CinemazeroNotizie maggio 2016

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mensile di cultura cinematografica 1,00 2016 numero 5 anno XXXVI Quando i francesi “giravano” in Italia Storia di un manifesto festivaliero Ripartendo...con slancio Più che positivo il bilancio del festival Le Voci dell’Inchiesta Proiezione, l’ovvietà della pellicola La pellicola ci rende consapevoli dell’atto del guardare Tutte le donne della Croisette La figura femminile al centro dei film in concorso a Cannes 2016 Agnèes Varda nostra contemporanea Al via l’attesa retrospettiva sulla cineasta francese Nessuno mi troverà: il memorandum Majorana Intervista al regista Egidio Eronico ospite l’11 maggio a Cinemazero Arrivano i nostri (e sono bravi) Poca Italia ma tanto FVG al prossimo festival di Cannes Non solo cinema, anche letteratura e storia Sesta edizione del Festival “Curdi tra noi” dal 17 al 24 maggio Maggio 16 spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45% contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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mensile di cultura cinematografica 2016 n. 5 anno XXXVI

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Quando i francesi “giravano” in ItaliaStoria di un manifesto festivaliero

Ripartendo...con slancioPiù che positivo il bilancio del festival Le Voci dell’Inchiesta

Proiezione, l’ovvietà della pellicolaLa pellicola ci rende consapevoli dell’atto del guardare

Tutte le donne della CroisetteLa figura femminile al centro dei film in concorso a Cannes 2016

Agnèes Varda nostra contemporaneaAl via l’attesa retrospettiva sulla cineasta francese

Nessuno mi troverà: il memorandum MajoranaIntervista al regista Egidio Eronico ospite l’11 maggio a Cinemazero

Arrivano i nostri (e sono bravi)Poca Italia ma tanto FVG al prossimo festival di Cannes

Non solo cinema, anche letteratura e storiaSesta edizione del Festival “Curdi tra noi” dal 17 al 24 maggio

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spedizione in abbonamento postale L. 662/96 art. 2 comma 20/b filiale di pordenone - pubblicità inferiore al 45%contiene i.p. in caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di Pordenone per la restituzione al mittente previo pagamento resi

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Maggio è il mese del Festival diCannes (11/22 maggio 2016). Tuttiaspettano questo evento per misu-rare lo stato di salute del cinema,per capire quali saranno i film della prossima stagione, quali gliautori che caratterizzeranno il cinema prossimo venturo. Lastampa italiana, come al solito, ha pianto lacrime amare per nonveder alcun film nostrano in concorso per la 69ma Palma d'oro,dopo il trittico dello scorso anno con Sorrentino, Moretti eGarrone. Ma se non ci sono film italiani in gara, i nostri cuginid’oltralpe hanno voluto rivolgere ugualmente un omaggioall’Italia. Dopo il manifesto con Marcello Mastroianni in Otto emezzo di due anni or sono, hanno scelto per questa 69ma edi-zione ancora l’Italia e la villa di Curzio Malaparte a Capri in unfotogramma da Le Mépris (Il Disprezzo, 1963) per la regia diJean-Luc Godard. Film prodotto da Carlo Ponti e tratto dall'omo-nimo romanzo di Alberto Moravia e girato tutto in Italia, tra Caprie Sperlonga, con Brigitte Bardot, Michel Piccoli, Jack Palance eFritz Lang nella parte di se stesso. Dell’anziano regista tedesco,poi emigrato negli Stati Uniti, scrisse Godard nelle sue note amargine: «Un vecchio capo indiano, saggio, sereno, che ha medi-tato a lungo e infine ha compreso il mondo, e che abbandona ilsentiero di guerra ai giovani e turbolenti poeti». La VillaMalaparte, costruita a metà degli anni trenta grazie alla persona-le conoscenza dello scrittore con un figlio di Mussolini, è consi-derata un capolavoro di architettura razionalista italiana. Quihanno soggiornato personaggi come Jean Cocteau, AlbertCamus, Pablo Picasso, Palmiro Togliatti, André Breton, Alberto

Moravia e tanti altri. Non vi soggiornò latroupe di Carlo Ponti che viveva, invece,tutta in un hotel a Capri. Ogni mattina face-vano 25 minuti a piedi per raggiungereVilla Malaparte dove Jean-Luc Godard fil-mava magistralmente i suoi pittoreschipanorami mozzafiato, sui quali si svolgonole ultime sequenze del film. L’omonimolibro di Moravia era uscito 9 anni prima, eGodard, con una certa perfidia, tanto pernon smentire la sua fama di teppista tur-bolento e raffinato, scrisse: «Il libro diMoravia è un volgare e grazioso romanzoda stazione, pieno di sentimenti classici efuori moda, nonostante la modernità dellesituazioni. Ma è proprio da questi romanziferroviari che si ricavano i film migliori.».Carlo Ponti, quando vide terminato il filmdi Godard rimase inorridito. Cercava laversione cinematografica del romanzo diMoravia e si ritrovava un film al di fuoridegli schemi, pieno di eros e di dissacran-te nichilismo. Il produttore rimontò il film amodo suo confezionando un incomprensi-bile pasticcio, accorciandolo di oltre 20minuti e togliendo tutti i nudi della provo-cante Brigitte Bardot. Fortunatamente dopo 50 anni il film èstato, però, restaurato come in origine.

In copertina Marion Cottilard, prota-gonista a Cannes di Mal de pierresdella francese Nicole Garcia

cinemazeronotiziemensile di informazione cinematograficaMaggio 2016, n. 5anno XXXVI

Direttore Responsabile Andrea CrozzoliComitato di redazione Piero ColussiRiccardo Costantini Marco FortunatoSabatino LandiTommaso LessioSilvia MorasMaurizio SolidoroCollaboratori Lorenzo CodelliLuciano De GiustiManuela MoranaElisabetta PierettoSegretaria di redazioneElena d’IncaDirezione, redazione, amministrazioneVia Mazzini, 233170 Pordenone,Tel. 0434.520404Fax 0434.522603Cassa: 0434-520527e-mail: [email protected]//www.cinemazero.itProgetto graficoPatrizio A. De Mattio[DM+B&Associati] - PnComposizione e FotolitiCinemazero - PnPellicole e Stampa Sincromia - Roveredo in PianoAbbonamenti Italia E. 10,00Estero E. 14,00Registrazione Tribunale di Pordenone N. 168 del 3/6/1981Questo periodico è iscritto alla:

