Cultura Commestibile 88

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88 uesta settimana il menu è Q Stammer a pagina 5 Lettera ad un piano mai nato RIUNIONE DI FAMIGLIA a pagina 4 L’Acidini all’Expo La Venere a Firenze PICCOLE ARCHITETTURE Leverotti a pagina 2 DA NON SALTARE Apuane, un parco da salvare La cecità e l’impegno Il romanzo della rivoluzione (Seconda parte) Cristina Acidini, sovrintendente pilatesca Decide tutto il Ministro Cecchi a pagina 7 OCCHIO X OCCHIO Fotografando la Grande Guerra Setti e Siliani a pagina 9 PECUNIA&CULTURA Il tormentone culturale estivo

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Transcript of Cultura Commestibile 88

88 uesta settimanail menu èQ

VUOTI&PIENI

Stammer a pagina 5

Lettera ad un pianomai nato

RIUNIONEDI FAMIGLIA

a pagina 4

L’Acidiniall’ExpoLa Venerea Firenze

PICCOLE ARCHITETTURE

Leverotti a pagina 2

DA NON SALTARE

Apuane, un parcoda salvare

La cecitàe l’impegno

Il romanzodellarivoluzione(Seconda parte)

Cristina Acidini, sovrintendente

pilatesca

Decide tuttoil Ministro“

Cecchi a pagina 7

OCCHIO X OCCHIO

Fotografandola Grande Guerra

Setti e Siliani a pagina 9

PECUNIA&CULTURA

Il tormentoneculturale estivo

CCUO

.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.2DA NON SALTARE

Nato nel 1995, con molta incon-gruenza, con le cave “dentro”, ilParco delle Alpi Apuane è statofinora gestito in maniera ano-

mala, sotto il ricatto occupazionale dipochi imprenditori, tanto che ad oggi,dopo 20 anni, non solo non ha un suo re-golamento, ma una delibera regionale del2006 ha consentito illogicamente che ilpiano estrattivo venisse elaborato dopo ilpiano del Parco, che ad oggi non è statoancora approvato! A seguito della normativa europea voltaad individuare territori di pregio per laflora e per la fauna, meritevoli di tutela perla biodiversità (sono presenti 3.000 speciefloristiche delle 5.595 note in Italia, tra cui20 endemismi) nel territorio del Parcosono stati individuati ben 18 SIC (Siti diInteresse Comunitario) e una vastissimaZPS (Zona di Protezione Speciale per gliuccelli) che coincide praticamente con iSIC, aree di pregio, che coprono il 90%dell’area Parco, dichiarati tutti anche IBA(Important Bird Areas).L’assurdità è che l’area delle cave (chia-mata in maniera surrettizia “area contiguadi cava”) si incista in queste aree protette,frammentandole con tanti buchi di di-versa dimensione. Le norme di salvaguar-dia imposte dal Parco nelle concessioniestrattive soggette a VINCA (valutazionedi incidenza) sono risibili: oliare i mac-chinari per non disturbare gli uccelli…non sparare mine nel periodo di nidifica-zione delle aquile…..Non solo, a partiredal 2000 sono state ri-aperte almeno unadecina di cave nei siti SIC-ZPS, in aree giàrinaturalizzate, accentuando così il dannoambientale e suscitando l’interrogativo seil Parco (oggi Geoparco Unesco) sia piùinteressato alla concessione di escavazionipiuttosto che alla tutela del territorio affi-datogli.Le Apuane si caratterizzano per una ric-chezza d’acqua senza uguali: sono quipresenti le due sorgenti più importantidella Toscana (Forno e Pollaccia) e uncarsismo che le rende il territorio più im-portante d’Italia per questo aspetto: visono 10 fra gli abissi italiani profondi piùdi 1.000 metri e di questi, il Roversi, è ilpiù profondo d’Italia, laghi e fiumi sotter-ranei, un migliaio di grotte nella sola Car-caraia, e una grotta (l’antro del Corchia,oggetto di una pubblicazione del-l’ISPRA) esplorata ad oggi per oltre 50km.Ebbene l’attività di cava, esercitata congrande trascuratezza, inquina le acque su-perficiali con la marmettola (fanghiglia dipolvere di marmo e residui ferrosi deri-vante dalle operazioni di taglio) e gli oliiesausti che si infiltrano nelle fratture car-siche e la pioggia la trascina per decine disottoterra fino a riemergere nella pianuramassese, in Versilia, nella Lunigiana: il Fri-gido, la sorgente di Equi, il canale delGiardino, quello di Renara assumono,dopo ogni temporale, il colore del latte.La marmettola si deposita anche nelle ca-vità carsiche uccidendo le forme di vitapresenti: l’Arpat (Agenzia Regionale diProtezione Ambientale della Toscana) haconfermato che i “fanghi bianchi” dell’an-

Alpi ApuaneUn geoparcoda salvare

di Franca [email protected]

Consigliere nazionale di Italia Nostra

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tro del Corchia, un complesso carsico ri-tenuto di importanza mondiale, eranopolvere di marmo riconducibile alle so-prastanti cave Tavolini tuttora in eserci-zio.Le prescrizioni del Parco anche in questocaso sono ridicole e del tutto insufficientia tutelare le acque, sia in quantità che inqualità, e la vita del mondo sotterraneo.Infatti si chiede di sigillare le frattureanche con il cemento disperdendo così ri-sorse utili alle ricariche delle sorgenti e in-crementando il rischio idrogeologico diuna zona fortemente compromessa neisuoi equilibri. Le alluvioni di Forno, diCardoso, di Carrara, della Lunigiana do-vrebbero suggerire ben altri comporta-menti. Nel caso di ingressi a pozzi, abissie cavità, già esplorate e presenti nel cata-sto delle grotte redatto dalla FederazioneSpeleologica Toscana, si invita a lasciareuna distanza da 10 a 20 metri dall’aper-tura (e molte di queste sono occluse acausa dell’attività estrattiva). Curioso manon singolare quanto avvenuto poche set-timane fa: è stato autorizzato il taglio del-l’abisso del Pozzone, accatastato fin dal1975, già intercettato e occluso dall’atti-vità di cava, per il quale il Parco consen-tiva una distanza di sicurezza di soli 5metri. La concessione al taglio è stata au-torizzata, in deroga alla delibera del Con-siglio Direttivo del Parco che“proteggeva” gli abissi superiori ai 300metri di lunghezza, sulla base di relazionifornite dalla ditta che giudicavano l’abisso(che presenta corsi d’acqua in varie dire-zioni) “privo di valore ambientale e senzarilevanza naturalistica e archeologica”(probabilmente “geologica”). Anche la prescrizione della VINCA difermare l’attività quando si individua unafrattura, informare il Parco e modificare ilpiano di coltivazione è regolarmente di-sattesa: nessuna ditta ha mai informato ilParco e la documentazione fotograficamostra fratture tagliate per più piani dicoltivazione.Nel Parco e nelle aree attigue si consente,da parte dei Comuni e della Regione To-scana, la violazione delle normative euro-pee relative alla tutela delle acquesuperficiali e sotterranee, e soprattutto delprincipio di precauzione. La Regione el’ente Parco violano sistematicamente latutela dei siti Rete Natura 2000 nel mo-mento in cui stabiliscono che si faccia at-tività estrattiva all’interno dei siti protetti,e soprattutto quando consentono che unacava in ZPS e SIC possa ri-aprire o possaestendere la sua attività purché presente nelpiano regolatore dei singoli Comuni alladata 2007… e sempreché l’attività estrattivasia orientata a fini natura-listici e sia compatibile con gli obbiettivi diconservazione delle specie prioritarie: questaassurda normativa (delibera di giunta454/2008) riprende in toto l’art. 5comma 1 del DM 17/X/2007, che erastato concepito per superare una proce-dura di infrazione (2006/2031) avviatadall’Europa relativamente alle ZPS!Due anni fa il Parco è entrato a far partedei Geoparchi Unesco, data la ricchezzadei geotopi e dei geositi presenti, anchequesti devastati dalle cave che li ricopronocon lo scarico dei detriti. Nella carta ela-borata dal Parco per questa operazione di

Un intervento sulla difficileconvivenza tra cave e naturasui monti di Carrara

del carbonato di calcio ricavato dai detritie dalle scaglie, favorito da questa deli-bera,ha trovato ulteriori avvalli, quando,ad esempio, con i contributi europei, èstato crostruito un frantoio a Minucciano(MI.Gra) che riduce le scaglie in polvere,e, con i contributi regionali, si è costruitauna linea ferroviaria che da Pieve san Lo-renzo va direttamente a Sassuolo, nellafabbrica Kerakoll, dove il carbonato vieneimpiegato nella colla per piastrelle. Il Co-mune di Minucciano possiede il 51%della società ed il resto è condiviso tra Ke-rakoll ed un privato, ma il Parco (divenutoimprenditore) ha stabilito una conven-zione con la quale consente di asportaretutti i ravaneti (cioè i depositi di scaglie)del Comune di Minucciano (e ne hannofatto le spese anche quelli ri-naturalizzati)in cambio del 2% degli utili netti annualidella Mi.Gra! Paradossale se ricordiamole prescrizioni rilasciate dal Parco che ob-bligherebbero i concessionari a ripristi-nare il sito e a togliere i detriti. Fino adoggi, né Parco, né Comuni hanno obbli-gato i concessionari al ripristino ambien-tale. Quanto guadagna un Comune dall’aspor-tazione delle sue montagne? A Massa 9,9euro a tonnellata per i blocchi che, nelcaso di marmo bianco pregiato, vengonovenduti dal privato anche a 5.000 euro e3 euro a tonnellata per le scaglie biancherivendute anche a 200 euro la tonnel-lata…senza contare che molta parte del-l’estrazione non passa dalle pese comunalie dunque resta esente! Eppure la sentenzadella Corte Costituzionale 488/1995 im-poneva ai Comuni di Massa e Carrara diapplicare un prezzo “congruo al valore delmarmo estratto”. Il piano paesaggistico della Toscana, co-pianificato con il MIBACT, che preve-deva la chiusura progressiva di unaventina delle cave più critiche del Parco(quelle già fuori legge!), che occupanocomplessivamente circa 300 operai.Viene tristemente in mente Gomorra diSaviano dove si scrive che a Scampia giu-stificano la camorra perché dà quel lavoroche lo Stato né i privati danno. Ebbenequel piano è stato fermato ancora unavolta dalla politica: così non solo tuttocontinuerà, ma verranno riaperte cavechiuse da 20 anni e per quelle chiuse da30 anni si potrà fare un “ripristino am-bientale con scavo pari al 30% dei prece-denti piani di estrazione”. La politicaimpone alla natura i suoi tempi: la ri-na-turalizzazione non ci può essere prima dei30 anni! Le risposte alle numerose denunce pre-sentate dal 2012 alla Corte dei Conti, allaMagistratura, alla Commissione Am-biente a Bruxelles (chap 2012/02233) eora al Consiglio Superiore dei Beni Cul-turali da parte di Italia Nostra diventanoora più chi mai necessarie: non possiamopermetterci di asportare 5 milioni di ton-nellate di montagna ogni anno. La Regione Toscana, che a ragione va or-gogliosa di essere simbolo di civiltà, patriadell’Umanesimo e del Rinascimento, ilprimo stato al mondo a togliere la pena dimorte dal suo ordinamento, rischia cosìdi retrocedere nel limbo dei paesi più in-civili, sconfessando la sua tradizione, lasua storia, la sua immagine.

promozione le cave, che nella legendaesplicativa non sono nominate, compa-iono come area bianca; inoltre, per i sin-goli geotopi è stata elaborata una schedain cui si tace dell’attività estrattiva o si af-ferma che è in chiusura, e sono state alle-gate foto scattate da particolari angolatureper non mostrare la presenza delle cave.Ci sono cave sopra i 1.200 metri s.l.m.,cave di cresta, cave che hanno abbassato icrinali e deformato le forme delle monta-gne, cave nei circhi glaciali, nei boschi,tutte in piena violazione del Codice deibeni culturali, ma tutte continuano a la-vorare, nonostante presentino spesso do-cumentazione parziale, nonostantecommettano gravi infrazioni, come il ta-glio di setti giudicati imprescrittibili, loscarico di detriti nei canali e tagli non pre-visti nei piani di coltivazione approvati. I4 guardiaparco emettono multe fino adun massimo di 400 euro, multe a cui i Co-muni, collusi con gli industriali o essistessi imprenditori del marmo, nondanno seguito, e che si arenano nelle pro-cure della Repubblica. Per quanto la nor-mativa consenta di fermare una cava, ciònon capita mai, e, il fatto sa addirittura di

beffa, nei permessi di nuovi piani estrat-tivi sono ricordati abusi, sconfinamenti,infrazioni. L’arroganza degli industriali,protetti dalle amministrazioni, è poi taleche ogni eventuale diniego fa scattare unadenuncia al TAR contro il funzionario delParco. Arpat, USL, Provincia, Parco e Soprin-tendenze si piegano al volere delle com-missioni paesaggistiche comunali econcedono aperture, proroghe, rinnovodi attività estrattiva con decine di prescri-zioni, che si rivelano inutili però a proteg-gere le acque e a salvaguardare l’ambientee il paesaggio. Anche perché i controllinon si fanno o sono radi. Arpat ha con-trollato in due anni 13 cave, meno di ognidue mesi. Con quella media ci vorrannopiù di venti anni per controllarle tutte. Eb-bene, da quei pochi controlli sono scatu-rite sette sanzioni amministrative e bendieci denunce penali. Questo è il quadrodell’illegalità sul campo.La Regione ha promosso la distruzionedelle montagne con la normativa che perogni tonnellata di marmo il 25% sianoblocchi e il 75% scaglie (fuori dal Parco ilrapporto è addirittura 20/80). Il business

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Registrazione del Tribunale di Firenzen. 5894 del 2/10/2012

direttoresimone silianiredazione

sara chiarelloaldo frangioni

rosaclelia ganzerlimichele morrocchiprogetto graficoemiliano bacci

editoreNem Nuovi Eventi Musicali

Viale dei Mille 131, 50131 Firenzecontatti

www.culturacommestibile.comredazione@[email protected]

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“ “Con la culturanon si mangia

