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TEORIE COGNITIVE, SCETTICHE ED ECLETTICHE DELLINTERPRETAZIONE GIURIDICA PROF. FRANCESCO PETRILLO

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Università Telematica Pegaso Teorie cognitive, scettiche ed eclettiche

dell’interpretazione giuridica

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 TEORIE COGNITIVE, SCETTICHE ED ECLETTICHE DELL’INTERPRETAZIONE GIURIDICA --- 3

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 13

Università Telematica Pegaso Teorie cognitive, scettiche ed eclettiche

dell’interpretazione giuridica

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

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1 Teorie cognitive, scettiche ed eclettiche dell’interpretazione giuridica

Il giuspositivismo logico è l’applicazione della logica al diritto, diritto che è diventato

legge, la quale non ha più rapporti con la volontà del legislatore. Quest’ultima viene studiata come

premessa maggiore di un sillogismo in grado di condurre alla sua spiegazione logico-conoscitiva,

unico modo per conoscere quest’unica regola giuridica possibile, valida, per il solo fatto di essere

posta come dogma all’interno dell’ordinamento. Si parte da questa premessa e si ragiona

logicamente su questa premessa, perché lo studio del diritto è la scienza conoscitiva. L’interprete

del diritto, non può far altro che ragionare logicamente, in maniera sillogistica partendo da questa

premessa. Norberto Bobbio al riguardo chiarisce che per il giurista (positivista logico), il fatto che

una norma sia valida, significa anche che sia vera, se pure la norma non ripropone ciò che è stabilito

in natura, ciò che è presente nella realtà. Validità e verità quindi coincidono. È stato, però, osservato

dalla stessa scuola di Bobbio, che non sempre è assolutamente vero che una premessa valida debba

essere anche una premessa vera. Nel nostro ordinamento ci sono, ad esempio, norme di gradi

differenti che regolano la stessa questione: si pensi all’obbligo di leva militare, vi è una legge

ordinaria, che consente di non considerare obbligatoria la leva militare che, invece, è, in qualche

modo imposta da una norma costituzionale. Evidentemente, il fatto che la norma ordinaria sia

premessa valida sia per interpretare che per impugnare una chiamata militare o, viceversa, per

effettuare una chiamata militare, non comporta che essa sia vera. Rimane, però, valida come

prevista dalla tecnica dell’argomentazione giuridica.

In particolare, l’argomentazione giuridica, dal punto di vista della giurisprudenza analitica e

del procedimento logico, consiste nel risultato del sillogismo per cui la premessa maggiore del

sillogismo confrontata con la premessa minore, cioè col fatto giuridico, produce l’ argomentazione

giuridica sul testo normativo: tutti gli uomini sono mortali - Socrate è un uomo - Socrate è mortale.

se uccidi sei punito - hai ucciso - sei punito.

Per il positivismo logico, per la metalogica, ciò che rileva in maniera fondamentale è che il

diritto positivo, la legge, quale insieme di dogmi, vive fuori dal tempo e in uno spazio delimitato.

È questa la ragione per la quale, possiamo ragionare logicamente a prescindere dalla storia,

cioè secondo una dottrina pura del diritto, una scienza del diritto che non si occupi di altri fenomeni

che non siano la giuridicità. Il materiale che siamo chiamati ad esaminare, a valutare, non riguarda

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la storia, né l’antropologia, né la sociologia, né la filosofia: è questa l’idea della scienza giuridica

che ha avuto vigore dal dopoguerra ad oggi.