Unione Italiana Stampa Periodica

Storia di un manifesto festivaliero

Quando i francesi“giravano” in Italia

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Più di 50 eventi, oltre 40 ospiti - tra registi, esperti, giornalisti – una selezione di 30 docu-mentari italiani e internazionali, di cui circa la metà in anteprima italiana assoluta, sono inumeri della nona edizione del festival di Cinemazero Le Voci dell’Inchiesta, che tra merco-ledì 13 e domenica 17 aprile, ha presentato anche mostre di fotografia d’inchiesta chehanno “popolato” negozi sfitti nel centro città, workshop, e una serie di webdoc, docu-mentari nati espressamente per la rete visibili nella Mediateca di Cinemazero su tablet.Esercitare, in un’epoca troppo sbrigativa, la “memoria dell’oggi” è stata una delle missionprincipali di questa nona edizione, che ha aperto uno sguardo sulla più stretta attualità – daicambiamenti del costume all’evoluzione geo-politica internazionale, dalle trasformazionisociali alla situazione dell’ambiente che ci circonda – spostando il baricentro della manife-stazione sul cinema del reale. Pordenone è diventato per cinque giorni l’osservatorio privi-legiato di quelle “realtà mai viste” che connotano un genere cinematografico in ascesa, ilpiù vivo e denso di contenuti: il documentario contemporaneo, che spesso non trova inItalia un’adeguata distribuzione.Davvero considerevole la risposta del pubblico che ha affollato, sin dalla mattina, la Sala diCinemazero così come tutti gli altri spazi che hanno ospitato le iniziative collaterali, gliincontri e i workshop. Sono praticamente raddoppiati gli ingressi rispetto all'ultima edizio-ne (che ricordiamo si è svolta nel 2014 perchè lo scorso anno il festival ha subito una pausa)e si è attestata, in generale, come la migliore edizione di sempre per afflusso di pubblico:un dato ancora più eclatante se si considera che da quest’anno è stato introdotto il bigliet-to per ogni singola proiezione, e non più il biglietto cumulativo per l’intero programma delpomeriggio. L’età media del pubblico è molto giovane, e un’ottima risposta hanno avutoanche i matinée dedicati alle scuole.Il pubblico ha premiato – con un testa a testa fino alla fine con The fog of Srebrenica diSamir Mehanovic – Guantanamo's Child, Omar Khadr, di Patrick Reed e Michelle Shepard,testimoniando la forte vocazione dell'audience del festival ai valori sociali e all'attenzione ai

diritti umani.Il successo di pubblico è senz’altro un risultato digrossa importanza e soddisfazione, ma non è l’unicoparametro su cui si valuta la riuscita della rassegna:i curatori di Cinemazero si propongono come obiet-tivo quello di svolgere un ruolo culturale per farconoscere un tipo di cinema poco visto, come ildocumentario di inchiesta. Un ruolo che ha ancheuna valenza sociale visti i temi trattati dalle operepresentate: dai diritti del singolo e delle famigliecontemporanee, alla sensibilizzazione verso l’am-biente e gli sprechi, fino allo svelamento di veritàscomode e sottaciute.Alto il riscontro anche per le dirette quotidiane in

streaming degli incontri con i protagonisti del festi-val, che ha evidenziato come alcuni appuntamentiavrebbero sicuramente necessitato di una sede piùgrande.Le Voci dell’Inchiesta ha anche l’ambizione di essereun festival che lascia una ricaduta nel tempo, cometestimoniano il libro realizzato quest’anno che racco-glie i principali scritti di Liliana Cavani (a fianco lacopertina) e i numerosi worhshop per studenti accre-

ditati (tra tutti il seminario con il regista Andrea Segre). In questo senso grande significatoassume anche la decisione dei due ospiti di punta di quest’anno, Gianni Minà e LilianaCavani, di voler affidare alle cure di Cinemazero alcuni dei loro preziosi materiali, tra artico-li, sceneggiature, pellicole e filmati: una volontà espressa da entrambi dopo una visita allaMediateca e all’archivio storico di Cinemazero. Ultima nota riguarda i finanziamenti: il festi-val, anche se giunto ormai al suo nono anno di vita, non ha un capitolo di finanziamentodiretto da parte della Regione FVG. L’'auspicio è che ci sia in futuro un adeguato riscontrodelle istituzioni regionali, proporzionato ai risultati ottenuti dalla manifestazione.

Ripartendo...con slancio!

Più che positivo il bilancio del Festival appena concluso

LILIANA CAVANI FOLLIA, SANTITÀ, POTERE, POVERTÀ

edizioni cinemazero

Scritti e interviste 1960 - 2016

A cura di Fabio Francione

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La domanda «C'è qualche film che semplicemente non vorresti vedere in nessun altro luogoche non fosse un cinema?» è apparsa nella mia casella di posta elettronica il giorno primadel mio viaggio annuale a Cannes. Quella sera c'era una proiezione di Sayat Nova/TheColor of Pomegranates – Il colore del melograno (Sajat-Nova/Cvet granata, 1968) al WORMa Rotterdam. Così sono andato a vedere di nuovo il film, nella speranza che la specificarisposta a questa domanda mi sarebbe apparsa nella mente come un'epifania : è semprepiù semplice dare una risposta senza troppe elucubrazioni accademiche.Erano passati più di vent'anni dalla prima volta che ho visto il film, ma era quasi certamen-te la stessa copia quella che veniva proiettata, proveniente dalgli archivi di distribuzionedello EYE (ndr. Film Institute Netherlands) con sottotitoli in olandese. La condizione dellapellicola era «cattiva» secondo quanto riportato dall'archivio, ma molte «brutte» copie sonoin uno stato peggiore, da quanto è risultato. Alcuni tratti di pellicola hanno effettivamenteseri graffi, ma questo non ha danneggiato l'esperienza filmica e i colori sono ancora buoni.I 78 minuti sono rascorsi con un fascino senza tempo. In un certo qual modo misterioso,Parajanov non ci fa mai sentire come se dovessimo sforzarci per tenere il passo con lui, oche potremmo aver tralasciato qualcosa di essenziale. Come per una scultura di granito, lasua impenetrabilità non ne limita l'impatto visivo.Un'altro motivo per assistere a questa proiezione era anche il fatto che Sayat Nova era statoproiettato in una versione restaurata alla sezione Cannes Classics, i Classici di Cannes.Sfortunatamente, non avevo potuto assistere, e non avevo ancora alcun riscontro in meri-to. Ma immagino che i colori fossero stati riportati al loro pieno splendore e che non ci fos-sero graffi visibili sulla pellicola: come per tutti i film alla selezione ufficiale di Cannes di que-st'anno, la proiezione è stata in digitale.

