Il Mosaiko Kids 2011

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via C. Alberto 13, 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) Tel. 0131 856018 e-mail: [email protected] Associazione culturale e ricreativa, aconfessionale, apartitica e senza fini di lucro, di utilità sociale. Anno 8 - n° 1, Dicembre 2011. Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004. Direttore responsabile: Antonella Mariotti Stampa: Tipografia-litografia Fadia Soc. Coop., via Giacomo Puccini, 3 - Castelnuovo Scrivia (AL) www.mosaikokids.it N e sono certa perché sto avendo la possibilità di sentirmi davvero parte della storia grazie a un viaggio nella ex Jugoslavia. Non si tratta di un viaggio qualunque, ma di un vero e proprio percorso per imparare a non dimenticare, a non credere acriticamente a tutto quello che ci insegnano nelle scuole, sui libri, alla tv. Tutto è iniziato con il bando dell’annuale concorso, “Il Tempo della Storia”, indetto dalla provincia di Pavia e aperto gli studenti dei licei della provincia, che per quest’edizione aveva come titolo “Da Sarajevo a Sarajevo”. Come partecipante ho avuto l’occasione di seguire alcune conferenze tenute da docenti universitari incentrate di volta in volta su alcune delle tematiche più importanti o, talvolta, meno note del secolo scorso. La preparazione per le prove (prima scritto poi orale) è stata piuttosto complessa: da una parte la quantità di programma ha richiesto Le rose di Sarajevo Dove la speranza è costruita sul ricordo Cecilia Mariotti Antonella Mariotti segue a pag. 4 ® O gni anno alla fine sembra il traguardo di una lunga avven- tura. E ogni anno mi ritro- vo a scrivere qualche riga per raccontare quanto l'e- sperienza di Mosaiko sia una perla nel panorama della attività per i ragazzi. Una perla perché sopravvi- ve con le proprie forze, con la ferrea volontà di Mimma Franco, che dedica la sua vita a giovani spe- ranze. Noi tutti, adulti di ogni età, dovremmo fer- marci ogni tanto a pensare a che tipo di mondo lascia- mo ai ragazzi che saranno gli adulti di domani: tante difficoltà, poche certezze. In questo periodo l'unica certezza è l'instabilità per il futuro. Per questo il la- voro dei ragazzi di Mosaiko è importante, perché an- che nella piccola redazio- ne di una pubblicazione come Mosaiko Kids si co- struisce un'esperienza, si può imparare a resistere alle difficoltà. I "nostri" ra- gazzi imparano a crescere insieme, si confrontano e costruiscono. E questo per noi è la cosa più importan- te e il regalo più grande. Auguri ragazzi Non sempre riusciamo a renderci completamente conto del fatto che ognuno di noi, come individuo, è soggetto della storia. La verità è che troppo spesso questa ci sembra nulla di più che un ammasso di fatti, date, parole rinchiusi nelle pagine patinate di un libro, lontani. Ma se provassimo a dare importanza alle persone, ai luoghi che sono già parte del vortice del tempo, del passato che non riconosce uguale dignità a tutti, scopriremmo che la Storia è sempre viva e pulsante laddove si è consumata così come dentro ognuno di noi. segue a pag. 4 13.30 (ora italiana) del 31 luglio 2011, la voce del- l’hostess annuncia che ci stiamo preparando all’atterraggio. Sul fatto che stessimo davvero arri- vando a Dublino e non a Barcel- lona o a Praga nessuno ci avreb- be scommesso l’osso del collo. Scendi scendi lo strato di nubi non si decideva a diradarsi per lasciare che chi, come me, ave- va lottato per il posto-finestri- no, potesse osservare il paesag- gio. Ma appena varcato il por- tellone venni a contatto con i primi due indizi. Aria troppo fresca per i miei calzoni corti e Cronaca di un soggiorno studio in Irlanda Dublino Marta Lamanuzzi Sarajevo, il musicista Vedran Smailovic. Foto Cecilia Mariotti Dublino, foto Marta Lamanuzzi Una perla rara

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Periodico dell'Associazione Il Mosaiko Kids

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via C. Alberto 13, 15053 Castelnuovo Scrivia (AL) Tel. 0131 856018 e-mail: ilmosaiko @tiscali.it Associazione culturale e ricreativa, aconfessionale, apartitica e senza fini di lucro, di utilità sociale.

Anno 8 - n° 1, Dicembre 2011. Aut. Tribunale di Tortona N° 2/04 reg. periodici del 22/09/2004. Direttore responsabile: Antonella MariottiStampa: Tipografia-litografia Fadia Soc. Coop., via Giacomo Puccini, 3 - Castelnuovo Scrivia (AL)

www.mosaikokids.it

Ne sono certa perché sto avendo lapossibilità di sentirmi davvero partedella storia grazie a un viaggio nella ex

Jugoslavia. Non si tratta di un viaggioqualunque, ma di un vero e proprio percorsoper imparare a non dimenticare, a noncredere acriticamente a tutto quello che ciinsegnano nelle scuole, sui libri, alla tv. Tuttoè iniziato con il bando dell’annuale concorso,“Il Tempo della Storia”, indetto dallaprovincia di Pavia e aperto gli studenti deilicei della provincia, che per quest’edizioneaveva come titolo “Da Sarajevo a Sarajevo”.Come partecipante ho avuto l’occasione diseguire alcune conferenze tenute da docentiuniversitari incentrate di volta in volta sualcune delle tematiche più importanti o,talvolta, meno note del secolo scorso. Lapreparazione per le prove (prima scritto poiorale) è stata piuttosto complessa: da unaparte la quantità di programma ha richiesto

Le rose di SarajevoDove la speranza è costruita sul ricordo

Cecilia Mariotti

Antonella Mariotti

segue a pag. 4

®

Ogni anno alla finesembra il traguardodi una lunga avven-

tura. E ogni anno mi ritro-vo a scrivere qualche rigaper raccontare quanto l'e-sperienza di Mosaiko siauna perla nel panoramadella attività per i ragazzi.Una perla perché sopravvi-ve con le proprie forze,con la ferrea volontà diMimma Franco, che dedicala sua vita a giovani spe-ranze. Noi tutti, adulti diogni età, dovremmo fer-marci ogni tanto a pensarea che tipo di mondo lascia-mo ai ragazzi che sarannogli adulti di domani: tantedifficoltà, poche certezze.In questo periodo l'unicacertezza è l'instabilità peril futuro. Per questo il la-voro dei ragazzi di Mosaikoè importante, perché an-che nella piccola redazio-ne di una pubblicazionecome Mosaiko Kids si co-struisce un'esperienza, sipuò imparare a resisterealle difficoltà. I "nostri" ra-gazzi imparano a crescereinsieme, si confrontano ecostruiscono. E questo pernoi è la cosa più importan-te e il regalo più grande.