Giulio Tremonti

RIUNIONE DI FAMIGLIA

Non si sa se come la più famosa pul-zella d’Orléans anche MariannaMadia abbia ricevuto la chiamata;nel caso dubito fortemente che siastata quella di uno stilista. Sempredimessa, con l’aria di essersi fatta ca-dere addosso un vestito, ché il saio diIuta pare troppo pure a lei, la mini-stra ha portato nel governo più gla-mour dell’UE il look dauniversitaria fuoricorso. Già al giu-ramento l’unica concessione a talecanone fu l’essersi tolta la matita cheteneva lo chignon, perché per il restoil premaman senza forma blu eraperfetto per un’assemblea o un cine-forum. Le cose non sono miglioratecon la fine della maternità della mi-nistra, che continua a indossare lar-ghe tuniche informi, a dimostrare undisperato bisogno di un parrucchieree, probabilmente, di un’estetista.Tuttavia questa scarsa attenzione allook fa sperare che la sua presenzanel governo più paparazzato dellastoria della Repubblica, abbia a chefare anche con le sue capacità politi-che.

bella ideuccia. Stai a sentire...Montanari – Mmmm... mumble mum-ble... qui sento odor di fregatura. Chissàcosa gli sarà saltato in mente a questoesaltato...Franceschini – Caro Tomasino, noi si facome il Renzi: quando trova un osta-colo sul suo cammino, parla d’altro, ri-lancia su un altro tavolo e va in tasca atutti. Così, noi ora si fa un’altra rivolu-zione. Ho già trovato lo slogan. Sentiqua: “Selfie libero!”. Si stabilisce,d’ora in poi, che fare foto neimusei è consentito! Via questianacronistici divieti! Smar-thphone e tablet di tutto ilmondo, unitevi! Turisti asia-tici e americani unitevi alleschiere rivoluzionarie delvecchio continente: fotogra-fate e fotografatevi nei nostrimusei! Sel-fie li-be-ro! Sel-fieli-be-ro!”Montanari – Ma cosa hai snif-fato, Dario? Roba tagliata male?Questa è una follia! Ma te li imma-gini quei cafoni di turisti da torpedone,tutti a fotografarsi sotto il pisellino delDavid o il culotto della Venere?Franceschini – Ma sei il solito caca-

dubbi, Tomaso! Perché mi vuoi rovi-nare la festa? Noi saremo l’avanguardiad’Europa: tutti i grandi musei d’Eu-ropa – ma che dico, del mondo – ci se-guiranno in questa epopea diliberazione. Un fantasma si aggira perl’Europa: il selfismo!Montanari – Mah, questo è completa-mente andato. Meglio levare le tende,non vorrei essere coinvolto in questa fol-lia.Franceschini – Ah, fuggi, Mara-maldo! Fifone! Ma chi se nefrega di questi professorini: iovado avanti lo stesso. Tro-verò altri e ben più impor-tanti testimonial per la miarivoluzione. Ho letto di ungrande intellettuale, ‘stoSam Leith, che sull’Eve-ning Standard ha scrittouna cosa profonda come laFossa delle Marianne:“Un’ampia parte del piacereche proviamo nel trovarci da-

vanti a un capolavoro è propriodovuta al fatto di essere lì. E poter dire:io ci sono stato”. Minchia, che pensierosublime! Avanti popolo, alla riscossa,selfie libero trionferà!”

Riassunto delle puntate prece-denti – Dario “Che” Franceschini staarchitettando una devastante rivolu-zione nel mondo dei beni culturaliitaliani. Ma i Grandi Padroni deimusei,Cristina Acidini e AntonioPaolucci, preparano la contro-rivolu-zione e ricorrono direttamente alGrande Capo di Palazzo Chigi. Mat-teo Renzi, per timore di un “Che”troppo rivoluzionario, stoppa la rivo-luzione.

Franceschini – Senti, Tomaso, qui lasituazione si mette male. Io ci ho pro-vato a fare quello che mi avevi detto tee quel secchino allampanato del miopredecessore, ma mi son preso dellebelle bacchettate sulle mani da Mat-teo. Ma che cavolo mi avevate scritto?Montanari – Guarda Dario, avevamostudiato parecchio quella proposta.Era tutta roba potabile e ti faceva farebella figura a sinistra e con i Soprin-tendenti.Franceschini – Ah sì? Guarda profes-sorino dei miei corbelli, a me della si-nistra non me ne sbatte un accidenti epoi, per tua informazione, a farmi ilculo è stata la Gran Sacerdotessa ditutti i Soprintendenti, la tua amicaAcidini. Poi, se te ne stavi zitto invecedi cantar vittoria, forse la rivoluzionesi faceva davvero! Comunque, la-sciamo stare, per ora. Come diceva unmio grande indimenticato Maestro:chi l’ha più lungo, se lo tiri! Ora biso-gna rilanciare sul piano rivoluziona-rio con un piano B... e io ho avuto una

LE SORELLE MARX

Roberto Saviano ci informa, viasocial ça va sans dire, che il prossimo

libro di José Saramago, cheesce postumo e incompleto,nella sua versione italiana,edita da Feltrinelli, sarà se-

guito da uno scritto dello stesso Saviano.La foto acclusa della copertina, ci in-forma anche che l’illustrazione (al singo-lare dunque immaginiamo quella dicopertina) è di Günter Grass. Ora l’ope-razione già di per sé problematica dipubblicare un romanzo incompiutofatta accompagnare da testimonial delgenere un po’ preoccupa. Siccome non siricorda una particolare preparazionee/o attenzione di Saviano nei confrontidello scrittore portoghese (né in generaleper letterati in genere aldilà della compi-lazione di qualche elenco di letture prefe-rite) si può pensare che, da un lato, sepersino un autore famoso, bravo edamato come Saramago ha bisogno deltestimonial di eccellenza del lettore “im-pegnato” di Feltrinelli lo stato dei nostrilettori è davvero pietoso; oppure che il li-vello di quest’opera è tale da renderlaadatta a volumi di critica, di raccoltadelle opere e di curatela (attenta ed affet-tuosa) di e per lettori appassionati e nonad una edizione singola. In entrambi icasi l’operazione ci pare piuttosto spicciae poco “rispettosa” di quel genio che fuJosé Saramago.

Il romanzo della rivoluzione (2)LA STILISTA DI LENIN

La pulzelladei Parioli

Il meteorologo statistico di turno ha detto in televisione che un’estate così piovosa, comequella del 2014, non c’era più stata dal 1916. Questo vuol dire, abbiamo pensato, che nes-suno essere umano può aver memoria di una piovosità analoga. Ci sono degli ultracentenarinati anche verso il 1910, ma ci sembra impossibile che possano ricordare una situazioneanaloga a quella che abbiamo vissuto noi: una bella soddisfazione. Possiamo dirci contenti.Qualcuno si sarà preoccupato, invece, noi abbiamo pensato che si trattava di una granbella notizia. Tutte le storie sul riscaldamento del pianeta, sulle mutazioni climatiche etc.etc. sono o esagerate o addirittura false e che il buco dell’ozono si poteva far rientrare fra itanti avvenimenti naturali, come i terremoti periodici, i cicloni e le grandi nevicate. Unaconferma a questa nostra ipotesi ci viene dalla lettura della originale ricerca storica di Fran-cesco B. Dall’Oglio su Clementino VI, papa sconosciuto dagli elenchi ufficiali ma che, se-condo lo storico, visse ad Avignone dal 1342 al 1343 e pur non riconosciuto come ponteficefu fatto santo per aver fatto piovere per 3 mesi di fila nella caldissima estate del 1343. Intempi miscredenti ed agnostici come i nostri si vuol cercare a tutti costi le ragioni delle recentipiogge con motivazioni scientifiche. Bei giorni quando gli avvenimenti belli o catastroficivenivano attribuiti ora una volta ora un’altra alla volontà di punizione del Padreterno oin alcuni casi del demonio.

Finzionariodi Paolo della Bella e Aldo Frangioni

I CUGINI ENGELS

La cecitàe l’impegno

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sioni del PS ma anche le previsioni delPRG vigente che venivano confermate.Il Piano del 2011 recupera questa im-postazione e la modifica solo in parteladdove diminuisce la quantità di su-perficie utile lorda costruibile deri-vante dalle previsioni del PRG vigente.Infatti non tutto quanto era già previ-sto dal PRG vigente viene recuperatonel PS ma dei 235.773 mq di s.u.l. pre-visti dal vecchio Prg ne conferma94.700. Quindi l’unica effettiva dimi-nunzione è questa. Per fare una comparazione volume-

trica a 100 mq di s.u.l. corrispondonocirca 300 mc.Non si tratta come puoi ben capire diun piano a “volumi zero” ma un pianoper dirla con Giuseppe Campos Venuti(uno dei più autorevoli urbanisti ita-liani) a volumi “ragionevolmente con-tenuti”. Che è stata la filosofia delnuovo Piano di Firenze già dal 2004 e,a dire il vero, già dal 1993.Un piano quindi che punta, come iprecedenti, al recupero dell’esistente eal suo trasferimento da aree già saturea aree meno sature con vantaggi sia per

le prime sia per le seconde. Le primeinfatti recuperano spazi utili per i ser-vizi pubblici e le seconde aumentanola loro densità a vantaggio dell’efficaciadegli stessi servizi pubblici.Per fornire alcuni numeri, che in urba-nistica sono sempre interessanti e utili,il dimensionamento totale del PS 2011è di mq 1,307.000 di s.u.l. realizzabile,di cui:1.062.300 da recupero,150.00 da trasferimento,94.700 residuo del vecchio PRGPer darti un’idea il PS 2007 aveva que-sti dati:S.u.l. realizzabile mq 919.740 di cui404.767 da recupero279.200 da trasferimento235.700 residuo del vecchio PRG.In sostanza il Piano del 2011 “movi-menta” un numero maggiore di volumidiminuendo quelli di nuova edifica-zione a vantaggio di quelli derivanti dalrecupero.C’è però un dubbio che non vienesciolto dalla lettura del Piano 2011.Infatti il Piano non conteggia fra questesuperfici oggetto di intervento di tra-sformazione, e quindi conteggiate nelPiano, gli interventi che vengono defi-niti “ordinari” e non soggetti alla nor-mativa delle aree di trasformazione econseguentemente conteggiabili nelPiano.Ora questi interventi non riguardanosolo, come era lecito aspettarsi, piccoliinterventi su singole abitazioni per so-pralevazioni, ampliamenti di unastanza o interventi di piccole dimen-sioni comunque riferibili alla singolaunità immobiliare che, naturalmente,è logico non siano calcolate nel dimen-sionamento complessivo di un pianogenerale. No, gli interventi che nonsono conteggiati riguardano interventifino a 2.000 mq di s.u.l. singolarmente. Ora ognuno di questi interventi di2.000 mq di s.u.l. risulterebbe signifi-cativo nell’ambito urbano della città diFirenze. Per farti capire, caro Robert,2000 mq si tradurebbero in circa 30appartamenti, che in contesti delicaticome quelli che caratterizzano il si-stema urbano fiorentino, può fare ladifferenza fra una ordinata sistema-zione urbana e una disordinata e di dif-ficile gestione.Inoltre, cosa ancora più complicata dagestire, la scelta di dove allocare questiinterventi è lasciata alla discrezionalitàdella redazione del Regolamento Ur-banistico, che è stato recentementeadottato dal Consiglio Comunale.Quindi lo slogan ha avuto successo mala realtà dei fatti non corrisponde esat-tamente allo slogan.Caro Robert come vedi in Italia biso-gna sempre guardare dietro e dentro leparole. L’italiano è una lingua bellis-sima ma complessa e spesso è utilizzataper costruire cortine fumogene più cheragionamenti chiari e limpidi.Un abbraccio da Firenze dove il solesplende nonostante le burrascose pre-visioni della vigilia della Pasqua.Oh my dear Robert the weather ischanging.I miei migliori saluti.

di John Stammer

Lettera pubblicata sul blog“Ciclostilato in proprio”

Caro Robert tu mi chiedi notiziedel Nuovo Piano di Firenze. Daquando ho iniziato, alcuni anniorsono, dopo la mia intensa at-

tività nel Regno Unito, ad occuparmidelle vicende urbanistiche di una dellecittà più belle e importanti dell’Italia,ho scoperto che, in questo paese, biso-gna sempre guardare dietro le parole.Questa tua richiesta mi ha dato mododi sperimentare anche su questo temala mia nuova attitudine. Ecco quindiquello che ho scoperto. Prima di tutto bisogna dire che Firenzeda molti anni, almeno dal 1993, hacontenuto la sua espansione urbana;non ci sono evidenti fenomeni disprawl urbano, e anche le periferiehanno un assetto complessivamenteordinato. Il primo tentativo di applicarela nuova norma urbanistica regionale esuperare il Piano Regolatore Generaledel 1993 è datato 2001-2002 con laprima amministrazione del sindacoLeonardo Domenici. Il Piano Struttu-rale fu adottato nel 2004, quasi a finemandato, e il completamento delleprocedure di approvazione fu lasciatoalla amministrazione successiva. Tut-tavia le nuove alleanze politiche e lemutate condizioni politiche e anchenormative (proprio in quel periodo laregione aveva prodotto importanti mo-dificazioni alle norme urbanistiche)consigliarono un percorso di ascoltodella città e di partecipazione dei citta-dini che approdò in una lunga serie diincontri pubblici che analizzarono ilPiano Strutturale del 2004 e ne deter-minarono una nuova versione che fuadottata dal consiglio comunale nel lu-glio del 2007. Questa nuova versioneperò non giunse mai all’approvazioneper le dimissioni dell’assessore all’Ur-banistica a seguito di una inchiestadella magistratura fiorentina che si ri-solse con l’assoluzione di tutti gli impu-tati dalle accuse di corruzione econcussione, e per le conseguenze po-litiche di quella stessa inchiesta.La nuova amministrazione nata nel2009 sulle ceneri della precedente haripreso il lavoro lanciando lo slogan“piano a volumi zero”. Il nuovo piano èstato approvato definitivamente nel2011 e rappresenta di fatto una sostan-ziale continuazione delle politiche dicontenimento della espansione urbanae della logica del costruire sul costruitoche avevano improntato le precedentiversioni. Solo che ora si è fatto prece-dere agli atti tecnici gli slogan. Sloganche in questo caso non danno esatta-mente conto della realtà degli atti.Vediamo quindi nel dettaglio la situa-zione.Già il PS 2007 era un piano di sostan-ziale contenimento della nuova edifi-cazione (quasi a volumi zero con unoslogan ora di moda) e prevedeva la cre-scita del 2,7% (in termini di S.U.L. Su-perficie Utile Lorda ) dell’interosistema urbano della città. Questo datocomprendeva non solo le nuove previ-