Non c'è nulla di male nel guardare un film in DVD o in televisione, o per quello che m'im-porta, in un museo, in aereo o sul vostro iPad. Ciò che uno vede assomiglia chiaramente alfilm e uno può più o meno dedurre da quelle «piattaforme» di cosa si tratta. Ma per me nonè lo stesso: l'unico posto per guardare un film è il cinema.Dopo pochi giorni a Cannes, ho incontrato per caso un amico argentino e gli ho chiesto seavesse già visto Jauja (2014), la misteriosa indagine del paese del cinema di LisandroAlonso. «Beh, ehm...» mi ha detto con uno sguardo che sembrava di terribile sofferenza «hovisto il Blu-ray, ma vorrei vedere il film». Sono certo non abbia nemmeno detto «vedere ilfilm di nuovo». E non mi sono azzardato a chiedere oltre.La proiezione di Jauja il giorno successivo è stata un trionfo. Che sia stato il lavoro cine-matografico di Timo Salminen su 35 mm, o quello che hanno fatto in post-produzione, oaddirittura perfino la luminosa proiezione digitale, il risultato è stato che il film quasi fissa-

I film che non vorresti vedere in alcun altro posto che non sia un cinema

Proiezione: l’ovvietà della pellicola

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Una scena di Sayat Nova/The Color of Pomegranates di Sergei Parajanov (1968)

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va col suo sguardo il pubblico, e il pubblico non ha potuto fare altro che arrendersi a quel-la fonte di luce. Il più importante film dello scorso anno da vedere essenzialmente al cine-ma è stato anch'esso girato in 35 mm. E come per Jauja, il film per ora può essere visto soloin proiezione digitale: si tratta di Hard to Be a God – È difficile essere un dio (Trudno byt'bogom, 2013) di Alexei Y. German. È uno di quei film che si capisce fin da lontano chevederlo al di fuori della sicura e oscura sala cinematografica, sarebbe un'esperienza piutto-sto inutile. Gli spettatori che abbiano fruito appieno e correttamente dell'universo parallelodi German non saranno mai più in grado di guardare al nostro mondo allo stesso modo.Con uno sguardo che forse è più saggio, ma anche più triste, perchè non si potrà più tor-nare a quel terribile paradiso perduto, quegli spettatori osserveranno pietosamente i non-iniziati. Quella segreta conoscenza è stata trasmessa.Non c'è niente che non vada nel DCP di Hard to Be a God, assolutamente. Sarebbe un pòsnob e nostalgico lamentarsi di cose del genere. Siamo nel 2014 ed è così che proiettiamoi film. Ma mi manca l'inconsapevole sfarfallio del 35 mm. Mi manca il fatto che le pellicolefossero buone o pessime, rendendoti consapevole dell'atto del guardare. Mi manca ilconfortante impercettibile rumore che indicava l'inizio di una nuova bobina. Mi mancano iproiezionisti. Quando so che una proiezione viene fatta da film in pellicola, sento un motodi sollievo. Ma questo accade sempre più raramente. La proiezione in 35 mm (o in 16 mm)sembra per lo più confinata al regno dei filmmaker sperimentali, il cui tema principale sia lavera natura del materiale utilizzato, ma questa è tutta un'altra storia: quello che davvero mimanca è l'ovvietà della proiezione da pellicola.Bill Nichols nel suo saggio «Global Image Consumption in the Age of Late Capitalism»(1994) – La fruizione globale dell'immagine nell'era del tardo capitalismo – scrive uno deitesti più influenti sull'odierna cultura cinematografica: «I contenitori di rulli 35 mm non pos-siedono nulla del valore intrinseco che una scultura di Moore o una statua di Dogon invecehanno. Il valore ora risiede nel significante dell'immagine dematerializzata e nei diritti diproprietà intellettuale attaccati a questi fantasmi sullo schermo». Penso che Nichols nonabbia del tutto ragione. Si, vent'anni dopo, l'immagine si è veramente dematerializzata, maal punto in cui ci fa rendere conto che invece ci sia un valore intrinseco in quei contenitoridi pellicole. Fra vent'anni a partire da ora, non vedo l'ora di assistere ad una proiezione in35 mm di una copia vecchia e malconcia di Hard to Be a God. [traduzione a cura di ValentinaLanza]

Gerwin TAMSMA è responsabile della program-mazione dell’International Film Festival diRotterdam dove cura la selezione dei i film prove-nienti dalla Cina e dalla Corea, America Latina e -in Europa - Belgio, Paesi Scandinavi, Italia, Spagnae Portogallo. Sempre pr l’IFFR coordina la sezione Bright Future,fa parte del comitato di selezione per la HivosTiger Awards Competition e del comitato delFondo Hubert Bals. Ha curato numerose retrospet-tive e programmi speciali.

Una scena di Hard to be a God di Aleksej German (2013)

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Più di 1.800 i film visionati dai selezionatori, oltre 70 quelli scelti finora per comporre le diversesezioni del ricchissimo cartellone - ancora non del tutto completato - del più importante appunta-mento cinematografico del mondo: il festival di Cannes. Da che parte iniziare per cercar di offrireuna chiave di lettura interessante, e speriamo non banale, per provare a “leggere” tra le righe itanti film in concorso per la Palma d’Oro? Di fronte a tanta abbondanza il rischio è lo spaesamen-to, per cui ci focalizzeremo sui film inseriti nella selezione ufficiale. Uno spunto viene dall’analisidei temi affrontati ed in particolare dai ruoli femminili, la cui centralità sembra essere uno dei filrouge che caratterizza il programma 2016.Se è vero che sui venti film che compongono la “Competition” solo tre vedono una donna dietrola macchina da presa, è pur vero che in una gara – e un festival in fin dei conti è anche e soprat-tutto questo – conta spesso la qualità più che la quantità. Ed è altrettanto vero che a questa appa-rente penuria di quote rosa alla voce “registi” viene decisamente compensata da un peso specifi-co assai imponente alla voce “protagonisti”. Sono davvero tante infatti le pellicole che vedono alcentro della narrazione la figura femminile.Prima di tutto sono proprio le tre registe che scelgono di raccontare altrettante storie tutte al fem-minile. L'inglese Andrea Arnold (American Honey) con la giovane Stella, una ragazza in fuga dauna famiglia disastrata, racconta la difficile scoperta dei sentimenti in una banda di giovani cheinsegue il sogno americano, tra notti di party scatenati e giorni di lavoro. Altrettanto intimo e per-sonale, anche se più ricco di ironia, l’approccio di Maren Ade (Orso d’Argento a Berlino nel 2009con Alle Anderen) che in Toni Erdmann segue Ines, consulente aziendale di Bucarest, che si ritro-va ad avere a che fare con il padre, rientrato in città sotto mentite spoglie. Quest’ultimo, convintoche la figlia abbia perso la gioia di vivere, decide di diventare “Toni Erdmann”, stravolgendo i suoaspetto e iniziando a tormentarla con scherzi e battute trasformando il loro rapporto, inizialmenteburrascoso, in qualcosa di veramente speciale.Alla fragilità delle donne tratteggiate in questi due film fa in qualche modo da contraltare una vete-rana del festival, Marion Cotillard, che in Mal de pierres della francese Nicole Garcia interpreta