Auguri ragazzi

Non sempre riusciamo a renderci completamente conto del fatto che ognuno di noi, come individuo, è soggettodella storia. La verità è che troppo spesso questa ci sembra nulla di più che un ammasso di fatti, date, parolerinchiusi nelle pagine patinate di un libro, lontani. Ma se provassimo a dare importanza alle persone, ai luoghiche sono già parte del vortice del tempo, del passato che non riconosce uguale dignità a tutti, scopriremmoche la Storia è sempre viva e pulsante laddove si è consumata così come dentro ognuno di noi.

segue a pag. 4

13.30 (ora italiana)del 31 luglio 2011, la voce del-l’hostess annuncia che ci stiamopreparando all’atterraggio. Sulfatto che stessimo davvero arri-vando a Dublino e non a Barcel-lona o a Praga nessuno ci avreb-be scommesso l’osso del collo.Scendi scendi lo strato di nubinon si decideva a diradarsi perlasciare che chi, come me, ave-va lottato per il posto-finestri-no, potesse osservare il paesag-gio. Ma appena varcato il por-tellone venni a contatto con iprimi due indizi. Aria troppofresca per i miei calzoni corti e

Cronaca di un soggiornostudio in Irlanda

DublinoMarta Lamanuzzi

Sarajevo, il musicista Vedran Smailovic. Foto Cecilia Mariotti

Dublino, foto Marta Lamanuzzi

Unaperlarara

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t-shirt e un profumo di erba inebriante. Nei ventotto giorni succes-sivi ho potuto constatare che non solo il verde è in assoluto il colo-re dominante in Irlanda, ci sono oltre trenta tonalità diverse di ver-de; prati e parchi così li avevo visti solo nella “sorella” Inghilterra,di un colore brillante, più vivi che mai. La mia host family (famigliaospitante) mi ha spiegato: “The whether is good for the grass, notfor the people”. Mi sono bastati pochi giorni per capire cosa inten-desse dire. Se l’erba è ben contenta di essere dissetata dal cielo al-meno quattro o cinque volte al giorno, alle persone (o per lo menoai turisti provenienti da Paesi con il cielo “civile” come l’Italia) fa-rebbe piacere non dover uscire ogni giorno preventivando sole e cal-do, nuvolo, pioggia, vento e freddo. Ma questa è la realtà, il tempocambia di continuo, inutile fare pronostici, anzi, dopo “sette fette”,come si suol dire, diventa fin prevedibile nella sua imprevedibilità.

Tornando al mio arrivo, scesa dall’aereo ho avuto la terza prova chesi trattasse proprio dell’Irlanda: il pulmino che ci avrebbe portato arecuperare i bagagli era un “pulmino fantasma”, avanzava con nes-suno alla guida. Superato lo shock mi accorsi che non c’era nessunoa sinistra, il guidatore era a destra. Ma fin qui potevamo anche es-sere nel Regno Unito. Ma appena entrata nel pulmino ecco i soliticartelli che invitano a non appoggiarsi alle porte, sopra all’ingleseuna lingua strana: il gaelico. Il mio cuore era in pace, ero a Dubli-no.

Ogni mattina mi svegliavo di buon ora, pane tostato e marmellata edi corsa in bus per frequentare il corso d’inglese che mi occupaval’intera mattinata, due maestri madrelingua e dodici alunni perclasse. Di pomeriggio a spasso per l’allegra città e alle sei cena.

Per descrivere in poche battute la città bisogna distinguere tra cen-tro e periferia. Il primo è all’insegna della vivacità, gruppi di giova-ni musicisti suonano a tutte le ore lungo le vie pedonali e in TempleBar, la zona dei pub, cuore pulsante della capitale irlandese. La cat-tedrale di San Patrick, patrono nazionale, la Christ Church e il Tri-nity College attraggono turisti ogni giorno dell’anno e alla Queen ofTarte si può gustare il miglior tè della città accompagnato da tortedeliziose, fuorché per la linea. La periferia è l’oasi tranquilla dellefamiglie. Viali alberati a perdita d’occhio, incorniciati da una seriedi villette graziose, tutte su due piani, tutte con giardino e corti-letto, tutte rigorosamente sprovviste di cancello, garage e portablindata a testimonianza del bassissimo tasso di criminalità.

Nei weekend ho aderito alle gite proposte dalla scuola fuori Dubli-no. Particolarmente carina la cittadina di Galway e davvero sugge-stive le scogliere delle Aran Islands.

Ad essere davvero onesta però, devo dirvelo: se è risaputo che co-me in Italia non si mangia da nessuna parte, in Irlanda si impegna-no con particolare tenacia per mangiare male, almeno secondo imiei gusti… e quelli di tutti i connazionali con cui ho avuto modo dilamentarmi. Fatti salvi la Guinnes, per chi apprezza la birra e non èil mio caso, l’irish stew (un semplice stufato) e le suddette torte datè, la dieta è piuttosto monotona e lontana dalle nostre abitudini.Per dirla in tutta franchezza non mi sono alzata da tavola una solavolta con le papille gustative davvero soddisfatte. Piatti unici condentro un po’ di tutto sono la loro specialità: patate, cavolo (chevanno alla grande) sottaceti, carne, riso. Per non parlare dei lorotentativi di cucinare la pasta. Niente sale e decisamente troppa cot-tura, condita con il solito “un po’di tutto”.