PICCOLE ARCHITETTURE PER UNA GRANDE CITTÀ

Letteraa un pianomai nato

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L’immagine è una categoriaambigua, a metà strada fral’esperienza sensibile e ilconcetto rappresentato: un

pathos intermedio in cui il soggettopuò essere mimesis del mondo, maanche trasfigurazione estetica perso-nale, secondo una semiotica concet-tuale che nel mondo dell’Arte variada artista ad artista. Nel vasto oriz-zonte della pratica espressiva mo-derna l’immagine è autonoma, inquanto chiasmo percettivo che si op-pone fra il veduto e il vedente e inquanto forma totale, concreta e pre-sente agli occhi del fruitore, poichérinvia sempre a una forma di infor-mazione e significazione che oltre-passa il dato sensibile. In tale prospettiva Chiara Palmuccinon si appropria soltanto dell’imma-ginario moderno, quanto del con-cetto culturale e semantico che leimmagini del mondo moderno, pas-sato e archetipico rievocano. Attra-verso la fotografia coglie realtà eriflessioni che l’occhio comune nonriesce a percepire, trasfigurandole innuove esperienze visive, lontanedalla consuetudine di vedere e ana-lizzare il mondo. Quelle dell’artistasono opere ontofaniche, in cui l’og-getto rappresentato garantisce la ma-nifestazione di un’operazionecognitiva, intellettuale e dal forte im-patto concettuale. Nelle sue opere –serie artistiche di fotografie digitali,pitture acriliche e installazioni – siriassumono tutte le peculiarità delleimmagini, condensando nella pro-pria sfera di esperienza e di rappre-sentazione tutte le funzionipertinenti alla percezione visiva, fon-dendosi con la particolare strutturaculturale della società contempora-nea. Di conseguenza le immaginiestetiche – trasfigurate, curate, ana-lizzate nei dettagli e nelle forme, tut-tavia spersonalizzate e innalzate allostato aulico e sacrale di simboli e ci-tazioni universalmente riconosciuti,al fine di ribaltarne i valori già deni-grati dalla contemporaneità – diven-gono autonomie privilegiate dellavita dello spirito umano, che ne rico-

di Laura [email protected]

ISTANTANEE AD ARTE

In alto e qui a fianco opere tratte da Religiose, serie difotografie su dibond, 2012. Le opere sono parte diuna ricerca basata sull’iconografia classica, studiata,approfondita e usata ad archetipo. La religione,spesso lontana dalla società contemporanea, è resapiù vicina agli occhi dell’osservatore, più fruibile edimmediata, adattata alla contemporaneità, ed esplici-tataSotto un lavoro tratto da 1900’s, serie di fotografie di-gitali su dibond alluminico, 2010. La ricerca com-pone un’analisi sulla società contemporanea,trasfigurando opere dell’arte moderna ritenute tradi-zionalmente fondamenti dell’arte.

Chiara Palmucci

L’

diambiguità

struiscono la forma ideale. L’attenzione creativa èspostata nella direzione del lettore: sintesi comuni-cativa, espressione e capacità di lettura del messag-gio dell’opera si trovano su un diverso pianod’azione. La problematica della rappresentazione,dell’interpretazione e della comunicazione modernaè spenta a vantaggio della risonanza dell’immaginesull’Io-fruitore, al quale non resta che meravigliarsie lasciarsi meravigliare dalle riflessioni emotivo-con-cettuali che ne conseguono.

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la

OCCHIO X OCCHIO

FotografandoGrandeGuerra

di Danilo [email protected]

Sono passati esattamente centoanni dall’inizio della GrandeGuerra, quella del 14-18 che hacambiato il mondo, ha lasciato

decine di milioni fra morti e mutilati, re-galandoci in cambio l’industria metallur-gica, l’industria chimica, l’industriaaeronautica e quella automobilistica, oltreall’elettricità, al telefono ed a qualche altrogiocattolo tecnologico, ed alla falsa spe-ranza di un lungo periodo di pace. Nient,a confronto di quello che ci ha lasciato laguerra successiva (il nucleare, la missili-stica, l’elettronica, il chewing-gum, i filmamericani, etc.) ma all’epoca non si potevaprobabilmente chiedere di più. La GrandeGuerra segna per la prima volta un puntodi svolta, non solo per quello che ci ha la-sciato, ma per il modo in cui è stata foto-grafata, per essere stata in assoluto la primavera guerra fotografata in maniera esau-riente e dettagliata, non tanto e non solodai fotografi al servizio degli Stati Maggiorio di quelli al servizio dell’industria dell’in-formazione giornalistica, ma dall’interno,da parte degli ufficiali, dei sottoufficiali eperfino da parte dei semplici soldati. Per laprima volta nella storia delle guerre, le fo-tocamere sono diventate veramente tasca-bili, nonostante un formato di dimensionipiù che accettabili, ed hanno una certa au-tonomia di riprese su ogni rullo. Ma so-prattutto possono essere utilizzate inmaniera discreta ed al di là di ogni barriera,proibizione, controllo o censura. I rulli dipellicola possono essere facilmente occul-tati, non sono fragili ed ingombranti comele lastre dei professionisti che operanonelle retrovie, e vengono fatte passare al difuori delle zone militarizzate, per esseresviluppati o spediti a casa. Accanto ai do-cumenti fotografici ufficiali si forma cosìun archivio alternativo, in cui non si parladi gloria o di vittorie, di avanzate baldan-zose o di cariche impetuose, ma si parlaanche e soprattutto di dolore, di stan-chezza, di sangue, fango, freddo, fame, la-cerazioni e miseria. Se le immagini delleguerre precedenti sono relativamentepoche e quasi sempre “posate” (come laCrimea, la Secessione Americana, la Co-mune di Parigi, ma da noi anche il Risor-gimento, fino alla breccia di Porta Pia)quelle della Grande Guerra sono spessoimmagini autentiche, che mostrano i di-versi volti della guerra. Dall’esibizionetrionfalistica degli armamenti più mo-derni, assunti come simbolo di una po-tenza economica e militare, ma anchevirile, alla raffigurazione di truppe perfet-tamente schierate, irreggimentate ed ordi-nate, dalla sfilata dei mezzi meccanizzati,camion, autoblindi ed aerei, e dagli atteg-giamenti fieri e sprezzanti del pericolo sipassa in pochi scatti allo sgomento dipintosui volti sotto il fuoco di sbarramento, allafragilità dei corpi ammassati nelle trincee,al macello della carne dilaniata, ma ancheai momenti di solidarietà e di complicitàfra commilitoni, all’instaurarsi di amiciziedestinate a durare forse solo fino al pros-simo cannoneggiamento. La fotografia di-venta anche un legame, un motivo diavvicinamento. Si porta con sé la foto dellaragazza, della moglie o dei figli, la si mostra

orgogliosi al compagno di trincea. Si scattao ci si fa scattare una foto da inviare a casa,ci si fotografa insieme, a due o a tre, o a pic-coli gruppi, e ci si promette a vicenda chesaremo comunque noi ad inviare la foto acasa del commilitone, nel caso in cui ….L’insicurezza ed il senso di precarietà ven-gono esorcizzati fissando la propria imma-gine sulla pellicola, lasciando una tracciaindelebile, fermando un momento che ilgiorno dopo, o forse solo fra poche ore opochi minuti non sarà più possibile fer-mare di nuovo. Non per caso, negli anniimmediatamente successivi alla fine delconflitto nascono, in Francia ed in Germa-nia, le prime riviste illustrate con fotogra-fie. Grazie (anche) alla Grande Guerra, lafotografia diventa, dolorosamente, adulta.

La mia bellissima lingua madre. Conti-nuo a leggere in russo, parlo in russo conmia figlia che lo parla, lo legge e lo scriveperfettamente. Amo le nostre tradizionie continuo a rispettarle anche qui a Fi-renze: vado nella Chiesa Russa di vialeMilton, preparo i piatti tipici della nostracucina, ai miei ospiti non manco mai dioffrire vodka e caviale. E anche nei pro-grammi dei miei concerti, cerco sempredi inserire qualche composizione russa.Qual è la marcia in più dei fiorentini rispettoai russi?I fiorentini sono più simpatici, sorridonomolto di più. E io li trovo anche disponi-bili e ospitali. E il difetto che più ti disturba in loro?Sono chiacchieroni e pettegoli. Pensi che svolgere il tuo lavoro qui sia più

semplice e più soddisfacente che non in Rus-sia?Quando ho lasciato la Russia, lavorarvicome musicista era molto difficile. I can-tanti erano pagati poco e c’erano pochepossibilità di lavoro. Forse adesso la si-tuazione è migliorata, lo spero, ma non laconosco tanto bene. Sicuramente anchein Italia la situazione non è facile. E poigli italiani non sanno organizzarsi: questosì che in Russia funziona meglio! Il pro-blema della disorganizzazione qui èmolto grave. Non credo di poter inter-pretare in altro modo, per esempio, i con-tinui ritardi nei pagamenti delle propriespettanze. Forse è anche la crisi… Hai rimpianti avolte rispetto a questa tua scelta di vita?No. Rimpiango solo di non aver provatoa vivere un po’ di tempo in altri paesi eu-ropei, nonostante le occasioni che mi sisono presentate, e di non aver imparatoaltre lingue. Ma questo non perché nonmi trovi bene qui ma perché sono cu-riosa di natura e mi piace provare espe-rienze diverse. Sono più maschilisti i fiorentini o i mosco-viti? Le donne sono più emancipate qui onel tuo paese?Sono più maschilisti i fiorentini e ledonne sono più emancipate qui. Sembraun controsenso ma è così.Dici Firenze e pensi a....?Michelangelo. Ma anche e soprattuttoalla mia famiglia e alla mia casa.E se ti dico Russia a cosa pensi?Ai miei genitori, ai miei amici. E a Putin.Se una tua giovane amica russa ti dice chevuole venire a vivere a Firenze, la sconsigli ola incoraggi?La incoraggio! Per avere un’amica russavicina: mi fa sempre piacere parlare inrusso e della Russia.

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.8

di Burchiello 2000

HO SCELTO LA TOSCANA

La prima cosa che colpisce in lei è labellezza: una bellezza esotica, tipi-camente slava, statuaria. Credo chenessuno vedendola camminare per

le strade di Firenze possa pensare che siaitaliana: eppure lei si sente “anche” ita-liana, il suo progetto di vita ormai è qui,con il suo lavoro e la sua famiglia.Anastasia Boldyreva è nata a Mosca edha studiato canto lirico al ConservatorioTchaikovski. E’ stato dopo avere vinto treconcorsi internazionali che è venuta a Fi-renze per un corso di perfezionamentodi MaggioFormazione, l’Accademia delTeatro del Maggio Musicale Fiorentino. Avevo vent’anni - racconta - e a Firenzemi sono trovata subito molto bene ma,una volta terminato il corso, ero pronta atornare a Mosca per terminare gli studi.Quando…?Quando, pochi mesi prima della par-tenza ho conosciuto un pianista, fioren-tino nonostante il nome, RiccardoSandiford, e ci siamo innamorati. Sonorimasta a Firenze, l’ho sposato e adessoabbiamo due figli.Non solo due figli, ma anche una carrieralirica avviata nel nostro Paese sui palco-scenici dei Teatri d’Opera più importantidella penisola, dall’ Arena di Verona alSan Carlo di Napoli, il Teatro Regio diTorino e l’Opera di Roma.Cosa ti piace di più nei fiorentini?Il gusto delle battute, quasi sempre per-fide. I primi tempi non le capivo e a volteci rimanevo anche male. Ma poi ho ini-ziato ad apprezzarle. Sono il sintomodella sagacia fiorentina.Cosa hai portato nel tuo cuore dal tuo paesed’origine?

di Annalena [email protected]

Domenico di Giovanni, detto il Bur-chiello, fu animatore di burle e di pun-genti critiche con gli amici artisti delXVI secolo e artista anch’egli. Restòprofondamente apprezzato nell’amici-zia

Ieri, 2 luglio 2014, in visita alla Villadi Poggio a Caiano sono stato assa-lito da una rabbiosa riflessione. Da decenni ci dibattiamo sul difficileequilibrio tra tutela e valorizzazionedei beni culturali, cerchiamo di cu-rare le pievi più lontane e le testimo-nianze meno note (ma importanti) ,anche nella prospettiva di una piùequilibrata fruizione del patrimonioartistico. Nella fattispecie – quelladelle ville “medicee” - con studi mi-rati e appassionati, si è ottenuto il ri-conoscimento Unesco di “benidell’umanità” e sarebbe dunque legit-timo poterne constatare la presenzaalmeno di una quota di flussi del tu-rismo colto . Invece no! Non è così,nonostante i dépliant, i poster, gli an-nunciati circuiti alternativi. Una villacome quella di Poggio a Caiano restadeserta per intere giornate. Non vabene. C’è qualcosa di profonda-

PASQUINATE

mente sbagliato in chi orienta e orga-nizza il turismo. Se penso che nellostesso momento bisogna farsi largo agomitate per attraversare Ponte Vec-chio mi viene naturale indignarmi.Ma davvero il turismo d’arte è in

mano ad una mercatura volgare chefinirà per autodistruggersi? Michiedo davvero che cosa facciano gliuffici provinciali e territoriali in ge-nere per correggere tanta distor-sione. Sono decenni, appunto, che si

Il deserto a mezzogiorno in Villainvocano – itinerari alternativi e con-tinua ad accadere che in una bellamattina di fine luglio la Villa Medi-cea di Poggio a Caiano non abbia unvisitatore! A questo punto dovrebbe rendersiobbligatoria una programmazioneterritoriale. Certo, si tratta di conci-liare la legittima personale scelta tu-ristica con la capacità ricettiva e laqualità dell’alternativa ! Ma proprioqui c’è lo spazio per “orientare” argo-mentativamente il turismo d’arte: ilPontormo prospettato nella mostradi Strozzi ha un’alternativa di nonpoco conto nei saloni della villa delPoggio; il fregio robbiano e Giulianoda Sangallo meritano sicuramente ilviaggio. Perché non organizzare vi-site quotidiane con navette alle villemedicee? Con la la legge regionale 65/2010sono state abolite le APT (Aziendedi Promozione Turistica) e le IAT(Informazione Accoglienza Turi-stica), facendo convergere e riman-dando il tutto a InfoPoint: colrisultato che cliccando su codestopunto informativo si è “aggiornati”all’8 maggio 2013!

