INSONNIA Maggio 2016

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Insonnia n° 82 Maggio 2016 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Spessa Andrea - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Giungiamo in piazza Roma, poi si passa in quella “degli uomini” per arrivare, sotto i portici, in Piazza Castello…la sensazione che proviamo noi, gente nata nel secondo dopo guerra, qui a Racconigi, è quel- la di spaesamento di estrania- zione, non riconosciamo più la gente che transita, che stazio- na in questi luoghi di socialità quasi non salutiamo nessuno… cosa succede? In parte è causa della nostra età, e peggio sarà se andremo avan- ti con gli anni perché i coeta- nei si sfoltiscono e quelli che sopravvivono escono meno, un’altra causa è che a Racconi- gi ci sono tanti immigrati, più o meno recenti e provenienti da terre più o meno lontane da noi, con colori più o meno di- versi dai nostri e con loro si so- cializza poco, ma soprattutto è causa del fatto che non ricono- sciamo più una identità di pae- se, non sappiamo più chi siamo e stentiamo a sentirci parte di questa tribù. Un tempo facevamo distinzio- ne fra quelli del Borgo di Santa Maria e quelli del Borgo Maira o di San Domenico oggi è im- possibile, occorre modificare gli insiemi, stabilire altre cate- gorie. Non è un rimpianto del tempo passato, assolutamente; è sem- plicemente ricerca di una iden- tità che non abbiamo più, che dobbiamo riformulare. Come sempre il mondo è in evoluzione ma questo cambia- mento che viviamo oggi è così rapido che non ce la facciamo a starci dietro, sembra che ognu- no vada per la sua strada. An- cora nell’ormai storico 1968 tutto sembrava più chiaro, c’erano i compagni, i camera- ti e gli uomini che stavano in centro, ognuno di questi grup- pi aveva un proprio modo di parlare, di vestire di cantare, di mangiare, c’erano le tute blu e i colletti bianchi, i padroni e gli operai e si riconoscevano; segue pag. 16 Operazione Gengis Car UN ANNO DOPO di Giannino Marzola SCUOLA pag. 8 Campagna RIFIUTI pag. 7 PEDIBUS pag. 10 Alambicco pag. 14 segue pag. 5 segue pag. 4 “Ogni volta che faccio click sull’interruttore esercito una scelta” É NOSTRA Un nuovo operatore per la distribuzione dell’energia elettrica di Anna Maria Olivero Il fallimento del referendum sulle trivelle ci ha ulteriormente mostrato che l’energie rinnovabili e quindi la sostenibilità del nostro sviluppo non è fra gli obiettivi primari del nostro governo. É allora necessario che come singoli cittadini prendiamo coscienza dell’importante ruolo di indirizzo che abbiamo come consu- matori e ci impegniamo per costrui- re il nostro futuro e quello dei nostri figli e ad assumerci la responsabilità di fare delle scelte. Io l’ho fatto. loro case e, dopo lunghe traversie, cercare di ricostruirsi una vita in un posto sconosciuto, tra persone che non parlano la loro lingua, con abitudini e cultura diversi. Da un po’ di tempo a questa parte, Racconigi accoglie un gruppo di rifugiati provenienti da paesi dove le guerriglie interne e la povertà hanno obbligato giovani, anziani, intere famiglie, ad abbandonare le segue pag. 3 PERCORSO DI INTEGRAZIONE ALLA COMUNITÁ ARCOBALENO L’impegno ha coinvolto sei rifugiati a cura delle operatrici della Comunità Arcobaleno Un anno, esatto. Era il 18 aprile 2015 quando chiudemmo le porte di quel container, ed è il 18 apri- le 2016 che ci siamo ritrovati per sapere e vedere che fine ha fatto tutta quella roba. Parliamo dell’o- perazione Gengis Car, quella che ha visto le scuole di Racconigi, ma anche le famiglie e l’intera co- munità, mobilitarsi in una grande raccolta di strumenti, macchine, abiti, materiale didattico e di can- celleria da fare arrivare alla Casa della Speranza di Ulan Baator, la capitale della Mongolia. É in quella casa che vengono accolte bambine e ragazze raccolte dalla strada, per lo più senza famiglia, alle quali viene offerta non solo una possibilità di sopravvivenza nei rigidi inverni mongoli, ma anche un percorso di istruzione e di avvio al lavoro che può rive- larsi basilare per la loro esistenza, quello della sarta. insonnia mensile di confronto e ironia cinque X mille cinque X mille FONDO DI SOLIDARIETA’ RACCONIGI SOLARE COLLETTIVO c.f.: 95020030045 c.f.: 95017650045