V’è, a questo punto, da chiedersi: perché si è affermata una scienza del diritto, nella quale

tutto ciò che non è legge non può essere considerato diritto? perché si è avuto paura dei

totalitarismi, perché si è temuto quello che era accaduto nei primi anni del 900 e l’unica tutela

possibile, pensabile contro i totalitarismi è stata ritenuta quella di strutturare il diritto in una maniera

tale da evitare le contaminazioni con tutte le altre scienze, con tutte le altre vicende della vita

umana. Quindi, lo studio del diritto, pur essendo lo studio della regola della vita dell’uomo, va

considerato al di fuori dell’antropologia, della sociologia, della psicologia, va quindi in qualche

modo allontanato dalle contaminazioni reali, questa metalogica ha bisogno di per sé di una

intemporalità, cioè di vivere fuori dal tempo. La norma giuridica per essere staccata dal legislatore,

non può essere legata temporalmente al legislatore stesso, non si può pensare che una norma

giuridica - che i regi decreti, per esempio, vadano interpretati o studiati così come venivano studiati

prima della seconda guerra mondiale. Questi regi decreti, ormai vivono di vita propria, perché sono

considerati intemporali, cioè non seguono il corso della storia, ma diventano in qualche modo

astorici. La norma giuridica, quindi dal punto di vista del positivismo logico è una premessa logica

intemporale, che dal punto di vista dell’altra categoria Kantiana dello spazio, deve essere delimitata

ad un determinato spazio territoriale. Questa premessa metalogica deve essere necessariamente

pensata soltanto all’interno di un determinato spazio dell’ordinamento giuridico, che si impone, si

propone su un determinato territorio. La prospettiva di una teoria generale del diritto, che altro non

è che produzione normativa, che nella sua progressiva evoluzione tende a ridurre sempre più lo

spazio dell’interpretazione, sogno di Hans Kelsen padre nel normativismo giuridico, che ha avuto

vigore non solo nei sistemi di Civil law continentale, ma anche nei sistemi di Common law, aveva

sempre avuto l’idea che il problema della certezza del diritto e della sicurezza del diritto rispetto ai

totalitarismi, fosse quello di evitare appunto che l’interprete del diritto potesse partecipare alla

creazione della giuridicità. Quindi questa idea della teoria generale del diritto come produzione

normativa è una idea che nega sempre più la partecipazione volitiva e creativa del soggetto

interpretante al procedimento interpretativo. Cioè lo spazio di decisione del soggetto interpretante,

deve essere ridotto ai minimi termini dal punto di vista della sua volontà, della sua creatività. Al

soggetto interpretante non deve rimanere altro che un procedimento automatico, il procedimento

appunto sillogistico imputativo del fatto alla norma. Il soggetto interpretante è colui che,

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meccanicamente, non fa altro che applicare la premessa maggiore alla premessa minore, per

ottenere un risultato interpretativo. La decisione giuridica non è una decisione volitiva, ma

meramente un procedimento conoscitivo. Quindi, chi studia e decide sul diritto non crea norme ma

semplicemente le conosce. Le conosce tenendo conto del fatto che questa conoscenza, è una

conoscenza vincolata, cioè soggetta a sua volta a norme. L’interpretazione del diritto nel

giuspositivismo logico, è una interpretazione vincolata per legge. È la legge che fissa i termini del

procedimento conoscitivo. Da questo punto di vista, il positivismo logico procede ad elevare a

principio alcune norme del nostro ordinamento giuridico. Fa, per esempio, dell’art 12 delle

disposizioni preliminari al codice civile (o preleggi), I comma e II comma, letto in combinato

disposto con l’art 14 delle disposizioni preliminari un principio generale. Tale principio vincola

l’interprete ad un tipo particolare di interpretazione conoscitiva. In particolar modo ritiene che, le

disposizioni preliminari o preleggi, I comma, prima parte, rappresentino l’unica tecnica

argomentativa (tant’è che la definisce tecnica argomentativa di prima classe), a cui deve sempre e

comunque essere vincolato l’interprete. Elevando a principio generale la norma dell’art 12 delle

disposizioni preliminari o preleggi del codice civile, l’interprete logico-analitico giuspositivista,

ritiene che ogni tipo di interpretazione del nostro ordinamento, anche le interpretazioni che si siano

