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Università Telematica Pegaso Nozione di merce. Sfera territoriale

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente

vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore

(L. 22.04.1941/n. 633)

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Indice

1 LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI ----------------------------------------------------------------------- 3

2 NOZIONE DI MERCE ------------------------------------------------------------------------------------------------------- 12

BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17

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1 La libera circolazione delle merci

La libera circolazione delle merci è un elemento di successo del progetto europeo. Essa ha

contribuito alla realizzazione del mercato interno da cui oggi traggono beneficio i cittadini e le

imprese europee e che costituisce il cuore delle politiche dell’UE. Oggi il mercato interno facilita

l’acquisto e la vendita di prodotti in 27 Stati membri. Esso offre ai consumatori un’ampia scelta di

prodotti permettendo loro di fare acquisti individuando la miglior offerta disponibile. Al tempo

stesso, la libera circolazione delle merci rappresenta un vantaggio per le imprese.

La disciplina della libera circolazione delle merci si articola nel Trattato in tre principali e distinti

momenti, che rispettivamente investono:

a) l’unione doganale, dunque l’abolizione dei dazi e delle tasse di effetto equivalente ai dazi

doganali all’interno del mercato comune, nonché la fissazione di una tariffa doganale comune per

gli scambi con i Paesi terzi (artt. da 28 a 32 TFUE);

b) il divieto di imposizioni fiscali interne di portata discriminatoria per i prodotti importati (art.

110 TFUE);

c) l’abolizione delle restrizioni quantitative agli scambi fra gli Stati membri e delle misure di

effetto equivalente, nonché l’abolizione dei monopoli commerciali (artt. da 34 a 37 TFUE).

In via preliminare, occorre peraltro precisare il campo di applicazione dell’insieme delle

disposizioni che regolano la libera circolazione delle merci, quanto all’oggetto, alla sfera

territoriale, ai destinatari.

Il mercato unico europeo, creato nei decenni passati, aiuta le imprese dell’UE a realizzare una

solida piattaforma all’interno di un ambiente aperto, diversificato e competitivo. Tale solidità

interna promuove la crescita e la creazione di posti di lavoro all’interno dell’Unione europea e offre

alle imprese dell’UE le risorse di cui necessitano per ottenere risultati positivi su altri mercati

mondiali. Un buon funzionamento del mercato interno delle merci è quindi un elemento essenziale

per la prosperità attuale e futura dell’UE all’interno di un’economia globalizzata.

Oggi, le maggiori restrizioni alla libera circolazione delle merci sono state rimosse. Con

l’introduzione del mercato unico europeo nel 1993 sono state gettate le fondamenta, ma il

susseguirsi delle denunce da parte di cittadini e imprese alla Commissione dimostra che, nonostante

tutti gli sforzi, le barriere commerciali non sono state completamente rimosse. Esse danneggiano

soprattutto le piccole e medie imprese. Ciò spiega perché tali imprese preferiscano talora

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concentrare le loro attività in qualche singolo Stato membro piuttosto che spaziare sull’intero

mercato interno; è difficile infatti avere a che fare con diverse norme nazionali non ancora

armonizzate sui requisiti tecnici dei prodotti. Inoltre, l’accesso al mercato può essere complicato da

differenze dei regolamenti relativi alla vendita al dettaglio o ai prezzi, con cui le imprese di altri

Stati membri non hanno dimestichezza.

Intanto, nuovi prodotti innovativi e progressi tecnologici pongono nuove sfide. Un contesto

normativo nazionale che non tenga il passo con questi sviluppi finisce ben presto per ostacolare il

commercio transfrontaliero. Inoltre, la moderna tecnologia dell’informazione, come Internet,

facilita gli acquisti transfrontalieri e chiede un trasferimento semplice e veloce delle merci da uno

Stato membro all’altro. In alcuni settori perciò restrizioni agli scambi commerciali prima nascoste

stanno ora venendo alla luce.

La libera circolazione delle merci non costituisce tuttavia un valore assoluto. In determinate

circostanze taluni obiettivi politici prioritari possono necessitare di restrizioni o anche divieti che se,

da un lato, ostacolano il libero scambio, dall’altro, sono utili per altri scopi importanti, quali la

protezione dell’ambiente o della salute umana. A fronte di un contesto di importanti sviluppi a

livello globale, non è una sorpresa che negli ultimi anni si sia registrata una maggiore integrazione

degli aspetti ambientali nella libera circolazione delle merci, a sottolineare il fatto che nel tempo i

motivi di giustificazione possano essere visti in modo diverso. È dunque un compito costante,

nell’applicare il diritto dell’Unione europea, conciliare obiettivi differenti, a volte in concorrenza tra

loro, nonché accettare il ricorso a un approccio equilibrato e proporzionato.