Per concludere con una nota positiva, non credo di avere mai cono-sciuto un popolo più umile, gentile e cordiale, senza eccezioni. Sesei un turista che si aggira per le vie del centro e, con vaga aria diesitazione, apri la mappa della città per consultarla, puoi stare si-curo che un ragazzotto o una signora dai capelli rossi e lentiggini(diffusissimi in Irlanda), in men che non si dica, ti si avvicinerà e tioffrirà spontaneamente il suo aiuto.

Dublino segue dalla prima

Marta Lamanuzzi

Fa molto cool essere indignati oggi.E questo toglie gran partedell’interesse al fenomeno. Nelmomento in cui una situazione, oprotesta, o causa diventa una

moda tutta l’attenzione non viene piùfocalizzata sulle motivazioni ma sulmovimento modaiolo.Contemporaneamente, se una causa nonraccoglie un numero sufficiente disostenitori è solo una causa pezzente,giusta finché si vuole ma incapace diottenere veri risultati.

Quindi oggi abbiamo lo stile indignados,colorato ma firmato, svolazzante conparsimonia ma con un leggero broncio sulviso. Però non abbiamo la più pallida ideadi cosa rappresentino. L’indignadosdovrebbe essere il cittadino medio, stufo diabusi e soprusi, che protesta in modoeducato e civile, ma senza Gandhi nelcuore. E prive di una carismatica figura diriferimento, poche proteste hanno avutosuccesso (in effetti non me ne viene inmente nessuna).

Ma almeno erano proteste autoctone,sanguigne, figlie della nostra terra. Mentregli indignados cosa sono? Già il nome suonafalso e poco italiano, poi ci troviamo difronte ad una protesta importata dai massmedia.

Non c’è nulla di italiano, non c’è nulla diautentico neanche nelle motivazioni, che cigiungono filtrate da molteplici mezzi unopiù corrotto dell’altro. Il risultato sonocortei con la singolare caratteristica dirastrellare un po’ tutti, dai figli di papàdesiderosi di una vacanza alternativa aisindacati ai facinorosi dalle mani maiferme. Passando per i pensionati, che fannoesperienza, ai centri di accoglienza, chefanno numero, agli studenti che nonmancano mai… E a chiedere cosa, poi?Meno privilegi in politica? Più etica? Hannoottenuto qualcosa in Spagna, dove oltre adessere in numero maggiore e ad agire dapiù tempo hanno anche un governo piùdebole? Non sono stati neanche ricevuti enon vedo perché qui le cose dovrebberoessere diverse. Sono eventi strumentali ed

estemporanei, valvole di sfogo dellapressione che si accontenteranno dirisultati minimi prima di sciogliersi o diimmolarsi per un’altra causa farlocca.

Perché mai un politico dovrebbe ridursi lostipendio? Lo abbiamo eletto noi dandogliun voto, una pacca sulle spalle e le chiavidella cassaforte. Nemmeno la loroimmagine pubblica li spaventa più, quindiperché sprecare energie in una causapersa? Ci penseranno i giornali di domani adarci comode e soddisfacenti rispostepreconfezionate e preconcette; i dubbiverranno dissipati; la memoria cancellata;il bis pensiero realtà.

Noi siamo legione, dicono. Ma una legionedalle armi spuntate.

Indignados & frustratosDavide Varni

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Aparole siamo tutti ecologisti, nellapratica un po’ meno. E’ molto diffi-cile abbandonare vecchie e consoli-date abitudini, così ogni giorno spre-chiamo tantissimo, basti pensare al-la carta che butteremo via nei pros-

simi giorni di festa. I giochi si rompono, sono tut-ti di plastica, così si è obbligati a gettarli nellaspazzatura perché diventano molto pericolosi (ri-schio di tagli e ingerimento di piccole parti). Vo-gliamo raccontarvi piccole esperienze a “impat-to zero” - piaciute moltissimo ai bambini del ni-do “Primavera” - che ciascuno può replicare acasa con i propri figli. Per salutare l’arrivo dell’autunno, abbiamo deci-so di proporre ai bimbi un laboratorio alla sco-perta del colore, consistenza, forma e odore del-le foglie. Sopra un tavolo abbiamo disposto alcu-ni cestini con foglie di tutti i tipi: quelle ancoraverdi e profumate delle erbe aromatiche (timo,rosmarino, salvia e menta), quelle gialle dei tiglie delle querce e per finire con quelle oramai sec-che (“che suonano, fanno crok”, come hannodetto i bambini) raccolte a fine settembre nelnostro giardino. Le foglie hanno subito preso vi-ta nelle loro mani: chi le sbriciolava, chi le an-nusava, chi le lanciava per aria… dopo un po’ dilibera scoperta abbiamo proposto di incollarle suun cartoncino, da appendere sul muro della se-zione, così il vento non poteva più farle scappa-re! Abbiamo usato una colla un po’ speciale: ac-qua e farina. Per loro è stato molto gratificanteavere la propria ciotolina piena di questa polti-

glia appiccicosa. E per noi educatrici molto me-no “stressante” perché se avessimo usato dellacolla “vera”, come la vinilica, sarebbe stato tut-to un “no, non si mette in bocca”, “no, non ru-bare quella del vicino” e così via… Con questomateriale – che tra l’altro incolla per davvero – ibambini sono stati liberi di esprimere la lorocreatività: qualcuno ha immaginato di preparareun minestrone o una torta, mescolando le fogliesbriciolate nella ciotola, alcuni si sono spalmatila colla sulle mani come se fosse una crema, al-tri hanno usato le foglie come pennelli per dise-gnare e lasciare una traccia sul cartoncino. In-somma è stata un’esperienza assai gratificanteche ha coinvolto anche i bambini più piccoli.Per un’altra attività abbiamo usato i tutoli dellepannocchie… materiale facilmente reperibile daqueste parti! Lasciati a disposizione dei bambini,i tutoli possono diventare qualsiasi cosa. Vista laloro forma si prestano molto bene al gioco del-l’incastro e dell’infilare/sfilare. Si può costruirein cinque minuti un gioco molto apprezzato:prendete uno scatolone di media grandezza, pra-ticate dei fori et voilà, la scatola magica “man-gia tutoli” è pronta! Volendo poi la scatola puòessere arricchita con colori e decorazioni. Sempre con gli scatoloni, di differenti grandezzetenuti insieme dal nastro colorato, abbiamo in-vece costruito un bel treno per la sezione deigrandi. Il treno è con noi da settembre e diventail teatro di tanti viaggi: si va al mare, in monta-gna, o alle volte si trasforma nella barchetta“che va a Santa Fé a caricare mezzo chilo di caf-fè”… i bimbi hanno colorato lo scatolone con letempere e dopo mesi riconoscono perfettamente“il loro vagone”.Tra le tante cose che ci insegnano ogni giorno ibambini è che per giocare e divertirsi basta ve-ramente poco, pochissimo!