Gabrielle, donna della borghesia agricola chedecide di ribellarsi al suo destino di promessasposa in una matrimonio combinato, fuggendocon un tenente ferito nella guerra in Indocina.Forza e determinazione caratterizzano questopersonaggio, le stesse doti che non mancanoanche a Isabelle Huppert (Elle di PaulVerhoeven), secondo le prime indiscrezioni giàcandidata in pectore alla Palma, impegnata nelruolo di torbida dark lady protagonista di unenigmatico gioco con un assalitore e aggresso-re che da carnefice diverrà vittima.Il personaggio più forte in assoluto sembraperò essere quello di Julieta - il cui nome dà iltitolo al film di Pedro Almodòvar - una donnache sull'"orlo di una crisi di nervi" comincia adare i primi segni di follia. Nella sua vita, dopoun periodo di felicità, è stata abbandonata adun destino amaro, dove si susseguono unaserie di disastri uno dietro l'altro. Quando sem-bra che solo un miracolo possa salvarla acca-drà per davvero qualcosa di straordinario. Potrebbe sembrare che forza e fragilità siano ledue categorie con cui sia più semplice incasel-lare le “donne del festival” ma, più si scorronoi titoli, più la questione si fa complessa e i con-fini di questi concetti si fanno sempre più sfu-mati e le due caratteristiche, invece che alter-native, sono spesso compresenti, facce di unastessa medaglia che spesso ruota su sé stessain maniera vorticosa.

La figura femminile, tra forza e fragilità, al centro dei film in concorso a Cannes

Tutte le donne della Croisette

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Difficile definire, ad esempio, Charlize Theron, diretta dall’ex compagno Sean Penn in The lastface, in quella che potrebbe essere una banale storia d’amore tra la direttrice di un'organizzazioneinternazionale di aiuti umanitari e un medico coinvolto nella missione in Liberia. Tuttavia le impli-cazioni etiche del loro lavoro, con le quali i due dovranno fare i conti durante la guerra, metteran-no a dura prova la loro relazione. La stessa ambiguità sembra connotare anche Jenny, anch’essa medico, (La fille inconnue per laregia dei fratelli Dardenne) alle prese con il terribile senso di colpa per non aver accolto una ragaz-za ritrovata morta poco tempo dopo. La giovane dottoressa sembra inizialmente distrutta ma,quando scopre che l’identità della ragazza è sconosciuta, ritrova forza e determinazione per cerca-re di ricostruirne la storia ed il passato. Entrambe queste donne sembrano fare un percorso da un’i-niziale fragilità, spesso determinata da una non facile situazione esterna, ad una progressiva(ri)scoperta delle propria forza interiore. A fare in qualche modo un percorso inverso è Marie (inRester Vertical di Alain Guiraudie) una pastora dallo spirito libero che incontra Leo, un regista chedecide di partire per raggiungere il sud della Francia alla ricerca dei lupi. I due si innamorano e leirimane incinta. Dopo aver dato alla luce il bimbo, comincia a soffrire di depressione post partume, in preda alla disperazione, abbandona sia Leo che il figlio.Qui la fragilità sfocia nel dramma, in storie cariche di sofferenza. Un mood che ritroviamo anche nel nuovo horror di Nicolas Winding Refn, The Neon Demon,ambientato nel mondo della moda, con Elle Fanning e Keanu Reeves dove la figura femminile èquella di una giovane modella di talento cheentra in un mondo pericoloso di superficialità,potere e violenza in cui bellezza e giovinezzasono merci preziose quanto letali e in PersonalShopper di Olivier Assayas. In questo caso laprotagonista è Kristen Stewart – che vedremoanche nel film di apertura targato Woody Allen– nei panni della dolce Maureen, una giovanetormentata che ha perso il fratello gemello eche comunica con gli spiriti. La ragazza, moltosola e triste (così come l’ha descritta la stessaKristen Stewart in una recente intervista), oltrea vivere questa difficile situazione personale èalla prese con l’altrettanto arduo compito diassistere una famosissima attrice americana.Difficilmente inquadrabili, qualsiasi categoriasi scelga, le protagoniste di Park Chan-wookche torna a lavorare nella terra natìa con il thril-ler The Handmaiden. Al centro di questo foscointrigo ambientato nella Londra di fineOttocento sono due giovani orfane: SueTrinder, figlia di un’assassina, cresciuta in unmondo dickensiano di piccoli delinquenti, eMaud Lilly, una ricca ereditiera, che vive in unagrande casa con uno zio dispotico. Le due deci-dono di allearsi in un crudele piano che sfoceràin esiti inaspettati portando quello che sulleprime poteva sembrare un melodramma vitto-riano a tingersi di atmosfere gotiche, trasfor-mandosi in un sinistro thriller che mescola congrande raffinatezza emozioni, suspense escene di erotismo.Insomma tra tante donne, e tante storie, (untema su cui sicuramente ritorneremo al termi-ne del Festival) la vera difficoltà sarà sceglierela migliore interpretazione e le quote rosapotrebbero essere determinanti anche nellagiuria. La sua composizione ad oggi è ancorasconosciuta (ad eccezione del regista di MadMax George Miller come presidente) per cui èimpossibile dire quante donne ci saranno.Di sicuro per ora, c’è solo chi non potrà esser-ci.. E’ il caso di Naomi Kawase, lo scorso annoin concorso ufficiale e già vincitrice del GrandPrix du Jury di Cannes 2007 con Mogari NoMori, chiamata a presiedere la sezioneCortometraggi.

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Al via l’attesa retrospettiva dedicata alla grande cineasta francese