La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri dell’Unione europea costituisce uno

strumento essenziale per realizzare il mercato interno previsto dall’art. 3 del Trattato sull’Unione

europea (TUE). I contenuti del mercato interno sono definiti dall’art. 26 del Trattato sul

funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

La nozione di “mercato interno” fondato sulla eliminazione fra gli Stati membri degli ostacoli

alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali fu introdotta nel Trattato

CEE dall’Atto unico europeo traendola da alcune dichiarazioni del Consiglio europeo1 e dal Libro

1 Il Consiglio europeo di Copenaghen del 3-4 dicembre 1982 incaricò il Consiglio “di decidere, entro il mese

di marzo 1983, sulle misure prioritarie proposte dalla Commissione per rafforzare il mercato interno”. Il

Consiglio europeo di Dublino del 3-4 dicembre 1984 convenne che il Consiglio intraprendesse “i passi necessari per completare il mercato interno”. Sulle conclusioni del Consiglio europeo di Copenaghen e su quelle del

Consiglio europeo di Dublino vedi, rispettivamente, Bollettino CE, 12-1982, p. 9 ss., ivi, 12-1984, p. 16 ss. A

proposito degli effetti di questo termine va ricordata una dichiarazione della Conferenza che adottò il testo

dell’Atto unico europeo. Nella dichiarazione relativa all’art. 8A, allegata all’atto finale, la Conferenza esprimeva

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bianco con cui nel 1985 la Commissione delle Comunità europee propose di realizzare il

“completamento del mercato interno” entro il 31 dicembre 1992.

La nozione di mercato interno fu aggiunta a quella di mercato comune già presente nella

versione originaria di numerose disposizioni del Trattato CEE, a partire dall’art. 2, ora abrogato dal

Trattato di Lisbona e sostituito, nella sostanza, dall’art. 3 TUE. Nessuna di tali disposizioni,

peraltro, conteneva una definizione di mercato comune. L’interpretazione sistematica delle norme

del Trattato suggeriva di distinguere i due concetti. Il mercato interno, come meglio definito

dell’art. 26, par. 2 (ex art. 14, par. 2, TCE) “comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale

è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali ...”. Il

mercato comune poteva allora sembrare una nozione più ampia, comprensiva sia delle libertà

pertinenti al mercato interno che delle politiche comuni nei settori considerati dal trattato.

La distinzione inizialmente assumeva rilevanza soprattutto perché il concetto di mercato interno

faceva riferimento ad un nucleo di norme specialmente valorizzate dall’Atto unico europeo per dare

nuovo impulso alla realizzazione delle quattro libertà fondamentali stabilite dal TCE, tra cui la

libera circolazione delle merci. In particolare il concetto di mercato interno implicò un impulso ad

assicurare l’effettività della libera circolazione nei settori considerati dal mercato interno. L’assenza

di una definizione precisa della nozione di mercato comune favorì tuttavia la tendenza a non

distinguerla da quella di mercato interno e a considerare le due nozioni sostanzialmente equivalenti.

La prassi delle istituzioni comunitarie confermò gradualmente questa interpretazione.

Specialmente la giurisprudenza della Corte di giustizia tese sempre più spesso ad utilizzare

indifferentemente le due nozioni2. La Corte sembrava collocarsi nella medesima prospettiva anche

quando ricostruiva i principi generali di diritto. Può essere indicativo che essa abbia definito la

libera circolazione delle merci uno dei principi fondamentali della Comunità europea3.

“la ferma volontà politica di prendere anteriormente al 1° gennaio 1993 le decisioni necessarie per la realizzazione del mercato interno ... La fissazione della data del 31 dicembre 1992 non determina effetti giuridici

automatici”. 2 Cfr. in proposito le seguenti sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee: 9 agosto 1994,

Germania c. Consiglio, causa C-359/92, Raccolta, I-3681, punti 2, 8, 36, 37 e 43; 5 ottobre 2000, Germania c.

Parlamento e Consiglio, causa C-376/98, ivi, I-8419, punto 82 ss.; 7 gennaio 2004, Gerolsteiner, causa C-100/02,

inedita, punto 16. 3 Sentenza 14 luglio 1981, Merck, causa 187-80, Raccolta, 2063, spec. punto 11; sentenza 30 aprile 1996, CIA

Security International, causa C-194/94, ivi, I-2201, spec. punto 40; sentenza 17 giugno 2003, Schmidberger, causa

C-112/00, ivi, I-5659, punto 51; sentenza 5 giugno 2007, Rosengren, causa C-170/04, ivi, I-4071, punto 31.

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Il Trattato di Lisbona inserisce nella Parte terza del TFUE (Politiche dell’Unione e azioni

interne) il Titolo I con la denominazione “Mercato interno” che sostituisce quella di “mercato

comune” come espressamente stabilito dal Trattato di Lisbona (art. 2, par. 2, lett. g).

La disciplina giuridica della libera circolazione delle merci è in larga parte contenuta nelle norme

del TFUE. Prima delle modifiche introdotte nel TCE dal Trattato di Amsterdam, numerose

disposizioni ponevano obblighi per realizzare la libera circolazione delle merci in modo graduale,

entro un periodo transitorio. In particolare esse stabilivano che venisse instaurata un’unione

doganale mediante l’abolizione progressiva dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente tra

gli Stati membri e mediante la creazione graduale di una tariffa doganale comune nei confronti

degli Stati terzi4. In modo altrettanto graduale era disposta la progressiva abolizione delle restrizioni

quantitative e delle misure equivalenti applicate alle importazioni o alle esportazioni tra Stati

membri.

Il Trattato di Amsterdam abrogò le disposizioni diventate obsolete per la scadenza dei termini

previsti, compiendo anche in tale settore un’opera di semplificazione secondo quanto disposto dal

suo art. 65. L’abrogazione delle disposizioni obsolete non pregiudicò gli effetti giuridici già prodotti

da tali disposizioni e dagli atti in vigore adottati in base ad esse6.

