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D DIRITTO T TRIBUTARIO PROF.SSA ANGELA MARIA PROTO

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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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Indice

1 IMPOSTE E TASSE ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4

2 I MONOPOLI FISCALI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 6

3 RISERVA DI LEGGE ART. 23 COST: ----------------------------------------------------------------------------------- 7

4 LE FONTI REGIONALI, COMUNALI E PROVINCIALI ----------------------------------------------------------- 8

5 FONTI COMUNITARIE ---------------------------------------------------------------------------------------------------- 10

6 RISERVA DI LEGGE E ANALOGIA ------------------------------------------------------------------------------------ 11

7 LA CAPACITÀ CONTRIBUTIVA: ART. 53 COST. ------------------------------------------------------------------ 12

8 L’EFFETTIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

9 L'ATTUALITÀ ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16

10 IL FISCAL DRAG ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 18

11 IL COLLEGAMENTO SOGGETTIVO ---------------------------------------------------------------------------------- 19

12 LA PROGRESSIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20

13 INTERESSE FISCALE ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 21

14 I SOGGETTI PASSIVI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 23

15 SOGGETTI PASSIVI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 26

16 LA SOLIDARIETÀ ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 29

17 LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI ----------------------------------------------------------------------------------- 35

18 DICHIARAZIONE DELLA PERSONA FISICA ----------------------------------------------------------------------- 42

19 DICHIARAZIONE DELLE PERSONE GIURIDICHE -------------------------------------------------------------- 44

20 IL SISTEMA DELLE AUTORIZZAZIONI ----------------------------------------------------------------------------- 53

21 FUNZIONE DELL’AUTORIZZAZIONE E SUOI EFFETTI ------------------------------------------------------- 57

22 LA REGOLA DEL CONTRADDITTORIO DISCIPLINATA DALL’ART. 12 DELLO STATUTO DEL

CONTRIBUENTE. ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 58

23 LE RICHIESTE DI DATI E NOTIZIE E GLI INVITI A COMPARIRE AL CONTRIBUENTE. ----------- 59

24 ACCESSI, ISPEZIONI E VERIFICHE: CONTENUTI E MODALITÀ DI ATTUAZIONE. ----------------- 62

25 DIRITTI E GARANZIE DEL CONTRIBUENTE SOTTOPOSTO A VERIFICHE ---------------------------- 66

26 L’ESERCIZIO DEI POTERI NEI CONFRONTI DI SOGGETTI DIVERSI DAL CONTRIBUENTE:

LIMITI E POSSIBILITÀ. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- 71

27 LE INDAGINI BANCARIE E IL SEGRETO BANCARIO. --------------------------------------------------------- 73

28 IL PROCEDIMENTO D’ACCERTAMENTO D’UFFICIO E IN RETTIFICA: ACCERTAMENTO

ANALITICO E SINTETICO. ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 85

2.1. METODI DI ACCERTAMENTO -------------------------------------------------------------------------------------------- 87 2.2. METODO ANALITICO ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 88 2.3. METODO SINTETICO ------------------------------------------------------------------------------------------------------ 89 2.4. REDDITOMETRO: --------------------------------------------------------------------------------------------------------- 90 2.5. ALTRE FORME DI ACCERTAMENTO SINTETICO ------------------------------------------------------------------------ 92 2.6. L’ACCERTAMENTO D’UFFICIO ------------------------------------------------------------------------------------------ 92 2.7. ACCERTAMENTO DEI REDDITI DETERMINATI IN BASE ALLE SCRITTURE CONTABILI. ------------------------------ 93

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2.8. ACCERTAMENTO ANALITICO-INDUTTIVO ------------------------------------------------------------------------------ 96 2.9. L’ACCERTAMENTO INDUTTIVO EXTRACONTABILE DEI REDDITI D’IMPRESA --------------------------------------- 99 2.10. GLI STUDI DI SETTORE ED IL VISTO DI CONFORMITÀ. --------------------------------------------------------------- 100 2.11. L'ACCERTAMENTO PARZIALE. ----------------------------------------------------------------------------------------- 102 2.12. L’ACCERTAMENTO INTEGRATIVO ------------------------------------------------------------------------------------ 105 2.13. L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE ----------------------------------------------------------------------------------- 105

29 LA MOTIVAZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 112

30 LA NOTIFICAZIONE ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 114

31 I VIZI DELL’ATTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 119

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1 Imposte e tasse La differenza tra imposte e tasse era generalmente incentrata sulla differenza tra servizi

divisibili e servizi indivisibili: di fronte all'onere derivante dall'erogazione di servizi divisibili, di

servizi cioè che sono fruibili da ciascuno uti singuli, lo Stato richiede all'utente la corresponsione di

una parte del costo, la tassa; al contrario per quei servizi che lo Stato eroga uti cives, il cittadini è

chiamato a corrispondere un contributo, sganciato da un rapporto di utilità, l'imposta.

Con il tempo questo criterio non è stato più valido, poiché lo Stato, fattosi carico di sempre

più numerosi servizi divisibili, ha avuto bisogno della corresponsione non solo di tasse, ma anche di

imposte per coprire quella parte di costi che le tasse non soddisfacevano a causa della gestione

politica del servizio.

Per quel che concerne le imposte, esse si caratterizzano per la causa legis, per la fonte di

legittimazione e per il titolo giustificativo.

Il loro scopo - causa legis- è quello di procacciare un'entrata allo Stato: tale scopo

differenzia le imposte dalle sanzioni, aventi invece un carattere meramente afflittivo).

La fonte di legittimazione va rinvenuta nella sovranità dello Stato.

Il titolo giustificativo può essere ravvisato invece nella capacità contributiva.

Se ne deduce che l’imposta può essere definita coma la prestazione che lo Stato è in grado di

imporre per procacciarsi un'entrata ed in forza della sua sovranità, al di fuori di un nesso di

corrispettività e giustificata dalla titolarità di capacità contributiva.

La tassa, invece,in origine era considerata come il corrispettivo per l'erogazione di servizi

divisibili.

A seguito del fenomeno già visto, alcuni autori hanno cominciato ad inquadrarla come un

onere, ma dell’onere è priva di un fattore fondamentale e cioè la sopportazione del sacrificio per il

proprio interesse e manca altresì l'incoercibilità.

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Secondo altri è un'obbligazione ex lege che lo Stato impone in forza della sua sovranità in

occasione dell'espletamento di un'attività che concerne in modo specifico il soggetto passivo, quindi

sganciata dal concetto di capacità contributiva.

Distinguiamo:

a) Tasse che si collegano all'esercizio di funzioni pubbliche: sono quelle prestazioni

che lo Stato richiede a fronte dell'esercizio di un potere che si traduce in un

provvedimento amministrativo o giurisdizionale. La fonte dell'obbligazione non è

ravvisabile in un rapporto contrattuale, ma solo nella legge che la collega all'atto

emanato. Tali tasse hanno natura commutativa e il titolo giustificativo è dato dallo

scambio di utilità. (a rigore quindi ogni qual volta lo scambio di utilità venga meno

per fatto dello Stato non si dovrebbe corrispondere neanche la tassa a differenza di

quanto avviene per l'imposta che è sempre dovuta in ogni caso indipendentemente

dai vantaggi che i singoli possono trarre)

b) Tasse dovute a fronte dell'erogazione di servizi pubblici: si tratta di alcuni servizi

erogati dallo Stato con carattere di esclusività, si è quindi fuori del campo delle

funzioni pubbliche e quindi dell'esercizio di poteri discrezionali ed autoritativi.

Secondo alcuni autori esse non sarebbero tasse bensì corrispettivi, perché è difficile

ravvisare la fonte di tale obbligazione nella legge e non nel rapporto contrattuale e

perchè esse in realtà danno vita ad un unico rapporto obbligatorio.

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2 I monopoli fiscali

Si parla di monopolio ogni qual volta un soggetto esercita un'attività con carattere di

esclusività nell'ambito di un determinato mercato.

Fra i monopoli dello Stato si distinguono i monopoli:

di diritto: introdotti per fini di utilità generale concernenti beni o servizi di

particolare interesse pubblico;

fiscali: introdotti al fine di procacciare un'entrata tributaria, fissando il prezzo

del bene o del servizio in misura superiore al normale profitto, risultando

sganciati dal principio di corrispettività e agganciati invece a quello di capacità

contributiva.

Sono in sostanza una vera e propria imposta.

Sussistono dei limiti costituzionali e dei limiti comunitari all’introduzione dei monopoli:

l'art. 43 Cost. ammette i monopoli solo per fini di utilità generale e in ipotesi tassative, per cui il

monopolio fiscale deve ritenersi legittimo solo negli stessi casi in cui è ammesso il monopolio di

diritto e in particolare nelle ipotesi in cui il monopolio non è giustificato da esigenze di diffusione

del servizio - e quindi di contenimento del costo - ma solo quando si giustifica per l'esigenza di

regolamentare una certa attività.

Per quel che concerne i limiti comunitari, il Trattato come noto sancisce la libertà di

concorrenza e che gli Stati membri procedano ad un progressivo riordino dei monopoli per

escludere ogni sorta di discriminazione.

Tali limiti comportano un ridimensionamento delle ipotesi monopolistiche.

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3 Riserva di legge art. 23 cost:

I principi costituzionali di immediata valenza in ambito tributario sono quello di riserva di

legge e di capacità contributiva.

Il principio sancito dall’art. 23 Cost. è nato come una sorta di limite al sovrano assoluto e nel

tempo si è affermato come forma di garanzia democratica.

La legge infatti nasce dal dibattito politico tra maggioranza e minoranza ed è espressione

popolare, sancendo quindi il principio di riserva di legge si rafforza il principio di legalità: la legge

legittima e dispone.

Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.

Per prestazioni si intendono solo quelle che si risolvono in una decurtazione patrimoniale e

che non costituiscono sanzioni penali a carattere pecuniario, prestazioni a contenuto negativo,

espropriazioni per pubblica utilità.

Per coattive si intende prestazioni imposte con un atto autoritativo.

L’ambito applicativo della norma circoscrive il concetto di legge alla legge in senso formale,

ai decreti legislativi e ai decreti legge.

La natura di tale riserva è relativa, vale a dire che copre solo gli elementi essenziali del

tributo (sogg. passivo; presupposto; base imponibile; aliquota massima). Non sono incluse le norme

che producono effetti a favore del contribuente e la disciplina dell’accertamento e riscossione.

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4 Le fonti regionali, comunali e provinciali

Accanto alle fonti parlamentari, occorre soffermarsi anche sulle altre fonti di carattere

regionale e comuniario.

Per quel che concerne le prime, con la riforma Minghetti del 1865 si era affermato il

principio di tendenziale separatezza della finanza locale dalla finanza statale, accresciuto con

l'introduzione dell'imposta di famiglia nel 1868.

Successivamente vi è stata un'inversione di tendenza dovuta alla mancanza di un disegno

unitario.

Con la riforma tributaria degli anni '70 si sono devoluti agli enti locali quote di tributi

erariali e non tributi propri.

Un'inversione di tendenza sembrerebbe esservi stata con la legge 142/90 che riconosce agli

enti locali l'autonomia impositiva, ma l'attuazione avutasi con la legge 421/92 ha corretto la portata

della 142, istituendo con legge statale l'ICI.

Per la finanza regionale, occorre distinguere le Regioni a statuto ordinario da quelle a statuto

speciale: per le seconde l'autonomia è sancita da leggi costituzionali con il limite di armonizzarsi ai

principi costituzionali.

Per le prime l’art. 119 prevede tributi propri e quote di tributi erariali nei limiti stabiliti dalle

leggi della Rep. La L. 281 del 1970 ha accolto un'interpretazione restrittiva individuando in modo

tassativo i tributi che può istituire la regione e i loro elementi essenziali, riservando al legislatore

regionale solo il gioco delle aliquote.

Tale orientamento è stato sovente criticato perchè la Costituzione riconosce alle regioni

autonomia di indirizzo politico che necessariamente implica l'autonomia finanziaria.

Questa significa:

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1. sufficienza delle entrate rispetto al fabbisogno;

2. libera determinazione delle spese.

Secondo parte della dottrina non necessariamente libera determinazione delle entrate.

Ma allora non avrebbe senso il riconoscimento di tributi propri?

Da tali controversie sono maturate le modifiche al titolo V della Costituzione introdotte con

legge cost. n. 3/2001 che ha avallato la potestà legislativa delle Regioni e la possibilità di applicare

tributi ed entrate proprie per gli enti locali.

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5 Fonti comunitarie

Oltre alle fonti interne, vanno considerate anche le fonti comunitarie che si distinguono in

fonti primarie e secondarie.

Hanno immediata valenza nel nostro sistema il divieto di discriminazione fiscale e i principi

relativi all’armonizzazione delle imposte indirette. Dalle fonti comunitarie è sorto l’obbligo di

istituire imposta su cifra di affari. Inoltre, lo Stato ha l’obbligo di recepire le direttive emanate in

ambito europeo e di adeguarsi alle pronunce della Corte di giustizia in materia di fiscalità diretta.

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6 Riserva di legge e analogia

In ambito tributario non si applica alle norme impositive quella forma di interpretazione nota

come analogia e tanto in ossequio al principio di legalità e tassatività, mentre ne sarebbe possibile

l'applicazione alle norme procedimentali e procedurali.

Le norme impositive sono infatti norme a fattispecie esclusiva, correlate cioè a situazioni di

fatto ben determinate.

Secondo alcuni autori però non tutte le norme impositive sono a fattispecie esclusiva, e in

ogni caso anche per le norme a fattispecie esclusiva sarebbe possibile che si creino similitudini.

La riserva è posta a tutela del contribuente e sancisce che fuori dei casi disciplinati dalla

legge resta fermo il principio di intangibilità della sfera personale e patrimoniale. Il ricorso

all’analogia non è inibito dalla esistenza di una riserva di legge, ma è precluso in radice, per difetto

del vuoto normativo. In assenza di una legge che impone la prestazione vige il principio suddetto di

intangibilità.

Così per le agevolazioni.

L'opinione tradizionale escludeva l’analogia facendo leva sulla natura eccezionale delle

norme agevolative, altri ritengono invece che poiché esse intervengono per derogare alla norma

impositiva, quando non sono previste dal legislatore è perché questi legislatore non ha voluto

operare una deroga, quindi manca il vuoto normativo presupposto per applicare l’analogia.

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7 La capacità contributiva: art. 53 Cost.

La genesi della norma va rinvenuta nell’art. 25 Statuto Albertino che prevedeva che tutti i

regnicoli contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato.

Nella versione attuale il concetto di cittadinanza è stato sostituito con quello di residenza;

non si adotta il concetto di proporzione ma di progressività; non si parla più di averi ma di capacità

contributiva.

L’art. 53 Cost., infatti, afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in

ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di

progressività”.

Sulla natura della norma sono state prospettate varie tesi.

Secondo alcuni trattasi di norma programmatica e non precettiva che pertanto non è

immediatamente vincolante.

Le prime interpretazioni riducevano la portata applicativa della norma: si ravvisava una

“scatola vuota”, o la mera proiezione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. (Questa

linea trova qualche nascosta adesione ancora nella giurisprudenza della Corte, che la ammanta

dietro la discrezionalità del legislatore)

Un’evoluzione di questa linea si è avuta sostenendo che il concetto di capacità contributiva

implica necessariamente l’imposizione di una forza economica (illegittime quindi le imposte che

non colpiscono fatti indicatori di forza economica).

Oggi si ritiene che nell’art. 53 si debba ravvisare il fondamento costituzionale della potestà

impositiva, indefettibile presupposto cui deve risultare collegato il prelievo impositivo il cui

substrato materiale è dato dalla forza economica del soggetto cui si accompagna una particolare

qualificazione derivante da:

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a) collegamento con l'art. 41: il prelievo non può spingersi fino ad incidere sulle fonti

produttive di ricchezza.

b) collegamento con l'art.2, con il principio di solidarietà.

c) effettività e attualità della capacità economica.

In sostanza, la prestazione tributaria non ha come fondamento un astratto potere di imperio,

né un mero rapporto commutativo, ma la capacità contributiva, principio che trova corrispondenza

nell'art. 4 (dovere di lavorare), e art. 2 (dovere inderogabile di solidarietà).

Tale principio ha una valenza autonoma e non resta assorbito nel principio di uguaglianza e

costituisce un limite ad ogni norma, anche procedimentale o processuale, che influisca sul concorso

alle spese pubbliche.

Per cui anche i poteri istruttori devono armonizzarsi con il principio di capacità contributiva

(es. di contrasto: norma che vieta in modo assoluto la testimonianza; l'interpretazione che esclude il

dovere di autoannullamento degli atti impositivi illegittimi).

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8 L’effettività

L’effettività della capacità contributiva riguarda il presupposto e la base imponibile e

comporta l’esclusione di presunzioni di carattere assoluto e l’esenzione del minimo vitale.

In ragione dell’effettività, l'aliquota non deve essere talmente elevata da tradursi in

un'espropriazione.

Deve realizzarsi una tassazione possibile: non deve esserci dilatazione eccessiva del carico

tributario del singolo contribuente.

L’imposizione non deve comunque ledere il minimo vitale (primum vivere, deinde

contribuere)

Il soggetto passivo può essere solo il titolare del fatto indice di capacità contributiva che può

disporne. Anche l'accertamento induttivo non può prescindere da argomentazioni logicamente

attendibili.

L'idoneità alla contribuzione deve essere effettiva e pertanto sono costituzionalmente

illegittime le norme che ancorano l'imposizione ad una base fittizia (es. cumulo dei redditi).

Ciò non comporta un assoluto divieto di utilizzare presunzioni, purchè esse siano non

irragionevoli e fondate su indici concretamente rivelatori di ricchezza, tenuto conto del normale

comportamento dei contribuenti e degli scopi che perseguono, all'ordinaria finalità degli atti in

esame.

Tuttavia l'interesse fiscale non può vanificare l'effettività della capacità contributiva per cui

deve sempre ammettersi la prova contraria.

Il condono (forma di presunzione) è ammesso solo per esigenze eccezionali e sempre che

non diventi una misura ciclica.

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L'effettività comporta che la tassazione avvenga al netto dei costi (eccetto i redditi di

capitale tassati al lordo).

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9 L'attualità

All'effettività deve accompagnarsi l'attualità: non esiste un divieto di leggi tributarie

retroattive, purchè tale retroattività non contrasti con altri precetti costituzionali.

Sono tollerabili sfasature temporali tra il momento del prelievo e quello del verificarsi del

presupposto, purchè il loro collegamento non sia spezzato. Per cui non è arbitrario ritenere, secondo

l'id quod plerumque accidit e in via del tutto provvisoria, che il reddito denunciato dal contribuente

per un periodo d'imposta si produca anche nei due esercizi successivi, permanendo la stessa fonte

produttiva.

Ma occorre:

- la provvisorietà

- la facoltà di prova contraria.

In sostanza, occorre verificare se al momento del pagamento dell’imposta permangono nella

sfera patrimoniale del contribuente gli effetti della capacità contribuente passata che si intendevano

colpire (la costituzione non vieta tributi retroattivi, a patto che siano razionali nel senso indicato ora:

Corte Cost n. 341/2000)

L'art. 53 fa riferimento alla disponibilità economica del soggetto passivo, ma non coincide

con essa poiché implica una valutazione della capacità economica e tale valutazione è data dall'art.

2 e dall'intero corpus costituzionale.

Infatti due uguali capacità economiche rappresentano diverse capacità contributive (reddito

da lavoro e da patrimonio)

Occorre tassare ogni forma di capacità contributiva, mentre non si possono tassare situazioni

che prescindono dal collegamento con la disponibilità reale economica.

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Le plurime tassazioni possono essere giustificate solo da una maggiore capacità contributiva

e sempre che non pongano in pericolo la permanenza dell'economica privata.

La tassazione non è reale ma personale (esenzione dal minimo).

Si è diffusa la prassi di determinare autoritativamente i redditi, esonerando l'ufficio

dall'onere della prova e limitando fortemente la prova contraria del contribuente. Tale sistema è

incompatibile con la capacità contributiva sotto il profilo dell’effettività.

L'utilizzo extrafiscale dell'imposta non costituisce deroga alla capacità contributiva, ma è

applicazione del principio di solidarietà che la qualifica. Su questa linea è ammissibile un

trattamento più gravoso di capacità economiche non utilizzate in conformità alle scelte di valore

della Costituzione (es. maggior tassazione della case sfitte).

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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10 Il fiscal drag

Un particolare problema è costituito dal cd. fiscal drag correlato a fenomeni inflattivi.

Si tratta di un inasprimento del prelievo tributario dovuto ad un aumento nominale della

base imponibile causato dall’inflazione.

Il Fiscal drag accentua i suoi effetti in caso di aliquote progressive, perché porta

all’inserimento dell’imponibile negli scaglioni più elevati [il problema era + vivo anni fa, con

l’inflazione elevata]

Alcuni sostenevano che la quota imputabile alla svalutazione monetaria non costituiva

reddito, per il rispetto dell’imposizione di una ricchezza effettiva.

Oggi la posizione maggioritaria non accetta l’autonomia della questione e ritiene che

l’inflazione vada ad incidere sul limite quantitativo al prelievo.

Il legislatore a fronte dell'aumento del prelievo può discrezionalmente intervenire o

modificando le aliquote o aumentando le detrazioni.

Il fiscal drag incide sulla capacità contributiva solo se, a causa di esso, si intacca il minimo

vitale o si traduca in uno strumento para espropriativo.

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11 Il collegamento soggettivo

La capacità contributiva si riferisce ad una qualità soggettiva consistente nell'idoneità

all'obbligazione impositiva. Chi è soggetto passivo? Qualsiasi soggetto che abbia disponibilità

economica (presuppone la capacità contributiva).

Normalmente si fa riferimento alla capacità civile del soggetto, ma la legge può anche

derogarvi.

Non si può parlare di una capacità contributiva della famiglia perché non ha un'autonoma

disponibilità del reddito.

Sostituto e responsabile d’imposta, come vedremo, intanto possono essere chiamati a pagare

in quanto siano in una situazione di fatto tale da assicurare l'effettività della rivalsa e quindi la

neutralità.

La rivalsa deve essere sempre obbligatoria con riferimento alla soggezione al prelievo, può

essere facoltativa con riferimento alla riscossione, per cui il privato è libero di scegliere i tempi e i

modi della rivalsa nonché la convenienza.

La solidarietà paritetica intanto è possibile in quanto i soggetti realizzino assieme il

presupposto, soltanto se a ciascuno è imputabile l'intera capacità contributiva.

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12 La progressività

L’art. 53 comma 2 accentua l’impronta solidaristica e redistributiva del prelievo tributario

assumendo a fondamento dell’imposizione il principio dell’utilità marginale decrescente del

reddito.

Si tratta di una disposizione non programmatica, ma precettiva. Tuttavia è difficile il

controllo di legittimità costituzionale, perché è il sistema nel suo complesso che deve risultare

progressivo (ma non si può portare al vaglio della Corte il sistema)

Si può quindi ragionevolmente ritenere che i principali (avendo riguardo alla latitudine del

presupposto e all’incidenza economica) tributi devono essere progressivi.

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13 Interesse fiscale

Si suole dire che l’art. 53 è fondamento dell’esigenza dell’Erario ad un sicuro e sollecito

pagamento dei tributi.

La riscossione del giusto tributo costituisce un interesse vitale per la collettività perché rende

possibile il regolare funzionamento dei servizi pubblici (Corte cost nn. 45/1963; 50/1965; 91/1974;

164/1975).

L’interesse fiscale giustificherebbe la semplicità nelle regole di determinazione dell’imposta

e di applicazione delle stesse, soprattutto in ambito di riscossione e accertamento.

Si suole anche dire che l’interesse fiscale giustifica la particolarità del diritto tributario

(Corte Cost.n. 283/1987): si configura così un diritto comune, consistente nel diritto civile (o nel

complesso dato dal diritto civile, diritto penale e diritto processuale civile), di cui le norme di diritto

tributario costituirebbero deroghe, giustificate dall’interesse fiscale.

L’interesse fiscale sarebbe così il parametro entro cui giustificare la particolarità del diritto

tributario (es. vicenda del solve et repete, la regola secondo cui il contribuente non poteva

impugnare giudizialmente l’atto impositivo prima di aver pagato l’imposta; la Corte Cost. Con sent.

n. 21/1961 lo dichiarò incostituzionale, perché neppure l’interesse fiscale poteva giustificare un

istituto di questo tipo).

In conclusione: (1) che esista un interesse fiscale della collettività è innegabile, ma si può

discutere che discenda dal 53: forse deriva da altre norme come art. 2 e 3 Cost.; (2) che esista un

diritto comune e che il diritto tributario sia un diritto particolare è tutto da dimostrare: anzi oggi

avviene una sempre più marcata espansione del diritto tributario; (3) l’interesse fiscale a ben vedere

non viene adoperato per un raffronto con altri settori dell’ordinamento, ma per giustificare o meno

alcuni istituti.

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Quindi merita considerare l’interesse fiscale come uno dei parametri entro cui valutare la

ragionevolezza degli istituti, senza opposizioni con la tutela del contribuente.

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14 I soggetti passivi

Il concetto di soggetto di diritto può essere apprezzato in forza della legittimazione alle

conseguenze e quindi si compendia nelle situazioni giuridiche che la legge riferisce ad una data

figura.

La soggettività fiscale in ordine ai suoi elementi integranti in nulla si differenzia dalla

soggettività generale, ciò che varia sono solo gli interessi e le situazioni oggettive - fatti - su cui

cade la qualificazione formale ed il contenuto delle condizioni presupposto determinate dalla legge.

La soggettività tributaria quindi è una categoria ideale che non si differenzia da altri modelli.

Ma sarebbe riduttivo affermare che essa corrisponde alla soggettività privatistica, perché la nozione

di soggettività prescinde dal settore normativo di studio, visto che il profilo della legittimazione alle

conseguenze giuridiche è suscettibile di essere colto in tutti i rami dell'ordinamento.

La soggettività giuridica è un modello verificabile solo in forza delle volizioni legislative

finalizzate a stabilire il rapporto intercorrente tra situazioni giuridiche ed entità variamente

individuate dall'ordinamento. Ai fini della qualificazione anche in diritto tributario si impone la

necessità di una verifica del rapporto che intercorre tra gli interessi e la situazione giuridica:

l'attribuzione della qualità di soggetto di diritto ad entità predeterminate discende solo dal

procedimento di astrazione della "realtà legale".

In passato alcuni autori (Berliri) negavano che i soggetti senza personalità fossero soggetti

passivi di diritto tributario, perché presupponendo la soggettività tributaria quella civilistica in

assenza della seconda non poteva riscontrarsi neanche la prima. Altri (Giannini) muovendo dall'idea

che la qualifica di soggetto passivo non richiedeva l'esistenza di una capacità generale giunsero ad

attribuire capacità giuridica speciale anche a figure non elevate dal legislatore privatistico a

fattispecie soggettive.

Nel tempo il riconoscimento della soggettività degli enti non riconosciuti ha trovato

consensi sempre maggiori, sul presupposto che il gruppo potesse costituire un'entità non

riconducibile ai singoli componenti.

Ciò non toglie che il diritto tributario si caratterizzi per la particolarità dei presupposti che

originano il vincolo obbligatorio e per le sue finalità, cosa che ha indotto alcuni autori (Fantozzi) a

ritenere che il legislatore tributario perviene ad identificare i soggetti passivi in maniera casistica,

avvenendo la ricerca a posteriore. In sostanza il legislatore è vincolato a riferire l'onere di imposta

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solo a coloro cui è imputabile la capacità contributiva ma ben può connettere obblighi in capo a

soggetti che non solo non sono titolari dell'obbligazione, ma che non sono configurabili come

soggetti neanche in termini privatistici.

Il diritto tributario si occupa delle società di capitali e di persone al pari delle organizzazioni

non riconducibili a modelli predeterminati.

Non sarebbe poi identificabile la capacità giuridica con la capacità contributiva: altro è

l'idoneità alla realizzazione dei propri interessi, altro è l'attitudine alla contribuzione che non

costituisce elemento della capacità giuridica ma è un aspetto concernente la legittimazione del

prelievo.

In teoria generale si assume che il soggetto è elemento della fattispecie tributaria (Ferlazzo

Natoli), ma occorre chiarire che il soggetto intanto può essere riportato al fatto solo in quanto abbia

con esso una relazione: il soggetto è punto di collegamento tra fatto condizionante ed effetto

giuridico, quindi non deve rientrare nella struttura interna della fattispecie, pur essendo elemento

della proposizione normativa che disciplina i fatti e determina gli effetti. L'integrazione di fatto

passa esclusivamente per un'attività e le situazioni giuridiche dipendenti dalla realizzazione di tali

attività esigono un centro ideale di riferimento. Si deve ammettere che il soggetto non è

riconducibile alla fattispecie ma è elemento indefettibile per l'integrazione della norma e per la

realizzazione della fattispecie. Nei rapporti tra diritto comune e tributario, il legislatore d'imposta

non incide direttamente né sulle condizioni di fatto, né sugli effetti caratterizzanti la disposizione

comune cui si riferisce, semmai interviene con specifiche previsioni al fine di apportare modifiche

allo schema normativo originario o di affiancare a questo, con autonomo procedimento di

qualificazione, elementi idonei al conseguimento delle proprie finalità. In riferimento alla

soggettività ciò equivale a dire che il riferimento a discipline già esistenti risponde all'esigenza di

trarre dal loro schema gli elementi suscettibili di connotare la soggettività in funzione del

presupposto di fatto dell'imposta e delle situazioni inerenti il rapporto tributario.

L'identificazione della soggettività passiva manifesta la propria utilità in quanto consente di

fotografare il fenomeno giuridico in cui si manifesta.