AnastasiaBoldyrevaDallaRussiaperamore

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.9C.com PECUNIA&CULTURA

Tormentoniestivi

di Barbara Setti e Simone Silianitwitter @Barbara_Setti e [email protected]

Il tormentone estivo sui beni culturaliquest'anno è stata la querelle sul pre-stito dei due Bronzi di Riace perl'Expo di Milano (e più in generale la

questione dei prestiti e degli spostamentidi opere d'arte). Protagonista VittorioSgarbi e i vari soggetti “prestanti” chehanno incrociato i ferri in duelli all'ultimosangue, con godimento massimo dei cro-nisti. Dunque, per il critico ferrarese, di-remmo obiettivo raggiunto. Così, dopo loscontro con i calabresi contrari al prestito,sono scesi in campo Salvatore Settis (pa-ladino della competenza tecnica della So-printendenza ad esprimersi sullatrasportabilità delle opere), Filippo DelCorno (assessore del Comune di Milano,contrario all'ingerenza regionale), BrunoZanardi (favorevole ma a condizione diuna politica di tutela chiara, razionale ecoerente), Philippe Daverio (con la salo-monica proposta di portare un Bronzo aMilano, lasciando l'altro in Calabria) e ov-viamente Maroni. Poi dopo i Bronzi è statala volta de l'Ortolano dell'Arcimboldo, ri-chiesto in prestito da Sgarbi e negato dalsindaco di Cremona Galimberti. Poi la po-lemica di Sgarbi sulla mostra dei “dise-gnini” di Leonardo (organizzata dalComune, of course). Infine, la richiesta diprestito della Venere di Botticelli, per laquale Sgarbi sarebbe in trattativa. Sembra,dunque, che il dibattito italiano sui beniculturali e l'EXPO sia materia da ditte ditraslochi. D'accordo, è deprimente e quinon vogliamo cadere nella trappola dischierarci da una parte o dall'altra. Po-niamo una questione che dall'EXPO puòbenissimo diventare di carattere generale:perché è così escluso dall'orizzonte dellapolitica italiana sui beni culturali il con-cetto dell'investimento nelle infrastruttureper la cultura? Sembra passata un'epocageologica da quando, con l'occasione delleOlimpiadi invernali, la città di Torino (insintonia con la Regione Piemonte, il Mi-nistero, la Camera di Commercio, Confin-dustria e tutti gli altri stakeholders) deciseun programma di investimenti di lungadurata per rinnovare completamente le in-frastrutture per la cultura della città, scom-mettendo sul fatto che questoinvestimento avrebbe mutato l'asset pro-duttivo ed economico della città (e trai-nato quello della Regione). Così furonorealizzati nuovi musei (quello del cinemanella Mole), rinnovati altri (l'Egizio), tra-sformate strutture industriali fatiscenti inteatri, restaurata e riaperta Venaria Reale,ristrutturate biblioteche e archivi, restau-rati e riaperti al pubblico palazzi storici,realizzati nuovi spazi per la creazione arti-stica contemporanea. Si è trattato di unprogramma di investimenti pluriennale,che ha attraversato diverse amministra-zioni di colore politico anche diverso, nonlegato alla riscossione immediata di con-senso di questo o quel politico o direttoreartistico. Vi sono studi che dimostranol'impatto economico ed occupazionale neltempo di questo investimento. Una praticadella programmazione pubblica, non fon-data sul progetto puntuale e limitato, bensìteso a creare un sistema; un programmapolitico non ossessionato dalla creazione

vestimenti non può essere bypassato. Per-ché è l'investimento che lascia traccia sta-bile anche nella valorizzazione dei beniculturali (che è il punto debole della ri-forma prospettata da Franceschini: la se-parazione fra tutela e valorizzazione),anche se a differenza dell'eventificio, lasciapoco tempo per sognare.E così arriviamo al terzo articolo della pa-gina del Sole 24 Ore, quello di PatriziaAsproni che invoca, insieme a GilbertoGil, la possibilità di sognare grandi cam-biamenti, innovazioni fondate sul meritoe sulle competenze, rivoluzionare “il regnodecadente delle clientele” E chi non è d'ac-cordo? Neppure i regnanti del regno de-cadente summenzionato, che anzi siproclamano grandi rivoluzionari proprioin nome del merito. Patrizia Asproni in re-altà sostiene che per compiere questa ri-voluzione si debba togliere dalle manidella politica una programmazione cultu-rale che impegna “risorse pubbliche senzache vi sia alcuna testimonianza della lorocapacità di lasciare un segno sul territorio,anche in termini economici e occupazio-nali”. L'obiettivo è la politica tout-court,non una politica ritenuta sbagliata sui beniculturali: c'è una sorta di sfiducia definitivasul ruolo che la politica può rivestire inquesto settore. “E' pensabile oggi che lineestrategiche per la cultura siano espressioneesclusivamente politica? E parlo non acaso di linee strategiche piuttosto che diposizioni decisionali tout-court, in cuil'esperienza (e la visione) politica è ben ac-cetta laddove si accompagni alla compe-tenza tecnica e, mi spingo a dire, allaconoscenza della realtà”. C'è un pregiudi-zio sulla politica in sé, incapace di com-prendere la realtà, e di contro unaffidamento totale sulla competenza tec-nica che sarebbe invece in grado di capiree poi di guidare la politica nelle decisioni,con una perdita totale dell'autonomia dellapolitica stessa. Ma, anche volendo acce-dere a questa lettura delle cose, ci sarebbeda mettersi d'accordo su chi stabilisce chiè competente e chi no, perché anche nelmondo delle competenze vi sono guerrespietate, delegittimazioni reciproche, po-lemiche furibonde. E poi, come e chi sta-bilisce che una data lettura tecnica dellarealtà sia quella giusta rispetto alle tantealtre che le si contrappongono? Il fatto èche in conflitto fra politica e tecnica non èsemplice come lo si è qui rappresentato.Come del resto molte altre cose. SempreAsproni, ad esempio, parla del “ministerodella cultura popolare” come di una mo-struosa macchina del controllo cui du-rante il fascismo era affidata la propagandapro regime, fatto indubbiamente vero; malo è altrettanto che proprio durante quelministero fu fondato, ad esempio, il Mag-gio Musicale Fiorentino o costruita la sta-zione ferroviaria del gruppo Michelucci orealizzati la Biennale dell'Arte o i Littorialidella Cultura e dell'Arte (che non furonosolo propaganda, ma anche fucina di ta-lenti e luogo di un certo dibattito cultu-rale). Le cose, anche in questo XXI secolo,sono segnate per lo più dalla complessità.Anche la politica lo è. Il caso dell'espe-rienza torinese dimostra che non è la po-litica in quanto tale a deprimere la cultura:si può scegliere, e la scelta non è neutra, frainvestire in cultura e occuparsi di traslochi.

dell'evento e neppure dalla formula dellagestione (che pure è stato problema af-frontato, ma a fronte dell'investimento.Ecco, a me pare questo l'esempio – ancoraineguagliato – di una corretta interpreta-zione del ruolo dell'ente pubblico nell'am-bito della cultura, della sua relazione conil privato e con il territorio, dell'utilizzo in-telligente di grandi flussi finanziari, capacedi tenere insieme tutela e valorizzazione,conservazione e innovazione. L'esatto op-posto del modello EXPO Milano. Riflet-tere su questa dicotomia è importante,non per stigmatizzare la gestione del pre-sente, ma per dire che un altro modello èpure possibile e non lontano geografica-mente e temporalmente da noi, tutto som-mato. Lo dico perché il Domenicale delSole 24 Ore del 24 agosto ha dedicatoun'intera pagina al tema “Cultura e svi-luppo” con articoli, seppure interessanti,dimentichi di questa esperienza. InfattiAngelo Varni recensisce la nuova edizionedel volume “Una politica dei beni culturalidi Andrea Emiliani che torna il libreriadopo 40 anni per i tipi della Bonomia Uni-versity Press. Testo fondamentale e cheVarni reclama ancora attuale, ma con lapremessa che molte speranze di queglianni lontani si sono esaurite, come quelladel ruolo programmatorio delle Regioni,del collegamento tra sviluppo economico-sociale del Paese e l'investimento sulla cul-tura o quella “di una tensione conoscitivadei beni presenti nelle diverse realtà terri-toriali, da far confluire negli interventi enelle scelte dei gruppi dirigenti”. Beh, pro-prio di questo ci parla l'esperienza torinesee del suo contrario quella milanese. Ma,per riconoscere queste realtà, bisognasaper distinguere il grano dal loglio.Così, nella stessa pagina, Roberto Grossi,presidente di Federculture, individua nellesoluzioni da dare al problema della ge-

stione e, dunque, della valorizzazione, laformula per risolvere il nodo dei beni cul-turali. I passaggi da fare evidenziati daGrossi sono due: gestione autonoma perun'offerta culturale moderna ed efficientee favorire l'affidamento di siti culturali e direti territoriali alle imprese e al privato so-ciale. Soluzioni nel merito assolutamentecondivisibili, soprattutto se attuate – comedice Grossi – con una rigorosa program-mazione culturale pubblica; ma neppurequi si affronta il tema dell'investimento(pubblico, soprattutto, ma anche privato)per rinnovare e ampliare l'infrastruttura-zione culturale. Musei, biblioteche, ar-chivi, teatri, luoghi di cultura hannobisogno, continuamente e programmati-camente, di investimenti non solo per latutela dei beni, ma anche per le infrastrut-ture tecnologiche, la realizzazione e la ma-nutenzione dei contenitori, il recupero e ilriutilizzo di immobili storici o di archeo-logia industriale per destinarli alla frui-zione culturale, la costruzione di nuovicontenitori. Tutto questo non può esseredato per scontato, non deve essere sotto-valutato (giacché non sempre una mi-gliore gestione sopperisce a infrastruttureassenti, inagibili o inadeguate), né dimen-ticato: come un sistema di infrastrutturedi trasporti ha continuo bisogno di essereinnovata per mantenersi in efficienza (in-dipendentemente dal suo gestore), questovale anche per il sistema delle infrastrut-ture culturali. Anche per quelle storiche.Basti pensare, ad esempio, all'amplia-mento del più storicizzato dei nostri musei– gli Uffizi di Firenze – che era un'occa-sione (perduta? O ancora non colta com-plessivamente?) per cambiareprofondamente la funzione stessa di quelmuseo. Ecco, anche da parte di chi comeFederculture rappresenta soprattutto lagestione dei beni culturali, il tema degli in-

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Florence Night M

ovida Itinerari notturniFirenze 2008-2013

LUCE CATTURATA

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di Sandro Biniwww.deaphoto.it

di Alessandro [email protected]

MUSICA MAESTRO

La cultura catalana non coincidecon la Catalogna, ma comprendeanche territori situati in altre partidella Spagna (soprattutto Baleari eValencia), il principato di Andorra,la città di Alghero (Sardegna) e il di-partimento dei Pirenei Orientali(Francia sudorientale). Questa pre-messa era necessaria per introdurredue musicisti catalani, Pau Riba ePascal Comelade, il primo maior-chino e il secondo originario diMontpellier.I due artisti non sono coetanei -Riba è nato nel 1948, Comelade nel1955 - e hanno vissuto in paesi di-versi, sebbene il secondo abbia vis-suto per alcuni anni a Barcellona.Sono diversi anche in termini musi-cali: in modo approssimativo, ilprimo può essere definito un poeta-cantautore, il secondo un musicistasperimentale. Eppure hanno unaqualità importante che li accomuna:il gusto per l’insolito e la capacità dimuoversi con estrema disinvolturanei contesti musicali più diversi.Riba ha conosciuto gli anni buidella dittatura franchista, per laquale il catalano, come le altre lin-gue minoritarie (basco e galiziano)era un nemico mortale. L’artistamaiorchino, quindi, è cresciuto inun ambiente dove l’uso della linguaautoctona aveva un significato poli-

tico ben preciso. Attivo dalla finedegli anni Sessanta, quando guidavail Grup de Folk, è stato impegnatoin vari progetti artistici e sociali. Nel1975 partecipò al primo festivalCanet Rock, una sorta di Wood-stock catalana realizzata pochi mesiprima della morte di Franco. Comelade, al contrario, ha esorditonel 1975 con l’LP Fluence.Inizialmente orientato verso l’elet-

tronica, ha optato poi per una mu-sica più melodica, ma non nel sensoche si associa generalmente a que-sto aggettivo. Affiancando alle nor-mali tastiere vari strumentigiocattolo, ha realizzato dischi dovele composizioni originali si alter-nano a versioni anomale di brani al-trui. Nel 1983 ha fondato ungruppo a geometria variabile, la BelCanto Orquestra. Inoltre ha colla-

borato con i musicisti più diversi:da Lluís Llach a PJ Harvey, da Ri-chard Pinhas a Robert Wyatt.Negli ultimi anni i due artisti sisono accorti che le rispettive strade,pur essendo così diverse, stavanoper incrociarsi. Così hanno decisodi collaborare: il frutto è il CD Mo-sques de colors (Discmedi, 2013). Ildisco contiene undici brani compo-sti insieme. Il materiale è tutto ine-dito, tranne “Taxista”, che nel 1967segnò l’esordio di Riba. “Els teus somriures”, “La bruixa delmatí” e “Virtuosa harmonia” sonobrani melodici e intimisti, ma maiconvenzionali e leggeri. “On y va”,unico brano cantato in francese, ri-chiama certe vecchie chansons tran-salpine. Versatili e geniali, i due suonanovari strumenti (piano, marimba,viola, fisarmonica, etc.), accompa-gnati da una decina di musicisti. Leparti vocali sono affidate a Riba.Il risultato è un disco piacevole,ricco di sfumature e di passione mu-sicale autentica. Visto che oggi si parla tanto di Eu-ropa, forse è venuto il momento diascoltare anche artisti come questi,che vivono e lavorano a poche cen-tinaia di kilometri da noi, ma che fi-nora abbiamo ignorato. Sarebbe ilprimo passo per liberarsi del con-formismo anglocentrico nel qualesiamo cresciuti.

