Il trattamento farmacologico della schizofrenia, delle comorbidità...

56
CAPITOLO 7 161 Il trattamento farmacologico della schizofrenia, delle comorbidità e delle forme resistenti Casi clinici Giulia è una ragazza di 30 anni che da circa 6 mesi si è trasferita in un’altra città dove lavora come architetto. In anamnesi, emerge un episodio psicotico dalla diagnosi poco chiara, avvenuto circa 3 anni fa, trattato con successo con aripiprazolo. A causa dello stress dovuto al trasloco e al nuovo ambiente lavorativo cominciano a insorgere i primi sintomi: diventa sospettosa e crede che il nuovo datore di lavoro la voglia licenziare e che parli sempre male di lei. Il quadro si aggrava e viene ricoverata presso il centro di salute mentale, dove viene impostata una terapia con olanzapina. I sintomi recedono e dopo circa 4 settimane Giulia può tornare alla sua vita. Tuttavia, dopo 3 mesi di trattamento è aumentata di peso di circa 8 kg e non riesce a dimagrire; decide quindi di diminuire il dosaggio di olanzapina e di interrompere la terapia, fino a quando non deve essere di nuovo ricoverata d’urgenza. Questa volta la degenza è più lunga e il recupero più lento. Il datore di lavoro non le rinnova il contratto e Giulia è costretta a tornare presso la sua città di origine perché non può più mantenersi da sola. Marco ha 17 anni e frequenta il liceo. Da circa 2 anni fa uso moderato ma regolare di cannabis e ha uno zio con diagnosi di disturbo schizoaffettivo. Da circa un anno i genitori riferiscono un progressivo cambiamento del carattere del ragazzo, che passa sempre più tempo da solo chiuso in camera, appare cupo e taciturno, a volte molto ansioso, senza alcun apparente motivo. Gli insegnanti riportano un netto deteriora- mento del rendimento scolastico e del funzionamento sociale. In seguito a un episodio

Transcript of Il trattamento farmacologico della schizofrenia, delle comorbidità...

Capitolo 7

161

Il trattamento farmacologico della schizofrenia, delle comorbidità e delle forme resistenti

Casi clinici

Giulia è una ragazza di 30 anni che da circa 6 mesi si è trasferita in un’altra città dove lavora come architetto. In anamnesi, emerge un episodio psicotico dalla diagnosi poco chiara, avvenuto circa 3 anni fa, trattato con successo con aripiprazolo. A causa dello stress dovuto al trasloco e al nuovo ambiente lavorativo cominciano a insorgere i primi sintomi: diventa sospettosa e crede che il nuovo datore di lavoro la voglia licenziare e che parli sempre male di lei. Il quadro si aggrava e viene ricoverata presso il centro di salute mentale, dove viene impostata una terapia con olanzapina. I sintomi recedono e dopo circa 4 settimane Giulia può tornare alla sua vita. Tuttavia, dopo 3 mesi di trattamento è aumentata di peso di circa 8 kg e non riesce a dimagrire; decide quindi di diminuire il dosaggio di olanzapina e di interrompere la terapia, fino a quando non deve essere di nuovo ricoverata d’urgenza. Questa volta la degenza è più lunga e il recupero più lento. Il datore di lavoro non le rinnova il contratto e Giulia è costretta a tornare presso la sua città di origine perché non può più mantenersi da sola.

Marco ha 17 anni e frequenta il liceo. Da circa 2 anni fa uso moderato ma regolare di cannabis e ha uno zio con diagnosi di disturbo schizoaffettivo. Da circa un anno i genitori riferiscono un progressivo cambiamento del carattere del ragazzo, che passa sempre più tempo da solo chiuso in camera, appare cupo e taciturno, a volte molto ansioso, senza alcun apparente motivo. Gli insegnanti riportano un netto deteriora-mento del rendimento scolastico e del funzionamento sociale. In seguito a un episodio

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 161 16/03/15 11:49

162 Capitolo 7

di ansia acuta e agitazione psicomotoria i genitori decidono di contattare il medico di famiglia, che non ritiene necessario un ulteriore monitoraggio e prescrive benzodiaze-pine al bisogno.Nei mesi successivi il quadro peggiora progressivamente, il ritiro sociale di Marco di-venta completo e compaiono episodi di labilità dell’umore e sospettosità. Il curante decide di prescrivere al ragazzo una visita specialistica, ma i genitori ritengono che la situazione sia da attribuire agli stress scolastici e rinviano la valutazione. Dopo circa un mese, si assiste alla comparsa di allucinazioni uditive e sintomi psicotici franchi e Marco viene ricoverato d’urgenza presso i servizi psichiatrici di zona.

Le attuali linee guida, incluse quelle dell’APA (APA, 2010), propongono per la cura dei pazienti con schizofrenia tre maggiori pilastri della terapia:

1. la terapia farmacologica;2. gli interventi psicosociali;3. la terapia metabolica.

Un recente studio (Cullen et al., 2013) ha mostrato come il trattamento farmacologico sia associato a un incremento dell’aspettativa di vita dei pazienti con schizofrenia. Siamo consapevoli degli effetti metabolici e del fatto che alcuni trattamenti possono incremen-tare i meccanismi apoptotici a livello neuronale. È quindi particolarmente importante il dato di questo studio che fa vedere come migliori non solo la qualità ma proprio l’aspet-tativa di vita. Per quanto riguarda gli interventi psicosociali, si rimanda alla trattazione specifica nei corrispondenti capitoli di questo volume.In questa sede, ci sembra necessaria una breve premessa sulla terapia metabolica. Oggi si considerano gli aspetti metabolici e tutte le patologie correlate (diabete, disturbi cardio-vascolari ecc.) perché l’epidemiologia ha mostrato come:• questo sia uno dei maggiori effetti negativi dei trattamenti nei nostri pazienti;• ci siano, pertanto, delle linee guida sulla prevenzione della sindrome metabolica con

esami e misurazioni da ripetere ogni 3 mesi (profilo lipidico, misurazione circonfe-renza vita ecc.);

• l’esercizio fisico aerobico rappresenti una concreta risorsa per il miglioramento del funzionamento cognitivo, poiché si associa a un incremento volumetrico cerebrale di strutture quali l’ippocampo e mostra una specificità per la schizofrenia rispetto ad altri disturbi psichiatrici (Pajonk et al., 2010; Oertel-Knöchel et al., 2014) (Box 7.1).

Sono trascorsi ormai oltre 60 anni dalla sintesi del primo farmaco antipsicotico, la clor-promazina, nel 1951. La sua sintesi è avvenuta in epoca precedente alla scoperta dei meccanismi di funzionamento del sistema dopaminergico, tuttavia la clorpromazina si è dimostrata fin da subito particolarmente efficace, più di qualsiasi altro farmaco fino ad allora disponibile, e pertanto venne impiegata prima negli stati di agitazione e succes-sivamente nella patologia schizofrenica (Ban, 2007). Oggi conosciamo molto più della neurobiologia di quanto i farmaci ci permettono di creare, motivo per cui assistiamo a un radicale cambiamento nello sviluppo delle nuove terapie farmacologiche. Da una

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO NELLA PATOLOGIA SCHIZOFRENICA

BOX 7.1

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 162 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 163

terapia strettamente sintomo-specifica si è giunti a una terapia fase-specifica (per esempio, la supplementazione con acidi grassi polinsaturi nella fase prodromica), con obiettivi diversi, quali la riduzione o il ritardo nell’espressione del disturbo o delle sue conseguenze, oppure l’intervento sugli aspetti neurofunzionali o su altre aree specifiche. Date queste premesse, ciò che diviene evidente è il cambiamento nella strategia di ricerca dei nuovi farmaci: in questo capitolo poniamo l’accento non tanto sull’utilizzo off-label di alcuni farmaci, quanto più sulle modalità attraverso le quali si è giunti a proporre l’utilizzo di quei farmaci in un disturbo completamente diverso da quello per cui erano stati sintetizzati. Queste nuove strategie di ricerca farmacologica atte a fornire un trat-tamento sempre più specifico e individualizzato sembrano rappresentare un approccio promettente nell’ambito della psicofarmacologia.

EFFETTI DELL’ESERCIZIO FISICO NELLA PATOLOGIA SCHIZOFRENICA

BOX 7.1

• Rispetto alla baseline, il volume ippocampale è incrementato, a seguito dell’esercizio fisico aerobico, del 12% fra i pazienti e del 16% nei soggetti sani, rispetto a un decremento dell’1% nei soggetti che hanno fatto esercizio fisico.

• I cambiamenti nel volume ippocampale riscontrati nel gruppo di soggetti che ha fatto esercizio erano significativamente correlati (r = 0,71 e P = 0,003) con una miglior prestazione fisica, misurata con il cambiamento del consumo massimo di ossigeno.

• Nei pazienti che hanno fatto esercizio fisico, il cambiamento di volume ippocampale era associato a un incremento del 35% nel rapporto N-acetilaspartato/creatina, risultato significativo con analisi post-hoc (P = 0,04). Questi cambiamenti non sono stati riscontrati nei controlli.

• Nei pazienti, i miglioramenti nella memoria a breve termine erano correlati (r = 0,51 e P < 0,05) con i cambiamenti nel volume ippocampale.

(Pajonk et al., 2010)

• Gli effetti dell’esercizio fisico aerobico sono stati comparati in due gruppi di soggetti con disturbo depressivo maggiore (MDD) e schizofrenia (SZ).

• I risultati mostrano un incremento della performance cognitiva nei domini dell’apprendimento visivo, la memoria di lavoro e la velocità di processazione, una diminuzione dei livelli di ansia e un incremento della qualità di vita soggettivamente percepita in tutto il gruppo di pazienti (sia MDD sia SZ) rispetto ai controlli.

• Gli effetti cognitivi tuttavia sono risultati maggiori per i soggetti SZ rispetto ai soggetti MDD, i quali invece mostravano effetti maggiori nei valori indicanti la psicopatologia.

(Oertel-Knöchel et al., 2014)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 163 05/03/15 10:51

164 Capitolo 7

Il meccanismo d’azione dei farmaci antipsicotici: dalla clorpromazina all’aripiprazoloIl meccanismo di azione dei cosiddetti antipsicotici di prima generazione (vedi Tabella 7.1 per una lista dei composti) nel controllo dei sintomi psicotici è relativamente semplice e si basa sul blocco dei recettori della dopamina D2 nella via mesolimbica. Tuttavia, poiché questi recettori sono presenti non solo all’interno di tale circuito, ma anche in quasi tutte le restanti aree raggiunte dalle vie dopaminergiche, il blocco unilaterale e non modulato di questo tipo di composti porta all’insorgenza di un elevato tasso di effetti collaterali, i più importanti dei quali a livello del sistema di gratificazione (reward) e del sistema motorio. I sistemi dopaminergici mesolimbico e mesocorticale, che mettono in comunicazione strutture come l’area tegmentale ventrale, il nucleus accumbens, la corteccia prefrontale (PFC) e del cingolo sono ritenute essere la base neurobiologica del sistema motivazionale e di rinforzo e mediano la risposta dell’individuo a un’ampia gamma di stimoli. Il rilascio di dopamina all’interno di queste strutture porta non solo a esperire tali stimoli come piacevoli, ma anche, grazie a modificazioni della plasticità sinaptica, a indurre importanti modificazioni nei processi di apprendimento e memoria legati alla presenza di incentivi comportamentali. L’interferenza delle molecole dopamina-antagonisti a questo livello, in particolare quelle che causano un blocco massivo e non facilmente regolabile del rila-scio di dopamina, possono essere causa di disfunzione all’interno di questi circuiti, che a livello comportamentale si riflettono come perdita di interesse in attività solitamente gratificanti, abulia, anedonia.A livello motorio, invece, gli effetti dell’antagonismo dei recettori D2 sono dovuti a un’interferenza con il normale funzionamento nella via dopaminergica nigro-striatale, causando quelli che vengono definiti comunemente “sintomi extrapiramidali” (i sistemi piramidale ed extrapiramidale sono un insieme di centri e vie nervose deputate al

Il primo composto ad azione antipsicotica fu sintetizzato nei primi anni Cinquanta del secolo scorso. La scoperta della molecola avvenne in maniera casuale: fino agli anni Quaranta, le fenotiazine venivano usate come antimalarici e antisettici, fino a quando nel dopoguerra, presso i laboratori della Rhône-Poulenc nell’ambito di ricerche su composti antistaminici venne sintetizzata la clorpromazina. Durante successive ricerche per valu-tare l’impiego del farmaco come antishock in ambito anestesiologico, i ricercatori dell’e-poca si accorsero delle proprietà sedanti e antipsicotiche del farmaco, dovute al blocco dei recettori D2, e la molecola diventò in poco tempo il trattamento d’elezione per tutta una serie di condizioni, quali schizofrenia, eccitamento maniacale, agitazione psicomo-toria e psicosi non meglio definite. La nascita di questo nuovo filone della farmacologia ha portato nei decenni successivi alla chiusura dei manicomi, in primis in Italia, all’inizio di un modello di cura all’interno della comunità e a una forte riduzione delle ospedalizza-zioni e dei ricoveri, sia volontari sia coatti.A partire dalla clorpromazina vennero poi sintetizzati altri composti con proprietà (nel bene e nel male) molto simili, ai tempi definiti come “neurolettici”, e che adesso rientrano nella categoria dei cosiddetti farmaci antipsicotici “di prima generazione”, o “tipici”. Un’altra importante svolta nello sviluppo di questi farmaci avvenne intorno al 1970, quando fu introdotta sul mercato la clozapina, una molecola con proprietà marcata-mente differenti rispetto ai “neurolettici” già esistenti e altamente efficace, ma che a causa di effetti collaterali potenzialmente gravi venne dopo poco ritirata dal commercio. Fu “riabilitata” solo dopo diversi anni ed è adesso considerata il farmaco più efficace nel trattamento dei casi resistenti alla terapia. Tuttavia, grazie proprio al suo particolare profilo funzionale, la clozapina fu la caposti-pite di una nuova classe di antipsicotici, che vennero quindi definiti “di seconda genera-zione”, o “atipici”, teoricamente più efficaci e con meno effetti collaterali, aspettative che sono state almeno parzialmente disattese nel corso degli anni successivi. Più recentemente i ricercatori hanno cominciato a focalizzarsi su altre dimensioni del disturbo, come per esempio i deficit cognitivi, e ai sottostanti circuiti, in particolare il recettore NMDA per il glutammato e le sue sub-unità, che sembrano essere particolar-mente coinvolti nei deficit di attenzione e concentrazione presenti nei pazienti schizo-frenici (vedi il Capitolo 9), portando a un ulteriore cambio di prospettiva e superando, almeno concettualmente, la distinzione fra antipsicotici di prima e seconda generazione, introducendo l’idea di un trattamento individualizzato del disturbo, grazie a un utilizzo multimodale del farmaco e legato più alle proprietà farmacodinamiche dello stesso che alla categoria di appartenenza.Una trattazione dettagliata di ogni singolo composto è al di là degli scopi di questa pubblicazione e in questo capitolo verranno quindi riportati solo i concetti di carattere generale che sono utili e propedeutici alla comprensione di un modello di trattamento che va oltre la “neurolettizzazione” del paziente e che punta invece a un approccio indivi-dualizzato e centrato sulle caratteristiche non solo del disturbo, ma anche del soggetto.

Tabella 7.1 I più importanti farmaci antipsicotici in commercio in Italia

Antipsicotici “tipici” Antipsicotici “atipici”Clorpromazina Clozapina Levomepromazina OlanzapinaPerfenazina RisperidoneAloperidolo QuetiapinaDroperidolo ZiprasidoneZuclopentixolo Amisulpride

Aripiprazolo Asenapina (non ancora approvata in Europa

per il trattamento della schizofrenia)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 164 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 165

Il meccanismo d’azione dei farmaci antipsicotici: dalla clorpromazina all’aripiprazoloIl meccanismo di azione dei cosiddetti antipsicotici di prima generazione (vedi Tabella 7.1 per una lista dei composti) nel controllo dei sintomi psicotici è relativamente semplice e si basa sul blocco dei recettori della dopamina D2 nella via mesolimbica. Tuttavia, poiché questi recettori sono presenti non solo all’interno di tale circuito, ma anche in quasi tutte le restanti aree raggiunte dalle vie dopaminergiche, il blocco unilaterale e non modulato di questo tipo di composti porta all’insorgenza di un elevato tasso di effetti collaterali, i più importanti dei quali a livello del sistema di gratificazione (reward) e del sistema motorio. I sistemi dopaminergici mesolimbico e mesocorticale, che mettono in comunicazione strutture come l’area tegmentale ventrale, il nucleus accumbens, la corteccia prefrontale (PFC) e del cingolo sono ritenute essere la base neurobiologica del sistema motivazionale e di rinforzo e mediano la risposta dell’individuo a un’ampia gamma di stimoli. Il rilascio di dopamina all’interno di queste strutture porta non solo a esperire tali stimoli come piacevoli, ma anche, grazie a modificazioni della plasticità sinaptica, a indurre importanti modificazioni nei processi di apprendimento e memoria legati alla presenza di incentivi comportamentali. L’interferenza delle molecole dopamina-antagonisti a questo livello, in particolare quelle che causano un blocco massivo e non facilmente regolabile del rila-scio di dopamina, possono essere causa di disfunzione all’interno di questi circuiti, che a livello comportamentale si riflettono come perdita di interesse in attività solitamente gratificanti, abulia, anedonia.A livello motorio, invece, gli effetti dell’antagonismo dei recettori D2 sono dovuti a un’interferenza con il normale funzionamento nella via dopaminergica nigro-striatale, causando quelli che vengono definiti comunemente “sintomi extrapiramidali” (i sistemi piramidale ed extrapiramidale sono un insieme di centri e vie nervose deputate al

Tabella 7.1 I più importanti farmaci antipsicotici in commercio in Italia

Antipsicotici “tipici” Antipsicotici “atipici”Clorpromazina Clozapina Levomepromazina OlanzapinaPerfenazina RisperidoneAloperidolo QuetiapinaDroperidolo ZiprasidoneZuclopentixolo Amisulpride

Aripiprazolo Asenapina (non ancora approvata in Europa

per il trattamento della schizofrenia)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 165 05/03/15 10:51

166 Capitolo 7

Pertanto, la distinzione tradizionale in composti “tipici” o “atipici” è attualmente da rite-nere superata, favorendo un algoritmo di utilizzo di tali farmaci dettato esclusivamente dalle proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche, quindi in sostanza dal profilo recettoriale e da quello degli effetti collaterali, da valutare in ogni singolo paziente. Tuttavia, in questo paragrafo, per comodità di esposizione, saranno ancora mantenute queste definizioni, fatto salvo per quanto espresso sopra.Per essere definita “atipica” (Fig. 7.1), una molecola deve influire non solo sul sistema dopaminergico, ma anche su quello serotoninergico, in particolare su alcuni sottotipi di recettori (per esempio 5-HT1A, 5-HT2A, 5-HT2C). Il meccanismo d’azione e l’intera-zione fra la serotonina e i suoi recettori sono estremamente complessi e un’esposizione, anche solo parziale, è aldilà degli scopi di questo capitolo. Tuttavia, è possibile affermare che un’azione a questo livello ha una sorta di effetto modulatorio sulle varie vie dopami-nergiche, poiché permette di ottenere risultati terapeutici senza una completa satura-zione dei recettori coinvolti (D2), quindi di utilizzare dosaggi “inferiori” (in termini asso-luti), e limitare o ridurre l’insorgenza e la gravità degli effetti collaterali. Un’altra carat-teristica degli antipsicotici più moderni è quella di legarsi al recettore dopaminergico in maniera più “blanda” e di dissociarsi da esso più velocemente rispetto alle molecole “tipiche”, oppure di avere proprietà bloccanti e attivanti allo stesso tempo, il cosiddetto “agonismo parziale”. Ciò fa sì che gli effetti collaterali dovuti a un’interruzione massiva della trasmissione dopaminergica si instaurino con meno frequenza. Come già sottolineato sopra, pur non avendo portato a cambiamenti epocali in termini di efficacia assoluta, l’avvento di farmaci dal profilo “multifunzionale” – un farmaco con più di un’azione farmacologica terapeutica (Stahl, 2009) ha modificato comunque in maniera molto importante l’approccio alla gestione terapeutica, da un lato aumentando la complessità delle valutazioni da fare prima di impostare un trattamento e dall’altro spostando l’attenzione dalla pura e semplice estinzione del sintomo psicotico “a ogni costo” alla considerazione della qualità di vita del paziente e agli aspetti soggettivi della terapia farmacologica. In particolare, le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, i più frequenti effetti collaterali, le interazioni con altri farmaci della molecola in questione, nonché le even-tuali comorbidità del singolo paziente, sono i parametri che devono fare da guida per l’impostazione di una corretta terapia farmacologica.

controllo del movimento), che assomigliano molto spesso ai disordini causati dal morbo di Parkinson, come acinesia, acatisia, tremori. In aggiunta a ciò, il blocco prolungato di tali recettori può portare a una condizione chiamata discinesia tardiva, un disordine ipercinetico caratterizzato da movimenti involontari di lingua, bocca, faccia e arti, che in molti casi di trattamento cronico (mesi/anni) si rivela irreversibile. L’insorgenza di galattorrea (produzione di secrezioni mammarie) e amenorrea è invece dovuta all’inter-ferenza con il funzionamento della via tubero-infundibolare.Oltre a essere attivi sul sistema della dopamina, gli antipsicotici di prima generazione esercitano il loro effetto anche su altri recettori (in maniera diversa a seconda della mole-cola), come quelli colinergici, istaminici, o a-adrenergici, causando importanti effetti collaterali, riportati nello specifico in Tabella 7.2.Conseguentemente, visto il meccanismo d’azione poco differenziato, la gestione della terapia antipsicotica con questo tipo di farmaci è semplicemente basata sull’aumento o sulla diminuzione del dosaggio, in modo da agire velocemente sui sintomi psicotici (a volte solo in maniera parziale) attraverso un blocco massivo della trasmissione dopami-nergica. Allo stesso tempo, però, l’insorgenza di gravi effetti collaterali ha un impatto negativo sulla qualità della vita del paziente, che si riflette poi inevitabilmente sull’ade-renza al trattamento.L’avvento degli antipsicotici di “seconda generazione”, dal meccanismo d’azione più arti-colato, ha portato un aumento di complessità nella pianificazione terapeutica, nono-stante le aspettative originarie, quali minore insorgenza di effetti collaterali extrapira-midali e un miglior controllo della sintomatologia negativa, siano state sostanzialmente disattese (Carpenter e Buchanan, 2008) e anche a livello di efficacia globale le due gene-razione di antipsicotici siano poco differenti (Kahn et al., 2008). Molti studi di comparazione diretta fra due molecole diverse, infatti, riportano risultati contradditori, dando l’idea che tutti i farmaci funzionino in maniera analoga e abbiano efficacia simile. Tuttavia, vi sono una serie di bias all’interno di questi lavori che possono portare a questi risultati, come per esempio i criteri d’inclusione, i dosaggi utilizzati, i metodi di analisi statistica dei dati e, infine, anche l’origine dei finanziamenti per il compimento dello studio (Heres et al., 2006); l’esperienza clinica ci dice che la maggior parte dei pazienti molto spesso può rispondere a un farmaco e non rispondere a un altro, in base al pattern di sintomi presentati e alle eventuali comorbidità o predisposizioni a effetti collaterali (Leucht et al., 2009; Rummel-Kluge et al., 2010).

Tabella 7.2 I vari tipi di recettori ed effetti collaterali correlatiRecettore Evento avversoa1 IpotensioneD2 Distonie, parkinsonismo, aumento di prolattina,

disfunzioni sessuali, apatiaH1 (recettori dell’istamina) Sedazione, aumento di pesoM1-4 (recettori dell’acetilcolina) Vista sfuocata, bocca secca, confusione, stipsi, sedazione

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 166 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 167

Pertanto, la distinzione tradizionale in composti “tipici” o “atipici” è attualmente da rite-nere superata, favorendo un algoritmo di utilizzo di tali farmaci dettato esclusivamente dalle proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche, quindi in sostanza dal profilo recettoriale e da quello degli effetti collaterali, da valutare in ogni singolo paziente. Tuttavia, in questo paragrafo, per comodità di esposizione, saranno ancora mantenute queste definizioni, fatto salvo per quanto espresso sopra.Per essere definita “atipica” (Fig. 7.1), una molecola deve influire non solo sul sistema dopaminergico, ma anche su quello serotoninergico, in particolare su alcuni sottotipi di recettori (per esempio 5-HT1A, 5-HT2A, 5-HT2C). Il meccanismo d’azione e l’intera-zione fra la serotonina e i suoi recettori sono estremamente complessi e un’esposizione, anche solo parziale, è aldilà degli scopi di questo capitolo. Tuttavia, è possibile affermare che un’azione a questo livello ha una sorta di effetto modulatorio sulle varie vie dopami-nergiche, poiché permette di ottenere risultati terapeutici senza una completa satura-zione dei recettori coinvolti (D2), quindi di utilizzare dosaggi “inferiori” (in termini asso-luti), e limitare o ridurre l’insorgenza e la gravità degli effetti collaterali. Un’altra carat-teristica degli antipsicotici più moderni è quella di legarsi al recettore dopaminergico in maniera più “blanda” e di dissociarsi da esso più velocemente rispetto alle molecole “tipiche”, oppure di avere proprietà bloccanti e attivanti allo stesso tempo, il cosiddetto “agonismo parziale”. Ciò fa sì che gli effetti collaterali dovuti a un’interruzione massiva della trasmissione dopaminergica si instaurino con meno frequenza. Come già sottolineato sopra, pur non avendo portato a cambiamenti epocali in termini di efficacia assoluta, l’avvento di farmaci dal profilo “multifunzionale” – un farmaco con più di un’azione farmacologica terapeutica (Stahl, 2009) ha modificato comunque in maniera molto importante l’approccio alla gestione terapeutica, da un lato aumentando la complessità delle valutazioni da fare prima di impostare un trattamento e dall’altro spostando l’attenzione dalla pura e semplice estinzione del sintomo psicotico “a ogni costo” alla considerazione della qualità di vita del paziente e agli aspetti soggettivi della terapia farmacologica. In particolare, le proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche, i più frequenti effetti collaterali, le interazioni con altri farmaci della molecola in questione, nonché le even-tuali comorbidità del singolo paziente, sono i parametri che devono fare da guida per l’impostazione di una corretta terapia farmacologica.

“Atipicità” di un antipsicotico

• Affinità per recettori serotoninergici (5-HT1A, 5-HT2A, 5-HT2C) • Affinità per recettori dopaminergici D3 e D4 • Antagonismo parziale a livello di recettori D2

FIGURA 7.1 Caratteristiche che rendono un antipsicotico “atipico”.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 167 05/03/15 10:51

168 Capitolo 7

a mitigare, almeno in parte, il blocco dei recettori dopaminergici e quindi a ridurne il rischio. Questo è vero in particolare per olanzapina, quetiapina, clozapina, a dosaggio moderato. Anche l’aripiprazolo, nonostante si leghi fortemente ai recettori D2, in virtù del suo profilo di agonista parziale, che consente al recettore di mantenere una certa funzionalità, pare ottenere un risultato analogo.Le differenze farmacodinamiche e di profilo/affinità recettoriale possono diventare clini-camente molto rilevanti in caso di passaggio non graduale da un antipsicotico a un altro, e non devono essere in alcun modo trascurate; in seguito a un antagonismo potente, i recettori interessati tendono ad aumentare di numero (“upregulation”), e se tale blocco viene rimosso in maniera improvvisa si possono causare fenomeni di astinenza o “rebound” (i sintomi ricompaiono, a volte potenziati, in seguito alla brusca interruzione della terapia). Questo è particolarmente vero in caso di trattamento con molecole dalla potente azione colinergica o antistaminergica, quindi con uno spiccato effetto sedativo e modulante a livello motorio, per esempio clozapina, olanzapina, quetiapina; il passaggio non graduale da questi ad altri composti con profilo recettoriale quasi opposto, quali risperidone, ziprasidone, aripiprazolo, può causare un’attivazione eccessiva dei recettori ipersensibilizzati e, quindi, può provocare l’insorgenza di insonnia, ansia, agitazione psicomotoria, acatisia, sintomi extrapiramidali. Allo stesso modo, il passaggio da un farmaco con spiccate proprietà antidopaminergiche, per esempio aloperidolo, risperi-done, ad altri con minore affinità (clozapina, quetiapina) può essere causa di un blocco meno intenso dei recettori D2, già ipersensibilizzati, e si può assistere alla ricomparsa di sintomi psicotici, maniacali, agitazione e aggressività. Per una visione più dettagliata

Farmacocinetica e farmacodinamica degli antipsicotici I concetti di farmacodinamica e farmacocinetica sono alla base della farmacologia clinica e le caratteristiche di un farmaco relative a essi sono determinanti per comprenderne il meccanismo di funzionamento e predirne l’efficacia in ogni singolo paziente.In breve, la farmacodinamica studia gli effetti biochimici e il meccanismo d’azione dei farmaci, identificando i siti d’azione e delineando le interazioni chimiche e fisiche fra il farmaco e l’organismo, o fra farmaci diversi: rappresenta, per essere più chiari, come agisce il farmaco sull’organismo (in particolare sui recettori del SNC) (Fig. 7.2).La farmacocinetica, invece, studia in maniera quantitativa come il farmaco viene assor-bito, distribuito, metabolizzato e, poi, eliminato dall’organismo: ovvero, come l’orga-nismo agisce sul farmaco. Ogni composto, anche se appartenente alla stessa classe, o sottoclasse, possiede caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche spesso parec-chio differenti, ed è implicito quindi che la reazione individuale a esso è, entro certi limiti, variabile.Per quanto concerne il trattamento delle psicosi, la valutazione di questi aspetti è di primaria importanza nella scelta di un farmaco, ben di più della scelta dicotomica fra antipsicotici di “prima” o “seconda” generazione.I profili recettoriali di alcuni dei più importanti antipsicotici sono elencati nella Tabella 7.3. Eventuali effetti collaterali e, in misura minore, l’efficacia di una molecola possono essere previsti tenendo in considerazione la sua affinità per i vari sottotipi di recettori. Per esempio, farmaci con una grande affinità per il recettore D2 necessitano di dosi minori per raggiungere l’effetto terapeutico (Lako et al., 2013), ma allo stesso tempo possono causare sintomi extrapiramidali con più facilità: fra questi ci sono aloperidolo, perfe-nazina, risperidone, aripiprazolo. Tuttavia, questo non è l’unico fattore a determinare la probabilità dell’insorgenza di tali effetti. La velocità di dissociazione del farmaco dal recettore D2 può essere una caratteristica in grado di conferire alla molecola un profilo migliore a livello di effetti collaterali e, per un certo tempo, essa è stata attribuita in particolare agli antipsicotici di seconda generazione, tuttavia dati recenti non suppor-tano questa interpretazione (Sahlholm et al., 2014). L’antagonismo spiccato verso altri recettori come quelli della serotonina (5-HT2A), o quelli muscarinici e istaminici, tende

Farmacocinetica

Studia in maniera quantitativa come il farmacoviene assorbito, distribuito, metabolizzato e,poi, eliminato dall’organismo: ovvero, comel’organismo agisce sul farmaco.