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Insonnia n° 82 Maggio 2016 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Spessa Andrea - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Giungiamo in piazza Roma, poi si passa in quella “degli uomini” per arrivare, sotto i portici, in Piazza Castello…la sensazione che proviamo noi, gente nata nel secondo dopo guerra, qui a Racconigi, è quel-la di spaesamento di estrania-zione, non riconosciamo più la gente che transita, che stazio-na in questi luoghi di socialità quasi non salutiamo nessuno…cosa succede?In parte è causa della nostra età, e peggio sarà se andremo avan-ti con gli anni perché i coeta-nei si sfoltiscono e quelli che sopravvivono escono meno, un’altra causa è che a Racconi-gi ci sono tanti immigrati, più o meno recenti e provenienti da terre più o meno lontane da noi, con colori più o meno di-versi dai nostri e con loro si so-cializza poco, ma soprattutto è causa del fatto che non ricono-sciamo più una identità di pae-se, non sappiamo più chi siamo e stentiamo a sentirci parte di questa tribù.Un tempo facevamo distinzio-ne fra quelli del Borgo di Santa Maria e quelli del Borgo Maira o di San Domenico oggi è im-possibile, occorre modificare gli insiemi, stabilire altre cate-gorie.Non è un rimpianto del tempo passato, assolutamente; è sem-plicemente ricerca di una iden-tità che non abbiamo più, che dobbiamo riformulare.Come sempre il mondo è in evoluzione ma questo cambia-mento che viviamo oggi è così rapido che non ce la facciamo a starci dietro, sembra che ognu-no vada per la sua strada. An-cora nell’ormai storico 1968 tutto sembrava più chiaro, c’erano i compagni, i camera-ti e gli uomini che stavano in centro, ognuno di questi grup-pi aveva un proprio modo di parlare, di vestire di cantare, di mangiare, c’erano le tute blu e i colletti bianchi, i padroni e gli operai e si riconoscevano;

segue pag. 16

Operazione Gengis CarUN ANNO DOPOdi Giannino Marzola

SCUOLApag. 8

CampagnaRIFIUTIpag. 7

PEDIBUSpag. 10

Alambiccopag. 14

segue pag. 5

segue pag. 4

“Ogni volta che faccio click sull’interruttore esercito una scelta”

É NOSTRAUn nuovo operatore per la distribuzione dell’energia elettricadi Anna Maria Olivero

Il fallimento del referendum sulle trivelle ci ha ulteriormente mostrato che l’energie rinnovabili e quindi la sostenibilità del nostro sviluppo non è fra gli obiettivi primari del nostro governo. É allora necessario che come singoli cittadini prendiamo coscienza dell’importante ruolo di indirizzo che abbiamo come consu-matori e ci impegniamo per costrui-re il nostro futuro e quello dei nostri figli e ad assumerci la responsabilità di fare delle scelte. Io l’ho fatto.

loro case e, dopo lunghe traversie, cercare di ricostruirsi una vita in un posto sconosciuto, tra persone che non parlano la loro lingua, con abitudini e cultura diversi.

Da un po’ di tempo a questa parte, Racconigi accoglie un gruppo di rifugiati provenienti da paesi dove le guerriglie interne e la povertà hanno obbligato giovani, anziani, intere famiglie, ad abbandonare le segue pag. 3

PERCORSO DI INTEGRAZIONE ALLA COMUNITÁ ARCOBALENOL’impegno ha coinvolto sei rifugiati a cura delle operatrici della Comunità Arcobaleno Un anno, esatto. Era il 18 aprile