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a "Non mi sono mai posta la domanda se sono legittimata a fare cio che sto facendo. Non hoalcuna laurea, solo il diploma di liceo. Ho seguito all’università, come libero uditore, deicorsi di Gaston Bachelard ed ho assistito all’ultima conferenza di Antonin Artaud. Ho impa-rato disordinatamente attraverso la griglia dello sguardo dei surrealisti e degli astrattisti, dei“rischia-tutto” come Picasso, Magritte e Prevert.Dopo la guerra, alla fine degli anni ‘40, la poesia e l’arte erano molto importanti, lo eranoper tutti. Non ci si domanda se si ha il diritto di creare. Da quando ho fatto le prime ripresedel mio primo film, mi sono sentita cineasta. Ecco cio che profondamente credo: dal

momento in cui si scrive poesia, si e poeti."Come non innamorarsi di questadichiarazione di liberta? Libera dai bagagliaccademici, dalle sudditanze professionali,dal diritto o meno di creare, Agnès Varda sifa scuola da sè, per scrivere di sè e del suomondo. Ecco cio che la rende cosi forte erisoluta. Agnès Varda “mette alla prova”l’arte e la vita. Mette alla prova i suoi perso-naggi, li espone alla possibilita che accadaqualcosa. Si mette alla prova, tramite le suefemmes, sempre piu frequentemente, filmdopo film. Recitando se stessa e rivolgen-dosi allo spettatore, lo interpella, attiva la

possibilita di dialogo, rinunciando all’apparente invisibilita del regista, ponendosi, infine,davanti alla macchina da presa. Mette alla prova lo spettatore infrangendo le regole dellamessinscena, del racconto classico. “Dal mio primo film, ho sperimentato un linguaggio originale che non ha niente a che vede-re, per esempio, con quello dell’adattamento letterario”.La sua originalita sta nell’aver sempre cercato di proporre punti di vista dichiaratamentepersonali, autoriali e non ideologici, caratterizzati da una costante curiosita verso nuovepossibilita linguistiche e da un approccio anticonformista, a volte spiazzante, verso le vicen-de trattate. Il cinema di Agnès Varda ha spesso avuto la donna, il mondo visto da unadonna, al centro delle sue rappresentazioni e delle sue riflessioni.Cléo è la prima “eroina” di Agnès Varda che rompe con le convenzioni e che, dal “dovere”,passa al “volere”. Clé�o, afferma la regista, e una marcia femminista, e il ritratto di unadonna che si definiva dallo sguardo altrui, ma che, dal momento in cui comincia a guarda-re, cambia, si evolve.Al contrario, Monà, la protagonista di Sans toit ni loi, abbandona il mondo della definizio-ne, del lavoro e delle relazioni sicure. Le persone che incontra tentano di darle un conteni-tore e un contenuto, ma la sua estraneitaà la porta in mondo desolato, sempre piu lontanodalla possibilita di un dialogo.In Le Bonheur, un film costituito da un’ampia tavolozza di colori, Varda pone due donne,Emilie e Therese, in due diverse stagioni della vita di Francois. Lui le ama entrambe e davoce alla possibile estensione degli affetti. Pomme e Suzanne, di L’une chante et l’autre pas,attraversano il mondo partecipando alla sua trasformazione: vivendo un inesauribile scam-bio di sguardi e di vedute, immaginando nuovi legami da proporre ai loro uomini.Emilie, in Documenteur, è una donna in attesa, che guarda il mondo a lei divenuto estra-neo. Esiliata, tenta attraverso i gesti e gli accadimenti, di ritrovarsi e di ridarsi un posto.Jane B. e Agnès V. sono l’una di fronte all’altra, si studiano e si provano. La regista invital’attrice a protendersi, con ruoli inusuali, verso territori a lei sconosciuti, approfittando dellesue avventure per puntualizzare la sua visione dell’arte, dell’amore, dell’amicizia.Dotate di un’inequivocabile personalita, le femmes d’Agnes esibiscono la loro natura senzamascherarla, la affermano sia con gesti intimi che con dichiarazioni manifeste. Per loro,Agnès Varda non inventa mondi, guarda i mondi possibili che la abitano e ci trasporta inessi attraverso la forza della sua scrittura, del suo metodo. Ogni film, proprio per questo, epermeato da un elemento dominante, sia esso l’estraneità, la complicità, la fedeltà o laseparazione, che è trattato in modo specifico, unico, per poter manifestare la propria verità.Per questo il suo cinema ed il suo punto di vista ci sembrano sempre piu necessari.

Agnès Varda nostra contemporanea

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Dicono fosse un eccentrico e un visionario, un timido,poco propenso alle chiacchiere. Dicono fosse un geniodella statura di Galileo e Newton, dotato di quello che nes-sun altro al mondo ha, ma sprovvisto di quello che normal-mente hanno gli altri: il semplice buon senso. O forse no,forse era solo un uomo, Ettore Majorana. Per provare a rispondere a questa domanda, per ricostruirenon solo il personaggio ma anche la “persona” diMajorana, Egidio Eronico – che sarà ospite il prossimo mer-coledì 11 maggio a Cinemazero – ne ripercorre la vita e lamisteriosa scomparsa che ancora oggi, quasi ottant’anni dopo, non smette di produrre que-siti, dubbi, ricerche. Proprio da quest’ultime parte Eronico per scandagliare tutti i retrosce-na di un enigma che, lungi dall’essere risolto, è diventato un paradigma di questioni scien-tifiche, politiche, morali, che agitano ancora la nostra società. E più l’analisi procede, più ilmistero s’infittisce, facendo emergere interrogativi e contraddizioni che spingono ad inda-gare tra le pieghe più nascoste la vita e la personalità del giovane fisico. Cosa è stato diMajorana? La notte della scomparsa, a soli trentuno anni, (era il 26 marzo 1938) qualcunodichiara di averlo visto per l’ultima volta a bordo della nave che da Palermo fa rotta versoNapoli. E subito ha inizio la ridda delle ipotesi, delle congetture. Suicida? Rapito da poten-ze straniere? Fuggito dall’Italia? Ritiratosi in un convento?... Tra documentazione e immaginazione – lungo la scia tracciata dalle approfondite ricerchedi Francesco Guerra e Nadia Robotti intorno alla figura e all’attività di Majorana – Nessunomi troverà cerca di rispondere magari solo ad alcune di queste domande. Senza la pre-sunzione di fornire certezze, com’è ovvio, ma senza neppure adagiarsi nelle comode incon-gruenze di un’immancabile quanto insoddisfacente “verità ufficiale”. Abbiamo incontrato regista Egidio Eronico per un’anticipazione in attesa dell’11 maggio.Da dove nasce l’idea di un film su Majorana?Al di là dell’interesse sull’uomo di scienza, che c’è sempre stato, mi sono deciso a fare il filmin qualche modo per reazione alla vulgata che da decenni grava sul personaggio e sulla per-sona di Majorana. È questa in particolare ad interessarmi. Tutti conosciamo il mito e le teo-rie di Majorana, la sua importanza nel mondo scentifico è fuori discussione ma da moltotempo, ad esserci trasmessa è l’immagine del“genio”, con tutto quello che ciò comportadal punto di vista umano. Quello che non mi convinceva era proprio questa immagine diMajorana come persona, descritto come un uomo difficile, misantropo, controverso, aso-ciale, inadatto a fare gruppo. Avevo voglia di capire se fosse veramente così. Ha lavorato con materiali molto diversi: documenti, immagini d’archivio, animazioni dagraphic novel, testimonianze. Come ha gestito il tutto per renderlo un corpus organico?Cinematograficamente parlando il progetto si ispira al metodo di lavoro di Alan Moore piùche alle sceneggiature per così dire “classiche”, nel senso che volontariamente ho decisodi mescolare materiali eterogenei. Il mio obiettivo era quello di reperire più informazionipossibili, così ho attinto a tutte le fonti disponibili. Esattamente come fa Moore nei suoiromanzi grafici – penso a Providence ad esempio – ecco, è a lui che mi sento debitore nellinguaggio che ho usato per costruire il film. Il film può vantare molte testimonianze personali ed inedite, come quella del nipote diMajoarana (Ettore Majorana Junior). Come l’ha convinto a partecipare al progetto? Ci sono stati diversi incontri durante i quali ho cercato sempre di trasmettergli la mia idea,quella appunto di raccontare il lato umano di suo zio, invece che focalizzarmi solo sulle pole-miche relative al rapporto con Fermi o sulla scomparsa. Sapevo che glielo avevano chiestogià molte volte ma non si era mai prestato. Probabilmente in questo caso ha accettato per-chè ha riconosciuto l’onesta intellettuale del progetto e ha capito che il suo contributo sareb-be stato determinante.Essendo frutto di un linguaggio nuovo anche il risultato finale rappresenta un ibrido, quasiun genere nuovo di difficile definizione, nè documentario nè inchiesta, sei d’accordo?Assolutamente sì. Questo è un film che fa dell’ibridazione dei linguaggi e dei generi il suopunto forte o per meglio dire il suo carattere. Mi rendo conto che è qualcosa di anomalo eanche rischioso, è un film che richiede un’attenzione particolare da parte dello spettatorema che forse, proprio per questo, ne cattura maggiormente la curiosità.