Farmacodinamica

Studia gli effetti biochimici e il meccanismod’azione dei farmaci, ovvero come agisce il farmacosull’organismo.

FIGURA 7.2 Farmacocinetica e farmacodinamica.

Tabella 7.3 Profili recettoriali dei diversi antipsicoticiD2 5-HT1A 5-HT2A 5-HT2C `1 M1 H1

AmisulprideAripiprazolo 0,66

+++ (AP)5,5 +++

8,7++

22++

26++

> 1000+

30++

Asenapina +++ +++ ++ ++++ +++ + +++Clozapina 210

+160+

2,6++

4,8++

6,8+++

1,4+++

3,1+++

Olanzapina 20++

610 1,5+++

4,1++

44++

2,5++

0,1+++

Quetiapina 770+

300+

31++

> 1000+

8+++

120++

11+++

Risperidone 3,8+++

190+

0,15++++

32++

2,7+++

> 10.000 5,2++

Ziprasidone 2,6+++

1,9++

0,1++++

0,9++

2,6++

300 4,6++

Aloperidolo 2,6+++

> 1000 61++

> 1000 17++

> 10.000 260+

Valori di Ki espressi in Nmol: + = affinità bassa (100 < Ki < 1000); ++ = affinità media (10 < Ki < 100); +++ = affinità alta (1 < Ki < 10); ++++ = affinità molto alta (Ki < 1); AP = agonista parziale.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 168 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 169

a mitigare, almeno in parte, il blocco dei recettori dopaminergici e quindi a ridurne il rischio. Questo è vero in particolare per olanzapina, quetiapina, clozapina, a dosaggio moderato. Anche l’aripiprazolo, nonostante si leghi fortemente ai recettori D2, in virtù del suo profilo di agonista parziale, che consente al recettore di mantenere una certa funzionalità, pare ottenere un risultato analogo.Le differenze farmacodinamiche e di profilo/affinità recettoriale possono diventare clini-camente molto rilevanti in caso di passaggio non graduale da un antipsicotico a un altro, e non devono essere in alcun modo trascurate; in seguito a un antagonismo potente, i recettori interessati tendono ad aumentare di numero (“upregulation”), e se tale blocco viene rimosso in maniera improvvisa si possono causare fenomeni di astinenza o “rebound” (i sintomi ricompaiono, a volte potenziati, in seguito alla brusca interruzione della terapia). Questo è particolarmente vero in caso di trattamento con molecole dalla potente azione colinergica o antistaminergica, quindi con uno spiccato effetto sedativo e modulante a livello motorio, per esempio clozapina, olanzapina, quetiapina; il passaggio non graduale da questi ad altri composti con profilo recettoriale quasi opposto, quali risperidone, ziprasidone, aripiprazolo, può causare un’attivazione eccessiva dei recettori ipersensibilizzati e, quindi, può provocare l’insorgenza di insonnia, ansia, agitazione psicomotoria, acatisia, sintomi extrapiramidali. Allo stesso modo, il passaggio da un farmaco con spiccate proprietà antidopaminergiche, per esempio aloperidolo, risperi-done, ad altri con minore affinità (clozapina, quetiapina) può essere causa di un blocco meno intenso dei recettori D2, già ipersensibilizzati, e si può assistere alla ricomparsa di sintomi psicotici, maniacali, agitazione e aggressività. Per una visione più dettagliata

Tabella 7.3 Profili recettoriali dei diversi antipsicoticiD2 5-HT1A 5-HT2A 5-HT2C `1 M1 H1

AmisulprideAripiprazolo 0,66

+++ (AP)5,5 +++

8,7++

22++

26++

> 1000+

30++

Asenapina +++ +++ ++ ++++ +++ + +++Clozapina 210

+160+

2,6++

4,8++

6,8+++

1,4+++

3,1+++

Olanzapina 20++

610 1,5+++

4,1++

44++

2,5++

0,1+++

Quetiapina 770+

300+

31++

> 1000+

8+++

120++

11+++

Risperidone 3,8+++

190+

0,15++++

32++

2,7+++

> 10.000 5,2++

Ziprasidone 2,6+++

1,9++

0,1++++

0,9++

2,6++

300 4,6++

Aloperidolo 2,6+++

> 1000 61++

> 1000 17++

> 10.000 260+

Valori di Ki espressi in Nmol: + = affinità bassa (100 < Ki < 1000); ++ = affinità media (10 < Ki < 100); +++ = affinità alta (1 < Ki < 10); ++++ = affinità molto alta (Ki < 1); AP = agonista parziale.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 169 05/03/15 10:51

170 Capitolo 7

delle affinità recettoriali, degli effetti collaterali e dei dosaggi equivalenti dei diversi antipsicotici si vedano le Tabelle 7.2, 7.3, 7.4 e 7.5 e la Figura 7.3.L’efficacia e la comparsa di effetti collaterali tuttavia non sono solamente correlate alle caratteristiche farmacodinamiche della molecola in questione, bensì anche a quelle farmacocinetiche; particolarmente importanti a livello clinico sono le caratteristiche di assorbimento, l’emivita (l’intervallo di tempo in cui l’organismo metabolizza il 50% del farmaco, che influenza in maniera proporzionale anche il tempo necessario a raggiun-gere lo “steady state”, il livello costante di principio attivo nell’organismo – Fig. 7.4) e le eventuali interazioni con altri farmaci a livello di metabolismo epatico. Per esempio, l’assorbimento di ziprasidone è molto ridotto se quest’ultimo è assunto in assenza di cibo; in caso di trattamento con asenapina (non ancora approvata in Europa per il trat-tamento della schizofrenia), data la via di somministrazione sublinguale, bisogna invece evitare di mangiare o bere nei 10-15 minuti che ne precedono o seguono l’assunzione.

Tabella. 7.5 Dose-equivalenti dei vari farmaci antipsicotici

Molecola Dose minima efficace

OLA 1 mg equivalente

RIS 1 mg equivalente

ALO 1 mg equivalente

CPZ 100 mg equivalente

Aloperidolo 4 0,53 2 1 1,6Aripiprazolo 10 1,33 5 2,5 4Asenapina 10 1,33 5 2,5 4Clozapina 300 40 150 75 120Olanzapina 7,5 1 3,75 1,88 3Quetiapina 150 20 75 37,5 60Risperidone 2 0,27 1 0,5 0,8Ziprasidone 40 5,33 20 10 16

ALO = aloperidolo; CPZ = clorpromazina; OLA = olanzapina; RIS = risperidone. Modificata da Leucht et al., 2014).

Tabella 7.4 Farmaci antipsicotici ed effetti collaterali

OLA QUE RIS ZIP ARI CLO ASE ALO AMIEPS 0/+ 0 0/++ 0/+ + 0 o/++ +++ 0/++Discinesie tardive + 0/+ + + + 0 ? +++ +ä Prolattina + 0 +++ + 0 0 0/+ +++ +++ä Peso +++ ++ + 0 0 +++ 0 + +ä Glicemia +++ ++ ++ 0 0 +++ 0 0 +ä Lipidemia +++ ++ ++ 0 0 +++ 0 0 +ä QTc 0/+ + + ++ 0 0 0/+ + +Sedazione + ++ + 0/+ 0/+ +++ + ++ 0/+Ipotensione + ++ + + 0 +++ + 0 0Effetti anticolinergici ++ + 0 0 0 +++ 0 0 0

ALO = aloperidolo; AMI = amisulpiride; ARI = aripiprazolo; ASE = asenapina; CLO = clozapina; OLA = olanzapina; QUE = quetiapina; RIS = risperidone; ZIP = ziprasidone. Modificata da Miyamoto e Fleischhacker, 2012.

FIGURA 7.3 Principali effetti collaterali dei farmaci antipsicotici: confronto fra trat-tamento e placebo. I farmaci sono elencati in ordine decrescente da quello che esercita maggiormente l’effetto indicato a quello che lo esercita in maniera minore. (Modificata da Leucht et al., 2013.)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 170 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 171

Inoltre, il passaggio troppo veloce da un composto a breve emivita, come quetiapina o ziprasidone, a un altro dalle caratteristiche opposte e tempi più lunghi per raggiungere lo “steady state”, come aripiprazolo, può causare una temporanea diminuzione dell’in-tensità dell’antagonismo dopaminergico, fino a quando il secondo farmaco non abbia raggiunto il livello terapeutico, con la possibile ricomparsa dei sintomi del disturbo (vedi Tabella 7.6 per le caratteristiche di farmacocinetiche di ogni singolo composto).

Interruzione per qualsiasi motivo (OR)

Aloperidolo 0,8 (0,71 a 0,90)Ziprasidone 0,72 (0,59 a 0,86)Asenapine 0,69 (0,54 a 0,86)Cloropromazina 0,65 (0,5 a 0,84)Quetiapina 0,61 (0,52 a 0,71)Aripiprazole 0,61 (0,51 a 0,72)Risperidone 0,53 (0,46 a 0,60)Paliperidone 0,48 (0,39 a 0,58)Clozapina 0,46 (0,32 a 0,65)Olanzapina 0,46 (0,41 a 0,52)Amisulpride 0,43 (0,32 a 0,57)

NA = non disponibile; OR = odds ratio

Effetti extrapiramidali (OR)

Aloperidolo 0,8 (0,71 a 0,90)Ziprasidone 0,72 (0,59 a 0,86)Asenapine 0,69 (0,54 a 0,86)Cloropromazina 0,65 (0,5 a 0,84)Quetiapina 0,61 (0,52 a 0,71)Aripiprazole 0,61 (0,51 a 0,72)Risperidone 0,53 (0,46 a 0,60)Paliperidone 0,48 (0,39 a 0,58)Clozapina 0,46 (0,32 a 0,65)Olanzapina 0,46 (0,41 a 0,52)Amisulpride 0,43 (0,32 a 0,57)

Prolungamento QTc (OR)

Amisulpride 0,66 (0,39 a 0,91)Ziprasidone 0,41 (0,31 a 0,51)Asenapine 0,30 (–0,04 a 0,65)Risperidone 0,25 (0,15 a 0,36)Olanzapina 0,22 (0,11 a 0,31)Quetiapina 0,17 (0,06 a 0,29)Aloperidolo 0,11 (0,03 a 0,19)Paliperidone 0,05 (–0,18 a 0,26)Aripirazole 0,01 (–0,13 a 0,15)Clozapina NAClorpromazina NA

Aumento di peso (OR)

Olanzapina 0,74 (0,67 a 0,81)Clozapina 0,65 (0,31 a 0,99)Chlopromazine 0,55 (0,34 a 0,76)Quetiapina 0,43 (0,34 a 0,53)Risperidone 0,42 (0,33 a 0,50)Paliperidone 0,38 (0,27 a 0,48)Asenapine 0,23 (0,07 a 0,39)Amisulpride 0,20 (0,05 a 0,35)Aripiprazole 0,17 (0,05 a 0,28)Ziprasidone 0,10 (–0,02 a 0,22)Aloperidolo 0,09 (–0,00 a 0,17)

Aumento prolattina (OR)

Paliperidone 1,30 (1,08 a 1,51)Risperidone 1,23 (1,06 a 1,40)Aloperidolo 0,70 (0,56 a 0,85)Ziprasidone 0,25 (0,01 a 0,49)Cloropromazina 0,16 (–0·48 a 0,8)Olanzapina 0,14 (+0,00 a 0,28)Asenapine 0,12 (–0,12 a 0,37)Quetiapina –0,05 (–0,23 a 0,13)Aripiprazole –0,22 (–0,46 a 0,03)Amisulpiride NAClozapina NA

Sedazione (OR)

Clozapina 8,82 (4,72 a 15,06)Cloropromazina 7,56 (4,78 a 11,53)Ziprasidone 3,80 (2,58 a 5,42)Quetiapina 3,76 (2,68 a 5,19)Olanzapina 3,34 (2,46 a 4,50)Asenapine 3,28 (1,37 a 6,69)Aloperidolo 2,76 (2,04 a 3,66)Risperidone 2,45 (1,76 a 3,35)Aripiprazole 1,84 (1,05 a 3,05)Paliperidone 1,40 (0,85 a 2,19)Amisulpride 1,42 (0,72 a 2,51)

FIGURA 7.3 Principali effetti collaterali dei farmaci antipsicotici: confronto fra trat-tamento e placebo. I farmaci sono elencati in ordine decrescente da quello che esercita maggiormente l’effetto indicato a quello che lo esercita in maniera minore. (Modificata da Leucht et al., 2013.)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 171 05/03/15 10:51

172 Capitolo 7

Profilo d’azione dei farmaci antipsicotici e utilizzo nelle diverse dimensioni della schizofrenia

Amisulpride Amisulpride ha un profilo recettoriale caratterizzato da buona affinità e selettività per i recettori D2 e D3 e per alcuni recettori serotoninergici (5-HT7A), che adesso sono presi in considerazione anche nello studio di nuovi farmaci antidepressivi. Sul manuale “Neuro-science based Nomenclature” (NbN) (Zohar et al., 2014) infatti viene classificato come target farmacologico (TF): dopamina; modalità d’azione (MA): antagonista dei recettori D2. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D2 e D3 e 5-HT7, mentre a livello umano si dimostra in grado di bloccare i recettori centrali D2, ma non evidenzia binding con i recettori 5-HT2A. Per quanto concerne i circuiti cerebrali si riscontrano moderati livelli di occupazione dei recettori D2/D3 nello striato e livelli significativamente elevati nel talamo e nella corteccia temporale. La selettività per i recettori D2/D3 a livello limbico spiegherebbe l’efficacia del farmaco e la scarsa propensione a causare effetti collaterali di tipo extrapiramidale in assenza di un forte antagonismo serotoninergico, ma non è stata interamente dimostrata (Bressan et al., 2003). A basso dosaggio l’amisulpiride ha effetto sui recettori presinaptici, con conseguente aumento del rilascio di dopamina, motivo per cui la dose di attacco da utilizzarsi deve essere relativamente alta. Ha scarso legame proteico e basso metabolismo epatico, ma i livelli plasmatici non sono influenzati dal fumo. È preferibile evitarne la somministrazione in concomitanza con altri farmaci che prolungano il QTc, avendo anch’esso un effetto dose dipendente. Cloza-pina e litio, soprattutto il secondo, ne aumentano significativamente i dosaggi plasma-tici (Bergemann et al., 2004). Questi ultimi sono più stabili nelle donne e negli anziani

Particolare attenzione meritano anche le svariate interazioni che possono esserci fra più composti a livello di metabolismo, che avviene nel fegato grazie al sistema enzima-tico del citocromo P450 (CYP450); questo sistema è formato da più tipi di enzimi che si differenziano in termini di specificità di substrato e di variabilità individuale, la cui attività può essere inibita o aumentata dalla contemporanea somministrazione di altri farmaci, causando marcate variazioni nella quantità di principio attivo effettivamente presente nell’organismo (Tab. 7.7). La diretta conseguenza della scarsa considerazione di questi aspetti può essere da un lato il mancato raggiungimento della dose terapeu-tica e dall’altro, invece, l’accumulo di dosaggi eccessivi, con l’insorgenza quindi di effetti collaterali (Urichuk et al., 2008). A volte l’interazione è clinicamente non significativa, ma in presenza di forti inibitori e concomitante terapia con farmaci potenzialmente più rischiosi (per esempio, clozapina) è buona norma rivedere e, nel caso, ridurre sensibil-mente i dosaggi terapeutici.

Emivita

L’emivita (t1/2) è un parametro farmacocineticoche indica il tempo richiesto per ridurre del 50%la quantità di un farmaco nel plasma o nel siero(nel sangue).

Steady state

Lo stato stazionario (steady state) di un farmacoè lo stato d’equilibrio della sua concentrazione.In seguito alla somministrazione, il livellodel farmaco del sangue subisce delle variazioninel tempo, ma dopo un tempo t, la quantitàdi farmaco eliminata corrisponde a quella introdotta e il sistema è in stato stazionario. Corrisponde generalmente a un tempo paria 4-5 volte l’emivita del farmaco.

FIGURA 7.4 Emivita e steady state.

Tabella 7.6 Caratteristiche farmacocinetiche dei diversi antipsicotici

Biodisponibilità (%)

Legame proteine plasmatiche (%)

Emivita in ore Giorni per raggiungere lo steady state

ALO 60-70 92 10-20 3-5AMI 43-48 17 12 2-3ARI NA > 99 48-68 14ASE 35 95 24 4-6CLO 12-81 > 90 6-33 4-8OLA 60-80 93 20-70 5-7QUE NA 83 5-8 2-3RIS 68 90 3-24 4-6ZIP 60 > 99 4-10 2-3

ALO = aloperidolo; AMI = amisulpiride; ARI = aripiprazolo; ASE = asenapina; CLO = clozapina; NA = non disponibile; OLA = olanzapina; QUE = quetiapina; RIS = risperidone; ZIP = ziprasidone.

Tabella 7.7 Citocromi coinvolti nel metabolismo di alcuni antipsicotici

Citocromo Substrato Induttori InibitoriCYP 1A2 Clozapina

OlanzapinaFluvoxamina

CYP 2D6 AripiprazoloClozapina OlanzapinaRisperidone

BupropioneFluoxetinaParoxetina

CYP 34A AripiprazoloClozapina QuetipinaZiprasidone

CarbamazepinaFenitoina

ClaritromicinaEritromicinaFluconazoloFluvoxaminaKetoconazolo

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 172 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 173

Profilo d’azione dei farmaci antipsicotici e utilizzo nelle diverse dimensioni della schizofrenia

Amisulpride Amisulpride ha un profilo recettoriale caratterizzato da buona affinità e selettività per i recettori D2 e D3 e per alcuni recettori serotoninergici (5-HT7A), che adesso sono presi in considerazione anche nello studio di nuovi farmaci antidepressivi. Sul manuale “Neuro-science based Nomenclature” (NbN) (Zohar et al., 2014) infatti viene classificato come target farmacologico (TF): dopamina; modalità d’azione (MA): antagonista dei recettori D2. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D2 e D3 e 5-HT7, mentre a livello umano si dimostra in grado di bloccare i recettori centrali D2, ma non evidenzia binding con i recettori 5-HT2A. Per quanto concerne i circuiti cerebrali si riscontrano moderati livelli di occupazione dei recettori D2/D3 nello striato e livelli significativamente elevati nel talamo e nella corteccia temporale. La selettività per i recettori D2/D3 a livello limbico spiegherebbe l’efficacia del farmaco e la scarsa propensione a causare effetti collaterali di tipo extrapiramidale in assenza di un forte antagonismo serotoninergico, ma non è stata interamente dimostrata (Bressan et al., 2003). A basso dosaggio l’amisulpiride ha effetto sui recettori presinaptici, con conseguente aumento del rilascio di dopamina, motivo per cui la dose di attacco da utilizzarsi deve essere relativamente alta. Ha scarso legame proteico e basso metabolismo epatico, ma i livelli plasmatici non sono influenzati dal fumo. È preferibile evitarne la somministrazione in concomitanza con altri farmaci che prolungano il QTc, avendo anch’esso un effetto dose dipendente. Cloza-pina e litio, soprattutto il secondo, ne aumentano significativamente i dosaggi plasma-tici (Bergemann et al., 2004). Questi ultimi sono più stabili nelle donne e negli anziani

Tabella 7.7 Citocromi coinvolti nel metabolismo di alcuni antipsicotici

Citocromo Substrato Induttori InibitoriCYP 1A2 Clozapina

OlanzapinaFluvoxamina

CYP 2D6 AripiprazoloClozapina OlanzapinaRisperidone

BupropioneFluoxetinaParoxetina

CYP 34A AripiprazoloClozapina QuetipinaZiprasidone

CarbamazepinaFenitoina

ClaritromicinaEritromicinaFluconazoloFluvoxaminaKetoconazolo

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 173 05/03/15 10:51

174 Capitolo 7

nista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, 5-HT6, 5-HT7, NE alpha e alpha2, mentre a livello umano blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non vi sono dati precisi, ma sembra che la sua azione si esplichi a livello striatale, pituitario e della PFC. I benefici effetti sul controllo dei sintomi antipsicotici possono essere anche in parte dovuti all’interazione fra asenapina e recettori glutammatergici a livello della corteccia prefrontale.Asenapina viene assorbita per via sublinguale e raggiunge il livello di picco plasmatico in circa 30-90 minuti. Viene metabolizzata a livello epatico ed è necessaria particolare attenzione se somministrata insieme a fluvoxamina, a causa delle interazioni a livello dei citocromi, o in caso di insufficienza epatica. È frequente il riscontro di ipotensione ortostatica, dovuta all’interazione con i recettori a1-adrenergici (Tarazi e Stahl, 2012).A livello clinico è utile per il trattamento della dimensione positiva e dei sintomi mania-cali, sia nel disturbo bipolare sia nella schizofrenia. Inoltre, dati preclinici rilevano una potenziale utilità di asenapina nel trattamento dei disturbi della dimensione cognitiva, anche se ancora vi è bisogno di ulteriori conferme effettive in popolazioni cliniche (Tarazi e Neill, 2013).

ClozapinaCome già menzionato sopra, clozapina è la molecola capostipite dei cosiddetti antipsi-cotici di seconda generazione e quella con il profilo farmacologico più complesso; è rite-nuta il “gold standard” per il trattamento dei casi di schizofrenia resistente, anche se recentemente il suo ruolo come farmaco di prima scelta è in fase di rivalutazione. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina e di altri recettori. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, NE alpha1 e alpha2, H1, ACh M1-4; a livello umano, invece, blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Clinicamente risulta essere superiore rispetto agli antipsicotici di prima generazione nel trattamento di tutte le dimensioni della schizofrenia, compresa la sfera cognitiva (Leucht et al., 2009). Particolare attenzione va fatta agli importanti effetti collaterali. Per una trattazione più dettagliata si rimanda ai paragrafi successivi.

OlanzapinaOlanzapina ha una struttura farmacologica simile a quella di clozapina, con profilo recettoriale in parte diverso e caratteristiche cliniche non del tutto sovrapponibili. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina e di altri recettori. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, NE alpha1, H1, ACh M1-4; mentre a livello umano blocca i recet-

rispetto ai giovani. Tuttavia alcuni studi evidenziano una certa efficacia dell’associa-zione clozapina/amisulpride in pazienti agitati e resistenti al trattamento con clozapina (Assion et al., 2008; Hotham et al., 2013).Nella metanalisi di Leucht et al. (2009), sembra essere il farmaco con maggiore efficacia sui sintomi negativi, rispetto agli antipsicotici di prima generazione. Ha una buona effi-cacia nel trattamento dei sintomi depressivi, sia primari sia secondari.

Aripiprazolo Aripiprazolo si differenzia dagli altri antipsicotici principalmente per il suo funziona-mento di agonista parziale a livello del recettore D2 e del recettore 5-HT1A, che, insieme all’antagonismo sul recettore 5-HT2A, contribuiscono al suo profilo di efficacia e tolle-rabilità. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: agonista parziale dei recettori per la dopamina e serotonina. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come agonista parziale dei recet-tori D2, D3 e 5-HT1A e come debole antagonista del recettore 5-HT2A, mentre a livello umano occupa i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali si riscontra un aumento di flusso ematico regionale cerebrale (rCBF) nello striato, una sua riduzione a livello frontale, come l’aloperidolo, rispetto al quale ha effetti opposti nella corteccia temporale e nel cingolato anteriore.Inoltre, poiché non svolge un’azione a livello dei recettori colinergici e istaminergici non causa livelli di sedazione clinicamente rilevanti e può risultare anzi lievemente agitante in alcuni pazienti. Aripiprazolo è metabolizzato quasi interamente a livello epatico da parte dei citocromi CYP3A4 e CYP2D6. Particolare attenzione va posta in caso di somministrazione contem-poranea di carbamazepina, fluoxetina, paroxetina, ketoconazolo, mentre non sono neces-sarie modifiche del dosaggio in caso di co-somministrazione con litio o acido valproico (DeLeon et al., 2004). Si lega quasi completamente alle proteine sieriche.Da un punto di vista clinico, aripiprazolo è utile nel trattamento dei sintomi positivi della schizofrenia (non essendo tuttavia il più efficace) e sulla dimensione affettiva; un’im-portante caratteristica di questa molecola è la scarsa propensione a causare aumento di peso e alterazioni del metabolismo, in particolare se confrontato con altre molecole come olanzapina, che lo rende particolarmente utile durante la fase di mantenimento della terapia (Casey et al., 2003). Ha un profilo di tollerabilità migliore rispetto alla media di tutti gli altri antipsicotici (Leucht et al., 2014).

AsenapinaAsenapina è uno dei più recenti farmaci antipsicotici introdotti sul mercato (2011 in Italia); al momento, però, in Italia è approvato solo per il trattamento delle fasi maniacali nel disturbo bipolare I. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antago-

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 174 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 175

nista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, 5-HT6, 5-HT7, NE alpha e alpha2, mentre a livello umano blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non vi sono dati precisi, ma sembra che la sua azione si esplichi a livello striatale, pituitario e della PFC. I benefici effetti sul controllo dei sintomi antipsicotici possono essere anche in parte dovuti all’interazione fra asenapina e recettori glutammatergici a livello della corteccia prefrontale.Asenapina viene assorbita per via sublinguale e raggiunge il livello di picco plasmatico in circa 30-90 minuti. Viene metabolizzata a livello epatico ed è necessaria particolare attenzione se somministrata insieme a fluvoxamina, a causa delle interazioni a livello dei citocromi, o in caso di insufficienza epatica. È frequente il riscontro di ipotensione ortostatica, dovuta all’interazione con i recettori a1-adrenergici (Tarazi e Stahl, 2012).A livello clinico è utile per il trattamento della dimensione positiva e dei sintomi mania-cali, sia nel disturbo bipolare sia nella schizofrenia. Inoltre, dati preclinici rilevano una potenziale utilità di asenapina nel trattamento dei disturbi della dimensione cognitiva, anche se ancora vi è bisogno di ulteriori conferme effettive in popolazioni cliniche (Tarazi e Neill, 2013).

ClozapinaCome già menzionato sopra, clozapina è la molecola capostipite dei cosiddetti antipsi-cotici di seconda generazione e quella con il profilo farmacologico più complesso; è rite-nuta il “gold standard” per il trattamento dei casi di schizofrenia resistente, anche se recentemente il suo ruolo come farmaco di prima scelta è in fase di rivalutazione. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina e di altri recettori. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, NE alpha1 e alpha2, H1, ACh M1-4; a livello umano, invece, blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Clinicamente risulta essere superiore rispetto agli antipsicotici di prima generazione nel trattamento di tutte le dimensioni della schizofrenia, compresa la sfera cognitiva (Leucht et al., 2009). Particolare attenzione va fatta agli importanti effetti collaterali. Per una trattazione più dettagliata si rimanda ai paragrafi successivi.

OlanzapinaOlanzapina ha una struttura farmacologica simile a quella di clozapina, con profilo recettoriale in parte diverso e caratteristiche cliniche non del tutto sovrapponibili. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina e di altri recettori. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, NE alpha1, H1, ACh M1-4; mentre a livello umano blocca i recet-

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 175 05/03/15 10:51

176 Capitolo 7

positiva della schizofrenia e trova indicazione in particolare in quei casi in cui un blocco massivo dei recettori dopaminergici è controindicato, come per esempio nei pazienti affetti da morbo di Parkinson oppure in quelli con elevata sensibilità agli effetti collate-rali extrapiramidali. Il moderato effetto antidepressivo la rende utile nel trattamento della dimensione affet-tiva sia nella schizofrenia, sia in caso di depressione in disturbo bipolare, nei casi in cui sia controindicato l’utilizzo di un farmaco antidepressivo o come terapia aggiuntiva. A basso dosaggio, ha un prevalente effetto sedativo, che può essere sfruttato per trattare agitazione o insonnia. Recentemente, inoltre, è stato dimostrato che quetiapina è l’an-tipsicotico associato al più basso tasso di mortalità nel trattamento dell’agitazione in pazienti con demenza (Kales et al., 2012).