2015 quando chiudemmo le porte di quel container, ed è il 18 apri-le 2016 che ci siamo ritrovati per sapere e vedere che fine ha fatto tutta quella roba. Parliamo dell’o-perazione Gengis Car, quella che ha visto le scuole di Racconigi, ma anche le famiglie e l’intera co-munità, mobilitarsi in una grande raccolta di strumenti, macchine, abiti, materiale didattico e di can-celleria da fare arrivare alla Casa della Speranza di Ulan Baator, la capitale della Mongolia. É in quella casa che vengono accolte bambine e ragazze raccolte dalla strada, per lo più senza famiglia, alle quali viene offerta non solo una possibilità di sopravvivenza nei rigidi inverni mongoli, ma anche un percorso di istruzione e di avvio al lavoro che può rive-larsi basilare per la loro esistenza, quello della sarta.

insonniamensile di confronto e ironia

cinque X

mille

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FONDO DI SOLIDARIETA’

RACCONIGI

SOLARE COLLETTIVOc.f.: 95020030045

c.f.: 95017650045

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Senza paroledi Luciano Fico

Suona il campanello, il por-toncino si apre.Sale le scale e la porta di in-gresso è già socchiusa.Lei lo attende. Come sempre è vestita di bianco e lui lo in-tende come un onore a lui solo riservato. Gli piace pensarla così.Un abbraccio in cui indugiare. Piacevolmente.Si avviano poi verso la loro stanza.Lui si spoglia, senza fretta, ma già sentendo il disagio di quella copertura di stoffa che ripara e nasconde la sua pelle.Eccolo già coricato, mentre i profumi lo raggiungono e la musica li avvolge: come adora la cura di lei per i particolari!Poi cominciano le mani a dire la loro.Dapprima ogni contatto viene accompagnato dallo sguardo che prova a dire le troppe cose liberate dalle porte dell’anima finalmente aperte.Infine anche gli occhi tacciono e, nel buio degli occhi chiusi, si sentono solamente attraver-so i loro corpi.A tratti lui torna il bambino che, senza pudore, va a cer-care la carezza materna e, a frotte, emergono i ricordi di pomeriggi silenziosi a rita-gliare pezzi di stoffa mentre la madre era intenta a cucire. Le gocce di pioggia che allora ri-gavano la finestra, ancora oggi tracciano un confine tra il fuo-ri, freddo e ostile, ed il dentro caldo e complice.Basta un gesto di lei o uno sfioramento inatteso per risve-gliare in quest’uomo non più bambino il desiderio maschio del possesso. Svanisce la ma-dre e sente fremere il deside-rio per la donna, che da sem-pre lo chiama e da sempre lo atterrisce.Nel calore di quella loro stan-

VITTORIO SAPEGNO, UOMO E CHIRURGOUn personaggio racconigese il cui ricordo non verrà mai menodi Mario Rossetti

za, nella solitudine complice di quel contatto di pelle, l’in-contro sembra possibile e per-sino facile, naturale.Non muove un muscolo lui, non vuole rompere quel fragi-le equilibrio: ogni senso è acu-ito e teso nel percepire ogni sfumatura del loro contatto.Ora il corpo gode del sentirsi pienamente abitato, non più uno strumento macchinoso per muoversi nel mondo, ma il luogo sacro dell’esistere: ora lui sa che se esiste è grazie a quelle mani che lo toccano, a quella presenza muta accanto a lui.Le emozioni hanno un tempo, poi si stemperano e soprav-viene la dolce stanchezza del dopo, quando ogni muscolo, ogni tendine, ogni cavità ed ogni pieno del corpo si abban-dona al più piacevole degli ab-bandoni.La coscienza stessa sfuma nei sogni e le sensazioni si unisco-no alle illusioni. Esistere, in quei momenti, è un’esperien-za dilatata, ben distante dalla presenza individuale a cui è abituato.Infine le mani di lei, con in-finita attenzione, si staccano dal corpo di lui e la dolcezza di quel momento armonioso di vita espansa va a sfumare in una dolorosa nostalgia di un noi che già non è più.Ci vuole del tempo per tornare nei propri vestiti, tempo lento e doloroso.Poi esce dalla stanza e paga, con gratitudine sincera, quel massaggio che lo ha, per un’o-ra, riconsegnato allo stupore.Sull’agenda del Centro Este-tico rimane segnato il prossi-mo appuntamento fra quindici giorni, sulla sua pelle un mes-saggio che prima o poi dovrà decifrare.