Basta

“Occorre una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un grandescienziato, per immaginare cose che non esistono ancora, per immaginare unmondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo…”

Gianni Rodari, La grammatica della fantasia

Foto Adelina Cacciola, Asilo Nido Primavera, Castelnuovo Scrivia.

giocareper

poco

Adelina Cacciola

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un impegno non indifferente in termini di tempo, dall’altra lacompetizione che inevitabilmente nasce quando si parla di unconcorso mi ha richiesto grande impegno per elaborare, a partiredal materiale di studio, una lettura dei fatti che non nebanalizzasse la portata storica. Solo una preparazione di questotipo poteva però permettermi di affrontare il viaggio premio daturista consapevole, capace di assorbire a mente aperta lesuggestioni e le realtà del mondo non molto noto che mi si staaprendo davanti agli occhi.E così eccomi, Lunedì 4 Aprile, pronta a partire con il gruppo deivincitori e di alcuni ex vincitori alla volta della ex Jugoslavia.Prima tappa del viaggio: Trieste. I docenti universitari e alcunifunzionari della provincia che ci accompagnano ci pregano di darloro del tu: sembra incredibile riuscire a costruire un rapporto direciproca fiducia e sostanziale parità con le stesse persone chemi avevano così severamente esaminato. Eppure l’atmosfera si farilassata, le inibizioni non esistono, ogni domanda è ben accoltacome contributo utile a tutti. Trieste mi dà l’impressione di una città aristocratica e raffinata el’azzurro del mare in contrapposizione al bianco luminoso degliedifici non fa che aumentare la poesia del luogo. Pranziamo alcelebre “Caffè degli Specchi” nelle cui vetrate si specchia quellache i triestini amano chiamare “il salotto di Trieste”, Piazzadell’Unità d’Italia. Il nostro obiettivo non è però quello diammirare le numerose bellezze della città, ma di visitare il luogoin cui forse la storia del Novecento pulsa ancora in modo piùvivo: la Risiera di San Sabba. Si tratta di un ex stabilimento per lapilatura del riso adattato in epoca nazista a lager, l’unico in Italiaa possedere un forno crematorio. Sono sconvolta dalla vicinanzadi questo luogo di morte all’elegante centro cittadino: poco piùdi due chilometri. E così le esecuzioni avvenivano sotto gli occhidi tutti, e tristemente la maggior parte dei triestini taceva, forsesi copriva addirittura le narici con una mano pur di negarel’evidenza dell’acre odore di fumo che proveniva dal camino.Camminando nel cortile del campo provo una sensazione dirabbia, mista a impotenza e speranza nellacapacità di perdonare, che non significaaffatto dimenticare. Una piastra metallicaposta sul terreno ricorda il luogo dove sorgevala ciminiera e lo rende simbolicamenteinviolabile. Entriamo nel Civico Museo dellaRisiera dove sono esposti alcuni brevi scritti edisegni prodotti dai deportati cheimmortalano con incredibile semplicitàl’immenso dolore di chi è stato vittima di unatale atrocità. Mentre mi avvio verso l’uscitaricevo un po’ di conforto dalla calda luce delpomeriggio, ma gettando un ultimo sguardo alcortile del lager alle mie spalle mi sembra dipoter davvero comprendere i versi letti pocoprima della poetessa Ketty Daneo: “Anchesforzandoci con un cuore puro è impossibilecapire la sofferenza dei detenuti a cui ilpezzo azzurro che le muraglie stagliano nelcielo entra amaro nel cuore”.

E’già tempo di rimetterci in viaggio:prossima destinazione, Zagabria.

Girando in pullman per la città è impossibilenon notare l’eleganza degli edifici neiquartieri aristocratici risalenti al periodo didominazione asburgica. Le aree di più recenteurbanizzazione non appaiono altrettantoraffinate: la Croazia è il più ricco dei paesidella ex Jugoslavia e ha recentementeconosciuto un grande sviluppo industriale enel campo delle tecnologie; tuttavia per dareun’idea del tenore di vita, basti pensare cheuno stipendio medio si aggira sui 500 euromensili. La visita prosegue a piedi nella cittàalta, la cosiddetta Gornij Grad, il nucleo piùantico della capitale. Vi accediamoattraversando la celebre Porta di Pietra: laporta, di epoca medievale, si è salvata dalgrande incendio del 1731 che devastò granparte del complesso cittadino e da quelmomento è stata trasformata in un luogo diculto. Al suo interno è stata sistemata unapiccola cappella votiva con un’effigie dellaVergine e i fedeli continuano a recarsi inquesto luogo a pregare e ad accendere uncero. È così che tra le antiche pietre si respirala santità di alcune delle più affascinanticredenze popolari e non possiamo fare ameno di fermarci anche noi a dire la nostrapreghiera, quasi questo fosse un rito dipassaggio irrinunciabile per entrare nellaZagabria medievale. Dopo il pranzo in un