rese necessarie dopo l’emanazione del codice del ‘42, sono interpretazioni che vanno prodotte in

combinato disposto con la norma dell’art 12 delle disposizioni preliminari o preleggi, principio

generale valevole per ogni tipo di interpretazione, anche per le interpretazioni rese necessarie dopo

il codice del ’42, persino le interpretazioni della nostra carta costituzionale, emanata

successivamente a quell’articolo. Cosa recita, l’art 12 delle disposizioni preliminari o preleggi al

codice civile? È, a ben guardare, uno di quegli articoli combinatori di positivismo classico e

positivismo logico. Infatti nella sua prima parte, al primo comma, stabilisce che l’interpretazione è

del testo di legge è di tipo letterale ( vedremo che per letterale si intende in senso semantico e

sintattico). Nella sua seconda parte che è una interpretazione a cui bisogna procedere, tenendo conto

dell’intenzione del legislatore.

La seconda parte dell’articolo, sancisce la combinatoria che il legislatore del ’42 intendeva

fare del positivismo classico e del positivismo logico. Ma per il giuspositivismo logico, è la prima

parte dell’art 12 delle disposizioni preliminari o preleggi, che vale in assoluto come principio

generale. È la tecnica di prima classe a cui tutti gli interpreti del nostro ordinamento sono

assoggettati: l’interprete costituzionale, come l’interprete di diritto tributario e amministrativo.

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La tecnica di prima classe consiste nel significato letterale logico grammaticale della norma

scritta o al massimo nel suo significato semantico, cioè secondo quelli che sono i luoghi comuni, i

modi comuni di intendere i termini linguistici nell’uso comune. Questa norma dell’art 12 diventa il

combinato disposto naturale, per interpretare qualunque forma di diritto all’interno

dell’ordinamento. Le tecniche di seconda classe sono invece previste dall’art 12 delle disp. prel. al

cod. civ. I comma, II parte, e utilizzabili soltanto in maniera sussidiaria ai fini della interpretazione

logico analitica. Ecco perché l’interpretazione diventa logico analitica, perché l’interpretazione del

positivismo logico diventa una interpretazione del testo letterale analiticamente inteso. Abbiamo

diverse tecniche di prima classe e di seconda classe, che si sviluppano, dalla tecnica base di prima

classe, fondata sulla interpretazione letterale e dalla tecnica base di seconda classe, fondata

sull’intenzione del legislatore.

Diversa da questa impostazione è quella di chi prende le mosse da un’idea del diritto come

jus-justum, come interpretazione piuttosto che come produzione normativa, cioè da un’idea del

diritto inteso come un magma più ampio della legge. In tali concezioni il procedere della teoria

della interpretazione cambia prospettiva, anzitutto, tiene conto di quella che è stata, anche per i

nostri sistemi continentali la giurisprudenza sociologica Nordamericana e cioè l’idea di verificare

l’efficacia della norma giuridica sulla realtà. La giurisprudenza sociologica americana in effetti,

nata dal realismo giuridico, si prospetta come critica al positivismo logico e cioè come critica al

concetto di validità normativa Kelseniana. La norma giuridica, per Hans Kelsen, è valida in quanto

è posta all’interno dell’ordinamento giuridico, cioè una norma è valida perché emanata nel rispetto

di una norma di grado superiore, garantita all’interno dell’ordinamento da una norma fondamentale.

La giurisprudenza sociologica, critica questo concetto di validità normativa, perché ritiene che la

norma non è da considerarsi valida soltanto per il suo essere presente all’interno dell’ordinamento.

Secondo la giurisprudenza sociologica americana una norma non è valida tanto per il fatto di essere

presente all’interno dell’ordinamento o di essere stata emanata in conformità di una norma che la

precede all’interno della cosiddetta costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico, ma è valida,

perché è efficace nella realtà, perché è efficace sulla società. Questa efficacia della norma giuridica,

nel sistema di Common law, si risolve nella scelta della norma da parte delle corti. Cioè secondo il

realismo giuridico americano, una norma è valida se effettivamente il magistrato la adotta ai fini

della soluzione di un caso e quindi è valida quando è efficace perchè effettivamente adottata e

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applicata dalle Corti. Non è da considerarsi valida soltanto per la sua presenza all’interno

dell’ordinamento.

