LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA - Università Telematica...

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“LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA” PROF.SSA FRANCESCA MITE

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  • ““LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA”

    PROF.SSA FRANCESCA MITE

  • Università Telematica Pegaso La diffamazione a mezzo stampa

    Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

    vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

    (L. 22.04.1941/n. 633)

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    Indice

    1 IL REATO DI DIFFAMAZIONE: PROFILI GENERALI, ELEMENTI OGGETTIVI E SOGGETTIVI -- 3

    2 LE AGGRAVANTI DEL REATO DI DIFFAMAZIONE. LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA --- 8

    3 CIRCOSTANZE CHE ESCLUDONO LA PUNIBILITÀ DELL’OFFESA ALLA REPUTAZIONE ------- 13

    3.1. IL CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO ----------------------------------------------------------------------------------------- 13 3.2. L’ESERCIZIO DEL DIRITTO. IL DIRITTO DI CRONACA, DI CRITICA, DI SATIRA. PRESUPPOSTI E AMBITO DI

    APPLICAZIONE NELL’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE ----------------------------------------------------------- 14

    BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 23

  • Università Telematica Pegaso La diffamazione a mezzo stampa

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    1 Il reato di diffamazione: profili generali, elementi oggettivi e soggettivi

    Gli elementi costitutivi oggettivi del reato di diffamazione sono due. Più precisamente

    secondo quanto previsto dall’art. 595 c.p commette il reato di diffamazione chiunque in assenza

    della persona offesa,

    1 offende l’altrui reputazione

    2 comunicando con più persone.

    La pena prevista è quella della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,911.

    Preliminarmente è doveroso distinguere il reato de quo rispetto ad altri delitti che pure ledono

    l’onore.

    Il riferimento è, innanzitutto, alla fattispecie dell’ ingiuria prevista e punita, sino alla sua

    depenalizzazione, dall’art. 594 c.p.2, ai sensi del quale chiunque offende l’onore o il decoro di una

    persona presente, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,463. È

    evidente la differenza tra le due fattispecie: in caso di diffamazione, nel momento in cui vengono

    diffuse le dichiarazioni ritenute lesive della reputazione di un individuo, egli è assente e la

    comunicazione avviene alla presenza di terzi, laddove nel caso di ingiuria vengono sì offesi pur

    sempre l’onore e il decoro di una persona ma quando questa è presente al momento dell’offesa.

    1 La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema

    penale. Al reato previsto in questo comma si applica, ora, la pena pecuniaria della multa da euro 258 a euro 2.582 o la

    pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da dieci

    giorni a tre mesi, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 52, comma 2, lettera a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. (Tale

    disposizione si applica a decorrere dal 2 gennaio 2002, ai sensi di quanto disposto dall’art. 65 dello stesso D.Lgs. n. 274

    del 2000, come modificato dall’art. 1, D.L. 2 aprile 2001, n. 91, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 3

    maggio 2001, n. 163).

    2 Articolo abrogato dall'art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, a decorrere dal 6 febbraio 2016.

    3 La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il sistema

    penale. Al reato previsto in questo comma si applica, ora, la pena pecuniaria della multa da euro 258 a euro 2.582, ai

    sensi di quanto disposto dall’articolo 52, comma 2, lettera a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274. (Tale disposizione si

    applica a decorrere dal 2 gennaio 2002, ai sensi di quanto disposto dall’art. 65 dello stesso D.Lgs. n. 274 del 2000, come

    modificato dall’art. 1, D.L. 2 aprile 2001, n. 91, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 3 maggio 2001, n.

    163).

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    A titolo meramente esaustivo, va precisato che dall’ingiuria e dalla diffamazione si distingue anche

    il reato di calunnia previsto e punito dall’art. 368 c.p., che si configura quando taluno, con

    denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità

    giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l’obbligo di riferire all’Autorità giudiziaria, incolpa di un

    reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un

    reato. Per il reato di calunnia la pena prevista è quella della reclusione da due a sei anni, salvo i casi

    di aggravante4.

    Tornando alla diffamazione, la prima caratteristica strutturale di tale tipo di reato, è come si diceva,

    l’offesa all’altrui reputazione. Emerge, quindi che il bene giuridico che con la previsione del reato

    di diffamazione il Legislatore ha inteso tutelare è la cd. reputazione, per tale intendendosi in

    generale e secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la stima diffusa nell’ambiente sociale,

    l’opinione e la considerazione di cui ciascuno gode nel contesto sociale e dei rapporti personali o

    professionali. Più precisamente e secondo l’interpretazione giurisprudenziale essa va intesa come

    riflesso oggettivo dell’onore e del decoro rappresentando «il senso della dignità personale

    nell’opinione degli altri, un sentimento limitato dall’idea di ciò che, per la comune opinione, è

    socialmente esigibile da tutti in un dato momento storico»5. Insomma, ciò che il Legislatore ha

    inteso punire è, evidentemente, l’attacco all’altrui personalità morale6.

    Altra interessante definizione del bene giuridico reputazione si rinviene in una pronuncia di merito,

    che la vuole tutelata «tanto come stima che una persona si è conquistata presso gli altri, quanto

    4 La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel

    massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave. La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una

    condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; e

    si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte [c.c. 463, n. 3]. La giurisprudenza

    ha chiarito che non è necessario che sia iniziato un procedimento penale a carico della persona offesa dal reato, essendo

    sufficiente la mera potenzialità che un tale procedimento si avvii.

    5 Cass. pen. Sez. V, 28/02/1995, n. 3247.

    6 Cass. pen. Sez. V, 23/09/2019, n. 2705, Cass. pen. Sez. V Sent., 07/06/2019, n. 27675, Cass. pen. Sez. V, 04/02/2020,

    n. 8447.

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    come rispetto sociale minimo cui ogni persona ha diritto indipendentemente dalla buona o cattiva

    fama che derivi dalla sua condotta»7.

    Ma come e quanto deve essere leso il bene “reputazione” affinchè posa configurarsi il reato della

    diffamazione?

    Se da un lato dottrina8 e giurisprudenza ritengano unanimemente che valgano ad integrare offesa

    non soltanto l’uso di espressioni non vere, ma anche di quelle allusive, sottintese, suggestionanti,

    (come si avrà modo di vedere quando si parlerà più avanti della diffamazione a mezzo stampa),

    dall’altro sempre la giurisprudenza9 ha precisato che per poter ledere la reputazione di un soggetto

    le affermazioni allusive devono essere capaci di modificare in negativo l’opinione che il gruppo

    sociale ha di quel soggetto.