RisperidoneRisperidone è una molecola con profilo farmacologico alquanto diverso da clozapina, con alta affinità per i recettori serotoninergici e moderata affinità per D2, H1, NE alpha1 e alpha2 e un meccanismo d’azione che a dosaggi più alti si avvicina a quello degli antipsico-tici di prima generazione, con elevati tassi di effetti collaterali extrapiramidali e aumento dei livelli di prolattina nel plasma. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multi-funzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D2 e D3, NE alpha1 e alpha2, 5-HT2A e H1; a livello umano, invece, blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Come quetiapina, viene metabolizzato a livello epatico in un metabolita attivo che contribuisce anch’esso all’effetto terapeutico (López-Muñoz e Alamo, 2013). I livelli plasmatici di risperidone possono essere influenzati da induttori o inibitori del sistema del citocromo CYP 2D6, come paroxetina o fluoxetina. Modifiche del dosaggio sono necessarie in caso di insufficienza renale o epatica (Huang et al., 1993).Clinicamente è utile nella gestione dei sintomi positivi della schizofrenia e dei sintomi maniacali, associati o meno ad aggressività e agitazione, mentre non sembra avere un effetto significativo sulla dimensione cognitiva e negativa. In una recente metanalisi di comparazione diretta con gli altri antipsicotici di seconda generazione, si è rivelato lieve-mente meno efficace di clozapina e olanzapina e più efficace di quetiapina e risperidone. Tuttavia, come già menzionato sopra, gli elevati tassi di incidenza di effetti collaterali quali iperprolattinemia e disordini motori di tipo extrapiramidali, superiori rispetto ad altri farmaci, ne limitano l’utilizzo in molti pazienti (Komossa et al., 2011). È disponibile in formulazione depot.

ZiprasidoneIl profilo recettoriale di ziprasidone è caratterizzato da buona affinità per i recettori serotoninergici (5-HT2A, 5-HT2C) e da un meccanismo di agonismo parziale a livello di 5-HT1A. Il rapporto relativamente alto di affinità 5-HT2A/D2 garantisce un rischio

tori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Tale profilo recettoriale porta a una ridotta insorgenza di effetti extrapirami-dali e a un livello di sedazione inferiore a clozapina ma superiore rispetto ad altre mole-cole. È la molecola più fortemente associata ad aumento del rischio cardiovascolare ed è frequentemente causa di notevole aumento ponderale, quindi il suo utilizzo non è da considerarsi di prima linea in soggetti a rischio, o particolarmente sensibili a tali effetti collaterali (Leucht et al., 2012). Si lega in gran parte alle proteine sieriche e viene metabolizzata prevalentemente a livello epatico. I livelli plasmatici variano in particolare a seconda del sesso e in concomitanza con fumo di sigaretta (i soggetti maschi e fumatori hanno una clearance della molecola maggiore) (Callaghan et al., 1999).Olanzapina si è rilevata particolarmente efficace nel controllo dei sintomi positivi, in particolare durante la fase acuta, ed è molto utile nel trattamento dei sintomi maniacali. È disponibile in formulazione depot.

QuetiapinaUn altro composto con struttura chimica simile a clozapina, ma con proprietà farmaco-logiche abbastanza differenti, è quetiapina. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina e inibitore della ricaptazione della norepinefrina (NE) – (metabolita attivo). Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antago-nista dei recettori D1, D2, D3 e 5-HT2, NE alpha1 e alpha2, H1; incrementa la 5-HT e la NE nella corteccia frontale, l’istamina nella corteccia prefrontale mediale e la 5-HT nel nucleus accumbens. A livello umano blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cere-brali non sono ancora disponibili dati indicativi. Un tratto distintivo di questa molecola è la sua bassa affinità per i recettori dopaminergici e la veloce dissociazione da essi, che potrebbe quindi spiegarne l’efficacia clinica nel trattamento dei sintomi psicotici e la bassissima insor-genza di effetti collaterali extrapiramidali. L’affinità verso i recettori istaminergici e coliner-gici può causare moderata sedazione e indurre un moderato aumento di peso. Interessante a livello farmacologico è il blocco dei recettori 5-HT2C, che sembra conferire alla molecola un effetto antidepressivo. A tale effetto contribuisce probabilmente la presenza di un metabo-lita attivo, norquetiapina, con caratteristiche farmacodinamiche non del tutto sovrapponi-bili a quelle del farmaco di origine: infatti ha un’azione preponderante a livello dei recettori serotoninergici 5-HT1A, 5-HT7, 5-HT2C e a2 (López-Muñoz e Alamo, 2013). Quetiapina viene metabolizzata a livello epatico dal citocromo CYP3A4, ma interazioni clinicamente rilevanti possono verificarsi solo in caso di somministrazione con forti induttori o inibitori come per esempio ketoconazolo. Il fumo non influisce sui livelli plasmatici della molecola, e non sono necessari particolari variazioni di dosaggio in soggetti anziani (DeVane e Nemeroff, 2001).Rispetto agli altri farmaci antipsicotici, in particolare quelli di prima generazione, quetiapina sembra essere lievemente meno efficace nel trattamento della dimensione

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 176 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 177

positiva della schizofrenia e trova indicazione in particolare in quei casi in cui un blocco massivo dei recettori dopaminergici è controindicato, come per esempio nei pazienti affetti da morbo di Parkinson oppure in quelli con elevata sensibilità agli effetti collate-rali extrapiramidali. Il moderato effetto antidepressivo la rende utile nel trattamento della dimensione affet-tiva sia nella schizofrenia, sia in caso di depressione in disturbo bipolare, nei casi in cui sia controindicato l’utilizzo di un farmaco antidepressivo o come terapia aggiuntiva. A basso dosaggio, ha un prevalente effetto sedativo, che può essere sfruttato per trattare agitazione o insonnia. Recentemente, inoltre, è stato dimostrato che quetiapina è l’an-tipsicotico associato al più basso tasso di mortalità nel trattamento dell’agitazione in pazienti con demenza (Kales et al., 2012).

RisperidoneRisperidone è una molecola con profilo farmacologico alquanto diverso da clozapina, con alta affinità per i recettori serotoninergici e moderata affinità per D2, H1, NE alpha1 e alpha2 e un meccanismo d’azione che a dosaggi più alti si avvicina a quello degli antipsico-tici di prima generazione, con elevati tassi di effetti collaterali extrapiramidali e aumento dei livelli di prolattina nel plasma. Sul manuale NbN viene classificato come TF: multi-funzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D2 e D3, NE alpha1 e alpha2, 5-HT2A e H1; a livello umano, invece, blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Come quetiapina, viene metabolizzato a livello epatico in un metabolita attivo che contribuisce anch’esso all’effetto terapeutico (López-Muñoz e Alamo, 2013). I livelli plasmatici di risperidone possono essere influenzati da induttori o inibitori del sistema del citocromo CYP 2D6, come paroxetina o fluoxetina. Modifiche del dosaggio sono necessarie in caso di insufficienza renale o epatica (Huang et al., 1993).Clinicamente è utile nella gestione dei sintomi positivi della schizofrenia e dei sintomi maniacali, associati o meno ad aggressività e agitazione, mentre non sembra avere un effetto significativo sulla dimensione cognitiva e negativa. In una recente metanalisi di comparazione diretta con gli altri antipsicotici di seconda generazione, si è rivelato lieve-mente meno efficace di clozapina e olanzapina e più efficace di quetiapina e risperidone. Tuttavia, come già menzionato sopra, gli elevati tassi di incidenza di effetti collaterali quali iperprolattinemia e disordini motori di tipo extrapiramidali, superiori rispetto ad altri farmaci, ne limitano l’utilizzo in molti pazienti (Komossa et al., 2011). È disponibile in formulazione depot.

ZiprasidoneIl profilo recettoriale di ziprasidone è caratterizzato da buona affinità per i recettori serotoninergici (5-HT2A, 5-HT2C) e da un meccanismo di agonismo parziale a livello di 5-HT1A. Il rapporto relativamente alto di affinità 5-HT2A/D2 garantisce un rischio

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 177 05/03/15 10:51

178 Capitolo 7

società tedesca di psichiatria, e successivamente ai contributi Kane nel 1988 e Meltzer nel 1992 e 1995, che documentarono la riduzione dei comportamenti suicidari in un limitato campione di pazienti trattati con clozapina, in confronto sia alle fasi in cui erano trattati con farmaci tradizionali sia a una popolazione di confronto. Studi poi conva-lidati da più ampie indagini hanno portato alla sua riapparizione a inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti, con l’approvazione della Food and Drug Administration. Oggi il suo uso è limitato ai casi di schizofrenia resistente e per la riduzione del rischio suici-dario nei pazienti schizofrenici e schizoaffettivi e in molti paesi europei e non europei il suo utilizzo rimane estremamente limitato. In questo capitolo mostreremo come la clozapina, sebbene sia un farmaco con eventi avversi potenzialmente molto gravi, sia il farmaco antipsicotico con maggiore efficacia e migliore impatto sull’aspettativa di vita del paziente schizofrenico.

Clozapina e impatto sull’aspettativa di vita del paziente schizofrenico Come ha mostrato un recente studio osservazionale della National Association of State Mental Health Program Directors, i pazienti con disturbi psichiatrici maggiori (tra cui i disturbi psicotici) muoiono in media 25 anni prima della media della popolazione gene-rale e, sebbene il suicidio e altre cause innaturali rendano conto di circa il 40% di queste morti, più del 60% di questi pazienti muore di morte prematura per cause naturali, quali patologie cardiovascolari e patologie polmonari (Tiihonen et al., 2012). È convin-zione diffusa che l’introduzione degli antipsicotici di seconda generazione durante i primi anni Novanta del secolo scorso abbia avuto un impatto negativo sulla mortalità dei pazienti schizofrenici, particolarmente a causa dell’aumento di morte per patologie cardiovascolari. Un importantissimo lavoro apparso nel 2011 sull’importante rivista Lancet, ha affrontato il tema dell’impatto degli antipsicotici sull’aspettativa di vita attraverso uno studio di follow-up su oltre 60.000 pazienti schizofrenici seguiti per una media di 11 anni (Tiihonen et al., 2012). Da questo studio emerge in primo luogo un dato che smentisce la convinzione che gli atipici abbiano ridotto l’aspettativa di vita dei pazienti schizofrenici. Emerge infatti che, sebbene l’uso di antipsicotici atipici nei pazienti schizofrenici sia cresciuto dal 13% nel 1996 al 64% nel 2006, l’aspettativa di vita di questa popolazione rispetto alla popolazione generale non è cambiata sostan-zialmente e rimane inferiore di 23-25 anni. Altro dato importante è che il rischio di morte è risultato più basso per i pazienti in trattamento con un farmaco antipsicotico rispetto a quelli non in trattamento con antipsicotici. Tuttavia il dato più interessante di questo studio riguarda appunto la clozapina. È emerso infatti che la clozapina è associata al più basso rischio di mortalità rispetto agli altri atipici e a tipici come la perfenazina. Inoltre, la clozapina è associata al più basso rischio suicidario rispetto a tutti gli altri antipsicotici. La differenza di mortalità legata all’uso di clozapina può essere attribuita a diversi fattori:

modesto di insorgenza di effetti collaterali extrapiramidali. Sul manuale NbN viene clas-sificato TF: multifunzionale e dopamina; MA: antagonista dei recettori per la dopamina e serotonina. Per quanto riguarda l’azione sui neurotrasmettitori, a livello preclinico è classificato come antagonista dei recettori D1, D2 e D3, NE alpha1, 5-HT2A, 5-HT2C, H-HT1B e 5-HT7, come parziale agonista dei recettori 5-HT1A e 5-HT1D e come debole inibitore di NET e SERT. A livello umano blocca i recettori centrali D2. Per quanto concerne i circuiti cerebrali non sono ancora disponibili dati indicativi. Un’altra carat-teristica propria di ziprasidone è una moderata affinità per i trasportatori della seroto-nina e della noradrenalina e un’azione minima a livello dei recettori istaminergici, con conseguente mancanza di effetti sedativi e di aumento ponderale. Allo stesso modo, a differenza di altri antipsicotici, ha poca affinità anche a livello dei recettori colinergici.Ziprasidone viene metabolizzato a livello epatico e possiede uno dei migliori profili di interazioni fra farmaci diversi. La biodisponibilità del farmaco è massima se sommi-nistrato durante i pasti. A dosaggi relativamente bassi (<120 mg/die) ha un’affinità maggiore per i recettori 5-HT2C rispetto ai D2, il che in alcuni casi risulta in effetti atti-vanti che possono portare fino a disforia e panico, compromettendo il quadro clinico del paziente; per tale motivo, potrebbe essere indicato utilizzare una dose d’attacco lieve-mente maggiore (Stahl e Shayegan, 2003). Infatti, un periodo di titolazione troppo lungo ha generalmente come risultato una scarsa efficacia del farmaco, dovuta a un insuffi-ciente bloccaggio dei recettori dopaminergici.In una metanalisi di qualche anno fa, tuttavia, ziprasidone è risultato inferiore in termini di efficacia rispetto ad altri antipsicotici come olanzapina e risperidone, mentre il tasso di drop-out durante gli studi è risultato invece maggiore. Ha mostrato invece un profilo di effetti collaterali vantaggioso, con scarsa insorgenza di effetti collaterali di tipo meta-bolico (Komossa et al., 2009).

Clozapina: una visione dettagliata

Il neglect della clozapinaLa clozapina è un farmaco unico tra gli antipsicotici in quanto è sostanzialmente privo di effetti extrapiramidali, è dotato di una maggiore efficacia sulla dimensione dei sintomi negativi ed è spesso associato a una migliore compliance. Questi e altri fattori, come mostrano le più recenti metanalisi, ne fanno l’antipsicotico oggi più efficace nella cura della schizofrenia. Tuttavia, oggi, il suo utilizzo rimane estremamente limitato e tutta la sua storia è stata caratterizzata da una sorta di continuo neglect. Sin dalla sua sintesi a fine anni Cinquanta, la clozapina era avvolta da un notevole scetticismo, dal momento che questa molecola non rispettava il dogma sull’efficacia antipsicotica che prediceva l’ef-ficacia di trattare i sintomi psicotici sulla capacità del farmaco di indurre sintomi extrapi-ramidali. Successivamente, dopo il report di 13 casi di pazienti con agranulocitosi acuta, la clozapina è sostanzialmente scomparsa dal mercato per riapparire soltanto dopo la revisione a opera di Krupp e Barnes e l’“assunzione della responsabilità”, da parte della

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 178 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 179

società tedesca di psichiatria, e successivamente ai contributi Kane nel 1988 e Meltzer nel 1992 e 1995, che documentarono la riduzione dei comportamenti suicidari in un limitato campione di pazienti trattati con clozapina, in confronto sia alle fasi in cui erano trattati con farmaci tradizionali sia a una popolazione di confronto. Studi poi conva-lidati da più ampie indagini hanno portato alla sua riapparizione a inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti, con l’approvazione della Food and Drug Administration. Oggi il suo uso è limitato ai casi di schizofrenia resistente e per la riduzione del rischio suici-dario nei pazienti schizofrenici e schizoaffettivi e in molti paesi europei e non europei il suo utilizzo rimane estremamente limitato. In questo capitolo mostreremo come la clozapina, sebbene sia un farmaco con eventi avversi potenzialmente molto gravi, sia il farmaco antipsicotico con maggiore efficacia e migliore impatto sull’aspettativa di vita del paziente schizofrenico.

Clozapina e impatto sull’aspettativa di vita del paziente schizofrenico Come ha mostrato un recente studio osservazionale della National Association of State Mental Health Program Directors, i pazienti con disturbi psichiatrici maggiori (tra cui i disturbi psicotici) muoiono in media 25 anni prima della media della popolazione gene-rale e, sebbene il suicidio e altre cause innaturali rendano conto di circa il 40% di queste morti, più del 60% di questi pazienti muore di morte prematura per cause naturali, quali patologie cardiovascolari e patologie polmonari (Tiihonen et al., 2012). È convin-zione diffusa che l’introduzione degli antipsicotici di seconda generazione durante i primi anni Novanta del secolo scorso abbia avuto un impatto negativo sulla mortalità dei pazienti schizofrenici, particolarmente a causa dell’aumento di morte per patologie cardiovascolari. Un importantissimo lavoro apparso nel 2011 sull’importante rivista Lancet, ha affrontato il tema dell’impatto degli antipsicotici sull’aspettativa di vita attraverso uno studio di follow-up su oltre 60.000 pazienti schizofrenici seguiti per una media di 11 anni (Tiihonen et al., 2012). Da questo studio emerge in primo luogo un dato che smentisce la convinzione che gli atipici abbiano ridotto l’aspettativa di vita dei pazienti schizofrenici. Emerge infatti che, sebbene l’uso di antipsicotici atipici nei pazienti schizofrenici sia cresciuto dal 13% nel 1996 al 64% nel 2006, l’aspettativa di vita di questa popolazione rispetto alla popolazione generale non è cambiata sostan-zialmente e rimane inferiore di 23-25 anni. Altro dato importante è che il rischio di morte è risultato più basso per i pazienti in trattamento con un farmaco antipsicotico rispetto a quelli non in trattamento con antipsicotici. Tuttavia il dato più interessante di questo studio riguarda appunto la clozapina. È emerso infatti che la clozapina è associata al più basso rischio di mortalità rispetto agli altri atipici e a tipici come la perfenazina. Inoltre, la clozapina è associata al più basso rischio suicidario rispetto a tutti gli altri antipsicotici. La differenza di mortalità legata all’uso di clozapina può essere attribuita a diversi fattori:

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 179 05/03/15 10:51

180 Capitolo 7

Utilizzo e neglect della clozapina in Europa e nel mondo Da quanto appena riportato ci si potrebbe aspettare che l’uso della clozapina sia larga-mente diffuso nel trattamento della schizofrenia. Tuttavia, se si vanno ad analizzare gli studi di farmacoepidemiologia appare evidente il sottoutilizzo della clozapina in Europa e nel resto del mondo. Per esempio, uno studio svolto in Inghilterra e Galles e pubbli-cato nel 2014 su oltre 5000 pazienti schizofrenici ha mostrato che, sebbene vi fosse un 23,7% di pazienti trattati con clozapina, circa il 40% di pazienti classificati come resi-stenti (ovvero non rispondenti ad almeno 2 trial con antipsicotici di cui almeno uno atipico) non aveva mai effettuato un trial con clozapina se pur non sussistessero condi-zioni mediche o psicopatologiche che ne controindicassero l’utilizzo (Patel et al., 2014). Al di fuori dell’Europa, l’uso della clozapina rimane addirittura ancora più limitato. È il caso per esempio degli Stati Uniti in cui un recente studio ha mostrato come l’uso di clozapina si attesti intorno al 2% (Gören et al., 2013). Anche in Canada la situazione non è migliore e uno studio del 2013 ha mostrato che la clozapina viene nella maggior parte dei casi introdotta in terapia dopo 3 o più trial con altri antipsicotici (anziché dopo 2 come suggeriscono le linee guide internazionali) e dopo una media di 7-9 anni dall’inizio del trattamento farmacologico (Alessi-Severini et al., 2013). Questi dati mettono in evidenza la presenza di un neglect della clozapina e mettono in luce le contraddizioni presenti nel trattamento dei pazienti schizofrenici. Basti pensare, infatti, che farmaci molto più prescritti della clozapina nei pazienti schizofrenici, come le benzodiazepine, aumentano la mortalità del paziente schizofrenico, come dimostrato da un recente studio su larga scala e pubblicato su una delle più importanti riviste psichia-triche (Tiihonen et al., 2012).

L’esperienza di “Clozapine Clinic” all’Università di FirenzeDa quanto detto nel precedente paragrafo viene da chiedersi quali possano essere le cause di questo sottoutilizzo della clozapina in ambito psichiatrico. Se da un lato vi è senz’altro un’influenza dell’industria nello sponsorizzare l’uso di più nuove molecole possedenti un valido brevetto, dall’altro vi è senza dubbio la complessità delle possibili reazioni avverse che il clinico può incontrare con la clozapina. Tuttavia, attraverso un periodico monito-raggio del paziente in terapia con clozapina (vedi paragrafo “Monitoraggio in fase acuta e cronica della clozapina”) tutte queste possibili reazioni avverse sono perfettamente controllabili e prevenibili. A tale fine, all’Università di Firenze abbiamo sviluppato la “Clozapine Clinic”, ovvero un servizio che si propone di ottimizzare questa opzione terapeutica attraverso un completo monitoraggio del trattamento ed educando ciascun paziente all’utilizzo di questo farmaco. Attraverso un’équipe di specialisti viene effettuato un monitoraggio plasmatico del farmaco, una valutazione cardiologica, elettroencefalografica, metabolica

1. intensità del monitoraggio del paziente in trattamento con clozapina; 2. maggiore efficacia della clozapina rispetto agli altri farmaci antipsicotici; 3. basso profilo di sicurezza degli altri antipsicotici; 4. una somma di tutti questi fattori.

Un ulteriore importante fattore esplicativo è rappresentato dal fatto che la clozapina si associa al più alto tasso di compliance al trattamento. Nel lungo periodo, infatti, una maggiore aderenza al trattamento può portare il paziente ad assumere uno stile di vita più salutare, che probabilmente e almeno in parte può compensare gli affetti avversi metabolici e cardiovascolari che senza dubbio anche la clozapina può indurre (Tiihonen et al., 2012). Tuttavia è opportuno dire che l’effetto sullo stile di vita potrebbe essere in parte anche diretto, in particolare per quanto riguarda l’uso di sostanze. Infatti, recenti studi mostrano come il tasso di tabagismo nei pazienti schizofrenici in terapia con clozapina sia inferiore a quello dei pazienti trattati con altri farmaci antipsicotici; inoltre, negli ultimi anni, diversi studi hanno mostrato come la clozapina sia in grado di ridurre l’abuso di sostanze, tra cui l’alcol, nei pazienti schizofrenici con abuso e dipendenza da sostanze (Wijesundera et al., 2014). Tale effetto è probabilmente spiegabile in base al meccanismo farmacodinamico della clozapina, caratterizzato da un diverso profilo dopaminergico rispetto agli altri antipsico-tici, e di conseguenza dal suo effetto modulatorio sui circuiti della gratificazione (Fig. 7.5). Recenti studi hanno infatti dimostrato che i pazienti schizofrenici trattati con clozapina mantengono una capacità di funzionamento dei circuiti della gratificazione maggiore rispetto ai pazienti trattati con farmaci antipsicotici caratterizzati da una maggiore affinità per i recettori D2 della dopamina, come per esempio l’aloperidolo (Wijesundera et al., 2014).

Efficacia della clozapina Nel 2013 è apparso su Lancet un’importante metanalisi in cui sono stati inclusi 212 studi coinvolgenti oltre 43.000 pazienti: lo studio ha messo a confronto 15 antipsicotici, 2 di prima generazione (aloperidolo e clorpromazina) e 13 di nuova generazione (Leucht et al., 2013). Da questo studio è chiaramente emerso che la clozapina è l’antipsicotico più efficace e tra quelli legati alla minore incidenza di discontinuità della terapia. Inoltre, è in assoluto il farmaco che induce il minor numero di effetti collaterali di tipo extrapiramidale.

Indicazioni cliniche per la clozapina (FDA)

• Schizofrenia resistente (mancata risposta a 2 o più trial con antipsicotici di cui almeno uno con un antipsicotico atipico) (indicazione FDA) • Riduzione del rischio suicidario in pazienti schizofrenici e/o schizoaffettivi (indicazione FDA) • Prevalenza di sintomi negativi • Prevalenza di sintomi cognitivi e scarso insight • Impulsività/aggressività• Presenza di sintomi extrapiramidali • Abuso di sostanze (nicotina)

FIGURA 7.5 Indicazioni cliniche per la clozapina.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 180 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 181

Utilizzo e neglect della clozapina in Europa e nel mondo Da quanto appena riportato ci si potrebbe aspettare che l’uso della clozapina sia larga-mente diffuso nel trattamento della schizofrenia. Tuttavia, se si vanno ad analizzare gli studi di farmacoepidemiologia appare evidente il sottoutilizzo della clozapina in Europa e nel resto del mondo. Per esempio, uno studio svolto in Inghilterra e Galles e pubbli-cato nel 2014 su oltre 5000 pazienti schizofrenici ha mostrato che, sebbene vi fosse un 23,7% di pazienti trattati con clozapina, circa il 40% di pazienti classificati come resi-stenti (ovvero non rispondenti ad almeno 2 trial con antipsicotici di cui almeno uno atipico) non aveva mai effettuato un trial con clozapina se pur non sussistessero condi-zioni mediche o psicopatologiche che ne controindicassero l’utilizzo (Patel et al., 2014). Al di fuori dell’Europa, l’uso della clozapina rimane addirittura ancora più limitato. È il caso per esempio degli Stati Uniti in cui un recente studio ha mostrato come l’uso di clozapina si attesti intorno al 2% (Gören et al., 2013). Anche in Canada la situazione non è migliore e uno studio del 2013 ha mostrato che la clozapina viene nella maggior parte dei casi introdotta in terapia dopo 3 o più trial con altri antipsicotici (anziché dopo 2 come suggeriscono le linee guide internazionali) e dopo una media di 7-9 anni dall’inizio del trattamento farmacologico (Alessi-Severini et al., 2013). Questi dati mettono in evidenza la presenza di un neglect della clozapina e mettono in luce le contraddizioni presenti nel trattamento dei pazienti schizofrenici. Basti pensare, infatti, che farmaci molto più prescritti della clozapina nei pazienti schizofrenici, come le benzodiazepine, aumentano la mortalità del paziente schizofrenico, come dimostrato da un recente studio su larga scala e pubblicato su una delle più importanti riviste psichia-triche (Tiihonen et al., 2012).

L’esperienza di “Clozapine Clinic” all’Università di FirenzeDa quanto detto nel precedente paragrafo viene da chiedersi quali possano essere le cause di questo sottoutilizzo della clozapina in ambito psichiatrico. Se da un lato vi è senz’altro un’influenza dell’industria nello sponsorizzare l’uso di più nuove molecole possedenti un valido brevetto, dall’altro vi è senza dubbio la complessità delle possibili reazioni avverse che il clinico può incontrare con la clozapina. Tuttavia, attraverso un periodico monito-raggio del paziente in terapia con clozapina (vedi paragrafo “Monitoraggio in fase acuta e cronica della clozapina”) tutte queste possibili reazioni avverse sono perfettamente controllabili e prevenibili. A tale fine, all’Università di Firenze abbiamo sviluppato la “Clozapine Clinic”, ovvero un servizio che si propone di ottimizzare questa opzione terapeutica attraverso un completo monitoraggio del trattamento ed educando ciascun paziente all’utilizzo di questo farmaco. Attraverso un’équipe di specialisti viene effettuato un monitoraggio plasmatico del farmaco, una valutazione cardiologica, elettroencefalografica, metabolica

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 181 05/03/15 10:51

182 Capitolo 7

glutammatergica. A queste caratteristiche va aggiunta la peculiarità del profilo di affinità per i recettori serotoninergici. Tutti questi profili farmacologici rendono la clozapina un farmaco assolutamente unico all’interno della famiglia degli antipsicotici. Nella Tabella 7.8 viene presentata una sintesi della farmacocinetica, della farmacodinamica e delle affinità recettoriali della clozapina.