Il problema della efficacia dell’atto giuridico sulla realtà, è il problema che apre le porte

all’ermeneutica giuridica. L’atto giuridico in realtà è inteso dal positivismo logico, semplicemente

come un provvedimento, meglio ancora come un provvedimento documentale, perché non

possiamo interpretare altro secondo l’art 1 delle disposizioni preliminari o preleggi che il testo

scritto normativo. Si può interpretare soltanto letteralmente o semanticamente un testo. Per cui ogni

attività giuridica deve risolversi in una attività documentale. Non possiamo interpretare una attività,

se non si sintetizza nel provvedimento e interpretando quell’attività, bisogna interpretare il

provvedimento. Ciò vale tanto per l’interpretazione della legge come provvedimento, quanto per

l’interpretazione dell’atto amministrativo come provvedimento, quanto ancora per l’interpretazione

del contratto di diritto privato come dichiarazione testuale, sottoscritta tra le parti. Anche il contratto

di diritto privato è considerato nel nostro ordinamento giuridico, come atto dichiarativo soggetto

alla legge. Per questa ragione si interpreta l’atto contrattuale di diritto privato, applicando il

combinato disposto dell’art 12 delle disp. prel. e dell’art 1362 del c.c. Allo stesso modo

interpretiamo l’atto amministrativo, applicando l’art 12 delle disp. prel. e l’art 1362 del c.c.,

considerando l’atto amministrativo come il contratto di diritto privato. Per la giurisprudenza

analitica un atto è solo e soltanto la dichiarazione documentale.

Il problema è che dal punto di vista della critica alla validità normativa, realizzata dalla

giurisprudenza sociologica americana al giuspositivismo logico, si rende necessaria la

considerazione dell’interpretazione del diritto, non solo come provvedimento-documento, ma anche

come complessiva attività. Quindi l’interpretazione del diritto secondo il criterio jus justum, rispetto

alla interpretazione del diritto secondo il criterio jussum justum, è una interpretazione di attività

piuttosto che una interpretazione di provvedimento documentale. L’interpretazione del diritto

diventa, una interpretazione più ampia, un magma più ampio, PER CUI quando ci poniamo di

fronte all’atto giuridico, al documento, non interpretiamo soltanto la dichiarazione letterale ma tutta

l’attività che è stata compiuta al fine di produrre il documento-provvedimento, inteso tanto come

attività del soggetto che lo ha emanato, quanto come attività ricadente sul soggetto per il quale è

stato emanato. Cioè l’efficacia dell’atto entra nel procedimento interpretativo. Quindi che cosa

interpretiamo, se consideriamo il diritto come jus justum piuttosto che come jussum justum?

Interpretiamo la complessiva attività dei soggetti che partecipano alla vicenda giuridica. Questo non

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è un passaggio teorico ma assolutamente tecnico e proprio della vita giuridica dei nostri tempi, cioè

l’interpretazione del diritto oggi, almeno da 7, 8 anni a questa parte e almeno per le corti superiori,

non è più un’interpretazione da limitarsi soltanto al provvedimento-documento. Il problema che

dobbiamo porci dal punto di vista della teoria generale è capire che cosa si va ad interpretare e quale

è diventato l’oggetto dell’interpretazione giuridica rispetto l’interpretazione della legge, che è

appunto l’interpretazione, che passa dal principio generale di quell’art. 12 delle disp. prel. o

preleggi.