    Infine, alla tutela della reputazione ben può aggiungersi quella relativa all’immagine della persona

    interessata, laddove le notizie diffamatorie siano, come possono essere, diffuse non già o non solo

    con il mezzo dello scritto (articolo di giornale o altro tipo di pubblicazione), ma attraverso la

    pubblicazione di fotografie.

    Il secondo elemento costitutivo del reato è costituito dalla comunicazione con più persone, per il cui

    tramite si realizza quella divulgazione che è una delle caratteristiche strutturali del reato in oggetto.

    La giurisprudenza ha chiarito che si configura la comunicazione con più persone anche laddove le

    notizie diffamatorie, lesive dell’onore e della reputazione altrui, siano diffuse alla presenza di due

    sole persone tra le quali non vanno tuttavia compresi gli eventuali concorrenti nel reato (ovvero

    7Trib. Roma, 14 giugno 1990, in Cass. Pen., 1994, 2549, «La configurabilità del reato di diffamazione non dipende

    dalla esistenza di una reputazione più o meno favorevole di cui l’offeso gode nella considerazione altrui, perchè

    l’ordinamento giuridico tutela l’onore e la dignità della persona al di là del merito del soggetto passivo del reato.

    Pertanto anche colui che ha riportato condanne per gravissimi delitti può essere soggetto passivo di diffamazione

    essendo la reputazione tutelata anche come rispetto sociale minimo cui ogni persona ha diritto, come tale,

    indipendentemente dalla buona o cattiva fama».

    8 S. Sica – V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, 2012, pg. 46.

    9 Trib. Roma, 15/02/1993 Foro It., 1994, I, 1236 La lesione del diritto alla reputazione attiene al momento critico del

    giudizio che i consociati daranno a seguito della divulgazione di una determinata raffigurazione, che comprometta non

    solo la verità, ma anche, e soprattutto, il valore della persona (nella specie, è stato escluso che potesse produrre un tale

    pregiudizio l’attribuzione della paternità di attività investigative, estranee ai suoi compiti istituzionali ad un magistrato

    collaboratore dell’alto commissario antimafia).

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    anche di una sola persona10, ma con tali modalità che detta notizia sicuramente venga a conoscenza

    di altri).

    Sempre in riferimento alla comunicazione con almeno due persone, è opinione prevalente in

    dottrina e in giurisprudenza che la comunicazione diffamatoria possa essere rivolta a soggetti

    diversi anche in tempi differenti, consumandosi in tal caso il reato nel momento della

    comunicazione alla seconda persona, facendosi, quindi, coincidere il momento consumativo del

    reato con l’ultima comunicazione in senso cronologico.

    La diffamazione dunque, è un reato istantaneo che si consuma con la comunicazione con più

    persone lesiva della reputazione11, anche se la comunicazione e/o la percezione da parte di costoro

    del messaggio non siano contemporanee alla trasmissione e contestuali tra di loro, ben potendo i

    destinatari trovarsi persino a grande distanza gli uni dagli altri, ovvero dall’agente12.

    Ebbene, precisati gli elementi costitutivi del reato di diffamazione sotto il profilo oggettivo, occorre

    soffermarsi ora sul profilo soggettivo.

    10 Cass. pen. Sez. V, 15-07-2010, n. 36602 (rv. 248431), in CED Cassazione, 2010. Già Cass. pen. Sez. V, 21/07/2004,

    n. 31728, secondo la quale «In tema di diffamazione commessa mediante scritti (art. 595 c.p.), sussiste il requisito della

    comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, anche quando le espressioni offensive siano

    comunicate ad una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un’altra persona, che ne abbia poi effettiva

    conoscenza. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto sussistente il requisito della "comunicazione con più

    persone" in una lettera inviata dal Presidente del Tribunale ad un Presidente della Corte di appello - nella quale si

    esprimevano valutazioni offensive nei confronti di due sostituti dello stesso tribunale - la quale ancorché inviata in

    doppia busta chiusa con la dicitura "riservata personale", conteneva la sollecitazione di inoltrare tale comunicazione ad

    altra Autorità, inoltro poi effettivamente avvenuto)», in Riv. Polizia, 2005, 319.

    11 Cass. pen., 17/02/1989, in Giust. Pen., 1990.

    12 La Suprema Corte, in un caso di diffamazione posta in essere attraverso Internet, ha affermato come il reato si

    consumi al momento della ricezione del messaggio diffamatorio da parte di terzi rispetto all’agente ed alla persona

    offesa, trattandosi di un reato di evento non fisico ma, per così dire, psicologico, consistente nella percezione da parte

    del terzo dell’espressione offensiva (Cass. pen., sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741 «in quanto reato di evento, la

    diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa».). La dottrina,

    invece, ritiene che si tratti di un reato di pericolo, non richiedendosi un effettivo pregiudizio per la reputazione del

    soggetto passivo. In tal senso Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte spec., Dei delitti contro la persona, Milano,

    1999, 203.

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    Ai fini della configurabilità della fattispecie di reato in esame, per consolidato e unanime indirizzo

    giurisprudenziale13, non è richiesto l’animus diffamandi, inteso quale volontà di ledere l’altrui

    reputazione, ritenendosi sufficiente il dolo generico14, la volontà, cioè, di usare espressioni

    diffamatorie con la consapevolezza della loro attitudine offensiva dell’altrui reputazione.

    L’utilizzo di espressioni autonomamente e manifestamente offensive, tali cioè, da offendere e

    ledere, con il loro significato univoco, la dignità della persona basta a configurare l’elemento

    psicologico del dolo, senza che occorra procedere ad una particolare dimostrazione o indagine sulla

    sua presenza o meno, prescindendosi del tutto dai motivi e dall’animus nocendi vel iniuriandi.

    Altro aspetto importante da sottolineare in materia di diffamazione è che, salvo casi estremamente

    particolari, il colpevole del reato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà

    del fatto attribuito alla persona offesa. Ciò significa che non vale ad escludere il reato in questione

    la circostanza che il fatto offensivo sia vero o già noto per altra via.

    13 Per tutti, Cass. pen. Sez. V, 16/02/2011, n. 10188, in Massima redazionale, 2011.

    14 Tra l’altro anche nella forma del dolo eventuale, con l’accettazione del rischio della realizzazione di fatti diffamatori,

    nel rispetto di un consolidato orientamento giurisprudenziale, per tutti, Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2007, n. 26964,

    in Mass. Giur. It., 2007. Conforme, Cass. civ. Sez. III Ord., 26/10/2017, n. 25420; correlata, Cass. civ. Sez. III Ord.,

    09/04/2019, n. 9799.