Monitoraggio in fase acuta e cronica della clozapinaCome accennato precedentemente il management del paziente in cura con clozapina prevede un attento monitoraggio dei possibili effetti avversi riscontrabili nelle fasi iniziali e nel cronico. Qui di seguito illustreremo come iniziare e mantenere una terapia con clozapina mantenendo un alto profilo di sicurezza per il paziente e per il medico.Per prima cosa è opportuno dedicare una parentesi alla titolazione iniziale. La terapia con clozapina va iniziata a basso dosaggio (12,5-25 mg al giorno) e può essere succes-sivamente incrementata di 25-50 mg al giorno, se ben tollerata, fino a raggiungere un dosaggio complessivo di 35-400 mg o anche superiore se necessario. Qui di seguito una tabella che esemplifica un possibile modello di titolazione (Tab. 7.9).Mentre il monitoraggio plasmatico degli antipsicotici appare questionabile se non per valutarne la potenziale tossicità o le possibili interazioni farmacocinetiche, il dosaggio plasmatico della clozapina ha una rilevanza clinica supportata da diverse evidenze (Lopez e Kane, 2013). Per quanto riguarda la risposta alla clozapina diversi studi mostrano come il limite inferiore da raggiungere sia tra i 250 e i 400 ng/mL, ovvero sotto tale livello non vi si realizza l’effetto terapeutico del farmaco. Tuttavia, per il limite superiore, ovvero il livello plasmatico a cui poter arrivare in caso di mancata risposta, non vi sono ancora sufficienti evidenze né per l’efficacia clinica né per la tollerabilità, sebbene numerosi studi mostrino come livelli superiori ai 600 ng/mL aumentino significativamente il rischio epilettico (Remington et al., 2013). Inoltre, il dosaggio della clozapina è utile per il clinico dal momento che tipici stili di vita del paziente schizofrenico (uso di nicotina, caffeina, sedentarietà) e molti farmaci possono significativamente interagire con il metabolismo epatico della clozapina. Nonostante quanto appena detto, però, il dosaggio plasmatico

e psicometrica, ottenendo in questo modo uno stretto controllo dell’efficacia terapeutica e dell’insorgenza di tutte le possibili reazioni avverse legate alla terapia con clozapina. Dell’équipe fanno parte specialisti psichiatri, cardiologi, neurologi, neurofisiopatologi, endocrinologi, farmacologi e personale infermieristico specializzato.Il monitoraggio metabolico sarà volto a valutare le ripercussioni metaboliche della terapia con clozapina attraverso la valutazione del grasso corporeo e dell’insulino-resi-stenza, cercando di minimizzare e di intervenire precocemente sui dismetabolismi istau-ratisi. Alle famiglie e ai pazienti vengono inoltre fornite tutte le informazioni necessarie per poter condurre una dieta corretta e in grado di prevenire e minimizzare gli effetti del farmaco sul metabolismo e sull’alimentazione. Il monitoraggio cardiologico si avvale di uno studio elettrocardiografico ed ecocardio-grafico della funzione cardiaca. Vengono effettuate misurazioni elettroencefalografiche, neurofisiologiche e, infine, verranno somministrati test psicometrici volti a monitorare lo stato clinico, l’andamento terapeutico e l’insorgenza di effetti avversi. Il servizio si svolge in regime di day hospital presso la clinica universitaria psichiatrica dell’ospedale di Careggi e ha la durata complessiva di 2 giorni, nei quali vengono effettuati i prelievi, gli esami strumentali e le visite specialistiche necessarie al monitoraggio della terapia con clozapina.

L’unicità farmacologica della clozapinaLe clozapina è un farmaco assolutamente unico all’interno della famiglia degli antipsico-tici e la sua unicità risiede nella sue caratteristiche farmacologiche e nella popolazione di pazienti nella quale viene utilizzato. Infatti, la clozapina è il farmaco per la schizofrenia resistente, ovvero per quelle forme che non rispondono al trattamento con almeno altri due farmaci antipsicotici di cui almeno uno atipico. Da un punto di vista farmacologico il suo profilo farmacodinamico differisce in maniera sostanziale dagli altri atipici e si esplica in diverse caratteristiche. In primo luogo, sebbene negli anni sia sempre prevalsa l’idea della centralità dell’affinità recettoriale nel determinare l’effetto clinico del farmaco, recentemente è emersa l’importanza della temporalità del legame recettoriale, ovvero del tempo che il farmaco trascorre legato al recettore prima di dissociarsi da quest’ultimo. In questo aspetto, la clozapina possiede una sua unicità. Infatti, non solo possiede un peculiare antagonismo per i recettori D4 e una bassa affinità recettoriale per i recettori D2 rispetto agli altri antipsicotici di prima e seconda generazione, ma in maniera unica rispetto a tutti gli altri si lega con un meccanismo di “fast dissociation”, ovvero il legame al recettore e il distaccamento dal recettore avvengono in maniera rapida. Tale meccanismo è oggi considerato centrale nel trattamento dei sintomi psicotici e se da un lato rende conto dell’efficacia della clozapina dall’altro rende conto anche della bassissima incidenza di sintomi extrapiramidali indotti dalla clozapina. Inoltre, la clozapina ha un effetto pro-cognitivo che si esplica attraverso un’azione proglutammatergica mediata dall’au-mentato rilascio di glicina e un’azione del suo metabolita attivo di agonismo parziale sui recettori muscarinici M1 che incrementa anch’esso in via indiretta la trasmissione

Tabella 7.8 Farmacocinetica, farmacodinamica e profilo recettoriale della clozapina

Farmacocinetica Meccanismo d’azione Profilo recettorialePicco plasmatico dopo 2 ore Emivita di circa 12 oreMetabolismo epatico (CYP450,

isoforme 1A2 e 3A4)Un metabolita attivo

(N-desmetil-clozapina)

Fast Dissociation recettori D2Enhancing glutammatergico

via glicinaProfilo serotoninergicoAgonismo parziale del

metabolita attivo sui recettori muscarinici M1

Relativa bassa affinità D2 e alta affinità D4

Alta affinità per recettori serotoninergici (5-HT2A, 5-HT2B, 5-HT2C, 5-HT5)

Alta affinità recettori a1 e H1

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 182 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 183

glutammatergica. A queste caratteristiche va aggiunta la peculiarità del profilo di affinità per i recettori serotoninergici. Tutti questi profili farmacologici rendono la clozapina un farmaco assolutamente unico all’interno della famiglia degli antipsicotici. Nella Tabella 7.8 viene presentata una sintesi della farmacocinetica, della farmacodinamica e delle affinità recettoriali della clozapina.

Monitoraggio in fase acuta e cronica della clozapinaCome accennato precedentemente il management del paziente in cura con clozapina prevede un attento monitoraggio dei possibili effetti avversi riscontrabili nelle fasi iniziali e nel cronico. Qui di seguito illustreremo come iniziare e mantenere una terapia con clozapina mantenendo un alto profilo di sicurezza per il paziente e per il medico.Per prima cosa è opportuno dedicare una parentesi alla titolazione iniziale. La terapia con clozapina va iniziata a basso dosaggio (12,5-25 mg al giorno) e può essere succes-sivamente incrementata di 25-50 mg al giorno, se ben tollerata, fino a raggiungere un dosaggio complessivo di 35-400 mg o anche superiore se necessario. Qui di seguito una tabella che esemplifica un possibile modello di titolazione (Tab. 7.9).Mentre il monitoraggio plasmatico degli antipsicotici appare questionabile se non per valutarne la potenziale tossicità o le possibili interazioni farmacocinetiche, il dosaggio plasmatico della clozapina ha una rilevanza clinica supportata da diverse evidenze (Lopez e Kane, 2013). Per quanto riguarda la risposta alla clozapina diversi studi mostrano come il limite inferiore da raggiungere sia tra i 250 e i 400 ng/mL, ovvero sotto tale livello non vi si realizza l’effetto terapeutico del farmaco. Tuttavia, per il limite superiore, ovvero il livello plasmatico a cui poter arrivare in caso di mancata risposta, non vi sono ancora sufficienti evidenze né per l’efficacia clinica né per la tollerabilità, sebbene numerosi studi mostrino come livelli superiori ai 600 ng/mL aumentino significativamente il rischio epilettico (Remington et al., 2013). Inoltre, il dosaggio della clozapina è utile per il clinico dal momento che tipici stili di vita del paziente schizofrenico (uso di nicotina, caffeina, sedentarietà) e molti farmaci possono significativamente interagire con il metabolismo epatico della clozapina. Nonostante quanto appena detto, però, il dosaggio plasmatico

Tabella 7.8 Farmacocinetica, farmacodinamica e profilo recettoriale della clozapina

Farmacocinetica Meccanismo d’azione Profilo recettorialePicco plasmatico dopo 2 ore Emivita di circa 12 oreMetabolismo epatico (CYP450,

isoforme 1A2 e 3A4)Un metabolita attivo

(N-desmetil-clozapina)

Fast Dissociation recettori D2Enhancing glutammatergico

via glicinaProfilo serotoninergicoAgonismo parziale del

metabolita attivo sui recettori muscarinici M1

Relativa bassa affinità D2 e alta affinità D4

Alta affinità per recettori serotoninergici (5-HT2A, 5-HT2B, 5-HT2C, 5-HT5)

Alta affinità recettori a1 e H1

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 183 05/03/15 10:51

184 Capitolo 7

in un follow-up di oltre 5 anni dal registro americano della clozapina (Clozaril National Registry) su oltre 99.000 pazienti ha mostrato un tasso di leucopenia del 2,95% e di agranulocitosi dello 0,38% con una mortalità dello 0,012% (12 casi fatali). Tipicamente l’agranulocitosi si verifica entro i primi 6 mesi di trattamento e tipicamente avviene in maniera graduale (la rapida caduta dei globuli bianchi è un evento estremamente raro). Non è ancora chiaro se vi sia una predisposizione legata ai complessi di istocompatibilità, ma si è osservato che i pazienti che hanno agranulocitosi spesso possono ripresentare questo effetto nei tentativi di re-challange con clozapina. Tipicamente l’agranulocitosi recede alla sospensione in 2-3 settimane. Il monitoraggio ematologico di questi eventi avversi prevede che il paziente debba avere una conta dei globuli bianchi superiore ai 3500/mm3 e dei granulociti superiore a 2000/mm3 prima di iniziare il trattamento. È poi necessario monitorizzare l’emocromo settimanalmente per i primi 6 mesi e ogni 2 settimane per i successivi 6 mesi. Dopo un anno è possibile effettuare il monitoraggio ematico una volta al mese.Il secondo black box riguarda gli effetti avversi cardiaci e in particolare la miocardite. È frequente il riscontro di tachicardia e ipotensione nei pazienti in clozapina. Tali effetti sono attribuibili agli effetti rispettivamente anticolinergici e antiadrenergici del farmaco e sono comunemente benigni e maneggiabili tramite aggiustamento posologico (divi-dere le dosi del farmaco nel corso della giornata) e una titolazione lenta. È anche utile educare il paziente circa la probabilità di sviluppare ipotensione, inducendolo a prestare attenzione nei cambi di posizione da sdraiati a in piedi. La problematica di tali effetti collaterali risulta piuttosto nel fatto che spesso mascherano i sintomi di un effetto avverso ben più grave, ovvero la sopracitata miocardite. Tal evento appare tuttavia essere estremamente raro (0,1%) e spesso accompagnato da aumento della conta degli eosino-fili. Davanti quindi a un paziente con tachicardia, ipotensione e astenia, è opportuno valutare l’emocromo ed escludere se necessario la miocardite.Il terzo black box riguarda il rischio di crisi epilettiche. Tale evento avverso appare nel 5-10% dei pazienti trattati e non è ancora oggi chiara la causa. Appare correlato alla tito-lazione rapida e a dosaggi superiori a 600 mg al giorno. L’insorgenza di crisi convulsive è difficilmente prevedibile, ma effettuare un monitoraggio elettroencefalografico prima dell’inizio della terapia in pazienti con storia di traumi cranici, crisi febbrili, perdita di coscienza e altri fattori di rischio per epilessia, e monitorizzare nel tempo l’encefalo-

della clozapina viene effettuato raramente nella routine clinica, fatta eccezioni per i centri espressamente dedicati al monitoraggio dei pazienti in terapia con clozapina.Per quanto riguarda il monitoraggio vero e proprio del paziente in clozapina partiamo dal fatto che sulla clozapina pendono ben cinque “black box warning” della Food and Drug Administration, ovvero sono riportati almeno cinque effetti collaterali gravi da monitorizzare (Fig. 7.6). Il primo black box riguarda gli effetti collaterali ematologici e in particolare l’agranuloci-tosi (Fig. 7.7). Per agranulocitosi si intende una riduzione della conta dei neutrofili al di sotto dei 500/mm3. Tale evento è stato per la prima volta descritto nel 1977 in Finlandia su 17 pazienti e ha estromesso la clozapina dal mercato fino agli anni Novanta. Tuttavia, l’agranulocitosi è un evento, seppur potenzialmente letale, raro (avviene circa nell’1% dei pazienti trattati) e reversibile successivamente alla sospensione del farmaco. In realtà, i dati raccolti negli ultimi anni sulla clozapina mostrano dei tassi di effetti ematologici inferiori al classico 1% indicato dagli studi precedenti. Infatti, per esempio, i dati raccolti

Tabella 7.9 Possibile modello di titolazioneDose giorno (mg) Dose sera (mg) Dose totale

giornalieraPrima settimanaGiorno 1Giorno 2Giorno 3Giorno 4Giorno 5Giorno 6Giorno 7

12,5 252525505050

12,5 (opzionale)…25505075100

50255075100125150

Seconda settimanaGiorno 1Giorno 2Giorno 3Giorno 4Giorno 5Giorno 6Giorno 7

75100100100125150150

100100125150150150150

175200225250275300300

Black box warning della clozapina (FDA)

• Agranulocitosi • Convulsioni • Miocardite • Altri effetti cardiovascolari o respiratori (ipotensione, arresto respiratorio) • Aumento della mortalità in pazienti anziani con psicosi demenza-correlata

FIGURA 7.6 Black box warning della clozapina.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 184 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 185

in un follow-up di oltre 5 anni dal registro americano della clozapina (Clozaril National Registry) su oltre 99.000 pazienti ha mostrato un tasso di leucopenia del 2,95% e di agranulocitosi dello 0,38% con una mortalità dello 0,012% (12 casi fatali). Tipicamente l’agranulocitosi si verifica entro i primi 6 mesi di trattamento e tipicamente avviene in maniera graduale (la rapida caduta dei globuli bianchi è un evento estremamente raro). Non è ancora chiaro se vi sia una predisposizione legata ai complessi di istocompatibilità, ma si è osservato che i pazienti che hanno agranulocitosi spesso possono ripresentare questo effetto nei tentativi di re-challange con clozapina. Tipicamente l’agranulocitosi recede alla sospensione in 2-3 settimane. Il monitoraggio ematologico di questi eventi avversi prevede che il paziente debba avere una conta dei globuli bianchi superiore ai 3500/mm3 e dei granulociti superiore a 2000/mm3 prima di iniziare il trattamento. È poi necessario monitorizzare l’emocromo settimanalmente per i primi 6 mesi e ogni 2 settimane per i successivi 6 mesi. Dopo un anno è possibile effettuare il monitoraggio ematico una volta al mese.Il secondo black box riguarda gli effetti avversi cardiaci e in particolare la miocardite. È frequente il riscontro di tachicardia e ipotensione nei pazienti in clozapina. Tali effetti sono attribuibili agli effetti rispettivamente anticolinergici e antiadrenergici del farmaco e sono comunemente benigni e maneggiabili tramite aggiustamento posologico (divi-dere le dosi del farmaco nel corso della giornata) e una titolazione lenta. È anche utile educare il paziente circa la probabilità di sviluppare ipotensione, inducendolo a prestare attenzione nei cambi di posizione da sdraiati a in piedi. La problematica di tali effetti collaterali risulta piuttosto nel fatto che spesso mascherano i sintomi di un effetto avverso ben più grave, ovvero la sopracitata miocardite. Tal evento appare tuttavia essere estremamente raro (0,1%) e spesso accompagnato da aumento della conta degli eosino-fili. Davanti quindi a un paziente con tachicardia, ipotensione e astenia, è opportuno valutare l’emocromo ed escludere se necessario la miocardite.Il terzo black box riguarda il rischio di crisi epilettiche. Tale evento avverso appare nel 5-10% dei pazienti trattati e non è ancora oggi chiara la causa. Appare correlato alla tito-lazione rapida e a dosaggi superiori a 600 mg al giorno. L’insorgenza di crisi convulsive è difficilmente prevedibile, ma effettuare un monitoraggio elettroencefalografico prima dell’inizio della terapia in pazienti con storia di traumi cranici, crisi febbrili, perdita di coscienza e altri fattori di rischio per epilessia, e monitorizzare nel tempo l’encefalo-

Agranulocitosi

• Reazione avversa di tipo B, idiosincrasica, non prevedibile • Dose-indipendente sebbene si siano segnalati alcuni istotipi (HLA) maggiormenti associati • La riduzione dei globuli bianchi può manifestarsi con:

• leucopenia <3500 GB/mm3 con granulociti intorno ai 1500/mm3 • neutropenia <1500 granulociti /mm3 ma più di 500/mm3

• agranulocitosi con <500 granulociti/mm3

FIGURA 7.7 Agranulocitosi e clozapina.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 185 05/03/15 10:51

186 Capitolo 7

La clozapina come ogni altro farmaco, in virtù del suo profilo farmacodinamico e farma-cocinetico, presenta una serie di condizioni cliniche e/o fisiologiche che ne controindi-cano in maniera assoluta o relativa il suo utilizzo. Nella Figura 7.8 sono riportate le prin-cipali controindicazioni all’uso della clozapina.

gramma, può essere un intervento utile ad abbassare il rischio di sviluppo improvviso di crisi epilettiche. Davanti al reperto di anomalie elettroencefalografiche la decisione di continuare la terapia con clozapina deve essere attentamente ponderata ed eventual-mente accompagnata da terapia profilattica con acido valproico o topiramato, che visto il suo minore impatto metabolico rispetto al valproato si considera da preferire. Il quarto black box riguarda gli altri effetti avversi cardiovascolari e respiratori. Tali eventi avversi risultano relativamente rari e consistono in cardiomiopatie, prolungamento del QTc e alterazioni aspecifiche del ritmo cardiaco, per quanto riguarda il versante cardio-logico, e in depressione respiratoria, per quanto riguarda il versante respiratorio (molto spesso nei casi descritti è associata all’uso di benzodiazepine). Il quinto black box riguarda l’uso nei pazienti anziani con sintomi psicotici correlati alla demenza. In questa popolazione l’uso della clozapina è controindicato in quanto diversi studi hanno mostrato come aumenti il rischio di morte improvvisa, verosimilmente per gli effetti collaterali cardiovascolari. Altri effetti collaterali rilevanti in cui occorre un attento monitoraggio e management sono l’aumento di peso e, conseguentemente, l’alterazione del metabolismo glicidico, che arriva fino al diabete conclamato, e del metabolismo lipidico, che spesso si associa a iper-colesterolemia e ipertrigliceridemia. La clozapina, insieme a olanzapina, è tra gli atipici una delle sostanze che più si associa a incremento ponderale. Tale evento va tenuto bene in mente nel momento in cui si educa il paziente al farmaco e bisogna incentivare stili di vita che prevedano una regolare attività fisica. Inoltre, il periodico controllo dell’indice di massa corporea e la periodica misurazione dei livelli ematici di glucosio, colesterolo e trigliceridi sono semplici presidi che permettono un corretto e tempestivo intervento sull’instaurasi di una sindrome metabolica.A livello gastrointestinale gli effetti avversi da tenere in considerazione sono la costipa-zione e la colite eosinofila. La costipazione è un effetto avverso dovuto all’effetto anti-colinergico e spesso il suo management può essere effettuato incrementando l’attività fisica del soggetto, variandone il regime alimentare e, laddove necessario, con l’uso di lassativi. La colite eosinofila è un evento immuno-mediato più raro, ma da sospettare e da escludere con l’ausilio degli esami ematici e con la conta dei granulociti, davanti a una sintomatologia gastrointestinale associata o meno a sintomi sistemici.Due effetti avversi molto comuni sono la sedazione e la scialorrea. La sedazione è larga-mente imputabile all’attività antistaminica della clozapina e spesso la si riesce a gestire aggiustando la divisione della posologia nel corso della giornata e utilizzando una lenta modalità di titolazione. La scialorrea è verosimilmente imputabile all’effetto sui recettori a-adrenergici e spesso può diventare un effetto collaterale mal tollerabile dal paziente; i momenti più intensi sono tipicamente alla sera e, pertanto, è utile educare il paziente a dormire con un fazzoletto sul cuscino. Infine annoveriamo tra gli altri possibili effetti la febbre, che spesso insorge nelle fasi iniziali del trattamento, effetti collaterali sessuali, come priapismo e impotenza, e una relativamente rara epatotossicità. La gestione di tali effetti varia da soggetto a soggetto e spesso necessita di interventi mirati. I principali effetti collaterali e il loro management sono riassunti nella Tabella 7.10.

Tabella 7.10 Possibili effetti collaterali e managementEffetto avverso Monitoraggio e managementAgranulocitosi Conta leucocitaria prima di iniziare terapia

Monitoraggio dell’emocromo settimanale per 6 mesi, bisettimanale per altri 6 mesi, mensile dopo il primo anno. In caso di agranulocitosi sospensione del farmaco

Miocardite Valutazione dei sintomi cardiovascolari, elettrocardiogramma e conta degli eosinofili. In caso di miocardite sospensione del farmaco

Crisi convulsive Elettroencefalogramma basale e periodico in soggetti con fattori di rischio per epilessia. In caso di crisi sospensione del farmaco e reinserimento, se necessario, associato a antiepilettici (valproato o topiramato)

Aumento ponderale, diabete e dislipidemie

Monitorizzare dell’indice di massa corporea e metabolismo glicidico e lipidico. Educare su stile di vita

Sedazione e scialorrea Dividere in più somministrazione la dose giornaliera ed effettuare una lenta titolazione

Ipotensione ortostatica e tachicardia

Educare il paziente a tale sintomo in modo che presti attenzione e cautela ai passaggi da clino- a ortostatismo

Costipazione e colite eosinofila

Variare il regime alimentare e incrementare l’attività fisica. Davanti a sintomi gastrointestinali e sistemici pensare a colite eosinofila ed effettuare esami ematici

Priapismo Talvolta grave al punto da richiedere intervento chirurgico decompressivo. Descritti casi complessi efficacemente trattati con gorselin (agonista del GnRH che riduce i livelli di testosterone)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 186 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 187

La clozapina come ogni altro farmaco, in virtù del suo profilo farmacodinamico e farma-cocinetico, presenta una serie di condizioni cliniche e/o fisiologiche che ne controindi-cano in maniera assoluta o relativa il suo utilizzo. Nella Figura 7.8 sono riportate le prin-cipali controindicazioni all’uso della clozapina.

Tabella 7.10 Possibili effetti collaterali e managementEffetto avverso Monitoraggio e managementAgranulocitosi Conta leucocitaria prima di iniziare terapia

Monitoraggio dell’emocromo settimanale per 6 mesi, bisettimanale per altri 6 mesi, mensile dopo il primo anno. In caso di agranulocitosi sospensione del farmaco

Miocardite Valutazione dei sintomi cardiovascolari, elettrocardiogramma e conta degli eosinofili. In caso di miocardite sospensione del farmaco

Crisi convulsive Elettroencefalogramma basale e periodico in soggetti con fattori di rischio per epilessia. In caso di crisi sospensione del farmaco e reinserimento, se necessario, associato a antiepilettici (valproato o topiramato)

Aumento ponderale, diabete e dislipidemie

Monitorizzare dell’indice di massa corporea e metabolismo glicidico e lipidico. Educare su stile di vita

Sedazione e scialorrea Dividere in più somministrazione la dose giornaliera ed effettuare una lenta titolazione

Ipotensione ortostatica e tachicardia

Educare il paziente a tale sintomo in modo che presti attenzione e cautela ai passaggi da clino- a ortostatismo

Costipazione e colite eosinofila

Variare il regime alimentare e incrementare l’attività fisica. Davanti a sintomi gastrointestinali e sistemici pensare a colite eosinofila ed effettuare esami ematici

Priapismo Talvolta grave al punto da richiedere intervento chirurgico decompressivo. Descritti casi complessi efficacemente trattati con gorselin (agonista del GnRH che riduce i livelli di testosterone)

Controindicazioni

• Storia di ipersensibilità e/o reazioni avverse al farmaco • Malattie mieloproliferative• Sindromi epilettiche non controllate• Ileo paralitico• Granulocitopenia• Terapia in atto con farmaci potenzialmente mielo-soppressivi • Stati comatosi e/o stati di depressione del sistema nervosa centrale• Insufficienza d’organo (epatica e/o renale e/o cardiaca)• Gravidanza (da valutare di volta in volta, ma sconsigliato)• Età inferiore a 16 anni

FIGURA 7.8 Controindicazioni all’uso della clozapina.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 187 05/03/15 10:51

188 Capitolo 7

mazina equivalente” per stimare la comparabilità di due trattamenti diversi. Ogni mole-cola ha “un’impronta” recettoriale diversa, ha caratteristiche di assorbimento e velocità di smaltimento diverse, ha interazioni farmacologiche diverse: non è più quindi giustifi-cabile l’utilizzo indiscriminato di questo tipo di farmaci. Oltre a ciò andranno valutate le caratteristiche individuali: l’età, il sesso, i pattern di familiarità e comorbidità, a livello sia psichiatrico sia somatico; non ultime anche le aspettative del paziente riguardo alla terapia. A titolo di esempio, l’utilizzo di olanza-pina come farmaco di prima scelta in una giovane paziente al primo episodio andrebbe generalmente evitato, visto l’effetto deleterio della molecola in termini di aumento di peso; ugualmente, andrebbe evitato in un paziente di 60 anni, fumatore e con un inizio di alterazione del metabolismo. Allo stesso modo, in un paziente affetto da morbo di Parkinson, saranno da evitare quei farmaci con uno spiccato impatto a livello motorio (aloperidolo, risperidone) e andranno preferiti altri con affinità minore verso i recettori dopaminergici, come clozapina o quetiapina.Le varie fasi della malattia hanno caratteristiche cliniche diverse, pongono al medico questioni differenti e, conseguentemente, anche il trattamento ha bisogno di essere modulato. Nel DSM-5®, viene richiesto infatti di specificare nella diagnosi se si tratta di un episodio singolo o multipli, se in remissione parziale o completa ecc. Durante la fase acuta di malattia, l’obiettivo primario è il controllo dei sintomi, in parti-colare agitazione o eccitamento maniacale, manifestazioni psicotiche, nonché la gestione del rischio di auto- o etero-aggressività, particolarmente alto in questi momenti. Dovranno quindi essere utilizzate molecole velocemente efficaci e che garantiscano un buon controllo dei sintomi positivi: la pianificazione del trattamento a breve termine deve servire quindi anche a gettare le basi per una relazione terapeutica efficace per il trattamento a lungo termine, che ha come obiettivi il mantenimento dello stato di remissione dei sintomi, ed eventualmente la loro scomparsa totale, il mantenimento del miglior funzionamento possibile, sia sociale sia lavorativo, del paziente e di una ottima qualità di vita, senza dimenticare il monitoraggio di eventuali effetti collaterali. Tutto questo è difficile, senza una buona compliance da parte del paziente, quindi una buona psicoeducazione e una buona relazione terapeutica sono indispensabili, come in certi casi lo sono anche interventi psicosociali mirati. Da un punto di vista più strettamente farmacologico andranno utilizzati farmaci che garantiscano un ottimale rapporto fra efficacia ed effetti collaterali, basandosi in particolare sui pattern di precedente risposta o meno al trattamento, alle caratteristiche dei singoli farmaci e, non ultime, anche le preferenze del paziente. Anche i dosaggi andranno rivalutati in questi termini. Maggiori difficoltà si incontrano però nel trattamento dei sintomi residui della malattia, preva-lentemente delle dimensioni cognitiva e negativa, molto spesso presenti nonostante una buona terapia di mantenimento. Clozapina, amisulpride, risperidone e olanzapina sembrano essere superiori nel trattamento dei sintomi negativi rispetto agli antipsicotici di prima generazione (Leucht et al., 2009), mentre l’utilizzo di antidepressivi in aggiunta può essere un’alternativa, anche se non vi sono evidenze conclusive. Gli effetti collaterali sulla sfera cognitiva devono invece essere minimizzati utilizzando molecole con scarso effetto anticolinergico (per esempio aripiprazolo), o diminuendo il dosaggio del farmaco

Antipsicotici e rischio metabolico e cardiovascolareUn importante aspetto da considerare quando si imposta una terapia con antipsicotici è l’impatto, ormai accertato, che hanno sul rischio di causare disordini a livello meta-bolico e cardiovascolare. Inizialmente, sembrava che gli unici effetti collaterali a questo livello potessero essere l’aumento di peso e l’obesità; in realtà, da qualche anno è ormai chiaro che esiste un’associazione fra questa classe di farmaci e un aumento dei tassi di dislipidemia, diabete, eventi cardiaci, in particolare per alcuni composti quali cloza-pina, olanzapina, quetiapina. Il meccanismo di questo aumento di peso indotto dagli antipsicotici non è ancora chiaro, ma è molto probabilmente dovuto a modificazioni di appetito e sazietà mediati dai recettori H1 e 5-HT2C. A questi si aggiungono fattori ambientali (dieta scorretta, scarsa attività fisica, fumo) e genetici, andando a costituire un quadro molto complesso e non scevro di conseguenze gravi; circa la metà dei pazienti con diagnosi di schizofrenia rientra nei criteri di obesità e il rischio di questi pazienti di sviluppare diabete mellito di tipo II è circa il doppio di quello della popolazione gene-rale (Newcomer, 2007; Dixon et al., 2000). Inoltre, il semplice aumento di peso correlato all’utilizzo di alcuni antipsicotici è un importante fattore di non aderenza al trattamento, che si riflette quindi direttamente sulla prognosi del disturbo. A livello cardiovascolare, oltre all’aumento del rischio dovuto ai fattori metabolici sopra menzionati, si può osservare un aumento del rischio di ipotensione ortostatica e di tachicardia sinusale, rispettivamente dovute all’interazione con i recettori adrenergici e colinergici. Tuttavia, un grave effetto collaterale, sebbene più raro, è l’aumento dell’in-tervallo QTc che può portare, se non monitorato, ad aritmie cardiache potenzialmente fatali. Le molecole maggiormente associate sono aloperidolo e ziprasidone: andrebbero quindi evitate associazioni fra queste e altri farmaci con effetto sul QTc, come gli antide-pressivi. L’utilizzo di clozapina, invece, sembra essere associato in maniera significativa a possibili effetti cardiotossici, anche se i tassi di cardiomiopatie gravi sono bassi.