La giurisprudenza sociologica americana, si apre perciò al problema dell’ermeneutica

giuridica. Se ci poniamo di fronte a una qualsiasi sentenza, di corti inferiori o superiori, ci

rendiamo facilmente conto che ormai è diventato indispensabile il ricorso all’ermeneutica

all’interno delle sentenze della nostra giurisprudenza. L’ermeneutica per quanto la parola possa

ingannare non è la mera interpretazione intesa in senso stretto. Cioè non è il rapporto tra il soggetto

interpretante e l’oggetto interpretato, inteso nella sua singolarità. Si potrebbe cadere nell’errore, di

ritenere, che dire ermeneutica, sia la stessa cosa che dire interpretazione. In realtà quando in queste

sentenze ci troviamo di fronte al termine ermeneutica possiamo intendere che l’interprete non ha

voluto fare riferimento alla mera interpretazione, ma a questa idea di ermeneutica che si è diffusa

prima in campo filosofico e ha riguardato tutta la filosofia del secondo 900, quindi è nata prima per

tutti gli altri campi del sapere e non per la scienza giuridica e, per tutti gli altri campi del sapere, ha

voluto considerare l’interpretazione non più come una attività riservata al soggetto interpretante.

Cioè interpretare, non significa più semplicemente porre un soggetto, di fronte ad un oggetto in

posizione predominante. Così si era pensato almeno fino al romanticismo filosofico e letterario e

cioè si era ritenuto che l’attività interpretativa fosse una mera attività soggettiva di chi andava a

rendere il significato di un oggetto. Per cui il soggetto in questa vicenda interpretativa tradizionale,

si poneva al centro del mondo e interpretava a suo modo, con la sua volontà e con la sua

conoscenza. L’oggetto rimaneva un momento passivo e inerte, di fronte al quale il soggetto si

esercitava. Così era per l’arte, per la letteratura e per la musica. A partire dalla seconda metà

dell’800, il problema della interpretazione si è aperto all’oggetto da interpretare. Cioè ci si è resi

conto che l’oggetto da interpretare non è una massa inerte, non è un momento meramente passivo

dell’attività interpretativa, ma che, anzi, l’oggetto da interpretare, partecipa al procedimento

interpretativo. Per cui tra interpretazione filologica (cioè interpretazione del testo, del documento,

attività del soggetto interpretante che si impadronisce del suo oggetto, secondo i canoni propri della

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filosofia occidentale, per cui, il soggetto si pone al centro del mondo e con l’interpretazione conosce

il mondo) e critica (cioè libertà nella interpretazione, possibilità del soggetto di staccarsi del tutto

dal testo, cioè di rendere la propria visione del mondo a prescindere dal documento che sta

interpretando) si è posto un termine medio e cioè l’idea che il soggetto interpretante in realtà nel

momento in cui interpreta non solo conosce ma anche preconosce, cioè porta nell’interpretazione

tutta la usa precedente conoscenza, non solo la conoscenza in tema di musica, di arte, di letteratura,

ma tutta la sua conoscenza di vita quotidiana, perché tutta la sua conoscenza entra nel procedimento

interpretativo. Questi concetti di precomprensione critica e circolarità ermeneutica, “portare la

propria conoscenza nel procedimento interpretativo legato al rapporto tra soggetto e oggetto”, sono i

due momenti che rendono chiara la distinzione tra interpretazione giuridica tradizionale ed

ermeneutica giuridica.

Nella prospettiva interpretativa logico-analitica, invece, la questione fondamentale è quella

di intendere come la prospettiva interpretativa del diritto tutto sintetizzato nella legge - cioè secondo

l’assioma giuspositivista per cui tutto ciò che non è legge non è diritto - sia una prospettiva che

parte dall’idea che il diritto venga creato e che la fonte di produzione sia il riferimento esclusivo

della sua cognizione, appunto prima il legislatore (positivismo classico), poi le leggi ( ovvero le

dichiarazioni contenenti la volontà del legislatore). E l’interpretazione diventa una fonte

concorrenziale, tendenzialmente da ridurre, se non da eliminare. Nella evoluzione dal positivismo

classico al positivismo logico, nella sua accezione più estrema di normativismo, cioè con Hans

Kelsen, il tentativo di ridurre i margini di intervento del giudice e quindi di operatività

dell’interpretazione è stato sempre maggiore, fino a ritenere appunto che l’attività dell’interprete

altro non fosse che un attività automatica, un mero automatismo, fondata sulla logica del sillogismo.