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    2 Le aggravanti del reato di diffamazione. La diffamazione a mezzo stampa

    Per il reato di diffamazione, il codice penale prevede all’art. 595, due aggravanti:

    1. L’attribuzione di un fatto determinato

    2. L’utilizzo del mezzo della stampa

    Più precisamente, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato15, cioè si offende

    l’altrui reputazione facendo riferimento ad un episodio preciso e specifico, la pena è raddoppiata

    rispetto alla fattispecie base, prevedendosi la reclusione fino a due anni, ovvero la multa fino a

    2.065,00 euro16; se l’offesa è recata col mezzo della stampa, di cui si dirà di seguito, (giornali,

    televisione, altri mezzi di informazione) o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (tipo la rete

    Internet), ovvero in atto pubblico, è prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della

    multa non inferiore a 516,00 euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o

    15 I giudici di legittimità hanno precisato che «Per fatto determinato, ai fini della configurabilità della circostanza

    aggravante di cui all’art. 595, 2° comma c. p., s’intende il fatto concretamente individuabile mediante l’indicazione

    dell’azione o delle azioni che si affermano essere stata commesse da qualcuno e non la generica attribuzione di qualità o

    di attività disonoranti; fatto determinato, in altri termini, è il fatto sufficientemente delineato nel suo carattere e nei suoi

    elementi essenziali in modo che ne derivi quell’aspetto di più agevole credibilità come fatto reale, produttivo di quel

    maggiore pregiudizio alla reputazione, nel quale si concreta la ratio della suddetta aggravante (nella specie: è stata

    esclusa la circostanza di cui all’art. 595, 2° comma c. p. nell’attribuzione della qualifica di non accompagnata

    dall’indicazione di circostanze concrete, quali il tempo e l’ammontare della esportazione)», Cass. pen. Sez. V,

    09/05/1985, in Riv. Pen., 1986, 730.

    16 La multa risulta così aumentata, da ultimo, ai sensi dell’art. 113, L. 24 novembre 1981, n. 689, che modifica il

    sistema penale. Al reato previsto in questo comma si applica, ora, la pena pecuniaria della multa da euro 258 a euro

    2.582 o la pena della permanenza domiciliare da sei giorni a trenta giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica utilità da

    dieci giorni a tre mesi, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 52, comma 2, lettera a), D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

    (Tale disposizione si applica a decorrere dal 2 gennaio 2002, ai sensi di quanto disposto dall’art. 65 dello stesso D.Lgs.

    n. 274 del 2000, come modificato dall’art. 1, D.L. 2 aprile 2001, n. 91, convertito in legge, con modificazioni, dall’art.

    1, L. 3 maggio 2001, n. 163). Tale aggravio di pena si spiega con il fatto che attribuendo ad un soggetto un fatto

    determinato si ingenera nel destinatario una maggiore impressione di attendibilità delle circostanze narrate rispetto a

    quelle raccontate in modo vago, ipotetico o allusivo. Il maggior pregiudizio per la vittima giustifica, quindi, la più

    severa sanzione per l’autore del reato.

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    giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono

    aumentate.

    Ebbene, tale seconda forma di aggravante prevista dal codice penale, ci conduce all’argomento

    oggetto del presente lavoro, ovvero alla diffamazione a mezzo stampa.

    L’utilizzo della stampa per diffamare una persona rappresenta, dunque, un’aggravante del reato di

    diffamazione in considerazione della particolare attitudine diffusiva del mezzo adoperato e del

    potere di persuasione psicologica e di orientamento d’opinione che la stampa possiede e che rende

    più incisiva la diffamazione e determina, quindi, un maggior danno.

    E dunque, in un contesto in cui l’evolversi della coscienza sociale è continua e la diffusione di

    mezzi di comunicazione di massa è sempre maggiore, si pone il problema di individuare il ruolo e i

    limiti dell’informazione potenzialmente lesiva dell’altrui reputazione, al fine di contemperare i

    diritti del singolo con l’esigenza della diffusione di notizie di interesse pubblico17.

    È da dire, peraltro, che per costante indirizzo dottrinario18 e giurisprudenziale19, allorché la

    diffamazione sia compiuta con il mezzo della stampa, l’elemento della pluralità e, cioè, della

    comunicazione con più persone, ex art. 595 c. p., si può ritenere in re ipsa, per il fatto stesso della

    pubblicazione e della diffusione del mezzo usato, che si rivolge ad un numero cospicuo ed

    indeterminato di persone.

    Attenta dottrina ha al riguardo evidenziato la differenza di tale aggravante codicistica (l’uso della

    stampa), rispetto all’altra aggravante prevista dalla Legge sulla stampa (legge n. 47/48) che all’art.

    13 pure prevede una pena maggiore ove venga attribuito un fatto determinato con il mezzo della

    stampa, stabilendo che: «nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente

    nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e

    quella della multa non inferiore a euro 258». In particolare, «mentre il codice prevede l’aggravante

    ove la diffamazione venga effettuata con il mezzo della stampa o di qualsiasi altro mezzo di

    pubblicità, la legge sulla stampa prevede l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 13 unicamente ove la

    diffamazione avvenga con il mezzo della stampa così come rigidamente individuata dall’art. 1 della

    17 D. Chindemi, Diffamazione a mezzo stampa (radio – televisione – internet), Giuffrè editore, 2006.

    18 S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 47.

    19 Cass. 14 giugno 1988, in Riv. Pen., 1990, pg.189, nella specie relativa al rigetto di ricorso, l’imputato aveva sostenuto

    che la diffamazione doveva essere considerata non a mezzo stampa, ma semplice, per il fatto che solo poche persone

    avrebbero identificato la persona offesa.

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    stessa legge, non interpretabile analogicamente o estensivamente in quanto legge prevedente una

    sanzione penale»20.

    Quanto, poi, alle differenze tra le due aggravanti codicistiche, l’attribuzione di un fatto determinato

    e l’utilizzo della stampa, nel primo caso, l’aggravante del fatto determinato ha la sua ragion d'essere

    nella maggiore attendibilità che solitamente manifesta la rappresentazione di un fatto storicamente

    determinato, in grado di realizzare una più efficace lesione dell'altrui reputazione, per la capacità di

    ingenerare nel lettore un maggior convincimento circa l'attendibilità delle circostanze narrate

    rispetto a quelle riportate in modo vago, ipotetico, meramente allusivo o insinuatorio.

    Nella seconda ipotesi, oltre all'aggravante dell'attribuzione di un fatto determinato, ai sensi del

    combinato disposto dell'art. 595, comma 3, c.p. e dell'art. 13 l.s., la diffamazione è aggravata

    quando la propagazione della comunicazione offensiva avvenga a mezzo della stampa: difatti, in

    questa fattispecie, il danno subito dalla persona offesa ha una diversa e maggiore portata, dovuta

    alla più penetrante incisività della diffamazione realizzatasi grazie alla forte capacità diffusiva del

    mezzo utilizzato.