Trattamento individualizzato e fase-specifico È ormai chiaro che l’approccio alla farmacologia e al trattamento delle psicosi (come anche quello di altri disturbi) è cambiato e che un cambio di un paradigma nel conside-rare le opzioni terapeutiche deve essere messo in pratica in maniera più strutturata.Come già espresso nei paragrafi precedenti, la distinzione originaria fra antipsicotici di prima e seconda generazione non ha più senso di esistere, vista la solo ormai dubbia superiorità in termini di efficacia assoluta dei secondi sui primi. Nonostante questo, i più complessi profili farmacologici degli antipsicotici “atipici” ne consentono un utilizzo più flessibile e modulabile, a seconda delle caratteristiche del singolo paziente; ciò permette di smettere di utilizzare il farmaco in maniera “monodimensionale”, in cui l’unica varia-bile in questione è il dosaggio, superando quindi definitivamente il concetto di “clorpro-

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 188 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 189

mazina equivalente” per stimare la comparabilità di due trattamenti diversi. Ogni mole-cola ha “un’impronta” recettoriale diversa, ha caratteristiche di assorbimento e velocità di smaltimento diverse, ha interazioni farmacologiche diverse: non è più quindi giustifi-cabile l’utilizzo indiscriminato di questo tipo di farmaci. Oltre a ciò andranno valutate le caratteristiche individuali: l’età, il sesso, i pattern di familiarità e comorbidità, a livello sia psichiatrico sia somatico; non ultime anche le aspettative del paziente riguardo alla terapia. A titolo di esempio, l’utilizzo di olanza-pina come farmaco di prima scelta in una giovane paziente al primo episodio andrebbe generalmente evitato, visto l’effetto deleterio della molecola in termini di aumento di peso; ugualmente, andrebbe evitato in un paziente di 60 anni, fumatore e con un inizio di alterazione del metabolismo. Allo stesso modo, in un paziente affetto da morbo di Parkinson, saranno da evitare quei farmaci con uno spiccato impatto a livello motorio (aloperidolo, risperidone) e andranno preferiti altri con affinità minore verso i recettori dopaminergici, come clozapina o quetiapina.Le varie fasi della malattia hanno caratteristiche cliniche diverse, pongono al medico questioni differenti e, conseguentemente, anche il trattamento ha bisogno di essere modulato. Nel DSM-5®, viene richiesto infatti di specificare nella diagnosi se si tratta di un episodio singolo o multipli, se in remissione parziale o completa ecc. Durante la fase acuta di malattia, l’obiettivo primario è il controllo dei sintomi, in parti-colare agitazione o eccitamento maniacale, manifestazioni psicotiche, nonché la gestione del rischio di auto- o etero-aggressività, particolarmente alto in questi momenti. Dovranno quindi essere utilizzate molecole velocemente efficaci e che garantiscano un buon controllo dei sintomi positivi: la pianificazione del trattamento a breve termine deve servire quindi anche a gettare le basi per una relazione terapeutica efficace per il trattamento a lungo termine, che ha come obiettivi il mantenimento dello stato di remissione dei sintomi, ed eventualmente la loro scomparsa totale, il mantenimento del miglior funzionamento possibile, sia sociale sia lavorativo, del paziente e di una ottima qualità di vita, senza dimenticare il monitoraggio di eventuali effetti collaterali. Tutto questo è difficile, senza una buona compliance da parte del paziente, quindi una buona psicoeducazione e una buona relazione terapeutica sono indispensabili, come in certi casi lo sono anche interventi psicosociali mirati. Da un punto di vista più strettamente farmacologico andranno utilizzati farmaci che garantiscano un ottimale rapporto fra efficacia ed effetti collaterali, basandosi in particolare sui pattern di precedente risposta o meno al trattamento, alle caratteristiche dei singoli farmaci e, non ultime, anche le preferenze del paziente. Anche i dosaggi andranno rivalutati in questi termini. Maggiori difficoltà si incontrano però nel trattamento dei sintomi residui della malattia, preva-lentemente delle dimensioni cognitiva e negativa, molto spesso presenti nonostante una buona terapia di mantenimento. Clozapina, amisulpride, risperidone e olanzapina sembrano essere superiori nel trattamento dei sintomi negativi rispetto agli antipsicotici di prima generazione (Leucht et al., 2009), mentre l’utilizzo di antidepressivi in aggiunta può essere un’alternativa, anche se non vi sono evidenze conclusive. Gli effetti collaterali sulla sfera cognitiva devono invece essere minimizzati utilizzando molecole con scarso effetto anticolinergico (per esempio aripiprazolo), o diminuendo il dosaggio del farmaco

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 189 05/03/15 10:51

190 Capitolo 7

Tuttavia, una gran mole di dati indica che per un adeguato trattamento della schizo-frenia sono necessarie terapie a lungo termine e, soprattutto, che il predittore di ricaduta più consistente è la non aderenza alla trattamento, in particolare durante i primi episodi (Robinson et al., 1999), quando il paziente è meno consapevole delle implicazioni della malattia e quando è più probabile che avvenga una remissione dei sintomi relativamente veloce, portando conseguentemente il paziente a una precoce interruzione della terapia. Al momento sono disponibili quattro molecole in formulazione iniettabile a lunga durata d’azione (risperidone, paliperidone, olanzapina, aripiprazolo), le cui caratteristiche farmacologiche non variano dai rispettivi corrispondenti orali, consentendo quindi al medico di poter scegliere la molecola più adatta per ogni singolo paziente. Nonostante vi sia una relativa scarsità di studi in questo ambito, vi sono evidenze incon-futabili riguardo all’efficacia e alla sicurezza di tali composti (Rauch e Fleischhacker, 2013), anche se la superiorità rispetto alle formulazioni orali non è ancora interamente dimostrata; tuttavia, il disegno degli studi controllati (nonché le popolazioni studiate) differisce in maniera sostanziale dalla pratica clinica, a volte rendendone i risultati diffi-cilmente trasferibili. Inoltre, la maggior parte degli studi, anche quelli a lungo termine, prevede probabilmente un periodo di follow-up non sufficientemente esteso da poter mettere in evidenza gli effetti e i vantaggi di questi composti. I pazienti più indicati per un trattamento con depot sono in primo luogo quelli che hanno più difficoltà a mantenere un’adeguata aderenza al piano terapeutico, per esempio in casi di comorbidità con abuso di sostanze o in contesti sociali e familiari precari e non supportivi. I vantaggi sono evidenti: una maggiore efficacia della terapia e possibilità di una miglior gestione clinica in caso di ricaduta, potendo in questi casi sicuramente esclu-dere l’ipotesi, frequente, dell’interruzione dell’assunzione da parte del paziente. Inoltre, si rivela utile anche nel miglioramento delle dinamiche familiari e con i caregiver, molto spesso coinvolti in prima linea nella gestione delle cure del paziente, sui quali grava quindi un carico psicologico non indifferente. Come già accennato sopra, nonostante vi sia la necessità di ottenere maggiori evidenze scien-tifiche, l’utilizzo di depot potrebbe risultare particolarmente utile anche per il trattamento dei primi episodi, casi in cui è più frequente una prematura sospensione del trattamento e che coinvolgono molto spesso soggetti giovani, che troverebbero particolari vantaggi in una gestione terapeutica che li dispensa dall’assunzione giornaliera di farmaci per os. Anche nei casi di schizofrenia resistente al trattamento, quando la compliance è indubbia, sarebbe teoricamente giustificato un trattamento con formulazioni a lunga durata d’azione, in quanto tale condizione potrebbe essere il risultato di ridotta biodisponibi-lità, scarso assorbimento, o veloce metabolismo del farmaco per os; tuttavia, anche in questi ulteriori dati sono necessari per validare questo tipo di utilizzo. Allo stato attuale delle cose le principali linee guida (NICE Guidelines, 2002; The Texas Medication Algorithm, 2006; American Psychiatric Association Guidelines, 2004) sugge-riscono concordemente l’utilizzo di depot in caso di preferenza da parte del paziente, quando la gestione della non compliance sia causa di frequenti ricadute o di sintomi persistenti e sia quindi una priorità clinica (in qualsiasi fase della malattia). Per quanto

antipsicotico. Non vi sono evidenze sull’utilità di trattamenti con farmaci pro-cognitivi, mentre le terapie di stimolazione (rTMS, tDCS) appaiono più promettenti per un’even-tuale utilizzo futuro in questo ambito (vedi il Capitolo 13).Pochi dati ci sono riguardo all’utilizzo di antipsicotici per la prevenzione delle ricadute, ma una recente metanalisi ne attesta la superiorità rispetto al placebo, nonostante vi sia il bisogno di ulteriori studi per valutare i rischi dell’utilizzo di questi farmaci a lungo termine (Leucht et al., 2012).Per quanto riguarda il trattamento delle forme prodromiche ancora non vi sono evidenze sufficienti per poter giustificare un intervento con farmaci antipsicotici, mentre risul-tati moderatamente positivi sono stati ottenuti con l’utilizzo di acidi grassi omega-3 e tecniche di cognitive remediation (Fleischhacker et al., 2012).In conclusione, nessun farmaco è uguale a un altro, come nessun paziente è simile a un altro: il clinico esperto deve quindi modellare il trattamento su ogni singolo individuo; il presupposto per fare ciò è un utilizzo flessibile e multimodale dei farmaci attualmente a disposizione (Fig. 7.9).

Il trattamento con formulazioni a lunga durata d’azioneUn’ulteriore opzione di trattamento, spesso non sufficientemente valutata, è quella che concerne l’utilizzo di formulazioni iniettabili intramuscolo di composti antipsicotici a lunga durata d’azione (2-4 settimane). I primi farmaci di questo tipo sono stati intro-dotti sul mercato pochi anni dopo l’avvento degli antipsicotici di prima generazione (per esempio aloperidolo decanoato), ma il loro utilizzo era prevalentemente limitato a casi di malattia ormai cronicizzata e di difficile gestione. L’avvento degli antipsicotici atipici ha successivamente ridotto ancora di più il loro utilizzo nella routine clinica. Inoltre, il fatto di essere somministrati per via iniettiva aumenta la stigmatizzazione di tali terapie farmacologiche, viste erroneamente come coercitive, e ne limita l’utilizzo da parte del clinico, in mancanza di un’adeguata psicoeducazione del paziente.

Processo decisionale nella scelta di un farmaco antipsicotico

• Valutazione della fase di malattia e dell’episodio corrente• Valutazione delle comorbidità del paziente• Valutazione delle dimensioni prevalenti (negativa, positiva)• Valutazione del setting (ambulatoriale, regime di ricovero)• Valutazione di farmacocinetica (emivita, assorbimento), farmacodinamica, target d’azione del farmaco, modo d’azione del farmaco• Valutazione delle caratteristiche individuali (età, sesso, suscettibilità a determinati effetti collaterali)• Scelta del farmaco• In fase di stato rivalutare comorbidità eventuali precipitate dalla cura oppure prodromiche riemergenti.

Sempre in fase di stato, riduzione della dose della fase acuta con dimezzamento della stessa ogni 2-3 mesi, fino a dose “minima” che consenta comunque il controllo dei sintomi.

FIGURA 7.9 Processo decisionale nella scelta di un farmaco antipsicotico.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 190 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 191

Tuttavia, una gran mole di dati indica che per un adeguato trattamento della schizo-frenia sono necessarie terapie a lungo termine e, soprattutto, che il predittore di ricaduta più consistente è la non aderenza alla trattamento, in particolare durante i primi episodi (Robinson et al., 1999), quando il paziente è meno consapevole delle implicazioni della malattia e quando è più probabile che avvenga una remissione dei sintomi relativamente veloce, portando conseguentemente il paziente a una precoce interruzione della terapia. Al momento sono disponibili quattro molecole in formulazione iniettabile a lunga durata d’azione (risperidone, paliperidone, olanzapina, aripiprazolo), le cui caratteristiche farmacologiche non variano dai rispettivi corrispondenti orali, consentendo quindi al medico di poter scegliere la molecola più adatta per ogni singolo paziente. Nonostante vi sia una relativa scarsità di studi in questo ambito, vi sono evidenze incon-futabili riguardo all’efficacia e alla sicurezza di tali composti (Rauch e Fleischhacker, 2013), anche se la superiorità rispetto alle formulazioni orali non è ancora interamente dimostrata; tuttavia, il disegno degli studi controllati (nonché le popolazioni studiate) differisce in maniera sostanziale dalla pratica clinica, a volte rendendone i risultati diffi-cilmente trasferibili. Inoltre, la maggior parte degli studi, anche quelli a lungo termine, prevede probabilmente un periodo di follow-up non sufficientemente esteso da poter mettere in evidenza gli effetti e i vantaggi di questi composti. I pazienti più indicati per un trattamento con depot sono in primo luogo quelli che hanno più difficoltà a mantenere un’adeguata aderenza al piano terapeutico, per esempio in casi di comorbidità con abuso di sostanze o in contesti sociali e familiari precari e non supportivi. I vantaggi sono evidenti: una maggiore efficacia della terapia e possibilità di una miglior gestione clinica in caso di ricaduta, potendo in questi casi sicuramente esclu-dere l’ipotesi, frequente, dell’interruzione dell’assunzione da parte del paziente. Inoltre, si rivela utile anche nel miglioramento delle dinamiche familiari e con i caregiver, molto spesso coinvolti in prima linea nella gestione delle cure del paziente, sui quali grava quindi un carico psicologico non indifferente. Come già accennato sopra, nonostante vi sia la necessità di ottenere maggiori evidenze scien-tifiche, l’utilizzo di depot potrebbe risultare particolarmente utile anche per il trattamento dei primi episodi, casi in cui è più frequente una prematura sospensione del trattamento e che coinvolgono molto spesso soggetti giovani, che troverebbero particolari vantaggi in una gestione terapeutica che li dispensa dall’assunzione giornaliera di farmaci per os. Anche nei casi di schizofrenia resistente al trattamento, quando la compliance è indubbia, sarebbe teoricamente giustificato un trattamento con formulazioni a lunga durata d’azione, in quanto tale condizione potrebbe essere il risultato di ridotta biodisponibi-lità, scarso assorbimento, o veloce metabolismo del farmaco per os; tuttavia, anche in questi ulteriori dati sono necessari per validare questo tipo di utilizzo. Allo stato attuale delle cose le principali linee guida (NICE Guidelines, 2002; The Texas Medication Algorithm, 2006; American Psychiatric Association Guidelines, 2004) sugge-riscono concordemente l’utilizzo di depot in caso di preferenza da parte del paziente, quando la gestione della non compliance sia causa di frequenti ricadute o di sintomi persistenti e sia quindi una priorità clinica (in qualsiasi fase della malattia). Per quanto

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 191 05/03/15 10:51

192 Capitolo 7

nismi neurotrasmettitoriali ha permesso di individuare nuovi target per le cure farmaco-logiche, che tuttavia non devono e non possono essere considerati come risultati defini-tivi. Essi rappresentano piuttosto un punto di partenza per ampliare le conoscenze, alla luce di un netto cambiamento di metodo rispetto alla precedente impostazione di ricerca farmacologica: adesso sappiamo che cosa e dove cercare.Un esempio di particolare utilità in questo ambito è costituito dalla griglia del progetto Research Domain Criteria (RDoC) elaborata dal National Institute of Mental Health (NIMH) con la proposta di guardare ai disturbi psichiatrici in maniera più integrata ed esaustiva possibile.

StagingSia per la schizofrenia sia per il disturbo bipolare sono stati proposti modelli di staging (o stadiazione) di malattia, (Feinstein, 1982) (per un maggiore approfondimento vedi Cosci e Fava, 2013) discussi anche per la depressione unipolare, il disturbo di panico, i disturbi correlati a sostanze e i disturbi alimentari. Il modello di staging di malattia offre un modo di concettualizzare la malattia nel quale la prevenzione dell’esordio di malattia e la progressione a livello neuronale sono altrettanto importanti rispetto al controllo dei sintomi e alla prevenzione delle ricadute. Questo modello segue inoltre un’impostazione simile sia nel campo dei disturbi mentali sia nel campo dei disturbi fisici: la fase 0 è una fase asintomatica nella quale, tuttavia, sono presenti i fattori di rischio; la fase 1 è quella prodromica, nella quale i sintomi sono presenti ma in maniera attenuata, tali da risultare al di sotto della soglia diagnostica; la fase 2 è rappresentata dal primo episodio di malattia; la fase 3 dal ripetersi degli episodi; la fase 4 rappresenta la resistenza al trattamento. Dal modello di staging di malattia derivano i concetti di trattamento fase-specifico e di neuroprotettore. È stato evidenziato come alcuni tratta-menti standard per il disturbo bipolare siano in grado di rallentare la progressione di malattia a livello neuronale e che alcuni trattamenti più recenti abbiano proprietà neuroprotettive. I meccanismi molecolari implicati nella progressione neuronale di malattia includono la disregolazione delle neurotrofine, i meccanismi di neurogenesi e apoptosi, il ruolo dei neurotrasmettitori, lo stress infiammatorio, ossidativo e nitrosa-tivo, le disfunzioni mitocondriali, il cortisolo e l’asse ipotalamo-ipofisario e le influenze epigenetiche. Il modello di staging può vantare numerose conferme nell’ambito della schizofrenia e del disturbo bipolare, mentre le evidenze nel campo della depressione rimangono meno chiare.

La ricerca di nuovi trattamenti farmacologici dovrà quindi indirizzarsi verso la ricerca di molecole che abbiano azioni antinfiammatoria e neuroprotettiva, oltre che un effetto posi-tivo sulla plasticità neuronale; bisogna infatti superare i trattamenti oggi disponibili che, pur essendo efficaci nel controllo della sintomatologia e, come abbiamo visto, in alcuni casi possono condurre alla guarigione, sono anche capaci di migliorare l’aspettativa di vita dei pazienti, ma non sembrano agire in maniera altrettanto positiva sulla neuroplasticità.

riguarda la prevenzione delle ricadute, una recente metanalisi non ha riscontrato maggiore efficacia dei depot rispetto a formulazioni orali in studi controllati (Kishimoto et al., 2014), anche se risultati positivi a favore dei primi sono stati ottenuti combinando la terapia con interventi psicosociali (Zhornitsky et al., 2012). Tuttavia è auspicabile che tali farmaci vengano studiati in modo più sistematico, in modo da poter guidare il clinico non solo in casi cronicizzati, ma anche durante fasi più precoci di malattia e iniziare un processo di de-stigmatizzazione del loro utilizzo.

Suggeriamo di prevedere una fase di management delle forme attenuate (quindi fase pre- acuta), a cui fare più attenzione, proprio per evitare la fase acuta, oltre alle fasi del tratta-mento indicate nelle linee guida del trattamento dei pazienti con schizofrenia (APA, 2010):• la costruzione di un’alleanza terapeutica;• la fase acuta;• la fase di stabilizzazione;• la fase stabile.

Nuovi target terapeutici: oltre la dopaminaDalla scoperta della clorpromazina la ricerca farmacologica nel campo della schizofrenia e delle psicosi si è concentrata principalmente sul sistema dopaminergico. Tuttavia, le recenti evidenze, ormai acquisite, circa la relativa mancanza di efficacia degli attuali farmaci antipsicotici nel trattamento dei sintomi negativi e cognitivi hanno portato i ricercatori a cercare nuovi obiettivi, oltre ai recettori D2. Il sistema più coinvolto in questo nuovo capitolo della terapia della schizofrenia è sicura-mente quello glutammatergico: sono molte ormai le prove di una sua disfunzione e sono svariati i composti in via di sviluppo che hanno come obiettivo alcune parti di esso, come i recettori NMDA, i recettori metabotropici mGlu e i trasportatori della glicina. Buoni risultati preliminari sono stati ottenuti nel trattamento dei sintomi negativi.Un’altra famiglia di target molto promettenti è quella dei recettori colinergici, in parti-colare quelli nicotinici, che hanno portato a risultati incoraggianti per quanto riguarda il miglioramento della sfera cognitiva. Simili traguardi sono stati raggiunti anche da studi con eritropoietina, che sembra esercitare un effetto neuroprotettivo molto spiccato, e ossitocina, anche se in fase preliminare.Nonostante i risultati degli studi siano incoraggianti, bisogna sottolineare la necessità di ulteriori dati sperimentali, a livello sia di efficacia sia di sicurezza, prima che tali molecole possano entrare nella routine clinica; ma se questi risultati dovessero essere confermati, potrebbero rappresentare l’inizio di una nuova era nel trattamento della schizofrenia.La nuova farmacologia della schizofrenia parte dalle conoscenze recentemente acquisite sui meccanismi fisiopatologici del disturbo: differentemente dal passato, l’individuazione dei nuovi trattamenti farmacologici non si basa su evidenze aneddotiche o sul riscontro di effetti “collaterali” di farmaci designati per tutt’altro scopo. La conoscenza dei mecca-

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 192 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 193

nismi neurotrasmettitoriali ha permesso di individuare nuovi target per le cure farmaco-logiche, che tuttavia non devono e non possono essere considerati come risultati defini-tivi. Essi rappresentano piuttosto un punto di partenza per ampliare le conoscenze, alla luce di un netto cambiamento di metodo rispetto alla precedente impostazione di ricerca farmacologica: adesso sappiamo che cosa e dove cercare.Un esempio di particolare utilità in questo ambito è costituito dalla griglia del progetto Research Domain Criteria (RDoC) elaborata dal National Institute of Mental Health (NIMH) con la proposta di guardare ai disturbi psichiatrici in maniera più integrata ed esaustiva possibile.

StagingSia per la schizofrenia sia per il disturbo bipolare sono stati proposti modelli di staging (o stadiazione) di malattia, (Feinstein, 1982) (per un maggiore approfondimento vedi Cosci e Fava, 2013) discussi anche per la depressione unipolare, il disturbo di panico, i disturbi correlati a sostanze e i disturbi alimentari. Il modello di staging di malattia offre un modo di concettualizzare la malattia nel quale la prevenzione dell’esordio di malattia e la progressione a livello neuronale sono altrettanto importanti rispetto al controllo dei sintomi e alla prevenzione delle ricadute. Questo modello segue inoltre un’impostazione simile sia nel campo dei disturbi mentali sia nel campo dei disturbi fisici: la fase 0 è una fase asintomatica nella quale, tuttavia, sono presenti i fattori di rischio; la fase 1 è quella prodromica, nella quale i sintomi sono presenti ma in maniera attenuata, tali da risultare al di sotto della soglia diagnostica; la fase 2 è rappresentata dal primo episodio di malattia; la fase 3 dal ripetersi degli episodi; la fase 4 rappresenta la resistenza al trattamento. Dal modello di staging di malattia derivano i concetti di trattamento fase-specifico e di neuroprotettore. È stato evidenziato come alcuni tratta-menti standard per il disturbo bipolare siano in grado di rallentare la progressione di malattia a livello neuronale e che alcuni trattamenti più recenti abbiano proprietà neuroprotettive. I meccanismi molecolari implicati nella progressione neuronale di malattia includono la disregolazione delle neurotrofine, i meccanismi di neurogenesi e apoptosi, il ruolo dei neurotrasmettitori, lo stress infiammatorio, ossidativo e nitrosa-tivo, le disfunzioni mitocondriali, il cortisolo e l’asse ipotalamo-ipofisario e le influenze epigenetiche. Il modello di staging può vantare numerose conferme nell’ambito della schizofrenia e del disturbo bipolare, mentre le evidenze nel campo della depressione rimangono meno chiare.

La ricerca di nuovi trattamenti farmacologici dovrà quindi indirizzarsi verso la ricerca di molecole che abbiano azioni antinfiammatoria e neuroprotettiva, oltre che un effetto posi-tivo sulla plasticità neuronale; bisogna infatti superare i trattamenti oggi disponibili che, pur essendo efficaci nel controllo della sintomatologia e, come abbiamo visto, in alcuni casi possono condurre alla guarigione, sono anche capaci di migliorare l’aspettativa di vita dei pazienti, ma non sembrano agire in maniera altrettanto positiva sulla neuroplasticità.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 193 05/03/15 10:51

194 Capitolo 7

cologica dovrà considerare lo staging clinico, poiché la cura per esempio della sindrome psicotica attenuata è diversa da quella della schizofrenia in episodio acuto, e ancora da forme in parziale remissione.Nella fase acuta, pur nella considerazione della tollerabilità, particolarmente quella cardiaca, l’efficacia “antipsicotica” avrà la massima considerazione e certamente l’azione di D2-bloccante, tipo aloperidolo, potrà ancora trovare applicazione. Ma se, per esempio, emergerà una dimensione di alterazione dell’umore importante in senso disforico, si potrà considerare un farmaco multifunzionale, tipo olanzapina, o che agisca sul glutammato, per esempio il valproato. La conoscenza del profilo farmacodinamico di affinità recetto-riale ci consentirà di stabilire se è opportuno l’impiego di un farmaco con forte affinità, per esempio per il recettore dell’istamina, come la quetiapina, e che quindi esprimerà una maggiore azione sedativa istaminergica prima di raggiungere, dopo alcuni giorni, le dosi che ne consentiranno l’effetto antipsicotico attraverso il blocco dei D2. Per esempio, un’evi-dente componente ansiosa potrà indirizzare verso l’impiego anche di una benzodiazepina, tipo lorazepam, oltre a quello dell’antipsicotico. L’associazione tra antipsicotico e benzo-diazepina potrebbe invece essere controindicata nel caso di olanzapina intramuscolare per il rischio di depressione respiratoria che tale associazione comporta. Naturalmente l’emivita del farmaco che determina la latenza nel raggiungimento dello steady state deve essere considerata: maggiore emivita si associa a un più lento raggiungimento dello steady state. Per questo, per esempio, non si considererà l’aripiprazolo, se non nella formulazione i.m. nella fase acuta, nella fase di follow-up, dove invece la tollerabilità metabolica e degli altri effetti collaterali diviene più importante. Una valutazione delle comorbidità, anche sottosoglia, deve essere riconsiderata ogni volta anche perché ci sono comorbidità acute e altre che emergono successivamente o anche indotte o precipitate dal trattamento. In particolare, la comorbidità ossessiva, frequente nelle fasi di esordio, rappresenta un’indica-zione a preferire farmaci con ridotta azione di antagonismo sui 5-HT2A, quali per esempio risperidone. Ugualmente, una storia di precedenti disturbi motori connessa a trattamenti antipsicotici controindicherà farmaci troppo energici nel blocco dei D2, mentre si cercherà di utilizzare farmaci tipo valproato soprattutto nella fase acuta.Come abbiamo cercato di riferire, seppure succintamente, i farmaci non sono tutti uguali e, soprattutto, non agiscono nello stesso modo a fronte di manifestazioni cliniche

La terapia dimensionaleI disturbi dello spettro della schizofrenia si presentano con quadri sindromici diversi, pur corrispondendo a una medesima diagnosi. Inoltre, nello stesso individuo possono modificarsi per evidenza e gravità, ed è anche evidente che i confini tra entità nosolo-giche potrebbero non essere categoriali e che la rilevante presenza di comorbidità possa sottendere a “dimensioni” accomunate sul piano neurofunzionale e anche genetico (Barch et al., 2013). Per questo, con la pubblicazione del DSM-5® è stato codificato un approccio dimensionale per la valutazione dei sintomi e dei fenomeni clinicamente rile-vanti nelle psicosi schizofreniche, che rappresentano quindi un soggetto per la ricerca e un suggerimento per il clinico che è chiamato a un inquadramento da “scienziato trasla-zionale”, ovvero deve cercare di tradurre quelle dimensioni in un’ipotesi che lo indirizzi verso la scelta di una cura anziché di un’altra (Correll et al., 2014).È necessario quindi avere una precisa conoscenza della farmacocinetica (effetto del corpo sul farmaco) e farmacodinamica (effetti del farmaco sul corpo). Inoltre, la significativa correlazione tra durata di psicosi non trattata (Duration of Untreated Psychosis, DUP) e prognosi peggiore fa presupporre che un intervento precoce nella psicosi possa avere signi-ficativi effetti positivi sul decorso a lungo termine della malattia (Penttilä et al., 2014). Pertanto vi è oggi ampio consenso a iniziare la cura farmacologica in presenza di sintomi psicotici, il più precocemente possibile, poiché sia la prognosi sia la sintomatologia nega-tiva sembrano aggravarsi tanto più si prolunga la fase di “non trattamento”. Vi sono evidenze che documentano livelli di BDNF (Brain Derived Neurotrophic Factor) peri-ferici nel siero e nel plasma moderatamente ridotti in pazienti affetti da schizofrenia rispetto ai controlli: tale diminuzione è accentuata con la durata della malattia e non è correlata alla gravità dei sintomi positivi e negativi, mentre i livelli di BDNF nel plasma sono generalmente aumentati dopo il trattamento antipsicotico, indipendentemente dalla risposta del paziente al farmaco.In conclusione, ci sono prove convincenti di una diminuzione dei livelli di BDNF perife-rico nella schizofrenia, in parallelo alla precedentemente descritta ridotta espressione del BDNF cerebrale. Non è chiaro se questi cambiamenti sistemici siano causalmente corre-lati allo sviluppo di schizofrenia o se siano solo un epifenomeno patologico (Fernandes et al., 2014).Non avendo l’ambizione di realizzare un trattato sulla cura farmacologica, ma non volendo limitarsi alla sola descrizione dei trattamenti disponibili, dedichiamo alcune pagine alla disamina di alcune novità nella definizione del progetto terapeutico.Nella sezione relativa al “Scala relativa alle dimensioni della gravità dei sintomi della psicosi valutate dal clinico”, il DSM-5®, oltre alla diagnosi, si occupa anche di specificare alcune dimensioni (mediante il suddetto strumento di valutazione – vedi il Capitolo 3). Questo è efficace nell’evidenziare variazioni della gravità dei sintomi, utile a elaborare progetti terapeutici, per il decision making dei farmaci, nell’identificare la prognosi ma anche per indirizzare la ricerca verso la più precisa definizione dei substrati neurofunzio-nali per ciascuna specifica dimensione (Tab. 7.11). Quindi la decisione della cura farma-