Alcuni autori (Allorio) ritennero di riservare la qualifica di soggetto passivo non a colui il

quale realizzava il presupposto d'imposta, ma al soggetto investito dell'obbligo del pagamento. Si

possono cioè avere dei soggetti che pur non realizzando il presupposto rimangono investiti

dell'effetto e rispetto a questo sarebbero soggetti passivi, e soggetti che pur realizzando il fatto

presupposto rimangono estranei all'obbligo d'imposta. Tale impostazione non è condivisa dall'A. la

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legge infatti riferisce in maniera costante la conseguenza connessa al presupposto alla figura che

realizza il presupposto stesso, anche se spesso confina la rilevanza dinamica dell'obbligazione ai

casi in cui l'intervento del terzo non soddisfi il credito dell'amministrazione.

Per verificare la soggettività e la terzietà occorre avere riguardo all'intero procedimento di

causalità.

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15 Soggetti passivi

Sono soggetti passivi di imposta non solo le persone fisiche o giuridiche ma anche le altre

organizzazioni, i consorzi e le associazioni non riconosciute. Inoltre va aggiunta la stabile

organizzazione in Italia di un imprenditore estero.

Non è soggetto passivo la famiglia, l'impresa familiare.

Una definizione normativa estraibile oggi dall’art. 64, 1° comma del D.P.R. 29 settembre

1973, n. 600: ai sensi del quale “ il sostituto è colui che, in forza di disposizioni di legge, è tenuto al

pagamento di imposte in luogo di altri per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di

acconto, con obbligo di rivalsa salvo che sia diversamente stabilito in modo espresso ”. Il sostituto1

è, di solito, una società (o altro ente o soggetto dotato di una certa organizzazione, come gli studi

professionali), che corrisponde redditi di capitale o di lavoro: quando esso eroga i redditi o i

compensi, deve operare una ritenuta, ossia è tenuto ad adempiere la sua obbligazione verso il

sostituito corrispondendo, non l’intera somma dovuta secondo le regole civilistiche, ma una minor

somma.

Si tratta, nella quasi generalità dei casi, di redditi, o di componenti reddituali; il

coinvolgimento del terzo, nell’attuazione del tributo, mediante imputazione ad esso di particolari

doveri, è per il fisco notevole garanzia che non vi sarà evasione, essendo il terzo in posizione

fiscalmente neutrale.

Ciò in quanto il sostituto è sì obbligato personalmente verso il fisco, ma ha anche il diritto-

dovere di “ trattenere ”, dalla somma che corrisponde al reddito, un importo pari alla somma di cui è

debitore verso il fisco.

Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti e i pensionati ed alcune particolari categorie di

lavoratori autonomi, considerato che tali soggetti subiscono una ritenuta d’acconto sostanzialmente

esaustiva del prelievo gravante sui medesimi, il legislatore tributario ha contemplato la possibilità di

assolvere l’obbligo di dichiarazione secondo una modalità alternativa.

Più in particolare, i possessori dei redditi di lavoro dipendente o assimilati o di redditi di

lavoro autonomo derivante da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, ancorché titolari

anche di altri redditi, secondo quanto previsto dal D. Lgs. 241 del 1997 e dal D.M. 164 del 1999,

possono richiedere al proprio datore di lavoro ovvero ad un CAF -dipendenti l’assistenza fiscale,-

attività che si concretizza, nell’assistenza alla predisposizione della dichiarazione, nella

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trasmissione della stessa e nel versamento delle imposte o erogazione dei rimborsi anche mediante

conguaglio con le ritenute applicate sui redditi corrisposti ai dipendenti medesimi.

I datori di lavoro hanno solo la facoltà di prestare assistenza fiscale per cui essi devono

comunicare la propria scelta ai dipendenti entro il 15 gennaio di ciascun anno.

L’altra categoria di soggetti coinvolti nel prelievo tributario è quella dei responsabili di

imposta.

Anche con riguardo a costoro esiste una definizione legislativa, contenuta nell’art. 643 d.p.r.

600/73, in forza della quale responsabile è colui che è tenuto al pagamento del tributo insieme con

altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi, nei confronti dei quali ha diritto di

rivalersi.

Tale definizione, al pari di quella concernente il sostituto, riflette l’ordine di idee corrente in

dottrina, la quale tende ad annoverare il responsabile fra i soggetti passivi di imposta: da un lato,

accomunando responsabile e sostituto sotto il profilo della loro estraneità al fatto indice di capacità

contributiva colpito dal tributo; dall’altro, distinguendo le due figure per ciò che il responsabile, a

differenza del sostituto, è tenuto al pagamento dell’imposta non in luogo del contribuente bensì in

aggiunta al medesimo.

In primo luogo, non possono considerarsi responsabili di imposta tutti quei soggetti che sono

titolari soltanto di obblighi formali e strumentali nei confronti dell’amministrazione finanziaria, ma

non sono tenuti in nessun caso al soddisfacimento alla prestazione impositiva; ciò che, viceversa,

costituisce fuori di ogni dubbio l’elemento caratterizzante dell’istituto in esame.

In secondo luogo, non sono neppure da annoverarsi fra i responsabili di imposta coloro che

autorevole dottrina ha qualificato come coobbligati solidali dipendenti limitati.

Trattasi, invero, di soggetti sui quali non incombe alcuna obbligazione, essendo i medesimi

semplicemente terzi esposti all’azione esecutiva del creditore su alcuni beni di loro proprietà gravati

da diritti reali di garanzia.

In conclusione, è dato affermare che la figura del responsabile ricorre tutte le volte in cui la

legge, allo scopo di meglio assicurare il soddisfacimento della pretesa erariale, chiama a rispondere

dell’adempimento del tributo, insieme con il soggetto passivo dell’imposta, altri soggetti ai quali

non è riferibile la fattispecie imponibile e che diventano pertanto titolari di una propria autonoma

obbligazione nei confronti della finanza.

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Naturalmente, come già rilevato per il sostituto, si appalesa decisiva al riguardo

l’individuazione del titolo giustificativo della prestazione che viene a gravare sul responsabile;

titolo che si diversifica dalla capacità contributiva e che occorre individuare specificamente, anche

al fine di stabilirne i limiti di compatibilità con i precetti costituzionali.

È chiaro anche come il responsabile d'imposta non ponga in essere il presupposto, ovvero

non è il soggetto che pone in essere la condizione manifestando capacità contributiva, anche se

spesso ha un ruolo importante nella creazione dello stesso. Infine ha diritto di rivalsa: ovvero ha il

diritto, la possibilità, di rivalersi con i principali obbligati dell'obbligazione tributaria per il

pagamento dei tributi che nascono da fatti e situazioni riferibili a questi soggetti, che invece hanno

posto in essere il presupposto manifestando capacità contributiva.

Differentemente da quanto avviene nella figura del Sostituto d'imposta, in cui il soggetto ha

l'obbligo di rivalsa, il responsabile se decide di non rivalersi sui soggetti debitori principali

dell'obbligazione tributaria, può farlo e facendolo non contrasta con l'art. 53 della Costituzione per

il quale tutti sono tenuti a contribuire alle spese pubbliche in ragione della loro capacità

contributiva.

Il contrasto non nasce poiché vi è un rapporto di solidarietà dipendente fra responsabile ed

obbligato principale, in forza del quale essendoci un rapporto trilatero (Amministrazione

Finanziaria, Soggetto passivo principale, Responsabile d'imposta) non importa quale dei soggetti

passive adempia l'obbligazione. L'amministrazione finanziaria in quanto soggetto attivo si ritiene

già soddisfatta dall'adempimento, chi ha poi effettivamente pagato e la regolamentazione di questo

aspetto riguarda i rapporti interpersonali dei soggetti.

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16 La solidarietà

Nel settore tributario non trova applicazione il regime di solidarietà attiva, infatti nessuna

norma dispone un vincolo solidale nel lato attivo dell'obbligazione, che come noto non si presume

ma deve essere espressamente pattuito. In diritto tributario inoltre non si può parlare di solidarietà

solo con riferimento agli obblighi strumentali, in quanto come previsto dagli artt. 1292 ss la

solidarietà è un istituto che attiene al rapporto obbligatorio propriamente inteso che si caratterizza

per avere ad oggetto una prestazione economicamente valutabile. Al più la solidarietà può ampliare

la propria applicazione se espressamente previsto dal legislatore, cosa che non è accaduta. Infatti

allorquando più soggetti sono chiamati ad adempiere agli obblighi strumentali manca poi il potere

di costringere uno qualsiasi ad adempiere al dovere formale, e ancora l'adempimento di uno

estingue l'obbligo nei rapporti esterni ed interni.

Pertanto di solidarietà può parlarsi solo con riferimento a quella passiva.

Il legislatore tributario ricorre alla solidarietà ogni qual volta intende attribuire ad unica

prestazione impositiva più soggetti obbligati, alle volte perché tutti titolari della capacità

contributiva avendo partecipato al presupposto d'imposta, altre volte anche se estranei alla capacità

contributiva.

Solidarietà paritetica:

si verifica ogni qual volta più soggetti sono tenuti in solido all'adempimento per avere

concorso a dar vita alla situazione fattuale assunta a presupposto.

Tale forma di solidarietà trova la sua ratio non più in esigenze di tutela e rafforzamento del

credito, ma in necessità di natura sostanziale, cioè di conciliare l'unicità della manifestazione di

capacità contributiva espressa dal presupposto con la pluralità di soggetti e di non violare il divieto

di doppia imposizione. Tale forma di solidarietà può verificarsi quindi solo con riferimento alle

imposte reali e non a quelle personali.

Le fattispecie previste dalla norma tributaria tuttavia destano perplessità : ad esempio la

solidarietà per l'INVIM tra alienanti si giustifica solo allorquando la contitolarità dell'immobile si

verifichi non solo all'atto del trasferimento, ma per l'intero periodo incrementativo. Molti

affermano che ciascuno partecipa all'atto pro quota e solo in relazione ad essa dovrebbe essere

responsabile.

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Solidarietà dipendente:

si verifica quando il legislatore dispone che all'obbligo di pagamento siano tenuti anche

soggetti diversi da quelli cui si riferisce il presupposto, in solido con questi ultimi, pur se estraneo.

Responsabile d'imposta.

Il vincolo di solidarietà intercorre tra soggetti che sono tenuti al pagamento in forza di due

fattispecie sostanziali diverse e in rapporto di pregiudizialità dipendenza tra loro, per cui l'una può

dirsi sussistente solo se sussiste l'altra. In tal caso la ratio va individuata nel rafforzamento delle

ragioni creditorie. Non sono soggetti passivi, ma garanti ope legis.

Disciplina:

e' stata sempre foriera di dubbi in merito ai limiti entro cui l'utilizzazione nel diritto

tributario di istituti elaborati in altre branche del diritto comporti e alla possibile trasposizione della

disciplina ivi prevista. Ci si domanda cioè se la solidarietà tributaria è o meno analoga a quella

prevista nel diritto civile.

Solidarietà paritetica.

Prima del 1968, la giurisprudenza riteneva che dovessero considerarsi sottratte alla

disciplina civilistica, in quanto ontologicamente diverse e per la loro natura pubblicistica indivisibili

e unitarie. Concepito il rapporto obbligatorio come unico dal legislatore tributario in modo unitario

andava definito, per cui ogni obbligato doveva ritenersi dotato di poteri di rappresentanza reciproca

durante tutto lo svolgimento del rapporto, per cui ciascun atto anche se rivolto solo ad uno o da uno

di essi era da ritenersi valido nei confronti degli altri. Era la teoria della supersolidarietà tributaria,

manifestamente favorevole al fisco. Era una teoria arbitraria sia rispetto alla pretesa autonomia delle

obbligazioni tributarie rispetto alle civili sia rispetto alla pretesa rappresentanza reciproca, con la

conseguenza aberrante che la notifica di un avviso di accertamento ad uno solo dei coobbligati

valeva ai fini dell'impugnazione anche per gli altri. La Corte cost. ne ha dichiarato

l'incostituzionalità.

Venuta meno la tesi dell'autonomia, la giurisprudenza si è uniformata alla tesi della

soggezione alla medesima disciplina dettata nel codice civile. Per cui tali obbligazioni sono

costituite da un fascio di rapporti obbligatori soggettivamente distinti, seppur accomunati da identità

di titolo, per cui ogni obbligato può gestire autonomamente il suo rapporto, con l'avvertenza che i

singoli atti potranno estendersi agli altri solo se favorevoli. L'effettiva applicazione di tali regole

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tuttavia desta notevoli problemi, per le riserve di ordine costituzionali e le difficoltà di

coordinamento sistematico, data anche la struttura impugnatoria del processo tributario e dai termini

di decadenza ivi vigenti.

Una volta affermatosi il postulato dell'estensione della disciplina civilistica della solidarietà,

il dibattito sulle problematiche che tale estensione comporta è stato diversamente affrontato a

seconda dell'impostazione costitutivistica o meno. I fautori della teoria dichiarativa hanno sostenuto

la piena legittimità di procedere alla notificazione dell'avviso di accertamento ad uno o ad alcuni

soltanto dei coobbligati, poiché la solidarietà comporta che il creditore possa avanzare la propria

pretesa per l'intero nei confronti anche di uno solo. Al contrario alcuni sostenitori della teoria

costitutiva, individuando la genesi dell'obbligazione nell'avviso di accertamento, hanno sostenuto

l'estraneità dell'obbligazione tributaria alla sfera di applicazione degli artt. 1292 ss., ritenendo che

l'art. 53 imponesse la partecipazione in contraddittorio di tutti i coobbligati, cui va notificato

l'avviso di accertamento. Tale necessità si impone anche per salvaguardare l'azione di regresso. La

giurisprudenza oggi è ormai orientata definitivamente per la teoria dichiarativa con ciò ritenendo

applicabile la disciplina civilistica della solidarietà ad ogni fase di svolgimento del rapporto

d'imposta, compreso l'accertamento. Di qui: il pieno riconoscimento della notifica anche ad uno

solo dei coobbligati, con la precisazione che l'atto deve ritenersi produttivo di effetti solo nei suoi

confronti; la radicale esclusione del litisconsorzio necessario, qualora un solo soggetto proponga

ricorso; ciascun coobbligato può definire il rapporto come meglio crede nei confronti dell'erario,

salva la facoltà di avvalersi degli effetti favorevoli dell'attività difensiva posta in essere da altri

coobbligati.

Alla luce di tali considerazioni, deve ritenersi che la validità e l'efficacia dell'atto

limitatamente ad un soggetto non comporta alcuna ripercussione in ordine al diritto di costui ad

agire successivamente in regresso nei confronti degli altri che non abbiano ricevuto la notifica

dell'atto. Ciò nonostante, per l'obbligato unico notificato che, pagata l'imposta si rivalga pro quota

nei confronti degli altri, resta pur sempre il problema dell'inopponibilità a questi ultimi del giudicato

a suo carico e dell'accertamento definitivo, dovendosi pertanto innanzi al giudice ordinario

ridiscutere l'an e il quantum del tributo con il rischio di giudicati contrastanti tra G.O. e comm. Trib.

La Cassazione ha pertanto indicato come soluzione dal problema di vedersi opposte eccezioni sul

rapporto d'imposta, la chiamata nel giudizio innanzi la Commissione. Senonchè sembrano da

condividere le perplessità della dottrina riguardanti i tempi e le modalità tecniche dell'esperimento

della chiamata nel processo tributario, inoltre anche a voler superare tali dubbi resterebbe il

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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problema della carenza di interesse ad agire, nonché ad intervenire, in capo al soggetto chiamato in

causa che non abbia ricevuto l'avviso.

L'orientamento attuale prevede inoltre che la notifica dell'avviso ad uno solo importa la

decadenza per l'erario dalla pretesa nei confronti degli altri, poiché l'atto spiega effetti solo nei

confronti dei soggetti cui sia stato notificato. Più volte per la verità la giurisprudenza avrebbe voluto

applicare a tale ipotesi di decadenza le stesse norme previste per la prescrizione, ovvero che

l'interruzione operata nei confronti di uno vale nei confronti di tutti, operando una sorta di

meccanismo di rimessione in termini a favore dell'erario, ma tale orientamento va senz'altro

condannato. Infatti tutti gli altri condebitori in tal modo sarebbero potenziali destinatari dell'avviso

senza alcun limite di tempo. Ecco perché alcuni hanno affermato che la supersolidarietà uscita dalla

porta è rientrata dalla finestra.

Il sistema tributario è improntato a rigide prescrizioni e vi è una chiara distinzione tra

decadenza e prescrizione.

Analizzato il caso della notifica ad uno solo dei coobbligati, resta ancora da analizzare la

fattispecie in cui la notifica sia pervenuta a tutti i condebitori.

Ciascun debitore in tal caso ha una propria autonomia difensiva, con radicale esclusione di

qualunque prospettiva necessariamente litisconsortile. Ciò comporta la possibilità di accertamenti

definitivi difformi di quell'unica capacità contributiva, in una sorta di privatizzazione del debito

d'imposta. Inoltre il giudicato formatosi tra creditore ed uno dei debitori è inopponibile agli altri che

potranno giovarsene se favorevole e non fondato su ragioni personali, purchè non siano già formati

a loro carico precedenti giudicati preclusivi sullo stesso oggetto. In merito a tale problema

l'Amministrazione finanziaria con l'avallo di parte della giurisprudenza ha ritenuto che non possano

usufruire degli effetti del giudicato favorevole anche i coobbligati che non hanno impugnato

tempestivamente l'avviso, oltre quelli per i quali si sia verificato il giudicato, per cui spesso l'onere

economico finirà per gravare sul condebitore acquiescente, poiché gli altri citati per il regresso ben

potranno opporgli il loro giudicato favorevole.

Cosa accade poi se pendenti giudizi di impugnazione un altro condebitore adempie la

prestazione? In diritto civile, l'obbligazione si estingue, così anche in diritto tributario dovrebbe

verificarsi la declaratoria di estinzione dei giudizi in corso. Ma la sede in cui verificare l'esistenza

del rapporto d'imposta è solo quella della Commissione per cui non sembra condivisibile che venga

meno l'interesse alla prosecuzione del giudizio.

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La stessa Amm.ne riconosce che il contribuente ha un vero diritto alla prosecuzione del

giudizio. Ecco nuovamente una forma di privatizzazione del contenzioso tributario, proseguendo il

giudizio nel totale disinteresse del fisco ai soli fini di salvaguardare il ricorrente dall'azione di

regresso.

Data tale prassi amministrativa e giurisprudenziale la dottrina ha inteso sottolineare come la

diversificazione del trattamento fiscale dei singoli coobbligati comporti gravi ripercussioni al

sistema tributario, anche sotto il profilo costituzionale. Infatti vi è solidarietà tra gli obbligati perché

partecipano ad unica manifestazione di capacità contributiva, per cui risulta poi in conflitto ex art. 3

e 53 un difforme accertamento dell'obbligazione tributaria.

Negli orientamenti più recenti della giurisprudenza si tenta di negare efficacia preclusiva

all'atto divenuto definitivo nei confronti dei condebitori acquiescenti che pertanto potranno

usufruire degli effetti favorevoli dell'altrui giudicato, anche attraverso la proposizione del ricorso

contro gli atti di liquidazione e riscossione. si è sancito inoltre un vero e proprio dovere di

autocorrezione in capo all'Amm.ne ex art. 97, per cui essa non dovrebbe coltivare azioni basate su

atti impositivi riconosciuti illegittimi. Ma quanto una tale soluzione è rispettosa della struttura

impugnatoria del processo tributario e del meccanismo delle decadenze preclusive. Inoltre tale

utilizzabilità sarebbe in ogni caso preclusa quando gli atti di riscossione nei confronti di uno

avvengano prima che vi sia il giudicato favorevole sul ricorso presentato dall'altro, non potendosi in

questo caso raggiungersi l'uniformità.

Orbene constata la inidoneità della disciplina civilistica della solidarietà ad assicurare una

definizione uniforme del rapporto obbligatorio e la gravità di tale situazione inducono sempre più a

riflettere sull'opportunità di applicare gli artt. 1292 ss alle obbligazioni tributarie. Molta

giurisprudenza infatti si orienta oggi per l'applicazione delle norme in tema di litisconsorzio

necessario. Ma a tale soluzione si oppongono due considerazioni: 1) la ricostruzione della

fattispecie come un fascio di rapporti obbligatori distinti e l'insussistenza quindi del legame di cui

all'art. 102 c.p.c.; 2) la qualifica di solidale comporta subito l'applicabilità delle norme di cui agli

artt. 1292 ss. l'unica prospettiva auspicabile è di un intervento ad hoc del legislatore che preveda

espressamente la necessità del litisconsorzio.

Solidarietà dipendente:

e' diffusa in dottrina la convinzione per cui le norme di cui agli artt. 1292 e ss si applichino

solo all'ipotesi di solidarietà paritetica e non a quella dipendente, soggetta a regole peculiari dovute

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al nesso di pregiudizialità - dipendenza. Tradizionalmente si ritiene che il coobbligato dipendente

possa contestare solo i presupposti specifici della propria responsabilità, dovendo per il resto subire

gli effetti degli atti che definiscono il rapporto d'imposta in capo al debitore principale, salva la

possibilità di esperire intervento adesivo dipendente. Inoltre il debitore dipendente può essere

assoggettato ad esecuzione sulla scorta di atti intestati all'obbligato principale, con ciò risultando

destinatario del solo avviso di mora. Infatti proprio l'avviso di mora sarebbe l'atto attraverso la cui

impugnazione sarebbe consentito a quest'ultimo debitore di adire le Commissioni per contestare la

propria personale responsabilità.

Di recente si sono fatte più insistenti le voci di coloro che ritengono necessario un autonomo

atto di imposizione nei confronti dei coobbligati dipendenti e di un successivo titolo esecutivo,

negando l'efficacia ultrasoggettiva degli atti notificati al debitore principale e qualunque effetto

preclusivo conseguente. Di qui il conforme assoggettamento anche di tali fattispecie alle norme di

cui agli artt. 1292 ss.

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17 La dichiarazione dei redditi

L’impostazione dell’accertamento tributario, fin dalle prime opere negli anni '30 con

riferimento ai tributi diretti riscossi in base a ruolo e solo subordinatamente con riferimento anche ai

tributi indiretti sui trasferimenti e sugli scambi, ha indotto la dottrina a considerare normale ed a

modellare su di essa la costruzione teorica. Questo meccanismo di applicazione dei tributi diretti è

imperniato sulla dichiarazione, necessariamente e generalmente verificata, sul successivo avviso di

accertamento e sulla conseguente iscrizione a ruolo.

Il legislatore impone al contribuente una serie di comportamenti aggiuntivi rispetto al

verificarsi del presupposto, finalizzati sempre alla corretta acquisizione del tributo1. L’accertamento

da parte del fisco consiste allora nel controllo del corretto adempimento di tutti gli obblighi sostanziali

e strumentali imposti al contribuente, che possono anche non condurre ad una obbligazione

tributaria.l’art. L del D. P. R. 29 settembre 1973, n. 600, sancisce l’obbligo del soggetto passivo di

imposta2 di denunciare all’autorità finanziaria la situazione di fatto, che dà luogo al tributo, con

l’indicazione degli elementi necessari3 alla determinazione del debito di imposta.

1 Gli obblighi del contribuente relativamente all’accertamento sono: Dichiarazione delle

persone fisiche ( artt. 2 e s D. P. R. 600/73 ); Dichiarazione delle persone giuridiche(artt. 4 e 5 D. P.

R. 600/73 ); Dichiarazione delle società di persone ( art. D. P. R. 600/73 ); Dichiarazione e

modifiche ( art.12 D. P. R. 600/73 ) e art 3 D. P. R. 322/1998. 2 Il soggetto passivo dell'imposta è colui su cui grava l’obbligo di pagare il tributo e la

conseguente responsabilità per l’eventuale violazione di tale obbligo, soggetto passivo è il

contribuente. Nelle leggi Tributarie, la parola contribuente indica il debitore dell'imposta o più in

generale, il soggetto passivo di obblighi verso il fisco. Talvolta è usato nel senso di obbligato

principale, ossia di soggetto che ha realizzato il presupposto del tributo, in contrapposizione ad altri

obbligati che non hanno realizzato il presupposto del tributo. Ogni contribuente anche se virtuale,

“ossia ogni soggetto che possa diventare soggetto passivo di obblighi verso il fisco ” ha un codice e

un domicilio fiscale. Esso è iscritto nell’ Anagrafe Tributaria nella quale sono infatti iscritte “ le

persone fisiche, le persone giuridiche e le società, associazioni ed altre organizzazioni di persone e

di beni prive di personalità giuridica ”, cui si riferiscono dette notizie, “ che possono comunque

assumere rilevanza ai fini fiscali ”; contribuente è dunque ogni soggetto iscritto o iscrivibile all’

Anagrafe ovvero ogni soggetto la cui esistenza è fiscalmente rilevante. 3 Il verificarsi del presupposto previsto dalla legge segna il momento in cui si instaura il

rapporto giuridico d’imposta. Nella struttura di questo rapporto si possono ravvisare alcuni elementi

essenziali che sono sempre presenti in qualunque tipo d'imposta: il soggetto attivo, il soggetto

passivo. Il soggetto attivo dell’imposta è lo Stato o altro ente pubblico cui spetta il diritto di

accertare; riscuotere e incassare l’imposta.

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La dichiarazione dei redditi è un obbligo fondamentale e primario teso a favorire il

procedimento di accertamento dei redditi in modo che, facilitando la determinazione del tributo e

agevolandone la riscossione, nessuno sfugga all’adempimento della sua obbligazione tributaria.

Certamente l’istituto della dichiarazione, pur comune a molti tributi, ha la sua applicazione più

rilevante nel campo della imposizione diretta.

La dichiarazione dei redditi, secondo il citato art. L D. P. R. N. 600/1973, è obbligatoria: per

le persone fisiche, giuridiche, dotate o prive di personalità giuridica. Ciò sta a significare il dovere del

contribuente di rendere la dichiarazione anche quando i fatti rappresentati ed i dati riportati non

costituiscono una entità economica tassabile, cioè non si concretano in una vera e propria prestazione.

A tal proposito il secondo capoverso del citato articolo precisa che tutti i soggetti obbligati alla tenuta

di scritture contabili, elencati nel successivo art. 13 D. P. R. N. 600/1973, devono comunque

presentare la dichiarazione anche in mancanza di redditi e, quindi, obbligo assoluto hanno:

A. le società soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche;

B. gli enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all’imposta sul reddito delle

persone giuridiche, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività

commerciali;

C. le società in nome collettivo, le società in accomandita semplice e le società ad esse

equiparate ai sensi dell’art. 5 del T. U. I. D. 22 dicembre 1986, n. 917;

D. le persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’art 51 del T. U. I.

D.;

E. le persone fisiche che esercitano arti e professioni, ai sensi dell’art. 49, 1° e 2° comma,

del tu. Imp. Dir. Indicato alla precedente lettera c);

F. le società o associazioni fra artisti e professionisti di cui all’art. 5, lettera c), del T. U. I.

D.;

G. gli enti pubblici e privati diversi dalle società, soggetti all’imposta sul reddito delle

persone giuridiche, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di

attività commerciali.

Sono invece espressamente esonerate dalla presentazione della dichiarazione le persone

fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili che:

a. non possiedono alcun reddito;

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b. possiedono solo redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta,

nonché redditi fondiari lordi non superiori a euro 185,92 annui;

c. possiedono solo redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta

ed il solo reddito fondiario relativo all’abitazione principale purché questo non

sia superiore alla deduzione prevista dall’art. 34 T. U. I. R.;

d. possiedono un reddito complessivo per il quale la differenza fra l’imposta lorda

e le detrazioni di cui agli artt. 12 e 13 del T. U. I. R. Nonché le ritenute

scomputabili dall’imposta non sia superiore a euro 10,33.

È da notare, peraltro, che nei casi di esonero prima indicati i contribuenti hanno pur sempre la

possibilità di presentare la dichiarazione la quale, in tal caso, assume il carattere di atto facoltativo e

non di atto dovuto.

Tra i soggetti tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi (ossia dei soggetti

passivi del tributo o contribuenti di diritto), vi è il cosiddetto sostituto d’imposta. Ove il sostituito si

avvalga dell’ assistenza fiscale del proprio datore di lavoro, egli dovrà consegnare al medesimo, entro

il 30 aprile dell’ anno successivo a quello cui si riferisce la dichiarazione, un’ apposita dichiarazione

sottoscritta contenente tutti gli elementi relativi agli eventuali e diversi redditi posseduti, agli oneri

deducibili e quant’altro sia necessario per la determinazione del reddito imponibile e per la

liquidazione dell’imposta, il datore di lavoro che presti assistenza fiscale, a sua volta, riceverà la

dichiarazione e ne dovrà controllare la regolarità formale ed integrarla con le ritenute effettuate. Entro

il 15 giugno di ciascun anno, questi dovrà poi rilasciare al proprio dipendente copia della

dichiarazione, liquidare l’imposta, nonché effettuare il conseguente conguaglio rispetto alle ritenute

d’acconto da lui stesso operate ed ai versamenti d’acconto eseguiti da altri sostituti; conguaglio da

eseguirsi in sede di effettuazione e versamento delle ritenute relative alla retribuzione dovuta nel mese

di luglio dell’anno in corso. Deve, inoltre, presentare le dichiarazioni dei propri dipendenti entro il 30

settembre di ogni anno.