    Passando all’esame del profilo materiale del reato di diffamazione a mezzo stampa, proviamo ad

    indagare sui soggetti attivi e passivi del reato de quo.

    Soggetto attivo del reato di diffamazione a mezzo stampa può essere chiunque non essendo richiesti

    particolari requisiti. È chiaro che esso è, innanzitutto, l’autore dello scritto dal contenuto

    diffamatorio, tenendo sempre presente che nel campo del diritto penale vige il principio della

    responsabilità personale. Tuttavia, ai sensi dell’art. 57 c.p.21, nonché della normativa sulla stampa22

    come accennato, è responsabile anche il direttore del periodico: a titolo di concorso (quando pur

    consapevole della potenzialità offensiva delle espressioni utilizzate nell’articolo, ne abbia,

    ugualmente autorizzato la pubblicazione) ovvero per fatto proprio (se l’evento lesivo, pur non

    essendo voluto dal direttore, non si sarebbe verificato se avesse impiegato la dovuta diligenza nel

    20 Così S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg 48.

    21 c.p. art. 57. Reati commessi col mezzo della stampa periodica Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e

    fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del

    periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è

    punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente

    un terzo

    22 L. 8 febbraio 1948, n. 47, Disposizioni sulla stampa, in Gazz. Uff. 20 febbraio 1948, n. 43, meglio nota come legge

    sulla stampa, l.s.

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    controllare gli scritti destinati alla pubblicazione). La condotta omissiva del direttore responsabile

    del giornale, prevista e punita dall’art. 57 c.p., consiste nel non aver attivato i dovuti controlli per

    evitare che col mezzo della stampa e sul giornale in questione- si ledesse dolosamente la

    reputazione di terze persone.

    Non solo, ai sensi dell’art. 57-bis c.p23, le disposizioni di cui all’art. 57 c.p., si applicano, nel caso di

    stampa non periodica, all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non imputabile, ovvero

    allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile; ciò in quanto si tratta di soggetti

    tenuti ad esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario ad impedire che con il mezzo

    della pubblicazione siano commessi reati. Inoltre, per i reati commessi col mezzo della stampa sono

    civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato, il proprietario della pubblicazione e

    l’editore24 .

    Quanto al soggetto passivo, cioè al diffamato (presunto), possono assumere la veste di soggetti

    passivi del delitto in questione oltre che le persone fisiche, le persone giuridiche e gli enti collettivi

    (ad es. società, associazioni, fondazioni, partiti etc.)25.

    Naturalmente, la diffamazione può riguardare soggetti non più in vita e, in tal caso, legittimato a

    difendere il diritto sarà l’erede o il congiunto della persona offesa.

    Per la sussistenza del delitto di diffamazione, l’individuazione dell’effettivo destinatario dell'offesa

    è condizione essenziale ed imprescindibile per attribuire a tale offesa rilevanza giuridico-penale,

    tuttavia ai fini della configurabilità del reato è irrilevante l’indicazione nominativa del diffamato,

    ben potendosi questa desumere da “riferimenti inequivoci” a fatti e circostanze di notoria

    conoscenza, attribuibili ad un determinato soggetto; più precisamente, la persona cui è diretta

    l’offesa, seppur non necessariamente indicata nominativamente, deve essere “individuabile

    agevolmente e con certezza”26.

    23 c.p. art. 57-bis. Reati commessi col mezzo della stampa non periodica. Nel caso di stampa non periodica, le

    disposizioni di cui al precedente articolo si applicano all’editore, se l’autore della pubblicazione è ignoto o non

    imputabile, ovvero allo stampatore, se l’editore non è indicato o non è imputabile-

    24 LEGGE 8 febbraio 1948, n. 4711, recante Disposizioni sulla stampa, pubblicata nella Gazz. Uff. 20 febbraio 1948, n.

    43. Art. 11. Responsabilità civile. Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido

    con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore .

    25G.Battaglini, Capacità passive di diffamazione nelle collettività, in Riv.dir.sport.,1949, n3-4, 92; in giurisprudenza

    Cass. 26.10.2001, n. 1188 26 È sufficiente che l’offeso sia identificabile, cioè individuabile in maniera univoca, per esclusione, in via induttiva.

    Cass. pen. Sez. V, 07/05/1992, in Mass. Cass. Pen., 1992, fasc.11, 133.

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    E così, l'individuazione del diffamato in mancanza di indicazione nominativa, può dedursi, in

    termini di affidabile certezza, dalla stessa prospettazione oggettiva dell'offesa, quale si evince anche

    dal contesto in cui è inserita o ancora l’individuazione del diffamato può avvenire per esclusione in

    via induttiva, tra una categoria di persone.

    Non può, invece, aversi diffamazione nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni

    offensive nei confronti di una o più persone appartenenti ad una determinata categoria, anche se

    numericamente limitata, se le persone cui le frasi si riferiscono non siano precisamente

    individuabili.

    È doveroso precisare, infine, che la diffamazione a mezzo stampa rappresenta non solo un’ipotesi di

    reato a tutela dell’altrui reputazione (artt.595 e ss. c.p.), ma anche un illecito civile, che impone al

    responsabile del fatto l’obbligo di risarcire il danno. In particolare, nel caso del reato di

    diffamazione l'art. 185 c.p. prevede il risarcimento del danno patrimoniale e danno non

    patrimoniale. Inoltre, l'art. 12 della l. 8 febbraio 1948 n. 47 prevede, oltre al risarcimento previsto

    dall'art. 185 c.p., un'ulteriore somma a titolo di riparazione che non costituisce una duplicazione

    delle voci di danno risarcibili, ma che integra un'ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata.

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    3 Circostanze che escludono la punibilità dell’offesa alla reputazione

    Al fine di poter correttamente inquadrare la situazione normativa che stiamo esaminando è

    doveroso evidenziare peraltro che, in presenza di determinate condizioni, pur laddove si sia

    consumata la lesione all’altrui reputazione divulgando fatti e notizie, gli autori del reato non sono

    punibili.

    Si parla in tal caso delle cd. cause di esclusione della punibilità che possono sinteticamente

    ricondursi a:

    1. Consenso dell’avente diritto

    2. Esercizio di un diritto

    3. Provocazione

    4. Ritorsione

    In particolare ci soffermeremo sulle prime due cause di non punibilità, con particolare riferimento a

    quella relativa all’esercizio del diritto che più spesso è invocata nelle cause diffamatorie27.

