altra differenza a favore del naspo rispetto all’idrante è nella sua maggiore praticità.

Il naspo infatti, non necessita della preparazione iniziale della manichetta, essendo la sua di tipo

semirigido già collegata all’attacco idrico ed alla lancia, al contrario di quella dell’idrante che va

srotolata e collegata sia all’attacco, sia alla lancia.

Le manichette dei naspi sono più resistenti di quelle flessibili degli idranti e necessitano di minore

manutenzione.

In tutti i casi, i due mezzi di estinzione, richiedono, seppur con gradi di approfondimento diversi,

che il personale sia specificamente formato ed addestrato al loro uso.

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I sistemi di estinzione fissi manuali, hanno bisogno, di una rete idrica a monte che ne garantisca la

costanza di alimentazione ai valori di portata e pressione, necessari ad assicurare le prestazioni

richieste per il loro efficace funzionamento.

Qualora la rete pubblica non sia in grado di coprire la disponibilità della risorsa nelle condizioni

occorrenti, questa deve essere garantita da un impianto interno dotato delle riserve e dei sistemi di

alimentazione necessari.

Il dimensionamento della rete idrica di alimentazione è definito nella norma UNI 10779.

Per il livello di rischio incendio basso, indicato nella norma tecnica come livello di pericolosità 1, la

rete idrica deve poter garantire, per 30 minuti, la portata di 120 l/min ai 2 idranti più sfavoriti, con la

pressione al bocchello di 0,2Mpa=2 bar, o la portata di 35 l/min e 4 naspi, considerando ancora

quelli idraulicamente più sfavoriti sempre con pressione di uscita dell’acqua dal bocchello di 2 bar.

Gli impianti di spegnimento automatici di distinguono in base alle sostanze utilizzate per l’azione

estinguente:

1. Impianti ad acqua Sprinkler (ad umido, a secco, alternativi, a preallarme, a diluvio

etc.);

2. Impianti a schiuma;

3. Impianti ad anidride carbonica;

4. Impianti a gas estinguente (sostituti dell’Halon);

5. Impianti a polvere.

Gli impianti a polvere, sono rari perché relativamente poco efficaci.

Peculiarità degli impianti automatici è quella di essere collegati al sistema di rivelazione incendi e

in entrare in funzione grazie ai comandi impartiti da questo sistema.

Gli impianti sprinkler possono essere attivati anche direttamente dagli erogatori, che integrano il

sensore di rilevazione incendi.

Nei sistemi ad umido, tutto l’impianto è permanentemente riempito di acqua in pressione; questo è

il sistema più rapido nell’intervento e si può adottare nei locali in cui non esiste rischio di gelo.

Quelli a secco, in genere, si usano quando c’è il pericolo di congelamento; le tubazioni sono

riempite di aria in pressione. L’apertura di un ugello fa diminuire la pressione e questa variazione

comanda l’intervento di una valvola che permette il riempimento delle tubazioni con acqua.

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Gli impianti a secco si prestano anche alla realizzazione di controlli anti falso allarme; infatti è

possibile ritardare la scarica d’acqua per appurare se il fuoco è realmente presente oppure se si

verificato un malfunzionamento del sistema di rivelazione; questi sistemi si dicono a “pre-allarme”.

L’impianto di alimentazione ha la stessa configurazione dei sistemi fissi manuali.

Si deve però tenere presente che i sistemi automatici richiedono quantità d’acqua molto maggiori ed

in diversi casi anche pressioni di funzionamento superiori.

Il sistema sprinkler tipico è con impianto ad umido ed erogatore chiuso, ma si possono trovare

anche sistemi con impianto a secco.

Nel sistema tradizionale, il tappo dell’ugello è tenuto in posizione di chiusura, da un elemento

termosensibile a bulbo di vetro, che contiene un liquido che varia il suo volume in funzione della

temperatura; in alternativa al bulbo, si possono trovare altri dispositivi che fondono alla temperatura

di taratura.

Quando, a causa dell’insorgenza di un incendio, la temperatura della zona protetta da un erogatore

aumenta fino al valore di taratura dell’elemento termosensibile, il liquido contenuto nel bulbo, per

l’aumento del suo volume, esercita una forza sufficiente a rompere le pareti del bulbo stesso (in

alternativa se l’elemento sensibile è un fusibile, avviene la sua fusione).

Il tappo cede alla pressione dell’acqua e avviene la scarica, solo nel campo d’azione dell’erogatore

apertosi.