Anomalie catalane

lia imperversavano temporali e alluvioni.Il ravvicinato faccia a faccia tra montagnee mare, con le onde che accarezzano le be-tulle e i prati di mirtillo come spiaggia. I ri-gorosi limiti di velocità - per noi assurdianche se rispettai - le strade senza traffico,pianeggianti e monotone. I fantastici cam-peggi con i loro accoglienti bungalow e leloro cucine collettive. Alta, la città che nonè una città, ma la somma di tre paesi asso-ciati, con i suoi graffiti di Hjemmeluft, lacave di ardesia, gli allevamenti di pescepregiato e dove, grazie al clima mite chepervade l'intero Altafjord, consente la col-tivazione di cereali, anche a queste latitu-dini. Il grande Canyon Huskies, raggiuntodopo un piacevole trek di 5 ore, andata eritorno: che ha rallentato il viaggio e ci hafatto entrare in contatto con i tesori di que-sta terra. E finalmente, Nordkapp, uno speroneroccioso che sprofonda nell'oceano;l'estremo punto più a Nord d'Europa, conil suo globo metallico che segna il puntopiù basso raggiunto dal sole a mezzanottee poi la costruzione a cupola, in gran partesotterranea, del Nordkapphall che ospitaun po' di tutto. Unico rammarico non averavuto il tempo per uno dei trek, forse, piùsuggestivi (tra anda e rianda 5 ore di cam-mino) fino all'estrema punta di terra cheaffonda dolcemente nell'oceano. Il paesag-gio quassù è d'avvero particolare. Siamoarrivati di sera, verso le 22.30, con pioggia,nebbia e un vento fortissimo. La mattinail clima era piacevole, il sole riscaldava l’ariae l’ondulata tundra attraversata da branchidi renne. A Nordkapp, proprio sotto il globo, incon-triamo una ragazza speciale: Claudia chedalla sua città, Varese, è arrivata fin qui dasola in bici: 5mila km in 45 giorni, peda-lando 10 ore al giorno. "Lo faccio perchéviaggiare in bici è bello - ci ha detto - si co-noscono i posti, si vedono e si sentonomolte più cose, compreso i canti delle ba-lene, si entra in sintonia con i luoghi che siattraversano e tutto diventa ancora piùcalmo". La salutiamo tutti con ammira-zione e un pizzico di invidia.E poi la Lapponia. Dove è tutto un’alter-narsi di silenzi e monotonia, con renne,

boschi e, anche qui, soffici tappeti di bor-raccina, mirtilli, licheni e tanti funghi. Unaterra, questa dei Sami, dove per 70 giorninon esiste la notte e per altri 50 scompareil sole. Ci fermiamo in un albergo speciale, un exedificio scolastico convertito al turismo,sulle rive di uno dei tantissimi laghi conacqua a 21 gradi, canoe e barche a dispo-sizione e un pontile dove prendere il sole.Salta il previsto trek a favore di un bagnoe di gite in barca sul lago. Un posto magni-fico che sono in un pomeriggio ci regaladi tutto: da un sole mediterraneo ad unimprovviso temporale con rovesci, ful-mini, vento e freddo, poi l'arcobaleno,senza farci mancare un tramonto di quelliche non si scordano mai.Arriviamo in Svezia, nella città minerariadi Kiruna, dove c'è la più grande minieradi ferro d’Europa, di proprietà statale, congallerie fino a 9 km e l'escavazione fermaa 900 metri di profondità. Hanno svuo-tato il sottosuolo tanto che una parte dellacittà sta sprofondando. Ma nessuno - ciraccontano - si dispera. C'è un progettoper spostare il paese, la ferrovia e la strada.Alcuni di noi visitano la miniera, gli altrifaranno un trek di 7 km nel vicino parconazionale di Abisko. Rientriamo in Norvegia, si pernotta nelbellissimo camping Tjldsundbrua, con icottage affacciati sull'omonimo stretto. Adaccoglierci una spiaggia bianca di conchi-glie consumate dal mare e un tramontocoloratissimo. Tutti, compreso l'imper-turbabile Jacopo, si scatenato a fare foto.Si arriva così alle affascinanti isole Veste-ralen. E si trascorre una giornata piena diemozioni tra villaggi, calette, laghi, mon-tagne a picco sul mare e una luminositàfantastica che esalta colori e trasforma l'ac-qua in uno specchio. L’obiettivo è il villag-gio gioiello di Sto. Da lì partiamo per unbreve trek lungo oceano e poi scaval-chiamo una forcella che si inerpica per170 metri. In cima il paesaggio è uno verospettacolo. Scendendo si arriva nel pic-colo porticciolo di Niksund dove ciaspetta un vero marinaio norvegese, alto,barba bianca, sguardo dolce e mani grandicome una morsa che, con il suo gom-

mone, ci riconduce in poco meno di mez-z'ora a Sto. A bordo è una vera e propriaapoteosi.Di avventura in avventura. Ci spostiamoa Stokmarkenes, visitiamo il simpaticomuseo Hurtigruten. A seguire un picniclungo mare, appena fuori del paese. Poi sisalpa sulla Midnatsal con destinazioneSvolvaer attraverso stretti fiordi e nume-rosi isolotti. Un'esperienza da non perdere.Il bello arriva quando si imbocca lo stret-tissimo Trollfjord, lungo 2 km, largo ap-pena 100 metri con la nave che accarezzale rocce.Arriviamo così alle Lofoten. In uno deiporticcioli più suggestivi di questo arcipe-lago: Nusfjord con i suoi rubor dell'Otto-cento ben conservati, dove l'odore di maresi mescola con quello del merluzzo. Ba-stano pochi minuti per cogliere l'essenzadi questo luogo con bracci di mare tra lerocce, il verde della vegetazione, le casetterosso pompei, barche, pescherecci e i cam-minatoi di legno. Facciamo una puntata aSud nel villaggio di A, visitiamo il museodel merluzzo, andiamo nel vecchio forno(vale la pena per le pastarelle alla cannellae il pane integrale, fatto e cotto come unavolta). D'obbligo una visita ai villaggi diMoskenes, Reine e Hammoy. Proprio daqueste parti, nel 1432, naufragò un vene-ziano, Pietro Querini. I sopravvissuti sitrovarono talmente bene che si fermaronoper 4 mesi. L’ospitalità fu un vero paradisotanto che i marinai si imparentarono conle donne del luogo dando vita al "tipobruno norvegese". Nell’isola di Rost c’è uncippo in onore di Querini che avviò ilcommercio di baccalà e merluzzo conl'Italia. Tutt'oggi l'80% di questa produ-zione finisce proprio a casa nostra, in Ita-lia.Il giorno dopo parte del gruppo si mettein viaggio verso Andenes per parteci-pare ad un whale safari, mentre il resto sce-glie un trek lungo il suo il rocciosopromontorio di Nusfjord. Un modo perapprofondire la conoscenza e prolungarela permanenza in questo angolo di para-diso. Ci ritroveremo la sera nel campingvicino all’austero faro di Andenes, a duepassi dal porto.La mattina ci imbarchiamo alle 8.30. Ini-ziamo così, sotto la pioggia, il viaggio versola fine di questa avventura: Tromso, e dalì l’aereo per Oslo e poi l’Italia.A tutto questo c'è da aggiungere il valoredi viaggiare insieme a persone scono-sciute, conviverci h24, decidere con lorocome organizzare le giornate: pro-gramma, colazioni, pranzi e cene. E’un’esperienza che stimola l'ascolto, la ca-pacità e disponibilità a guardare le cosenon solo in base ai propri interessi maanche con occhi e interessi degli altri.Infine, una breve valutazione sul viaggio:consiglierei di dedicare più tempo ad al-cuni luoghi, tagliando un pezzo di per-corso, rallentando così la velocità a favoredi un contatto più approfondito con i luo-ghi più suggestivi e interessanti.Brava la Laura Fossi, coordinatrice delgruppo, che non solo ha saputo evitareconflitti e tensioni, ma è riuscita a farciconvivere per ore e ore stipati come sar-dine in quattro auto, a non farci litigare epersino a far nascere amicizie e simpatie.Evviva.

CCUO

.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.11C.com

Baccalà, stoccafisso e salmone. Poi,dal 1960, è arrivato anche il pe-trolio e il gas. Aggiungete a tuttoquesto migliaia di incantevoli

laghi, fiordi senza fine, paesaggi magici,acqua cristallina, silenziosi silenzi, monta-gne a picco sul mare, prolungati tramontidai mille colori e un clima che in una solagiornata ti fa vivere tutte e quattro le sta-gioni. Ecco, tutto questo è la Norvegia,uno dei paesi con il reddito pro capite piùalto al mondo, con notti luminose d'estatee giornate buie d'inverno.E non sarà certo un caso se i norvegesiamano dire: "Puzza di pesce, puzza disoldi". E se lo stesso Steinar Larsen, gestoredel museo dello stoccafisso nel caratteri-stico villaggio di pescatori di A, nelle isoleLofoten, ci dice, scherzando ma nontroppo: "Qui d'inverno si pescano i mer-luzzi e d'estate i turisti, questa è la nostrafortuna e la nostra ricchezza".Ed è qui, nella parte Nord di questo paeseche, insieme ad altri 15 avventori messi as-sieme da Viaggi nel Mondo, ho trascorsodue settimane vagabondando di villaggioin villaggio, di fiordo in fiordo, compresoun pezzo di Lapponia finlandese e sve-dese.Capo Nord, l'arcipelago delle Vesteralen epoi ancora quello delle Lofoten sono i luo-ghi che hanno alimentato emozioni e sug-gestioni, rendendo più duraturi i ricordi.Tante le cose che mi (e ci) hanno colpitoe che ricordo con piacere e un pizzico diinvidia nei confronti di quanti hanno lafortuna di vivere in questi luoghi o - me-glio ancora - di frequentarli. Partirei dalla cattedrale artica di Tromso,l'unico edificio moderno che valga la penadi visitare. Assomiglia ad una grandetenda, composta da una serie di triangoliche prima si restringono (in altezza e lar-ghezza) e poi si allargano, un'architetturaoriginale e luminosa, completamentebianca tanto da assomigliare ad un iceberg. E poi uno dei simboli di questa terra, iRobur, le tipiche abitazioni dei pescatoricostruite fin dal 1120, composte, allora, dadue stanze, una per gli attrezzi e l'altra perdormire. Vere e proprie palafitte di legnoappoggiate sulle rocce delle scogliere o di-rettamente sul mare, trasformate oggi incomode abitazioni per turisti, con ampioleaving, angolo cottura, due camere conletti a castello e un bagnetto. Accoglienti,comodi, caldi e soprattutto suggestivi, vi-cino ai porticcioli, nelle tante insenature,in luoghi panoramici che rispecchianotutta la loro vanità nelle acque trasparentidei fiordi.Mi piace poi ricordare, non in ordine d'im-portanza: il silenzio norvegese, stimolantee conciliante. La luce che non ti abban-dona mai. Il giardino botanico tutto fioritodi Tromso. Il bancario in pensione diBodo, conosciuto sul traghetto che attra-versa l'Ullsfjordes, in viaggio verso la suacasa di "campagna" vicino ad Olderdalen,ma che nei mesi invernali emigra alle Ca-narie per non "rimanere in Norvegia a spa-lare neve". Il signore che alcune centinaiadi km sopra il circolo polare artico, a di-mostrazione di come e quanto sta cam-biando il clima, annaffiava il giardinointorno alla sua casa, mentre da noi in Ita-

SÌ, VIAGGIARE

di Remo Fattorini

Il Grande Nord

non (post)comunista seppur en-trambi minoritari e schiacciati dagliestremismi convergenti. Minuz ha ilpregio di mostrarci i difetti, gli ste-reotipi di un club (piuttosto nume-roso bisogna darne atto), di unambiente che è stato sicuramenteprevalente, egemone, nella rappre-sentazione e nel rapporto con la po-litica (il partito) e ha goduto divantaggi (anche economici) perquesti rapporti. Un club capace diinglobare e anestetizzare quelli cheda outsider vi finiscono in mezzo. E’il caso di Virzì, per esempio, citatoda Minuz per “Ferie d’Agosto” (dove

è ancora presente la carica di autoi-ronia verso quel mondo rappresen-tata dalla battuta “voi intellettualinon ci state a capì più un cazzo, mada mo’”) che dal film più “politico”,definito, “La bella vita” e finisce poia dirigere “Tutta la vita davanti”, filmdecisamente integrato al club sopradescritto.Il rischio su cui è sempre in bilico ilvolume (e in cui invece cade moltopiù spesso il Minuz pubblicista)è quello di finire per rendere ancorapiù egemone il dualismo che il li-bello vorrebbe smascherare quellotra Berlinguer e Zalone, per stare alsottotitolo, mostrandoli come avver-sari e non, pannellianamente, come“soci”, parti opposte necessarie l’unaall’altra; finendo così per far inter-pretare all’autore il ruolo dell’intel-lettuale controcorrente, che peròfinisce per essere più funzionale diquello integrato. Un rischio cheMinuz intuisce quando parla delfilm di Zalone, in cui esplicita di nonvolerne fare un capolavoro, e che di-mostra, insieme a tante altri aspettipositivi, le qualità e le potenzialitàdell’opera e del suo autore.

CCUO

.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.12TEMPO PERSO

di Stefano [email protected]

“Waltzing Matilda” inAustralia è un se-condo inno nazio-nale. La storia

originale è quella di uno “swagman”, unlavoratore itinerante, che ruba una pe-cora e, per sfuggire alla polizia, cade inun “billabong” (laghetti creati da fiumiin secca) e affoga.Gli swagmen erano soprattutto tosatoridi pecore. Giravano per lo più a piediportando lo “swag”, una coperta arroto-lata con dentro tutte le loro cose, dietrola schiena.Il motivo originale probabilmenteprende spunto da un episodio avvenutodurante i giorni del violento scioperodei tosatori nell’Australia occidentaledel 1894.“Waltzing Matilda” (“Matilda balla ilvalzer”) fu cantata dalle truppe austra-liane mandate al massacro a Gallipoli,in Turchia, durante la I guerra mondiale(episodio narrato da Peter Weir in “Gal-lipoli”).“Waltzing” deriva dal tedesco “auf derwalz” (“vagabondare”). “Matilda” era ilnomignolo dato allo swag.In tedesco venivano chiamate “Ma-tilda” (da Mechthild, “donna da batta-glia”) le donne che seguivano i soldatiin guerra e passò ad indicare l’uniformegrigia e il fagotto.“And the Band Played Waltzing Ma-tilda” è stata scritta dal folk singer e au-tore scozzese Eric Bogle nel 1971 eriproposta da molti artisti fra i qualiJoan Baez, The Dubliners, MidnightOil, The Irish Rovers, Pogues.Il 28 Luglio 1914, con la dichiarazionedi guerra dell’Impero austro-ungaricoal Regno di Serbia, aveva inizio la Iguerra mondiale. “And the band playedwaltzing Matilda” unisce come solo laPoesia sa fare il dolore e lo straniamentodel soldato e del reduce che ebbero lavita sconvolta da un conflitto che cam-biò per sempre il mondo. Un piccoloomaggio a chi, spesso senza sapere e ca-pire, venne travolto dalla tempesta.