Nel caso in cui il sostituito si avvalga dell’ assistenza fiscale di un CAF -dipendenti, egli potrà

presentare al medesimo la propria dichiarazione, secondo le modalità viste per il caso dell’ assistenza

fiscale prestata dal sostituto ma entro il termine del 31 maggio dell’ anno successivo a quello cui si

riferisce la dichiarazione, ovvero chiedere la collaborazione del CAF ai fini della predisposizione

della dichiarazione stessa. La copia della dichiarazione - previa l’esecuzione del controlli formali

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posti a carico anche dei sostituti - sarà consegnata al contribuente entro il 20 giugno di ciascun anno

ed inviata all’ amministrazione finanziaria per via telematica entro il 30 settembre. Nel medesimo

termine del 20 giugno, inoltre, il CAF-dipendenti deve inviare al sostituto una copia della

dichiarazione affinché questi ne tenga conto per l’effettuazione delle operazioni di conguaglio la cui

esecuzione deve avvenire, entro il 31 luglio.

Sotto il profilo contenutistico della dichiarazione annuale dei redditi, deve innanzi tutto

indicare una serie di dati idonei ad identificare correttamente il contribuente: in specie, quanto alle

persone fisiche, le generalità, il comune di residenza, lo stato civile, etc.; per i restanti soggetti, “ la

natura giuridica, la denominazione o ragione sociale, ” la sede legale, etc.

La dichiarazione, inoltre, deve contenere:

A) l’indicazione degli elementi attivi e passivi ai fini della determinazione della base

imponibile, ivi compresi gli oneri deducibili, nonché di tutti quelli necessari ai fini della

determinazione dell’imposta dovuta. Devono, inoltre, essere indicati i dati necessari per

l’effettuazione dei controlli e quelli richiesti dal modello di dichiarazione dei redditi, con l’esclusione

di quelli che l’amministrazione è in grado di acquisire direttamente.

B) La liquidazione dell’imposta o delle imposte conseguentemente dovute a seguito

dell’introduzione dell’obbligo per il contribuente di provvedere, contestualmente alla presentazione

della dichiarazione, al versamento del tributo corrispondente all’imponibile (artt. 16 e 17 della L. 2

dicembre 1975, n. 576). La dichiarazione delle persone fisiche e dei soggetti IRPEG è destinata a

contenere la liquidazione dell’irpef o dell’irpeg, quella delle società e associazioni di cui all’ art. 5 del

T. U. I. R. Reca esclusivamente la determinazione della base imponibile e delle quote di reddito

attribuibili a ciascun socio; ed infatti, il peculiare meccanismo d’imposizione previsto per i redditi

prodotti da siffatte strutture associative comporta l’imputazione dei redditi direttamente in capo ai

soci ai fini IRPEF o IRPEG, senza alcun prelievo a carico dell’ ente che, pertanto, sotto questo profilo

risulta carente di soggettività passiva tributaria.

C) Il contenuto della dichiarazione dei redditi si è ulteriormente ampliato e diversificato. In

particolare, con la L. 4 agosto 1990, n°. 27, è stato introdotto l’obbligo di esporre in dichiarazione

tanto l’ammontare dei trasferimenti da e verso l’estero effettuati in corso d’anno, quanto gli

investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti all’ estero; con l’art. 5 del D. Lgs. 21 novembre

1997, n. 461 è stata invece prevista l’esposizione in dichiarazione delle singole plusvalenze e

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minusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni, di titoli rappresentativi di merci, di valute, di

partecipazioni ad organismi di investimento collettivo, di metalli preziosi allo stato grezzo, ovvero

derivanti dalla cessione o dalla chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale nonché dei redditi

derivanti dai contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati realizzati nel periodo d’imposta

ad opera dei contribuenti i quali non abbiano optato per l’applicazione dell’imposta sostitutiva sui

redditi.

D) Nella dichiarazione, inoltre, trovano posto una serie sempre più numerosa di

determinazioni volitive concernenti a volte il sistema di tassazione; altre volte i criteri di

determinazione della base imponibile; altre volte ancora, i risultati della liquidazione dell’imposta con

particolare riguardo alle modalità di spendita del credito eventualmente risultante dalla medesima

mediante la scelta fra rimborso immediato, riporto agli esercizi successivi del computo di esso,

ovvero, all’interno dei gruppi societari, cessione dello stesso a favore di altra società del gruppo ai

sensi dell’art. 43-ter D.P.R. 602/73. A seguito del D. Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, la dichiarazione è

divenuta anche il mezzo attraverso il quale esercitare tanto la scelta in ordine alla rateazione dei debiti

d’imposta, quanto quella afferente la destinazione degli eventuali crediti d’imposta risultanti dalla

dichiarazione in compensazione dei futuri debiti relativi ad una pluralità di tributi nonché ai contributi

previdenziali.

E) La dichiarazione dei redditi è, ancora, deputata ad accogliere una particolare tipologia di

determinazioni volitive. E, infatti, con l’art. 47 della legge 20 maggio 1985, n. 222 nonché con le

successive leggi che hanno approvato le intese fra lo Stato e le confessioni religiose previste dall’ art.

8 Cost., si è previsto che i contribuenti possano esprimere in sede di dichiarazione la propria scelta in

ordine a chi debba essere destinatario della quota dell’otto per mille dell’irpef destinata, nel bilancio

dello Stato, ad un insieme di finalità di tipo umanitario e solidaristico e al sostentamento del clero

cattolico. Inoltre, con la L. 2 gennaio 1997, n. 2 è stata introdotta la possibilità per i contribuenti di

destinare il quattro per mille dell’imposta netta risultate dalla propria dichiarazione al finanziamento

dei partiti e dei movimenti politici.

F) I contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare presentano la “

dichiarazione unificata annuale ” che è un atto a contenuto plurimo, comprendente: la dichiarazione

dei redditi, la dichiarazione IRAP, la dichiarazione del sostituto d’imposta e la dichiarazione IVA.

G) Infine, deve essere segnalato come nella dichiarazione dei redditi confluiscono anche

particolari dichiarazioni di terzi. Si tratta del visto di conformità, dell’ asseverazione e della

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certificazione tributaria. Il visto di conformità e 1’asseverazione possono essere rilasciate dai CAF o

dai soggetti abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni. La certificazione tributaria è

invece emessa solo dagli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti

commerciali e dei consulenti del lavoro con almeno 5 anni di anzianità. In particolare: a) il visto di

conformità certifica la corrispondenza delle dichiarazioni alla documentazione e alle risultanze delle

scritture contabili, nonché di queste ultime alla relativa documentazione contabile;

B) l’asseverazione indica che gli elementi contabili ed extracontabili comunicati all’

amministrazione finanziaria e rilevanti ai fini dell’ applicazione degli studi di settore corrispondono a

quelli risultanti dalle scritture contabili e da altra documentazione idonea;

La certificazione tributaria, infine, attesta l’esatta applicazione delle norme tributarie

sostanziali e l’esito positivo dei controlli stabiliti annualmente con decreto del Ministro delle finanze

la cui effettuazione è demandata ai soggetti abilitati a rilasciare la certificazione stessa; questa, inoltre,

può essere rilasciata solo in presenza del visto di conformità e della asseverazione.

Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano ovvero

raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con il D.Lgs.

241/97 non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati dai contribuenti

perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente ove questi ne faccia richiesta. Fra questi si

ricordano in particolare:

- per le persone fisiche che esercitano imprese commerciali: il bilancio nonché, se da

quest’ultimo non emergono gli elementi necessari per la determinazione del reddito d’impresa, un

apposito prospetto da cui risultino tali dati;

- per i soggetti IRPEG: il bilancio o il rendiconto con i relativi verbali e le relazioni cui sono

tenuti per legge o per statuto;

c) In generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta; i documenti che

comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri deducibili

o detraibili nonché ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero delle finanze in forza

del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.

La dichiarazione deve essere redatta, a pena di nullità, su stampati conformi ai modelli

approvati annualmente con decreto dirigenziale.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Il modello standard è detto “Unico”, ma vi è anche un modello semplificato (mod.

730), destinato ai lavoratori dipendenti (e pensionati), che si avvalgono dell’ assistenza del

datore di lavoro (o ente pensionistico) o di un Caf.

La dichiarazione deve essere sottoscritta dal contribuente o da chi ne ha la

rappresentanza legale o negoziale; in caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, la

dichiarazione deve essere sottoscritta dal rappresentante legale o, in mancanza dal

rappresentante di fatto o da un rappresentante negoziale (per le società ed i soggetti passivi

IRPEG presso i quali esiste un organo di controllo, la dichiarazione deve essere so ttoscritta

anche dai componenti del medesimo o dal presidente se trattasi di organo collegiale, senza

che peraltro l’eventuale omissione generi la nullità della dichiarazione). Il difetto di

sottoscrizione è peraltro suscettibile di sanatoria4 entro trenta giorni dal ricevimento

dell’invito in tal senso da parte dell’ufficio.

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(L. 22.04.1941/n. 633)

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18 Dichiarazione della persona fisica

La dichiarazione dei redditi deve essere necessariamente redatta in forma scritta,

servendosi di modelli approvati con decreto del Ministro delle Finanze pubblicato sulla

Gazzetta Ufficiale (art. 8 D.P.R. n. 600/1973). Se si dovesse seguire alla lettera il disposto

legislativo, ogni dichiarazione presentata su stampato non conforme ai modelli approvati

dovrebbe ritenersi nulla.

La dichiarazione delle persone fisiche, oltre agli elementi attivi e passivi necessari per

la individuazione della base imponibile e la conseguente determinazione dell’ammonta re della

imposta dovuta, deve contenere le generalità, il comune di iscrizione anagrafica e, se dive rso,

quello di domicilio fiscale, nonché la denominazione della ditta, se il contribuente è

imprenditore, ed il luogo dove sono tenute e conservate le scritture contabili prescritte (art. 2

D.P.R. n. 600/1973).

Nella dichiarazione dev’essere indicata non solo la base imponibile, ma anche

l’imposta. Nella dichiarazione IRPEF devono essere indicati non solo i redditi (singoli redditi

e reddito complessivo), ma anche gli “ oneri deducibili, ” l’imposta lorda, le detrazioni

dall’imposta, l’imposta netta, le ritenute e i versamenti d’acconto, i crediti d’imposta e,

infine, il saldo finale (somma da versare o credito). La dichiarazione dei redditi è dunque un

atto, il cui contenuto è vario e complesso, in relazione alle molteplici funzioni che assolve.

La dichiarazione è anche la sede nella quale si esercitano delle opzioni: la scelta del

regime di contabilità; la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti d’imposta; l’opzione

in materia di tassazione separata, ecc.

Nella dichiarazione devono essere indicati i trasferimenti da e verso l’estero e la

disponibilità di investimento all’estero.

Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano

ovvero raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con

il D. Lgs. 241/97, non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati

dai contribuenti, perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente, ove questi ne

faccia richiesta. Fra questi si ricordano in particolare:

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per le persone fisiche che esercitano imprese commerciali: il bilancio, nonché, se da

quest’ultimo non emergono gli elementi necessari per la determinazione del reddito

d’impresa, un apposito prospetto da cui risultino tali dati.

in generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta, i documenti che

comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri

deducibili o detraibili ed ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero delle

finanze in forza del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.

Altra opzione da effettuare in dichiarazione concerne la destinazione dell’otto per

mille alla Chiesa Cattolica o ad altra confessione religiosa.

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19 Dichiarazione delle persone giuridiche

La dichiarazione delle persone giuridiche deve essere:

a) redatta su appositi moduli, conformi a quelli approvati annualmente con

provvedimento amministrativo;

b) sottoscritta dal contribuente o da chi ne ha la rappresentanza legale o negoziale.

In caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, la dichiarazione deve essere

sottoscritta dal rappresentante legale o, in mancanza dal rappresentante di fatto o da un

rappresentante negoziale. Il difetto di sottoscrizione è peraltro suscettibile di sanatoria entro

trenta giorni dal ricevimento dell’invito in tal senso da parte dell’ufficio.

La dichiarazione dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, oltre a

quanto stabilito nel secondo comma dell’art. 1, deve indicare la natura giuridica, la

denominazione o la ragione sociale, le generalità di almeno un rappresentante, la sede legale

o, in mancanza, la sede amministrativa, il domicilio fiscale, l’indirizzo, l’oggetto delle

attività, il luogo o i luoghi in cui sono tenute e conservate le scritture contabili prescritte dal

D.P.R. n. 600/1973 e da altre disposizioni, nonché il codice fiscale ai sensi dell’art. 4 D.L. 30

gennaio 1976, n. 8 (convertito in I. 27 marzo 1976, n. 60). Le società od enti che non hanno

sede legale o amministrativa nel territorio dello Stato devono indicare l’indirizzo della stabile

organizzazione nel territorio stesso, in quanto vi sia, e, in ogni caso, le generalità e l’indirizzo

in Italia di un rappresentante per i rapporti tributari (art. 4, 2° comma D.P.R. n. 600/1973).

Devono, inoltre, essere indicati i canoni spettanti al soggetto per i fabbricati dati in locazione

ed ogni altro elemento richiesto nel modello di dichiarazione di cui all’art. 8 dello stesso

decreto (art. 4, ultimo comma D.P.R. n. 600/1973).

Alla dichiarazione devono essere allegati, tra gli altri (art. 2, D.P.R. n. 600/1973):

l’elenco nominativo degli amministratori o, in mancanza, l’elenco di coloro che rispondono

personalmente delle obbligazioni del soggetto, con l’indicazione del comune di residenza

anagrafica e dell’indirizzo di ciascuno.

Gli artt. 3 e 5 del D.P.R. 600/73 prevedono, inoltre, che i contribuenti predispongano

ovvero raccolgano alcuni ulteriori documenti che, tuttavia, a seguito della novella operata con

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il D. Lgs. 241/97, non devono più essere allegati alla dichiarazione, ma soltanto conservati

dai contribuenti, perché li esibiscano o trasmettano all’ufficio competente, ove questi ne

faccia richiesta. Fra questi si ricordano in particolare:

- per i soggetti IRPEG: il bilancio o il rendiconto con i relativi verbali e le relazioni cui

sono tenuti per legge o per statuto;

- in generale: la copia delle certificazioni dei sostituti d’imposta; i documenti che

comprovano i crediti d’imposta, i versamenti eseguiti, l’esistenza e l’ammontare degli oneri

deducibili o detraibili nonché ogni altro documento specificamente richiesto dal Ministero

delle finanze in forza del potere regolamentare all’uopo attribuitogli.

La dichiarazione è anche la sede nella quale si esercitano delle opzioni6: la scelta del

regime di contabilità; la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti d’imposta; l’opzione

in materia di tassazione separata.

Alcune componenti del reddito d’impresa consentono delle opzioni, in materia di:

- rateizzazione delle plusvalenze realizzate;

- sopravvenienze attive costituite da contributi o liberalità;

- quantificazione degli ammortamenti;

- spese per studi e ricerche e per pubblicità e propaganda.

Per effetto di tali opzioni, la base imponibile e l’imposta non sono solo predeterminate

dalla legge, ma dipendenti anche da scelte del contribuente, il quale concorre, quindi, a

determinare il quantum del tributo.

Le dichiarazioni presentate entro novanta giorni dalla scadenza del termine sono valide

a tutti gli effetti, salva l’applicazione delle sanzioni pecuniarie per omessa dichiarazione,

nella misura peraltro ridotta pari ad un ottavo del minimo; le dichiarazioni che, invece, sono

state presentate con un ritardo superiore si considerano omesse a tutti gli effetti, pur

costituendo titolo per la riscossione dell’imposta che ne risulta dovuta.

Quanto alle modalità di presentazione, la disciplina originaria prevedeva il ricorso ai

metodi tradizionali di trasmissione dei documenti: la consegna (che poteva avvenire presso

l’ufficio destinatario o presso il Comune di residenza) ovvero la spedizione a mezzo posta.

Tale forma di presentazione risulta oggi circoscritta ai soli casi in cui la dichiarazione venga

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inviata dall’estero (e ciò indipendentemente dal fatto che il contribuente sia ivi residente): in

queste ipotesi il modulo è inviato direttamente all’agenzia delle entrate tramite servizio

postale, e quindi manca la fase di trasposizione del suo contenuto in formato elettronico che

oggi caratterizza la generalità delle forme di trasmissione ed è collocata in un momento

anteriore al ricevimento della dichiarazione da parte del destinatario.

A decorrere dal 1997, infatti, la disciplina è stata sensibilmente innovata introducendo

la possibilità di effettuare la trasmissione attraverso le tecniche rese disponibili dalla

telematica e ciò con il duplice obiettivo di semplificare gli adempimenti del contribuente e di

accelerare e migliorare il processo di acquisizione dei dati contenuti in dichiarazione da parte

dell’ Amministrazione finanziaria. Inizialmente, la trasmissione telematica fu circondata da

alcune cautele; in particolare, fu riconosciuta solo ad alcuni soggetti l’abilitazione ad

effettuare la materiale trasmissione per via telematica e si obbligano gli altri contribuenti,

tenuti alla presentazione della dichiarazione, ad avvalersi di tali soggetti abilitati. Di qui un

duplice ordine di conseguenze che, in parte, si riflettono, quantomeno a livello terminologico,

sull’ attuale assetto: per un verso, la previsione di una distinzione fra “intermediari abilitati ”

a trasmettere la dichiarazione per via telematica e la generalità degli altri contribuenti; per

l’altro la distinzione della trasmissione in due fasi, costituite dalla presentazione vera e

propria (consistente nella consegna del modulo della dichiarazione al soggetto abilitato a

riceverla) e dalla trasmissione per via telematica.

Sebbene sia ancora attribuita a tutti i contribuenti la facoltà di presentare la

dichiarazione trasmettendola indirettamente attraverso gli intermediari abilitati, questa

modalità non rappresenta più la forma esclusiva di presentazione per alcuni di essi, essendo

stata generalizzata la facoltà di trasmissione in via diretta, con la sola differenza che per

alcuni contribuenti la trasmissione può essere effettuata con il servizio telematico Entratel;

per gli altri, la trasmissione può essere effettuata la dichiarazione solo avvalendosi del

servizio telematico Internet.

Come anticipato, la trasmissione indiretta costituisce, quindi, solo un’alternativa alla

presentazione e trasmissione diretta (attraverso il servizio telematico Entratel o quello

Internet a seconda dei casi) riconosciuta alla generalità dei contribuenti i quali, in questa

ipotesi, dovranno avvalersi degli intermediari abilitati. Questi ultimi possono essere

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competenti alla trasmissione della dichiarazione per la generalità dei contribuenti; in altri

casi, tali intermediari possono avere una competenza limitata per alcuni soggetti soltanto.

Correlativamente alla generalizzazione della possibilità di trasmettere la dichiarazione

in via telematica, è in larga parte venuta meno la distinzione fra una fase di “ presentazione ”

della dichiarazione ed una di “ trasmissione ”. Le due attività, infatti, risultano formalmente e

sostanzialmente coincidenti tutte le volte in cui la trasmissione sia diretta.

Esse sono, invece, distinte allorché il contribuente effettua la trasmissione in modo

indiretto, ossia avvalendosi di un intermediario abilitato. Tuttavia, il legislatore ha inteso

distinguere a seconda che l’incarico di trasmissione venga affidato a una banca o ad un ufficio

della Poste Italiane s.p.a., da quelle in cui l’incarico sia attribuito ad un altro dei soggetti

abilitati. Nel primo caso, la mera presentazione ha efficacia liberatoria, talché ai fini della

verifica della tempestività della presentazione ha rilievo la ricevuta rilasciata da uno dei

predetti incaricati e, correlativamente, sono stabiliti per tale presentazione termini distinti da

quelli previsti per la trasmissione diretta. Nel secondo caso, invece, la data rilevante è quella

dell’ effettiva ricezione da parte dell’ agenzia delle entrate, talché, da un lato, i termini di

presentazione coincidono con quelli di trasmissione in via diretta (rilevando, in definitiva,

non il momento della consegna della dichiarazione all’intermediario, ma quello della

trasmissione); dall’altro lato, la prova della presentazione è costituita non dalla ricevuta

rilasciata dall’intermediario all’ atto della consegna (che ha valore solo nei rapporti interni fra

i due soggetti), ma dalla comunicazione dell’ avvenuto ricevimento che 1’agenzia delle

entrate trasmette all’intermediario e che questi deve consegnare al contribuente entro trenta

giorni dal termine di presentazione.

I termini per la presentazione delle dichiarazioni sono, come si è detto, differenziati a

seconda che il contribuente abbia provveduto alla trasmissione telematica in via diretta o

indiretta, ovvero abbia affidato la dichiarazione ad una banca o ad un ufficio della Poste

Italiane s.p.a.

Nel primo caso, la dichiarazione deve essere presentata, per le persone fisiche ed i

soggetti di cui all’ art. 5 T.U.I.R., entro il 31 ottobre di ciascun anno successivo a quello per

cui la dichiarazione deve essere presentata; per i soggetti di cui all’ art. 87 T.U.I.R., entro

l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.

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Nel secondo caso, la dichiarazione dovrà essere presentata, rispettivamente, tra il 1°

maggio ed il 31 luglio, ovvero entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di

chiusura del periodo d’imposta.

Secondo quanto precisato dallo stesso art. 2, le dichiarazioni presentate entro novanta

giorni dalla scadenza del termine sono valide a tutti gli effetti, salva l’applicazione delle

sanzioni pecuniarie per omessa dichiarazione ridotte ad un ottavo del minimo; le dichiarazioni

che, viceversa, siano state presentate con ritardo superiore a novanta giorni sono considerate

omesse a tutti gli effetti, pur costituendo titolo per la riscossione delle imposte dovute in base

agli imponibili indicati.

Occorre poi ricordare che l’art. 13, comma primo, lett. b) del D. Lgs. 472/97,

disciplina il c.d. ravvedimento operoso, che costituisce una particolare circostanza attenuante

della sanzione amministrativa prevista per l’ipotesi di infedele dichiarazione. In particolare, la

sanzione per infedele dichiarazione è ridotta ad un sesto del minimo ove gli errori e le

omissioni commessi siano regolarizzati mediante la presentazione di una dichiarazione

integrativa. Quest’ultima, tuttavia, non può essere presentata senza limiti di tempo,

prevedendosi, per un verso, che il ravvedimento non abbia effetto ove venga posto in essere

successivamente all’inizio di attività istruttorie nei confronti del contribuente e, per un altro

verso, che esso debba aver luogo entro il termine per la presentazione della dichiarazione dei

redditi relativa all’ anno nel corso del quale è stata commessa la violazione.

Tra i temi i più stimolanti del diritto tributario, quello concernente i termini e le

modalità di correzione della dichiarazione tributaria è ancor oggi oggetto di un intenso

dibattito sia a livello dottrinale sia - soprattutto - a livello giurisprudenziale.

Volendo essere più espliciti, ci si è domandati se la dichiarazione sia un negozio o una

mera dichiarazione di scienza; e la risposta al quesito, ad opera della dottrina e della

giurisprudenza prevalenti, è stata a favore della seconda alternativa. Un’ulteriore questione,

ripetutamente affrontata, attiene alla efficacia confessoria o meno attribuibile all ’atto in

esame; questione cui è stata data soluzione negativa da coloro che hanno optato per la tesi

della dichiarazione di scienza, e, spesso, facendo leva proprio su quest’ultima connotazione.

Parimenti, l’asserita natura non negoziale (sebbene di scienza) ha indotto i più a sostenere che

la dichiarazione tributaria possa essere liberamente revocata o rettificata, salvi gli ostacoli

rinvenibili sul terreno dell’esercizio dei rimedi intesi a conseguire simile risultato.

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L’opinione maggioritaria, sia a livello dottrinale sia giurisprudenziale, almeno se si

guarda alla terminologia impiegata, è quella che la denuncia fiscale rappresenti una

dichiarazione di scienza, un atto con il quale il contribuente porta a conoscenza

dell’amministrazione l’esistenza di alcuni fatti a cui la legge ricollega l’insorgenza

dell’obbligazione tributaria3. Con essa, il contribuente determina l’imponibile e di norma

anche l’imposta. Quanto esposto in dichiarazione costituisce titolo per la riscossione, per cui

in mancanza dell’adempimento spontaneo da parte del dichiarante, l’amministrazione può

“anzi deve ” procedere alla riscossione coattiva dell’imposta.

Partendo da tale configurazione, alcuni autori si sono spinti ad integrare ulteriormente

la definizione: così è stato detto che la dichiarazione tributaria è una dichiarazione assertiva

avente contenuto puramente comunicativo, ovvero una dichiarazione di scienza qualificata,

ovvero ancora una figura per molti aspetti simile all’ammissione.

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I poteri istruttori:

Fondamenti e limiti costituzionali.

La «fase istruttoria» dell’accertamento tributario si svolge allorquando gli uffici accertatori,

in collaborazione con la guardia di finanza, esaminano gli adempimenti posti a carico dei

contribuenti4.

Gli uffici accertatori, con l’ausilio della guardia di finanza, organo dotato tra l’altro di funzioni

di polizia tributaria5, hanno la facoltà di interferire nella sfera giuridica dei contribuenti o di altri

soggetti, pubblici o privati, al fine di reperire la documentazione e gli atti a rilevanza tributaria.

Da ciò l’esigenza, per l’amministrazione finanziaria, di poteri autoritativi al fine d’imporre a

tali soggetti di collaborare fornendo gli elementi necessari, o per procurarseli direttamente svolgendo

ricerche nei locali utilizzati dagli indagati, consultando o sequestrando documenti e registri in loro

possesso, ecc.6

La regolamentazione di simili poteri è contenuta nel d.p.r. n. 633/72 e nel d.p.r. n. 600/73,

rispettivamente in materia d’iva e d’imposte dirette, i quali prevedono gli strumenti mediante i quali

l’amministrazione finanziaria e la guardia di finanza sono legittimati ad agire7.

La costituzione pone al potere di imposizione due importanti limiti: uno di carattere

sostanziale, posto dall’art. 53 cost., l’altro di carattere formale, contenuto nell’art. 23 cost.8.

4

Secondo l’ex art. 10 comma 3 della legge 212/2000, non dovrebbero essere più irrogate sanzioni quando l’infrazione

alla legge tributaria si risolve in una violazione meramente formale, ovvero sia senza alcun debito di imposta. Sul punto,

vd. ALEMANNO L. - RICCA F., Violazioni formali addio?, in Corr. trib., 2000, pp. 3056 e ss. 5

Nel senso che l’accertamento tributario presuppone una previa fase di controllo, conclusasi con l’acquisizione della

prova di una violazione. 6

Cfr. SANTAMARIA B., Le ispezioni tributarie, Milano, 2000, pp. 26 e ss., per l’individuazione degli effetti dei

poteri nell’imposizione di obblighi di facere (per esempio fornire notizie) dare (per esempio trasmettere documenti) e

pati (per esempio consentire ispezioni). 7

In questo senso è corretto parlare di “poteri istruttori”, pervenendo così alla distinzione fra fase istruttoria e fase di

accertamento; in particolare, mentre l’attività istruttoria o ispettiva tende all’acquisizione di conoscenze, l’accertamento,

invece, si basa sulla diversa esigenza di determinare l’imposta dovuta. 8 Cfr. DE MITA E., Principi di diritto tributario, Milano 1999, pp. 77 e ss.

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L’art. 53, infatti, affermando che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in

ragione della loro capacità contributiva», istituisce il fondamento ma anche il limite dell’attività

d’imposizione, nel senso che, da un lato non vi può essere «imposizione senza capacità contributiva»,

dall’altro non si può «chiedere ad un soggetto un concorso superiore a quello che ragionevolmente sia

consentito dalla sua capacità contributiva».

L’art. 23 disponendo, invece, che «nessuna prestazione può essere imposta se non in base

alla legge», introduce un principio di legalità, rectius di riserva relativa di legge, secondo il quale

l’imposta deve essere prevista dalla legge (riserva di legge) non in tutti i suoi elementi (relatività della

riserva) ma solo nei suoi elementi fondamentali.

Ruolo primario ricoprono nel momento dell’istituzione e dell’esercizio dei poteri istruttori,

anche quei diritti costituzionali che si collocano sull’altro piatto della bilancia rispetto all’interesse

collettivo alla realizzazione del concorso equo e generalizzato alla spesa pubblica9: diritto della libertà

personale, di domicilio, di corrispondenza. Su tali diritti civili sono destinati ad incidere i mezzi di

indagine di cui è dotata l’amministrazione finanziaria in materia di imposte sui redditi e d’iva, mezzi

che consistono, da un lato, nel potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche nei locali, di compiere

perquisizioni sulle persone, di aprire coattivamente plichi, buste, casseforti, ecc.; dall’altro lato, nella

potestà di richiedere dati, notizie e documenti e di invitare i contribuenti a comparire presso gli uffici

dei verificatori.

Non è da escludere che l’esercizio di tali poteri possa collidere con altri diritti

costituzionalmente garantiti quali, ad esempio, la libertà di iniziativa economica, il diritto di proprietà

e la libertà di circolazione e soggiorno. Si pensi, ad esempio, ad un’ispezione presso i locali destinati

all’esercizio di un’attività commerciale o presso un’abitazione, il cui protrarsi può ostacolare

l’esercizio dell’attività economica o, di fatto, obbligare il contribuente a presenziare all’attività

investigativa impedendogli di recarsi altrove.

L’esercizio dei poteri istruttori si traduce nel compimento di atti o attività che consentono

all’amministrazione finanziaria di acquisire la conoscenza di fatti giuridicamente rilevanti attinenti

alla «sfera tributaria» di un determinato soggetto. Al compimento di tali atti o attività può essere

correlato un obbligo di pati (nel caso di provvedimenti che determinano una coercitiva invasione o

limitazione della sfera di libertà del soggetto passivo) ovvero un obbligo di collaborazione (nelle

ipotesi di prestazioni personali imposte, ordini e divieti, al cui inadempimento sono di norma

associate sanzioni dirette o indirette). In tutti questi casi, nei quali sono in gioco fondamentali libertà

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della persona destinataria delle indagini o di singoli atti di essa, si pone il problema di tracciare i limiti

di tangibilità delle libertà di volta in volta interessate, tenuto conto del fatto che esse sono oggetto di

particolare attenzione, sotto il profilo garantistico, da parte della costituzione.