Nessuno mi troverà, ilmemorandun Majorana

L’11 maggio a Cinemazero ospite il regista Egidio Eronico

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Il nuovo che avanza. Privi di film pronti per Cannesrimangono a casa i Moretti, i Garrone e iSorrentino; ma sbarcano sulla Croisette i rappresentanti delle nuove generazioni di cineastiitaliani. Dopo la vittoria (primo italiano dopo otto edizioni) alla Festa del Cinema di Roma didue anni or sono del friulano Alberto Fasulo con TIR, i nuovi registi dellanostra regione (fra cui anche Bianchini, Oleotto, Zoratti, Gergolet) sono stati in qualchemodo sdoganati nei principali festival cinematografici ed ora anche Cannes, primo in asso-luto per importanza e grandezza, apre le sue porte a due notevoli autori del Friuli VeneziaGiulia: Davide Del Degan (classe 1968), triestino con un lunga e bella carriera alle spalle, pre-senta L'ultima spiaggia regia a quattro mani con Thanos Anastopoulos, regista greco ma diadozione triestina da alcuni anni, presente nella selezione ufficiale come evento speciale; eAlessandro Comodin (classe 1982), altro sanvitese come Fasulo, al suo primo fiction moviecon I tempi felici verranno presto girato tra i monti del Piemonte seppur pensato in Friuli.Davide Del Degan, conosciuto dal pubblico di Cinemazero fin dal 2002 in occasione dellaprima edizione di FilmMakers al Chiostro - ora FMK International Short Film Festival - dovepresentò i suoi lavori e dove tornò nel corso del tempo, porta quest’anno a Cannes L’ultimaspiaggia, un film sul muro che separa, in una spiaggia triestina, gli uomini dalle donne: il“Pedocin”. In questo stabilimento balneare il muro nessuno lo vuole abbattere. Non per unatteggiamento “bigotto” ma per una posizione sostanzialmente laica, per sentirsi più liberi.Qui tutto l’anno (lo stabilimento non chiude mai) si incontra la meglio triestinità popolare.Un luogo bizzarro, con un’umanità strana, adatta per essere raccontata al cinema; grazieanche alla presenza di Trieste, città di mare, terra di confine con la Slovenia e un tempoporto commerciale dell’Impero austro-ungarico.

Definito dagli autori “una tragicommedia sullanatura umana” il film è anche, o forse soprattutto,una riflessione sui confini, le identità, le genera-zioni. L’altro talentuoso autore friulano, AlessandroComodin, dopo il grande successo di L’estate diGiacomo, film distribuito dalla nostra Tucker Filme Pardo d’Oro a Locarno come miglior promessa,sarà presente a Cannes come evento speciale allaSemaine de la Critique, prestigiosa sezione delFestival, con I tempi felici verranno presto, un’o-pera simbolica e poetica, girata al confine traPiemonte e Francia, che racconta di due ragazzi,Arturo e Tommaso, che scappano dalla prigionenella foresta. Tanti anni dopo, la foresta, che havisto morire Arturo e Tommaso, pare sia ora infe-stata di lupi affamati. Ai giorni nostri, nessuno siricorda della storia dei due giovani ma, proprio inquella foresta, Ariane scopre uno strano buco.Ariane è forse, allora, la ragazza di cui parla quellaleggenda della valle? Il perché Ariane sia entrata inquel buco rimane un mistero, fatto sta che poi, dilei, non si è saputo più nulla. Ognuno la raccontaa modo suo questa storia, ma tutti concordano neldire che Ariane il lupo l’ha incontrato. Ma altri ita-liani ancora saranno quest’anno a Cannes:Stefano Mordini con Pericle il nero in concorso aUn Certain Regard e alla Quinzaine desRealisateurs ben tre autori come Paolo Virzì con LaPazza Gioia, il veterano Marco Bellocchio con Faibei sogni (dal romanzo di Massimo Gramellini) eClaudio Giovannesi (Alì ha gli occhi azzurri) conFiore.

Arrivano i nostri (e sono bravi)

Tra i pochi italiani molti vengono dal FVG

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Sesta edizione del Festival del cinema Curdo. Dal 17 maggio a Palazzo Badini