    3.1. Il consenso dell’avente diritto

    Quanto al consenso del titolare del diritto (nel caso de quo del diritto alla reputazione), cioè

    della persona a cui i fatti diffamatori si riferiscono, occorre partire dall’art. 50 c.p., in base al quale

    «non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può

    validamente disporne».

    Se, dunque, per restare sulla diffamazione a mezzo stampa, la divulgazione di fatti o foto28 lesive

    della reputazione, avviene con l’assenso della persona interessata, l’autore dell’illecito non è

    punibile. È stato evidenziato al riguardo come tale esimente venga spesso invocata da fotografi che

    dopo aver ritratto un personaggio noto e venduto per la pubblicazione le fotografie offensive, si

    27 In tal senso S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 48.

    28 Ricordiamo, infatti che le notizie diffamatorie possono essere diffuse sia con il mezzo dello scritto, articolo di

    giornale o altro tipo di pubblicazione, sia attraverso la pubblicazione di fotografie e, in tale ultimo caso, alla tutela della

    reputazione si aggiunge quella relativa all’immagine della persona interessata.

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    difendano eccependo la circostanza che, essendo nota la qualità di fotografo e, quindi, potendo

    immaginare il futuro uso delle foto, la persona avrebbe implicitamente acconsentito, ragione per cui

    il reato così commesso non sarebbe punibile29.

    A ben vedere la giurisprudenza30 ha precisato che perchè possa essere invocato il consenso del

    titolare del diritto quale causa di non punibilità, deve essere stato prestato un consenso valido e

    definitivo quanto all’oggetto della condotta illecita, alle sue modalità di estrinsecazione, alla

    collocazione storico - temporale della lesione del diritto.

    Stessa efficacia esimente è data dal consenso putativo che ricorre nel caso in cui, in base alle

    circostanze, sussista una ragionevole persuasione per l’agente di operare con il consenso della

    persona che può validamente disporre del diritto.

    Quanto alla diffamazione a mezzo stampa, il consenso alla divulgazione dei fatti offensivi è,

    dunque, ammissibile solo in relazione ad un fatto specifico e concreto e ad un ambito di

    utilizzazione ben definito e non anche in relazione a fattispecie future.

    3.2. L’esercizio del diritto. Il diritto di cronaca, di critica, di satira. Presupposti e ambito di applicazione nell’interpretazione giurisprudenziale

    L’art. 51 c.p.31 stabilisce che « L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere

    imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la

    punibilità». La ratio di tale norma risiede nel principio di non contraddizione per cui se

    l’ordinamento riconosce al cittadino un certo diritto non sarebbe ragionevole, poi, che lo punisse nel

    momento in cui tale diritto va ad esercitare (purchè ciò avvenga nel rispetto dell’ordinamento

    giuridico, cioè correttamente).

    29 In tal senso M. Prosperi, in www.dirittoproarte.it. 30 Cass. pen. Sez. VI, 04/07/1991, Riv. Pen. economia, 1992.

    31 c.p. art. 51. Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere. L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un

    dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità. Se un fatto

    costituente reato è commesso per ordine dell’autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale [c.p. 357] che ha

    dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire

    a un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato

    sulla legittimità dell’ordine.

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    Ora, posto che nel diritto di libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. vi rientra anche il

    diritto di cronaca giornalistica, di critica e di satira, è da dire che tendenzialmente la pubblicazione

    di fatti e notizie di ogni tipo ben può essere ricondotta all’esercizio del diritto di cronaca quale

    specie, appunto, della libertà di manifestazione del pensiero e al contempo del diritto - dovere di

    informare da parte dei giornalisti.

    È di tutta evidenza, allora, come anche nella fattispecie del reato di diffamazione a mezzo stampa,

    possa assumere particolare rilevanza l’esimente dell’esercizio del diritto con particolare

    riferimento proprio all’esercizio del diritto di cronaca, (ma anche di critica e di satira).

    Il diritto di cronaca e di critica sono infatti esplicazioni della libertà di diffondere attraverso la

    stampa notizie e commenti, anche lesivi della reputazione.

    In linea di principio, chi divulga fatti e notizie diffamatorie nell’esercizio del diritto di cronaca non

    dovrebbe, quindi, essere punibile.

    Tuttavia è da dire che l’esercizio del diritto di cronaca intanto vale ad escludere la punibilità della

    offesa alla reputazione, in quanto tale diritto sia correttamente esercitato, in quanto, cioè, non

    travalichi i limiti imposti dall’ordinamento e dal rispetto dei diritti altrui, non sconfini, cioè,

    nell’abuso del diritto che rende comunque punibile l’autore del fatto.

    Sempre in materia di esercizio del diritto di cronaca è opportuno richiamare anche l’art. 59 c.p.32

    secondo il quale se chi commette il fatto ritiene, per errore, che esistano circostanze di esclusione

    della pena (quale è l’esercizio del diritto di cronaca), queste sono sempre valutate a favore di lui. È

    quello che, in termini giuridici, costituisce il cd. “esercizio putativo del diritto di cronaca”, per cui

    non è punibile chi commette il fatto diffamatorio anche se credeva per errore di esercitare un

    diritto33.

    32 c.p. art. 59. Circostanze non conosciute o erroneamente supposte. Le circostanze che attenuano o escludono la pena

    sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti. Le circostanze

    che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o

    ritenute inesistenti per errore determinato da colpa. Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o

    attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui. Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di

    esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la

    punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.

    33 Per chiarire, si pensi al caso in cui il cronista ritiene vero un fatto per avere effettivamente compiuto serie verifiche in

    merito, ma pur avendo diligentemente adempiuto il dovere di controllo della fonte della notizia, abbia una percezione

    erronea della realtà e racconti fatti effettivamente non rispondenti al vero. In questo caso il giornalista crede in buona

    fede di esercitare nei giusti limiti il proprio diritto di cronaca e, pertanto, risulterà non punibile.

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    Anche per la esimente dell’esercizio del diritto di cronaca è la giurisprudenza a fissare precisi

    canoni nel rispetto dei quali esso può considerarsi prevalente rispetto all’onore e alla reputazione

    altrui e in presenza dei quali la diffusione di notizie lesive dell’altrui sfera personale può farsi

    rientrare nella legittima espressione del diritto di manifestazione del pensiero.