Occorre osservare che le norme costituzionali, in generale, e quelle tributarie, in particolare,

prevedono alcune misure di garanzia volte tendenzialmente a puntualizzare i confini di

giustificabilità, liceità o legittimità del sacrificio delle situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, il

che consente, specularmente, di circoscrivere il raggio d’azione dei poteri istruttori attribuiti

all’amministrazione finanziaria (basti pensare al regime delle autorizzazioni cui soggiacciono taluni

poteri particolarmente incisivi, come le perquisizioni personali e gli accessi domiciliari).

Quanto ai soggetti passivi di un’indagine tributaria, essi possono identificarsi nel contribuente

destinatario dell’azione ispettiva ovvero in soggetti terzi qualificati dal fatto di detenere, anche solo

potenzialmente, informazioni concernenti il medesimo contribuente10

.

L’esercizio dei poteri ispettivi lesivi delle libertà costituzionali fondamentali, sarà legittimo

solo se viene svolto dopo una accurata e critica comparazione fra due ordini di interessi contrastanti

quali le libertà individuali da un lato e la ragione fiscale dall’altro. Il soggetto passivo, dal suo canto,

anche nel caso in cui si valuti l’opportunità di attuare un’indagine nei suoi confronti e

conseguentemente di lederne le posizioni giuridiche soggettive, non resterà sfornito di tutela, dovendo

l’autorità finanziaria rispettare il principio di legalità, secondo il quale all’amministrazione finanziaria

possono esser riconosciuti soltanto i poteri che la legge le attribuisce e nei limiti da questa previsti.

9 Cfr. VIOTTO A., I Poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2002, pp. 11 e ss. 10 Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, Milano, 1997, pp. 54 e ss.

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20 Il sistema delle autorizzazioni

I poteri istruttori quali accessi, ricerche, ispezioni, verifiche e sequestri, sono a tal punto

invasivi la sfera dei diritti individuali di libertà del contribuente, tanto da far ritenere che tali poteri

dovrebbero costituire, non fosse altro per economia di tempi ed efficienza amministrativa, l’extrema

ratio dell’attività di controllo degli organi dell’amministrazione finanziaria, con ciò intendendo che

sarebbe auspicabile che il loro esercizio fosse subordinato al preventivo esperimento di tutti i mezzi di

indagini ordinari, e quindi gli inviti, i questionari e le richieste di chiarimenti, nonché alla manifesta

inidoneità o insufficienza di detti mezzi. Non vi è alcuna ragione, ad esempio, perché l’ufficio

disponga un accesso ispettivo, quando sia sufficiente una semplice richiesta di dati o, la convocazione

del contribuente all’ufficio per ottenere informazioni o chiarimenti.

D’altra parte, lo stesso legislatore della riforma tributaria degli anni settanta, riconoscendone il

carattere di pesante ingerenza, ha ritenuto di tutelare i diritti e le libertà dei singoli, con una serie di

tassative condizioni di applicabilità di detti poteri, disciplinate all’art. 33 del d.p.r. 600/1973, in

materia di imposte dirette, il quale a sua volta rinvia all’art. 52 del d.p.r. 633/1972, in materia di iva.

Così, per effetto di tali leggi, è possibile procedere ad un accesso, ad una verifica o ispezione senza

cadere in vizi di procedimento se e solo se l’autorità procedente sia munita di un’apposita

autorizzazione. Le autorizzazioni in tema di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del

contribuente indagato e dei terzi11

, sono previste dall’art. 52 del d.p.r. n. 633. In particolare, la

disposizione dell’art. 52 richiede che per l’esecuzione degli accessi, nonché per l’effettuazione

all’interno dei locali delle altre attività istruttorie, gli impiegati dell’amministrazione debbano sempre

11

Non è scontato chiedersi se tra i «locali» in questione possano essere compresi anche gli autoveicoli ed i

natanti di cui una persona abbia la disponibilità. Il dubbio potrebbe sorgere dalla lettura del comma 8 dell’art. 52, il

quale richiama genericamente «le disposizioni dei commi precedenti», quando si tratta di eseguire verifiche e ricerche

relative a merci o altri beni viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti al trasporto per conto terzi. Invero la disposizione

potrebbe essere interpretata come limitativa del potere di eseguire verifiche e ricerche sui soli veicoli e natanti adibiti al

trasporto per conto terzi, secondo il seguente ragionamento a contrariis: se le disposizione che regolano i poteri di

accesso, ispezione e verifica sono state richiamate soltanto con riferimento a certi tipi di mezzi di trasporto, ciò significa

che, per gli altri, il legislatore non ha voluto che le stesse disposizioni trovassero applicazione e dunque ha voluto

escludere che i poteri di indagine in esse disciplinati venissero adottati. Contro tale impostazione si potrebbe tuttavia

obiettare che gli autoveicoli, come pure gli aeromobili e le imbarcazioni, possono essere assimilati ai locali o ricompresi

in un concetto ampio di locali. In tal senso è orientato anche GAFFURI A.M., Appunti sul potere di accesso degli Uffici

finanziari, in Rass. trib., 2000, pp. 523 e ss.

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previamente dotarsi di un’apposita autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono12

.

In alcuni casi, è richiesta anche l’autorizzazione del procuratore della repubblica.

A) per l’accesso nei locali adibiti ad attività commerciali o agricole e per l’accesso in locali

adibiti ad attività di lavoro autonomo, è sufficiente, ad esempio, l’autorizzazione del capo dell’ufficio.

B) nel caso di accesso in locali destinati all’esercizio di arti e professioni, è richiesta la

presenza del titolare dello studio o di un suo delegato. Ma per l’esame di documenti e la richiesta di

notizie per cui venga eccepito il segreto professionale, si esige l’autorizzazione del procuratore della

repubblica.

C) per l’accesso nelle abitazioni private e nei locali destinati all’esercizio di attività

commerciali, industriali, agricole e adibiti anche ad abitazione1314

, si richiede oltre all’autorizzazione

del capo dell’ufficio anche l’autorizzazione del procuratore della repubblica, che può essere concessa

soltanto in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, ed allo scopo di reperire libri,

registri, documenti e altre prove delle violazioni. In ossequio, dunque, tanto alla tutela del domicilio

quanto alla tutela degli interessi fiscali, l’accesso nelle abitazioni per motivi fiscali è consentito solo

in presenza di due presupposti, uno sostanziale (gravi indizi di violazioni) ed uno formale

(autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria). La graduazione che emerge dall’esame delle

disposizioni disvela, dunque, l’intento del legislatore ad introdurre dei filtri sempre più selettivi alle

intromissioni nella sfera della libertà domiciliare15

, in corrispondenza con l’aumento del grado di

intimità riconosciuto ai locali del soggetto sottoposto all’indagine e con l’opportunità di assicurare

una maggior protezione ai luoghi in cui si svolge la vita familiare ovvero nei quali vengono esercitate

altre libertà costituzionalmente garantite, quali quelle di riunione, di associazione e di professione

della fede religiosa.

12 In origine, per accedere nei locali adibiti all’esercizio di un arte o una professione era prevista, oltre

all’autorizzazione del Capo dell’Ufficio, anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, la cui funzione, come

chiarito dalla stessa Relazione ministeriale allo schema del D.P.R. n. 633/1972, era riconducibile all’esigenza di tutela

della riservatezza «il cui rispetto trova inoltre una più specifica tutela nell’obbligo del segreto tassativamente sancito

nell’art. 66» (c.d. segreto d’ufficio). Tale originaria formulazione dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 è stata novellata

dall’art. 18, comma 2, lett. h, della legge n. 413/1991 che ha eliminato, nelle ipotesi di accesso presso studi

professionali, la previsione dell’autorizzazione preventiva da parte del procuratore della Repubblica. 13 Ritiene in proposito la Corte di Cassazione, sent. 27/10/1998, n. 10664, in www.ilsole24ore.com, che «l’uso

promiscuo si verifichi non solo nella ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita

familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta la agevole possibilità di comunicazione interna consente il

trasferimento dei documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi». 14 Tra i locali cui si riferisce l’art. 52, comma 2, del D.P.R. n. 633, si potranno dunque annoverare quelli adibiti

esclusivamente ad abitazione, quelli destinati ad essere sedi di associazioni ed enti non commerciali, circoli ricreativi,

comitati, organizzazioni religiose, organizzazioni sindacali, partiti e movimenti politici, ecc. 15 Cfr. VIOTTO A., I poteri di indagine dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 269 e ss.

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D) in questa stessa logica si spiega altresì l’autorizzazione del magistrato necessaria per

procedere, nel corso dell’accesso16

, a perquisizioni personali ed all’apertura coattiva di pieghi

sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, atteso che trattasi di indagini che riguardano

direttamente le persone fisiche oppure luoghi ed oggetti normalmente considerati intimi e riservati.

Qui, a differenza di quanto avviene per gli accessi domiciliari, l’autorizzazione giudiziale è necessaria

per garantire l’aderenza della disposizione legislativa rispetto al dettato costituzionale che prescrive

che le limitazioni alla libertà personale e alla segretezza della corrispondenza, al pari di quelle

restrizioni della libertà domiciliare che sono caratterizzate da una più evidente coercitività17

, siano

disposte con atto motivato dell’autorità giudiziaria. La motivazione costituisce, quindi, indispensabile

presupposto per la validità dell’autorizzazione e, di conseguenza, per la legittimità stessa

dell’intervento.

Quel che va rilevato è che, diversamente dall’ipotesi delle ispezioni domiciliari, non è qui

richiesta (espressamente almeno) la sussistenza dei «gravi indizi di violazione delle norme». Da tal

motivo, sembrerebbe che la tutela in tema di perquisizioni personali, si esprima con minor forza di

quanto non sia per le ispezioni domiciliari, nonostante l’indubbia maggior gravità di un tale

intervento18

.

E) per l’accesso, invece, presso le pubbliche amministrazioni e gli altri enti indicati all’art. 32,

n. 5, del d.p.r. n. 600, e all’art. 51, n. 5, del d.p.r. n. 633, è richiesta «un’apposita autorizzazione», che

la legge tuttavia non precisa se debba essere rilasciata dal capo dell’ufficio procedente, dalla direzione

regionale delle entrate ovvero dall’autorità giudiziaria.

Nel silenzio della norma si dovrebbero ritenere applicabili le regole ordinarie dettate per gli

accessi in ragione della destinazione dei locali in questione, il che significa che per le sedi delle

società di assicurazione, delle società fiduciarie e degli altri enti esercenti attività commerciale

dovrebbe essere sufficiente l’autorizzazione del capo dell’ufficio19

, mentre si potrebbe ipotizzare che

per i locali delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici in genere sia necessaria altresì

l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, previa verifica dell’esistenza di gravi indizi di violazioni,

trattandosi di locali diversi da quelli indicati nell’art. 52, comma 1, d.p.r. n. 633, ancorché l’intervento

di un organo appartenente ad un potere diverso risulti nel sistema dell’art. 52 circoscritto a fattispecie

16 Vd. art. 52, comma 3, D.P.R. 633/72. 17 E che pertanto debbono essere inquadrate tra le misure previste dal comma 2 dell’art. 14 Cost. e non nel

comma 3. 18 Vd. MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente, op. cit., pp. 258 e ss.

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ben determinate ed individuate ed ancorché il carattere pubblico dei soggetti che debbono subire

l’accesso renda ragionevolmente meno pressante il ricorso ad una simile autorizzazione. Infine, dopo

l’entrata in vigore dello statuto del contribuente20

, il novero delle autorizzazioni previste per

l’esecuzione degli accessi presso la sede del contribuente si arricchisce di altre due fattispecie che

concernono, una, la permanenza nei locali oltre il termine dei trenta giorni lavorativi, l’altra, la

possibilità di ritornare nei locali del contribuente, una volta conclusa la verifica, per specifiche

ragioni. Così, quanto alla prima fattispecie, l’art. 12, comma 5, della l. N. 212 del 2000, attribuisce

al dirigente dell’ufficio il potere di prorogare la permanenza nei locali, ma solo per ulteriori trenta

giorni, nei casi di particolare complessità dell’indagine; quanto alla seconda fattispecie, lo stesso art.

12, comma 5, pretende che vi sia l’assenso motivato sempre del dirigente dell’ufficio.

19 A questa conclusione giunge anche VANZ G., L’autorizzazione del capo dell’ufficio IVA per l’esercizio delle

attività ispettive previste dall’art. 52 D.P.R. n. 633/1972, in Riv. di dir. fin., 1994, I, pp. 300 e ss. 20 Introdotto con la Legge n. 212 del 27/07/2000.

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21 Funzione dell’autorizzazione e suoi effetti

Le diverse tipologie di autorizzazioni sono accomunate dall’essere dirette a superare i vincoli

che lo stesso legislatore frappone all’esercizio dei poteri istruttori di cui i soggetti procedenti già

dispongono in forza della legge, ed in certi casi i suddetti atti sembrano strutturati per contenere in sé

anche dei veri e propri ordini impartiti dal soggetto gerarchicamente sovraordinato agli impiegati

chiamati ad agire materialmente.

Le autorizzazioni svolgono, dunque, un ruolo sostanzialmente preparatorio rispetto all’atto o

all’azione dei verificatori, in funzione di un controllo preventivo sulla corretta esplicazione dei poteri

istruttori21

, i cui effetti sono destinati ad estendersi al di fuori della sfera dell’amministrazione

procedente, essendo dirette sia a condizionare la validità dell’esercizio dei poteri istruttori, sia a

delimitarne e ad orientarne l’applicazione22

.

Le autorizzazioni rispondono, infatti, all’esigenza di rafforzare la sfera della tutela della libertà

e della riservatezza dei soggetti indagati, sicché, a fronte del principio di tipicità dell’azione

amministrativa, il loro rilascio, laddove è prescritto dalla legge, diventa condizione per la legittimità

degli atti istruttori, al pari della presenza degli elementi che la legge stessa - sempre in vista degli

elementi da tutelare - stabilisce debbano essere contenuti nell’autorizzazione, quali sono l’indicazione

dello scopo dell’accesso, l’attestazione dell’esistenza di gravi indizi di violazioni ovvero della

fondatezza dei sospetti circa l’incompletezza e l’inesattezza dei dati bancari contenuti nella copia dei

conti trasmessa.

In particolare, mediante l’indicazione dello scopo23

, l’autorizzazione esplica una chiara

funzione garantista, come anticipato, nei confronti del destinatario dell’accesso, tutelandolo contro

possibili abusi e consentendogli il pieno esercizio del proprio diritto di difesa.

21 La funzione garantistica delle autorizzazioni evidenziata anche da LA ROSA S., L’Amministrazione

finanziaria, Torino, 1995, pp. 81 e ss., che la ricollega all’idoneità delle autorizzazioni a contenere la discrezionalità e

ad assicurare l’imparzialità ed il buon andamento dell’Amministrazione. 22 La funzione di tutela del contribuente è incidentalmente riconosciuta, quanto alle autorizzazioni di cui all’art.

52, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633, dalla Corte Cass., sent. 16/03/2001, n. 3852, in Corr. trib., Banca dati, 2001, pp.

655 e ss. 23

È da escludere non solo che possa considerarsi legittimo un atto autorizzativo che non indichi lo scopo, ma, altresì, che

possa ritenersi sufficiente, ad ottemperare all’obbligo di legge, l’uso di formulazioni del tutto generiche o che si limitino

a parafrasare il dettato normativo. Se l’indicazione dello scopo deve mettere in grado il soggetto indagato di conoscere

l’effettiva natura delle operazioni ispettive cui è in concreto preordinato l’accesso, sarà quanto meno necessaria

l’indicazione del tributo o dei tributi cui l’accertamento si riferisce e dei relativi periodi di imposta (quando si tratta di

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22 La regola del contraddittorio disciplinata dall’art. 12 dello statuto del contribuente.

L’art. 12 dello statuto del contribuente si preoccupa di tutelare il soggetto indagato o

sottoposto a verifiche fiscali garantendogli un insieme di diritti e garanzie.

Il precetto contenuto nel comma 724

, dispone che, dopo il rilascio della copia del processo

verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, «il contribuente può

comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori».

A garanzia del corretto rispetto di questa procedura si prevede inoltre che «l’avviso di accertamento

non può essere emanato prima della scadenza di questo termine, salvo casi di particolare urgenza».

Con questa norma si introduce una fase obbligatoria per l’ufficio, finalizzata a permettere al

contribuente un intervento al procedimento di verifica per produrre le sue osservazioni e richieste in

seguito all’emissione del verbale. La norma, infatti, impedisce all’ufficio di emanare l’atto di

accertamento prima che siano decorsi sessanta giorni dalla data in cui il contribuente ha ricevuto

copia del processo verbale, a meno che non si verifichino casi di particolare e motivata urgenza che

spetta ovviamente all’ufficio indicare e documentare dettagliatamente, sicché, nel lasso di tempo di

sessanta giorni che segue la consegna del processo verbale, il potere di accertamento resta di regola

sospeso, onde consentire al contribuente di presentare le proprie deduzioni e di investire così l’ufficio

di un obbligo di valutarle e tenerle in considerazione ai fini dell’accertamento.

accesso effettuato nei confronti del contribuente), oppure l’indicazione del soggetto o dei soggetti inquisiti, nonché la

descrizione della natura dei dati, notizie, documenti che si intendono controllare od acquisire e delle operazioni di

ispezione o di verifica che si intendono svolgere. 24 La norma titolata “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”, contiene principi destinati

a regolare le attività di verifica fiscale da parte degli uffici o della Polizia tributaria presso le sedi del contribuente;

questi si traducono per lo più in norme di comportamento atte a regolare il corretto svolgimento delle operazioni di

verifica in modo da renderle meno invasive ed opprimenti e maggiormente rispettose delle attività del verificato.

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23 Le richieste di dati e notizie e gli inviti a comparire al contribuente.

Com’è noto, nell’attività istruttoria si ricomprendono tutti quegli atti attraverso i quali

l’amministrazione finanziaria procede all’individuazione ed all’acquisizione di dati e notizie rilevanti

ai fini dell’acclaramento25

di eventuali violazioni della normativa tributaria. Nelle imposte di maggior

rilievo, come le imposte sui redditi e l’iva, l’elevatissimo numero di contribuenti rende praticamente

impossibile al fisco l’effettuazione di controlli approfonditi sulla conformità a legge dell’operato di

ciascun soggetto passivo d’imposta. Da qui la tendenza legislativa a sdoppiare la fase istruttoria,

scindendo il controllo meramente «documentale» o «formale» delle dichiarazioni presentate dai

contribuenti e dai sostituti, da svolgersi con procedure automatizzate in maniera per quanto possibile

spedita e generalizzata, dal controllo «sostanziale», compiuto, invece, utilizzando gli ampi e

penetranti poteri ispettivi conferiti dalla legge all’amministrazione finanziaria, il quale risulta, però,

esperibile soltanto nei confronti di una ridotta percentuale di soggetti26

.riguardo ai controlli più

accurati, l’acclarata impossibilità di estenderli a tutti i contribuenti ha suggerito al legislatore il ricorso

a strumenti di pianificazione dell’attività inquisitoria degli uffici, al fine sia di ottimizzare l’impiego

delle limitate risorse disponibili (conciliando l’esigenza della repressione degli illeciti più gravi, e

quindi del recupero della maggior quantità possibile di tributi evasi, con quella della prevenzione

generalizzata degli illeciti stessi, e quindi di estendere al massimo il novero delle categorie di soggetti

da controllare indipendentemente dal gettito che i singoli controlli sono in grado di procurare), sia di

garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa27

. Si è stabilito che, pertanto, tali controlli si

svolgano sulla base di «criteri selettivi» che identificano di volta in volta i contribuenti da

25 La dottrina amministrativa suole classificare gli atti della fase istruttoria del procedimento amministrativo in

tre distinte categorie: acquisizioni di scienza, dichiarazioni di giudizio e dichiarazioni di volontà. Le acquisizioni di

scienza (cui sarebbero riconducibili gli atti dell’istruttoria tributaria) sogliono a loro volta distinguersi in

“acclaramenti”, destinati a chiarire aspetti eminentemente tecnici relativi a cose, persone o rapporti; “ispezioni”,

ricomprendenti le varie forme di accessi, ispezioni e verifiche di luoghi e di persone; “certificazioni”, consistenti

essenzialmente in atti di collaborazione da parte di enti e uffici pubblici o pubblici ufficiali, per la trasmissione di atti o

documenti in loro possesso o di loro competenza. Vd. in tal senso GIANNINI M.S., Diritto amministrativo, op. cit., pp.

123 e ss. 26 Vd. FALSITTA G., Corso istituzionale di diritto tributario, Padova, 2003, pp. 265 e ss. 27 Così FAVARA F., La programmazione dei controlli fiscali in Italia: aspetti giuridici, in Riv. dir. fin., 1982, I,

pp. 222 e ss.; FANTOZZI A., I rapporti tra fisco e contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario,

in Riv. dir. fin., 1984, I, pp. 224 e ss.

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controllare28

e che vengono emanati annualmente con decreto dal ministero delle finanze, tenendo

anche conto della capacità operativa degli stessi uffici.i poteri d’indagine29

conferiti dalla legge agli

uffici dell’amministrazione finanziaria30

, possono essere ordinati secondo un duplice criterio:

d) Poteri istruttori da esercitare presso l’ufficio, con richieste di informazioni e

documenti al contribuente o a terzi;

e) 2) poteri istruttori da esercitare presso il domicilio del contribuente o di terzi.

f) Le indagini «in ufficio» sono basate su richieste di informazioni o documenti da

consegnare o esibire presso l’autorità fiscale, e si distinguono principalmente in:

A) inviti a comparire, per fornire, verbalmente, dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento

nei confronti del destinatario della richiesta (art. 32, n. 3);

B) questionari con una serie di domande ben definite31

cui il contribuente deve rispondere per

iscritto restituendo il questionario compilato e firmato (art. 32, n. 4);

Richieste di documenti rilevanti ai fini dell’accertamento (art. 32, n. 3), tra cui i libri

contabili previsti dalla legge tributaria, le fatture ed analoga documentazione giustificativa.

Il legislatore detta una disciplina fondamentalmente unitaria per i poteri di richiesta di dati,

notizie e documenti e di convocazione del contribuente32

.

Tali strumenti sono essenzialmente degli ordini celati dietro le locuzioni «inviti» (a comparire

presso gli uffici, ad esibire o trasmettere documenti e registri, a rispondere ai questionari ecc.) O

«richieste», la cui inosservanza è sanzionata con pene pecuniarie.

Quanto ai requisiti formali di tali strumenti, essi debbono risultare da apposito atto scritto,

contenente le generalità e l’indirizzo del destinatario, l’intestazione dell’ufficio emittente e la

sottoscrizione del suo titolare33

.

28

Le direttive tracciate nei decreti (riguardanti tanto l’attività di controllo ai fini delle imposte sui redditi quanto

quella ai fini dell’IVA), che sono esternazione della «potestà di indirizzo», si traducono in concreta linea guida per

l’azione degli organi addetti alla funzione istruttoria principalmente attraverso il filtro delle cosiddette «liste di

posizioni soggettive», e cioè di elenchi nominativi di soggetti (appartenenti alle categorie economiche o versanti nelle

situazioni di fatto enucleate nei decreti) predisposti dai centri informativi dell’Amministrazione finanziaria elaborando

i dati (di varia provenienza) in loro possesso, nell’ambito dei quali gli organi in questione provvedono poi a scegliere i

soggetti da sottoporre a verifica fra quelli ritenuti relativamente più interessanti. 29 Si precisa che si è inteso restringere il campo ai soli poteri relativi alle imposte dirette e all’IVA. 30 Si ricorda che i poteri istruttori degli uffici, in materia di imposte dirette e di IVA, qui in oggetto, sono indicati

dagli articoli 32 e 33 del D.P.R. n. 600 e dagli articoli 51 e 52 del D.P.R. n. 633 sull’IVA. 31 La norma afferma che le domande devono essere “di carattere specifico”, e deve ritenersi perciò non

consentita la richiesta di dettagli generali su una tipologia astratta di operazioni, di clienti o di fornitori. 32

Il ricorso al potere di convocare il contribuente è normalmente considerato alternativo all’esercizio del potere

di accesso, ispezione e verifica presso il contribuente, caratterizzato, invece, da una natura intrinsecamente coercitiva,

implicante, cioè, una diretta limitazione della libertà domiciliare del soggetto passivo il quale non può sottrarsi ma deve

subire l’attività posta in essere dall’organo ispettivo.

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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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Oltre la forma scritta ulteriori garanzie sono costituite dalle norme che impongono all’ufficio

la fissazione di un termine per l’adempimento da parte del contribuente, nonché le modalità di

comunicazione dell’ordine.

Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, ovvero a sessanta giorni ove si tratti della

richiesta rivolta alle aziende ed istituti di credito ed all’amministrazione postale di dati relativi ai conti

ed ai rapporti intrattenuti con determinati contribuenti. Quest’ultimo termine può essere prorogato per

un periodo di trenta giorni, su istanza dell’azienda o istituto di credito e per giustificati motivi, dalla

competente direzione regionale delle entrate.

Le richieste e gli inviti devono, infine, essere notificati al destinatario, secondo le norme

concernenti la notifica degli avvisi di accertamento, se la richiesta riguarda l’imposizione diretta,

oppure a mezzo di lettera raccomandata con ricevuta di ricevimento, se si tratta di richiesta effettuata

ai fini iva. Dalla data di ricevimento o della notifica decorrono i termini per l’adempimento.

L’oggetto della richiesta è diretto a precisare ciò che, appunto, si richiede. Esso, pertanto,

deve essere specificatamente definito, nel senso che devono essere noti i dati, notizie, informazioni da

fornire e gli atti o documenti da esibire o da trasmettere.

I questionari devono essere «relativi a dati e notizie di carattere specifico» (art. 51, secondo

comma, n. 3, d.p.r. n. 633/1972 e art. 32, primo comma, n. 4, d.p.r. n. 600/1973). Ad esempio: i dati,

le notizie e i documenti che possono essere richiesti in relazione ai rapporti intrattenuti con clienti,

fornitori e professionisti (art. 32, primo comma, n. 8, d.p.r. n. 600/1973) devono essere relativi ad

«attività svolte in un determinato periodo d’imposta»; le copie dei conti che possono richiedersi alle

aziende ed istituti di credito ed alla amministrazione postale devono essere relativi ai «conti

intrattenuti con il contribuente» e «di carattere specifico» gli ulteriori dati, notizie e documenti

concernenti tali conti (art. 51, secondo comma, n. 7, d.p.r. n. 633/1972 e art. 32, primo comma, n. 7,

d.p.r. n. 600/1973); e così via.

L’oggetto, infine, oltre che specificatamente determinato e concretamente suscettibile di

adempimento, deve risultare altresì consentito dall’ordinamento. È la legge che individua, di volta in

volta, il possibile oggetto della richiesta o dell’invito in relazione alle specifiche fattispecie di

intervento.

33

Secondo MANZONI I., Potere di accertamento e tutela del contribuente, op. cit., pp. 222 e ss., sono, dunque,

da ritenere illegittimi perché generici o equivoci, ad esempio, gli inviti a esibire “documenti contabili relativi a rapporti

intrattenuti con i terzi”, senza specificazioni ulteriori in ordine alla natura dei soggetti terzi (clienti, fornitori, consociate,

ecc.), dei documenti (fatture, corrispondenza, registrazioni) e al periodo d’imposta cui ci si intenda riferire.

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24 Accessi, ispezioni e verifiche: contenuti e modalità di attuazione.

Degli accessi, ispezioni e verifiche si occupa l’art. 52 d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 63334

,

integralmente richiamato per le imposte sui redditi dall’art. 33 d.p.r. 29 settembre 1973, n. 60035

.

Preliminarmente, occorre chiarire la terminologia legislativa nel senso che:

3. Per accesso, s’intende l’ingresso e la permanenza d’autorità dell’organo di polizia

tributaria o dell’amministrazione finanziaria nei luoghi dove viene esercitata un’attività commerciale,

artistica o professionale ovvero in locali adibiti anche o esclusivamente ad abitazione del contribuente

anche contro la volontà del contribuente, al fine di compiervi indagini. Durante l’accesso, poi, i

funzionari possono compiere ispezioni documentali, verifiche e ricerche ed ogni altra rilevazione

ritenuta utile per l’accertamento dell’imposta e per la repressione dell’evasione e delle altre

violazioni36

;

- l’ispezione, consiste nell’esame della documentazione contabile in possesso del soggetto,

esame che può estendersi a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali,

compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie37

. Le ispezioni hanno, dunque, lo

scopo di controllare non solo la loro regolarità formale delle scritture contabili, ma anche, in ultima

analisi, la sostanziale veridicità ed esattezza del loro contenuto (controllo sostanziale o di merito)38

;

- la verifica, attiene, più in generale, all’esame della consistenza e qualità degli elementi

soggettivi ed oggettivi utilizzati nell’ambito dell’attività economica, come il personale, i macchinari,

le consistenze di magazzino, ecc.39

. In generale la verificazione va riferita, più appropriatamente, al

confronto tra un documento ed un aspetto reale e concreto dell’attività ispezionata o, in via eventuale

e strumentale, tra due situazioni di fatto;

- le ricerche, sono volte a reperire il materiale conoscitivo, contabile o extra-contabile, da

sottoporre a ispezione e verifica, anche senza collaborazione dell’indagato.