Tabella 7.11 Dimensioni della psicosiAllucinazioniDeliriEloquio disorganizzatoComportamento psicomotorio anormaleSintomi negativi (espressione emotiva ristretta o avolizione)Disturbi cognitiviDepressioneMania

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 194 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 195

cologica dovrà considerare lo staging clinico, poiché la cura per esempio della sindrome psicotica attenuata è diversa da quella della schizofrenia in episodio acuto, e ancora da forme in parziale remissione.Nella fase acuta, pur nella considerazione della tollerabilità, particolarmente quella cardiaca, l’efficacia “antipsicotica” avrà la massima considerazione e certamente l’azione di D2-bloccante, tipo aloperidolo, potrà ancora trovare applicazione. Ma se, per esempio, emergerà una dimensione di alterazione dell’umore importante in senso disforico, si potrà considerare un farmaco multifunzionale, tipo olanzapina, o che agisca sul glutammato, per esempio il valproato. La conoscenza del profilo farmacodinamico di affinità recetto-riale ci consentirà di stabilire se è opportuno l’impiego di un farmaco con forte affinità, per esempio per il recettore dell’istamina, come la quetiapina, e che quindi esprimerà una maggiore azione sedativa istaminergica prima di raggiungere, dopo alcuni giorni, le dosi che ne consentiranno l’effetto antipsicotico attraverso il blocco dei D2. Per esempio, un’evi-dente componente ansiosa potrà indirizzare verso l’impiego anche di una benzodiazepina, tipo lorazepam, oltre a quello dell’antipsicotico. L’associazione tra antipsicotico e benzo-diazepina potrebbe invece essere controindicata nel caso di olanzapina intramuscolare per il rischio di depressione respiratoria che tale associazione comporta. Naturalmente l’emivita del farmaco che determina la latenza nel raggiungimento dello steady state deve essere considerata: maggiore emivita si associa a un più lento raggiungimento dello steady state. Per questo, per esempio, non si considererà l’aripiprazolo, se non nella formulazione i.m. nella fase acuta, nella fase di follow-up, dove invece la tollerabilità metabolica e degli altri effetti collaterali diviene più importante. Una valutazione delle comorbidità, anche sottosoglia, deve essere riconsiderata ogni volta anche perché ci sono comorbidità acute e altre che emergono successivamente o anche indotte o precipitate dal trattamento. In particolare, la comorbidità ossessiva, frequente nelle fasi di esordio, rappresenta un’indica-zione a preferire farmaci con ridotta azione di antagonismo sui 5-HT2A, quali per esempio risperidone. Ugualmente, una storia di precedenti disturbi motori connessa a trattamenti antipsicotici controindicherà farmaci troppo energici nel blocco dei D2, mentre si cercherà di utilizzare farmaci tipo valproato soprattutto nella fase acuta.Come abbiamo cercato di riferire, seppure succintamente, i farmaci non sono tutti uguali e, soprattutto, non agiscono nello stesso modo a fronte di manifestazioni cliniche

Tabella 7.11 Dimensioni della psicosiAllucinazioniDeliriEloquio disorganizzatoComportamento psicomotorio anormaleSintomi negativi (espressione emotiva ristretta o avolizione)Disturbi cognitiviDepressioneMania

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 195 05/03/15 10:51

196 Capitolo 7

diverse. È esperienza comune avere un paziente che non esibisce nessuna risposta o addi-rittura presenta tutti gli effetti collaterali e peggiora con un determinato farmaco mentre risponde poi pienamente a un altro “antipsicotico”.Un altro concetto che deve oggi essere considerato è quello del superamento dell’“an-tipsicotico”: uno sforzo importante in questa direzione è promosso attraverso la pubbli-cazione di una nuova nomenclatura dei farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, proposta dall’ECNP, la NbN (Zohar et al., 2014).Questo prezioso manualetto propone una classificazione dei farmaci su quattro assi, superando la distinzione nelle classi tradizionali antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici e antiepilettici (Tab. 7.12). Tale nomenclatura rappresenta certamente un passo avanti nella cultura psicofarmacologica e rende a tutti più chiaro il ragionamento che deve sottendere la scelta della molecola. Schematicamente e in base a evidenze piuttosto limitate, proviamo ad accennare quale possa essere il trattamento da preferire in base alla prevalenza di una specifica dimen-sione: dimensione negativa; ostilità, aggressività, suicidalità; cognitività; dimensione depressiva.

Dimensione negativa Si deve distinguere tra espressioni primarie e secondarie, inoltre sembra che la ridotta compliance e, quindi, la discontinuità della cura sia un predittore negativo: pare cioè che maggiore sia la continuità, minore sia la prevalenza negativa. La prima scelta va all’amisulpride, poi aripiprazolo e olanzapina (in Italia la zotepina non è mai stata approvata), mentre la clozapina viene riservata alle forme resistenti (Figg. 7.10 e 7.11). Possono trovare spazio gli NMDA-potenziatori, la memantina; poche evidenze rispetto all’impiego di alcuni cosiddetti antidepressivi, quali mirtazapina, duloxetina, reboxetina, e anche SSRI, in particolare se in presenza di ideazione suicidaria cronica (Singh et al., 2011) (Fig. 7.12). Terapie non farmacologiche includono terapia cognitivo-comportamentale e, più recentemente, stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) ad alta frequenza (10 Hz) bilateralmente sulla corteccia orbitofrontale (Dlabac-de Lange et al., 2014).

Ostilità, aggressività, suicidalità Certamente vanno considerate le somministra-zioni parenterali (i.m. ed e.v. in fase acuta) che garantiscono l’assunzione del farmaco, quindi olanzapina e, nei paesi in cui è disponibile, ziprasidone i.m. o valproato di sodio,

Tabella 7.12 Assi del sistema di classificazione NbN (Neuroscience based Nomenclature)

Asse 1: target farmacologico e modalità d’azione

Sistema neurotrasmettitoriale e caratteristiche di agonista, agonista parziale, antagonista, bloccante dei canali del calcio, inibitore della ricaptazione etc.

Asse 2: indicazioni approvate Asse 3: efficacia ed effetti collateraliAsse 4: neurobiologia Distingue tra evidenze cliniche e precliniche, per affinità

e inibizione della ricaptazione e, quando siano disponibili, anche i dati sia clinici sia preclinici sui circuiti coinvolti

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 196 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 197

che per via iniettabile si è dimostrato più efficace di aloperidolo i.m. (Sekhar et al., 2010), e più in generale farmaci che blocchino il sistema 5-HT2. La clozapina, come abbiamo detto in questo stesso capitolo, è associata a una riduzione sia dell’aggressività sia della suicidalità nel lungo termine (Figg. 7.13-7.16).

Efficacia – sintomi negativi–0,5

–0,4

–0,3

–0,2

–0,1

0

0,1

0,2AMI

n=929

Hed

ges

g (

95%

CI)

SGA

mig

liori

SGA

peg

gio

ri

ARI

n=2049

CLOZ

n=1603

OLZ

n=4187

QUET

n=1926

RIS

n=3455

SERT

n=1198

ZIP

n=691

ZOT

n=450

Quattro antipsicotici di seconda generazione (SGA), amisulpiride, clozapina, olanzapina e risperidone si sono dimostrati più efficaci rispetto a quelli di prima generazione per il trattamento dei sintomi negativi.

Potenziatori del recettore NMDA (NMDA enhancers):meta-analisi di 26 trial a doppio cieco placebo-controllati nella schizofrenia

In sintesi:• I potenziatori del recettore NMDA sono generalmente efficaci in tutti i domini sintomatologici.

• Glicina, D-serina, sarcosina: miglioramenti in diversi domini.

• Nessun miglioramento con la D-cycloserina.

A favoredel placebo

A favoredel farmaco

ES

Psico

pato

logi

agl

obal

eSi

ntom

ipo

sitiv

iSi

ntom

ine

gativ

iDe

ficit

cogn

itivi

–0,5 0,0 0,5 1,0 1,5

AllGlycine

D-SerineD-Cycloserine

Sarcosine

AllGlycine

D-SerineD-Cycloserine

SarcosineAll

GlycineD-Serine

D-CycloserineSarcosine

AllGlycine

D-SerineSarcosine

FIGURA 7.10 Efficacia sui sintomi negativi. Modificata da Leucht et al. (2009).

FIGURA 7.11 Efficacia dei NMDA potenziatori. Modificata da Tsai et al. (2010).

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 197 05/03/15 10:51

198 Capitolo 7

Cognitività Non ci sono dimostrazioni chiare di una netta superiorità sulla dimen-sione cognitiva con farmaci bloccanti la dopamina, seppure si suggerisce una moderata superiorità per quelli con azione sul recettore 5-HT2 (Figg. 7.17 e 7.18).Per la cognizione sociale non ci sono prove certe. Si guarda con interesse alle tecniche di neuromodulazione, inclusa la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS) e la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS). Inoltre, si assegna grande

Agenti dopamino-bloccanti, glutammaterigici e sintomi negativi

• È ancora dibattuto se gli antipsicotici migliorino i sintomi negativi primari o meno • C’è qualche evidenza riguardo all’effetto dell’amisulpiride • I trattamenti aggiuntivi (SSRI, agenti glutammatergici) potrebbero offrire benefici

FIGURA 7.12 Dimensione negativa.

0,2

0,0

–0,2

–0,4

–0,6

–0,8

–1,0

–1,2

–1,4

–1,6

–1,6

–2,0

–2,2

–2,4

Riduzione nel tempo dell’ostilità secondo lo studio EUFEST

Ridu

zion

e ne

l tem

po d

el p

unte

ggio

Ost

ilità

nel

la s

cala

PA

NSS

*: p<0,05 vs. HAL, AMI, QUE(*): p=0,08 vs. AMI Mesi

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

HALOLZQUEAMIZIP

FIGURA 7.13 Riduzione dell’ostilità e farmaci. (Modificata da Volavka et al., 2011.)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 198 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 199

Tentativi di suicidio con sertinodole e risperidone(SCOP)

Tutti i pazienti (n = 9,809)

Periodo

ORTa

ORT primo anno

WRT +30

WRT +30 primo anno

Sertindole(N/100PYE)

34 (0,54)

37 (0,58)

26 (0,78)

28 (0,84)

43 (0,62)

48 (0,69)

33 (0,91)

36 (1,00)

Risperidone(N/100PYE)

55 (0,76)

55 (0,76)

49 (1,34)

47 (1,28)

66 (0,83)

67 (0,84)

58 (1,48)

64 (1,64)

0,61 (0,39-0,94)

0,67 (0,44-1,02)

0,50 (0,31-0,82)

0,57 (0,35-0,92)

0,66 (0,45-0,98)

0,74 (0,51-1,07)

0,56 (0,36-0,86)

0,62 (0,41-0,95)

0,0249

0,0630

0,0058

0,0206

0,0373

0,1094

0,0086

0,0287

0,0 0,2 0,4 0,6 0,8 1,0 1,2 1,4

Rapporto di rischio (95%CI)

Clozapina e olanzapina per la prevenzione del suicidio(Inter SEPT)

Gruppo olanzapina

Gruppo clozapinaP = ,02

Pro

bab

ilità

Tempo, d

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

0 60 120 180 240 300 360 420 480 540 600 660 720 780 840

FIGURA 7.14 Suicidio: risperidone. (Modificata da Crocq et al., 2010.)

FIGURA 7.15 Suicidio: clozapina e olanzapina. (Modificata da Meltzer et al., 2003.)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 199 05/03/15 10:51

200 Capitolo 7

bassa frequenza sulla corteccia temporoparietale (per una trattazione più approfondita vedi il Capitolo 11 riguardante la neuromodulazione; per un maggiore approfondimento vedi Slotema et al., 2014). Per quanto riguarda la dimensione ansiosa si rimanda al Capi-tolo 4, relativo alle comorbidità.La schizofrenia e il disturbo bipolare condividono una varietà di caratteristiche comuni, a livello sia sintomatico sia biologico. Per esempio, sono state individuate anomalie nei

importanza all’attività fisica più che alla riabilitazione cognitiva, ma i due sistemi di atti-vazione – quello cognitivo e quello motorio – sembrano sinergizzarsi vicendevolmente (Fig. 7.19).

Dimensione depressiva Amisulpride, aripiprazolo, clozapina, olanzapina e quetiapina sembrano avere un effetto maggiore rispetto agli altri farmaci della stessa categoria, mentre l’aggiunta di farmaci attivi in maniera multifunzionale (i vecchi triciclici) e anche inibitori della ricaptazione delle monoamine sembrano dare un vantaggio (Figg. 7.20-7.21).Infine, per quanto concerne i disturbi psicotici resistenti (deliri e allucinazioni), le più recenti linee di ricerca evidenziano risultati molto incoraggianti a favore delle tecniche di neuromodulazione, in particolare la rTMS. Quest’ultima si è dimostrata un valido add-on terapeutico nel caso di allucinazioni uditive persistenti, utilizzando protocolli a

Antipsicotici e ostilità/aggressività/suicidalità

• Considerare la somministrazione per via intramuscolare • Gli antipsicotici con forti proprietà di blocco del recettore 5-HT2 sembrano mostrare maggiori vantaggi • L’uso aggiuntivo di benzodiazepine può essere utile

Cambiamenti nel punteggio cognitivo composito nel periododalla baseline a 6 mesi: effetti sercondari

Grande

Medio

Piccolo

Aloperidolo

Olanzapina

Quetiapina

Ziprasidone

Amisulpride

n = 286

FIGURA 7.16 Ostilità, aggressività e suicidalità.

FIGURA 7.17 Effetti cognitivi dei farmaci. (Modificata da Davidson et al., 2009.)

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 200 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 201

bassa frequenza sulla corteccia temporoparietale (per una trattazione più approfondita vedi il Capitolo 11 riguardante la neuromodulazione; per un maggiore approfondimento vedi Slotema et al., 2014). Per quanto riguarda la dimensione ansiosa si rimanda al Capi-tolo 4, relativo alle comorbidità.La schizofrenia e il disturbo bipolare condividono una varietà di caratteristiche comuni, a livello sia sintomatico sia biologico. Per esempio, sono state individuate anomalie nei

Effetti dei bloccanti depaminergici sulla percezione delle emozioni(CATIE)

FEDT: Face Emotion Discrimination Test (test di discriminazione facciale delle emozioni).Nessuna differenza tra i gruppi. Effect sizes tra 0,04 – 0,18

Dal livello baseline a 2 mesi

Cam

bia

men

to p

un

teg

gio

FED

T

1,5

1

0,5

0

–0,5

–1

Olz

P

Q

R

ZData Set I Data Set II Data Set III Data Set IV

FIGURA 7.18 Farmaci e percezione delle emozioni. (Modificata da Penn et al., 2009.)

Antipsicotici e aspetti cognitivi

• Gli antipsicotici migliorano gli aspetti cognitivi a livello moderato • Gli effetti di apprendimento tramite la pratica potrebbero essere responsabili di una significativa parte di tali

miglioramenti • I farmaci dopamino-bloccanti multifunzionali potrebbero facilitare lo sviluppo di effetti di apprendimento

tramite la pratica• Gli effetti sulla cognizione sociale e affettiva sono trascurabili• Attività fisica, stimolazione elettrica e magnetica sembrano dare segnali incoraggianti

FIGURA 7.19 Cognitività.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 201 05/03/15 10:51

202 Capitolo 7

e da un maggior numero di soggetti con disturbo bipolare (n = 11) rispetto ai controlli (n = 6). Utilizzando questi sottogruppi, è stato possibile verificare quali cambiamenti trascrizionali (identificati con la tecnologia microarray) fossero associati con il gruppo ad alto stress/infiammazione, scoprendo che numerosi cambiamenti nell’espressione genica (a livello di fattori di immunità, fattori di crescita, meccanismi inibitori e di morte cellulare) distinguevano i due gruppi. Questo lavoro evidenzia come parte dell’eteroge-neità che caratterizza la schizofrenia e il disturbo bipolare possa essere spiegata, seppure in maniera parziale, dalle interazioni tra meccanismi infiammatori e legati allo stress e che i sottotipi biologici di malattia attraversano in maniera trasversale le categorie defi-nite dal DSM.

Nuovi target genetici e trattamenti sperimentali

L’impiego del warfarin nella remissione a lungo termine delle psicosi Ricerche preliminari evidenziano che il warfarin si associa a una riduzione nonché alla remissione a lungo termine dei sintomi psicotici in pazienti schizofrenici. Un recente studio ha esaminato soggetti adulti che frequentavano l’ambulatorio di terapia anticoagu-lante orale per una trombosi venosa profonda (TVP), evidenziando come cinque soggetti, in terapia a lungo termine con warfarin e affetti anche da schizofrenia, erano andati incontro a una completa remissione dei sintomi psicotici. Inoltre, per questi pazienti è stato possibile cessare la terapia con antipsicotici per un periodo tra i 2 e gli 11 anni. I ricercatori hanno evidenziato che il meccanismo sottostante potrebbe essere rappresentato dall’atti-vatore tissutale del plasminogeno (tPA, tissue Plasminogen Activator), una proteina che è in grado non soltanto di facilitare lo scioglimento dei coaguli sanguigni ma gioca anche un ruolo nei processi di neurogenesi dopo eventi particolarmente stressanti. “I nostri risultati evidenziano che una normalizzazione nel funzionamento del tPA potrebbe determinare una remissione a lungo termine dei sintomi psicotici” – scrivono gli autori. In ogni caso, la Dottoressa Silvia Hoirisch-Clapauch, ematologa specializzata in medicina vascolare e primo autore dell’articolo (Hoirisch-Clapauch et al, 2013), è ancora cauta nel suggerire la prescri-zione di warfarin ai pazienti psichiatrici: “Ciò che abbiamo scoperto sembra avere un senso, ma abbiamo bisogno di altri ricercatori che ci aiutino a trovare i marker in pazienti schizo-frenici mai trattati (drug-naïve)”. Sono pertanto necessari studi randomizzati controllati per chiarire come e se utilizzare gli anticoagulanti nel trattamento delle psicosi.

Più che una coincidenza?

La Dottoressa Hoirisch-Clapauch riferisce che l’ambulatorio anticoagulanti della sua università si occupa di pazienti con episodi ricorrenti di trombosi venosa profonda, di cui circa 350 sono in terapia a lungo termine con warfarin. Mentre erano in cura per la

percorsi neuroimmunitari e di segnalazione dello stress in soggetti con ciascuno dei due disturbi. Comunque, la possibile relazione tra le anomalie a livello neuroimmunitario e di segnalazione dello stress nei soggetti affetti da psicosi non è ancora stata chiarita. Per verificare l’ipotesi che anomalie congiunte nei meccanismi di risposta allo stress e in quelli neuroimmunitari/neuroinfiammatori siano tipiche di soggetti affetti da disturbi mentali gravi, è stata esaminata l’espressione genica di 35 controlli, 35 soggetti schizo-frenici e 34 soggetti con disturbo bipolare appartenenti alla Stanley Array Cohort. Sono stati utilizzati i livelli di 8 trascrizioni legate a meccanismi infiammatori, tra le quali SERPINA3 è risultata particolarmente elevata nei soggetti schizofrenici, e 12 trascri-zioni legate a recettori glucocorticoidi implicati nella segnalazione dello stress che hanno permesso di identificare due gruppi di individui: un gruppo ad alto stress/infiammazione (n = 32) e un gruppo a basso stress/infiammazione (n = 68). Il gruppo ad alto stress/infiammazione era composto da un numero più elevato di soggetti schizofrenici (n = 15)

Antipsicotici e depressione

• La dimensione depressiva si presenta in maniera ubiquitaria, ma è più frequente all’esordio e in correlazione con buon insight

• Durante l’esacerbazione acuta, i sintomi depressivi solitamente vanno incontro a remissione insieme ai sintomi positivi

• Nella depressione post-psicotica, l’aggiunta di antidepressivi è legittima. Le evidenze sono comunque limitate ai triciclici (Siris, 2000)

Efficacia – Sintomi depressivi–1

–0,8

–0,6

–0,4

–0,2

0

0,2

0,4AMI

n=900

Hed

ges

g (

95%

CI)

SGA

Mig

liori

SGA

Peg

gio

ri

ARI

n=1278

CLOZ

n=426

OLZ

n=2893

QUET

n=442

RIS

n=1611

SERT

n=574

ZIP

n=691

ZOT

n=134

Amisulpride, aripiprazolo, clozapina, olanzapina e quetiapina si sono dimostrati più efficaci rispetto agli antipsicotici di prima generazione per il trattamento dei sintomi depressivi.

FIGURA 7.20 Farmaci e dimensione depressiva. (Modificata da Leucht et al., 2009.)

FIGURA 7.21 Dimensione depressiva.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 202 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 203

e da un maggior numero di soggetti con disturbo bipolare (n = 11) rispetto ai controlli (n = 6). Utilizzando questi sottogruppi, è stato possibile verificare quali cambiamenti trascrizionali (identificati con la tecnologia microarray) fossero associati con il gruppo ad alto stress/infiammazione, scoprendo che numerosi cambiamenti nell’espressione genica (a livello di fattori di immunità, fattori di crescita, meccanismi inibitori e di morte cellulare) distinguevano i due gruppi. Questo lavoro evidenzia come parte dell’eteroge-neità che caratterizza la schizofrenia e il disturbo bipolare possa essere spiegata, seppure in maniera parziale, dalle interazioni tra meccanismi infiammatori e legati allo stress e che i sottotipi biologici di malattia attraversano in maniera trasversale le categorie defi-nite dal DSM.

Nuovi target genetici e trattamenti sperimentali

L’impiego del warfarin nella remissione a lungo termine delle psicosi Ricerche preliminari evidenziano che il warfarin si associa a una riduzione nonché alla remissione a lungo termine dei sintomi psicotici in pazienti schizofrenici. Un recente studio ha esaminato soggetti adulti che frequentavano l’ambulatorio di terapia anticoagu-lante orale per una trombosi venosa profonda (TVP), evidenziando come cinque soggetti, in terapia a lungo termine con warfarin e affetti anche da schizofrenia, erano andati incontro a una completa remissione dei sintomi psicotici. Inoltre, per questi pazienti è stato possibile cessare la terapia con antipsicotici per un periodo tra i 2 e gli 11 anni. I ricercatori hanno evidenziato che il meccanismo sottostante potrebbe essere rappresentato dall’atti-vatore tissutale del plasminogeno (tPA, tissue Plasminogen Activator), una proteina che è in grado non soltanto di facilitare lo scioglimento dei coaguli sanguigni ma gioca anche un ruolo nei processi di neurogenesi dopo eventi particolarmente stressanti. “I nostri risultati evidenziano che una normalizzazione nel funzionamento del tPA potrebbe determinare una remissione a lungo termine dei sintomi psicotici” – scrivono gli autori. In ogni caso, la Dottoressa Silvia Hoirisch-Clapauch, ematologa specializzata in medicina vascolare e primo autore dell’articolo (Hoirisch-Clapauch et al, 2013), è ancora cauta nel suggerire la prescri-zione di warfarin ai pazienti psichiatrici: “Ciò che abbiamo scoperto sembra avere un senso, ma abbiamo bisogno di altri ricercatori che ci aiutino a trovare i marker in pazienti schizo-frenici mai trattati (drug-naïve)”. Sono pertanto necessari studi randomizzati controllati per chiarire come e se utilizzare gli anticoagulanti nel trattamento delle psicosi.

Più che una coincidenza?

La Dottoressa Hoirisch-Clapauch riferisce che l’ambulatorio anticoagulanti della sua università si occupa di pazienti con episodi ricorrenti di trombosi venosa profonda, di cui circa 350 sono in terapia a lungo termine con warfarin. Mentre erano in cura per la

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 203 05/03/15 10:51

204 Capitolo 7

all’Università dell’Arkansas. “Questo studio presenta alcuni percorsi interessanti, alcuni dei quali potrebbero fare da mediatori per gli effetti a lungo termine. Lo studio sugge-risce inoltre che forse dovremmo cominciare a rivedere alcune delle cose che facciamo per i pazienti, come somministrare antipsicotici a lungo termine a coloro che in realtà non avrebbero bisogno di antipsicotici” aggiunge il Dottor Clothier, che non era coin-volto in questa ricerca. Il Dottor Clothier ha anche notato che nonostante lo studio fosse condotto solo su 5 pazienti, è comunque interessante che tutti e 5 i pazienti hanno evidenziato una remis-sione di psicosi. “Penso che ciò ci porti a riconsiderare l’intera questione: come approcciamo i pazienti? Li approcciamo da un punto di vista strettamente diagnostico o dovremmo approcciarli con una maggiore attenzione verso i RDoC?”, si chiede. “E questo studio è in grado di fornirci una visione un po’ più di chiara, sebbene il campione sia molto ridotto, sui nuovi pathway che dovrebbero essere studiati in sottogruppi di pazienti che non avevamo preso in considerazione?”.Il Dottor Clothier tuttavia sottolinea che non si possono ancora trarre implicazioni cliniche da queste prime evidenze, anche se forniscono informazioni importanti e potrebbero rappresentare possibilità future.“Ho appena visto le presentazioni relative alla neuroimaging della schizofrenia [al meeting APA, N.d.A.] che evidenziano la riduzione di volume e di neurpilo in alcuni di questi pazienti. E mi sono chiesto: qual è esattamente il meccanismo responsabile? Potrebbe essere un’assenza o una riduzione di attività del tPA?” – si chiede il Dottor Clothier.

Acidi grassi insaturi: un’ipotesi per ridurre la percentuale di transizione a psicosi conclamata L’identificazione di un profilo “ultra-high risk” (UHR) per la psicosi e una maggior comprensione dei suoi prodromi hanno portato a un crescente interesse per un inter-vento precoce per ritardare o prevenire l’insorgenza di malattie psicotiche. In uno studio randomizzato controllato con placebo, la supplementazione con acidi grassi polinsaturi (PUFA) a catena lunga omega-3 (o-3) si è dimostrata potenzialmente utile, in quanto ha ridotto il tasso di passaggio alla psicosi del 22,6% dopo un anno dalla condizione baseline in un gruppo di 81 giovani UHR. Tuttavia, i meccanismi attraverso i quali gli o-3 PUFA potrebbero essere neuroprotettivi non sono completamente chiari. Nello studio si evidenziano gli effetti di o-3 PUFA sull’attività della fosfolipasi A2 intracellu-lare (inPLA2), i principali enzimi che regolano il metabolismo dei fosfolipidi, così come sui profili periferici delle membrane lipidiche nei soggetti che hanno partecipato allo studio randomizzato placebo-controllato. I pazienti sono stati studiati trasversalmente (n = 80) e longitudinalmente (n = 65) prima e dopo un trattamento di 12 settimane con 1,2 g al giorno di o-3 PUFA o placebo, seguito da un periodo di osservazione di 40 settimane per stabilire i tassi di passaggio alla psicosi. Sono stati esaminati inPLA2 e la

TVP, è emerso che i 5 pazienti che erano affetti anche da schizofrenia o disturbo schizo-affettivo avevano raggiunto una completa remissione sintomatica ed erano in grado di interrompere il trattamento con antipsicotici. “Questa osservazione in un solo paziente era qualcosa di strano, in due pazienti poteva essere una coincidenza, ma avendola riscontrata in tutti e cinque i pazienti ho dovuto cercare una spiegazione” – ha detto la Dottoressa Hoirisch-Clapauch, specificando che avrebbe voluto lavorare con Antonio Nardi, dell’università di Rio de Janeiro.I ricercatori hanno evidenziato che i pazienti schizofrenici mostrano solitamente una riduzione del volume ippocampale, causata da un “trigger” (ovvero un precedente evento traumatico, oppure l’uso di sostanze stupefacenti) e/o da una condizione predisponente che riduce la plasticità neuronale. Nel novembre 2012, i ricercatori hanno cercato di identificare una proteina che fosse coinvolta sia nei meccanismi anticoagulanti-fibrinolitici, sia nella neurogenesi a livello ippocampale o nella plasticità neuronale. La ricerca ha condotto verso un solo candidato: la tPA. Il warfarin inibisce l’attivazione dell’inibitore della fibrinolisi trombino-attivato. E questo processo, a sua volta, aumenta i livelli di tPA.

Ridotta attività del tPATutti e 5 i pazienti schizofrenici “mostravano due o più condizioni caratterizzate da una ridotta attività del tPA, tra cui la protrombina G20210A, iperinsulinemia a digiuno, iperomocisteinemia, o anticorpi antifosfolipidi in titoli medi o alti”.I ricercatori hanno anche sottolineato che una trasmissione dopaminergica deficitaria a livello dei recettori D1 nella corteccia prefrontale e “alterazioni nel cleavage del fattore neurotrofico pro-brain derived” sono tra le anomalie biochimiche che risultano associate a una ridotta attività del tPA nei pazienti schizofrenici. Altre anomalie legate al tPA inclu-dono una riduzione della fosforilazione dell’Akt, problemi con la segnalazione mediata dal recettore NMDA e una ridotta attivazione della relina. Complessivamente, “il tPA media la neurogenesi ippocampale” – commentano i ricerca-tori, aggiungendo che, secondo i risultati di neuroimaging, nessuno dei 5 pazienti schi-zofrenici mostrava lesioni cerebrali ischemiche. “All’inizio ho pensato che questi pazienti potevano avere avuto un ictus, ma non era così” – è il commento della Dottoressa Hoirisch- Clapauch. Invece, la ricerca ha condotto a focalizzarsi sull’attività del tPA. “Sapevamo di avere individuato la carta jolly che giocava un ruolo sia come anticoa-gulante sia nei processi neurochimici. Ed eravamo in grado di riscontrare l’attività del nostro jolly in tutte le reazioni chimiche che intervengono nella patogenesi della schizo-frenia. Ciò che avevamo scoperto con i nostri 5 pazienti non era un caso. Era serendipity”.