When I was a young man I carried my packAnd I lived the free life of a roverFrom the Murrays green basin to the dustyoutbackI waltzed my Matilda all overThen in nineteen fifteen my country saidSonIt’s time to stop rambling ’cause there’swork to be doneSo they gave me a tin hat and they gaveme a gunAnd they sent me away to the warAnd the band played Waltzing MatildaAs we sailed away from the quayAnd amidst all the tears and the shoutsand the cheersWe sailed off to Gallipoli

How well I remember that terrible dayHow the blood stained the sand and thewaterAnd how in that hell that they called SuvlaBayWe were butchered like lambs at the slau-ghter

Andthe bandplayedWaltzingMatildadi Michele Morrocchi

twitter @michemorr

ndrea Minuz è un brillante critico ci-nematografico che insegna a La Sa-pienza che ha pubblicato da poco“Quando c’eravamo noi. Nostalgia ecrisi della sinistra nel cinema ita-liano da Berlinguer a Checco Za-lone” disponibile solo in e-book perl’editore Rubbettino. Libello brevema non minuto sul rapporto tra ci-nema e quella sinistra da terrazza ro-mana che ha coinciso, almenodurante la seconda repubblica, colpantheon culturale del PCI-PDS-DSe in parte PD, spesso tramite il pa-trocinio di Walter Veltroni. Minuzracconta la trasposizione, con le mo-dalità mutuate dal melodramma,della crisi del cinema italiano nellacrisi della sinistra, tanto da sovrap-porle e farle coincidere. Una tesi benargomentata, ricca di citazioni dafilm, romanzi e saggi che hanno ca-ratterizzato quella stagione, daglianni ’80 all’oggi, che però l’autore fi-nisce per far coincidere con la tota-lità della produzionecinematografica italiana e con la to-talità della sinistra italiana; met-tendo, anche, sullo stesso piano (oalmeno molto vicini) Nanni Mo-retti, Paolo Virzi, Valter Veltroni (inqualità di regista) o Roberto Andò.C’è stato però in quegli anni un ci-nema diverso (oltre il dualismo “diregime” tra cinema de sinistra e cine-panettoni) e c’è stata una sinistra

ODORE DI LIBRI

La sinistra al cinemada Berlinguera Zalone

Johnny Turk he was ready, he primedhimself wellHe chased us with bullets, he rained uswith shellsAnd in five minutes flat he’d blown us allto hellNearly blew us right back to AustraliaBut the band played Waltzing MatildaAs we stopped to bury our slainWe buried ours and the Turks buriedtheirsThen we started all over again

Now those that were left, well we tried tosurviveIn a mad world of blood, death and fireAnd for ten weary weeks I kept myselfaliveBut around me the corpses piled higherThen a big Turkish shell knocked me arseover titAnd when I woke up in my hospital bedAnd saw what it had done, I wished I wasdeadNever knew there were worse things thandyingFor no more I’ll go waltzing MatildaAll around the green bush far and nearFor to hump tent and pegs, a man needstwo legsNo more waltzing Matilda for me

So they collected the cripples, the woun-ded, the maimedAnd they shipped us back home to Au-straliaThe armless, the legless, the blind, the in-

saneThose proud wounded heroes of SuvlaAnd as our ship pulled into CircularQuayI looked at the place where my legs usedto beAnd thank Christ there was nobody wai-ting for meTo grieve and to mourn and to pityAnd the band played Waltzing MatildaAs they carried us down the gangwayBut nobody cheered, they just stood andstaredThen turned all their faces away

And now every April I sit on my porchAnd I watch the parade pass before meAnd I watch my old comrades, how prou-dly they marchReliving old dreams of past gloryAnd the old men march slowly, all bent,stiff and soreThe forgotten heroes from a forgotten warAnd the young people ask, “What are theymarching for?”And I ask myself the same questionAnd the band plays Waltzing MatildaAnd the old men answer to the callBut year after year their numbers getfewerSome day no one will march there at all

Waltzing Matilda, Waltzing MatildaWho’ll go a waltzing Matilda with meAnd their ghosts may be heard as you passthe BillabongWho’ll go a waltzing Matilda with me?

CCUO

.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.13C.com SCENA&RETROSCENA

di Francesco Gurrieri

Com’è noto, fervono i la-vori dei “comitati”per solennizzarei 150 anni di Fi-

renze Capitale (1865– 2015). Forse nonmolti sanno che allastagione dei grandstraveaux coordinatidal Poggi per inca-rico del ”facentefunzione di gonfa-loniere” GiulioCarobbi, colla-borò Renato Fu-cini. Il quale,come ebbe adire il De Ami-cis nell’intro-duzione aiSonetti diNeri Tanfucio, “pigliava la pennaquando snetteva il compasso , e mi-surava versi quando era stanco di mi-surare angoli”.Com’è noto, appena cinque annidopo, la capitale fu dismessa e trasfe-rita a Roma. A Firenze rimaseroopere incompiute e molti debiti; ilpovero Giuseppe Poggi finì inquisitoe fra i capi d’imputazione vi fu anchequello di aver usato i pennini e lacancelleria tecnica per finalità pri-vate mentre lavorava alla cosa pub-blica. Il Fucini, fra i più arguti dei nostripoeti (ma questo riconoscimento sa-rebbe sopraggiunto più tardi), ebbea intuire – diremmo oggi “da dentroil palazzo” - ciò che si profilava perl’amministrazione della città ed ebbea scrivere il seguente sonetto.

Firenze e lo strapolto della ‘apitaleGIANNI

Firenze , bimbo mio, nun c’è quistione,Se li levan di lì la ‘apitale,Nun te lo vorre’ dì, batte ‘n pattone, Da stiaffalla ‘n d’un fondo di spedale.Ma ‘r Municipio , se nun è ‘n bestione, Deve fare ar Govelno un memuriale,E dilli: “Ho speso cento allo Stradone”,Per esempio, “cinquanta a quer Piaz-zale,Venti a’ Lungalni, trenta ‘n der Mer-cato”;Tanto da rivoganni un conto grosso,E poi fallo cità dar Delegato.

LORENZO

O se ‘un pagassi ?

GIANNI

‘Ni si sarta addosso, E a folza di golini, Dio sagrato...Vòi Roma? ‘un ci si va se ‘un posi l’osso.

nimi e condivisi sul pianerottolo. Conuna certa insensibilità alle accuse di as-soluta mancanza delle condizioni igieni-che basilari fatte dai medici checercavano di combattere la tubercolosi,circolava al tempo tra la borghesia il fe-rocemente ironico detto le riches en bas,le pouvres en haut. Della vita assai duradi queste cameriere e dei loro miseri al-loggi tratta un bellissimo libro di OctaveMirbeau scritto tra il 1891 e il 1900, Lejournal d'une femme de chambre, pur-troppo non più disponibile da alcunianni nella traduzione italiana intitolataDiario di una cameriera. Celestine, laprotagonista, bonne à tout faire, guarda“dal buco della serratura” e descrive que-sta società borghese, ingiusta e ipocrita,

persa nella dorata illusione della BelleEpoque. Dal libro sono stati tratti duefilms, di Jean Renoir nel 1946 e di LuisBunel nel 1964 e numerosissime ridu-zioni teatrali.Oggi queste chambres des bonnes (aParigi sono più di 20.000) sono diven-tati degli appartamentini presi d'assaltosoprattutto dagli stranieri che voglionoinvestire nella carissima Parigi com-prando un pied-à-terre dal sapore un po'bohémien o affittati a prezzi molto ele-vati a studenti. Dal 2002 il piano regola-tore della città stabilisce infatti che lasuperficie minima di un appartamentosia di 9 metri quadri e la sua altezza di2.20 metri. Naturalmente l'abitazionedeve essere fornita di acqua corrente.

di Simonetta [email protected]

L'immagine attuale di Parigi nasce da unardito piano regolatore voluto da Napo-leone III e realizzato dal prefetto Haus-sman che dal 1852 al 1870 rase al suolointeri quartieri fatti di strette strade ecase di varie epoche per creare piazze,boulevards e maestosi edifici secondoun rigoroso e ripetitivo schema geome-trico che dette alla città quell'aspettomaestoso ed elegante che la rendeunica. Non fu solo una rivoluzione ur-banistica ma anche sociale. Le classi piùumili furono emarginate verso le perife-rie e la nuova, opulenta, borghesia presepossesso delle zone centrali della città.L'architettura hausmaniana svolse unruolo determinante in questa trasforma-zione. I nuovi edifici dalle facciate inpietra tutte perfettamente allineate traloro, rispetto a quelli precedenti cheavevano un'altezza massima di 17,55metri, si elevano a 20 metri sui boule-vards larghi 20 metri. Ciò consentì dicreare un piano in più le cui finestre siaffacciano, altro elemento caratteristicodi Parigi poi copiato in altre città fran-cesi e belghe, sui tetti tutti inclinati a 45gradi. A ognuna di queste finestre corri-spondeva una chambre de bonne ossiauna stanza riservata alla cameriera tutto-fare (bonne à tout faire). L'ascesa dellamedia e alta borghesia si manifestòanche nel possesso di una casa dove lospazio di chi era impegnato in attività la-vorative domestiche era nettamente se-parato da quello adibito alla vitafamiliare. Dalla maestosa scala dei pianinobili si inerpica una di servizio, strettae ripida, che portava a queste angustestanzette (dai 6 ai 12 metri quadri),freddissime d'inverno e afose d'estate,arredate con pochi elementi essenziali,prive di servizi igienici tranne quelli mi-

VISIONARIA

La chambredella camerieradi Haussmann

L’ingegner Fucini e Firenze CapitaleVoci lontanevoci sorelle

L’APPUNTAMENTO

Da martedì 9 a martedì 30 settembre torna “Voci lontane,voci sorelle” festival internazionale di poesia che propone inquattro biblioteche fiorentine (Oblate, FIlippo Buonarroti,Canova e Mario Luzi) e in due luoghi culturali (Murate eLibreria Feltrinelli) letture, incontri con i poeti, presenta-zioni e confronti sulla situazione della letteratura. Tutte leinformazionisul sito www.vocilontanevocisorelle.it.D

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Qualche giorno dopo l’omicidio apparveuno striscione in via Isidoro Carini, luogodell’attentato, con soscritto: “qui è mortala speranza dei palermitani onesti”. Lacittà sembrò risvegliarsi, sembrò volerlanciare, a sua volta, un messaggio impor-tante: “basta con la mafia”. Oggi sap-

piamo che il delitto Dalla Chiesafu messo in atto dagli esponenti più po-tenti della Cupola. Tale certezza ci vienetra l’altro confermata dalla sentenza chevede condannati Michele Greco, TotòRiina, Bernardo Provenzano (solo per ci-tare i nomi più importanti), ma sappiamocome il terreno sia stato preparato dallastessa classe politica siciliana, dall’ala de-mocristiana, sia di corrente fanfanianache andreottiana. La certezza di un coin-volgimento anche politico, oltre che ma-fioso, non fu subito accolta. Gli anni ’80dimostrarono ancora una volta una certaresistenza a incrinare sistemi ben collau-dati, infatti negli anni successivi al delitto,l’unica pista seguita fu propriamentequella di stampo mafioso. Si dovettero at-tendere gli anni ’90 per vedere aprirsi unvarco più ampio. Senza rispondere preci-samente chi fosse, Buscetta asserì che sitrattava di un uomo politico, aggiun-gendo, tra l’altro, “è vivo, anzi sono vivi”.

Alla fine per l’omicidio di Carlo AlbertoDalla Chiesa, della moglie EmanuelaSetti Carraro e dell’agente DomenicoRusso furono condannati all’ergastoloTotò Riina, Bernardo Provenzano, Mi-chele Greco, Pippo Calò, Bernardo Bru-sca e Nenè Geraci. Il 30 gennaio del 1992la Cassazione confermò la sentenza. Il 22marzo 2002, la Corte d’Appello di Pa-lermo ha condannato quali esecutori ma-teriali del delitto, Vincenzo Galatolo,Antonio Madonia, Francesco Paolo An-zelmo e Calogero Ganci. Nella stessa sen-tenza della Corte d’appello, si legge tral’altro: “Si può senz’altro convenire conchi sostiene che persistono ampie zoned’ombra, concernenti sia le modalità collequali il Generale è stato nominato in Si-cilia (praticamente da solo e senza mezzi)a fronteggiare il fenomeno mafioso, neglianni in cui il sodalizio Cosa Nostra ha po-tuto esercitare nel modo più arrogante edincontrastato l’assoluto dominio sul ter-ritorio siciliano, sia la coesistenza di inte-ressi specifici – anche all’interno dellestesse istituzioni - all’eliminazione del pe-ricolo costituito dalla determinazione edalle capacità del Generale. In tal senso,non potendosi omettere che il pro-gramma d’intenti manifestato dal Gene-rale, nel momento dell’accettazionedell’incarico (avuto particolare riguardoall’avviso – rivolto a quelle forze politicheche il Dalla Chiesa riteneva colluse allamafia – che ‘non avrebbe guardato in fac-cia nessuno’); non poteva non suonarecome un chiaro campanello d’allarme perchi all’epoca traeva impunemente quantoillecitamente vantaggio dai rapporti tra lamafia e la politica, soprattutto nello spe-cifico mondo degli appalti”.

CCUO

.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.14

di Francesco [email protected]

CATTIVISSIMO

Benzinaio. Appena chiusa la cassa.Pompe automatiche in attivazione. Ar-rivo in extremis e recito:Automatico? nooo.Vabenevabene. però dammi dieci euroche ho chiuso la cassa.Ne ho cinquanta intere (mette la ben-zina).vabenevabene,Ah.…Ma allora non era chiusa ancora la cassaautomatica.No.……Ecco…Non ce l’ho il resto.Ah ma ho queste oppure cinq…vabenevabene, dammi cinque.Ma ne hai messe diecivabenevabene,ma...vabenevabeneciaodevochiudere. (Appare Platone con la tuta Shell e ildito che indica il cielo. Morte dell’econo-mia. Trionfo dello spirito, delle ragionidell’Empireo. Contro la caducità eccospandersi le vestigia del culto dell’effi-mero. Arte nobile, nobilissima. Si squa-glia il benzinaio e rimane l’alone della

Sud

di Laura [email protected]

Il coraggioe la fiducia

RICORDI D’OCCASIONE

pompa magna, una macchia violaceache fa da rifrangente alle ingiurie deltempo, questa paradossale illusione.Cinque fa dieci, dieci non fa cinque.Siamo oltre la matematica, nelle terre diconfine, laddove si caccia e uccide il Si-gnoraggio (signoraccio) Bancario. Re-spirare a pieni polmoni nel tempomefitico della Crisi. In questo scarto, inquesto “fastidio”, in questa “urgenza dichiudere”, sta il segreto della bellezza in-tima, dello stare al mondo come Cristocomanda, senza falsi miti. Visitandolisemmai, ‘sti miti, e/o ciò che ne rimane,come si fa con un parente caro. Non siparla di visite di cortesia, insomma).

di Michele Morrocchitwitter @michemorr

ICON

L’Associazione Via del Parione, in col-laborazione con Fund4art presenta laprima edizione del progetto “ParioneArte. Idee in Vetrina, rassegna di artecontemporanea”. Il progetto prevedeun’intera settimana nella quale tutti icommercianti della centralissima Viadel Parione, sita nel centro storico diFirenze, metteranno a disposizione leloro vetrine perché possano essereriempite e reinventate da artisti italiani

e internazionali inserendovi opered’arte e inventando vere e proprie in-stallazioni. La partecipazione degli ar-tisti è completamente gratuita ed iltema di questa prima edizione delconcorso per l’anno 2014 è: Un tocco

di viola. Le vetrine sono suddivise se-condo tre categorie artistiche. Ogniartista potrà presentare una propostaper ogni categoria, dunque un mi-nimo di tre proposte, che potranno es-sere accettate in toto o soloparzialmente.La richiesta di partecipazione onlineal sito www.fund4art.it, dovrà esserecompilata ed inviata entro e non oltreil 6 settembre 2014.