34 Titolato “Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto”. 35 Sulle “Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”. 36 Art. 52, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972. 37 Art. 52, quarto comma, del D.P.R. n. 633/1972. 38 I verificatori che procedono all’accesso nei locali di soggetti che si avvalgono di sistemi meccanografici,

elettronici e simili, hanno facoltà di provvedere con mezzi propri all’elaborazione dei supporti fuori dei locali stessi

qualora il contribuente non consenta l’utilizzazione dei propri impianti e del proprio personale. 39 Un esempio tipico, in proposito, è dato dal controllo materiale delle giacenze di magazzino, finalizzato ad

appurare l’esistenza di eventuali acquisti o cessioni di beni non contabilizzati nell’esercizio in corso all’atto del

controllo.

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La ricerca può essere eseguita quand’anche il contribuente sostenga di aver esibito tutti i

documenti richiesti, negli stessi locali nei quali è consentito o è stato autorizzato l’accesso, sia sugli

autoveicoli e natanti dell’impresa che su quelli adibiti al trasporto di merci per conto di terzi.

La disciplina vigente in italia individua più tipi di accesso, ciascuno riferibile a luoghi diversi,

per natura o destinazione. Ogni tipologia di accesso costituisce oggetto di una specifica disciplina sia

per quanto attiene ai presupposti che ne legittimano l’esecuzione che alle relative modalità di

attuazione. Tuttavia, le varie forme di accesso sono accomunate dal fatto che la presenza dei

funzionari deve arrecare il minor intralcio possibile alle persone presenti nel luogo dove si esplica

l’accesso e all’attività che là si svolge e per poter procedere all’accesso, gli impiegati devono essere

muniti di apposita autorizzazione, a sua volta, variabile a seconda del luogo da ispezionare.

Tutte le attività compiute nel corso dell’accesso devono essere menzionate dai funzionari in un

apposito documento, denominato processo verbale di verifica, dal quale risultano, appunto, le

ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte

ricevute40

.

Tale atto assolve, principalmente, la funzione di documentare l’attività di verifica per esigenze

connesse all’acquisizione di prove documentali certe ed alla tutela del contribuente sottoposto a

controllo.

In quest’ottica assume rilevanza la sottoscrizione del processo verbale da parte del

contribuente; se rifiutata, infatti, diviene legittimo il sequestro della documentazione rinvenuta,

qualora ritenuta utile ai fini probatori di eventuali sanzioni41

.

Il processo verbale ha anche una funzione conoscitiva per il contribuente, atteso che questi ha

diritto ad ottenerne copia e ciò indipendentemente dalla sua sottoscrizione.

Al termine delle operazioni, il personale dell’ufficio deve poi provvedere alla stesura anche di

un secondo verbale, detto di constatazione, contenente il resoconto delle indagini compiute, con

l’indicazione delle eventuali violazioni scoperte.

L’accesso può eseguirsi, con diverse modalità, nei seguenti locali:

A) locali aziendali. L’accesso può essere effettuato, innanzitutto, nei locali destinati

all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali. Ai sensi dell’art. 49 del d.p.r.

n. 917/1986, i locali potranno essere definiti «adibiti all’esercizio di arti o professioni» se al loro

interno si pongono in essere, con abitualità, tutte le attività di lavoro autonomo, ad eccezione di quelle

40 Art. 52, sesto comma, del D.P.R. n. 633/1972. 41 Art. 52, settimo comma, del D.P.R. n. 633/1972.

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riconducibili nell’alveo dell’esercizio di impresa, poiché per quest’ultima nozione il legislatore,

sottolineato ancora una volta il necessario requisito dell’abitualità, rinvia alle previsioni di cui all’art.

2195 del c.c. In materia di impresa commerciale, includendo in questa accezione anche l’imprenditore

agricolo.

L’esecuzione dell’accesso presso le aziende non presenta particolari problemi d’ordine

giuridico né di carattere operativo. Trova la sua legittimazione nell’art. 35 della legge 7 gennaio 1929,

n. 442

, e negli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 633/1972, 32 e 33 del d.p.r. n. 600/1973 nonché in altre singole

leggi d’imposta.

L’accesso nei locali di esercizio dell’attività d’impresa, per il controllo delle scritture contabili

relative alle attività commerciali, agricole, professionali o artistiche, è operato dai funzionari anche

senza o contro il consenso di chi ne ha la disponibilità, al fine di eseguire le operazioni necessarie nel

rispetto e nei limiti posti dalle singole leggi d’imposta.

È richiesta, sotto l’aspetto formale, una specifica autorizzazione che deve essere considerata

quale conditio sine qua non per la sua legittimità. Tale atto deve essere firmato dal capo dell’ufficio,

per i funzionari degli uffici finanziari; dal comandante di reparto per la guardia di finanza; dal

direttore del secit per gli ispettori tributari.

B) presso gli studi professionali. Riguardo agli accessi presso studi professionali, l’attuale

normativa prevede che essi siano eseguiti alla presenza del titolare dello studio o di un suo delegato e

che, nel caso in cui si debbano esaminare documenti o si richiedano notizie riguardo alle quali sia

eccepito il segreto professionale, è necessaria l’autorizzazione del procuratore della repubblica o

dell’autorità giudiziaria più vicina, ferme restando le garanzie di libertà del professionista, previste

durante ispezioni o perquisizioni penali ai sensi dell’art. 103 c.p.p.

C) presso le aziende e istituti di credito e l’amministrazione postale. Qui l’accesso è

consentito per procedere a rilievi diretti di dati e notizie, qualora i funzionari abbiano il fondato

sospetto che richieste in ordine o copie di conti intrattenuti dal cliente siano incomplete, inesatte, o, in

ogni caso, siano rimaste invase dopo il termine di cui all’art. 51 n. 7. Anche tali accessi debbono

essere eseguiti, previa autorizzazione dell’ispettorato compartimentale delle imposte (ora direzione

regionale delle entrate) o del comandante di zona della guardia di finanza; le successive ispezioni o

rilevazioni debbono avvenire alla presenza del responsabile della sede o di un delegato, e di esse è

42 L’art. 35 consente alla Polizia tributaria di accedere in qualunque ora negli esercizi pubblici ed in ogni locale

adibito ad un’azienda industriale o commerciale, ed eseguirvi verificazioni e ricerche, per assicurarsi dell’adempimento

delle prescrizioni imposte dalle leggi e dai regolamenti in materia finanziaria.

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data immediata notizia, a cura del predetto responsabile, al cliente. Quanto alla guardia di finanza,

essa (ex art. 332, d.p.r. 633/72, come modificati, da ultimo dall’art. 23, d.lgs. 74/2000) coopera

all’acquisizione e al reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento e alla repressione di

violazioni, procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici stessi, secondo le norme e con i

poteri ad essi spettanti. In particolare, essa ha facoltà, previa autorizzazione giudiziaria, ed (ora) anche

in deroga alle norme che regolano il segreto istruttorio, di utilizzare e trasmettere agli uffici

documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti od ottenuti dalle altre forze di polizia,

nell’esercizio dei suoi poteri di polizia giudiziaria.

D) presso organi ed amministrazioni dello stato ed altri enti. L’accesso presso organi ed

amministrazioni dello stato, enti pubblici non economici, società ed enti di assicurazione, società ed

enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, ovvero attività di

gestione ed intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria, non richiede la sussistenza di alcun

particolare presupposto legittimante.

L’accesso, peraltro, deve essere finalizzato esclusivamente alla rilevazione diretta sul conto

del contribuente sottoposto a controllo dei dati e delle notizie di cui all’articolo 32, n. 5, del d.p.r. n.

600/1973.

E) in locali diversi e nei luoghi di abitazione privata. Gli artt. 52 del d.p.r. n. 633/1972 e 33

del d.p.r. n. 600/1973 hanno distinto l’accesso nei locali adibiti all’esercizio di attività commerciali,

agricole, artistiche o professionali destinati «anche ad abitazione» dall’accesso nelle abitazioni o in

luoghi diversi.

Nei casi di accesso presso locali adibiti in via esclusiva ad abitazione privata l’autorizzazione

del magistrato, in quanto atto discrezionale e non dovuto, a carattere preventivo è subordinata alla

sussistenza di gravi indizi di violazioni, che suggeriscono la necessità di ricercare ed acquisire

particolare documentazione, contabile e non, ed ogni altro elemento idoneo a fornire prova delle

infrazioni ipotizzate.

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25 Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche

Il quadro normativo della disciplina degli accessi, ispezioni e verifiche può dirsi completo

solo con l’art. 12 della L. n. 212 del 2000.

L’attività di verifica è definita nella legge n. 212 come «un’indagine di polizia amministrativa

finalizzata a: prevenire, ricercare e reprimere le violazioni alle norme tributarie e finanziarie;

qualificare e quantificare la capacità contributiva del soggetto che ad essa viene sottoposto …»43

.

Pertanto, lo Statuto del contribuente44

si preoccupa, all’art. 12, di recare disposizioni che riguardano

l’espletamento dell’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

L’articolo è rubricato «Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali» e

ricalca, in larga parte, il contenuto della Direttiva emanata dal Ministero delle Finanze con circ. n.

29181 del 18 dicembre 1996, in materia di semplificazione dei rapporti tra Amministrazione

finanziaria e contribuenti.

Gli accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali,

industriali, agricole, artistiche o professionali, secondo lo Statuto, possono essere effettuati:

solo «sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo»;

durante l’orario ordinario di esercizio delle attività», «fatti salvi casi eccezionali e urgenti

adeguatamente documentati»;

«con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività

stesse, nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente».

Queste disposizioni, all’apparenza del tutto scontate, presentano alcune implicazioni che vale la

pena di considerare.

Gli accessi, le ispezioni e le verifiche sono poteri istruttori strumentali all’attività di controllo,

riconosciuti agli uffici finanziari ed alla Guardia di finanza da svariate norme di legge. Di essi si parla

nell’art. 35 della legge n. 4 del 1929 e negli articoli 52 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n.

43 Circolare 20/10/1998, n. 360000, «Istruzioni sull’attività di verifica», in www.dt.finanze.it. 44 Legge 27 luglio 2000, n. 212, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 31 luglio 2000, n. 177.

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600/197345

. Tuttavia, in tali norme non si rinviene l’indicazione di particolari condizioni vincolanti

l’esercizio del potere di accesso e delle attività di controllo ad esso conseguenti.

Lo Statuto del contribuente ha quindi voluto colmare proprio questa lacuna, stabilendo che la

modalità ispettiva caratterizzata dal previo accesso presso i luoghi di esercizio di attività commerciali,

industriali o agricole può essere adottata solo in presenza «di esigenze effettive di indagine e controllo

sul luogo»46

.

L’ultima parte del secondo comma dell’art. 12 stabilisce che le verifiche si svolgono «con

modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché

alle relazioni commerciali o professionali del contribuente». Tale precetto consente, inoltre, di

affermare che, entro limiti ragionevoli e giustificati, il contribuente può porre dei limiti alla scelta di

orari e giorni nei quali i verificatori accedono al luogo dove è esercitata l’attività commerciale. Il

rispetto dell’orario ordinario di svolgimento dell’attività può trovare deroga in casi eccezionali ed

urgenti che, secondo lo Statuto, devono comunque essere adeguatamente documentati. L’accesso

eseguito in carenza di effettive esigenze di indagine in loco, o fuori degli ordinari orari di esercizio

dell’attività, così come quello che per avventura turbi l’esercizio delle attività del contribuente, potrà

sortire solo conseguenze di natura disciplinare, in capo ai funzionari degli uffici o ai militari della

Guardia di finanza che non si siano attenuti alle regole imposte47

.

Il comma secondo dell’art. 12, dal suo canto, sancisce un vero e proprio «diritto

all’informazione» del contribuente, e che riguarda innanzitutto: le ragioni che giustificano la verifica;

l’oggetto della medesima. Per «ragioni giustificative» dovrebbero intendersi le «esigenze effettive»

che impongono l’avvio dell’attività di controllo nei confronti del contribuente. Circa «l’oggetto della

verifica», invece, esso potrà coincidere con l’intera gestione dell’attività di impresa o artistico-

professionale, per uno o più periodi di imposta, ove la verifica trovi giustificazione in una esigenza di

riscontro «globale» di quanto dichiarato dal contribuente. In realtà, una lettura sistematica della norma

in oggetto, coordinata con le prescrizioni in materia di diritto di accesso agli atti dei procedimenti

amministrativi di cui agli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, come integrati dal D.P.R. 27 giugno

45 Tali norme, prima dell’entrata in vigore dello Statuto, attribuivano ai soggetti titolari del potere de quo un

ampio margine di discrezionalità, potendo gli stessi giustificare l’accesso attraverso generiche esigenze di vigilanza sul

regolare adempimento degli obblighi fiscali. 46

Così MAGISTRO L., Controlli e verifiche nelle istruzioni della Guardia di finanza, in Corr. trib., 2000, pp.

2597 e ss.

47

PISANI M., La tutela del contribuente sottoposto a verifica fiscale, in Corr. trib., 2002, pp. 2963 e ss.

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1992, n. 352 e dal D.M. 29 ottobre 1996, n. 603, non può che confermare una precisa volontà del

legislatore di sottrarre alla sfera conoscitiva del contribuente il complesso di attività di indagine, di

segnalazione, di tecniche investigative e di organizzazione interna che sta alla base di un intervento di

Polizia tributaria. Altro diritto riconosciuto al contribuente è quello di chiedere che l’attività di

controllo, intrapresa previo accesso presso i luoghi di esercizio dell’attività, possa essere proseguita

presso l’ufficio finanziario o il Comando della Guardia di finanza procedente, oppure presso il

professionista che lo assiste o rappresenta48

. Questo diritto è da mettere in relazione con il potere,

riconosciuto agli organi del controllo fiscale, di procedere alle ispezioni documentali presso i locali

destinati all’esercizio di attività d’impresa, artistiche o professionali. La norma si preoccupa di

precisare che a seguito della richiesta, il controllo «può» (e non «deve») essere eseguito negli uffici

degli organi procedenti o presso il professionista di fiducia. Resta, quindi, fermo che lo spostamento è

sottoposto alla valutazione dei verificatori e può essere negato per varie ragioni, anche, e soprattutto,

di ordine logistico. È il caso, tipico delle aziende di maggiori dimensioni, in cui la documentazione da

controllare sia particolarmente ponderosa e l’ufficio finanziario o la Guardia di finanza non

dispongano di strutture idonee a tale scopo49

.

Fin dai primi tempi di applicazione dello Statuto, l’individuazione dei termini di durata

dell’attività ispettiva, ha suscitato problemi e difficoltà interpretative nonché operative50

.

È evidente, quindi, come sia stato essenziale definire con esattezza la portata della

disposizione che limita la «permanenza» degli operanti presso la sede del contribuente a trenta giorni

prorogabili di ulteriori trenta nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati

dal dirigente dell’Ufficio.

È evidente che, quando l’art. 12, comma 5, parla di «permanenza … degli operatori

dell’Amministrazione finanziaria», si riferisce ad una «permanenza … dovuta a verifiche presso la

sede del contribuente», in quanto così si esprime il teso della norma. Trattasi quindi della permanenza

presso il contribuente e non della durata della verifica intesa dal giorno in cui viene compiuto il primo

accesso al giorno in cui viene redatto l’ultimo verbale di verifica a chiusura della stessa. Orbene la

durata di tale permanenza dei verificatori presso gli uffici del contribuente non può superare i trenta

48 Art. 12, comma terzo, L. n. 212. 49

MAGISTRO L., Poteri strumentali all’accertamento: accessi, ispezioni e verifiche, in Corr. trib., 2001, pp.

589 e ss. 50 L’art. 12, comma 5, L. n. 212/2000, stabilisce che «la permanenza degli operatori civili o militari

dell’Amministrazione finanziaria, dovuta a verifiche presso la sede del contribuente, non può superare i trenta giorni

lavorativi, prorogabili per ulteriori trenta giorni nei casi di particolare complessità dell’indagine individuati e motivati

dal dirigente dell’ufficio».

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giorni lavorativi ed il computo dei giorni lavorativi riferiti allo specifico contribuente sottoposto ad

indagine.

La circostanza che per giorni lavorativi deve intendersi quelli riferiti al contribuente, consente

di cogliere l’effettivo significato della norma. In mancanza di una pronuncia legislativa in merito al

periodo di trenta giorni lavorativi non può che attribuirsi il significato più immediato e ricorrente,

ovvero quello di trenta giorni lavorativi consecutivi.

Una permanenza frazionata nuoce al principio di certezza del diritto e delle situazioni

giuridiche e, più in particolare, danneggia il soggetto ispezionato che deve sopportare il mantenimento

dei sigilli sulla propria documentazione contabile, chiedere un’autorizzazione ai verbalizzanti per la

consultazione delle proprie carte e sopportare per mesi e mesi armadi e stanze chiuse dove i

verificatori hanno ammassato il materiale da verificare.

È ammessa una proroga per ulteriori trenta giorni qualora la verifica si presenti di particolare

complessità. Orbene, l’aggettivo «ulteriori» è sinonimo di «successivi»51

e non di «altri», e comunque

il loro computo non può che avvenire con le stesse modalità con cui è avvenuto quello dei trenta

giorni precedenti. Ciò può verificarsi anche per motivate ed effettive esigenze di servizio nel senso

che la verifica tributaria può anche essere eccezionalmente sospesa, facendo tuttavia constatare nel

verbale, al momento della sospensione, il motivo o la durata della stessa52

.

In tal caso, la disposizione fa riferimento ad una specifica motivazione da parte del dirigente

dell’ufficio, o Comando della Guardia di finanza procedente, il che fa ritenere che debba essere al

riguardo emanato un apposito atto, da comunicare al contribuente, al fine di permettere la

comprensione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato tale decisione

in ottemperanza alla generale disciplina di cui all’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

Nel caso in cui la verifica si protragga oltre il termine dei trenta giorni lavorativi e quello

successivamente prorogato, stabiliti dalla norma e, quindi, vi sia violazione delle norme

procedimentali, il successivo avviso deve essere annullato in quanto fondato su prove

illegittimamente acquisite.

Un’ultima, assai importante garanzia è, infine, attivata dall’art. 12 dello Statuto, con

riferimento alla fase successiva alla conclusione della verifica53

.

51 Vd. DEVOTO O., Vocabolario della lingua italiana. 52 A tale conclusione sono giunti VERNA G. - PERUGINI G., Tutela del contribuente secondo lo Statuto del

contribuente e durata della verifica fiscale, in Boll. trib., 2003, pp. 1631 e ss. 53 Art. 12, comma settimo.

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Una volta rilasciata copia del processo verbale che dà atto della chiusura delle operazioni

ispettive, il contribuente ha diritto di comunicare, entro sessanta giorni, le proprie osservazioni ed

eventuali richieste all’ufficio competente per l’accertamento.

L’ufficio, a sua volta, è tenuto ad esaminare quanto rappresentato dal contribuente e, proprio

per questo, non può emettere l’avviso di accertamento prima che sia decorso il citato termine di

sessanta giorni. Ciò fatta eccezione per il caso in cui sussistano specifiche ragioni di urgenza, che

devono trovare motivazione nell’avviso medesimo54

.

Anche se lo Statuto non lo dice espressamente, il contribuente dovrebbe essere informato

dell’esistenza di questo diritto, attraverso un’apposita menzione nell’ambito del verbale redatto a

conclusione delle operazioni.

54

I casi di particolare e motivata urgenza che legittimano una deroga a tale disposizione sono da individuarsi

essenzialmente nell’imminente prescrizione della potestà di accertamento.

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26 L’esercizio dei poteri nei confronti di soggetti diversi dal contribuente: limiti e possibilità.

I poteri di accesso, ispezione e verifica possono essere esercitati tanto nei confronti del

contribuente indagato, quanto nei confronti di terzi, come si desume dal fatto che l’art. 52 non pone

restrizioni sul piano soggettivo, quanto ai titolari del domicilio in cui è consentito accedere55

.

D’altronde se i suddetti poteri fossero esercitabili solo nel domicilio del contribuente indagato,

ne discenderebbe la possibilità di aggirare agevolmente le norme dettate in materia d’indagini,

essendo sufficiente per il contribuente conservare la documentazione presso il domicilio di un terzo.

La logica in cui si muove il legislatore è proprio quella di consentire di rivolgere le indagini

anche nei confronti di soggetti diversi da quello sottoposto a verifica, ed in questo senso sono

orientate le disposizioni che disciplinano espressamente il potere di accesso presso il domicilio di

particolari categorie di soggetti, quali sono i professionisti, i depositari di scritture contabili, le

pubbliche amministrazioni e gli enti di cui all’art. 51, n. 5, D.P.R. n. 633, le aziende e gli istituti di

credito e l’amministrazione postale.

Il decimo comma dell’art. 52 D.P.R. n. 633/1972 disciplina, poi, il caso in cui le scritture

contabili, o parte di esse, si trovino presso soggetti diversi dal contribuente. Anche qui si è avuto

modo di dire che sulla base della dichiarazione del contribuente, l’organo ispettivo può recarsi presso

il soggetto depositario al fine di acquisire le scritture del contribuente sottoposto a verifica56

.

Tuttavia - e questa è l’interessante peculiarità della disposizione normativa - il terzo può

opporsi all’accesso dell’organo ispettivo nei suoi confronti, finalizzato alla predetta acquisizione

documentale.

Qualora il terzo depositario si opponga all’accesso dell’organo ispettivo, le scritture di cui è

impedita l’acquisizione non potranno essere prese in considerazione a favore del contribuente ai fini

dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa.

Completano i poteri di accesso, ispezione e verifiche nei confronti di soggetti terzi, gli accessi

presso pubbliche amministrazioni ed enti di cui all’art. 51, n. 5, e presso banche ed amministrazione

postale, ora Poste Italiane S.p.A.

55 Vd. VIOTTO A., I poteri dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 201 e ss. 56 Vd. CAPOLUPO S., Manuale dell’accertamento delle imposte, op. cit., pp. 189 e ss.

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Quanto al primo gruppo, il comma 11 dell’art. 52 ed analogamente l’art. 33, comma 1, del

D.P.R. n. 600/1973, precisa che scopo dell’accesso può essere unicamente la rilevazione diretta dei

dati e delle notizie indicati nel medesimo art. 51, n. 557

, vale a dire dati e notizie relativi a soggetti

indicati singolarmente o per categorie, nonché dati e notizie attinenti esclusivamente alla durata del

contratto, all’ammontare del premio ed al soggetto tenuto a corrisponderlo.

Gli accessi presso le aziende e gli istituti di credito e l’amministrazione postale sono

consentiti, invece, al solo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie relativi ai conti a condizione

che: la copia dei conti medesimi sia stata in precedenza richiesta a norma dell’art. 51, n. 7; la copia dei

conti non sia stata trasmessa entro il termine di cui all’art. 51, ultimo comma, ovvero, la copia sia stata

trasmessa nei termini, ma l’ufficio abbia fondati sospetti sulla incompletezza ed inesattezza dei dati

ottenuti58

.

Le esigenze di riserbo, che tradizionalmente si ritiene circondino i rapporti tra le banche e

clienti, sembrano aver ispirato le scelte del legislatore in tema di accesso nei locali delle aziende di

credito, ed in specie quella di continuare a subordinare tale eventualità al verificarsi delle suddette

circostanze e quella di richiedere il rispetto di particolari formalità, tra le quali l’autorizzazione

amministrativa, la particolare qualifica e il grado delle persone che materialmente compiono

l’accesso, la presenza del responsabile della sede o dell’ufficio presso cui avvengono o di un suo

delegato, ecc..

57 Ovvero nell’art. 32, n. 5, del D.P.R. n. 600. 58 Vd. VIOTTO A., I poteri dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 206 e ss.

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27 Le indagini bancarie e il segreto bancario.

La Legge n. 413 del 30/12/1991 ed il suo apporto.

La legge n. 413 del 30 dicembre 1991 sottopone la disciplina del segreto bancario ad una

profonda rivisitazione e rimuove definitivamente i limiti ai poteri di accertamento

dell’Amministrazione finanziaria, riguardo ai rapporti banche-clienti.

Con l’attuale normativa, infatti, le indagini bancarie possono essere estese anche nei

confronti di soggetti terzi, diversi dai “contribuenti”, con i quali questi intrattengono rapporti di

rilievo59

.

Lo scopo della legge del ’91 è «superare l’attuale cultura del segreto, espressione di un

malinteso senso del diritto alla riservatezza, per passare invece ad una cultura della trasparenza,

improntata alla chiarezza del rapporto Fisco-contribuente»60

, evitando inutili sacrifici degli

interessi di entrambi.

A tal fine, l’art. 18 per quanto attiene al decreto sulle imposte dirette, D.P.R. n. 600/1973,

modifica gli artt. 32 («potere degli uffici»), 33 («accessi, ispezioni e verifiche») e 52 («violazioni

degli obblighi dell’aziende di credito»); e abroga gli artt. 34 («certificazione delle passività

bancarie») e 35 («deroghe al segreto bancario»). Per quanto concerne, invece, il D.P.R. n.

633/1972, sull’imposta sul valore aggiunto, l’art. 18 modifica gli artt. 51 («attribuzioni e poteri»),

52 («accessi, ispezioni e verifiche»), e 63 («collaborazione della Guardia di finanza») ma, abroga

l’art. 51-bis («deroghe al segreto bancario»).

A seguito di queste modifiche, le indagini bancarie assumono un notevole ampliamento nel

loro ambito di attuazione ed applicazione61

.

Dal punto di vista sostanziale, è, come si è detto, avvenuta la cancellazione delle cosiddette

fattispecie di deroga, elencate nell’art. 35 del D.P.R. n. 600/1973: se nel regime previgente il

59

Vd. D’AYALA VALVA F. - POLLARI N. - MARIELLA G. - PARISI PRESICCE S. - POLETTI P. -

EVANGELISTA G. - PERLINI L. - BOSIZIO O., L’accertamento in materia di imposte dirette e indirette dopo la

“riforma Visco”, Padova, 2000, pp. 423 e ss. 60 Come precisa la relazione al disegno di legge n. 3005 del 30 settembre 1991, in www.dt.finanze.it. 61 Per tutti TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, in CURAMI G., Il processo

tributario, Torino, 1998, pp. 261 e ss.

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superamento della riservatezza degli istituti di credito si ammetteva solo quando l’ufficio tributario

avesse già acquisito la prova di una cospicua evasione e di elementi che la rilevassero,

indipendentemente dalla violazione del dovere di dichiarare il fatto imponibile, oppure quando il

contribuente avesse commesso frodi di particolare riprovevolezza, al fine di evadere il tributo62

, tale

potere istruttorio appare ora slegato da una rigida elencazione di ipotesi legittimanti e riportato

all’interno di situazioni e condizioni che legittimano più in generale l’attività di controllo da parte

degli uffici e della Guardia di finanza63

.

Dal punto di vista formale, la necessità per l’organo procedente di acquisire sia il conforme

parere dell’Ispettorato compartimentale delle imposte dirette, sia l’autorizzazione attribuita al

Presidente della Commissione tributaria di primo grado, si è invece ristretta al rilascio della sola

autorizzazione preventiva del Direttore regionale delle entrate o, per la Guardia di finanza, dal

Comandante di zona o, del Direttore del SECIT, per gli ispettori tributari, per richiedere copia dei

conti intrattenuti con i contribuenti.

Sono state inoltre definitivamente eliminate tutte le differenze ancora esistenti tra la

procedura vigente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e quella ai fini delle imposte dirette,

pervenendo così ad una disciplina uniforme64

.

Le autorizzazioni necessarie alle indagini bancarie e aspetti della motivazione dell’atto

autorizzatorio.

L’avvio di un’indagine bancaria - secondo quanto previsto dall’art. 51, secondo comma, n. 7

del D.P.R. 633/1972 e dall’art. 32, primo comma n. 7 del D.P.R. 600/1973, è caratterizzato dalla

trasmissione di un’apposita richiesta, da parte dell’organo ispettivo procedente, all’autorità

competente al rilascio della preventiva autorizzazione: si tratta del Direttore Regionale delle

entrate, se a procedere è un ufficio finanziario, del Comandante di zona della Guardia di Finanza,

se ad effettuare gli accertamenti di cui trattasi è un reparto del Corpo ovvero il Direttore del SECIT,

nei casi in cui l’iniziativa sia assunta da ispettori del predetto organo. Nella richiesta di

autorizzazione, da compilare utilizzando apposito facsimile, si devono indicare il nominativo del

62 Cfr. GAFFURI F., Lezioni di diritto tributario, Padova, 1999, pp. 111 e ss. 63 Vd. TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, op. cit., pp. 269 e ss. 64 Vd. REGGI M., Le nuove verifiche tributarie, op. cit., pp. 423 e ss.

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soggetto (o dei soggetti) sul quale si intende indagare, i periodi rilevanti e, le relative “motivazioni”

sull’opportunità e sull’utilità di intraprendere l’accertamento fiscale sui conti correnti bancari o

postali65

.

L’autorizzazione anche se atto interno dell’Amministrazione, risponde ad una duplice

funzione di esame della legittimità e del merito della richiesta66

, nonché di atto legittimante gli

accertamenti bancari e pertanto di limite all’attività istruttoria degli organi

dell’Amministrazione finanziaria che si estrinseca attraverso un’attività di interferenza nei rapporti

bancari o postali di quest’ultimo e dell’ente creditizio o postale67

.

In estrema sintesi, l’autorizzazione non è un mero atto dovuto ma un atto

«prevalentemente discrezionale»68

.

Dalla motivazione, ossia dall’indicazione delle ragioni poste alla base della scelta

operata attraverso l’atto, è dato desumere in base al quale l’organo procedente è stato indotto ad

adottare il provvedimento e a dare ad esso un determinato contenuto, così consentendo al

giudice il sindacato sull’iter logico seguito dall’autorità.

Essa attua dunque il principio della trasparenza e rappresenta un mezzo di conoscenza

della dinamica dell’attuazione del potere amministrativo, rendendo conoscibile l’operato al

soggetto sottoposto, nella specie, alle indagini bancarie69

.