Il Trattato di Amsterdam confermò le norme che stabilivano i divieti di porre ostacoli alla libera

circolazione delle merci. Queste norme subirono le modifiche redazionali necessarie per adeguarle

alle esigenze della semplificazione e furono rinumerate per effetto di quanto disposto dall’art. 12

del Trattato di Amsterdam.

La disciplina vigente stabilita dal TFUE sulla libera circolazione delle merci risulta composta da

tre principali gruppi di norme il cui contenuto è rimasto pressoché inalterato a seguito dell’entrata in

vigore del Trattato di Lisbona: l’art. 28 (ex art. 23 TCE) e l’art. 29 (ex art. 24 TCE) definiscono

alcuni ambiti di applicazione della disciplina medesima; l’art. 30 (ex art. 25 TCE), l’art. 31 (ex art.

26 TCE) e l’art. 32 (ex art. 27 TCE) pongono le regole in tema di unione doganale la cui disciplina

rientra espressamente nella competenza esclusiva dell’Unione europea in virtù delle modificazioni

4 Queste disposizioni erano contenute negli artt. 13-17 TCE; 18-27 TCE; 33, 34, par. 2 e 35 TCE.

5 L’art. 6, I, del Trattato di Amsterdam ha abrogato, mediante il par. 13, gli artt. 13-17 TCE, mediante il par.

15, gli artt. 18-27 TCE, mediante il par. 20, gli artt. 31, 32 e 33 TCE, mediante il par. 21, l’art. 34, par. 2, TCE,

mediante il par. 22, l’art. 35 TCE. Sulla semplificazione e sulle sue finalità vedi Relazione esplicativa del Segretariato generale del Consiglio sulla semplificazione dei trattati comunitari, in GUCE, C 353 del 20

novembre 1997. 6 In tal senso dispone espressamente l’art. 10 del Trattato di Amsterdam. In proposito vedi anche la

dichiarazione n. 51 (Dichiarazione sull’art. 10 del Trattato di Amsterdam) adottata dalla Conferenza

intergovernativa che ha adottato il Trattato di Amsterdam ed allegata all’atto finale.

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introdotte dal Trattato di Lisbona (art. 3 TFUE); l’art. 34 (ex art. 28 TCE) e l’art. 35 (ex art. 29

TCE) dettano le norme inerenti al divieto di restrizioni quantitative tra Stati membri. Le regole

sull’unione doganale vanno considerate integrate dall’art. 110 (ex art. 90 TCE). Esso pone obblighi

complementari alle norme sull’unione doganale perché diretti a vietare talune imposizioni fiscali

interne applicate ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri. Anche gli atti normativi adottati

dall’Unione europea per armonizzare le legislazioni nazionali contribuiscono a sopprimere le

barriere al commercio intracomunitario create dalle divergenze delle legislazioni degli Stati

membri.

La Corte di giustizia ha affermato più volte che talune di queste disposizioni producono effetti

diretti negli ordinamenti nazionali. I criteri fondamentali per riconoscere efficacia diretta ad una

norma del Trattato sono stati inizialmente enunciati dalla giurisprudenza della Corte proprio con

riferimento alle disposizioni sulla libera circolazione delle merci. Nella sentenza pronunciata sul

caso Van Gend en Loos la Corte ha attribuito questi effetti giuridici all’art. 12 CEE (ora, art. 30

TFUE) che vietava agli Stati membri sia di introdurre nuovi dazi doganali o tasse equivalenti che di

aumentare quelli in vigore; la Corte ha dichiarato che “il disposto dell’art. 12 pone un divieto chiaro

e incondizionato ... il divieto è per sua natura perfettamente atto a produrre direttamente degli effetti

sui rapporti giuridici intercorrenti fra gli Stati membri e i loro amministrati”7.

Nella sentenza pronunciata sul caso Lütticke la Corte ha riconosciuto che il divieto sancito

dall’art. 95, primo comma, CEE (ora art. 110, primo comma, TFUE) di imporre tributi interni

contrari alla libera circolazione delle merci produce effetti diretti in quanto “costituente un obbligo

preciso e incondizionato”8.

Con altre sentenze la Corte ha affermato l’efficacia diretta dell’art. 30 CEE (ora art. 34 TFUE)

che vieta restrizioni quantitative all’importazione9 e dell’art. 37 CEE (ora art. 37 TFUE) che vieta

qualsiasi discriminazione fra cittadini degli Stati membri praticata a mezzo di monopoli nazionali

aventi carattere commerciale10

.

7 Sentenza 5 febbraio 1963, Van Gend en Loos, causa 26/62, Raccolta, 3, e più recentemente sentenza 23

aprile 2002, Nygard, causa 234/99, ivi, I-3657, punto 51. 8 Sentenza 16 giugno 1966, Lütticke, causa 57/65, Raccolta, 293, punto 1. La Corte di giustizia ha affermato

l’efficacia diretta anche dell’art. 95, par. 2, del Trattato CEE (sentenza 4 aprile 1968, Hauptzollamt München,

causa 27/67, ivi, 327, passim). 9 Sentenza 29 novembre 1978, Redmond, causa 83/78, Raccolta, 2347, spec. punto 66; sentenza 8 novembre

1979, Denkavit Futtermittel, causa 251/78, ivi, 3369, punto 3. 10

Sentenza 3 febbraio 1976, Manghera, causa 59/75, Raccolta, 91, punti 16-17; sentenza 13 marzo 1979,

Hansen, causa 91/78, ivi, 935, punti 15-17.