Nella prospettiva dell’interpretazione del diritto intesa nella sua complessità, cioè non soltanto

come legge, ma come insieme di regole, che contiene la legge all’interno delle sue possibili fonti di

produzione, quindi in una prospettiva nella quale non soltanto la legge è fonte di produzione del

diritto ma molteplici sono gli accadimenti che realizzano vicende della giuridicità e che tutti questi

accadimenti vanno interpretati, si nega che il diritto sia creato da una fonte specifica di produzione

e che tale fonte possa imporre dei criteri per la sua interpretazione . Il diritto si realizza, si fa,

si sviluppa ed esiste come vicenda e quella vicenda complessivamente va interpretata. Nell’

interpretazione logico analitica, invece, la legge fonda anche tutte le altre forme di interpretazione,

cioè fonda anche l’interpretazione di tutti gli altri atti giuridici. Cioè, quando l’art 12 delle disp.

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prel. al codice civile o preleggi viene elevato a rango di principio, si assoggetta l’attività

interpretativa alla legge, quindi concretamente, il margine di operatività del giurista tende a ridursi,

proprio perché si ampia il margine di produttività normativa, cioè il diritto è solo quello prodotto,

quello che si produce e si interpreta come stabilisce chi lo produce.

Il fine della teoria logico-analitica del diritto è la ricerca della verità vera. Essa si muove

cioè all’interno delle scienze epistemologiche.

La ricerca dell'interpretazione che deve essere considerata come più valida e più giusta di

tutte le altre anche dal punto di vista valoriale, proprio dell'identificazione di validità e valore è il

fine dell’interpretazione logicista.

Abbiamo già precisato che il rapporto tra validità e valore è uno dei perni della scienza

giuspositivista e che il positivismo giuridico studia esclusivamente le norme valide proprio perché il

fatto che siano valide sta a significare che sono anche vere, contengono cioè in sé i valori e non c’è

un valore che possa essere tenuto distinto dalla validità normativa. Le teorie logico-analitiche sono

dunque teorie epistemologiche in quanto studiano i significati linguistici della norma per scoprire

quale sia la verità vera, quale sia l'unica verità possibile, perché unica è la verità considerato che

unica è la validità. Per tale premessa possiamo ragionare logicamente in maniera credibile sulle

regole giuridiche e per tale premessa possiamo applicare il sillogismo nel momento in cui passiamo

dalla fase di produzione normativa all’applicazione in concreto della legge, quindi della fattispecie

astratta al caso concreto. L’argumentum sillogistico, cioè la soluzione del sillogismo, che chiude il

rapporto tra premessa maggiore e premessa minore del sillogismo, diventa perciò un argumentum

unico, l’unico possibile. Non ci sono una pluralità di argumenta, contrariamente a quanto accade

nella prassi. Sono certo possibili due sentenze che concludono allo stesso modo un’interpretazione,

però, secondo l’epistemologia propria dell’interpretazione logico-analitica, tutte le interpretazioni

mirano comunque a raggiungere l’unica, vera interpretazione, per cui il giudizio che diventa

giudicato formale e sostanziale, cioè quello non più impugnabile, non è soltanto un giudicato valido

come più facilmente ritenibile, ma anche un giudicato vero, perché interpretato nel modo piu giusto

possibile. Secondo la teoria logico-analitica, secondo questa teoria epistemologica, l’interpretazione

giuridica mira a scoprire qual è la verità assoluta dell'interpretazione di una fattispecie astratta, cioè

quella che si conchiude in un giudicato valido e vero. Altrimenti non ci sarebbe ragione che un

giudicato formale possa diventare un giudicato sostanziale, ovvero che possa diventare legge fra le

parti. Il giudicato, invece, una volta diventato inoppugnabile, non diventa solo un giudicato valido,

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soltanto un atto formale, ma diventa un atto sostanziale, legge fra le parti. Riteniamo

ideologicamente che la decisione valida è la decisione giusta e quindi c’È un interpretazione finale,

che rende la decisione giusta perché è la più vera possibile.