La mancanza della motivazione ovvero l’omessa indicazione delle ragioni che hanno

indotto l’autorità ad adottare l’atto costituisce, ai sensi dell’art. 3 della L. n. 241/1990, un vizio

del provvedimento che può portare al suo annullamento per violazione di legge.

Attualmente, l’avvio di indagini bancarie può essere effettuato nei confronti di

qualunque soggetto, purché: a) ai fini delle imposte sui redditi, esso sia qualificabile come

«contribuente», cioè produttore di una delle categorie reddituali indicate all’art. 6 del D.P.R. n.

917/1986; b) ai fini dell’Iva, si tratti di esercenti un’impresa, arte o professione (art. 4 D.P.R. n.

633/1972).

65 Cfr. CAPOLUPO S., Manuale dell’accertamento delle imposte, op. cit., pp. 660 e ss. 66 In dottrina si è sostenuto che il potere autorizzativo in materia di deroghe al segreto bancario implicherebbe

solo un giudizio ed un controllo di opportunità e di utilità dell’indagine bancaria, avendo come parametro di valutazione

la capacità operativa degli uffici, mentre il giudizio di legittimità sarebbe limitato al controllo del rispetto dei criteri

selettivi per l’individuazione del contribuente da sottoporre alla specifica indagine. Vd. in tal senso BLASKOVIC D.,

Dal segreto bancario alla cultura della trasparenza: aspetti procedimentali- processuali, op. cit., pp. 791 e ss. 67 Vd. TRIMELONI M., L’indagine bancaria e la difesa del contribuente, op. cit., pp. 302 e ss. 68 Cfr. C. M. n. 116/1996, in Corr. trib., 1996, pp. 1824 e ss. 69 Vd. FERRAJOLI L., La tutela del contribuente nelle procedure di accertamento bancario, op. cit., pp. 3817 e

ss.

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Secondo l’art. 32, primo comma, n. 6-bis, D.P.R. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 6-

bis, D.P.R. n. 633/72, gli organi ispettivi, previo rilascio di apposita autorizzazione, possono

richiedere direttamente al contribuente l’indicazione dei rapporti intrattenuti con le aziende o istituti

di credito e l’amministrazione postale. In particolare, l’organo ispettivo procedente potrà invitare il

contribuente a comparire (fissando un termine non inferiore a 15 giorni decorrenti dalla data di

notifica dello stesso invito), indicando, nello stesso foglio di invito, quale motivo della

comparizione, la richiesta di fornire, in forza di specifica autorizzazione rilasciata dal Direttore

Regionale delle entrate o, per la Guardia di finanza, dal Comandante di zona una dichiarazione

contenente natura, numero ed estremi identificativi di eventuali rapporti intrattenuti con le banche,

amministrazione postale, fiduciarie e ogni altro intermediario finanziario nazionale straniero.

Nell’ipotesi in cui il contribuente rilasci una dichiarazione non veritiera può essere applicata

unicamente la sanzione amministrativa cosiddetta residuale. La stessa pena potrà essere applicata

nelle ipotesi in cui emerga il rifiuto o la volontà di non adempiere da parte del contribuente, il che

può risultare da precisi comportamenti assunti dallo stesso contribuente, ovvero, da univoche

circostanze di fatto. Degno di rilievo, per l’apprezzabile intento garantistico, è l’obbligo per

l’istituto di credito o l’amministrazione postale di informare immediatamente il contribuente

interessato delle richieste che lo riguardano e, dell’accesso che dovesse essere eventualmente

effettuato.

L’altra fase del procedimento fiscale, quella di cui al punto sub. 3, è definita comunemente

eventuale. Dopo aver esperito la richiesta della copia dei conti, ed una volta che questa sia

stata acquisita, all’organo ispettivo procedente é riconosciuta, dagli artt. 32, primo comma, n.

7, del D.P.R. n. 600/1973 e 51, secondo comma, n. 7, del D.P.R. n. 633/1972, la facoltà di

richiedere ulteriori dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi agli stessi conti,

mediante l’invio di questionario conforme al modello approvato con decreto del Ministro

delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro.

Le presunzioni nelle indagini bancarie.

L’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/73 e l’art. 51, secondo comma, n. 2, del

D.P.R. n. 633/72, riposano sulla massima d’esperienza70

che ricollega ai movimenti bancari (fatto

70 Che una presunzione non sempre riposa su una massima d’esperienza, vd. TESAURO F., Le presunzioni nel

processo tributario, in Riv. di dir. fin., 1986, I, pp. 194 e ss.

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noto) l’effettuazione di operazioni commerciali da parte del contribuente (fatto ignoto): i movimenti

bancari, se il contribuente non ne dimostra l’irrilevanza reddituali e/o il fatto di averne tenuto conto,

potranno validamente fondare un accertamento71

. Il dibattito sulle modalità di utilizzazione e sul

valore probatorio delle risultanze bancarie si è accesso nell’ultimo decennio, a fronte di un

contenzioso alimentato dal ricorso indiscriminato dell’Amministrazione finanziaria - nell’esercizio

del suo potere impositivo - a questo strumento di indagine che da procedura eccezionale si è

trasformato in modalità ispettiva alternativa rispetto alle tradizionali forme di ispezione e verifica

con accessi72

. Invero, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 18 della legge n. 413 del 1991,

l’acquisizione di dati bancari non incontra più concrete limitazioni di carattere procedurale, essendo

subordinata alla sola autorizzazione del Direttore regionale delle entrate ovvero, per la Guardia di

finanza, del Comandante di zona. Ciò comporta che, mentre in passato, la presunzione relativa

d’imponibilità operava nei soli casi tassativi di deroga al segreto bancario, rivestendo così un ruolo

di conferma e di precisazione delle ipotesi di sottrazione di base imponibile fondate sui richiesti

«elementi certi» già in possesso dell’Amministrazione finanziaria, prima dell’attivazione

dell’indagine bancaria, oggi l’utilizzo presuntivo dei dati bancari rischia di essere oggetto di

un’applicazione generalizzata nei confronti di tutti i contribuenti, in assenza di un preesistente

quadro indiziario idoneo a conferire ad un’operazione bancaria la sua rilevanza ai fini imponibili.

Con il nuovo regime in tema di accesso ai dati bancari, le movimentazioni bancarie, sembrano,

pertanto, assumere un’autonoma valenza probatoria che in passato non era loro riconosciuta. In

particolare, l’art. 32, primo comma, n. 2, del D.P.R. n. 600/1973, recita che «i singoli dati ed

elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli

artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione

del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine». L’art. 51, secondo

comma, n. 2, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce, invece, che «i singoli dati ed elementi risultanti

dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 54 e 55 se il

contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad

operazioni imponibili; sia le operazioni imponibili sia gli acquisti si considerano effettuati

all’aliquota in prevalenza rispettivamente applicata o che avrebbe dovuto essere applicata»73

.

71

Vd. ROCCO G., Utilizzo dei dati bancari, presunzioni ed attività omesse, in Boll. trib., 2002, pp. 1375 e ss. 72

Cfr. PICCARDO A., Utilizzo presuntivo dei dati bancari, la Cassazione esclude l’obbligo del contraddittorio

preventivo, in Dir. e prat. trib., 2001, II, pp. 703 e ss. 73 Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, op. cit., 238 e ss.

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Pertanto, le presunzioni di imponibilità di cui agli articolo testé citati, impongono una distinzione

tra tributi e tra tipi di operazioni effettuate (versamenti e prelevamenti)74.

Per quanto attiene alla natura delle norme in tema di segreto bancario, secondo un

orientamento ritenuto maggioritario, quelle previste dall’art. 32, D.P.R. n. 600/1973, e dall’art. 51,

D.P.R. n. 633/1972, sono vere e proprie presunzioni legali relative75

, aventi ad oggetto ricavi

interamente recuperabili a tassazione; effetto dell’operare di tali presunzioni è l’inversione

dell’onere della prova a carico del contribuente, pertanto, è consentito al contribuente superarle

dimostrando «che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che

non hanno rilevanza allo stesso fine»76

. Secondo un diverso orientamento, invece, quelle previste

dagli artt. 32, D.P.R. n. 600/1973 e 51, D.P.R. n. 633/1972 non rappresenterebbero presunzioni

legali relative, ma piuttosto presunzioni semplici, rimesse, in quanto tali, al prudente apprezzamento

del giudice, presunzioni di cui, nella ricostruzione dell’imposta dovuta e ai fini dell’ammissibilità,

andrebbero di volta in volta verificati i requisiti di gravità, precisione e concordanza77

.

Aspetti del contraddittorio preventivo nelle indagini bancarie.

Il dato normativo che, da un lato, prevede espressamente la richiesta di chiarimenti al

contribuente in ordine alle movimentazioni dei conti bancari e, dall’altro, consente il recupero ad

imposizione delle sole operazioni di addebito e di accredito non adeguatamente giustificate, ha

indotto parte della giurisprudenza78

a ritenere l’instaurazione del contraddittorio in sede

74

Si veda BRUZZONE M., Accertamenti fondati su prelevamenti bancari: la prova contraria è diabolica?, in

Corr. trib., 2002, pp. 480 e ss. 75 Vd. CONIGLIO A., Le presunzioni nel processo civile, Palermo, 1999, pp. 27 e ss.; VERDE G., L’onere della

prova nel processo civile, Napoli, 1974, pp. 220 e ss.; STUFANO S., Ruolo presuntivo delle risultanze bancarie e

contraddittorio preventivo, in Corr. trib., 2001, pp. 777 e ss.; AIUDI B., Rilevanza presuntiva delle movimentazioni

bancarie e interpello del contribuente, in Boll. trib., 2000, pp. 166 e ss. 76 Pronunciando in tema di rettifiche fondate sui dati bancari, la Suprema Corte ha recentemente precisato che

«la fonte legale della presunzione rende utilizzabili de plano dall’Amministrazione finanziaria i dati e gli elementi

risultanti dai conti, anche se il carattere relativo di essa ammette la prova contraria da parte del contribuente». Non

devono necessariamente ricorrere «i requisiti della gravità, precisione e concordanza, riguardanti invece le presunzioni

semplici»; infine, «dalla presunzione stessa deriva, per definizione, l’effetto dell’inversione dell’onere della prova nel

processo tributario». Così Corte di Cass., sent. n. 9103, del 5/07/2001. 77 Vd. Comm. Trib., prov. Pavia, sez. V, 17/12/1998, n. 267, in www.dt.finanze.it.; TARUFFO M., La prova dei

fatti giuridici, Milano, 1982, pp. 443 e ss.; GENTILLI G., Le presunzioni nel diritto tributario, Padova, 1984, pp. 112 e

ss. 78 Vd. Comm. Trib. prov., Missina, sez. X, sent., 6/02/2004, n. 362, in Il Fisco, 2004, pp. 3268 e ss.; Comm.

Trib. prov., Varese, sez. XI, 13/03/1997, n. 21, in Dir. e prat. trib., 1998, II, pp. 18 e ss.; Comm. Trib. prov., Milano,

sez. XI, 3/03/1997, n. 295, in Giust. Trib., 1998, pp. 673 e ss.

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precontenziosa come conditio sine qua non per l’operatività delle presunzioni legali79

. Tuttavia,

siffatta norma ha innanzitutto sollevato discussioni, come anticipato, sia in dottrina sia in

giurisprudenza, in ordine al carattere obbligatorio ovvero facoltativo del contraddittorio

preventivo in essa contemplato80

. A tal riguardo, un primo orientamento ha reputato non

necessario, ai fini dell’accertamento fondato su dati di natura bancaria, il contraddittorio

preventivo col contribuente, argomentando sia dalla previsione dell’invito a comparire nel

contesto di una norma che elenca i poteri discrezionali degli uffici, sia per il decisivo rilievo

attribuito alla residua possibilità del contribuente di difendersi in sede processuale, ritenuta la più

appropriata a tal fine81

. Dal canto suo, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 4601 del 200282

,

testualmente afferma «… il contraddittorio con il contribuente … è oggetto di una mera facoltà

dell’Amministrazione tributaria e non di un obbligo»83

. Chi ha dato rilievo all’obbligo in capo

all’ufficio di procedere al preventivo contraddittorio, lo ha giustificato su base sistematica e di

tutela delle garanzie del contribuente. Si è sostenuto, infatti, che ogni volta in cui si introduce una

eccezione al sistema generale delle prove, attraverso l’individuazione di «una patologica

previsione di presunzione legale (e, quindi, inversione dell’onere della prova), il contraddittorio

anticipato con il contribuente rappresenta un’esigenza che mira a riequilibrare il diritto di

difesa, incrinato proprio dalla presunzione legale»84

. La lettera della norma non lascia dubbi, i

movimenti dei conti possono essere utilizzati per la rettifica del reddito o dell’imponibile («posti

a base») da parte dell’ufficio solo se e dopo che il contribuente non li abbia giustificati, non

prima: ciò può avvenire solo in contraddittorio, il cui diritto in capo al contribuente non può

79

Nella fase precontenziosa, il contribuente si viene a trovare nella particolare situazione di collaboratore

dell’ufficio, dal momento che aiuta gli organi ispettivi a smussare la pretesa impositiva laddove egli fornisca la prova della

regolarità fiscale delle singole movimentazioni dei conti. 80 Vd. VERDUCI V., Le presunzioni in base ai dati bancari nel sistema delle prove, op. cit., pp. 649 e ss. 81 Vd. Comm. Trib. prov. Como, sez. I, 7/05/1997, n. 260, in www.dt.finanza.it., ove la mancata convocazione

del contribuente per fornire giustificazioni e notizie rilevanti in ordine ai dati raccolti non è considerata motivo di nullità

dell’accertamento. In tale pronuncia, l’instaurazione del contraddittorio è ritenuta irrilevante ai fini del legittimo ricorso

alla presunzione normativa fondata sui dati bancari, i quali, da soli, sono così reputati idonei a fondare l’accertamento,

restando comunque, al contribuente la possibilità di contestare in sede giudiziale i risultati ai quali è pervenuta l’azione

accertatrice. Analogamente, vd. Comm. Trib. reg. Toscana, sez. VII, 27/01/1998, n. 2, in www.dt.finanze.it., la quale

afferma: «è legittima l’acquisizione e l’utilizzazione delle risultanze di conti correnti bancari senza contraddittorietà

dell’interessato, in quanto questi può offrire le sue giustificazioni, sotto l’aspetto dell’insopprimibile diritto alla difesa,

nella fase contenziosa che egli dovesse successivamente avviare». 82 In I Quattro codici della Riforma tributaria big., Cd-rom, IPSOA. 83

Vd. D’ANDREA F.M., Il contraddittorio pre-contenzioso negli accertamenti bancari, in Corr. trib., 2002, pp.

3705 e ss. 84 Così PORCARO G., Accertamenti bancari tra violazione di legge e giudizio sul fatto, , in Corr. trib., 1999, pp.

3180 e ss.

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essere negato, se non a prezzo dell’annullabilità dell’avviso in rettifica successivamente emanato

e basato sui dati dei conti bancari.

Rapporti dell’attività conoscitiva con l’attività di accertamento: «l’invalidità derivata».

Un’ulteriore questione da affrontare è quella dell’inutilizzabilità della prova

illegittimamente raccolta nel corso di un’indagine ispettiva85

.

Venendo alla prima questione, ovverosia alle conseguenze prodotte sull’avviso di

accertamento dalle irregolarità che riguardano gli atti investigativi, deve anzitutto evidenziarsi

come, sul punto, l’ordinamento tributario non fornisca riscontro con una chiara specifica previsione

normativa, né può farsi affidamento su un diretto ed esplicito rinvio a norme vigenti in altre aree

giuridiche86

. Tuttavia, ferme restando le più recenti pronunce della Corte di Cassazione, dottrina e

giurisprudenza in merito hanno sempre camminato “di pari passo”, in quanto costantemente

concordi nel concludere per l’illegittimità del provvedimento fondato su di un’attività accertativa

irrituale, o che in ogni caso accolga elementi, dati o notizie acquisiti in virtù di un esercizio delle

potestà istruttorie arbitrario o comunque poco ortodosso. L’assunto è ovvia conseguenza

dell’orientamento ormai consolidato che riconduce l’attività di accertamento e riscossione dei

tributi nell’ampio genus dei procedimenti amministrativi87

, per i quali vige il principio generale

della c.d. “invalidità derivata” di tutti gli atti del procedimento di accertamento ad esso susseguenti

e con esso intimamente collegati: essendo gli atti procedimentali collegati dal punto di vista

strutturale e funzionale, il vizio di quelli preliminari o comunque precedenti (c.d. “atti presupposti”)

incide, “inquinandoli”, sugli atti successivi, comportandone l’invalidità88

. Pertanto, sotto il profilo

tributario, gli atti della verifica fiscale sono strettamente collegati con il provvedimento finale cui

mirano, ovvero l’atto di irrogazione delle sanzioni o l’avviso di accertamento, essendone

85

Vd. REDI M., Vizi istruttori e invalidità dell’avviso di accertamento, in Riv. di dir. trib., 2001, II, pp. 485 e

ss. 86 Cfr. MARCHETTI G., La prova irrituale nell’accertamento fiscale tra inutilizzabilità e rilevanza: Cassazione

a confronto, pp. 1727 e ss. 87

Una delle nozioni di procedimento amministrativo elaborate in dottrina e maggiormente accolte è quella del

SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, op. cit., pp. 689 e ss., secondo il quale «il procedimento è una

serie di atti (istanze, accertamenti, pareri, proposte, designazioni, deliberazioni preliminari) e di operazioni (notifiche,

pubblicazioni) posti in essere da un unico o da diversi agenti, solitamente culminanti in un provvedimento e

strutturalmente e funzionalmente collegati dall’obiettivo avuto di mira e perciò appunto coordinati in procedimento». 88 Vd. TESAURO F., Lineamenti del processo tributario, Rimini, 1991, pp. 257 e ss.; GALLO S.,

Discrezionalità nell’accertamento tributario e sindacabilità delle scelte dell’ufficio, op. cit., pp. 665 e ss; LA ROSA S.,

Caratteri e funzioni dell’accertamento tributario, op. cit., pp. 791 e ss.

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antecedenti necessari e strumentali, con l’effetto che dall’invalidità dei primi discende l’illegittimità

dei secondi. Le risultanze degli sforzi investigativi trapassano in sede processuale e divengono la

base probatoria sulla quale si fonda l’opposizione dell’ufficio alla richiesta di annullamento

dell’avviso di accertamento89

. Di conseguenza, poiché le conoscenze assunte con procedure non

rispettose della legge non possono essere, come più volte detto, addotte in giudizio, in tal caso,

l’accertamento risulta privo di un valido supporto dimostrativo e deve essere annullato90

.

Perché una prova possa considerarsi valida non basta, come si sa, che di per sé, essa sia

dimostrativa di ciò che si intende provare, ma è altresì necessario che sia stata legittimamente

acquisita e che sia utilizzabile. E’ questa la ratio della norma sancita nel nuovo codice di rito

penale che all’art. 191 c.p.p. prevede l’inutilizzabilità91

delle prove acquisite in violazione dei

divieti stabiliti dalla legge.

La tutela del contribuente

L’uso dei poteri istruttori risponde a scelte di opportunità dell’ufficio ed il contribuente può

sindacarle solo in parte. Il privato può avere un interesse giuridicamente rilevante alle modalità di

esercizio dei poteri istruttori quando essi pregiudicano suoi interessi diversi da quello alla corretta

determinazione dell’imposta, come l’inviolabilità del domicilio, l’integrità della corrispondenza, il

segreto professionale e più in generale il diritto alla riservatezza anche se gli elementi raccolti in

seguito ad un procedimento svoltosi legittimamente, non siano impiegati per l’accertamento92

. Di

questi problemi esiste traccia, nella normativa sull’accertamento, solo quando i poteri istruttori

possono ledere i diritti del contribuente alla riservatezza93

, alla segretezza94

e al domicilio. Poiché

in questi casi la mediazione tra tali interessi e lo svolgimento dell’indagine fiscale è spesso

attribuita alla autorità giudiziaria, si vedano quali mezzi di tutela siano disponibili, per il privato,

qualora i poteri istruttori siano esercitati ledendo i suddetti interessi, oltre i limiti delle

89 Cfr. TESAURO F., Prova, in Enc. del diritto, App., vol. III, Milano, 1999, pp. 885 e ss. 90 Vd. FANTOZZI A., Diritto tributario, op. cit., pp. 324 e ss. 91

L’assenza di una sanzione espressa di inutilizzabilità é difficilmente

recuperabile, in ambito fiscale, secondo parte della dottrina, dalla lettura degli artt. 70 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 75, del D.P.R. n.

633 del 1972, i quali richiamano in materia di accertamento, di violazione e di sanzioni, anche le norme del codice di procedura

penale, essendo difficilmente omologabili i due procedimenti. Così CAPUTI G., L’inutilizzabilità non é una sanzione prevista

nell’ordinamento tributario, commento a Cass., sent, 19/06/2001, n. 8344, in Il Fisco, 2001, pp. 9371 e ss. 92 Vd. SCHIAVOLIN R., Poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, op. cit., pp. 929 e ss. 93 Un esempio potrebbe essere l’apertura di plichi sigillati, la perquisizione e la stessa indagine bancaria. 94 Si pensi al segreto professionale di avvocati, commercialisti, medici, ecc.

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autorizzazioni o addirittura senza richiederlo affatto95

. Al contribuente viene, innanzitutto,

riconosciuta una forma di tutela cosiddetta mediata che opera, cioè, successivamente

all’emanazione dell’avviso di accertamento o di irrogazione delle sanzioni, e che consiste nella

garanzia di inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di norme procedimentali96

. Il

sistema di tutela “mediata” o “differita” delle situazioni giuridiche del contribuente in fase

istruttoria trova conferma nella disciplina del contenzioso tributario, ove è stabilita la non

impugnabilità in via autonoma degli atti diversi da quelli espressamente indicati all’art. 19, primo

comma, del D.Lgs. n. 546/1992. In dottrina97

viene tuttavia rilevato che la tutela “mediata”

tramite l’impugnativa dell’atto di accertamento dinanzi alle Commissioni tributarie, presenti diversi

limiti. In particolare, si ritiene che essa possa non essere sufficiente, quando l’azione investigativa

illegittima sia di per se stessa lesiva di posizioni giuridicamente rilevanti98

. Alcuni atti investigativi,

infatti, possono far danni autonomamente, a prescindere dall’emanazione di un atto finale.

L’inutilizzabilità in sede contenziosa delle informazioni illecitamente acquisite rappresenta senza

dubbio una forma di contrappeso all’esercizio illegittimo dei poteri istruttori, ma il destinatario

degli atti può spesso avere un interesse alla loro cessazione indipendentemente dall’annullamento

del successivo atto impositivo. La “tutela differita” è, inoltre, del tutto inutile quando i poteri sono

esercitati nei confronti del terzo99

, poiché la legittimazione ad impugnare un eventuale avviso di

accertamento spetta al destinatario dell’atto o, comunque e più in generale, a l soggetto che sia

parte del rapporto tributario controverso; quando l’accertamento si fonda anche su informazioni

legittimamente acquisite; quando l’accertamento non viene poi emesso o riguarda questioni

diverse100

. Il ricorso alle Commissioni tributarie tra l’altro risulta profondamente insufficiente

95 Cfr. LUPI R., Manuale giuridico professionale di diritto tributario, op. cit., pp. 441 e ss. 96 Cfr. STUFANO S., La tutela del contribuente nelle indagini bancarie, op. cit., pp. 35 e ss. 97 Vd. MOSCATELLI M., Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, op. cit., pp.

1107 e ss. 98 Sull’insufficienza di questa tutela differita vedasi anche LA ROSA S., Caratteri e funzioni dell’accertamento

tributario, op. cit., pp. 793 e ss. 99

Rispetto al terzo si crea una grave carenza di tutela, poiché questi sarà costretto a subire poteri, istruttori lesivi della sfera

della propria riservatezza (si pensi agli accessi, ispezioni e verifiche presso studi professionali, o all’invio di questionari a soggetti

diversi dal contribuente), senza che possa essere minimamente soddisfacente la tutela offerta dall’annullamento dell’accertamento

relativo al soggetto cui i controlli si riferiscono. Neppure la giurisprudenza, del resto, nei casi in cui le sono state sottoposte

questioni relative alla posizione del terzo rispetto allo svolgimento dell’istruttoria, si é mostrata troppo sensibile a tali esigenze di

garanzie, almeno nel senso di circondare di maggiori cautele lo svolgimento delle indagini dell’Amministrazione finanziaria, vista

l’effettiva carenza della possibilità di ricorrere contro di esse in sede giurisdizionale (vd. Corte Cass., 10/01/1996, n. 153; in Riv. dir.

trib., pp. 910 e ss., in cui si afferma che, quando gli organi preposti alle verifiche fiscali accedono legittimamente in un luogo, ben

possono acquisire atti e dati riguardanti soggetti diversi dal titolare del domicilio nei cui confronti era stata richiesta l’autorizzazione,

poiché la ratio della stessa è quella di tutelare il diritto del soggetto nei cui confronti é disposto l’accesso, e non di creare una sorta di

immunità dalle indagini a favore dei terzi). 100 Cfr. LUPI R., Manuale giuridico professionale di diritto tributario, op. cit., pp. 443 e ss.

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a garantire una tutela effettiva delle posizioni soggettive del privato lese dall’esercizio dei

poteri istruttori, per mancanza di effettività di tutela sul piano temporale: prima di proporre

ricorso, il contribuente dovrà attendere l’emanazione dell’avviso di accertamento, quando

avrà ormai subito la violazione del domicilio, l’apertura coattiva di cassetti o plichi sigillati, e

più in generale un’indebita intromissione nella sfera della propria riservatezza. A questo si

aggiunga che la possibilità di ricorrere dinanzi alle Commissioni tributarie, eccependo i vizi

dell’istruttoria, sarà del tutto preclusa al contribuente nei casi in cui manca l’atto da

impugnare, e .cioè quando l’Amministrazione finanziaria, dopo aver svolto, indagini

conoscitive, ritenga non sussistano violazioni per cui non emana il successivo avviso di

accertamento. Qualora comunque si dovesse addivenire all’impugnativa dell’avviso di

accertamento, questo potrà essere annullato solo se fondato esclusivamente su prove acquisite

in violazione di legge, e non se autonomamente giustificato anche da altre informazioni

legittimamente ottenute. Ed anche se il giudice tributario dovesse accogliere l’eccezione di

invalidità dell’accertamento per vizi dell’istruttoria, questo porterebbe all’annullamento

dell’avviso di accertamento, e quindi ad una pronuncia relativa alla quantificazione della

pretesa tributaria, senza alcuna diretta relazione, in chiave risarcitoria o restitutoria, con le

posizioni soggettive del privato effettivamente lese101

. Constatati i limiti di tale tutela, in

dottrina si comincia ad ammettere102

che contro gli atti istruttori dell’Amministrazione finanziaria si

possa esercitare non soltanto una tutela mediata tramite l’impugnativa dell’atto di accertamento

dinanzi alle Commissioni tributarie103

, ma anche una tutela “immediata” quando l’esercizio dei

101 Il privato leso nelle proprie posizioni soggettive non potrà trovare tute la neppure nell’esercizio dell’azione

cautelare, elemento di novità del nuovo contenzioso tributario, poiché essa, in linea con i poteri di cognizione delle

Commissioni tributarie, consente al contribuente di richiedere la sospensione dell’atto impugnato se dalla sua

esecuzione può derivare un danno grave ed irreparabile (così l’art. 47, del D.Lgs. 31/12/1992, n. 546). 102 Vd. RUSSO P., Manuale di diritto tributario, op. cit., pp. 260 e ss.; FANTOZZI A., I rapporti tra fisco e

contribuente nella nuova prospettiva dell’accertamento tributario, op. cit., pp. 238 e ss.; SCHIAVOLIN R., Le richieste

di informazioni della polizia tributaria e la tutela cautelare del giudice amministrativo ordinario, in Il Fisco, 1998, pp.

5074 e ss.; SANTAMARIA B., Le ispezioni tributarie, op. cit., pp. 124 e ss.; LUPI R., Manuale giuridico professionale

di diritto tributario, op. cit., pp. 441 e ss. 103 Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’attribuire al contribuente una tutela mediata o differita per i vizi

di illegittimità dell’attività istruttoria tramite l’impugnativa dell’avviso di accertamento dinanzi alle Commissioni

tributarie. Questa forma di tutela si fonda sulla concezione della fase istruttoria inserita in un contesto procedimentale, i

cui vizi degli atti compiuti nelle fasi intermedie ridondano e quindi possono essere fatti valere tramite l’impugnativa

dell’atto finale, ricorrendo cioè al concetto di invalidità derivata.

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poteri di indagine incide sui diritti del contribuente in modo illegittimo o al di là di ogni

criterio di normalità e ragionevolezza104

.

104

Si pensi a i casi in cui accessi ed ispezioni vengono protratti per tempi eccessivamente lunghi, oppure alle

ipotesi in cui i questionari richiedano al contribuente dati e notizie di mole e complessità tali da esorbitare i limiti di

ragionevolezza e quindi la funzione per cui sono stati predisposti dal legislatore.

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28 Il procedimento d’accertamento d’ufficio e in rettifica: accertamento analitico e sintetico.

Al termine dell'istruttoria, l'amministrazione finanziaria può constatare il fedele

adempimento da parte del contribuente, degli obblighi di tenuta delle scritture contabili e

dell'obbligo di presentazione della dichiarazione e quindi non procederà alla notifica al contribuente

di alcun atto di accertamento o di irrogazione delle sanzioni.