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Le disposizioni che producano effetti diretti prevalgono su ogni norma nazionale eventualmente

confliggente. Questa prevalenza implica la disapplicazione delle norme interne contrastanti con le

disposizioni dell’Unione11

.

La giurisprudenza della Corte di giustizia non si è limitata a precisare gli effetti delle principali

norme in tema di libera circolazione delle merci. Essa ha altresì contribuito alla ricostruzione delle

fonti nella materia. In particolare la Corte ha enunciato fondamentali principi del diritto dell’Unione

europea, come il principio del mutuo riconoscimento che è risultato decisivo per superare

importanti ostacoli al libero commercio tra gli Stati membri. Questa giurisprudenza è indicativa

della tendenza della Corte a svolgere una funzione di integrazione del diritto europeo come

funzione inerente all’esercizio della propria libertà di apprezzamento che assicura il rispetto del

diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato.

Le disposizioni del Trattato ed i pertinenti principi sono stati affiancati da un cospicuo numero di

atti normativi adottati dalle istituzioni. Per instaurare la tariffa doganale comune sono stati

approvati regolamenti da parte del Consiglio e della Commissione. Per dar seguito alle proposte

contenute nel Libro bianco del 1985 sul completamento del mercato interno sono state adottate

numerose direttive che hanno soppresso ostacoli fiscali, tecnici e fisici alla libera circolazione delle

merci tra Stati membri.

Gli adattamenti degli atti normativi rispetto ai nuovi Stati membri che hanno aderito all’Unione

europea dal 1° maggio 2004 sono regolati dalla Parte terza dell’Atto relativo alle condizioni di

adesione. In senso analogo dispone la Parte terza dell’Atto relativo alle condizioni di adesione di

Bulgaria e Romania in vigore dal 1° gennaio 2007.

L’ambito di applicazione oggettivo della disciplina considerata è molto ampio. L’art. 28 del

TFUE indica che tale ambito include “il complesso degli scambi di merci”. Risulta pertanto

giustificato che la Corte di giustizia abbia tratto la conclusione che per merci devono intendersi “i

prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali”12

.

11

16 Vanno richiamate principalmente le sentenze della Corte di giustizia 8 marzo 1978, Simmenthal, causa

106/77, Raccolta, 629 e 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo, causa 103/88. 12

A proposito della supremazia delle norme comunitarie sulle norme italiane secondo la Corte costituzionale

vedi le seguenti sentenze di questa Corte: 8 giugno 1984 n. 170, in Giurisprudenza costituzionale, 1984, I, p.

1098; 23 aprile 1985 n. 113, ivi, 1985, I, p. 694; 11 luglio 1989 n. 389, ivi, 1989, I, 1757; 18 aprile 1991 n. 168,

ivi, 1991, I, 1409. Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, causa 7/68, Raccolta, 617, spec. Punto 1.

Questa nozione di merci è stata confermata dalla Corte di giustizia con la sentenza 21 ottobre 1999, Jägerskiöld,

causa C-97/98, Raccolta, I-7319, punto 30.

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Dalla giurisprudenza della Corte si ricavano inoltre utili esemplificazioni: nell’ambito di

applicazione della normativa sulla libera circolazione delle merci vanno compresi beni di varia

natura quali gli oggetti di interesse storico e artistico13

, i rifiuti14

, l’energia elettrica15

, gli apparecchi

per giochi d’azzardo16

, ma non le monete aventi corso legale17

. Anche gli stupefacenti sono

considerati in linea generale sottoposti alla disciplina in esame18

. Per questi prodotti vengono

tuttavia in rilievo le regole poste dalle pertinenti convenzioni internazionali di cui siano parti gli

Stati membri19

. Le norme di queste convenzioni potrebbero porre obblighi incompatibili con quelli

stabiliti dalle norme dell’UE.

Rispetto agli obblighi incompatibili posti dalle convenzioni concluse anteriormente al 1° gennaio

1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla loro adesione, dovrebbe operare la subordinazione

disposta dall’art. 351 TFUE perché la loro osservanza tra gli Stati membri può essere pretesa dagli

Stati terzi che siano parti di dette convenzioni internazionali. L’osservanza degli obblighi

incompatibili eventualmente stabiliti da convenzioni successive potrebbe trovare giustificazione nel

diritto europeo sulla base delle norme del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che

ammettono deroghe alla libera circolazione delle merci.

La libera circolazione dei prodotti agricoli è generalmente assicurata dalle norme speciali sulla

politica agricola dell’UE che istituiscono organizzazioni comuni di mercato in determinati settori

della produzione. Ai prodotti agricoli eventualmente non contemplati da queste norme, sono

applicabili le regole generali sulla libera circolazione delle merci20

.