Le rose di Sarajevosegue dalla prima, Cecilia Mariotti

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5tipico pub croato, un ambiente caldo e vivace in cui ilmaialino allo spiedo è piatto obbligato, siamo accoltinella sede dell’ambasciata italiana a Zagabria. Comeben sappiamo la Croazia si sta preparando per il suoingresso effettivo nell’UE, e l’incontro conl’ambasciatore italiano scelto da Bruxelles peroccuparsi delle questioni economiche relative aquesta estensione dei confini dell’Unione ci ha fattocapire quali sono i requisiti necessari e quali gliimpegni che i neo stati europei devono assumersi.Abbiamo inoltre avuto la grande opportunità di fareuna chiacchierata con l’intellettuale slavo PredragMatveyjevic, autore di “Breviario Mediterraneo”, testofondamentale per la cultura mediterranea in quantone ricostruisce la “storia geopoetica”, spingendol’analisi storica fino alle origini della nostra civiltà.Protagonista della storia recente dei Balcani, descrivecosì i paesi nati dalla frantumazione della Jugoslavia:“Si proclama la democrazia, ma quello che si faveramente è una democratura. Con la democratura,questo regime autoritario e dittatoriale ammantato divesti democratiche, non si può andare da nessunaparte. E gli intellettuali non possono che restarestretti tra le accuse di tradimento e quelle dioltraggio. Ogni parola critica contro il proprio Paeseviene presa per tradimento: come è successo, anche ame, in Croazia. E ogni parola critica contro i Paesivicini, ad esempio contro i Serbi, viene vista come unoltraggio”. Queste parole mettono in luce le difficoltàche questi paesi devono affrontare per raggiungere unassetto politico che sia veramente democratico eorientato alla riconciliazione. In questa terra è ancoratroppo presto per parlare di pace: gli orrori dellaguerra civile sono ancora vivi nelle menti e tutti ipopoli (Serbi, Croati, Bosniaci, Albanesi), forti di unquanto mai pericoloso nazionalismo, si sentonovittime e non sono ancora pronti a riconoscere leproprie colpe di oppressori.

Il giorno successivo partiamo alla volta di Vukovar,cittadina croata sul Danubio, simbolo della cruenta

lotta tra Serbi e Croati nei primi anni ’90. Quello che era semprestato considerato un centro importante per via della sua posizionestrategica sul “fiume blu”, oggi ci appare come una cittàfantasma: nessuna delle facciate delle eleganti case barocchesembra essere stata risparmiata dalle pallottole delle armi dafuoco. La torre dell’acquedotto bombardato domina il tristespettacolo di una città che nonostante tutto vuole continuare adesistere nel suo aspetto peggiore per non essere dimenticata. Pocolontano, tra aride pianure e mulinelli di polvere, si staglia ilmonumento in ricordo delle molte vittime della guerraparticolarmente aspra in questa zona di confine: una lapide nerasquarciata dalla sagoma di una colomba bianca, simbolo dellasperanza nella riappacificazione. Nessuno osa disturbare con lapropria voce la solennità del luogo; il silenzio è rotto solo dalvento che continua a soffiare: mi sembra il respiro di quellevittime che reclamano il loro diritto alla vita, almeno nel ricordo.

Il nostro viaggio prosegue. Arriviamo a Belgrado nel cuore dellanotte. Le luci della città riflesse nelle acque del Danubio mi

danno una prima sfavillante immagine della capitale serba. Inrealtà il buio nasconde le tracce dei bombardamenti. Il mattinoseguente la luce del giorno mostra con chiarezza lo sconcertanteaccostamento di edifici ultramoderni, recentemente eretti, ecostruzioni distrutte durante anni di guerra e mai ristrutturate,quasi a voler testimoniare la rabbia e l’orgoglio di un popolo la cuistoria è sempre rimasta sospesa tra violenza, pericolosaaffermazione del proprio spirito nazionale e fragilità. La guidalocale ci porta alla tomba di Tito ancora oggetto di vero e proprioculto per molti Serbi. Durante il pranzo consumato in un tipicoristorante belgradese con accompagnamento di musicatradizionale dal vivo, chiedo alla guida come vede il presente e ilfuturo della Serbia. Mi risponde che lui, come molti altri Serbi, èconvinto del fatto che si vivesse meglio con Milosevich al potere,un uomo, a suo dire, che sapeva alimentare lo spirito nazionale dicui il popolo ama tanto nutrirsi e che può rendere lo stato piùunito. La Serbia, prosegue, ha bisogno di una figura di riferimentoforte, un condottiero che porti avanti la tradizione militare delpaese. Nelle sue parole purtroppo non leggo nessuna aspirazionealla pace che un po’ idealisticamente speravo di trovare comesentimento comune, unificante e fondante dei nuovi stati della exJugoslavia.Il nostro viaggio prosegue alla volta della Bosnia: attraversiamouna natura meravigliosa e incolta. Penso che in qualunque altroposto il verde delle acque dei fiumi sarebbe sicuramente sfruttatocome attrazione turistica, ma qui gli unici segni della presenzadell’uomo sono sporadici gruppi di case di piccoli allevatori. Poiimprovvisamente, cullata dalle colline circostanti, ecco comeun’apparizione Sarajevo. Alla vista dei bianchi minareti che sistagliano nel rosso del cielo al tramonto capisco che questa sarà laparte più intensa ed emozionante del viaggio. Camminando per levie della città teatro dell’attentato che nel 1914 costituì il casusbelli della Prima Guerra Mondiale, della città martire nell’ultimodecennio del Novecento delle lotte civili nella ex Jugoslavia, sipercepisce il desiderio dei Bosniaci di ricostruire materialmente laloro capitale, ma soprattutto la loro identità culturale cosìcomplessa in quanto frutto dell’integrazione di due credo religiosi,quello musulmano e quello cristiano ortodosso, oltre che dellediverse etnie slave. Ciò che più mi affascina è scoprire il voltocosmopolita di una città in cui i caldi adhan (richiami allapreghiera) dei muezzin creano una suggestiva armonia con lavibrante e solenne musica sacra che pervade le chiese ortodosse esi mescolano all’intenso profumo d’incenso delle funzioni religioseche qui si stanno svolgendo. Ed è sempre qui, nella “Gerusalemmed’Europa”, tra le bianche lapidi spoglie dei cimiteri musulmani, ibazar dal sapore orientale e i moderni edifici di vetro, che sento laforza di un popolo unito nel ricordo dei comuni dolori del passato,ma proiettato verso un futuro che, se pur incerto, si piegherà forsedi fronte all’esempio di possibile convivenza tra gruppi anchemolto diversi. E se è giusto non voler cancellare gli orrori dellaguerra, è altrettanto vero che per voltare pagina sarà necessario,per quanto difficile, perdonare. Non so perché proprio in questacittà, capitale del paese più impoverito e forse più di tutti feritodal conflitto, del paese che non è ancora riuscito a ristabilire ungoverno, mi sembra di respirare un’aria carica di speranza. È unasensazione che sento attraversando la galleria sotterranea scavataa mani nude dagli abitanti di Sarajevo sotto l’aeroporto persopravvivere al blocco serbo, è una sensazione che sentocamminando per le strade della città cercando di non calpestare insegno di rispetto le “rose di Sarajevo”, buchi scavati dai mortairiempiti con pittura rossa; è una sensazione che sento pensandoche conservare la memoria del passato è un dovere che spetta adognuno di noi così come è nostro dovere perseguire l’ideale di unasocietà capace di racchiudere al suo interno ogni singolasfaccettatura, ogni differenza culturale ed etnica come parteintegrante della sua totalità.