Processi infiammatori e malattie psichiatriche“Un dato che si riscontra spesso in letteratura è il ruolo del processo infiammatorio nelle malattie psichiatriche, soprattutto nei soggetti che rispondono con difficoltà ai tratta-menti standard” – è l’affermazione del Dottor Jeffrey Clothier, professore di Psichiatria

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 204 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 205

all’Università dell’Arkansas. “Questo studio presenta alcuni percorsi interessanti, alcuni dei quali potrebbero fare da mediatori per gli effetti a lungo termine. Lo studio sugge-risce inoltre che forse dovremmo cominciare a rivedere alcune delle cose che facciamo per i pazienti, come somministrare antipsicotici a lungo termine a coloro che in realtà non avrebbero bisogno di antipsicotici” aggiunge il Dottor Clothier, che non era coin-volto in questa ricerca. Il Dottor Clothier ha anche notato che nonostante lo studio fosse condotto solo su 5 pazienti, è comunque interessante che tutti e 5 i pazienti hanno evidenziato una remis-sione di psicosi. “Penso che ciò ci porti a riconsiderare l’intera questione: come approcciamo i pazienti? Li approcciamo da un punto di vista strettamente diagnostico o dovremmo approcciarli con una maggiore attenzione verso i RDoC?”, si chiede. “E questo studio è in grado di fornirci una visione un po’ più di chiara, sebbene il campione sia molto ridotto, sui nuovi pathway che dovrebbero essere studiati in sottogruppi di pazienti che non avevamo preso in considerazione?”.Il Dottor Clothier tuttavia sottolinea che non si possono ancora trarre implicazioni cliniche da queste prime evidenze, anche se forniscono informazioni importanti e potrebbero rappresentare possibilità future.“Ho appena visto le presentazioni relative alla neuroimaging della schizofrenia [al meeting APA, N.d.A.] che evidenziano la riduzione di volume e di neurpilo in alcuni di questi pazienti. E mi sono chiesto: qual è esattamente il meccanismo responsabile? Potrebbe essere un’assenza o una riduzione di attività del tPA?” – si chiede il Dottor Clothier.

Acidi grassi insaturi: un’ipotesi per ridurre la percentuale di transizione a psicosi conclamata L’identificazione di un profilo “ultra-high risk” (UHR) per la psicosi e una maggior comprensione dei suoi prodromi hanno portato a un crescente interesse per un inter-vento precoce per ritardare o prevenire l’insorgenza di malattie psicotiche. In uno studio randomizzato controllato con placebo, la supplementazione con acidi grassi polinsaturi (PUFA) a catena lunga omega-3 (o-3) si è dimostrata potenzialmente utile, in quanto ha ridotto il tasso di passaggio alla psicosi del 22,6% dopo un anno dalla condizione baseline in un gruppo di 81 giovani UHR. Tuttavia, i meccanismi attraverso i quali gli o-3 PUFA potrebbero essere neuroprotettivi non sono completamente chiari. Nello studio si evidenziano gli effetti di o-3 PUFA sull’attività della fosfolipasi A2 intracellu-lare (inPLA2), i principali enzimi che regolano il metabolismo dei fosfolipidi, così come sui profili periferici delle membrane lipidiche nei soggetti che hanno partecipato allo studio randomizzato placebo-controllato. I pazienti sono stati studiati trasversalmente (n = 80) e longitudinalmente (n = 65) prima e dopo un trattamento di 12 settimane con 1,2 g al giorno di o-3 PUFA o placebo, seguito da un periodo di osservazione di 40 settimane per stabilire i tassi di passaggio alla psicosi. Sono stati esaminati inPLA2 e la

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 205 05/03/15 10:51

206 Capitolo 7

Un enzima chiamato HDAC2È stato scoperto che un enzima chiamato HDAC2 è fortemente espresso nel cervello di topi trattati cronicamente con farmaci antipsicotici: da ciò risultano una minore espres-sione del recettore chiamato mGlu2 e recidive nei sintomi psicotici. Una scoperta simile è stata ottenuta tramite l’osservazione post mortem dei cervelli di pazienti schizofrenici. Il gruppo di ricerca ha somministrato una sostanza chimica denominata SAHA (Sube-roylAnilide Hydroxamic Acid), in grado di inibire l’intera famiglia delle HDAC, notando che questa sostanza era in grado di prevenire gli effetti avversi della clozapina sull’espres-sione del mGlu2, incrementando inoltre, nei modelli sui topi, gli effetti terapeutici degli antipsicotici atipici. Precedenti ricerche condotte dal gruppo avevano dimostrato che il trattamento prolun-gato con clozapina provoca una riduzione dell’espressione di mGlu2 nella corteccia prefrontale dei topi, un’area cerebrale fondamentale per i processi cognitivi e la perce-zione. I ricercatori avevano ipotizzato che questo effetto della clozapina giocasse un ruolo cruciale nel ridurre gli effetti terapeutici dei farmaci antipsicotici. “Avevamo precedentemente scoperto che la somministrazione cronica di antipsicotici provoca cambiamenti biochimici nel cervello in grado di limitare gli effetti terapeutici di questi stessi farmaci” – dice il Dottor Gonzalez-Maeso. “Volevamo identificare i mecca-nismi molecolari responsabili di tali cambiamenti, e analizzarli come possibili nuovi target per sintetizzare nuovi farmaci che incrementino l’efficacia degli antipsicotici”. Mitsumasa Kurita, un ricercatore del Mount Sinai e primo autore dell’articolo, afferma: “Abbiamo scoperto che gli antipsicotici atipici innescano un incremento di HDAC2 nella corteccia prefrontale dei soggetti schizofrenici, il che a sua volta riduce la quantità di mGlu2, limitando così l’efficacia di questi farmaci”.Al momento, il gruppo di ricerca del Dottor Gonzalez-Maeso sta sviluppando nuovi composti in grado di inibire specificamente l’HDAC2 da utilizzare come terapia aggiun-tiva agli antipsicotici. Il loro studio è finanziato dal NIH.

GABA e glutammato come potenziali target terapeutici nella schizofreniaI sistemi di GABA e glutammato (Glu) sono implicati nella fisiopatologia della schizo-frenia. Numerosi marker sono stati identificati nelle analisi post mortem, suggerendo una funzione GABAergica deficitaria negli interneuroni fast-spiking parvalbumin-posi-tivi. È stato ipotizzato un ipofunzionamento dei recettori NMDA (NRH) che, indotto in maniera acuta in studi preclinici, si è dimostrato in grado di stimolare il rilascio di glutammato. Lo stato dei sistemi GABA e Glu nel disturbo e nel NRH è oggigiorno inve-stigabile in vivo attraverso la spettroscopia di risonanza magnetica (MRS). In questo contesto, ci focalizzeremo su tre recenti studi che suggeriscono che le anomalie in questi sistemi nella schizofrenia potrebbero essere associate al NRH e appaiono profondamente modificabili mediante l’impiego di antipsicotici.

membrana eritrocitaria nei gruppi di trattamento (o-3 PUFA vs placebo) e nei gruppi di esito (psicotico vs non-psicotico). I livelli di membrana o-3 e o-6 PUFA e inPLA2 erano significativamente correlati. La supplementazione con o-3 PUFA ha determinato una significativa diminuzione dell’attività inPLA2. Si può concludere che gli o-3 PUFA possono agire normalizzando attività inPLA2 e d-6-desaturasi-mediata del metabolismo di o-3 e o-6 PUFA, suggerendo il loro ruolo nella neuroprogressione della psicosi (Smesny et al., 2014).

CHRNA7: il gene che codifica il recettore nicotinico colinergico ALPHA7Sono state scoperte nuove aree di interesse, come per esempio le alterazioni nei mecca-nismi centrali di inibizione a livello limbico e talamocorticale (Ibrahim e Tamminga, 2011). I genetisti, inizialmente contrariati, hanno identificato molti geni, ognuno dei quali contribuisce con un modesto effetto. Skolnick sottolinea che la situazione attuale circa i disturbi mentali è simile a quella del diabete di tipo 2 (Olincy et al., 2006).Nel diabete di tipo 2 sono ampiamente utilizzati i glitazoni con target su PPARG, un gene la cui variante rende conto di meno del 10% dell’ereditabilità del disturbo. Anche geni associati a 5-HT, DA e NA giocano un ruolo nei disturbi mentali, ma anche altri geni che possono sembrare meno rilevanti nella patogenesi potrebbero invece rappresentare importanti target terapeutici. Per esempio, CHRNA7, il gene che codifica il recettore nicotinico colinergico ALPHA7, un recettore del sistema inibitorio talamico e ippocampale. Questo recettore è attivato dall’acetilcolina (il suo normale neurotrasmettitore), oppure nei forti fumatori il tabacco è in grado di controbilanciare una sua eventuale carenza. Tali carenze inibitorie condu-cono a un ridotto filtraggio sensoriale (“sensory filtering”), che a sua volta conduce ad allucinazioni e pensieri deliranti. I pazienti riferiscono infatti persistenti intrusioni, che i soggetti normali invece sono in grado di ignorare. È stato evidenziato che un trattamento con target specifico ALPHA7 migliora le capacità attentive molto più di quanto siano in grado di fare i neurolettici di prima e seconda generazione. In questo campo, William Kelm ha dovuto attendere 10 anni per ottenere dei finanziamenti. Un’altra scoperta degna di rilievo è che alte dosi di colina possono avere effetti altrettanto positivi (Ross et al., 2013).

TropisetronIl miglioramento a livello cognitivo osservato con tropisetron sembra associato alla normalizzazione dei deficit legati alla P50. Pertanto, gli agonisti ALPHA7 nAChR sembrano rappresentare un promettente approccio terapeutico nel trattamento dei deficit cognitivi legati alla soppressione anomala della P50 nella schizofrenia (Zhang et al., 2012).

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 206 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 207

Un enzima chiamato HDAC2È stato scoperto che un enzima chiamato HDAC2 è fortemente espresso nel cervello di topi trattati cronicamente con farmaci antipsicotici: da ciò risultano una minore espres-sione del recettore chiamato mGlu2 e recidive nei sintomi psicotici. Una scoperta simile è stata ottenuta tramite l’osservazione post mortem dei cervelli di pazienti schizofrenici. Il gruppo di ricerca ha somministrato una sostanza chimica denominata SAHA (Sube-roylAnilide Hydroxamic Acid), in grado di inibire l’intera famiglia delle HDAC, notando che questa sostanza era in grado di prevenire gli effetti avversi della clozapina sull’espres-sione del mGlu2, incrementando inoltre, nei modelli sui topi, gli effetti terapeutici degli antipsicotici atipici. Precedenti ricerche condotte dal gruppo avevano dimostrato che il trattamento prolun-gato con clozapina provoca una riduzione dell’espressione di mGlu2 nella corteccia prefrontale dei topi, un’area cerebrale fondamentale per i processi cognitivi e la perce-zione. I ricercatori avevano ipotizzato che questo effetto della clozapina giocasse un ruolo cruciale nel ridurre gli effetti terapeutici dei farmaci antipsicotici. “Avevamo precedentemente scoperto che la somministrazione cronica di antipsicotici provoca cambiamenti biochimici nel cervello in grado di limitare gli effetti terapeutici di questi stessi farmaci” – dice il Dottor Gonzalez-Maeso. “Volevamo identificare i mecca-nismi molecolari responsabili di tali cambiamenti, e analizzarli come possibili nuovi target per sintetizzare nuovi farmaci che incrementino l’efficacia degli antipsicotici”. Mitsumasa Kurita, un ricercatore del Mount Sinai e primo autore dell’articolo, afferma: “Abbiamo scoperto che gli antipsicotici atipici innescano un incremento di HDAC2 nella corteccia prefrontale dei soggetti schizofrenici, il che a sua volta riduce la quantità di mGlu2, limitando così l’efficacia di questi farmaci”.Al momento, il gruppo di ricerca del Dottor Gonzalez-Maeso sta sviluppando nuovi composti in grado di inibire specificamente l’HDAC2 da utilizzare come terapia aggiun-tiva agli antipsicotici. Il loro studio è finanziato dal NIH.

GABA e glutammato come potenziali target terapeutici nella schizofreniaI sistemi di GABA e glutammato (Glu) sono implicati nella fisiopatologia della schizo-frenia. Numerosi marker sono stati identificati nelle analisi post mortem, suggerendo una funzione GABAergica deficitaria negli interneuroni fast-spiking parvalbumin-posi-tivi. È stato ipotizzato un ipofunzionamento dei recettori NMDA (NRH) che, indotto in maniera acuta in studi preclinici, si è dimostrato in grado di stimolare il rilascio di glutammato. Lo stato dei sistemi GABA e Glu nel disturbo e nel NRH è oggigiorno inve-stigabile in vivo attraverso la spettroscopia di risonanza magnetica (MRS). In questo contesto, ci focalizzeremo su tre recenti studi che suggeriscono che le anomalie in questi sistemi nella schizofrenia potrebbero essere associate al NRH e appaiono profondamente modificabili mediante l’impiego di antipsicotici.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 207 05/03/15 10:51

208 Capitolo 7

nei modelli animali. È stato utilizzato un sequenziamento ad alto campionamento (high-throughput) per caratterizzare in maniera completa il microbioma oro-faringeo di 41 soggetti con schizofrenia e di 32 controlli senza disturbi psichiatrici. È stato anche esaminato il ruolo dei probiotici nel modulare il microbioma. Le analisi ad interim hanno indicato che ci sono spiccate differenze tra i casi e i controlli in termini di composizione del microbioma a livello batterico, virale e micotico. I soggetti schizofrenici sono carat-terizzati da livelli elevati di batteri dell’acido lattico, per esempio Lactobacillus casei, Lactobacillus salivarius, Lactococcus lacti e Streptococcus thermophilus, così come da alti livelli di streptococci tra cui S. mitis e S. mutans. Alcuni di questi batteri sono stati asso-ciati a risposte immunitarie Th2 anomale, una modifica immunologica osservata anche nella schizofrenia. D’altro canto, i soggetti schizofrenici sono caratterizzati da livelli più bassi di batteri non patogeni come alcuni ceppi di Neisseria, Haemophilus, Prochloro-coccus e Shewanella. All’interno del gruppo dei soggetti schizofrenici, i livelli alterati di questi microrganismi sono associati con un incremento della prevalenza della sindrome da deficit, nonché a livelli incrementati di attivazione immunitaria intestinale, come indicato dalla presenza di anticorpi verso alcuni cibi e antigeni intestinali. Per quanto riguarda i miceti, i soggetti schizofrenici mostrano livelli più elevati di lieviti patogeni, come Candida glabrata e Candida tropicalis, ma livelli più bassi della meno patogenica Candida albicans. È stato preso in considerazione anche un numero di virus umani molto conosciuti, come l’herpesvirus e il papillomavirus, nonché una serie di batteriofagi e nuovi virus. Il microbioma appare significativamente alterato dalla terapia con probio-tici, con una tendenza alla normalizzazione a seguito della terapia. Inoltre, molti dei microrganismi che sono incrementati nel microbioma dei soggetti schizofrenici, come lo streptococco, possono essere modificati mediante la somministrazione di una terapia antibiotica. Questi studi indicano che il microbioma orale dei soggetti schizofrenici è alterato e che esso potrebbe rappresentare un potenziale target per nuovi trattamenti.

La neurobiologia dei sintomi negativi e l’effetto degli inibitori del reuptake della glicinaI modelli animali sono stati utilizzati per analizzare gli effetti in vitro e in vivo della bito-pertina (un inibitore del reuptake della glicina (GRI) attualmente nella fase 3 di analisi per il trattamento dei sintomi negativi e positivi controllati della schizofrenia) e di un suo analogo, su diverse componenti della motivazione che appaiono tipicamente disfun-zionali nella schizofrenia, soprattutto in pazienti con predominanza di sintomi negativi.

Ossitocina e fiducia sociale I soggetti con schizofrenia sono caratterizzati da marcati deficit nel funzionamento sociale. Questi deficit potrebbero derivare da alterazioni nei processi cognitivi sociali di base, tra cui il riconoscimento e la percezione delle emozioni (per esempio: la capacità di trarre inferenze circa le intenzioni e i pensieri degli altri, lo stile attributivo – ovvero come una persona tende a spiegarsi gli eventi che le accadono). Lo sviluppo di approcci

Metodi e risultati Uno studio ha confrontato 16 pazienti non trattati, 16 pazienti trattati e 22 controlli sani, riscontrando un incremento del 30% nei livelli di GABA e glutammato nella corteccia prefrontale dei pazienti non trattati rispetto ai pazienti trat-tati (Kegeles et al., 2012). In questo studio, sia il GABA sia il glutammato erano associati alla sottoscala dei sintomi positivi della PANSS nei gruppi di pazienti. Uno studio longi-tudinale sul glutammato in 24 pazienti con schizofrenia al primo episodio ha eviden-ziato livelli elevati di glutammato nell’area associativa dello striato: tali livelli sono andati incontro a una riduzione dopo 4 settimane di trattamento con antipsicotici (de la Fuen-te-Sandoval et al., 2013). I livelli di glutammato a 4 settimane erano associati ai sintomi positivi allo stesso intervallo di tempo. Nello studio sull’andamento temporale dei livelli di GABA e glutammato a seguito di un NRH provocato dalla somministrazione rapida di ketamina (0,5 mg/kg i.v. in 40 minuti) in 12 soggetti sani, entrambe le sostanze hanno mostrato una rapida impennata indotta dalla ketamina (de la Fuente-Sandoval et al., 2013). Le acquisizioni tramite MRS consistevano in 6 intervalli temporali per ciascun soggetto, acquisite al T0 (baseline) e a intervalli successivi di 15 minuti, durante e dopo la somministrazione di ketamina. I risultati hanno evidenziano un’impennata del 17% per il glutammato e dell’11% per il GABA, che seguivano un andamento temporale simile a quello osservato nei roditori con somministrazione acuta di ketamina.

Discussione Questi risultati suggeriscono che i livelli di GABA e glutammato sono elevati in maniera anomala sia nei pazienti con schizofrenia al primo episodio, sia in pazienti schizofrenici non trattati, e che gli antipsicotici di seconda generazione sono in grado di riportare questi valori entro i normali range. Le impennate osservate nei livelli di entrambe le sostanze a seguito della somministrazione di ketamina suggeriscono che l’incremento di glutammato potrebbe portare all’incremento di GABA. L’incremento dei livelli di entrambe le sostanze nella schizofrenia suggerisce che l’incremento di glutam-mato potrebbe essere più importante nella fisiopatologia del disturbo e la somiglianza nei cambiamenti indotti dalla ketamina in soggetti sani è coerente con l’ipotesi del ruolo del NRH nella schizofrenia. La relazione dei sintomi positivi con i livelli di GABA e glutammato, specialmente nei pazienti non trattati, suggerisce che quei soggetti i cui sintomi positivi sono particolarmente resistenti al trattamento potrebbero essere quelli i cui livelli di GABA e glutammato rispondono in maniera minore.

MicrobiomaRecenti studi indicano che i soggetti con schizofrenia sono caratterizzati da un’attiva-zione immunitaria che potrebbe contribuire alla patogenesi del disturbo. L’origine di questa attivazione immunitaria rimane ancora poco chiara, ma è probabilmente legata a fattori sia genetici sia ambientali. Recentemente è stato evidenziato che la composizione dei microbi della superficie delle mucose, detta microbioma, rappresenta un importante elemento di modulazione della risposta immunitaria umana e animale. Il microbioma è stato associato allo sviluppo di una risposta immunitaria aberrante ed è stato dimo-strato che esso è anche in grado di modulare lo sviluppo cerebrale e comportamentale

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 208 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 209

nei modelli animali. È stato utilizzato un sequenziamento ad alto campionamento (high-throughput) per caratterizzare in maniera completa il microbioma oro-faringeo di 41 soggetti con schizofrenia e di 32 controlli senza disturbi psichiatrici. È stato anche esaminato il ruolo dei probiotici nel modulare il microbioma. Le analisi ad interim hanno indicato che ci sono spiccate differenze tra i casi e i controlli in termini di composizione del microbioma a livello batterico, virale e micotico. I soggetti schizofrenici sono carat-terizzati da livelli elevati di batteri dell’acido lattico, per esempio Lactobacillus casei, Lactobacillus salivarius, Lactococcus lacti e Streptococcus thermophilus, così come da alti livelli di streptococci tra cui S. mitis e S. mutans. Alcuni di questi batteri sono stati asso-ciati a risposte immunitarie Th2 anomale, una modifica immunologica osservata anche nella schizofrenia. D’altro canto, i soggetti schizofrenici sono caratterizzati da livelli più bassi di batteri non patogeni come alcuni ceppi di Neisseria, Haemophilus, Prochloro-coccus e Shewanella. All’interno del gruppo dei soggetti schizofrenici, i livelli alterati di questi microrganismi sono associati con un incremento della prevalenza della sindrome da deficit, nonché a livelli incrementati di attivazione immunitaria intestinale, come indicato dalla presenza di anticorpi verso alcuni cibi e antigeni intestinali. Per quanto riguarda i miceti, i soggetti schizofrenici mostrano livelli più elevati di lieviti patogeni, come Candida glabrata e Candida tropicalis, ma livelli più bassi della meno patogenica Candida albicans. È stato preso in considerazione anche un numero di virus umani molto conosciuti, come l’herpesvirus e il papillomavirus, nonché una serie di batteriofagi e nuovi virus. Il microbioma appare significativamente alterato dalla terapia con probio-tici, con una tendenza alla normalizzazione a seguito della terapia. Inoltre, molti dei microrganismi che sono incrementati nel microbioma dei soggetti schizofrenici, come lo streptococco, possono essere modificati mediante la somministrazione di una terapia antibiotica. Questi studi indicano che il microbioma orale dei soggetti schizofrenici è alterato e che esso potrebbe rappresentare un potenziale target per nuovi trattamenti.

La neurobiologia dei sintomi negativi e l’effetto degli inibitori del reuptake della glicinaI modelli animali sono stati utilizzati per analizzare gli effetti in vitro e in vivo della bito-pertina (un inibitore del reuptake della glicina (GRI) attualmente nella fase 3 di analisi per il trattamento dei sintomi negativi e positivi controllati della schizofrenia) e di un suo analogo, su diverse componenti della motivazione che appaiono tipicamente disfun-zionali nella schizofrenia, soprattutto in pazienti con predominanza di sintomi negativi.

Ossitocina e fiducia sociale I soggetti con schizofrenia sono caratterizzati da marcati deficit nel funzionamento sociale. Questi deficit potrebbero derivare da alterazioni nei processi cognitivi sociali di base, tra cui il riconoscimento e la percezione delle emozioni (per esempio: la capacità di trarre inferenze circa le intenzioni e i pensieri degli altri, lo stile attributivo – ovvero come una persona tende a spiegarsi gli eventi che le accadono). Lo sviluppo di approcci

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 209 05/03/15 10:51

210 Capitolo 7

Meccanismi neuroinfiammatori

La risposta infiammatoriaLa risposta infiammatoria è un processo dinamico e le più recenti scoperte riflettono questa affermazione nell’ambito della fase subacuta della psicosi al primo episodio. Il profilo osservato delle chemochine sistemiche in questa condizione, per esempio l’au-mento della CCLL2 e la riduzione di CXCL1, CCL7 e IFN-a, potrebbe riflettere una sovra-regolazione del meccanismo di segnalazione STAT6. Il classico stato pro-infiam-matorio caratterizzato da un incremento di IL-1, IL-6 e TNF-a potrebbe essere un feno-meno relativamente breve associato con la psicosi acuta e, per questo, non è stato osser-vato in questo studio. La prima alterazione metabolica nella psicosi al primo episodio è una diminuzione di HDLC e ApoA-I, il che suggerisce una vulnerabilità verso la sindrome metabolica a partire dall’esordio della psicosi.

Infezioni e neuroinfiammazione della corteccia temporale in pazienti con schizofrenia a esordio recenteBackground Vi sono crescenti prove che evidenziano che la neuroinfiammazione è associata alla schizofrenia. La neuroinfiammazione è caratterizzata dall’attivazione delle cellule microgliali. Un’incrementata espressione della proteina traslocatrice costi-tuisce un biomarker dell’attivazione microgliale e può essere misurata in vivo utiliz-zando la PET e il ligando (R)-[11C]PK11195. Lo scopo di questo studio è confrontare la distribuzione regionale del legame di (R)-[11C]PK11195 in pazienti schizofrenici e in controlli sani.

ModafinilI processi cognitivi legati al controllo, conosciuti anche come “rule selection”, sono asso-ciati alle oscillazioni corticali nei range delle onde theta, alfa e beta e sono modulati dalle catecolamine. Pertanto, una possibile strategia per migliorare i deficit nel controllo cognitivo dei pazienti schizofrenici potrebbe essere quella di utilizzare agenti farma-cologici pro-catecolamine per incrementare queste oscillazioni legate ai meccanismi di controllo. In uno studio a doppio cieco, placebo-controllato (entro i soggetti), sono stati valutati gli effetti di una singola dose di modafinil (200 mg) sulle oscillazioni 4-30 Hz legare al controllo in 24 pazienti schizofrenici, monitorandoli tramite elettroencefalo-gramma (EEG) durante compiti di controllo cognitivo. I tracciati EEG sono stati sotto-posti a decomposizione tempo-frequenza mediante le onde di Morlet per determinare la potenza delle oscillazioni 4-30 Hz. Il modafinil (rispetto al placebo) era in grado di incrementare la potenza oscillatoria associata a compiti di rule selection ad alto controllo nei range theta, alfa e beta, con effetti modesti durante il mantenimento della regola. Il

terapeutici in grado di incrementare la cognizione sociale è una delle principali aree di ricerca nella ricerca sui trattamenti. In questo ambito, un approccio potenzialmente promettente è costituito dall’utilizzo dell’ossitocina per migliorare il funzionamento sociale cognitivo, che si ipotizza possa condurre a un miglioramento globale del funzio-namento sociale. L’ossitocina, negli animali, sembra giocare un ruolo fondamentale nella regolazione dei comportamenti sociali ed emotivi, tra cui l’affiliazione sociale, lo sviluppo di legami con i pari, il comportamento materno e la memoria sociale. Nei controlli sani, diversi studi hanno dimostrato come l’ossitocina per via intranasale: • incrementa la quantità di tempo spesa nell’osservare la regione oculare; • incrementa la capacità di dedurre lo stato mentale interno di un’altra persona attra-

verso la processazione dell’espressione degli occhi, effetto più evidente nei soggetti che hanno difficoltà nell’identificare le proprie emozioni;

• incrementa la capacità di riconoscere le espressioni facciali, con un effetto differen-ziale riscontrato quando si presentano rapidamente espressioni di felicità;

• incrementa la percezione di attrattività e affidabilità nei volti delle persone; • riduce i tassi di arousal di fronte a stimoli visivi di minaccia; • riduce la possibilità che espressioni facciali neutre o positive vengano erroneamente

identificate come negative.

Nei precedenti 5 anni, sono stati condotti studi e trial clinici sull’uso dell’ossitocina in pazienti schizofrenici: essi suggeriscono che l’ossitocina potrebbe avere effetti diversi sulla social cognition e sui sintomi.

La dicotomia relativa ai cannabinoidi nella schizofrenia: da fattori di rischio ad agenti terapeuticiL’assunzione di cannabis è da tempo considerata in grado di esacerbare il rischio di psicosi in soggetti predisposti e riconosciuta come fattore di rischio per lo sviluppo della schizofrenia. I meccanismi attraverso cui i cannabinoidi provocano sintomi psicotici transitori restano però poco chiari. Tuttavia, recenti scoperte sulla neurobiologia del sistema degli endocannabinoidi hanno fornito l’opportunità per rivedere l’associazione tra i cannabinoidi e la schizofrenia e per formulare nuove ipotesi. Mentre l’iperattività del recettore CB1 potrebbe contribuire alle manifestazioni del disturbo, altri studi hanno dimostrato che l’assunzione di cannabis potrebbe avere effetti benefici sui sintomi nega-tivi. Inoltre, il fatto che l’anandamide endocannabinoide sia elevata nel liquido cerebro-spinale di soggetti schizofrenici mai trattati farmacologicamente e che essa appaia inver-samente correlata con i sintomi schizofrenici suggerisce un potenziale ruolo protettivo degli endocannabinoidi.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 210 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 211

Meccanismi neuroinfiammatori

La risposta infiammatoriaLa risposta infiammatoria è un processo dinamico e le più recenti scoperte riflettono questa affermazione nell’ambito della fase subacuta della psicosi al primo episodio. Il profilo osservato delle chemochine sistemiche in questa condizione, per esempio l’au-mento della CCLL2 e la riduzione di CXCL1, CCL7 e IFN-a, potrebbe riflettere una sovra-regolazione del meccanismo di segnalazione STAT6. Il classico stato pro-infiam-matorio caratterizzato da un incremento di IL-1, IL-6 e TNF-a potrebbe essere un feno-meno relativamente breve associato con la psicosi acuta e, per questo, non è stato osser-vato in questo studio. La prima alterazione metabolica nella psicosi al primo episodio è una diminuzione di HDLC e ApoA-I, il che suggerisce una vulnerabilità verso la sindrome metabolica a partire dall’esordio della psicosi.