13

Sentenza 10 dicembre 1968, Commissione c. Italia, cit. ibidem. 14

Sentenza 9 luglio 1992, Commissione c. Belgio, causa C-2/90, Raccolta, I-4431, spec. Punto 23; sentenza 8

settembre 2009, Commissione c. Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea, C-411/06. 15

Sentenza 27 aprile 1994, Comune di Almelo, causa C-393/92, Raccolta, I-1477, spec. Punto 28. 16

Sentenza 21 settembre 1999, Läärä, causa C-124/97, Raccolta, I-6067, punto 20. 17

Sentenza 23 novembre 1978, causa 7/78, Thompson, Raccolta, 2247, spec. punto 26. La Corte di giustizia

sottolinea come le monete di lega d’argento aventi corso legale negli Stati membri vadano considerate come

mezzi di pagamento e pertanto non soggette alle norme sulla libera circolazione delle merci. 18

Sentenza 28 marzo 1995, Evans, causa C-324/93, Raccolta, I-563, punto 20. 19

L’Unione europea svolge un’azione significativa in materia di lotta contro la droga; in proposito vedi la

Comunicazione della Commissione, del 26 maggio 1999, al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato

economico e sociale e al Comitato delle Regioni relativa al piano d’azione dell’Unione europea per la lotta contro

la droga (2000-2004), COM(1999)239 def., nonché le successive Comunicazioni della Commissione 8 giugno

2001, COM(2001)301 def. e 4 novembre 2002, COM(2002)599 def. sull’attuazione del piano d’azione. 20

Vedi le sentenze 20 aprile 1978, Sarl, causa 80/77, Raccolta, 927, spec. punto 19; 29 marzo 1979,

Commissione c. Regno Unito, causa 231/78, ivi, 1447, spec. punto 14. Le regole sulla libera circolazione delle

merci sono applicabili anche ai prodotti contemplati da un’organizzazione comune di mercato ove le regole che

istituiscono tale organizzazione non dispongano espressamente la libera circolazione dei prodotti considerati; in

tal senso la sentenza 29 novembre 1978, Redmond, causa 83/78, cit., spec. punto 55.

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Una disciplina speciale è stabilita dal TFUE anche per le armi, le munizioni e il materiale bellico

che figurino in un apposito elenco approvato dal Consiglio: l’art. 346, par. 1, lett. b (ex art. 296, par.

1, lett. b, TCE) consente a ciascun Stato membro di porre limiti al loro commercio, qualora lo

ritenga necessario per la tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza21

. Norme speciali

erano stabilite anche dal Trattato CECA e sono stabilite dal Trattato Euratom per la circolazione dei

prodotti da essi contemplati22

.

Gli artt. 28 e 29 del TFUE definiscono l’ambito di applicazione dei divieti dei dazi doganali e

delle restrizioni quantitative per quel che riguarda l’origine delle merci. In tale ambito sono

compresi sia i prodotti originari degli Stati membri che quelli provenienti dagli Stati terzi. Questi

ultimi vi sono compresi purché si trovino in “libera pratica” in uno Stato membro, ovvero siano stati

importati da un paese terzo in osservanza delle pertinenti disposizioni.

Per quel che riguarda il profilo soggettivo, l’ambito di applicazione della disciplina considerata

comprende in primo luogo gli Stati membri. Questi vanno considerati destinatari degli obblighi

tenendo conto del principio dell’unitarietà dello Stato come soggetto di diritto internazionale. Di

conseguenza le norme sulla libera circolazione delle merci sono applicabili con riferimento alle

misure adottate da tutte le autorità degli Stati membri, senza distinzione, per esempio, tra autorità

del potere centrale e autorità locali. Le misure adottate da amministrazioni o enti locali

risulterebbero imputate al rispettivo Stato membro.

Gli effetti diretti eventualmente prodotti negli ordinamenti nazionali da talune norme stabilite dal

Trattato non potrebbero attribuire ai singoli beneficiari di tali effetti la qualità di destinatari di

quelle norme. Esse configurano obblighi con riferimento agli Stati membri.

Numerose disposizioni del TCE che avevano per destinatarie le istituzioni sono state abrogate

dal Trattato di Amsterdam perché collegate a termini già scaduti. Tuttavia gli obblighi posti in

primo luogo a carico degli Stati membri per quel che riguarda l’adozione di provvedimenti

nazionali impongono implicitamente limiti anche all’attività delle istituzioni.

21

L’elenco delle armi, munizioni e materiale bellico fu adottato con decisione del Consiglio 225/58 del 15

aprile 1958. In proposito cfr. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino, 1998, p. 273 ss. Vedi

anche la direttiva 2008/51/CE del 21 maggio 2008 relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione delle

armi. La direttiva dispone misure di accompagnamento del mercato interno. 22

Secondo quanto era stabilito dall’art. 305 TCE, ora abrogato dal Trattato di Lisbona, le disposizioni del TCE

non derogavano a quanto stabilito dai trattati istitutivi della CECA e dell’Euratom. Il Trattato istitutivo della

CECA del 18 aprile 1951, in vigore dal 23 luglio 1952, era stato stipulato per la durata di cinquanta anni. Pertanto

esso non è più in vigore per la scadenza avvenuta il 23 luglio 2002.