In senso orario: un cimitero musulmanole “rose di Sarajevo”il monumento alle vittime di Vukovarun muezzin recita la preghieraper le strade di Vukovarla facciata di un edificio di Vukovar crivellata di colpi.

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La storia di Lenny purtroppo è comunea quella di molti cagnetti che ognigiorno si ritrovano improvvisamente

senza alcuna colpa e alcun motivo a vagareper le strade delle nostre città e purtroppoquesta "pratica" è assai frequente nelnostro "amato sud". Lenny nella suaimmensa sfortuna ha avuto il suo angelocustode che lo proteggeva. A metàsettembre è stato messo in salvo proprio dadue volontari che per salvare lui hannorischiato la propria vita, cosa che ahimé inpochissimi farebbero. Erano circa le duedel mattino quando all'improvviso, su unastrada provinciale buia e pericolosissima,subito dopo una curva sbuca Lenny da uncespuglio. Era così piccolo e indifeso, si èimmobilizzato, terrorizzato, al centro dellastrada! Quasi arreso ormai a quel che inuna frazione di secondo gli sarebbe potuto

accadere! I due volontari hanno propriorischiato di investirlo e di farsi seriamentemale... ma hanno preferito inchiodare conl'auto e salvare quel piccino spaventato eimmobile. Da quel giorno Lenny è statoospite del canile di San Giorgio Jonico(Taranto), che lo ha accolto con tantoamore e tanta professionalità e protettosino ad ora. Lenny è un cucciolo sfortunato,in pochi si sono accorti di lui, eppure èmeraviglioso, non riuscivamo a spiegarci ilperché della sua lunga permanenza incanile. Finché un altro angelo si èimbattuto sulla sua strada, la Sig.ra Mimmadell'associazione Mosaiko Kids. Mimma cichiama proprio perché qualche giornoprima aveva avuto una richiesta di adozioneda parte di una bella famiglia per unVolpino e ha subito contattato noi! Lennyfinalmente ha trovato la sua nuova famiglia

e dei "genitori" fantastici.Chi l'ha lasciatosenza scrupoli in strada, indifferente deipericoli che ha corso e della paura che ilpiccolo ha avuto, forse mai saprà di nonaver meritato quell’amore che Lenny ognigiorno riceve da noi volontarie e che orasaprà restituire alla sua nuova famiglia. Le storie a lieto fine, però, purtroppo sonosicuramente meno delle tante storie dianimali maltrattati, abbandonati e che maihanno conosciuto il calore di una carezza o,peggio ancora, lo hanno conosciuto finchéerano ben accetti in casa ma poi (sempreper capriccio dell'uomo) hanno dovutoabituarsi alla vita di strada, di canile odalla vita sono proprio usciti senza chenessuno se ne accorgesse.

Simona Conte, Betty Fina e AriannaGessa.

Storie a lieto fine

Lenny, adottato da Emanuela Mantelli.

Chi ama gli animali vorrebbe amare an-che gli uomini, sarebbe naturalmentepredisposto ad amarli e a rispettarli co-sì come desidera rispettare la vita inogni sua forma. Ma gli uomini sannofarsi odiare, se ne accorge ben prestoproprio chi lavora come volontario per

aiutare gli animali maltrattati dai loro fratelli dotatidi massa cerebrale tanto maggiore quanto mal impie-gata. E invece, proprio lavorando fianco a fianco conle coraggiosissime volontarie pugliesi che ho cono-sciuto quest’anno, ho imparato che, in mezzo a tantestorie di degrado morale e umano, c’è tutto un mon-do di ostinati virtuosi che non si arrendono alla cor-rente e si mettono in gioco fino in fondo pur di salva-re una creatura sofferente e, con essa, la parte mi-

gliore della loro anima. Storie di ordinario coraggio econtemporaneamente di ordinaria follia: una partedella società che obbedisce ad ancestrali rituali diviolenza e abbandono, una parte della società che sicommuove di fronte al dolore e non sa accettare l’in-differenza come orizzonte quotidiano. Salvando i ca-ni ho imparato che si può salvare anche gli uomini,che la fiamma della coscienza non si spegne mai finoin fondo e mai in tutti: quando la realtà presenta unvolto duro e violento, come accade ovunque nel mon-do ma come forse in alcuni angoli del nostro sud ap-pare evidente perché conflittualità enormi, antiche emai risolte esasperano i rapporti sociali, si rimanesempre stupiti di fronte a chi sa alzare la testa a co-sto di rimettercela. E viene allora voglia di lottare, diassorbire quest’onda di energia positiva, di portare lospirito di Donchisciotte anche tra le nebbie padane,dove la violenza si esercita in modi più sottili ma nonmeno velenosi. Grazie Simona, Betty, Arianna, Marziae Consuelo, mi avete restituito fiducia e coraggio.

A sinistra, Minnieadottata da MariaCristina Franzoso.A destra Chunk,adottato da SaraTraversa. I due cuccioli sisono salvatidall’incendio diStatte perché laloro mamma, unacagna selvatica chevive nei boschi, liha nascosti in uncespuglio al riparodalle fiamme.