Diversamente, in ipotesi di riscontrate violazioni della normativa tributaria,

l'amministrazione potrà provvedere alla notifica di un avviso di accertamento o di un avviso di

liquidazione e/o di un atto di contestazione delle sanzioni.

Ancora l’amministrazione potrà invitare il contribuente a prendere parte ad una fase di

contraddittorio volta a pervenire ad un accertamento con adesione.

Il procedimento di attuazione del tributo perviene quindi ad un provvedimento “avviso di

accertamento”, cui si applicano le regole generali del diritto amministrativo. Tale provvedimento

non ha natura discrezionale, ma vincolata, sicché i contenuti sono prestabiliti e L’A.F. non può

decidere se emanare l’atto e quale ne è il contenuto in quanto tutto è predeterminato dalla legge. Ne

consegue, come si vedrà nel prosieguo, che non può esistere il vizio tipico degli atti discrezionali

l’eccesso di potere.

L'atto di accertamento deve essere notificato a pena di decadenza entro i termini previsti per

l'effettuazione dell'accertamento dall'art. 43 del DPR n. 600/73, che stabilisce che gli avvisi di

accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno

successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; oppure entro il 31 dicembre del

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quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nei casi

di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla.

Il legislatore tributario ha scelto quindi di sottoporre la definizione del procedimento di

accertamento a termini di decadenza che assicurano maggiore certezza e stabilità ai rapporti

giuridici.

Alla regola generale sopra delineata seguono però talune deroghe eccezionali, essendo

previste delle proroghe con interventi legislativi.

L’art. 43, comma 2-bis, del DPR n. 600/1973, dispone poi che se la violazione delle leggi

d'imposta comporta obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal

D.Lgs. 10.3.2000 n. 74, i suddetti termini sono raddoppiati relativamente al periodo d'imposta in cui

è stata commessa la violazione, con evidente sfasamento tra il termine prescrizionale di sei anni per

i reati tributari (ex art. 157 c.p.) e la decadenza raddoppiata del potere di accertamento,

potenzialmente esteso sino a dieci anni per l’omissione di dichiarazione.

Nell’esercizio dell’attività di controllo, il sempre più crescente numero di posizioni contributive da

controllare ha generato l’esigenza di semplificare i metodi di individuazione dei contribuenti da

sottoporre ad accertamento e, considerata l'impossibilità di estendere i controlli a tutti i contribuenti,

l'art. 37 del DPR 29.9.1973 n. 600 ha previsto che gli uffici procedono al controllo in modo

selettivo nei confronti di contribuenti scelti sulla base dei criteri fissati annualmente dal Ministro

dell'economia e finanze, tenendo conto anche delle loro capacità operative.

Inoltre, le forme sempre più sofisticate di evasione, basate su un rispetto meramente formale della

legge e in particolare delle disposizioni regolatrici delle formalità contabili, senza che ad esso

corrisponda la rappresentazione delle reali situazioni di fatto, ha comportato l’esigenza di un

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affinamento delle tecniche di accertamento al fine di far emergere nella loro effettiva consistenza i

fatti imponibili anche in contrasto con le scritture (parametri, coefficienti, studi di settore ecc).

A seconda delle situazioni emerse dall’istruttoria esperita dall’A. F., la legge prevede che

l’entità dei redditi risultante dalla dichiarazione del contribuente possa essere modificata in aumento

con criteri e modalità diverse.

Si suole parlare a riguardo di metodi o sistemi di accertamento.

2.1. Metodi di accertamento

Nell’ambito delle imposte sui redditi, il metodo è diverso a seconda che l’accertamento

abbia ad oggetto la dichiarazione presentata dalle persone fisiche, da chi esercita attività d’impresa

o di lavoro autonomo (determinati in base alle scritture contabili).

Per quel che concerne l’accertamento delle persone fisiche, la rettifica del reddito può

avvenire secondo due metodi:

- il metodo analitico (art. 38, secondo comma);

- il metodo sintetico (art. 38, quarto comma).

Si distingue più precisamente un accertamento “analitico”, allorché l’accertamento sia fondato sulla

rettifica delle singole componenti o manifestazioni del fatto imponibile; “induttivo”, quando

l’accertamento si basa, parzialmente o totalmente, su presunzioni, “sintetico”, qualora

l’accertamento, in presenza di distinte componenti del fatto imponibile, si concretizzi in un unitario

apprezzamento, non esistendo i presupposti per una rettifica analitica di detti componenti, secondo

le specificazioni di cui ai successivi paragrafi.

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2.2. Metodo analitico

A norma dell’art. 38 DPR n. 600/73, si procede alla rettifica della dichiarazione ai fini dell’IRPEF

quando il reddito complessivo dichiarato dal contribuente risulta inferiore a quello effettivo ovvero

non sussistono o non spettano, in tutto o in parte, le deduzioni dal reddito o le detrazioni d’imposta

ivi indicate.

In linea di principio la rettifica va effettuata su basi analitiche, vale a dire con riferimento ai

singoli redditi appartenenti alle varie categorie di cui all’art. 6 DLgs n. 917/86.

La rettifica deve essere fatta con unico atto, agli effetti dell’imposta sul reddito delle persone

fisiche (e dell’IRAP ) con riferimento analitico ai redditi delle varie categorie di cui all’art. 6 del

Tuir.

Il metodo analitico richiede che l’ufficio determini il reddito del soggetto passivo

recuperandolo attraverso l’analisi e il controllo delle singole categorie di reddito, riscontrando in

modo specifico e dettagliato i singoli redditi, ciascuno come scaturente dalla relativa fonte di

produzione.

Tale metodo è utilizzabile quando sono note le fonti di reddito.

L’incompletezza, la falsità e l’inesattezza dei dati indicati in dichiarazione possono essere desunte

quindi dalla dichiarazione stessa, dal confronto con le dichiarazioni relative a precedenti periodi

d’imposta e dai dati e notizie acquisiti a mezzo dell’esercizio dei poteri istruttori dell’ufficio,

anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.

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2.3. Metodo sintetico

L’art. 38, 4° comma DPR n. 600/73 prevede poi il metodo sintetico con il quale si determina

il reddito complessivo delle persone fisiche senza la previa identificazione delle singole e specifiche

fonti produttive e sulla base della valenza induttiva di elementi e circostanze di fatto certi.

Dalla individuazione di elementi e fatti economici certi, diversi dalle fonti di reddito (spese,

consumi, investimenti), si perviene al calcolo del reddito globale in via presuntiva.

L'ufficio - indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti, e quindi

dal comma 2, in cui è sancita la regola dell'analiticità dell'accertamento, nonché dell’art. 39,

concernente la determinazione del reddito d’impresa - può sempre determinare sinteticamente il

reddito complessivo del contribuente in base ad elementi e circostanze di fatto certi, in relazione al

contenuto induttivo di tali elementi e circostanze, quando il reddito complessivo netto accertabile si

discosta per almeno un quinto da quello dichiarato.

Si tratta di una forma di accertamento effettuata sulla base delle spese di qualsiasi genere

sostenute nel corso del periodo d'imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto

con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti

a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della

base imponibile.

Gli elementi e circostanze di fatto su cui può essere basata la ricostruzione sintetica hanno la

caratteristica comune di esprimere una capacità di spesa e possono essere distinti in due categorie:

- spese per utilizzo o mantenimento di beni e servizi (autovetture, case, ecc.);

- spese destinate ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente (acquisto di

abitazioni, di partecipazioni ecc.) .

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2.4. Redditometro:

Per agevolare l’attività di accertamento il quinto comma dell’art. 38 in esame stabilisce che,

con un apposito decreto ministeriale (aggiornato con periodicità biennale), sono stabilite le modalità

in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in

relazione ad “elementi indicativi di capacità contributiva” individuati con lo stesso decreto (c.d.

redditometro) mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in

funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza. Tanto a condizione che

il reddito complessivo accertabile ecceda di almeno un quinto quello dichiarato. Il D.M. 11

febbraio 2009, IL REDDITOMETRO, aggiornato periodicamente in funzione della svalutazione

monetaria, è volto a quantificare a priori la capacità di spesa connessa alla disponibilità di tali beni

e servizi, e quindi a inferirne, attraverso un meccanismo automatico di calcolo, il presumibile

reddito attribuibile al contribuente.

Tali indici di spesa sono la disponibilità di aeromobili, navi e imbarcazioni da diporto,

autoveicoli e altri mezzi di trasporto a motore oltre i 250 cc. roulottes, cavalli da equitazione e da

corsa, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, assicurazioni, ecc.

L’incongruità del reddito dichiarato rispetto a quello determinabile induttivamente

dall’Ufficio può però dipendere, in tutto o in parte, dall’esistenza di redditi diversi da quelli

posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo

di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, per i quali,

ai sensi dell’art. 1, comma quarto, DPR 600/73, non vi è obbligo di dichiarazione.

Per questo motivo, l'ufficio che procede alla determinazione sintetica del reddito

complessivo ha l'obbligo di invitare il contribuente a comparire di persona o per mezzo di

rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e, successivamente, di

avviare il procedimento di accertamento con adesione.

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Sotto quest’aspetto sono da considerare i disinvestimenti patrimoniali, le somme derivanti

da mutui e finanziamenti, le donazioni e successioni, le vincite; ugualmente occorre tener conto

dell’entità dei redditi dichiarati per gli anni pregressi che possono giustificare l’accumulo della

somma utilizzata per l’investimento patrimoniale (circ. min. 49/E del 9.8.2007).

La differenza accertata tra il reddito dichiarato e quello determinato in via induttiva viene

considerato un reddito lordo, per cui sono ammesse le deduzioni di cui all’art. 10 TUIR che

incidono sulla situazione personale del contribuente e dei suoi familiari (art. 38, u.c.) e, per gli

oneri sostenuti dal contribuente, le detrazioni dall'imposta lorda previste dalla legge.

Le disposizioni di cui innanzi si applicano anche quando il contribuente non ha ottemperato

agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’art. 32, primo comma, nn. 2), 3) e 4), vale a dire agli

inviti a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini

dell'accertamento o a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell'accertamento nei

loro confronti, o a compilare i questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai

fini dell'accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali

abbiano intrattenuto rapporti.

La natura del decreto è molto discussa in dottrina:

secondo alcuni, rientra nell’ambito degli atti amministrativi generali emanati dal Ministero

nell’esercizio di una potestà attribuitagli dalla legge; come tale è privo di efficacia normativa ed è

inidoneo a produrre effetti costitutivi in ordine alla disciplina della fattispecie; secondo altri ha

natura di regolamento per l’obbligatorietà della relativa emanazione, per i suoi connotati di

generalità ed astrattezza, per il carattere normativo (di natura secondaria) delle relative

determinazioni.

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Può quindi essere oggetto di sindacato da parte del giudice amministrativo e di quello

tributario.

2.5. Altre forme di accertamento sintetico

L’accertamento sintetico può essere effettuato sulla base delle spese per incrementi

patrimoniali.

Con riferimento a tale categoria di spese, il legislatore, allo scopo di attribuire uniformità

alle quantificazioni operate dagli Uffici, ha stabilito una presunzione legale relativa:

tali spese si presumono sostenute, salvo prova contraria a carico del contribuente, con redditi

conseguiti, in quote costanti nell’anno in cui sono state effettuate e nei quattro precedenti (art. 38,

5° comma).

2.6. L’accertamento d’ufficio

Tale forma di accertamento può essere emesso nei casi di omessa presentazione della

dichiarazione o di presentazione di dichiarazioni nulle ai sensi delle disposizioni del Titolo

primo, per esempio perchè la dichiarazione è stata presentata più di 90 gg. oltre la scadenza; non è

redatta su stampati conformi ; non è sottoscritta (sanabile a seguito di invito dell’A.F.).

Nelle ipotesi precedente l'ufficio determina il reddito complessivo del contribuente, e in

quanto possibile i singoli redditi delle persone fisiche soggetti all'imposta locale sui redditi, sulla

base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di

avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell'art. 38 e di

prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali

scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute.

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I redditi fondiari sono in ogni caso determinati in base alle risultanze catastali.

Se il reddito complessivo è determinato sinteticamente, non sono deducibili gli oneri di

cui all'art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597.

Si applica il quinto comma dell'art. 38.

2.7. Accertamento dei redditi determinati in base alle scritture contabili.

L’art. 39 D.P.R. n. 600/1973 consente all’Amministrazione finanziaria di procedere alla

rettifica dei redditi determinati in base alle scritture contabili con due diversi metodi a seconda

dell’importanza e del numero delle irregolarità riscontrate:

- il metodo analitico contabile (o tout court) e quello analitico -induttivo;

- il metodo induttivo extracontabile.

Il metodo analitico contabile viene utilizzato per rettificare la dichiarazione relativa ai

redditi d’impresa delle persone fisiche (art. 39, 1° comma), la dichiarazione relativa ai redditi delle

imprese minori e ai redditi dell’esercizio di arti e professioni, con riferimento alle scritture contabili

previste dagli artt. 18 e 19 D.P.R. n.600/1973 (art. 39, 3° comma).

In ordine al reddito derivante dall’esercizio di imprese commerciali le modalità di

accertamento dipendono dal particolare criterio di determinazione dello stesso. Tale criterio è

basato, com’è noto, sulle risultanze del conto economico e si determina apportando al risultato di

esercizio eventuali variazioni, in aumento o in diminuzione, conseguenti all’applicazione delle

particolari disposizioni previste dal TUIR stesso (cfr. art. 83).

Sulla base di questo presupposto il controllo in merito alla compiutezza e correttezza del

reddito dichiarato deve necessariamente passare attraverso due fasi riguardanti, l’una, le modalità di

determinazione del risultato civilistico dell’esercizio; l’altra l’applicazione delle eventuali

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variazioni che il contribuente abbia apportato o avrebbe dovuto apportare in sede di dichiarazione in

applicazione di divergenti principi di rivelazione del reddito previsti dalla norma tributaria.

Pertanto oggetto di tale controllo è la verifica, in via preliminare, che tutti i fatti aziendali

siano stati recepiti nei documenti contabili, che questi siano stati annotati nelle prescritte scritture

contabili e confluiti nel bilancio di esercizio secondo la loro effettiva consistenza e secondo corretti

principi contabili.

Questa verifica consentirà di accertare anche le eventuali divergenze tra rilevazione

contabile e fiscale dei singoli componenti reddituali giustificate da specifiche disposizioni in

materia di determinazione del reddito d’impresa, in modo da appurare se il contribuente ha poi

apportato, in sede di compilazione della dichiarazione, le eventuali necessarie variazioni, in

aumento o in diminuzione, rispetto al risultato civilistico di esercizio.

L’art. 39, 1° comma prevede l’utilizzo di tale metodo quando l’incompletezza, la falsità

l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e

diretto dal confronto degli elementi indicati nella dichiarazione e quelli del bilancio e delle scritture

contabili; dall’esame dei documenti su cui si basa la contabilità (fatture, conti bancari); dall’esame

di documenti provenienti anche da terzi.

Più esattamente la norma recita:

- lett. a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio,

del conto dei profitti e delle perdite e dell’eventuale prospetto di cui al secondo comma dell’art. 3;

- lett. b): se non sono state esattamente applicate le disposizioni del Titolo I, Capo VI, del

Tuir – redditi d’impresa;

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- lett. c): se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella

dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari inviati

ai contribuenti, ai sensi dell’art. 32, nn. 2) e 4),

dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi dell'art. 32, n. 3), dalle

dichiarazioni di altri soggetti previste negli artt. 6 (dichiarazione delle società semplici, in nome

collettivo ed equiparate) e 7 (dichiarazione dei sostituti di imposta), dai verbali relativi ad ispezioni

eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio.

Il metodo analitico presuppone che il contribuente abbia tenuto correttamente le scritture

contabili ed è quello che richiede una particolare cura da parte dell’autorità finanziaria procedente.

Infatti, come si ricorderà, il sistema delle scritture contabili esplica una funzione di garanzia a

favore del contribuente per cui, in presenza d’una contabilità sistematica ed ordinata, deve esser

fatto salvo il diritto di quest’ultimo a vedersi riconosciuta veritiera, fino a prova contraria, la

rappresentazione dei fatti e circostanze contenuti nelle scritture e, di conseguenza, attendibili le

risultanze contabili sulla base delle quali la dichiarazione è stata effettuata.

L’accertamento analitico presuppone pertanto una contabilità nel complesso attendibile di

cui vengono rettificate singole componenti positive o negative, la regolare esibizione di libri e

registri, in sede di verifica, la regolare allegazione del bilancio nei casi prescritti. Pertanto spetterà

all’ufficio acquisire la prova della sussistenza di presupposti che lo legittimino a discostarsi dal

contenuto della dichiarazione, il che potrà verificarsi soltanto qualora da dati certi risulti che taluni

componenti reddituali non siano stati totalmente o parzialmente recepiti nelle scritture contabili

ovvero non siano state correttamente applicate specifiche disposizioni tributarie che comportino la

rilevazione di detti componenti con criteri derogatori rispetto alle regole contabili.

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In altri termini, la prova della parziale inattendibilità delle scritture ricade sull’ufficio

finanziario e quest’ultimo può procedere alla rettifica della dichiarazione solo in base a prove certe

e dirette.

Può peraltro verificarsi che il contribuente, pur tenendo una contabilità formalmente

regolare, non abbia fatto confluire nelle scritture contabili tutte le vicende aziendali nella loro reale

consistenza, omettendo la rilevazione di parte dei ricavi o, peggio ancora, anche dei costi, al fine di

far apparire un equilibrato risultato che peraltro non risponde alle effettive condizioni di operatività

dell’impresa. In questo caso l’ufficio, pur non potendo prescindere dalle scritture contabili, può far

ricorso a metodi induttivi di accertamento che può svolgersi secondo differenti modalità e intensità

a seconda del grado di corrispondenza tra fatti aziendali, loro rilevazione contabile e contenuto

della dichiarazione.

2.8. Accertamento analitico-induttivo

L’art. 39, 1° comma, lett. d) prevede che l’Ufficio procede alla rettifica se l’incompletezza,

la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta da:

- l’ispezione delle scritture contabili e le altre verifiche di cui all’art. 33

- il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla

scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa,

- i dati e le notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’art. 32

presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti.

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La presenza di contabilità formalmente regolare quindi non impedisce l'accertamento in

rettifica di cui all'art. 39, primo comma, lett. d) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede

un tipo di accertamento definibile in base al processo logico adottato analitico-induttivo.

Tali accertamenti possono essere anche essere fondati sull'esistenza di gravi incongruenze

tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta o

dagli studi di settore elaborati.

Tale accertamento può essere fondato:

a) su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti;

b) Su gravi incongruenze tra prezzo di vendita e di mercato

c) Sugli studi di settore (art. 62 sexies L. 29/10/93, n. 427).

Il metodo analitico-induttivo è applicabile in presenza di dichiarazioni che risultino affette

da gravi e numerose inesattezze.

L’ampliamento del metodo analitico-induttivo discende in particolare dall’art. 62 sexies, 3°

comma, D.L. n.331/1993, conv. il L. n.427/1993, ove si è previsto che: gli accertamenti di cui

all’art. 39, primo comma, lett. d) possono essere basati anche sull’esistenza di gravi incongruenze

tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle

caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta dagli studi di settore

approvati con D.M. e pubblicati.

Lo stesso D.L. include l’accertamento ivi disciplinato tra gli “accertamenti di cui all’art. 39

primo comma”, richiamando quindi le generali condizioni di legittimità e, in particolare,

specificando che le incongruenze tra ricavi e le caratteristiche e le condizioni di esercizio

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dell’attività siano “gravi” e siano “fondatamente desumibili”, nella sostanza richiamando quanto

disposto in via generale dalla lett. d) dell'art. 39, I comma.

L’Ufficio procede pertanto alla integrazione o correzione di singole poste o voci di cui abbia

dimostrato l’inattendibilità in base alle notizie in suo possesso.

Nonostante l’impiego del metodo induttivo, la determinazione del reddito è effettuata

nell’ambito delle risultanze contabili, da cui ci si discosta, senza infirmarne l’attendibilità

complessiva, solo per rettificare alcune voci erroneamente indicate.

Il contenuto dell’azione accertatrice dell’ufficio è in questo caso notevolmente più ampio di

quello indicato nella precedente lett. c), in quanto, mentre in quest’ultima ipotesi l’ufficio può

fondare l’accertamento sulla base di specifiche risultanze istruttorie dotate del requisito della

certezza e della documentabilità in merito all’incompletezza, falsità o inesattezza dei dati dichiarati,

nel caso di accertamento presuntivo, non solo l’ufficio può avvalersi di elementi di diversa natura,

comunque acquisiti, ma l’omessa contabilizzazione di componenti positive o l’inesistenza di

componenti negative del reddito può esser in ogni caso desunta anche da altri elementi, purché

dotati di un’oggettiva attendibilità (e forniti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza).

In particolare, circa la sussistenza di gravi incongruenze, la giurisprudenza ha ritenuto che,

pur in presenza di scritture contabili formalmente corrette, la contabilità possa esser considerata

complessivamente ed essenzialmente inattendibile, in quanto confliggente con regole fondamentali

di ragionevolezza, la qual cosa può desumersi anche dall’abnormità del risultato finale dichiarato

rispetto a quello oggettivamente desumibile dalle particolari condizioni di operatività dell’impresa e

che, in tal caso, non sia necessario procedere ad un riscontro analitico della congruenza e

verosimiglianza delle singole componenti reddituali dichiarate.

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2.9. L’accertamento induttivo extracontabile dei redditi d’impresa

L’art. 39, secondo comma, D.P.R. n. 600/1973 prevede che in deroga alle disposizioni del

primo comma l’Ufficio delle imposte determina il reddito, con facoltà di prescindere in tutto o in

parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti, perché ritenute

inattendibili e stimare il reddito avvalendosi di dati e notizie comunque raccolti; presunzioni prive

dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Deve trattarsi di contabilità complessivamente inattendibile, ma le ipotesi sono

specificamente identificate:

1. il reddito d’impresa non è stato indicato in dichiarazione;

2. dal verbale di ispezione (art. 33) risulta che il soggetto passivo non ha tenuto o ha sottratto

all’ispezione una o più scritture contabili;

3. le irregolarità formali delle scritture sono tali (gravi, numerose e ripetute) da rendere

inattendibile la contabilità;

4. Non ha trasmesso atti e documenti o non ha risposto al questionario (art. 32).

Questo tipo di accertamento, in assenza delle garanzie derivanti da una sistematica

rilevazione dei fatti aziendali, consente la ricostruzione del reddito in base agli elementi comunque

pervenuti a conoscenza dell’ufficio, anche a prescindere dall’eventuale esistenza delle scritture

contabili e d’una contabilità soltanto formalmente regolare.

Una volta appurata la sussistenza dei presupposti per procedere all’accertamento

induttivo (che andranno specificati, a pena di nullità, nella motivazione dell’atto d’accertamento,

ai sensi dell’art. 42, commi secondo e terzo, DPR 600), l’ufficio è legittimato ad utilizzare anche

altri elementi o fonti di conoscenza, purché dotati di una loro oggettiva significatività, facendo

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ricorso anche a presunzioni non qualificate dai predetti requisiti di gravità, precisione e

concordanza.

Potrà trattarsi anche di dati o elementi desunti da massime d’esperienza, stime e criteri di

medietà, ma deve pur sempre rispettare un criterio di ragionevole consequenzialità, rifacendosi a

criteri di normalità dell’attività svolta e della ragionevolezza. A tal fine, occorre considerare

elementi di fatto indicativi di capacità contributiva come i dati relativi alle caratteristiche

strutturali della specifica impresa e alle modalità di esercizio dell'attività, poiché l’accertamento

induttivo, pur se giustificato da gravi inadempienze e violazioni non può mai tradursi in una

sanzione impropria od in una libera quantificazione del reddito imponibile (cfr. Cass. 3 luglio

2009 n. 15717; 18 settembre 2003, n. 13802).

2.10. Gli studi di settore ed il visto di conformità.

Nella fase di ricostruzione del reddito delle imprese minori il legislatore ha introdotto

normative indirizzate a tassarli sulla base del reddito medio ordinario avvalendosi degli studi di

settore

Il sistema di determinazione presuntiva è stato in ultimo perfezionato con l'introduzione

degli studi di settore, previsti dagli artt. 62-bis e ss, del DL 30.8.1993 n. 331, convertito dalla L.

29.10.1993 n. 427. Tale forma di accertamento può essere effettuata nei confronti dei soggetti che

esercitano attività commerciali, arti e professioni, qualora l'ammontare dei relativi ricavi o

compensi dichiarati risulti inferiore a quello determinabile sulla base degli studi stessi, con

esclusione di quei contribuenti che abbiano dichiarato ricavi in misura superiore al limite stabilito

per ciascun studio di settore che non può, comunque, eccedere 7.500.000 euro.

La capacità di produrre ricavi è determinata in base ad una varietà di fattori.

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Ogni studio di settore è costruito con funzioni di ricavo o compenso in ragione di gruppi

omogenei di contribuenti (cluster). Le imprese sono state inquadrate in base a diversi fattori, tra cui

il modello organizzativo e l'area di operatività.

Acquisiti in tal modo i dati relativi ad un vasto campione di contribuenti per ciascun cluster,

è stata poi determinata, con l'elaborazione di un'ampia gamma di informazioni, una relazione

matematica per calcolare, in base ai dati caratterizzanti l'attività, l'ammontare di ricavi e compensi.

Gli studi sono soggetti a revisione, al massimo ogni tre anni dalla data della relativa

entrata in vigore ovvero da quella dell'ultima revisione.

Nel sistema delineato dagli studi di settore, in sede di dichiarazione dei redditi, occorrerà

presentare un modello con i dati rilevanti ai fini degli studi, compilato tramite un software

appositamente predisposto, dal quale emergerà non solo la congruità o meno dei dati dichiarati con

quelli elaborati per il cluster di riferimento e l’intervallo di confidenza, ma anche la coerenza dei

principali indicatori economici, quali ad esempio l'indice di redditività, di rotazione del magazzino,

di remunerazione dell’imprenditore e la percentuale di ricarico.

I CAF delle imprese e i professionisti abilitati possono asseverare le dichiarazioni e

rilasciare una speciale asseverazione, cd. “visto pesante”, con la quale è attestata la corrispondenza

dei dati dichiarati ai fini dell'applicazione degli studi di settore a quelli effettivamente presenti in

contabilità e la congruità con quelli risultanti dagli studi di settore.

A tal fine occorre che al contribuente siano stati preventivamente rilasciati il “visto di

conformità” di cui all'art. 35, comma 1, lett. a), del D.Lgs 9.7.1997 n. 241, nonché, in caso di

applicabilità delle disposizioni concernenti gli studi di settore, l'asseverazione di cui alla lettera

b) del medesimo comma 1 dell'art. 35.

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Qualora i risultati non siano congrui il contribuente potrà eventualmente adeguarsi al

risultato dello studio di settore, integrando i ricavi e compensi per evitare il rischio di un

accertamento basato sugli studi e senza applicazione di sanzioni, oppure lasciare inalterati i suddetti

risultati.

In caso di mancato adeguamento, possono essere dimostrate le cause che giustificano

la non congruità dei ricavi o compensi dichiarati e le ragioni che giustificano un'incoerenza

rispetto agli indici economici individuati dai predetti studi.

In base all'art. 10 della L. 8.5.1998 n. 146, qualora l'ammontare dei ricavi o compensi

dichiarati risulti inferiore all'ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli

studi stessi, si procederà al relativo accertamento. In tal caso, però, l'ufficio, prima della notifica

dell'avviso di accertamento, invita il contribuente a comparire.

Invece i contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell'adeguamento, ricavi o

compensi pari o superiori al livello della congruità, tenuto conto dei valori di coerenza risultanti

dagli specifici indicatori, non subiranno rettifiche induttive ai sensi dell'art. 39, primo comma,

lettera d), secondo periodo, DPR n. 600/73 , qualora l'ammontare delle attività non dichiarate,

con un massimo di 50.000 euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi

dichiarati.

2.11. L'accertamento parziale.

L'art. 41-bis del DPR n. 600/73 prevede la possibilità per gli uffici di emettere un

accertamento parziale, quando risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di un reddito

non dichiarato o il maggior ammontare di un reddito parziale dichiarato che avrebbe dovuto

concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società,

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associazioni ed imprese, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in

parte non spettanti, nonchè l'esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le

ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter stesso DPR.

In questi casi, l'amministrazione può limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti,

il reddito o il maggior reddito imponibili ovvero la maggiore imposta da versare.

Gli elementi che possono supportare l'adozione di un avviso di accertamento parziale sono

individuati specificamente dalla norma che, a seguito della riforma introdotta dal comma 405 della

L. 30.12.2004 n. 311, espressamente consente tale forma di accertamento sulla scorta di accessi,

ispezioni e verifiche, nonché delle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento,

da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima agenzia ovvero di altre agenzie

fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dei dati

in possesso dell'anagrafe tributaria.

L’avviso di accertamento parziale può anche derivare dall’adesione al processo verbale di

constatazione previsto dal DL 25.6.2008, n. 112, convertito dalla L. 6.8.2008, n. 133.

La giurisprudenza ha chiarito che la rettifica parziale può basarsi anche su elementi

complessi e non necessariamente di immediata evidenza.

La novella del 2005, e segnatamente il comma 406 della legge n. 311/04, ha poi modificato

anche il quinto comma dell'art. 54 del DPR n. 633/72, in tema di rettifica delle dichiarazioni

IVA, rendendo applicabile anche a quest'ultima imposta la rettifica parziale sulla base di elementi

certi, che consentano di stabilire l'esistenza di corrispettivi, in tutto o in parte, non dichiarati.