Qualcuno potrebbe eccepire: e il giudizio di revocazione? che mette in discussione il

giudicato?

Risposta: è una mera illazione per la teoria logico-analitica del diritto.

Concludendo: la teoria logico-analitica del diritto è una teoria non scettica, non eccletica,

ma, dal punto di vista delle teorie dell' interpretazione, si pone decisamente tra le teorie cognitive.

L’attività del soggetto interpretante non è mai in essa un’attività volitiva, ma è soltanto

un’attività cognitiva, caratterizzata dalla conoscenza e dall’approfondimento del documento

normativo, poiché la verità è già nella validità, la validità è già valore.

Quindi tra la teoria scettica, che ritiene che l'interpretazione giuridica non possa essere

un’attività meramente cognitiva, ma ritiene che l'interpretazione in genere sia sempre un’attivita

creativa e ci sia sempre nell’attività interpretativa una capacità creativa del soggetto interpretante e

la teoria ecclettica che ritiene che l’attività d'interpretazione sia un’attività in parte conoscitiva in

parte volitiva, la teoria logico-analitica dell'interpretazione della legge è una forma d'interpretazione

meramente cognitiva ed epistemologica.

L'ermeneutica giuridica invece si pone propriamente come una teoria ecclettica, perché si

ritiene che l'interpretazione in tutti i campi del sapere e anche nel mondo giuridico sia un’attività

nella quale il soggetto interpretante procede tanto con un approccio conoscitivo quanto con un

approccio volitivo, cioè che interpretare il diritto significhi allo stesso tempo conoscere e decidere.

In questo nodo è, a ben guardare, la differenza di fondo tra la decisione politica e la

decisione giuridica. Entrambe sono delle decisioni, entrambe richiedono un’attività volitiva, ma la

decisione politica non richiede un approccio conoscitivo di qual si voglia genere, tanto che il più

famoso studioso della decisione politica del 900, Carl Schmith ha sempre sostenuto che il sovrano

che decide non è colui a cui si è attribuito il potere di decidere, ma piuttosto colui che decide sullo

stato d'eccezione, cioè mette fine all'eccezionalità del caso e del conflitto tra le parti, decide in quel

momento preciso e riesce a far sì che la sua decisione sia rispettata. Decide solo volitivamente.

La decisione giuridica è invece una decisione che si caratterizza per essere allo stesso tempo

conoscitiva e volitiva. In questo senso non è la soluzione di un sollogismo la conclusione del

procedimento interpretativo ermeneutico perché non è la soluzione di un ragionamento che ci

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conduce a una verità gloseologica, non ci porta a una verità conoscitiva. Quindi il decisionismo

politico conclude il suo percorso in una immediata decisione volitiva. La teoria ermeneutica

conclude il suo percorso procedimentale con la massima di decisione giuridica determinata da un

approccio conoscitivo e volitivo. La teoria logico-analitica conclude il suo procedimento

interpretativo con la soluzione di un sillogismo quindi con la conclusione di un ragionamento

logico, in un’attività interpretativa non libera perché vincolata dalla legge. È la legge stessa a

stabilire anche chi può rendere concretamente l'interpretazione giusta e valida, e cioè: i giudici e i

funzionari amministrativi

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Bibliografia AA.VV., L’interpretazione della legge alle soglie del XXI secolo, a cura di A. Palazzo, Esi,

Napoli, 2001;

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