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L’ambito di applicazione territoriale delle norme sulla libera circolazione delle merci è definito

dall’art. 52 TUE e precisato dall’art. 355 TFUE. L’art. 52 stabilisce che i Trattati si applicano a tutti

gli Stati membri. L’art. 355 dispone l’applicabilità dei Trattati ad altri territori da esso

specificatamente indicati, tra cui la Guadalupa, la Martinica, le Azzorre e le Canarie.

Non vi è dubbio che al centro del sistema deve essere più in particolare collocato il mercato

comune delle merci, non soltanto posto in primo piano tra le politiche dell’Unione, subito dopo i

principi e la cittadinanza, ma da subito riconosciuto espressamente esso stesso come una delle

norme fondamentali dell’ordinamento. Non è stato un caso, pertanto, che il processo di

liberalizzazione, che era previsto si concludesse alla scadenza della fase transitoria del 31 dicembre

1969, è stato effettivamente e compiutamente realizzato già a partire dal giugno del 1968 dai sei

Paesi allora membri (dal 1977 per Danimarca, Irlanda e Regno Unito, dal 1985 per la Grecia, dal

1993 per Spagna e Portogallo).

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2 Nozione di merce

La nozione di merce rilevante ai fini della disciplina dell’Unione che qui interessa è molto

ampia. Essa comprende tutti i prodotti valutabili in denaro e per ciò stesso idonei ad essere l’oggetto

di una transazione commerciale. Tale definizione è stata data dalla Corte in un caso alquanto

significativo, in cui si trattava di stabilire se rientrassero nella nozione di merce gli oggetti di

interesse artistico, storico, archeologico o etnologico, che si assumeva non essere assimilabili a beni

di scambio e dunque sottratti alla disciplina dell’Unione.

Si è invece affermato che tali oggetti, indipendentemente dalle caratteristiche che li distinguono

dagli altri beni commerciabili, hanno in comune con questi la caratteristica di essere valutabili in

denaro e quindi di poter costituire l’oggetto di transazioni commerciali23

. In successive occasioni, il

regime della libera circolazione delle merci è stato dichiarato applicabile ai libri ed alle

videocassette24

.

Sono poi state comprese nella nozione rilevante di merce, ad esempio, le monete che non

abbiano più corso legale, mentre costituiscono mezzi di pagamento le monete liberamente circolanti

in uno Stato membro, anche se prodotte in uno Stato terzo. Del pari vanno compresi tra le merci i

prodotti che incorporano opere dell’ingegno o artistiche, come i dischi 25

e le videocassette26

; i

prodotti che rivestano rilievo particolare per l’economia di uno Stato membro, come il petrolio27

e

l’energia elettrica28

; infine gli stupefacenti29

.

23

Commissione c. Italia, 7/68, sent. 10 dicembre 1968, Racc. p. 561, punto 2. 24

Leclerc (libri), 229/83, sent. 10 gennaio 1985, Racc. p. 1; Cinéthèque, 60/84, sent. 11 luglio 1985, Racc. p.

2605. 25

Gema, 55 e 57/80, sent. 20 gennaio 1981, Racc. p. 147, punto 8: «I supporti del suono, per quanto

incorporino opere musicali tutelate, sono prodotti ai quali si applica il regime della libera circolazione delle merci

contemplato dal trattato». Va appena precisato che, se i supporti del suono o delle immagini costituiscono «merci»

ai sensi delle conferenti norme del Trattato, la trasmissione di messaggi radiofonici o televisivi, così come la

diffusione e la rappresentazione pubblica di opere musicali o cinematografiche o simili costituisce una prestazione

di servizi e dunque è compresa nella disciplina di cui agli artt. 49 ss. del Trattato. 26

Sacchi, 155/73, sent. 30 aprile 1974, Racc. p. 409, punti 6-7. 27

Regina c. Thompson, 7/78, sent. 23 novembre 1978, Racc. p. 2247. 28

V. Costa c. Enel 6/64, sent. 15 luglio 1964, Racc. p. 1127; Comune di Almelo, C-393/92, sent. 27 aprile

1994, Racc. p. I-1477, punti 27-29. È invece compreso nella disciplina dei servizi l’invio da un Paese membro

all’altro di materiale pubblicitario e moduli di ordinazione relativi ad una lotteria: Schindler, C-275/92, sent. 24

marzo 1994, Racc. p. I-1039. Tali attività, infatti, sono state considerate «modalità concrete di organizzazione o di

funzionamento di una lotteria e non possono, alla luce del trattato, essere considerate diversamente dall’attività di

lotteria cui sono collegate. L’importazione e la diffusione di oggetti non sono fine a se stesse ma unicamente

destinate a consentire la partecipazione alla lotteria degli abitanti degli Stati membri in cui detti oggetti sono

importati e diffusi» (punto 22). «Le attività di lotteria non sono pertanto attività relative a «merci» rientranti, in

quanto tali, nell’art. 30 del trattato» (punto 24).

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Un’ipotesi particolare, ma di grande rilievo pratico, è quella dei rifiuti, che si è dubitato

rientrassero nella nozione di merce, almeno quando non riciclabili. La Corte ha al riguardo rilevato,

invero con parsimonia di motivazione, che tutti gli oggetti trasportati al di là di una frontiera per dar

luogo a transazioni commerciali, dunque tra essi anche i rifiuti, sono sottoposti al regime della

libera circolazione delle merci, quale che sia la natura della transazione; e che inoltre non si può

operare una distinzione tra rifiuti riciclabili e non riciclabili, sia perché sarebbe di difficile

applicazione, sia perché la natura riciclabile o meno dei rifiuti dipende da fattori del tutto variabili e

principalmente dal costo delle relative operazioni30

.