Tale norma stabilisce, infatti, che, senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice, i

competenti uffici dell'agenzia delle entrate, qualora dagli accessi, ispezioni e verifiche, nonché

dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale

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ovvero da un ufficio della medesima agenzia ovvero di altre agenzie fiscali, dalla Guardia di

finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell'anagrafe

tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l'esistenza di corrispettivi, in tutto o in

parte, non dichiarati o di detrazioni, in tutto o in parte, non spettanti, può limitarsi ad accertare,

in base agli elementi predetti, l'imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor credito spettante,

nonché l'imposta o la maggiore imposta non versata.

Sia con riferimento alle imposte sui redditi che all'IVA, l'accertamento parziale non

pregiudica l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice. E tanto perché si tratta di un accertamento

limitato alla rettifica di singoli redditi o al più di una particolare categoria di reddito.

La possibilità quindi di una rettifica parziale, consentita e ampliata dalle norme richiamate,

che presuppone quella di effettuare comunque un ulteriore accertamento, sembra contrastare con il

principio di unicità e generalità dell'accertamento, in virtù del quale il contribuente non può essere

esposto ad uno stillicidio di accertamenti. Invero, si tratta di una deroga, giustificata dalla necessità

di consentire all'amministrazione di procedere immediatamente ad accertare quanto

immediatamente reso evidente dai dati in suo possesso, senza pregiudicare una rettifica globale

successiva.

Le perplessità sull'ambito applicativo della norma e sul contrasto con il principio di unicità

sono aumentate con le ultime modifiche del 2005, che hanno ampliato la possibilità di ricorrere

all'accertamento parziale a tutte le ipotesi in cui gli uffici entrino in possesso di elementi certi

riguardanti il presupposto impositivo; in precedenza, invece, l'accertamento in esame doveva

limitarsi a prendere in esame le segnalazioni provenienti da enti esterni all'agenzia delle entrate

(oltre che dal centro informativo), e comunque provenienti da pubbliche amministrazioni ed enti

pubblici.

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Deve ritenersi, tuttavia, che, nonostante il recente intervento ampliativo dell'ambito di

applicazione della norma, l'adozione di tale forma di accertamento non possa avvenire in modo

indiscriminato, occultando cioè una verifica di carattere generale, magari basata su ragionamenti

presuntivi o induttivi.

2.12. L’accertamento integrativo

L’art. 43 dispone che l’ufficio nell’emettere un accertamento utilizza tutti gli elementi

raccolti.

L’accertamento integrativo è consentito solo in presenza di nuovi elementi e per nuovi

elementi devono intendersi elementi non conosciuti né conoscibili dall’amministrazione finanziaria

durante la prima verifica.

L’integrazione (aumento dell’imponibile o dell’imposta già accertata) o modificazione

(diversa qualificazione del reddito) può essere effettuata entro il termine ordinario di decadenza.

2.13. L'accertamento con adesione

L'istituto dell'accertamento con adesione è stato reintrodotto a regime nel nostro sistema con

il D.Lgs. 19.6.1997, n. 218, con la finalità di consentire la definizione dell'accertamento,

principalmente con riguardo alle imposte sui redditi e all'Iva, e quindi la deflazione del contenzioso.

L'art. 1, secondo comma, specifica che l'accertamento delle imposte sulle successioni e

donazioni, di registro, ipotecaria, catastale, può essere definito con adesione anche di uno solo degli

obbligati, consentendo, quindi, l'adozione dell'istituto anche con riguardo alle suddette imposte.

Tant'è che il successivo art. 3 specifica che la definizione ha effetto anche per tali tributi,

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relativamente ai beni e ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia o dichiarazione che ha formato

oggetto di imposizione, di modo che il valore definito vincola l'ufficio ad ogni ulteriore effetto

limitatamente ai menzionati tributi.

Sono esclusi dal campo di applicazione dell'istituto solo le liquidazioni ex art. 36-bis e le

rettifiche ex art. 36-ter DPR n. 600/73.

L'art. 4 del predetto DLgs n. 218/97 stabilisce la competenza dell'ufficio dell'agenzia delle

entrate nella cui circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale e gli art. 5 e 6 ne disciplinano il

procedimento.

L'iniziativa per addivenire ad un accertamento con adesione può essere presa dall'ufficio o

dal contribuente.

L’ufficio, anteriormente alla formazione dell'atto di accertamento, può inviare al

contribuente un invito a comparire in un giorno e un luogo predefinito, specificando i periodi

d'imposta in esame, le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti in caso

di definizione agevolata e i motivi che hanno dato luogo alla determinazione delle suddette

maggiori imposte, ritenute e contributi.

Il contribuente può presentare un'istanza di accertamento con adesione, per un'eventuale

definizione della pretesa, nel caso in cui sia stato sottoposto all'esercizio dei poteri di accesso,

ispezione e verifica, oppure se abbia ricevuto la notifica di un avviso di accertamento, non

preceduto dall'invito a comparire. In questo caso, l'istanza di accertamento con adesione sospende

per 90 giorni i termini per la proposizione del ricorso in commissione tributaria e la riscossione dei

tributi accertati.

Una volta che si sia raggiunto un accordo tra amministrazione e contribuente sulla

definizione degli anni oggetto di rettifica, verrà redatto per iscritto un atto di accertamento con

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adesione, sottoscritto dal contribuente e dal capo dell'ufficio, in cui saranno indicati gli elementi e i

motivi su cui si fonda la rettifica concordata, nonché la liquidazione delle maggiori imposte, delle

sanzioni e delle altre somme eventualmente dovute, anche in forma rateale.

A seguito della definizione, le sanzioni sono ridotte ad un terzo del minimo previsto dalla

legge.

L'atto, poi, si perfezionerà con l'effettivo versamento delle somme dovute entro 20 giorni

dalla sua sottoscrizione oppure con il versamento della prima rata nel caso in cui si sia stabilita una

rateazione delle stesse.

A tali ipotesi va aggiunta quella introdotta con il DL 25.6.2008, n. 112, convertito dalla L.

6.8.2008, n. 133, relativa all'adesione al processo verbale di constatazione, relativo a violazioni in

materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto, e che consenta l’emissione di

accertamenti parziali.

In quest'ultima fattispecie, l'adesione può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto

integrale del verbale di constatazione e deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla data della

consegna del verbale medesimo, mediante comunicazione al competente ufficio dell'agenzia delle

entrate ed all'organo che ha redatto il verbale. I rilievi sono trasfusi invariati nell’atto di definizione

dell’accertamento parziale che perfeziona, una volta notificato, l’adesione con la riduzione delle

sanzioni alla metà della misura prevista nell’ipotesi di accertamento con adesione.

L’accertamento con adesione ha essenzialmente una funzione deflattiva del contenzioso,

consentendo, per l'appunto, di evitare la lite processuale e i relativi costi e, nel contempo, di

pervenire ad una definizione concordata e tendenzialmente definitiva delle somme accertate.

La definitività tendenziale dell'accertamento è assicurata dallo stesso legislatore che, all'art.

2 del D.Lgs n. 218/97, ha stabilito che l'accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione

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da parte del contribuente e, nel contempo, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio,

anche se non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice.

Quest'ultima naturalmente può essere esercitata, entro i termini di decadenza, nel caso di

sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior

reddito purché superiore al cinquanta per cento del reddito definito e, comunque, non inferiore a

77.468 euro e, in ogni caso, ex art. 2, comma 4, se la definizione riguarda accertamenti parziali o

redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell'art. 5 TUIR ovvero

in aziende coniugali non gestite in forma societaria, o se l'azione accertatrice è diretta nei confronti

di società o associazioni ovvero aziende coniugali alle quali partecipa il contribuente nei cui

confronti è intervenuta l'adesione.

In ragione di tale funzione deflattiva del contenzioso, l'adesione è incentivata dal legislatore

con un meccanismo premiale sul piano sanzionatorio, visto che con l'adesione le sanzioni

amministrative sono ridotte ad un quarto del minimo e, anche sul piano penale, con la diminuzione

fino alla metà delle pene per i delitti se, prima dell'apertura del dibattimento, siano stati pagati i

debiti tributari, anche se a seguito di concordato.

Per quel che concerne la natura dell'accertamento con adesione, non vi è concordia di

opinioni e così taluni sostengono la tesi della natura transattiva dell’accordo anche in deroga al

principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria (cfr. Russo – Batistoni Ferrara), mentre altri

(Cfr. Tesauro - Marello) ritengono che si tratti in ogni caso di un atto unilaterale, cui si aggiunge

l'adesione del contribuente, valorizzando l’adesione come modo del procedimento teso ad un

equilibrio informativo in ordine all’esistenza e alla quantificazione del tributo.

L'atto di accertamento: requisiti e vizi.

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Il procedimento di attuazione del tributo perviene ad un provvedimento “avviso di

accertamento”, cui si applicano le regole generali del diritto amministrativo, previste per i

provvedimenti amministrativi e dai principi di cui alla L. n. 241/90.

L'avviso di accertamento ha, pertanto, la funzione di esternare l'esistenza di un accertamento

a carico del contribuente e si configura come atto recettizio, come un atto, cioè, idoneo a produrre

effetti dal momento in cui perviene a conoscenza del destinatario.

Tale provvedimento, però, non ha natura discrezionale, ma vincolata, sicché i contenuti sono

prestabiliti e l’A.F. non può decidere se emanare l’atto e quale ne è il contenuto in quanto tutto è

predeterminato dalla legge.

Molte regole disciplinano l’esercizio del potere dell’A.F. e ne condizionano la validità

(illegittimo, inesistente), e riguardano:

La competenza ad emettere l’atto;

Il contenuto dell’atto (dispositivo e motivazione);

Il destinatario;

La notificazione:

Modalità

Termine.

L'atto deve dirigersi nei confronti di soggetto esistente e idoneo a ricevere l'atto, per cui, in

ipotesi di contribuente deceduto, deve indicare anche gli eredi.

La disciplina relativa ai requisiti dell’atto non è uniforme per tutte le imposte e:

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A) Nelle imposte sul reddito deve contenere (art. 42, 2^): la determinazione

dell’imponibile (essenziale); l’aliquota applicata (eventuale); le ritenute d’acconto e i crediti

d’imposta (eventuale); la liquidazione dell’imposta al lordo e al netto (non essenziale perché ci sono

avvisi senza imposta);

B) Nell’Iva deve contenere la determinazione: dell’imponibile (essenziale);

dell’imposta dovuta; dell’imposta detraibile (art. 54);

Nelle imposte indirette deve contenere: la determinazione del valore venale (TU registro art.

52); la liquidazione della maggiore imposta liquidazione.

l'art. 7, secondo comma, dello Statuto dei diritti del contribuente ha previsto altri requisiti,

oltre quelli indicati nell'art. 42 cit., e cioè l'indicazione dell'ufficio presso cui ottenere informazioni

sull'atto, del responsabile del procedimento, dell'organo deputato al riesame dell'atto in via di

autotutela, e, infine, del termine e delle modalità per l'impugnazione.

Le diverse norme prevedono poi che l'atto deve essere motivato, in relazione ai presupposti

di fatto e alle ragioni di diritto che lo giustificano, e sottoscritto.

L'art. 42 del DPR n. 600/73, nell'elencare gli elementi costitutivi dell'avviso di accertamento

esaminati, prevede anche la necessità che l'atto sia motivato in relazione ai presupposti di fatto e

alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato, con distinto riferimento ai singoli redditi delle

varie categorie, e con la specificazione dei fatti e delle ragioni che giustificano il ricorso a metodi

induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni.

Anche con riferimento all'IVA, l'art. 56 del DPR. n. 633/72 prevede la necessità

dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche, oltre all'indicazione specifica

degli errori, omissioni e false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi

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probatori. Per le omissioni e inesattezze dedotte in via presuntiva vanno poi indicati i fatti certi che

danno fondamento alla presunzione. E tanto a pena di nullità.

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29 La motivazione

Nelle singole leggi d'imposta, sono poi previsti specifici obblighi di motivazione che,

comunque, ribadiscono la necessità dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni di diritto.

Le norme tributarie sono in linea, nella sostanza, con quanto previsto dall'art. 3 della L. n.

241/90 per tutti i provvedimenti amministrativi in generale, ove viene sancita la necessità che

nell'atto siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che l'hanno determinato, in

relazione alle risultanze dell'istruttoria.

La motivazione costituisce, infatti, un requisito fondamentale di tutti gli atti amministrativi,

ivi compresi quelli dell'amministrazione finanziaria, e tanto si deduce non solo dalle predette

norme, ma anche dalla formulazione dell'art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale

prevede proprio il generale obbligo di motivazione per gli atti dell'amministrazione finanziaria,

secondo quanto prescritto dall'art. 3 della L. n. 241/90.

Se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal

contribuente, cd. motivazione per relationem, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama,

salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale.

In particolare, fra gli atti che l'avviso può richiamare, vi è senz'altro il processo verbale di

constatazione e la giurisprudenza riconosce soddisfatto l'obbligo di motivazione anche mediante il

mero rinvio al processo verbale, sempre che notificato alla parte e purché dallo stesso si colgano gli

elementi che consentono una precisa identificazione della pretesa tributaria e un'adeguata tutela

giurisdizionale del contribuente. Si ritiene, infatti, che, in questi casi, l'ufficio non operi valutazioni

autonome solo per economia di scrittura, implicitamente condividendo le conclusioni del processo

verbale e non arrecando alcun pregiudizio al diritto di difesa del contribuente. E' chiaro però che la

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motivazione contenuta nel processo verbale notificato al contribuente non può valere nei confronti

dei terzi coinvolti.

Di converso, però, è fuor di dubbio che, in ogni caso, l’atto impositivo deve recare gli

elementi minimi indispensabili affinché il contribuente, ed il giudice, possano sindacarne

l’accuratezza, per cui la pedissequa utilizzazione dell’atto istruttorio è un fatto che il giudice può

censurare se dal richiamo globale dell’atto strumentale sia derivata un’inadeguatezza, o

insufficienza, della motivazione dell’atto finale

La precisazione che, in caso di mancata allegazione o notificazione, è necessaria la

riproduzione del contenuto essenziale dell'atto richiamato è stata inserita nell'art. 42 dall'art. 1 del

D.Lgs. 26 gennaio 2001 n. 32.

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30 La notificazione

L'atto di accertamento appartiene al novero di quegli atti che hanno natura recettizia, sicchè

produce effetti dal momento in cui perviene nella sfera di conoscenza del destinatario.

Per tali ragioni, in base al richiamo contenuto nell'art. 60 del DPR. n. 600/73 (a sua volta

reso applicabile, in materia di IVA, dal rinvio contenuto nell'art. 56 DPR. n. 633/72; in materia di

registro, dall'art. 52 del relativo testo unico e, di successione e donazione, dall'art. 49 del relativo

Testo Unico), occorre che siano rispettate le formalità previste dal codice di procedura civile agli

artt. 137 ss., in materia di notificazione degli atti processuali, anche se, per la particolare natura del

soggetto che emette l'atto da notificare, sono previste alcune peculiarità.

In primo luogo, possono procedere alla notifica dell'atto anche messi comunali o speciali,

autorizzati dall'Agenzia delle entrate, su cui graverà l'obbligo di far sottoscrivere l'atto al

destinatario; in secondo luogo, la notifica va effettuata nel comune dove il contribuente ha il proprio

domicilio fiscale ( invece del comune di residenza).

A tal proposito, con riferimento al domicilio fiscale, si ricorda che l'art. 58 del DPR n.

600/73 prevede che le persone fisiche residenti nello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune

nella cui anagrafe sono iscritte, mentre le non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui

si è prodotto il reddito più elevato.

I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si trova

la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa o la sede secondaria o una stabile

organizzazione e, in mancanza, nel comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività. In

questi casi, ai sensi dell'art. 145 c.p.c. come modificato dal comma 1 dell'art. 2 della L. 28 dicembre

2005, n. 263, la notifica va eseguita nella loro sede, mediante consegna di copia dell'atto al

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rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona

addetta alla sede stessa. La notificazione può anche essere eseguita, a norma degli articoli 138, 139

e 141, alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la

qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.

La notifica alle società non aventi personalità giuridica, alle associazioni non riconosciute e

ai comitati va effettuata nella sede, ovvero alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto

da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale.

Se la notificazione non può essere eseguita nei suddetti modi e nell'atto è indicata la persona

fisica che rappresenta l'ente, la notificazione può essere eseguita anche a norma degli articoli 138,

139 e 141 cpc, ovvero secondo i criteri indicati per la notifica alle persone fisiche.

Possibili consegnatari dell'atto sono, quindi, in primo luogo, il rappresentante dell'ente, in

secondo luogo, la persona incaricata di ricevere le notifiche, senza alcun ordine preferenziale,

infine, in mancanza delle due predette categorie, altra persona addetta alla sede.

A seguito della modifica dell'art. 145 c.p.c. non è più necessario che siano state

preventivamente e infruttuosamente eseguite le ricerche delle suddette persone all'interno della sede

legale o effettiva dell'ente, poichè la notifica potrà avvenire comunque direttamente a quest'ultima,

sempre che nell'atto sia indicata la persona fisica del legale rappresentante. Per cui, “in virtù del

principio di immedesimazione organica, la notifica di un atto giudiziario nei confronti delle

persone giuridiche può avvenire mediante consegna a mani del rappresentante legale, o della

persona addetta alla ricezione degli atti, in applicazione del disposto di cui all'art. 138 c.p.c., in

forza del quale la consegna a mani proprie si considera valida ovunque sia stato reperito il

destinatario, tenuto conto, del resto, che una siffatta interpretazione trova conforto nella vigente

formulazione dell'art. 145 c.p.c. (come modificato dall'art. 2 l. 28 dicembre 2005 n. 263) che si

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ispira proprio alla ratio del principio immedesimazione organica là dove prevede, appunto, che la

notificazione può anche essere eseguita, a norma degli art. 138, 139 e 141, alla persona fisica che

rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati

residenza, domicilio e dimora abituale". (Cassazione civile 20 settembre 2007 n. 19468).

In deroga a tali disposizioni, l'amministrazione finanziaria può comunque stabilire il

domicilio fiscale del contribuente nel comune dove lo stesso svolge in modo continuativo la

principale attività, adottando a tal fine un provvedimento motivato e notificato all'interessato.

Ai sensi dell'art. 139 cpc, se la notifica non avviene nel luogo del domicilio fiscale, la

notifica deve essere fatta nel comune di residenza, ricercando il destinatario nella casa di abitazione

o dove ha l'ufficio o esercita l'industria e il commercio. L'ordine secondo cui devono essere

effettuate le ricerche del destinatario è tassativo.

Se il destinatario non viene trovato in uno di tali luoghi, l'ufficiale giudiziario consegna

copia dell'atto a una persona di famiglia o addetta alla casa, all'ufficio o all'azienda, purché non

minore di quattordici anni o non palesemente incapace. In mancanza delle persone indicate, la copia

è consegnata al portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda, e, quando anche il

portiere manca, a un vicino di casa che accetti di riceverla.

Il portiere o il vicino deve sottoscrivere l'originale, e l'ufficiale giudiziario dà notizia al

destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto, a mezzo di lettera raccomandata.

Se il consegnatario non è il destinatario dell'atto il messo consegna o deposita la copia

dell'atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico

della notificazione, dandone atto nella relata in calce all'originale e alla copia dell'atto stesso.

In ogni caso, a prescindere dal luogo di domicilio fiscale, l'amministrazione può procedere

alla notifica a mani proprie che può avvenire ovunque. Ed infatti, ai sensi dell'art. 138 cpc,

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l'ufficiale giudiziario esegue la notificazione di regola mediante consegna della copia nelle mani

proprie del destinatario, presso la casa di abitazione oppure, se ciò non è possibile, ovunque lo trovi

nell'ambito della circoscrizione dell'ufficio giudiziario al quale è addetto. Se il destinatario rifiuta di

ricevere la copia, l'ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta

in mani proprie.

È ammessa la notifica per posta, il cui perfezionamento non è legato, per il notificante, alla

data di consegna dell'atto al destinatario, ma a quella della consegna all'ufficiale che provvederà a

spedirlo; mentre per il destinatario dell'atto, il perfezionamento del procedimento di notifica avverrà

con la ricezione dell'atto, data dalla quale poi decorrerà il termine per l'eventuale impugnazione.

Sia per le persone fisiche che per gli enti collettivi, nel caso di mancanza di un luogo

specifico presso cui effettuare la notifica, o comunque nel caso in cui non è stato possibile

procedere secondo le forme di cui sopra, ex art. 140 cpc, l'atto sarà depositato in busta chiusa e

sigillata presso la casa comunale, con affissione dell'avviso di deposito presso l'albo del Comune.

La notifica sarà perfezionata nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione.

La notifica dell'avviso di accertamento è sottoposta ad un termine di decadenza, e tanto

perché il procedimento di applicazione del tributo deve essere teso a garantire uno spedito

consolidarsi della pretesa fiscale, con la conseguenza che, se l'amministrazione non provvede entro

il termine previsto, decadrà dal relativo potere e l'atto sarà annullabile.

Il legislatore ha, quindi, previsto un termine relativamente breve per disattendere la

dichiarazione presentata dal contribuente o supplire alla sua carenza, per cui di norma, per le

imposte sui redditi e l'IVA, l'avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del quarto anno

successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione; se la dichiarazione non è stata

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presentata o se è nulla, l'avviso andrà notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a

quello in cui avrebbe dovuto essere presentata.

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31 I vizi dell’atto

Ricevuto un avviso di accertamento, il contribuente potrà decidere di non impugnarlo, di

presentare istanza di accertamento con adesione per instaurare un contraddittorio con gli uffici ed

eventualmente ridurre il quantum accertato, o di impugnare l'avviso notificatogli, presentando

ricorso davanti alla commissione tributaria provinciale nel termine di decadenza di 60 giorni dalla

notifica dell'atto e censurando i vizi dell’atto.

In sede civilistica le forme di invalidità degli atti sono: Nullità (quod nullum est nullum

producit effectum) e annullabilità (l’atto produce effetti sino al suo annullamento).

Nel diritto tributario, come in quello amministrativo, non esiste tale differenza anche l’atto

nullo produce effetti fino a quando non viene annullato.

L’atto quindi è definito illegittimo (per violazione di legge ma non per eccesso di potere in

quanto l’atto non è discrezionale) e può presentare vizi di contenuto, che riguardano il dispositivo

dell’atto e vertono sull’an e quantum o vizi di formache riguardano l’iter formativo (motivazione,

competenza, termini).

In sede tributaria non sempre la norma precisa esplicitamente se il vizio è invalidante, ma

l’art. art. 42 ( 3° comma) DPR n. 600/73 fissa espressamente la nullità dell’accertamento non

sottoscritto, privo delle indicazioni richieste, della motivazione, della documentazione richieste

dallo stesso art. 42.

L’art. 37 bis (4° comma) fissa la nullità dell’accertamento di imposta elusa non preceduto

da richiesta di chiarimenti.

Lo Statuto, art. 11, 2° comma, fissa la nullità degli atti non conformi alla risposta

all’interpello.

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Quando nulla è disposto il criterio è quello di considerare nulli gli atti che violano

disposizioni a garanzia del contribuente (competenza, metodi di accertamento, presupposti specifici

dei metodi e della tipologia di atti); gli avvisi inesistenti sono invece quelli che mancano degli

elementi che ne costituiscono l’essenza.

In mancanza di una indicazione legislativa spetta all’interprete distinguere cause di

illegittimità e di inesistenza.

Tra i vizi rilevabili in sede d'impugnazione dell'avviso di accertamento possono essere

inclusi anche quelli relativi all'attività di indagine, trattandosi di un'attività che, coinvolgendo anche

diritti costituzionalmente garantiti del contribuente, deve svolgersi in modo legittimo, sia sotto il

profilo formale che sostanziale.

I vizi degli atti istruttori, derivanti dall'inosservanza delle regole che disciplinano la loro

acquisizione, potrebbero infatti ripercuotersi sulla legittimità dell'avviso di accertamento che su di

essi si fonda.

Le conseguenze derivanti dagli atti istruttori illegittimi sono state sovente oggetto di

attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, soprattutto con riguardo ai mezzi di tutela

esperibili dal contribuente.

Le prove assunte illegittimamente sono inutilizzabili a sostegno della ricostruzione operata

dall'amministrazione.

L'illegittimità dell'atto derivato, però, non è una conseguenza ineluttabile, ma dipende dal

grado di fondatezza dell'atto, a prescindere dall'elemento acquisito in modo illegittimo e non

utilizzabile a supporto della pretesa.

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Diverso il caso di atto istruttorio che l'ufficio deve compiere obbligatoriamente; in questo

caso l'illegittimità di quest'ultimo comporta senz'altro l'illegittimità derivata dell'atto consequenziale

e, quindi, dell'avviso di accertamento.

È possibile, pertanto, che sussistano accertamenti formalmente validi, benché fondati su

prove inutilizzabili, per cui occorrerà distinguere tra irregolarità delle indagini che rendono

formalmente invalido l'accertamento e quelle che incidono soltanto sull'utilizzabilità delle relative

risultanze ai fini della prova processuale.

Avverso gli atti istruttori e i comportamenti illegittimi, non è possibile ricorrere davanti alle

commissioni tributarie, se non tramite il filtro dell'avviso di accertamento, sostenendone per

l'appunto l'invalidità derivata. Non si può, cioè, ricorrere autonomamente contro il singolo atto

istruttorio o contro il processo verbale, come già evidenziato nel precedente par. 18, poiché

l'accesso al giudizio tributario avviene tramite l'impugnazione di atti individuati dalla legge in modo

tassativo. Infatti, il processo verbale, nel quale vengono recepite le indagini effettuate dall'organo

accertatore, è sfornito di autonomia, trattandosi di atto endoprocedimentale, il cui contenuto e le

cui finalità consistono nel reperimento e nell'acquisizione degli elementi utili ai fini

dell'accertamento.

Ciò nondimeno eventuali atti o comportamenti istruttori lesivi dei diritti del contribuente

potrebbero essere considerati sotto il diverso profilo della tutela innanzi al giudice ordinario, sicchè,

anche in aggiunta all'impugnativa dell'avviso di accertamento per invalidità derivata

dall'illegittimità dell'istruttoria, il contribuente potrebbe in ogni caso rivolgersi al giudice ordinario

per ottenere in via cautelare la cessazione dei comportamenti illeciti e/o l'eventuale richiesta di

risarcimento del danno subito. E' chiaro, infatti, che, poiché l'esercizio di poteri istruttori avviene di

regola comprimendo diritti della persona, anche di rango costituzionale, dovrebbe potersi

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riconoscere una forma di tutela immediata e non solo eventuale e indiretta, intesa come invalidante

l'accertamento che ne è conseguito.

Altra forma di tutela, certamente meno incisiva del ricorso al giudice ordinario, è stata

introdotta dallo Statuto dei diritti del contribuente, al fine di garantire il rispetto di quanto previsto

dall'art. 12: si tratta dell'istituzione del Garante dei diritti del contribuente, un organo collegiale,

designato presso ogni Direzione regionale delle entrate, e composto da tre membri scelti e nominati

dal Presidente della commissione tributaria regionale, tra soggetti appartenenti a determinate

categorie (professori universitari, magistrati, avvocati, dottori commercialisti, ragionieri o notai).

L'art. 13 dello Statuto individua le ipotesi in cui il contribuente può rivolgersi al Garante e

cioè per disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o

qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e

amministrazione.

Il Garante del contribuente, al fine di imporre il rispetto delle garanzie in tema di esercizio

dei poteri istruttori, può:

a) chiedere documenti o chiarimenti agli uffici;

b) attivare la procedura di autotutela nei confronti degli atti impositivi notificati al

contribuente;

c) rivolgere raccomandazioni ai dirigenti degli uffici per tutelare il contribuente e garantire

una migliore organizzazione dei servizi;

d) accedere personalmente agli uffici e controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e

informazione al contribuente, nonché l'agibilità degli spazi aperti al pubblico;

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e) richiamare gli uffici al rispetto delle norme poste a garanzia del contribuente e dei termini

per il rimborso;

f) selezionare casi particolarmente rilevanti in cui le norme in vigore o i comportamenti

amministrativi creino un pregiudizio dei contribuenti, peggiorando i rapporti con l'amministrazione

e, nel secondo caso, segnalarli agli organi competenti per l'eventuale avvio di un procedimento

disciplinare;

g) segnalare al Ministro delle finanze i casi in cui esercitare i poteri di rimessione in termini

per cause di forza maggiore.

Di tutte le attività svolte, il Garante presenta una relazione al Ministro delle finanze, al

Direttore regionale delle entrate, ai Direttori compartimentali delle dogane e del territorio, nonché al

comandante di zona della Guardia di finanza. A sua volta, poi, il Ministro riferisce alle commissioni

parlamentari sull'attività svolta dai garanti.

I poteri del Garante sono soprattutto poteri di moral suasion, la cui efficacia dipende anche

dalla sua indipendenza e dal prestigio personale dei suoi componenti; tali poteri acquistano

significato se letti all'interno dei principi sanciti dallo Statuto che danno rilevanza al comportamento

dell'amministrazione finanziaria e tutelano il rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente

e i principi di correttezza e buona fede. Sul punto, la Cass., con sentenza 10.12.2002 n.17576, ha

sottolineato la necessità di comportamenti coerenti non contraddittori o discontinui. Per cui il

contribuente sottoposto a verifica fiscale potrebbe rivolgersi al Garante anche per lamentare

circostanze che, sebbene immuni da profili di vera e propria illegittimità, possano essere ritenute

sintomatiche di disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli

atte a “incrinare il rapporto di fiducia fra cittadini e amministrazione finanziaria” ovvero

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comportamenti che determinino “un pregiudizio dei contribuenti o conseguenze negative nei loro

rapporti con l’amministrazione”.