Chi ama gli animali...Mimma Franco

foto Sara Traversa

Fin da piccola hodesiderato un cane dirazza “volpino”.Finalmente, giorni fa,mentre stavo consultando

le pagine sugli animaliabbandonati, grazie alla signoraMimma Franco di Mosaiko Kids, hoadottato Nino, il volpino, oggiLenny. Il volpino è statoabbandonato nei dintorni diTaranto e recuperato da un gruppodi volontari e affidato a me e allamia famiglia dal giorno 22 ottobre2011. Quando ho potutoabbracciarlo mi sono emozionata.Mentre fissavo il cagnolino nei suoiocchietti furbi e accarezzavo il suomorbidissimo pelo fulvo, il miopensiero è andato al “Canticodelle creature” di S.Francesco,una preghiera ineguagliabilesull’amore verso il Creato. Comesono belle tutte le creature! Essedanno pace e serenità al cuore.Per me i bambini e gli animalihanno bisogno di tanto amore eprotezione e loro lo sannoricambiare. Il mio appello è di nonabbandonare animali, bambini eanziani. Ora Lenny condividel’amore; è un giocherellone…Grazie dal profondo del cuore atutti coloro che mi hanno fattoconoscere Lenny.

Emanuela Mantelli

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Progetto grafico eimpaginazione: Associazione Il MosaikoKids - Mauro MainoliFotografie: Sara Traversa,Silvia Stella, MimmaFranco, Cecilia Mariotti,Marta Lamanuzzi, SimonaConte, Claudio Bertoletti,Adelina Cacciola.

AssociazioneIl Mosaiko Kids ®

Via C. Alberto, 1315053 Castelnuovo Scrivia (AL)

Vietato riprodurresenza autorizzazionetesti, fotografie eimpostazione grafica

RedazioneDirettore Resp.: AntonellaMariotti.Presidente: Mimma Franco.

Marta Lamanuzzi - DavideVarni - Lara Lunaschi -Cecilia Mariotti - Elisa Setti -Alessandra Santi - SaraTraversa - Adelina Cacciola.

Hanno collaborato a questonumeroMaria Cristina Franzoso,Simona Conte.

SegreteriaMimma Franco.

La scelta dell’universitàrappresenta, per la maggiorparte dei giovani, una sorta di“rito di passaggio”, ilmomento in cui si assume laconsapevolezza di esserediventati adulti e in cui ènecessario “pianificare” ilproprio futuro.

Progettare l’avvenire è tutt’altro chesemplice dal momento che, soprattutto per lenuove generazioni, le previsioni su quantoaccadrà nel nostro Paese negli anni a veniresono davvero poco confortanti e, dunque,molti giovani sono costretti ad accantonare iloro sogni e le loro aspirazioni e a cercarealternative in grado di garantir loro, conbuona probabilità, un posto di lavoro. Resta,tuttavia, molto alta la percentuale di ragazziche decidono, dopo il conseguimento deldiploma, di frequentare l’università,affrontando, così, la non facile scelta dellafacoltà e dell’ateneo cui iscriversi. Il criterio“guida” nella selezione della facoltàdovrebbe essere quello del grado di interessesuscitato in ciascuno dalle materie di studiopreviste ma, soprattutto, dai possibili sbocchiprofessionali offerti dal corso di laurea: è,tuttavia, molto complicato orientarsi tra le

mille proposte offerte dal mondouniversitario in cui si affiancano ai curriculumdi studi più “tradizionali” altri di recenteintroduzione, spesso molto simili tra loro, cherendono la scelta ancora più difficoltosa. E’forse, ancora più complesso selezionarel’ateneo da frequentare e, di conseguenza, lacittà che diventerà una sorta di “secondacasa” per gli anni a venire. Molti giovani,spinti dalle possibilità offerte alle nuovegenerazioni dagli altri paesi europei,decidono di frequentare un corso di laureaall’estero per imparare una seconda lingua eacquisire l’esperienza necessaria adaffrontare le sfide di un mondo ormaiglobalizzato. Sono numerose le incognite chesi presentano a coloro che decidono difrequentare un corso di laurea in Italiascegliendo un ateneo con sede in una grandecittà, situata, magari, a molti chilometri dacasa. E’ necessario, dunque, nella maggiorparte dei casi, trasferirsi e modificare,almeno in parte, i propri ritmi di vita:sebbene la distanza in chilometri che separacittà e campagna possa non essere moltoampia, è, invece, smisurata quella che ledivide per quanto concerne lo stile di vita chevi si conduce ed è indispensabile un certoperiodo di tempo per imparare ad adattarsiad una realtà così diversa benché piuttostovicina a noi. E’ certamente molto piùsemplice, poi, affrontare la carriera di“studente universitario” dopo aver stretto leprime amicizie con i compagni di corso che si

trasformano in alleati preziosi con i qualiaffrontare ogni giorno la ricerca delle auleall’interno di enormi edifici e con cuicondividere le ore di lezione che, spesso, siseguono seduti a terra con le gambeincrociate quando i posti disponibili sonoterminati. E’ indispensabile una buona dosedi determinazione per affrontare la nuovarealtà del mondo universitario in cui, adifferenza di quanto avviene nelle scuolesuperiori, si è identificati da un numero dimatricola e in cui si è direttamenteresponsabili delle proprie decisioni e delproprio successo: da matricola 793648,iscritta al primo anno di lettere modernepresso l’Università degli Studi di Milano,ritengo che, per affrontare tutte le sfide chela vita ci presenterà, sia necessaria unabuona dose di passione per gli interessi cheabbiamo deciso di portare avanti nella nostracarriera di studenti e che speriamo di potertrasformare, un giorno, in una professione. E’stata, dunque, la mia predilezione perl’Italiano e la scrittura che mi ha portata ascegliere la facoltà cui iscrivermi, mentre ladecisione di frequentare l’università a Milano,affrontando ogni giorno il tragitto in treno emetropolitana, è scaturita dalla voglia dicrescere e mettermi alla prova oltreché dalsogno di trovare un posto di lavoro, un giorno,in una casa editrice.