    Più precisamente, vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca, secondo la Cassazione34 soltanto

    quando vengano rispettate le seguenti condizioni:

    a) la verità delle notizie (oggettiva o anche soltanto putativa35, purché frutto di un serio e diligente

    lavoro di ricerca);

    b) la continenza, la correttezza formale dell’esposizione, cioè il rispetto dei requisiti minimi di

    forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica, evitando termini esclusivamente

    insultanti. L’esposizione, cioè, deve essere corretta, in modo che siano evitate gratuite aggressioni

    all’altrui reputazione anche con riferimento alle modalità espressive e al tenore sintattico

    c) la cd. pertinenza36, la sussistenza, cioè, di un interesse pubblico all’informazione, alla

    conoscenza del fatto, definita anche come utilità sociale.

    È importante, in ogni caso, che l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena

    obiettività.

    Quale, allora, il principio elaborato dalla Corte di Cassazione? Quello secondo il quale il diritto di

    cronaca non esime di per sé dal rispetto dell’altrui reputazione e riservatezza, ma intanto giustifica

    intromissioni, pur lesive, nella sfera privata dei cittadini in quando esse possano contribuire alla

    formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività.

    Ebbene, con particolare riguardo requisito della verità, si tratta di definire un concetto complesso e i

    cui limiti difficilmente possono essere delineati in maniera precisa, tuttavia la giurisprudenza ha

    tentato di delinearne il contenuto in numerose pronunce37

    34 Cass. civ. Sez. III, 04-07-2006, n. 15270 (rv. 591455), in Mass. Giur. It., 2006 CED Cassazione, 2006 Nuova Giur.

    Civ., 2007, 7, 1

    35 La Corte di Cassazione sostiene, in particolare, che la verità putativa del fatto, distinta dalla verosimiglianza, ricorre

    quando il giornalista dimostri in giudizio l’involontarietà dell’errore, l’avvenuto controllo professionale della fonte e

    l’attendibilità della stessa, ritenendo non sufficiente il semplice affidamento in buona fede sulla fonte della notizia. In

    presenza di tali presupposti, il giornalista non è punito e la scriminante viene comunque valutata a suo favore, ai sensi

    dell’art. 59, comma IV, c.p.

    36 Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2004, n. 23366; Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 2001, n. 15999; Cass. civ., 18 ottobre

    1984, n. 5252.

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    Quanto alla verità delle notizie, non vi è dubbio che pur non potendosi richiedere al giornalista la

    “verità assoluta”38 egli abbia il preciso obbligo di verificare l’attendibilità della fonte della notizia39

    ma anche quello di accertare e rispettare la verità sostanziale dei fatti narrati, oggetto della notizia.

    Il giornalista è, quindi, tenuto ad una particolare diligenza e ad esaminare, controllare e verificare il

    contenuto del suo articolo o servizio, al fine di vincere ogni ragionevole dubbio. In questo modo

    può non incorrere nella condanna per diffamazione a mezzo stampa, anche se poi i fatti non si

    rivelino veri40. Ed infatti, ai fini dell’esonero da responsabilità del giornalista, vale anche cd. “verità

    putativa”, quella cioè che ricorre laddove la narrazione del fatto non sia conforme al vero al

    momento della pubblicazione ma è frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca. Nel settore della

    cronaca giudiziaria, ad esempio, la giurisprudenza ha affermato che essa deve essere accertata alla

    stregua di quanto conosciuto o conoscibile dal giornalista alla data di pubblicazione dell’articolo e

    non certo all’esito finale del relativo giudizio penale, avvenuto ad esempio anni dopo41. Tuttavia, in

    presenza di documenti ufficiali di una pubblica amministrazione o dell’autorità giudiziaria,

    documenti, quindi, della cui veridicità non può dubitarsi, l’attendibilità della fonte sussiste ed è

    sufficiente a scriminare il giornalista42.

    Altro delicato profilo relativo al requisito della verità, attiene ai fatti dichiarati da altri,

    oggettivamente offensivi e riportati dal giornalista nell’articolo.

    Compie il di diffamazione a mezzo stampa il giornalista che riporti esattamente virgolettate le

    dichiarazioni offensive di altri o può invocare la esimente del diritto di cronaca?

    Ebbene, la giurisprudenza43 ha statuito che la condotta del giornalista che, pubblicando il testo di

    un’intervista, vi riporti, anche se "alla lettera", dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto

    oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca,

    37 Per una precisa ed esaustiva dinamica delle più importanti pronunce sul tema, sapientemente commentata, si rinvia a

    V. Falcone, Diffamazione a mezzo stampa e diritto di cronaca nella giurisprudenza, 2008 in ww.diritto.it 38 In tal senso S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 49.

    39 Cass. pen., sez. un., 23 ottobre 1984, n. 8959, Non esistono, inoltre, “fonti informative privilegiate” ed è dovere del

    cronista esaminare, controllare e verificare i fatti oggetto della sua narrazione.

    40 Cassazione penale , sez. V, 11 marzo 2005, n. 15643 in D&G - Dir. e giust. 2005, 22.

    41 Cassazione civile , sez. III, 31 marzo 2006 , n. 7506 in Resp. civ. e prev. 2006, 11 1887.

    42 Cassazione civile , sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2271 in Giust. civ. Mass. 2005, 2.

    43 Cass. pen., sez. un., 30 maggio 2001, n. 37140, in CED Cassazione, 2001« Il cronista non può essere considerato

    responsabile delle dichiarazioni di contenuto ingiurioso o diffamatorio riportate fedelmente in un’intervista condotta in

    modo imparziale se, per la qualità dei soggetti coinvolti, la materia della discussione o per il più generale contesto,

    l’intervista rivesta notevoli profili d’interesse pubblico all’informazione».

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    in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare la veridicità delle

    circostanze e la continenza delle espressioni riferite.

    Tuttavia, la medesima condotta è da ritenere penalmente lecita, quando il fatto in sè dell’intervista,

    in relazione alla qualità dei soggetti coinvolti, alla materia in discussione e al più generale contesto

    in cui le dichiarazioni sono rese, presenti profili di interesse pubblico all’informazione tali da

    prevalere sulla posizione soggettiva del singolo e da giustificare l’esercizio del diritto di cronaca,

    l’individuazione dei cui presupposti è riservata alla valutazione del giudice di merito che, se sorretta

    da adeguata e logica motivazione sfugge al sindacato di legittimità.

    Emerge come, nell’interpretazione giurisprudenziale, quella che vale ad esimere da responsabilità il

    giornalista è la cd. “verità oggettiva della notizia” potendo essere intesa sotto un duplice significato:

    sia come verità del fatto oggetto della notizia, sia come verità della notizia in sé, indipendentemente

    dalla veridicità del suo contenuto44, in quanto rientra nel compito informativo della stampa riferire

    che una determinata notizia circola pubblicamente.