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Abbiamo sperato di poter parlare finalmente di solacultura in questa sesta edizione del festival del cinemacurdo intitolato “Curdi tra noi”, volutodall'Associazione “via Montereale, con il patrociniodel Comune di Pordenone e della Fondazione CRUP. Ilfestival, unico in Italia, vorrebbe raccontare ogni annola straordinaria vitalità e la ricca storia di un popoloconosciuto, invece, più per la sua bellicosità che per leantichissime saghe nelle quali si forma. Abbiamo ten-tato questa strada due anni fa quando è stata premia-ta a Pordenone la giovane regista curda turca MitzinArslan ed anche l'anno successivo quando abbiamo

avuto ospite il regista curdo iracheno Kae Bahar. Quest'anno invece, siamo dovuti tornare sui nostri passi e presentare, ancora una volta,situazioni condizionate dalla stato di guerra e intrecci complessi dovuti ai fatti che stannoinsanguinando ancora il Medio Oriente ed in particolare la Siria. Non rinunciamo, tuttavia,a cercare gli argomenti che ci stanno a cuore, cioè la letteratura, la storia antica, la poesia ele ragioni di una essenza del popolo curdo tanto interessante che, com'è noto, è un popolosenza terra, o meglio senza nazione. Gran parte dell'antico Kurdistan, delle cui origini si facenno in una stele nel 2000 a.C. e che nel medioevo era formato principalmente da moltiprincipati e piccoli stati indipendenti a struttura feudale, dopo il 1915 è stato incluso nei con-fini ottomani. Tutti sanno, infatti, che i curdi, oltre trenta milioni di individui, stanziano oggifra Turchia, Siria, Iraq, ex Unione Sovietica ed altri Paesi limitrofi e non hanno una loro terranazionale ed hanno per questo manifestato sempre una forte resistenza ad essere assimi-lati. Ciò ha creato molto spesso tensioni visto il primo desiderio dei Curdi di avere un'auto-nomia possibile pur restando nei confini di altre nazioni. Detto questo, la cinematografia curda è sempre stata l'elemento più significativo per defi-nire la loro identità. Con tali presupposti è nato a Pordenone il festival la cui madrina è stata,fino alla sua prematura scomparsa, la studiosa Mirella Galletti (docente di storia dei PaesiIslamici presso l'Università di Napoli) alla quale l'Associazione “via Montereale” che damolti anni ormai lavora sulla sensibilizzazione alle culture lontane, ha poi dedicato l'interoevento. Non solo, a Mirella Galletti sono stati intestati due premi, il primo per un film e ilsecondo per una tesi di laurea, entrambi a cadenza biennale ed alternata, proprio per ottem-perare a quanto diceva Mirella sull'alienazione culturale dei curdi cui puntano i governi cen-trali dei Paesi “ospitanti”. Il festival si svolgerà a Pordenone, presso la Sala Ellero di Palazzo Badini (in via Mazzini 2)nei giorni 17 e 24 maggio prossimi con programmi che cercano di andare comunque oltrela situazione di guerra. Martedì 17 alle ore 20,30 ci sarà la presentazione di un volume daltitolo “Siediti e ascolta”di Necat Cetin tradotto da Laura Anania (edizioni Pentagora) cheraccoglie per la prima volta alcuni racconti antichi della cultura curda, racconti raccolti dal-l'autore in condizioni drammatiche. Sarà la voce di Carla Manzon a dare vita ad alcune diqueste storie. Seguirà la proiezione del documentario di Ivan Grozny Compasso intitolatoPuzzlestan. Si tratta di un documento (in italiano) che racconta un viaggio dalla Turchia aKobane assediata, da qui all'Iraq e poi di nuovo a Rojava nella città appena liberata dall'Isis.La seconda serata del 24 maggio sarà aperta dalla premiazione della tesi di laurea scelta dauna giuria presieduta da Andrea Galletti. Seguiràla proiezione, sempre in italiano, di “Un giorno inSiria” tra le donne curde combattenti. Un docu-mentario del giornalista freelance Rosh Ahmajdche riprende l'interessante discorso sul piccoloesercito delle donne curde che fanno fuggire inemici. Perché li fanno fuggire? Il Corano promet-te ad un uomo che muore di essere accoltonell'Aldilà da settantadue vergini (chissà perchéproprio questo numero). Ma se lo stesso uomomuore per mano di donna il premio non ci sarà.L'ingresso al Festival è libero.

Non solo cinema ma anche letteratura e storia

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LE VITE, GLI AMORI, LE SPERANZE E LE DISILLUSIONI ATTRAVERSO DUE GENERAZIONI

Al DI l à Del l e montAgneDI j IA zhAng -keFenyang, 1999. La Cina è a un passo dal nuovo secolo e da Macao, ultima colo-nia portoghese in Asia. Mentre il Paese si appresta a ristabilire la propriasovranità, Tao, una giovane donna di Fenyang, non sa decidere a chi apparte-nere. Corteggiata da Zhang, proprietario di una stazione di servizio che sisogna capitalista, e Lianzi, minatore umile che estrae speranze e carbone, Taoprova a fare chiarezza nel cuore. Tra una corsa in macchina e un piatto di ravio-li al vapore, sceglie Zhang e getta nella disperazione Lianzi, che abbandonacasa e città. Quindici anni, un matrimonio e un figlio dopo, Tao è separata esola, Lianzi ha un cancro e Zhang vive a Pechino con un'altra donna. Cinico ericco ha ottenuto l'affidamento del figlio, che ha chiamato come la valuta ame-ricana (Dollar) e ha deciso di far crescere in Australia. Terra promessa dall'al-tra parte del Mondo, l'Australia diventa la patria di Dollar che maggiorenne einquieto ha deciso di ritrovare sua madre e la Cina. A ostacolarlo c'è Zhang,che non ha mai imparato l'inglese e non ha parole per raggiungere il suoragazzo. A casa e sotto la neve, attende da sempre Tao. La mutazione accelerata del (suo) mondo è l'oggetto ideale del cinema di JiaZhangke. Registrare una realtà che evolve sotto gli occhi con tale velocità e taliproporzioni è la sua vocazione e in un certo senso quella del cinema (delle ori-gini). Dopo il gigantismo del cantiere di Still Life, che conduceva a conse-guenze gigantesche, Jia Zhangke svolge una relazione d'amore attraverso glianni e le trasformazioni economiche del suo Paese. Cuore centrale della storiaè ancora una volta Fenyang, città natale dell'autore e punto di ancoraggio este-tico e sociale del suo cinema. La sua produzione artistica, avviata nel 1995 erimasta a lungo clandestina in Cina, testimonia da sempre la fragilità dell'uo-mo sottomesso a volontà che lo doppiano. Funambolo su un filo teso tra fic-tion e documentario, l'autore è ritrattista e paesaggista insieme di sentimentiforti emersi da una società in crisi. Vedere i suoi film è come accedere a unlaboratorio estetico, un diapason che produce un suono puro, frequenze armo-niche che accordano tecnica digitale e finzione, documentario e lirismo elettri-co, (iper)sensibilità poetica e interazione tra uomini e ambiente. Se il suo cine-ma precedente minacciava l'assorbimento dell'individuo nelle metamorfosicapitaliste, Al di là delle montagne realizza la minaccia e la spiega lungo un'as-se temporale che contempla presente, passato e futuro. Sospeso tra la certez-za di quello che è stato, il film apre sul Capodanno del 1999, e l'ipotesi di quel-lo che potrà essere, il film chiude sull'inverno del 2025, Al di là delle montagnematerializza l'ambizione cinese nella figura di Zhang. Indietro restano Lianzi,senza lavoro e in compagnia del suo cancro, Tao, corpo nazione indecisa sullastrada da prendere al debutto e poi votata al consumo, e Dollar, il prezzo paga-to alla conversione economicaUn film che porta a compimento la minacciadell'assorbimento dell'individuo nelle metamorfosi capitaliste, spiegandolalungo un'asse temporale che contempla presente, passato e futuro.[www.mymovies.it]