La temperatura di taratura dell’erogatore è distinguibile dal colore del bulbo: per esempio il rosso

indica temperatura di apertura a 68°C.

Il sistema sprinkler assomma sia la funzione di estinzione, sia quelle di rivelazione ed allarme;

infatti, il fluire dell’acqua attiva una segnalazione (campanella o sirena).

Gli ugelli spruzzatori (generalmente di diametro inferiore ad 1mm) hanno il compito di dirigere

l’acqua sul focolaio, provvedendo a frazionarla in gocce ed a dare la forma più opportuna al getto.

Il sistema prende il nome di impianto a diluvio quando non limita il getto ad un solo ugello, ma a

tutti quelli presenti nell’ambiente dove è scoppiato un incendio.

Lo scopo di questo sistema è quello di proteggere le zone adiacenti all’incendio non interessate

dall’iniziale focolaio, mantenendole alla temperatura ambiente.

Questo tipo di impianto si usa quando si è in presenza di sostanze facilmente infiammabili, ove

anche un limitato aumento di temperatura può essere rischioso (ad esempio serbatoi di gas).

Dato il notevolissimo dispendio di risorse idriche, per ambienti di lavoro molto grandi,, si usa

sezionare l’impianto in più settori.

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Università Telematica Pegaso La protezione antincendio (parte seconda)

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Se all’acqua si aggiungono, nell’erogazione, sostanze schiumogene, si hanno gli impianti

automatici di spegnimento a schiuma.

Sono simili ai sistemi a diluvio, essendo utilizzati non solo per l’estinzione ma anche per

raffreddare parti, ad es. serbatoi di combustibili, non interessate inizialmente dall’incendio.

Differiscono, nell’alimentazione, per la presenza dei serbatoi di sostanza schiumogena e

nell’erogazione, per i dispositivi di spandimento della schiuma (elementi versatori).

La immagini mostrano:

• un erogatore con un bulbo rosso (attivabile a 68°);

• un erogatore in funzione;

• la traiettoria dell’acqua per una determinata configurazione degli erogatori;

• i colori dei bulbi termosensibili e le relative temperature di azionamento.

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Gli evacuatori di fumo e calore, come è evidente dal loro nome, permettono, sfruttando il moto

ascensionale di convezione naturale dei fluidi caldi, (talvolta forzandolo con i ventilatori) di far

uscire il fumo ed i gas di combustione all’esterno, dalla copertura degli edifici, consentendo così di:

• agevolare lo sfollamento delle persone e l’azione dei soccorritori grazie alla minore presenza

di fumo, almeno fino ad un’altezza da terra tale da non compromettere la visibilità e la

possibilità di movimento;

• ridurre l’effetto nocivo di fumo e gas di combustione su persone e beni e sulle strutture,

riducendo in particolare il rischio collasso di quelle portanti;

• ritardare o evitare l’incendio a pieno sviluppo – (“flash over”).

Tali sistemi di protezione attiva dall’incendio sono di frequentemente comandati da impianti di

rivelazione che inviano il segnale all’apposito congegno di apertura.

Il loro funzionamento può comunque essere regolato tramite elementi fusibili (tarati a determinate

temperature) od avere anche un’apertura manuale.

La funzione degli EFC può comunque essere svolta, od almeno integrata, anche dalle normali

aperture di ventilazione, se esistenti sulla copertura, opportunamente modificate, ad esempio

dotandole di comandi di apertura, collegati al sistema di rivelazione.

Esempi di elementi di ventilazione utilizzabili come EFC sono i lucernai a soffitto, i condotti dotati

di ventilatori, le aperture a shed.

La disposizione ed il numero di EFC è disciplinato dalla norma UNI 9494.

In generale viene consigliato di avere, a parità di superficie di apertura disponibile, un numero

maggiore di EFC piccoli, piuttosto che pochi di grandi dimensioni, perché così di favorisce

un’evacuazione più rapida, riducendo la distanza tra un eventuale focolaio e l’EFC.

Inoltre, avendo un numero maggiore di EFC, la protezione dei locali risulta più omogenea.

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3 Illuminazione di sicurezza L’illuminazione di sicurezza è un sistema di illuminazione che entra in funzione quando l’energia

elettrica che alimenta l’illuminazione ordinaria, viene a mancare.

Le sue caratteristiche prestazionali sono rivolte a fornire l'illuminamento necessario sia a garantire

l'abbandono, in sicurezza, degli ambienti di lavoro da parte delle persone, sia a permettere di

terminare un processo in corso, potenzialmente pericoloso, prima di abbandonare il locale.