Un grande in bocca al lupo a tutte lematricole!

MATRICOLA 793648Elisa Setti

Nella Dichiarazione di In-dipendenza americanadi Thomas Jefferson“the pursuit of happy-ness” (la ricerca dellafelicità) viene presenta-ta come un diritto ina-

lienabile di ogni cittadino. In effettil’uomo ha da sempre dovuto fare i con-ti con il proprio desiderio di essere feli-ce, un desiderio che è stato oggetto diindagine per letterati e filosofi di ogniepoca. Oggi la felicità è diventata il ful-cro di un’analisi più complessa condottada scienziati, psichiatri e sociologi, checercano di comprendere l’entità dellasua portata nei sistemi politico-econo-mici contemporanei. Non molto tempofa ho letto alcuni articoli riguardanti unrecente studio condotto dai ricercatoridell’Harvard Medical School, della Uni-versity of Zurich e della University ofCalifornia, su gemelli eterozigoti eomozigoti che ha permesso di stabilirecon maggior chiarezza l’ereditarietà dialcuni tratti caratteriali e i geni chesembrano determinarli. Da queste ricer-che sembrerebbe infatti possibile affer-mare che esiste un gene della felicità.È innegabile che i fattori esterni in-fluenzino l’umore degli individui e la lo-

ro soddisfazione per la vita che condu-cono: chi ha un lavoro sicuro è più gra-tificato di chi è disoccupato, chi è be-nestante ha più possibilità di essere fe-lice di chi vive nella necessità dei beniprimari. Ma la personalità è in assolutoil fattore che gioca il ruolo più signifi-cativo in questo senso: le persone estro-verse tendono ad essere più felici diquelle introverse, così come chi è più si-curo di sé sembra condurre una vita piùrilassata e appagante di chi è preda del-l’ansia e del senso di inadeguatezza.Alcuni individui, quindi, sembrerebberopiù predisposti di altri alla felicità: in-fatti recenti teorie sostengono che siala presenza del gene responsabile deltrasporto della serotonina, un regolato-re dell’umore che determina la sensa-zione di benessere, a favorire il senso digratificazione che rende gli uomini feli-ci. Ma c’è di più: come sappiamo ogniuomo possiede due coppie (alleli) dellostesso gene, uno per genitore; il genetrasportatore della serotonina esiste indue varianti, una corta e una lunga.Sembra che sia possibile supporre chechi possiede due geni “corti” corra mag-giormente il rischio di essere affetto dadepressione, mentre chi possiede unacoppia “lunga” è portato a ritenersi più

soddisfatto di sé e della propria esisten-za. Queste teorie non riguardano solol’individuale atteggiamento con cui cia-scuno di noi affronta la vita, ma posso-no essere estese ai rapporti interperso-nali. Seguendo questa strada sarebbepossibile, prendendo in considerazioneuna comunità più o meno estesa, trova-re un interessante collegamento traun’alta percentuale di individui porta-tori di alleli “corti” e l’insoddisfazioneche l’insieme stesso degli individui ma-nifesta, per esempio, nei confronti del-le istituzioni politiche o le sue reazionidi fronte a una situazione di crisi eco-nomica o ancora la tendenza a ribellar-si causando disordini. Spingendoci oltresi potrà forse anche indagare fenomenisociali molto complessi come i meccani-smi che stanno alla base dell’accetta-zione di un regime autoritario e quelliche scattano invece nel momento dellaribellione. Per il momento queste teoriesono guardate con grande interesse nonsolo da scienziati, psichiatri e ricercato-ri, ma anche da economisti e politiciche sperano di poterne fare un validostrumento di osservazione della società(lo studio del comportamento degli in-dividui è alla base degli studi economi-ci) o di ricerca del consenso.

Felici si nasce?

Cecilia Mariotti

foto Silvia Stella

Auguri da tutta la redazione!

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Trovo che sia un’immagine idilliaca, qualcosache ti fa sentire come la domenica mattina ocome le giornate d’estate quando esci alle

due di pomeriggio, ti senti soffocare ma il caloresulla pelle ti fa sentire un protagonista; èoggettivamente BELLO.Ho aperto la portafinestra che dà sul balcone e honotato che la strada era pervasa da una strananebbiolina; eravamo tutti sollevati dal fatto cheavesse smesso di piovere, anche le foglie suglialberi, felici di non dover subire, per poco, unamorte prematura; la stagione stava cambiando ecome lei, tante altre cose. Affrontare una vita, all’improvviso. Fin’ora tutti igiorni erano scanditi da un giro di roulette, conqualche numero a sorpresa, si, ma sempre in tondo.Svegliarsi la mattina e capire che era iniziata lasessione di esami, scoprire di essere costantementeindietro con lo studio, la carica, la forza e poi losconforto; è difficile trovare motivazioni valide perproseguire, ma le voci che ti inseguono ovunque,che sembrano uscire da un sogno delirante e checontinuano a ripetere che è necessario stringere identi, sono vere. Finalmente, meglio tardi che mai, arriva la laureatanto sognata, tanto desiderata, e domani? Avrò lostesso tempo e la stessa terrorizzante “serenità” diaffacciarmi e osservare il mondo, di valutare lepersone che mi circondano per quello che sono enon per quello che rappresentano? Beh, qualcheanno passato sui libri non serve ad imparare molto,ma serve ad analizzare, ad aprire la mente peraccogliere tutto ciò che troviamo e che cerchiamo.Spero che questi tre anni di notti insonni e dipomeriggi tra le lacrime siano serviti a rendermiuna persona migliore, capace di ascoltare e non disentire soltanto, capace di inseguire i sogni senzavolare troppo in alto, capace di riuscire. In bocca al lupo a me e a tutti quelli che, perqualche anno ancora, si sveglieranno nel cuoredella notte per aver sognato un esame terribilema che si sveglieranno capendo che l’esame veroè appena cominciato.

L’esame veroè appena cominciato

Oggi c’è il sole, mi sonosvegliata più tardi delsolito e ho visto i raggiattraverso le fessuredelle tapparelle.

Alessandra Santi

foto Riccardo Torti

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