Il lavoro di Dalla Chiesa come Prefettodi Palermo fu interrotto bruscamentealle ore 21.15 del 3 settembre 1982,quando l’auto sulla quale viaggiava,

guidata dalla moglie Emanuela Setti Car-raro, fu affiancata da una BMW dallaquale partirono alcune raffiche che ucci-sero il prefetto e la moglie. Anche l’autodell’autista e agente di scorta DomenicoRusso fu affiancata da una motociclettacon dei killer a bordo che lo ferirono gra-vemente, morirà diversi giorni dopo. Lamafia aveva colpito molto in alto, mo-strando ancora una volta tutta la sua tru-culenza, e compiendo l’ennesimo delitto“eccellente”.I funerali del generale e della moglie, svol-tisi il 4 settembre 1982, furono seguiti dauna folla che protestò contro le presenzedi politici, accusati di aver abbandonato ilgenerale. Vi furono anche attimi di ten-sione, quasi al limite del ricorso alla vio-lenza fisica. La stessa figlia Rita preteseche fossero tolte le corone di fiori inviateda parte della Regione Sicilia. Degna dinota fu l’omelia pronunciata dal cardinalePappalardo, il quale citando un passo diTito Livio, affermò: “Dum Romae con-sulitur, Saguntum expugnatur” (“mentrea Roma si discute, Sagunto viene espu-gnata”, e qui Sagunto è Palermo). Le rea-zioni suscitate dalla morte di Dalla Chiesafurono molto forti. Stavolta la mafia avevacolpito un personaggio amato, ammirato,le cui qualità procedevano di pari passocon la sua fama. La stessa città di Palermosembrò destarsi da quel torpore, da quellaomertà che l’avevano caratterizzata perdecenni. Vi fu una forte protesta cittadina.

Un toccodi viola

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.15C.com HORROR VACUI

Disegni di Pam Testi di Aldo Frangioni

L’inutilità della muraglia ci-nese, dei valli di Adriano e delmuro di Berlino, non ci im-pedisce di continuare a co-struire muri. Dopo untest per verificare qualeparte del cervello usoin prevalenza, sonotormentato dal-l’idea di costruireuna barriera fra idue lobi.

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.16TEMPO PERSO

di Lolly Gally [email protected]

Incontro la pittrice inglese Jannina VeitTeuten nella sua casa di Pescia, nonlontano dalla gipsoteca che ospita i la-vori dello scultore Libero Andreotti.

Un appartamento pieno di quadri, so-prammobili, lumi, libri, piante verdi in le-targo: un groviglio di oggetti, unmagazzino di ricordi. Eleganza british lon-tana dagli stereotipi alla Laura Ashleyidolo degli anni settanta, tutta altra storia.Siamo sedute su un sinuoso e scomododivano di tessuto di crine romanticamentedelabré che ha subìto nei decenni l’attaccodi qualche felino giocherellone.Jannina, perché Pescia ?Desideravo comprare una casa e Firenzeera troppo cara. Con quello che a suotempo ho speso qui, a Firenze avrei do-vuto accontentarmi di due stanze. Viverea Pescia mi piace.Prima di Pescia ?Negli anni ottanta ho vissuto 11 anni aSettignano, in una bella casa dove avevaabitato il pittore Costetti, vicino alla piazzaprincipale, non lontana dalla Capponcina.Qualcuno dice che nella sua casa di Setti-gnano lei ospitasse personaggi interessanti, in-tellettuali, artisti, rifugiati politici…In 11 anni i miei ospiti sono stati tanti (misembra 27 persone) e non li ricordo tutti.Ricordo con affetto Stephan, un ricerca-tore fuggito dalla DDR attraversando ilMar Nero a bordo di un gommone. Hasempre mantenuto il silenzio su comefosse arrivato in Italia. Lo abbiamo saputopoco tempo prima della caduta del murodi Berlino. E’ diventato in seguito un gior-nalista importante.Dopo Settignano?Sono ritornata in Piazza dei Ciompi, doveavevo già passato qualche tempo. Era lacasa dove aveva vissuto Lorenzo Ghiberti,proprio in centro a Firenze. Dicevano chenelle cantine dietro la casa ci fosse la fon-deria delle porte del Battistero di Firenze.Come è nata la passione per la pittura?Avevo 8 anni e ed il Preside della scuola(ricordo ancora il nome: Coulson Davis,era un acquarellista), ha chiesto a noialunni di riprodurre il suo disegno ad ac-querello, alcuni pini marittimi. Sia i com-pagni che l’insegnante hanno dichiaratoche ero riuscita a disegnare una copia con-vincente. Questo fu l’inizio. Frequentai poila Twickenham School of Art a Londra.Passai poi al lavoro di grafico in FleetStreet, per i giornali e agenzie pubblicitarieed approdai più tardi, come creativa maall’oscuro di tutto quello che era politica,al Central Office del Partito Conservatore.Perché scelse Firenze?A quei tempi Firenze era considerata la ca-pitale mondiale dell’arte. Dovevo tornarein Inghilterra ed invece non sono più ri-partita. Ho fatto diversi lavori per pagarmigli studi all’Accademia di Belle Arti. Ri-cordo: fra i miei professori Fernando Fa-rulli e Oscar Gallo e l’amicizia conDomenico Viggiano e Manfredi. Un ri-cordo speciale va a Giovanni Colacicchi eFlavia Arlotta, ai quali sono stata legata dagrande affetto, che continua attraverso ifigli. Ho anche dipinto ritratti, ho fattomostre con le mie opere a Firenze, Setti-gnano, Reggio Emilia, Fidenza, in diverse

lattina di birra ormai vuota che, peral-tro, mi pare proprio quella da cui ierisera stavo bevendo io. Per dare unamano, come sono solito fare, decidodi gettarla nella differenziata dell'allu-minio. Andando in cucina, dove sitrova il sacco della differenziata del-l'alluminio, la mia attenzione è at-tratta dal vaso dei fiori sul comò delcorridoio che è quasi senz'acqua. Tro-vandomi ormai in cucina, riempio

Caro Diario, si sente dire che Firenzeè in degrado, che è colpa mia perchénon decido. Eppure le mie giornate diSindaco sono tutte molto intense. Peresempio, ieri mattina ero in casa easpettavo che l'autista del comune ve-nisse a prendermi per portarmi a Pa-lazzo quando, essendomi alzato piùpresto del solito, decido di far lavare lamacchina. Mentre esco, abituatocome sono ad osservare tutto, l'occhiomi cade su alcune buste lasciate sul ta-volino dell'ingresso. Decido di dareun'occhiata. Comincio ad aprire lebuste e, come sono solito fare, mettocon ordine il loro contenuto sul tavo-lino. Noto che insieme alla pubblicitàc'è anche una fattura. Lascio le chiavidella macchina sul tavolino e vado incucina per gettare le buste vuote e lapubblicità nel sacco della differenziatacartacea, ma è strapieno. Per ren-dermi utile decido di andare giù, instrada, a portare il cartaceo nell'appo-sito cassonetto. Ma prima di usciretiro fuori dal portafoglio il librettodegli assegni per il pagamento dellafattura temendo che più tardi me nesarei scordato, sennonché mi accorgoche gli assegni sono finiti. Lascio ilsacco del cartaceo da gettare li, ac-canto al tavolino, e vado nello studio aprendere un altro blocchetto di asse-gni, ma colpisce il mio occhio clinicola scrivania sul cui ripiano noto una

di Alessandro [email protected]

TRASH TOWN

d'acqua una caraffa e decido di met-tere prima l'acqua ai fiori e subitodopo gettare la lattina vuota nel saccodella differenziata dell'alluminio, ri-portando allo stesso tempo la caraffaal suo posto, in cucina. Torno nel cor-ridoio e verso l'acqua ai fiori, ma conla fretta e l'agitazione che mi sta pren-dendo la maggior parte finisce sul pa-vimento. Torno di corsa in cucina, edato che vado d'urgenza a cercare unostraccio per asciugare il parquet delcorridoio, lascio dove si trova la lattinada gettare nel sacco della differenziatadell'alluminio. Oh, ma ecco che suo-nano alla porta: è l'autista del co-mune! Non c'è più tempo per farlavare la macchina e lascio tutto cosìcom'è, senza portare via il sacco delcartaceo e quello dell'alluminio enemmeno asciugare l'acqua sul par-quet del corridoio. Mentre si va a Pa-lazzo ripenso all'idea ‒ che mi èvenuta, così! ‒ di salvaguardare i co-siddetti negozi tradizionali del CentroStorico di Firenze che ha tanto im-pressionato la gente, anche se si sentedire che a questo punto tutti i buoierano già scappati dalla stalla, che oraè una stalla senza buoi. Insinuazionimalevole perché, senza falsa mode-stia, in una città come questa io mivedo il più adatto a fare il Sindaco, di-ligente e attento seguace come sonodella nuova politica italiana basata sul-l'efficacia riformista di annunci spot.Caro Diario, ma tu mi capisci vero?

Diariodi unsindaco

miei quadri.Qualche nome?Altopascio, Fucecchio, Monteriggioni. Mace ne sono tantissimi altri anche al di fuoridella Toscana.Lo sa che Paolo Rumiz nel suo libro Mori-mondo la definisce una donna di rara ele-ganza che ha però l’abitudine di russarerumorosamente la notte ? (Ride)Io ero a Corte Sant’Andrea, vicinoa Lodi, per pitturare quel luogo citato daSigerico (la confluenza del Lambro con ilPo, un luogo straordinario) ed alloggiavo nell’ostello del pellegrino che non avevapiù stanze disponibili ed ho dovuto con-dividere la stanza con il signor Rumiz edun altro viaggiatore. Ma non ero io la solaa russare! Questo va precisato.Qualche rimpianto ?Per quanto riguarda il “via Francigena Pro-ject”, aver compiuto questa impresa tita-nica con le mie forze e le mie finanze “nellaquasi totale indifferenza del pubblico e delprivato italiano”. Ho rubato le parole ad unnoto critico d’arte. Non sono parole mie.Ultimamente a Berceto e al Castello diProceno ho avuto l’impressione di aver ini-ziato un nuovo cammino, con un’acco-glienza ed una considerazione che mifanno ben sperare. Dopo 20 anni di ViaFrancigena come Itinerario Culturale Eu-ropeo sarebbe l’ora che si desse al progettola giusta rilevanza.

La pellegrina della luce

città della Francia, a Londra e Canterbury.Parliamo della via Francigena. Lei è stata de-finita “La pellegrina della luce”Mentre disegnavo i bassorilievi della fac-ciata del Duomo di Fidenza ebbi la for-tuna di incontrare una personastraordinaria: Don Amos Aimi, pur-troppo scomparso, che mi suggerì di di-pingere ad acquerello tutti i monumentidella Via Francigena da Canterbury aRoma, sulle tracce del diario dell’ Arcive-scovo Sigerico che si era recato a Roma nel990 per ricevere il Pallio dalle mani delPapa Giovanni XV. L’obiettivo era quellodi concludere il percorso per il Giubileo2000. E fu proprio un amico di DonAmos, il critico d’arte Marzio Dall’Acquache, vedendo i miei acquerelli, mi definì“Pellegrina della luce”Cosa le ha dato e cosa le ha tolto questa av-ventura della via Francigena ?Ho avuto l’occasione di conoscere per-

sone gradevolissime. Dal 1993 al 2000però sono stata lontana da casa, da verapellegrina. Sempre in giro per l’Europa:Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia. Su uncamper attrezzato che guidavo personal-mente, con l’allestimento di 23 mostre indue anni e 2000 chilometri di strada.Cosa vorrebbe ancora da questa esperienza,in concreto?Poter esporre tutte le opere sulla via Fran-cigena che ho dipinto (o una buona partedi esse) in un’unica sede, in un luogoadatto. La regione Toscana ha fatto un ot-timo lavoro di messa in sicurezza della viaFrancigena. Le immagini delle operehanno ormai un valore anche storico,visto che nel frattempo molti luoghi sonocambiati dal 1993. Ci sono città che me-ritano un’ ulteriore valorizzazione, che po-trebbero accogliere un centro di serviziper i pellegrini: ad esempio, uno shop at-trezzato ed una galleria permanente con i

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.17C.com ICON

di Fabrizio [email protected]