Per funzionare in assenza di alimentazione ordinaria, deve essere dotato di una fonte alternativa, che

si può ricavare:

- da impianti centralizzati, dotati di gruppi elettrogeni o gruppi di continuità (UPS =

Uninterruptable Power Supply), collegati a batterie di accumulatori centralizzati;

- in modo autonomo, da batterie inserite direttamente nei corpi illuminanti e mantenute in

carica dalla rete, in condizioni ordinarie.

Gli apparecchi dell’illuminazione di sicurezza, per fornire l’illuminamento richiesto, devono essere

posizionati:

• in corrispondenza di ogni uscita di emergenza;

• vicino ad ogni scala, in modo che ogni rampa sia illuminata direttamente;

• vicino ad ogni cambio di livello del pavimento;

• sul segnale di uscita (a parte il caso in cui sia autoilluminato);

• vicino ad ogni cambio di direzione;

• vicino ogni diramazione di corridoi;

• vicino ad ogni allarme antincendio;

• vicino ad ogni attrezzatura antincendio;

• all’esterno di ogni uscita;

• vicino alla cassetta del pronto soccorso.

Con il termine “vicino”, si intende che l’apparecchio di illuminazione sia installato a meno di 2 m

misurati in orizzontale.

Di regola, gli apparecchi di illuminazione, vengono installati a 2 m da terra.

Sono ammesse deroghe, verso un’altezza maggiore, quando si teme che l’apparecchio possa subire

urti o colpi (dotandolo, in caso, anche di griglia protettiva), oppure ad altezze inferiori, se si teme,

per la geometria dell’ambiente, un rapido oscuramento dovuto al fumo.

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In questo caso però si deve tenere presente che, con grande affollamento, il flusso luminoso di

lampade ad altezze più basse si riduce a causa del grande numero di persone che passano davanti

alle lampade stesse.

Gli apparecchi autoalimentati per l’illuminazione di sicurezza sono di due tipi: permanenti e non

permanenti.

Negli apparecchi non permanenti, la lampada si accende solo in caso di mancanza di alimentazione

ordinaria; in caso di blackout essa viene alimentata dalla batteria di cui è dotata, la cui ricarica viene

assicurata automaticamente al ritorno della rete.

Negli apparecchi permanenti, la lampada può essere accesa in modo continuativo e la batteria è

mantenuta in carica durante il funzionamento ordinario dal dispositivo di autoalimentazione della

lampada. In assenza di energia di rete, il passaggio all’alimentazione a batteria avviene mediante

commutazione elettronica.

È importante tenere presente del tempo necessario alla ricarica delle batterie dopo ogni interruzione

di tensione della rete ordinaria.

Oltre alla sorveglianza della corretta attuazione delle misure precauzionali di esercizio svolta dagli

addetti antincendio, è necessario che sia garantita l’efficienza degli impianti e delle attrezzature

antincendio, mediante controlli periodici e regolare manutenzione nel rispetto delle disposizioni

legislative, delle norme tecniche e delle istruzioni fornite da fabbricanti e installatori (art. 4 DM

10/03/98).

Ancora una volta questa attività uno degli obblighi spettanti al datore di lavoro, che deve affidarli a

personale competente e qualificato (DM 10/03/98, art.3 co. 1, lett e) all. VI, p.to 6.4). Tale attività

esula dai compiti degli addetti antincendio.

In particolare devono essere garantiti:

• il funzionamento dell’illuminazione di sicurezza;

• l’efficienza dei mezzi (impianti o attrezzature manuali) d’estinzione degli incendi;

- la funzionalità dei sistemi di rilevazione e allarme in caso di incendio.

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Per l’impiego delle misure di protezione antincendio ci si avvale dell’utilizzo dell’apposita

segnaletica di sicurezza.

I segnali di salvataggio riportati nella diapositiva sono tratti dall’allegato XXV del DLgs 81/08.

Devono avere forma quadrata o rettangolare e pittogramma bianco su fondo verde (il verde deve

coprire almeno il 50% della superficie del cartello).

Anche gli esempi di cartelli per le attrezzature antincendio inseriti in questa diapositiva sono

tratti dall’allegato XXV del DLgs 81/08.

Devono avere forma quadrata o rettangolare e pittogramma bianco su fondo rosso (il rosso deve

coprire almeno il 50% della superficie del cartello).

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