Infezioni e neuroinfiammazione della corteccia temporale in pazienti con schizofrenia a esordio recenteBackground Vi sono crescenti prove che evidenziano che la neuroinfiammazione è associata alla schizofrenia. La neuroinfiammazione è caratterizzata dall’attivazione delle cellule microgliali. Un’incrementata espressione della proteina traslocatrice costi-tuisce un biomarker dell’attivazione microgliale e può essere misurata in vivo utiliz-zando la PET e il ligando (R)-[11C]PK11195. Lo scopo di questo studio è confrontare la distribuzione regionale del legame di (R)-[11C]PK11195 in pazienti schizofrenici e in controlli sani.

ModafinilI processi cognitivi legati al controllo, conosciuti anche come “rule selection”, sono asso-ciati alle oscillazioni corticali nei range delle onde theta, alfa e beta e sono modulati dalle catecolamine. Pertanto, una possibile strategia per migliorare i deficit nel controllo cognitivo dei pazienti schizofrenici potrebbe essere quella di utilizzare agenti farma-cologici pro-catecolamine per incrementare queste oscillazioni legate ai meccanismi di controllo. In uno studio a doppio cieco, placebo-controllato (entro i soggetti), sono stati valutati gli effetti di una singola dose di modafinil (200 mg) sulle oscillazioni 4-30 Hz legare al controllo in 24 pazienti schizofrenici, monitorandoli tramite elettroencefalo-gramma (EEG) durante compiti di controllo cognitivo. I tracciati EEG sono stati sotto-posti a decomposizione tempo-frequenza mediante le onde di Morlet per determinare la potenza delle oscillazioni 4-30 Hz. Il modafinil (rispetto al placebo) era in grado di incrementare la potenza oscillatoria associata a compiti di rule selection ad alto controllo nei range theta, alfa e beta, con effetti modesti durante il mantenimento della regola. Il

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 211 05/03/15 10:51

212 Capitolo 7

DeVane CL, Nemeroff CB. Clinical pharmacokinetics of quetiapine: an atypical antipsychotic. Clin Pharmacokinet 2001;40(7):509-22.

Dixon L, Weiden P, Delahanty J, Goldberg R, Postrado L, Lucksted A, Lehman A. Prevalence and correlates of diabetes in national schizophrenia samples. Schizophr Bull 2000;26(4):903-12.

Dlabac-de Lange JJ, Bais L, van Es FD, Visser BG, Reinink E, Bakker B, van den Heuvel ER, Aleman A, Knegtering H. Efficacy of bilateral repetitive transcranial magnetic stimulation for nega-tive symptoms of schizophrenia: results of a multicenter double-blind randomized controlled trial. Psychol Med 2014 Oct 30:1-13. [Epub ahead of print]

Feinstein AR. The Jones criteria and the challenge of clinimetrics. Circulation 1982;66:1-5.

Fernandes BS, Steiner J, Berk M, Molendijk ML, Gonzalez-Pinto A, Turck CW, Nardin P, Gonçalves CA. Peripheral brain-derived neurotrophic factor in schizophrenia and the role of anti-psychotics: meta-analysis and implications.  Mol Psychiatry 2014 Sep 30. doi: 10.1038/mp.2014.117. [Epub ahead of print]

Fleischhacker WW, Simma AM. Managing the prodrome of schizophrenia. Handb Exp Pharmacol 2012;(212):125-34.

Fillman SG, Sinclair D, Fung SJ, Webster MJ, Shannon Weickert C. Markers of inflammation and stress distinguish subsets of individuals with schizophrenia and bipolar disorder. Transl Psychiatry 2014 Feb 25;4:e365.

Gören JL1, Meterko M, Williams S, Young GJ, Baker E, Chou CH, Kilbourne AM, Bauer MS. Anti-psychotic prescribing pathways, polypharmacy, and clozapine use in treatment of schizo-phrenia. Psychiatr Serv 2013 Jun;64(6):527-33.

Heres S, Davis J, Maino K, Jetzinger E, Kissling W, Leucht S. Why olanzapine beats risperidone, risperidone beats quetiapine, and quetiapine beats olanzapine: an exploratory analysis of head-to-head comparison studies of second-generation antipsychotics. Am J Psychiatry 2006 Feb;163(2):185-94.

Hoirisch-Clapauch S, Nardi AE, Gris JC, Brenner B. Mental disorders and thrombotic risk. Semin Thromb Hemost 2013;39(8):943-949.

Hotham JE, Simpson PJ, Brooman-White RS, Basu A, Ross CC, Humphreys SA, Larkin F, Gupta N, Das M. Augmentation of clozapine with amisulpride: an effective therapeutic strategy for violent treatment-resistant schizophrenia patients in a UK high-security hospital. CNS Spectr 2013 Nov;28:1-8.

Huang ML, Van Peer A, Woestenborghs R, De Coster R, Heykants J, Jansen AA, Zylicz Z, Visscher HW, Jonkman JH. Pharmacolunetics of the novel antipsychotic agent risperidone and the prolactin response in healthy subjects. Clin Pharmacol Ther 1993 Sep;54(3):257-68.

Ibrahim HM, Tamminga CA. Schizophrenia: treatment targets beyond monoamine systems. Ann Rev Pharmacol Toxicol 2011;51:189-209.

Kahn RS, Fleischhacker WW, Boter H, Davidson M, Vergouwe Y, Keet IP, et al. Effectiveness of antipsychotic drugs in first-episode schizophrenia and schizophreniform disorder: an open randomised clinical trial. Lancet 2008 Mar 29;371(9618):1085-97.

Kales HC1, Kim HM, Zivin K, Valenstein M, Seyfried LS, Chiang C, Cunningham F, Schneider LS, Blow FC. Risk of mortality among individual antipsychotics in patients with dementia. Am J Psychiatry 2012 Jan;169(1):71-9.

Kegeles LS, Mao X, Stanford AD et al. Elevated prefrontal cortex γ-aminobutyric acid and gluta-mate-glutamine levels in schizophrenia measured in vivo with proton magnetic resonance spectroscopy. Arch Gen Psychiatry 2012;69(5):449-459.

Kishimoto T, Robenzadeh A, Leucht C, Leucht S, Watanabe K, Mimura M, Borenstein M, Kane JM, Correll CU. Long-acting injectable vs oral antipsychotics for relapse prevention in schizo-phrenia: a meta-analysis of randomized trials. Schizophr Bull 2014 Jan;40(1):192-213.

trattamento con modafinil nella schizofrenia aumenta la potenza oscillatoria corticale a frequenza media associata alla rule selection e potrebbe essere strumentale per diverse processi del controllo cognitivo pro-attivo (Minzenberg et al., 2014).

Bibliografia

Alessi-Severini S, Le Dorze JA, Nguyen D, Honcharik P, Eleff M. Clozapine prescribing in a Cana-dian outpatient population. PLoS One 2013 Dec 16;8(12):e83539.

American Psychiatric Association Work Group on Schizophrenia. Practice guideline for the treat-ment of patients with schizophrenia, second edition. 2010. http://psychiatryonline.org/pb/assets/raw/sitewide/practice_guidelines/guidelines/schizophrenia.pdf.

Assion HJ, Reinbold H, Lemanski S, Basilowski M, Juckel G. Amisulpride augmentation in patients with schizophrenia partially responsive or unresponsive to clozapine. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial. Pharmacopsychiatry 2008 Jan;41(1):24-8.

Barch D M, Bustillo J, Gaebel W, Gur R, Heckers S, Malaspina D. et al. Logic and justification for dimensional assessment of symptoms and related clinical phenomena in psychosis: relevance to DSM-5. Schizophr Res 2013 Oct;150(1):15-20.

Ban TA. Fifty years chlorpromazine: a historical perspective. Neuropsychiatr Dis Treat 2007 Aug;3(4):495-500.

Bergemann N, Kopitz J, Kress KR, Frick A. Plasma amisulpride levels in schizophrenia or schizoaf-fective disorder. Eur Neuropsychopharmacol 2004;14(3):245-50.

Bressan RA, Erlandsson K, Jones HM, Mulligan R, Flanagan RJ, Ell PJ, Pilowsky LS. Is regionally selective D2/D3 dopamine occupancy sufficient for atypical antipsychotic effect? an in vivo quantitative [123I]epidepride SPET study of amisulpride-treated patients. Am J Psychiatry 2003 Aug;160(8):1413-20.

Callaghan JT, Bergstrom RF, Ptak LR, Beasley CM. Olanzapine. Pharmacokinetic and pharmaco-dynamic profile. Clin Pharmacokinet 1999 Sep;37(3):177-93.

Carpenter WT, Buchanan RW. Lessons to Take Home From CATIE. Psychiatr Serv 2008 May;59(5):523-5.

Casey DE, L’Italien G, Waldeck R, et al. Metabolic syndrome comparison between olanzapine, arip-iprazole, and placebo. Poster presented at: 156th Annual Meeting of the American Psychiatric Association; May 17-22; San Francisco, California: 2003.

Correll CU. Recognition of patients who would benefit from LAI antipsychotic treatment: how to assess adherence. J Clin Psychiatry 2014;75(11):e29.

Cosci F, Fava GA. Staging of mental disorders: systematic review. Psychother Psychosom 2013;82(1):20-34.

Cullen BA, McGinty EE, Zhang Y, Dosreis SC, Steinwachs DM, Guallar E, Daumit GL. Guide-line-concordant antipsychotic use and mortality in schizophrenia.  Schizophr Bull 2013 Sep;39(5):1159-68.

de la Fuente-Sandoval C, León-Ortiz P, Azcárraga M et al. Glutamate levels in the associative stri-atum before and after 4 weeks of antipsychotic treatment in first-episode psychosis: a longi-tudinal proton magnetic resonance spectroscopy study.

JAMA Psychiatry 2013;70(10):1057-1066.DeLeon A, Patel NC, Crismon ML. Aripiprazole: a comprehensive review of its pharmacology, clin-

ical efficacy, and tolerability. Clin Ther 2004 May;26(5):649-66.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 212 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 213

DeVane CL, Nemeroff CB. Clinical pharmacokinetics of quetiapine: an atypical antipsychotic. Clin Pharmacokinet 2001;40(7):509-22.

Dixon L, Weiden P, Delahanty J, Goldberg R, Postrado L, Lucksted A, Lehman A. Prevalence and correlates of diabetes in national schizophrenia samples. Schizophr Bull 2000;26(4):903-12.

Dlabac-de Lange JJ, Bais L, van Es FD, Visser BG, Reinink E, Bakker B, van den Heuvel ER, Aleman A, Knegtering H. Efficacy of bilateral repetitive transcranial magnetic stimulation for nega-tive symptoms of schizophrenia: results of a multicenter double-blind randomized controlled trial. Psychol Med 2014 Oct 30:1-13. [Epub ahead of print]

Feinstein AR. The Jones criteria and the challenge of clinimetrics. Circulation 1982;66:1-5.

Fernandes BS, Steiner J, Berk M, Molendijk ML, Gonzalez-Pinto A, Turck CW, Nardin P, Gonçalves CA. Peripheral brain-derived neurotrophic factor in schizophrenia and the role of anti-psychotics: meta-analysis and implications.  Mol Psychiatry 2014 Sep 30. doi: 10.1038/mp.2014.117. [Epub ahead of print]

Fleischhacker WW, Simma AM. Managing the prodrome of schizophrenia. Handb Exp Pharmacol 2012;(212):125-34.

Fillman SG, Sinclair D, Fung SJ, Webster MJ, Shannon Weickert C. Markers of inflammation and stress distinguish subsets of individuals with schizophrenia and bipolar disorder. Transl Psychiatry 2014 Feb 25;4:e365.

Gören JL1, Meterko M, Williams S, Young GJ, Baker E, Chou CH, Kilbourne AM, Bauer MS. Anti-psychotic prescribing pathways, polypharmacy, and clozapine use in treatment of schizo-phrenia. Psychiatr Serv 2013 Jun;64(6):527-33.

Heres S, Davis J, Maino K, Jetzinger E, Kissling W, Leucht S. Why olanzapine beats risperidone, risperidone beats quetiapine, and quetiapine beats olanzapine: an exploratory analysis of head-to-head comparison studies of second-generation antipsychotics. Am J Psychiatry 2006 Feb;163(2):185-94.

Hoirisch-Clapauch S, Nardi AE, Gris JC, Brenner B. Mental disorders and thrombotic risk. Semin Thromb Hemost 2013;39(8):943-949.

Hotham JE, Simpson PJ, Brooman-White RS, Basu A, Ross CC, Humphreys SA, Larkin F, Gupta N, Das M. Augmentation of clozapine with amisulpride: an effective therapeutic strategy for violent treatment-resistant schizophrenia patients in a UK high-security hospital. CNS Spectr 2013 Nov;28:1-8.

Huang ML, Van Peer A, Woestenborghs R, De Coster R, Heykants J, Jansen AA, Zylicz Z, Visscher HW, Jonkman JH. Pharmacolunetics of the novel antipsychotic agent risperidone and the prolactin response in healthy subjects. Clin Pharmacol Ther 1993 Sep;54(3):257-68.

Ibrahim HM, Tamminga CA. Schizophrenia: treatment targets beyond monoamine systems. Ann Rev Pharmacol Toxicol 2011;51:189-209.

Kahn RS, Fleischhacker WW, Boter H, Davidson M, Vergouwe Y, Keet IP, et al. Effectiveness of antipsychotic drugs in first-episode schizophrenia and schizophreniform disorder: an open randomised clinical trial. Lancet 2008 Mar 29;371(9618):1085-97.

Kales HC1, Kim HM, Zivin K, Valenstein M, Seyfried LS, Chiang C, Cunningham F, Schneider LS, Blow FC. Risk of mortality among individual antipsychotics in patients with dementia. Am J Psychiatry 2012 Jan;169(1):71-9.

Kegeles LS, Mao X, Stanford AD et al. Elevated prefrontal cortex γ-aminobutyric acid and gluta-mate-glutamine levels in schizophrenia measured in vivo with proton magnetic resonance spectroscopy. Arch Gen Psychiatry 2012;69(5):449-459.

Kishimoto T, Robenzadeh A, Leucht C, Leucht S, Watanabe K, Mimura M, Borenstein M, Kane JM, Correll CU. Long-acting injectable vs oral antipsychotics for relapse prevention in schizo-phrenia: a meta-analysis of randomized trials. Schizophr Bull 2014 Jan;40(1):192-213.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 213 05/03/15 10:51

214 Capitolo 7

Patel MX, Bishara D, Jayakumar S, Zalewska K, Shiers D, Crawford MJ, Cooper SJ. Quality of prescribing for schizophrenia: evidence from a national audit in England and Wales. Eur Neuropsychopharmacol 2014 Apr;24(4):499-509.

Penttilä M, Jääskeläinen E, Hirvonen N, Isohanni M, Miettunen J. Duration of untreated psychosis as predictor of long-term outcome in schizophrenia: systematic review and meta-analysis. Br J Psychiatry 2014 Aug;205(2):88-94.

Rauch AS, Fleischhacker WW. Long-acting injectable formulations of new-generation antipsy-chotics: a review from a clinical perspective. CNS Drugs 2013;27(8):637-652.

Remington G, Agid O, Foussias G, Ferguson L, McDonald K, Powell V. Clozapine and therapeutic drug monitoring: is there sufficient evidence for an upper threshold? Psychopharmacology (Berl) 2013 Feb;225(3):505-18.

Robinson DG, Woerner MG, Alvir JMJ, Geisler S, Koreen A, Sheitman B, et al. Predictors of treat-ment response from a first episode of schizophrenia or schizoaffective disorder. Am J Psychi-atry 1999;156:544-9.

Rodriguez CI, Kegeles LS, Levinson A, Feng T, Marcus SM, Vermes D. Randomized controlled crossover trial of ketamine in obsessive-compulsive disorder: proof-of-concept. Neuropsy-chopharmacology 2013 Nov;38(12):2475-83.

Ross RG, Hunter SK, McCarthy L et al. Perinatal choline effects on neonatal pathophysiology related to later schizophrenia risk. Am J Psychiatry 2013;170(3):290-298.

Rummel-Kluge C, Komossa K, Schwarz S, Hunger H, Schmid F, Lobos CA, et al. Head-to-head comparisons of metabolic side effects of second generation antipsychotics in the treat-ment of schizophrenia: a systematic review and meta-analysis. Schizophr Res 2010 Nov;123(2-3):225-33.

Sahlholm K1, Marcellino D, Nilsson J, Ögren SO, Fuxe K, Århem P. Typical and atypical anti-psychotics do not differ markedly in their reversibility of antagonism of the dopamine D2 receptor. Int J Neuropsychopharmacol 2014 Jan;17(1):149-55.

Sekhar S, Kalra B, Mendhekar DN, Tekur U. Efficacy of sodium valproate and haloperidol in the management of acute mania: a randomized open-label comparative study. J Clin Pharmacol 2010;50(6):688-692.

Singh SP, Singh V. Meta-analysis of the efficacy of adjunctive NMDA receptor modulators in chronic schizophrenia. CNS Drugs 2011 Oct 1;25(10):859-85.

Slotema CW, Blom JD, van Lutterveld R, Hoek HW, Sommer IE. Review of the efficacy of tran-scranial magnetic stimulation for auditory verbal hallucinations.  Biol Psychiatry 2014 Jul 15;76(2):101-10.

Smesny S, Milleit B, Hipler UC, Milleit C, Schäfer MR, Klier CM, et al. Omega-3 fatty acid supple-mentation changes intracellular phospholipase A2 activity and membrane fatty acid profiles in individuals at ultra-high risk for psychosis. Mol Psychiatry 2014 Mar;19(3):317-24.

Stahl SM, Shayegan DK. The psychopharmacology of ziprasidone: receptor-binding properties and real-world psychiatric practice. J Clin Psychiatry 2003;64 Suppl 19:6-12.

Stahl SM. Multifunctional drugs: a novel concept for psychopharmacology. CNS Spectr 2009;14:71-3.

Tarazi FI, Neill JC. The preclinical profile of asenapine: clinical relevance for the treatment of schizophrenia and bipolar mania. Expert Opin Drug Discov 2013 Jan;8(1):93-103.

Tarazi FI, Stahl SM. Iloperidone, asenapine and lurasidone: a primer on their current status. Expert Opin Pharmacother 2012 Sep;13(13):1911-22.

Tiihonen J1, Suokas JT, Suvisaari JM, Haukka J, Korhonen P. Polypharmacy with antipsychotics, antidepressants, or benzodiazepines and mortality in schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 2012 May;69(5):476-83.

Urichuk L, Prior TI, Dursun S, Baker G. Metabolism of Atypical Antipsychotics: Involvement of Cytochrome P450 Enzymes and Relevance for Drug-Drug Interactions. Curr Drug Metab 2008 Jun;9(5):410-8.

Komossa K, Rummel-Kluge C, Hunger H, Schwarz S, Bhoopathi PS, Kissling W, Leucht S. Ziprasi-done versus other atypical antipsychotics for schizophrenia. Cochrane Database Syst Rev 2009 Oct 7;(4):CD006627.

Komossa K, Rummel-Kluge C, Schwarz S, Schmid F, Hunger H, Kissling W, Leucht S. Risperidone versus other atypical antipsychotics for schizophrenia. Cochrane Database Syst Rev 2011 Jan 19;(1):CD006626.

Kurita M, Holloway T, García-Bea A et al. HDAC2 regulates atypical antipsychotic responses through the modulation of mGlu2 promoter activity.

Nat Neurosci 2012;15(9):1245-1254.Lako IM1, van den Heuvel ER, Knegtering H, Bruggeman R, Taxis K. Estimating dopamine D₂

receptor occupancy for doses of 8 antipsychotics: a meta-analysis. J Clin Psychopharmacol 2013 Oct;33(5):675-81.

Leucht S, Cipriani A, Spineli L, Mavridis D, Örey D, Richter F, et al. Comparative efficacy and tolerability of 15 antipsychotic drugs in schizophrenia: a multiple-treatments meta-analysis. Lancet. 2013 Sep 14;382(9896):951-62.

Leucht S, Corves C, Arbter D, Engel RR, Li C, Davis JM. Second-generation versus first-generation antipsychotic drugs for schizophrenia: a meta-analysis. Lancet 2009 Jan 3;373(9657):31-41.

Leucht S, Samara M, Heres S, Patel MX, Woods SW, Davis JM. Dose equivalents for second-gen-eration antipsychotics: the minimum effective dose method. Schizophr Bull 2014 Mar;40(2):314-26.

Leucht S, Tardy M, Komossa K, Heres S, Kissling W, Salanti G, Davis JM. Antipsychotic drugs versus placebo for relapse prevention in schizophrenia: a systematic review and meta-anal-ysis. Lancet 2012 Jun 2;379(9831):2063-71.

Lopez LV, Kane JM. Plasma levels of second-generation antipsychotics and clinical response in acute psychosis: a review of the literature. Schizophr Res 2013;147(2-3):368-74.

López-Muñoz F, Alamo C. Active metabolites as antidepressant drugs: the role of norquetiapine in the mechanism of action of quetiapine in the treatment of mood disorders. Front Psychiatry 2013 Sep 12;4:102.

Meltzer HY, Okayli G. Reduction of suicidality during clozapine treatment of neuroleptic-resistant schizophrenia: impact on risk-benefit assessment. Am J Psychiatry 1995; 152(2):183-90.

Minzenberg MJ, Yoon JH, Cheng Y, Carter CS. Modafinil effects on middle-frequency oscil-latory power during rule selection in schizophrenia. Neuropsychopharmacology 2014 Dec;39(13):3018-26.

Miyamoto S, Miyake N, Jarskog LF, Fleischhacker WW, Lieberman JA. Pharmacological treatment of schizophrenia: a critical review of the pharmacology and clinical effects of current and future therapeutic agents. Mol Psychiatry 2012 Dec;17(12):1206-27.

Moore TA, Buchanan RW, Buckley PF, Chiles JA, Conley RR, Crismon ML, et al. The Texas Medi-cation Algorithm Project antipsychotic algorithm for schizophrenia: 2006 update. J Clin Psychiatry 2007 Nov;68(11):1751-62.

National Institute for Health and Clinical Excellence. Schizophrenia: Full National Clinical Guide-line on Core Interventions in Primary and Secondary Care. Gaskell: British Psychological Society; 2003.

Newcomer JW. Antipsychotic medications: metabolic and cardiovascular risk. J Clin Psychiatry 2007;68(4):8-13.

Oertel-Knöchel V, Mehler P, Thiel C, Steinbrecher K, Malchow B, Tesky V, et al. Effects of aerobic exercise on cognitive performance and individual psychopathology in depressive and schizo-phrenia patients. Eur Arch Psychiatry Clin Neurosci 2014 Oct;264(7):589-604.

Olincy A, Harris JG, Johnson LL et al. Proof-of-concept trial of an alpha7 nicotinic agonist in schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 2006;63(6):630-638.

Pajonk FG, Wobrock T, Gruber O, Scherk H, Berner D, Kaizl I, et al. Hippocampal plasticity in response to exercise in schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 2010 Feb;67(2):133-43.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 214 05/03/15 10:51

il trattamento farmaCologiCo della sChizofrenia, delle Comorbidità e delle forme resistenti 215

Patel MX, Bishara D, Jayakumar S, Zalewska K, Shiers D, Crawford MJ, Cooper SJ. Quality of prescribing for schizophrenia: evidence from a national audit in England and Wales. Eur Neuropsychopharmacol 2014 Apr;24(4):499-509.

Penttilä M, Jääskeläinen E, Hirvonen N, Isohanni M, Miettunen J. Duration of untreated psychosis as predictor of long-term outcome in schizophrenia: systematic review and meta-analysis. Br J Psychiatry 2014 Aug;205(2):88-94.

Rauch AS, Fleischhacker WW. Long-acting injectable formulations of new-generation antipsy-chotics: a review from a clinical perspective. CNS Drugs 2013;27(8):637-652.

Remington G, Agid O, Foussias G, Ferguson L, McDonald K, Powell V. Clozapine and therapeutic drug monitoring: is there sufficient evidence for an upper threshold? Psychopharmacology (Berl) 2013 Feb;225(3):505-18.

Robinson DG, Woerner MG, Alvir JMJ, Geisler S, Koreen A, Sheitman B, et al. Predictors of treat-ment response from a first episode of schizophrenia or schizoaffective disorder. Am J Psychi-atry 1999;156:544-9.

Rodriguez CI, Kegeles LS, Levinson A, Feng T, Marcus SM, Vermes D. Randomized controlled crossover trial of ketamine in obsessive-compulsive disorder: proof-of-concept. Neuropsy-chopharmacology 2013 Nov;38(12):2475-83.

Ross RG, Hunter SK, McCarthy L et al. Perinatal choline effects on neonatal pathophysiology related to later schizophrenia risk. Am J Psychiatry 2013;170(3):290-298.

Rummel-Kluge C, Komossa K, Schwarz S, Hunger H, Schmid F, Lobos CA, et al. Head-to-head comparisons of metabolic side effects of second generation antipsychotics in the treat-ment of schizophrenia: a systematic review and meta-analysis. Schizophr Res 2010 Nov;123(2-3):225-33.

Sahlholm K1, Marcellino D, Nilsson J, Ögren SO, Fuxe K, Århem P. Typical and atypical anti-psychotics do not differ markedly in their reversibility of antagonism of the dopamine D2 receptor. Int J Neuropsychopharmacol 2014 Jan;17(1):149-55.

Sekhar S, Kalra B, Mendhekar DN, Tekur U. Efficacy of sodium valproate and haloperidol in the management of acute mania: a randomized open-label comparative study. J Clin Pharmacol 2010;50(6):688-692.

Singh SP, Singh V. Meta-analysis of the efficacy of adjunctive NMDA receptor modulators in chronic schizophrenia. CNS Drugs 2011 Oct 1;25(10):859-85.

Slotema CW, Blom JD, van Lutterveld R, Hoek HW, Sommer IE. Review of the efficacy of tran-scranial magnetic stimulation for auditory verbal hallucinations.  Biol Psychiatry 2014 Jul 15;76(2):101-10.

Smesny S, Milleit B, Hipler UC, Milleit C, Schäfer MR, Klier CM, et al. Omega-3 fatty acid supple-mentation changes intracellular phospholipase A2 activity and membrane fatty acid profiles in individuals at ultra-high risk for psychosis. Mol Psychiatry 2014 Mar;19(3):317-24.

Stahl SM, Shayegan DK. The psychopharmacology of ziprasidone: receptor-binding properties and real-world psychiatric practice. J Clin Psychiatry 2003;64 Suppl 19:6-12.

Stahl SM. Multifunctional drugs: a novel concept for psychopharmacology. CNS Spectr 2009;14:71-3.

Tarazi FI, Neill JC. The preclinical profile of asenapine: clinical relevance for the treatment of schizophrenia and bipolar mania. Expert Opin Drug Discov 2013 Jan;8(1):93-103.

Tarazi FI, Stahl SM. Iloperidone, asenapine and lurasidone: a primer on their current status. Expert Opin Pharmacother 2012 Sep;13(13):1911-22.

Tiihonen J1, Suokas JT, Suvisaari JM, Haukka J, Korhonen P. Polypharmacy with antipsychotics, antidepressants, or benzodiazepines and mortality in schizophrenia. Arch Gen Psychiatry 2012 May;69(5):476-83.

Urichuk L, Prior TI, Dursun S, Baker G. Metabolism of Atypical Antipsychotics: Involvement of Cytochrome P450 Enzymes and Relevance for Drug-Drug Interactions. Curr Drug Metab 2008 Jun;9(5):410-8.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 215 05/03/15 10:51

216 Capitolo 7

van Berckel BN, Bossong MG, Boellaard R, Kloet R, Schuitemaker A, Caspers E, et al. Microglia activation in recent-onset schizophrenia: a quantitative (R)-[11C]PK11195 positron emis-sion tomography study. Biol Psychiatry. 2008 Nov 1;64(9):820-2.

Wijesundera H, Hanwella R, de Silva VA. Antipsychotic medication and tobacco use among outpa-tients with schizophrenia: a cross-sectional study. Ann Gen Psychiatry 2014 Mar 19;13(1):7.

Zhang XY, Liu L, Liu S, Hong X, Chen da C, Xiu MH, et al. Short-term tropisetron treatment and cognitive and P50 auditory gating deficits in schizophrenia.  Am J Psychiatry 2012 Sep;169(9):974-81.

Zhornitsky S, Stip E. Oral versus Long-Acting Injectable Antipsychotics in the Treatment of Schizophrenia and Special Populations at Risk for Treatment Nonadherence: A Systematic Review. Schizophr Res Treatment 2012;2012:407171.

Zohar J, Nutt DJ, Kupfer DJ et al. A proposal for an updated neuropsychopharmacological nomen-clature. Eur Neuropsychopharmacol 2014;24(7):1005-1014.

07_ch07_PALLANTI_161_216.indd 216 05/03/15 10:51