Da qualche tempo il severo fra’ Giro-lamo Savonarola invocava la puni-zione divina per la dissoluta città diFirenze: “Signore mio, manda la tri-bolazione a Firenze. Manda, manda ilflagello, questo li farà udire. Spadaspada, carestia carestia, pestilentia pe-stilentia!”.Fatto sta che qualcuno nelle alte sfere(“Il Signore o chi per Esso”, scriveGiuseppe Conti in “Fatti e aneddotidi storia fiorentina”) esaudì i desideridel frate. Si cominciò all’inizio del1497 con una terribile carestia (care-stia, carestia!); scoppiarono dei tu-multi durante la distribuzione delpane e il 18 aprile tremila donne die-dero l’assalto a Palazzo Vecchio: la ri-volta fu repressa nel sangue (spada,spada!).Firenze cominciava appena a risolle-varsi dalla carestia, quando, fra mag-gio e giugno, si diffuse in città la peste(pestilentia, pestilentia!) che provo-cava, ogni giorno, la morte di decine

di fiorentini.Savonarola, incurante delle soffe-renze dei fiorentini, decise di rinca-rare la dose e organizzò, l’ultimogiorno di carnevale del 1497, un “falòdelle cose lascive”. In Piazza della Si-gnoria fu innalzato un “albero” delquale padre Serafino Razzi ci ha rac-contato la composizione: alto circa30 braccia fiorentine (18 metri), conun perimetro alla base di circa 120braccia (70 metri) e composto da 15strati, con una struttura piramidalestile albero di Natale. Nel corso del-l’anno i seguaci di Savonarola eranoandati a giro per raccogliere il mate-riale e nessuno aveva osato opporreun rifiuto alle richieste del frate.Quali erano gli ornamenti di questosingolare albero di Natale? Partendo

dalla cima troviamo tele di maestridelle Fiandre “dipinte di figure diso-neste” e, via via discendendo questocompleto catalogo delle vanità, “ri-tratti di bellissime donne antiche”,“scacchieri, tavolieri” e carte da gioco,strumenti musicali “con i loro libri dimusiche lascive”, “specchi, profumi epolvere di Cipro” a rappresentare lavanità delle donne, “libri di poeti la-scivi e disonesti” come Pulci, Sac-chetti e Petrarca, maschere e

travestimenti e via dicendo.Quale fosse il valore “venale” deglioggetti che andarono al rogo lo si puòdesumere da un curioso episodio: unmercante veneziano, che si trovava aFirenze per caso, vedendo tutto quelben di Dio che stava per essere di-strutto, offrì 20.000 scudi, unasomma enorme, per rilevare tutto ilblocco, ma dovette ritirarsi in buonordine quando i Piagnoni minaccia-rono di piazzarlo in cima all’albero senon se ne fosse andato immediata-mente.L’anno dopo il bis: nuova raccolta dimateriale e questa volta anche deineofiti Piagnoni contribuirono perso-nalmente con le loro opere: scompar-vero così irrimediabilmente fra lefiamme disegni e studi di nudi di arti-sti come Baccio Bandinelli e Lorenzodi Credi.Qualche mese dopo, il 23 maggio, inPiazza Signoria, a pochi metri dalluogo dove erano bruciati gli “alberidella vanità”, arse un altro falò. Maquesta volta sul rogo c’era fra’ Giro-lamo.

Via Savonarola

Il falòdelle vanità

di Stefano Pozzoli

Iprossimi 5 anni saranno cruciali perla Firenze che sarà e Dario Nardellasi troverà a governare il più grandecambiamento dal dopoguerra che

interesserà la nostra area urbana. I motivi di questa affermazione, chenon vuole essere enfatica ma realistica,sono essenzialmente due. Anzitutto èche alcune scelte chiave di amministra-zioni precedenti, ovvero la tramvia el’alta velocità (con tanto di Stazione AVin Viale Redi), vengono a maturazione,con l’inevitabile contorno di cantieri,disagi e proteste. Il secondo è quel cam-biamento di natura istituzionale, e si av-vierà a breve, che è rappresentato dallacittà metropolitana. Temi connessi, sesi pensa che la tramvia dovrà arrivare aSesto Fiorentino, probabilmente aCampi, forse persino a Prato. Questionidistinte, perché la prima è in buonaparte delineata, e va “solo” realizzata,mentre l’altra deve essere pensata, oltreche attuata, da Dario Nardella e dallasua squadra di amministratori e diri-genti che, per altro, è in parte da co-struire, soprattutto per quanto riguardala città metropolitana.Tutto ciò, da solo, dovrebbe fare tre-mare le vene nei polsi ai nostri rappre-sentanti istituzionali, perché tre-quattroanni di lavori importanti, anche se ge-stiti al meglio, non potranno che crearedisagi e malcontenti. Ricordiamoci,però, che è quanto è accaduto per larealizzazione della prima linea di tram-via, della quale, però, oggi non po-tremmo proprio più fare a meno, e cheha molto valorizzato l’asse Firenze-Scandicci e le aree lungo il proprio per-corso. Lo stesso, non ne possiamodubitare, accadrà anche per le altrelinee, ma è altrettanto facile prevedereche le polemiche non mancheranno ed

mente) non hanno modificato il profilodella città, ma comunque di elevataqualità. Si pensi alle Murate, alla Cittàdella Musica e con l’intervento, più im-portante, nell’aerea di Novoli, che è pas-sata da quartiere dormitorio e popolaread iniziare a configurarsi come area di-rezionale di ben altre prospettive.Oggi restano aperti altri problemi edopportunità. Il primo, a cui Renzi primae Nardella poi, hanno messo mano, è lostadio. La questione, oggettivamente,non è essenziale ma potrebbe rappre-sentare comunque un’interessante risi-stemazione dell’area Mercafir.Ci sono altre questioni, però, che po-trebbero e dovrebbero essere risolte,una spesso sollevata, ed altre che curio-samente sembrano quasi dimenticate.La prima è Sant’Orsola, la cui mancatarisistemazione è uno dei motivi di de-terioramento di un’area pure centralis-sima. La città metropolitana, adifferenza di quanto oggi può la provin-cia, avrà in mano tutti gli strumenti ur-banistici per rendere il sito attraente dalpunto di vista commerciale ed è untema che andrà affrontato urgente-mente. Gli altri tre non si trovano nelcentro storico sono più “periferici” masono tutti di straordinaria importanzaper la città. Il primo è il “cratere” che sitrova in Viale Belfiore. L’Amministra-zione, anche se la proprietà è privata,davvero può tollerare una cosa del ge-nere quasi di fronte alla futura StazioneRoger e comunque in uno dei Vialidella Città? Ancora occorre pensare allaex Manifattura Tabacchi: si tratta di 6ettari nel cuore di Firenze, rimasti inu-tilizzati ormai dal 2001. E che dire del-l’area del Meccanotessile? I lavori delgiardino sono ormai avviati, ma perquanto riguarda il resto è ancora tuttoda fare.

Articolo pubblicatosu Repubblica ed. Firenze il 29 luglio

GRANDI STORIE IN PICCOLI SPAZI

L’agendadi Darioanzi già non mancano, in virtù di queldato universale che è la sindrome diNIMBY (Not In My Back Yard - Nonnel mio cortile).Il futuro, in altre parole, riserva già suf-ficienti problemi ed opportunità a chiamministra Firenze. Dobbiamo chie-derci, però, proprio per lo sconvolgi-mento che ci aspetta, non sia

opportuno per l’Amministrazione im-maginarsi un progetto, sul piano urba-nistico e sociale, ancora più ambizioso.Intanto dobbiamo dire che, per quantonoi cittadini ce ne siamo accorti fino adun certo punto (o quanto meno non neabbiamo gioito abbastanza), in verità èFirenze in questi anni è cambiata, graziea progetti circoscritti, che (fortunata-

SCAVEZZACOLLO

Serpeggia l'in-quietudine.Ma non sem-pre. All'in-quietud inepiace cam-biare animale.Per farsi capiremeglio. Maia-leggia l'inquie-tudine. Avolte. O crice-teggia. Passe-r o t t e g g i a .Dipende.

di Massimo [email protected]

Inqu

ietudine

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.18PECUNIA&CULTURA

Gli sgravi fiscali che il d. 91/2013,detto Valore cultura, ha elargitoai contributi erogati al non pro-fit non basteranno a far soprav-

vivere i piccoli enti, spessogloriosamente centenari, da una fine in-gloriosa.Il tema, considerando la crisi generale,ma anche la legge di Baumol che, nel set-tore culturale, vede nel tempo accrescerei costi e ridurre i proventi, fa si che oc-corre con urgenza trovare uno stru-mento che freni molti enti da mortecerta.Era il 1995 quando in un convegno or-ganizzato dal Prof. Cardini, a San Gimi-gnano, presentai una relazione coniandoil termine “Parco Culturale: definizionedi un sistema del valore di un’area terri-toriale”.Il Parco culturale trova risposte nelle ca-ratteristiche del Parco Naturale ed anchedi quello Scientifico, tutti ambienti neiquali il Valore è legato alla capacità di or-ganizzare e di gestire l'intreccio dina-mico (il sistema delle relazioni) tra laSfera Produttiva, ovvero il Sistema Indu-striale (produzione, commercializza-zione, servizi); quella Istituzionale:ovvero il Sistema Politico; quella Scien-tifico-Culturale: ovvero l’Università, gliOrganismi di Ricerca Pubblica/Privata,Istituti di Formazione, Enti Scientifico-Culturali ecc.Il coinvolgimento dinamico di una mol-teplicità di attori, interni ed esterni al-l'area territoriale, è la condizionenecessaria per creare la struttura delParco.La molteplicità degli attori a vocazioneistituzionale, economica e scientifica im-plica la necessità di creare non solo l'op-portunità di riunire ed integrare diverseculture, esperienze e conoscenze con ri-sorse e competenze multifunzionali, madi consentire anche la possibilità di at-trarre ulteriori conoscenze, capitali ecompetenze nell'area di intervento equindi nel Sistema.Immaginavo di collegare tra loro entiche da soli non avrebbero potuto so-pravvivere in una sorta di multi-museo:allora il Parterre era libero e rappresen-tava certamente uno spazio adatto, anzispeciale!Il Parco, dunque, come strumento per lavalorizzazione integrata, può essere rap-presentato come un sottoinsieme na-scente dalla sovrapposizione degliambienti interessati alla gestione del ter-ritorio culturale nella quale vivono nu-merose Istituzioni che possono essereraccordate in Sistema.E’ più facile insegnare loro a fare Rete seli colleghiamo fisicamente, cosa che con-sente da subito di realizzare economie discala e di costo: una organizzazione eduna amministrazione unitaria in gradodi esprimere professionalità anche nellacomunicazione indispensabile per farecultura, ma anche per reperire risorse!Con il Contratto di Rete (previsto dallal. 112/2008), più Enti si obbligano adesercitare in comune una o più attivitàeconomiche, rientranti nei rispettivi og-

di Roberto [email protected] getti sociali, allo scopo di accrescere la

reciproca capacità innovativa e la com-petitività sul mercato, e raggiungere,quindi, economie di scala.Le Reti permettono dunque, di creareun “gruppo” che da un lato, consente ilmantenimento dell'indipendenza e del-l'identità di ogni ente e dall’altro il mi-glioramento anche di alcuni processi chepossono essere comuni alle singole re-altà.Proprio con il contratto di Rete si rendepossibile operare un raccordo, tra glienti, che potrà diventare forte e duraturoproducendo un ente Policentrico, rap-presentante una costellazione di culturee strategie orientate in una sorte di fede-razione.

Il Parco Culturaleuna rete in salvataggio

per arginare l’anestesia liquida della di-menticanza. Secondo la tradizione cu-rata dall’autore, Mosi ha preparato unaraccolta poetica, “Eterno Presente”, a“commento” delle fotografie, che saràpresentata in occasione della Mostra.Roberto Mosi impegnato nel campodella fotografia, coltiva l’attenzione perl’interazione fra le arti, della fotografiae della poesia, in particolare. Passaggi

di questo impegno sono le mostre rea-lizzate fino ad oggi. I titoli dei cicli foto-grafici – in bianco e nero - richiamano ipercorsi iconografici: “Nonluoghi”(2009), “Florentia” (2010), “Fotopoe-sia” (2010), “Itinera” (2011), “Mito-mosi” (2011), “Mith In Florence”(2012), “Tracce, La Galleria Fotogra-fica Sulla Strada” (2013), “Firenze Ri-flessa” (2013), “Firenze, Dalle VetrineAlle Periferie” (2013), ”Firenze, Con-trasti” (2013), allestiti presso: Biblio-teca Palagio di Parte Guelfa, Circolodegli Artisti-Casa di Dante, La Citè,Cuculia, Arteincasa/Cellai BoutiqueHotel, Villa Arrivabene, Libreria Libri-Liberi, Caffè Serafini.La Mostra è aperta presso l’Hotel Cel-lai, via 27 Aprile 14, dal 1° al 30 settem-bre. L’inaugurazione il 1° settembre alleore 18

di Roberto [email protected]

La Mostra di fotografie e poesia “Fi-renze Calpestata” richiama l’attenzionesulla città e la conservazione delle suemolteplici fisionomie storiche, silentisotto il calpestio inconsapevole dei pas-santi, come la significativa lapide inPiazza della Signoria, dedicata al luogoin cui - il 23 maggio 1498 - fu condan-nato al rogo il monaco domenicano Gi-rolamo Savonarola. Nella scopertadelle sedimentazioni storiche l’autore,Roberto Mosi, offre una campionaturadi rapide inquadrature fotografiche difigure, sorprese in inediti scorci dalbasso, nella dinamica degli arti infe-riori, nell’azione del camminare, cor-rere, stazionare. Il fatto storico evocatodiviene una galleria di persone/perso-naggi: il/la turista, i figuranti (il capi-tano del Popolo/i soldati), ilmaratoneta, i podisti, la studentessa, la

ragazza dai tacchi alti, la posa spensie-rata di una ballerina, i vigili urbani,l’operatore ecologico, l’operaio, lezampe di un cane, la carrozza trainatadai cavalli, per disegnare sulla mappacittadina la vita brulicante dell’oggi, chevive, si agita, attende, lavora e spera neicambiamenti. E’ in gioco la vitalità se-greta di un patrimonio storico conti-nuamente da riscoprire ed apprezzare

LUCE CATTURATA

Firenze sotto i tacchi

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.com sabato 30 agosto 2014no88 PAG.19L’ULTIMA IMMAGINE

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San Jose e Santa Clara, California, 1972

La prima immagine in alto mostra una visionedi North First Street a San Jose dopo che eranostati demoliti molti dei vecchi edifici storici,quelli a due piani per intendersi, tipo quelli chesi vedono ancora sul lato destro della strada. Eraun momento di attesa prima dell'inizio dei la-vori per la costruzione di nuove strutture alte

decine di piani previsti dal nuovo piano regola-tore. Era una bella visione godere di tutto que-sto spazio libero ed in quel periodo mi sonolasciato prendere spesso dal fascino di questisplendidi spazi meravigliosamente vuoti. L'altraimmagine, scattata a sole poche miglia di di-stanza, mostra invece una visione dell'adiacente

città di Santa Clara, sede della prestigiosa edomonima Università Cattolica retta dai padri ge-suiti. Il senso di pace e di tranquillità ed il tempoquasi sempre perfetto, assolato ed asciutto, midavano, almeno in quel primo periodo, l'impres-sione di vivere continuamente in una specie disogno a colori.

Dall’archivio di M

aurizio Be

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