    Il fatto riferito può non essere affatto vero e ciò, tuttavia, non esclude che può essere ben vero e

    risaputo che lo si racconti, costituendo così, di per se stesso, un fatto così rilevante nella vita

    pubblica che la stampa verrebbe certamente meno al suo compito informativo se lo tacesse, anche

    se ovviamente ha il dovere, in questo caso, contestualmente alla sua comunicazione e non

    successivamente, in sede di giudizio, di mettere bene in evidenza che la verità asserita non si

    estende al contenuto del racconto, ma si limita a registrare il fatto storico, in sé considerato, che una

    determinata notizia circola pubblicamente nonché di riferirne anche le fonti di propalazione per le

    doverose, conseguenti assunzioni delle rispettive responsabilità.

    Il diritto di cronaca, infatti, presuppone la “fedeltà dell’informazione”, cioè l’esatta

    rappresentazione del fatto percepito dal cronista, il quale deve curare di rendere inequivoco al

    destinatario della comunicazione il tipo di percezione, se relativa al contenuto della notizia o alla

    notizia in sé come fatto storico, ed inoltre se diretta ovvero indiretta, derivandone in tale seconda

    ipotesi il debito riscontro di fatti, comportamenti e situazioni per attribuire attendibilità alla notizia

    così percepita e poi divulgata45.

    44 Cass. civ., 12/12/1988, n. 6737, in Dir. Informazione e Informatica, 1989

    45 Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2002, n. 11060 in Mass. Giur. It., 2002, Arch. Civ., 2003, (Nella specie la S.C. ha

    confermato la sentenza di merito, che aveva condannato il giornalista che non si era limitato a dare la notizia dei fatti

    rivelati da un pentito a carico di un magistrato, ma vi aveva aggiunto altre circostanze, oggettivamente false, aventi la

    capacità di accreditare presso il pubblico un'impressione di veridicità dei fatti oggetto delle rivelazioni del pentito).

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    Nell’intento di bilanciare il diritto di cronaca con la tutela della personalità, la Corte di Cassazione

    nella medesima sentenza in cui ha cristallizzato gli elementi in presenza dei quali il giornalista può

    invocare l’esimente del diritto di cronaca46, ha precisato che la verità dei fatti non è rispettata se si

    tratta di “mezza verità”, o verità incompleta che può essere equiparata alla notizia falsa47.

    Quanto all’altro requisito necessario per poter invocare il legittimo esercizio del diritto di cronaca,

    ovvero l’interesse pubblico che suscita un determinato fatto o la persona coinvolta

    nell’avvenimento riportato nell’articolo e che va anche sotto l’espressione utilità sociale o

    pertinenza, è stato affermato in giurisprudenza che il diritto di cronaca giustifica intromissioni nella

    sfera privata dei cittadini solo quando possano contribuire alla formazione di una pubblica opinione

    su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività. Più precisamente, «Un corretto esercizio del

    diritto di cronaca impone al giornalista di verificare la sussistenza di un interesse pubblico alla

    conoscenza di fatti dai quali potrebbe discendere una lesione dell’altrui reputazione, prestigio o

    decoro. Tale interesse può dunque ritenersi sussistente solo nel caso in cui la diffusione di notizie

    inerenti alle vicende private di persone impegnate nella vita politica o sociale consentano di

    conoscere elementi di valutazione della personalità o della moralità di chi deve godere della fiducia

    dei cittadini. Per contro, la mera curiosità del pubblico non consentirà una lecita diffusione di

    notizie sull’altrui vita privata»48.

    In tema di cronaca giudiziaria, ad esempio, l’interesse pubblico a conoscere una dichiarazione resa

    nel processo e raccolta dal giornalista, deriva dall’interesse che l’opinione pubblica nutre nei

    confronti di quella vicenda giudiziaria49. In tal senso, rispetto ad un procedimento penale

    46« L’esercizio del diritto di stampa (cioè la libertà di diffondere attraverso la stampa notizie e commenti), è legittimo,

    allorché concorrano le tre condizioni a) dell’utilità sociale dell’informazione; b) della verità (oggettiva o anche soltanto

    putativa, purché, in quest’ultimo caso, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti; c) della forma

    civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, che non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire

    ed essere improntata a serena obiettività, almeno da escludere ogni preconcetto intento denigratorio e, in ogni caso,

    rispettosa di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, sì da non essere

    mai consentita l’offesa triviale o irridente i più umani sentimenti».

    47 La giurisprudenza ha precisato la differenza tra verità putativa e la mezza verità o verità incompleta che deve esser

    del tutto equiparata alla notizia falsa, in quanto più pericolosa della esposizione di singoli fatti falsi per la più chiara

    assunzione di responsabilità che comporta, rispettivamente, riferire o sentire riferito a sé un fatto preciso falso, piuttosto

    che un fatto vero sì ma incompleto.

    48 Cassazione penale , sez. V, 09 ottobre 2007, n. 42067, in Diritto & Giustizia 2007

    49 Cassazione civile, sez. III, 6 marzo 2008 n. 6041 in www.legge-e-giustizia.it

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    Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

    vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

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    coinvolgente magistrati in vicende corruttive, la Cassazione ha riconosciuto l’interesse sociale alla

    diffusione della notizia, sul presupposto della rilevanza del tema della corretta amministrazione

    della giustizia e della stessa sua credibilità tra i consociati50.

    Sempre sulla configurabilità dell’interesse pubblico, altro arresto giurisprudenziale ha ritenuto di

    ravvisarlo nell’interesse al racconto anche quando non si tratti di interesse della generalità dei

    cittadini, ma della categoria di soggetti ai quali la pubblicazione di stampa si indirizza51.

    In ogni caso, come hanno precisato i giudici di legittimità, l’attitudine della notizia a soddisfare una

    oggettiva esigenza di informazione pubblica non va confusa, con il mero interesse che il pubblico,

    per pura curiosità può avere alla conoscenza di particolari attinenti alla sfera della vita privata di un

    determinato soggetto, specie quando questo non sia persona investita di cariche pubbliche o

    comunque dotata di rilievo pubblico52.

    Quanto, infine alla cd. continenza espressiva, terzo elemento del cd. “triangolo delle

    esimenti”essa, come si diceva, è integrata dalla correttezza formale del linguaggio e delle

    espressioni usate dal giornalista53.

    In dottrina54 sono state individuate diverse fattispecie cui ricondurre i diversi tipi di espressione che

    superano il limite della continenza e, quindi, le condotte che il giornalista non deve assumere se

    intende invocare l’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca.