Viceversa, i prodotti che riguardano la sicurezza in senso stretto (armi, munizioni e materiale

bellico), inseriti in uno specifico elenco predisposto dal Consiglio, soggiacciono alla speciale

previsione dell’art. 346 TFUE e sono pertanto fuori dalla sfera di applicazione materiale delle

norme sulla libera circolazione delle merci.

I prodotti agricoli, compresi i prodotti della pesca, rientrano in via generale nella disciplina del

mercato interno (art. 38 TFUE), salvo quando siano oggetto del regime specifico regolato dalle

disposizioni sulla politica agricola dell’Unione. In concreto, i prodotti agricoli rientrano nel regime

dei divieti di restrizioni quantitative quando non attengano ad un’organizzazione comune di

mercato31

. Ad un particolare regime sono sottoposte anche le sostanze radioattive, i medicinali ad

uso umano e veterinario.

Gli articoli 34 e 35 TFUE riguardano tutti i tipi di importazione ed esportazione di merci e

prodotti. La serie di merci interessate è ampia tanto quanto la serie di merci esistenti, a condizione

che abbiamo un valore economico: «per merci, ai sensi del trattato, si devono intendere i prodotti

pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali».

Nelle sue sentenze la Corte di giustizia ha chiarito in diverse occasioni la corretta denominazione

di un particolare prodotto. Ad esempio, si escludono dalla nozione di merce i messaggi televisivi.

L’ultimo esempio sottolinea il fatto che può essere giuridicamente rilevante operare una distinzione

tra merci e servizi. Se il pesce rientra sicuramente tra le merci, il diritto di pesca e l’autorizzazione

29

Evans Medical, C-324/93, sent. 28 marzo 1995, Racc. p. I-563, punto 20. 30

Commissione c. Belgio, C-2/90, sent. 9 luglio 1992, Racc. p. I-4431, punti 26-27. 31

Gema, 55 e 57/80, sent. 20 gennaio 1981, Racc. p. 147, punto 8: «I supporti del suono, per quanto

incorporino opere musicali tutelate, sono prodotti ai quali si applica il regime della libera circolazione delle merci

contemplato dal trattato». Va appena precisato che, se i supporti del suono o delle immagini costituiscono «merci»

ai sensi delle conferenti norme del Trattato, la trasmissione di messaggi radiofonici o televisivi, così come la

diffusione e la rappresentazione pubblica di opere musicali o cinematografiche o simili costituisce una prestazione

di servizi e dunque è compresa nella disciplina di cui agli artt. 49 ss. del Trattato. Sacchi, 155/73, sent. 30 aprile

1974, Racc. p. 409, punti 6-7. Campus Oil, 72/83, sent. 10 luglio 1984, Racc. p. 2727.

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alla pesca al lancio non rientrano nel principio della libera circolazione delle merci, ma rientrano in

«un’attività di servizi» ai sensi delle disposizioni del trattato relative alla libera prestazione dei

servizi.

La sfera di applicazione territoriale della disciplina del mercato comune delle merci coincide in

via di principio con quella dell’intero Trattato e dunque con il territorio degli Stati membri, ivi

comprese le zone di mare e gli spazi aerei che soggiacciono alla loro giurisdizione. Vanno

considerate pertanto le già ricordate eccezioni e «specificità» che sono prefigurate all’art. 349

TFUE, in particolare per alcune zone insulari che interessano la Francia (i dipartimenti

d’oltremare), la Spagna (le Canarie) e il Portogallo (Madeira e le Azzorre). Rispetto a tali territori, il

Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo adotta

misure specifiche volte, in particolare, a stabilire le condizioni di applicazione dei Trattati a tali

regioni, ivi comprese politiche comuni.

Tali misure sono adottate dal Consiglio «tenendo conto delle caratteristiche e dei vincoli

specifici delle regioni ultraperiferiche senza compromettere l’integrità e la coerenza

dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ivi compreso il mercato interno e le politiche comuni» (art.

349, co. 3). Inoltre, i Paesi e territori d’oltremare (PTOM) soggiacciono ad un regime particolare,

simile all’associazione, disciplinato da una decisione del Consiglio32

.

Il campo di applicazione territoriale delle disposizioni del Trattato relative alla circolazione delle

merci, poi, va distinto dal territorio doganale dell’Unione, che è invece il territorio entro il quale

32

Decisione 91/482 del 25 luglio 1991, in GUCE L 263 del 19 settembre 1991, p. 1. Per i limiti

all’applicazione della disciplina dell’Unione sulla libera circolazione dei lavoratori, dei servizi e della libertà di

stabilimento, v. Kaefer e Procacci, C-100 e C-101/89, sent. 12 dicembre 1990, Racc. p. I-4647, punti 12-20;

Leplat, C-260/90, sent. 12 febbraio 1990, Racc. p. I-643, punto 10; Van der Kooy, C-181/97, sent. 28 gennaio

1999, Racc. p. I-483. Una dichiarazione allegata all’atto finale del Trattato di Maastricht in relazione ai possibili

conflitti di interesse tra l’Unione europea ed i Paesi e territori d’oltremare, attribuisce degli oneri d’informazione a

carico degli Stati membri interessati.