UN'IMPREVEDIBILE AMICIZIA TRA DUE PAZIENTI PSICHIATRICHE

l A PAzzA g Io IADI PAo l o VIRzì Dopo il successo de Il capitale umano, Paolo Virzì torna dietro la macchina dapresa per girare una commedia drammatica ambientata in Toscana. Il registalivornese ha dichiarato che il film racconterà "una passeggiata fuori da unastruttura clinica che si occupa di donne con problemi in quel manicomio acielo aperto che è l'Italia". Beatrice Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica, sedicente con-

tessa e a suo dire in intimità coi potenti della Terra. Donatella Morelli una gio-vane donna tatuata, fragile e silenziosa, che custodisce un doloroso segreto.Sono tutte e due ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbimentali, dove sono sottoposte a misure di custodia giudiziaria. Il film raccon-ta la loro imprevedibile amicizia, che porterà ad una fuga strampalata e toc-cante, alla ricerca di un po' di felicità in quel manicomio a cielo aperto che è ilmondo dei sani.Sollecitato a descrivere questo suo nuovo film, Paolo Virzì risponde così:"Sono molto eccitato da questa nuova impresa, da questa storia di pazzia, didesiderio di libertà e di amore, scritta insieme a Francesca tra risate e luccico-ni, che ci ha spinto a perlustrare i luoghi più diversi dove ci si prende cura deidisturbi psichici, a volte con percorsi di terapia ottimistici, o più spesso sbri-gativamente con la custodia e la restrizione. Con questo film avventuroso, inbilico tra ironia e dramma, esploriamo il confine labile tra sanità e insanitàmentale, immergendoci nel cuore di esistenze condannate allo stigma socialedella follia e della pericolosità, e provando ad osservare - attraverso quel lorosguardo ritenuto strano, di donne imperfette - la fragilità, la miseria e a volteanche la ferocia delle nostre esistenze ritenute normali".

(Tit. Or.: Shan He Gu Ren) Unfilm di Jia Zhang-Ke. ConZhao Tao, Yi Zhang, JingDong Liang. Cina, 2015.Durata 131 min.

Un film di Paolo Virzì. ConValeria Bruni Tedeschi,Micaela Ramazzotti. Italia,2016. Durata 118 min.

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INVISIBLE CITIESGorizia, sedi varie - dal 6 al 29 maggio 2016Dal 6 al 29 maggio 2016 a Gorizia sarà nuovamente tempo di In\Visible Cities, FestivalInternazionale della Multimedialità Urbana in cui le arti multimediali incontrano la città pervalorizzarne il patrimonio visibile e invisibile, invadendo strade, piazze, negozi dismessi e giar-dini. Con la sezione “Dopo la catastrofe / città, trasformazioni, memorie” l’edizione 2016 inda-gherà, attraverso gli strumenti e i linguaggi della multimedialità urbana, ciò che avviene dopouna catastrofe naturale. Durante il Festival la città si accenderà di luci, proiezioni, musica eparole attraverso installazioni artistiche, live performance, workshop e seminari, il cui fil rougesarà la sperimentazione di percorsi innovativi capaci di raccontare la città nelle sue innumere-voli vesti. Info: www.invisiblecities.eu

IL FILM AMATORIALE COME PATRIMONIO STORICO E SOCIALE Gemona del Friuli, mercoledì 18 maggio 2016A conclusione del progetto sulla Memoria di massa curato da Andrea Collavino e RenatoRinaldi, coordinato dalla Cineteca del Friuli e sostenuto dalle fondazioni CRUP, CariGo eAntonveneta, mercoledì 18 maggio alle 21.00 al Cinema Sociale di Gemona è in programmauna serata dedicata ai materiali realizzati da filmmaker - locali e non - sul terremoto del 1976,conservati nell’archivio della Cineteca e recentemente digitalizzati. I filmati, che documentanoi profondi cambiamenti avvenuti nel paesaggio e nella vita delle persone dopo il sisma, sonotestimonianze preziose quanto delicate. Girati nel fragile Super8 (erano gli ultimi anni di utiliz-zo di questo formato amatoriale, prima dell'invasione e della moltiplicazione dei numerosistandard video), spesso in copie uniche, stanno deperendo, con perdita del colore e rigaturedovute all'eccessivo utilizzo. Digitalizzarli e conservarli in condizioni ottimali di temperatura eumidità è fondamentale per sottrarli a un destino segnato di dispersione e di oblio. Info: www.cinetecadelfriuli.org

ÈSTORIA 2016 - SCHIAVIGorizia, sedi varie - dal 19 al 22 maggio 2016L’obiettivo che si prefigge l’edizione 2016 di èStoria è quello di spaziare sul tema della schia-vitù, declinandolo come di consueto con un approccio storiografico ma anche interdisciplina-re, che intrecci – attraverso una rigorosa prospettiva storica affidata alle voci più autorevoli delpanorama storico e culturale – letteratura, cinema, musica, arte, antropologia, psicologia, filo-sofia, economia e altre materie. èStoria inoltre continua a dedicarsi al tema della GrandeGuerra, prolungando idealmente il Festival 2014 fino al 2019 con la sezione Trincee. Il pro-gramma proporrà al pubblico una fitta serie di appuntamenti in varia forma (dibattiti a più voci,incontri con l’autore, reading, presentazioni, mostre). Info: www.estoria.it

GLI AMICI DI GIÒ Borsa di studio in memoria di Giovanni ScrizziA marzo sono state assegnate a quattro studenti di musica le prime borse di studio istituite coni fondi raccolti dagli “amici di Giò”, gruppo formato dagli amici di Giovanni Scrizzi, indimenti-cato ed indimenticabile personaggio pordenonese. I promotori intendono riproporre la borsaanche nei prossimi anni e a questo proposito chi vuole partecipare al progetto può effettuareuna donazione sul conto corrente intestato alla società cooperativa onlus Polinote, aperto allaBanca di credito cooperativo Pordenonese, iban IT14R0835664780000000042213, specificandola causale: “Donazione borsa di studio Gli amici di Giò”.Info: [email protected] - tel. 0434-520754

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ZERORCHESTRA E FILARMONICA DI PORDENONE PRESENTANO BERLINO, SINFONIA DI UNA GRANDE CITTÀ

TEATRO COMUNALE CORMONS | 2 MAGGIO 2016 ORE 20.45 | INGRESSO LIBERO