    Innanzitutto il giornalista non deve compiere “insinuazioni” attraverso l’uso delle virgolette o

    ricorrendo al cd. “sottinteso sapiente”, tale da indurre a far leggere fra le righe una verità non detta

    del tutto, come quando si utilizzano espressioni vaghe o allusive che possono indurre il lettore a

    50 Cassazione penale, sez. V, 9 luglio 2004, n. 37435 in D&G - Dir. e giust. 2004, f. 36, 36

    51 Cassazione civile , sez. III, 18 ottobre 2005 , n. 20140 in Giust. civ. Mass. 2005, 7/8.

    52 Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse trovare giustificazione la diffusione di

    notizie e commenti ironici relativi ad una presunta relazione extraconiugale tra un uomo ed una donna, sua inquilina,

    nella cui abitazione egli era stato trovato morto (Cassazione penale, sez. V, 04 ottobre 2007, n. 46295, in CED Cass.

    pen. 2008, 238290).

    53 È pur vero tuttavia, come è stato opportunamente precisato in giurisprudenza, che la correttezza formale

    dell’esposizione non implica che la notizia debba essere riportata nella sua forma narrativa più elementare, dal momento

    che, soprattutto quando la divulgazione avviene per il tramite dei mass-media, deve considerarsi lecito che la notizia

    venga accompagnata da altre informazioni, sempre che non siano immaginarie, ma utili alla migliore comprensione

    della notizia medesima da parte dei lettori, in quanto solo in tal modo il diritto di cronaca trova una sua valida

    giustificazione Cassazione civile, sez. III, 18 aprile 2006, n. 8953 in Giust. civ. Mass. 2006, 4.

    54 S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 50.

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    travisare il vero senso del fatto narrato; né deve fare velate allusioni utilizzando frasi del tipo “non

    si può escludere che...” in assenza di alcun serio indizio. Ancora, per restare nel limite della

    continenza, il giornalista non deve compiere “accostamenti suggestionanti”, ad esempio accostando

    a notizie vere, notizie non contestualizzate tali da provocare una falsa percezione della realtà ovvero

    utilizzare toni sproporzionatamente scandalizzati o sdegnati, specie nei titoli55, ponendo eccessiva

    enfasi e drammatizzando alcuni particolari della notizia.

    La continenza espositiva tuttavia va rapportata alla oggettiva verità o meno dei fatti attribuiti alla

    persona offesa. E così, ad esempio, è lecito riferire o commentare una notizia con termini anche

    particolarmente severi ed aspri, quando questi siano comunque adeguati a rendere al lettore l’idea

    della gravità di un fatto realmente accaduto, specie nell’ipotesi in cui questo presenti profili di

    rilevante interesse pubblico56.

    Diversamente, anche se il fatto riferito è vero, il giornalista può essere condannato per diffamazione

    a mezzo stampa, se la sua esposizione avviene in modo unilaterale, con riferimento ad altre vicende

    collegate ad esso arbitrariamente e con una presentazione complessiva sproporzionata alla sua

    importanza, tanto da travalicare lo stesso scopo informativo57

    Solo se sussistono gli elementi di cui sopra (verità dei fatti, interesse pubblico prevalente,

    correttezza e continenza della forma espositiva) il diritto di cronaca può ritenersi correttamente

    esercitato ed il giornalista che offende la reputazione altrui non è punibile.

    È chiaro, tuttavia, che tali limiti devono necessariamente ampliarsi in ipotesi di esercizio del diritto

    di critica, tutelato anch’esso dall’art. 21 Cost. insieme a quello di satira. Attraverso la critica,

    infatti, si esprime una opinione e si esprimono evidentemente dei giudizi che naturalmente non

    possono essere obiettivi. Tuttavia, come è stato opportunamente ammonito in dottrina58, il favor

    riservato al diritto di critica non può equivalere ad assenza di regole né trascendere a totale

    discrezionalità per il giornalista.

    È pur vero infatti che, come il diritto di cronaca, anche quello di critica deve essere contemperato

    con i diritti costituzionalmente tutelati della persona e in particolare con l’interesse individuale alla

    55 Ai fini della valutazione della continenza, che onera il giornalista ad una presentazione misurata della notizia, la

    giurisprudenza dà autonomo rilievo al titolo di un articolo giornalistico rispetto al testo. Cassazione civile, sez. III, 23

    luglio 2003, n. 11455 in Giust. civ. Mass. 2003.

    56 Cassazione penale , sez. V, 20 aprile 2005, n. 19381 in Riv. Pen. 2005, 954.

    57 Cassazione civile , sez. III, 18 aprile 2006 , n. 8953 in Giust. civ. Mass. 2006, 4

    58 S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem,, pg. 51.

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    reputazione; la critica, quindi, non può risolversi in un attacco indiscriminato, seppur aspro, teso

    solo a screditare la vita privata e professionale altrui59.

    Come il diritto di cronaca e di critica, anche quello di satira, può valere ad escludere la

    responsabilità del giornalista pur in presenza di lesione della reputazione altrui, purchè, qualora

    abbia un vero e proprio contenuto informativo, siano rispettati i limiti già esaminati per i primi due.

    Recentemente la giurisprudenza ha precisato sul diritto di satira: «a differenza del diritto di cronaca,

    il diritto di satira quale modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, è sottratto al

    parametro della verità, in quanto esprime, mediante il paradosso e la metafora surreale, un giudizio

    ironico su un fatto, ma, appunto per questo, ne ricorre l’esercizio solo se il fatto è espresso in modo

    apertamente difforme dalla realtà, sicché possa apprezzarsene subito l’inverosimiglianza e il

    carattere iperbolico»60.

    59 S. Sica – V. Zeno Zencovich, ibidem, pg. 51.

    60 Cass. civ. Sez. III, 04/09/2012, n. 14822 (rv. 623667), in CED Cassazione, 2012. In applicazione del principio, la

    S.C. ha escluso la scriminante del legittimo esercizio dei diritti di cronaca e satira nella fattispecie relativa ad articoli di

    un quotidiano che, riferendo di una procedura di adozione del maggiorenne, la attribuivano alla ricerca di un titolo

    nobiliare da parte dell’adottando, uomo politico in vista, tacendo che il procedimento di adozione era stato abbandonato

    da mesi e citando elementi puntuali diretti a sostenere la verosimiglianza della notizia.

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    Bibliografia

    • Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte spec., Dei delitti contro la persona, Milano, 1999

    • D. Chindemi, Diffamazione a mezzo stampa (radio – televisione – internet), Giuffrè 2006

    • G. Battaglini, Capacità passive di diffamazione nelle collettività, in Riv.dir.sport.,1949

    • S. Sica – V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione,

    Cedam, 2012.

    • V. Falcone, Diffamazione a mezzo stampa e diritto di cronaca nella giurisprudenza, 2008

    in ww.diritto.it