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trova applicazione la normativa doganale dell’Unione33

. I due ambiti territoriali hanno infatti una

diversa rilevanza giuridica e comunque non coincidono perfettamente34

.

Le norme che complessivamente disciplinano il mercato comune sono in generale dirette agli

Stati membri, nel senso preciso che impongono a questi ultimi una serie di obblighi che ruotano

attorno alla liberalizzazione degli scambi in merci, persone, servizi e capitali.

Beninteso, le misure interessate da tali norme sono quelle adottate dagli Stati membri, senza che

si possa distinguere tra autorità del potere centrale da altre autorità, locali o altro35

. Non v’è dubbio,

inoltre, che le stesse istituzioni dell’Unione devono osservare i medesimi obblighi36

.

Quanto ai singoli, intanto essi incontestabilmente beneficiano dell’effetto diretto che

accompagna la gran parte delle norme relative alla liberalizzazione degli scambi; all’occorrenza,

dunque, sono titolari di diritti che possono far valere direttamente dinanzi ai giudici e non importa

se non siano essi, ma gli Stati, i destinatari della norma invocata. C’è da chiedersi, piuttosto, se essi

siano compresi tra i destinatari anche dei divieti relativi al regime di libera circolazione delle merci.

La giurisprudenza della Corte sul punto, pur con qualche incertezza37

, appare chiaramente orientata

33

Oggi la normativa doganale è raccolta in un unico corpus, il «codice doganale comunitario», costituito dal

regolamento 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, in GUCE L 302 del 19 ottobre 1992, modificato con

regolamento CE n. 955 del 1999, del Parlamento e del Consiglio, del 13 aprile 1999 modificato dal regolamento n.

648/05 del Parlamento e del Consiglio, del 13 aprile 205, in GUUE L 117, del 4 maggio 2005; in GUCE L 119 del

7 maggio 1999; ad esso va aggiunto il regolamento della Commissione 2454/93 del 2 luglio 1993 della

Commissione, che ne fissa le disposizioni di applicazione, in GUCE L 253 dell’11 ottobre 1993, modificato con

regolamento CE n. 1662 del 28 luglio 1999, in GUCE del 29 luglio 1999. 34

Basti pensare, ad es. per quanto riguarda l’Italia, che alla stregua del codice doganale comunitario fanno

parte del territorio doganale il territorio della Repubblica italiana ad eccezione dei Comuni di Livigno e di

Campione d’Italia e delle acque nazionali del Lago di Lugano. 35

Aragonesa Publicidad, C-1 e 176/90, sent. 25 luglio 1991, Racc. p. I-4151, punto 8. 36

V. ad esempio, in tema di divieti di misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, Denkavit

Nederland, 15/83, sent. 17 maggio 1984, Racc. p. 2171, punto 15; Rewe-Zentral, 37/83, sent. 29 febbraio 1984,

Racc. p. 1229, punto 18. V. anche le nostre conclusioni in Lancry e a., C-363 e C-407-411/93, sent. 9 agosto 1994,

Racc. p. I-3978. 37

V. Dansk Supermarked, 58/80, sent. 22 gennaio 1981, Racc. p. 181, punto 17, ove si afferma che «... in

nessun caso convenzioni fra i singoli possono derogare alle disposizioni imperative del Trattato relative alla

libera circolazione delle merci. Ne risulta che una convenzione vertente sul divieto d’importare, in uno Stato membro, una merce lecitamente distribuita in un altro Stato membro non può essere invocata o esser presa in

considerazione per qualificare come uso commerciale scorretto o sleale la messa in vendita di detta merce».

Fattispecie singolare è quella valutata dalla Corte in Dubois c. Garenor, C-16/94, sent. 11 agosto 1995, Racc. p. I-2421. Si trattava in particolare di una «tassa di passaggio», riscossa a fronte di spese per un servizio

normalmente pubblico e altrettanto normalmente espletato da uffici doganali e veterinari, ma nella specie espletato da un’impresa privata, che riscuoteva anche la tassa. La Corte, rilevato che in base agli artt. 23 e 25

del Trattato agli Stati membri è vietato far pagare agli operatori gli oneri dei controlli e delle formalità collegati

al passaggio delle frontiere, ne fa conseguire, con motivazione almeno opinabile, l’irrilevanza della natura dell’atto diciamo pure impositivo: «L’onere pecuniario, tanto se colpisce l’operatore in forza di un atto

unilaterale della pubblica autorità quanto se lo fa, come nella fattispecie, attraverso una serie di convenzioni tra

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nel senso che il comportamento dei singoli, ad esempio un contratto di distribuzione commerciale o

un accordo tra imprese, possono e devono essere valutati alla luce delle regole di concorrenza e che

invece le norme sulla libera circolazione delle merci si riferiscono esclusivamente alle normative ed

alle pratiche amministrative degli Stati membri e delle istituzioni dell’Unione.

privati, deriva sempre, direttamente o indirettamente, dal fatto che lo Stato membro interessato è venuto meno

agli obblighi finanziari che gli incombono ai sensi degli artt. 9 e 12 del Trattato»: punto 20 della sentenza citata).

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