Lo scorso numero abbiamo presentato l’elenco dei cittadini onorari di Racconigi e vi abbiamo parlato del primo di questi in ordine di tempo: Pietro Canonica. Ora, Mario Rossetti ci parla di un altro cittadino ono-rario della nostra città: il dottor Vittorio Sapegno, deceduto il 5 ottobre 1974 nel reparto “Otorino Rossi” del padiglione Chiarugi del nostro manicomio. Sapegno era stato eroe di guerra in qualità di ufficiale me-dico degli alpini e poi stimato chirurgo all’ospedale Molinette di Torino.

Dopo una vita brillantemente vissuta a Torino, dove si distin-se sia in campo chirurgico che nella vita mondana, cadde nella trappola dell’uso di stupefacenti che in breve tempo lo distrusse-ro a tal punto da dover essere ri-coverato nell’Ospedale Psichia-trico di Racconigi.Finiva così, miseramente, un ciclo della sua vita a cui, però, seppe reagire con coraggio e umiltà.

Si sottopose alle cure del caso e contemporaneamente capì che poteva aiutare se stesso solo mettendo in secondo pia-no le sue sofferenze e, di con-seguenza, offrendosi al servizio del prossimo, specialmente dei meno abbienti. Si liberò così, definitivamente, dalla schiavitù della droga, continuò a vivere a Racconigi dove seppe conqui-starsi la riconoscenza e l’affetto della città (ndr: tornò ad opera-re come consulente di neurochi-rurgia nello stesso OP di Racco-nigi ed anche presso l’Ospedale Civile). Per questi motivi, su espressa volontà dei cittadini nel 1972 gli venne conferita la cittadinanza onoraria quale riconoscimento per l’opera svolta a favore della città. Vittorio Sapegno ci ha insegnato che, nella vita, si può cadere ma ci si può anche rialzare e cam-minare più determinati di prima.

Vittorio Sapegno

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PERCORSO DI INTEGRAZIONE ALLA COMUNITÁ ARCOBALENOL’impegno ha coinvolto sei rifugiatisegue dalla prima

Abbiamo cominciato ad incontrare queste persone in giro per il paese, chi più chi meno, facendoci tante domande e con tante curiosità, a cui era difficile dare risposte per le remore e le difficoltà oggettive ad instaurare un dialogo con persone che si stanno impegnando ad impa-rare la nostra lingua ma che hanno ancora bisogno di tempo per farlo.Poi, grazie all’interesse del nostro volontario Bruno Crippa e del suo amico Beppe Fava, ci è arrivata una graditissima proposta: ave-vamo qualche piccolo lavoro che fosse utile alla Comunità ma che, soprattutto, favorisse questi ragaz-zi nel difficile percorso dell’inte-grazione?Naturalmente, la proposta ci ha resi felici e la nostra risposta è stata, immediatamente, positiva, orgogliosi di poter partecipare, per un piccolo tratto, al loro percorso di integrazione. Si è valutato di proporre loro di ri-verniciare i mancorrenti esterni e la rampa di accesso alla Comunità, scegliendo un bel colore verde, di buon auspicio per questo inizio di primavera.Il lavoro è cominciato ed è sta-to portato avanti con solerzia per circa tre settimane, regalandoci, al termine, una rampa d’accesso nuo-va di zecca.L’impegno ha coinvolto sei rifu-giati che, tutti i giorni, a turnazio-

ne, arrivavano in comunità e, con grande impegno, portavano avanti il loro compito, accompagnati da Matteo che li segue con entusia-smo.Ma, aldilà dell’impegno, ci sono degli aspetti, in questa esperien-za, che ci hanno arricchiti umana-mente, ci hanno aiutati a crescere e comprendere, nel profondo, aspetti così lontani da noi.La condivisione di un caffè e l’a-iuto di Matteo, che fungeva da mediatore e traduttore, hanno fat-to emergere aspetti della loro vita,

fino ad ora, così travagliata e, no-nostante questo, si leggeva nei loro occhi la gratitudine e la fiducia ver-so il futuro, l’umiltà con la quale si sono posti e la comprensione verso i nostri ragazzi, la cui disabilità, per loro sconosciuta, non ha impedito l’instaurarsi di una quotidianità “normale”, per esempio con l’of-ferta di un biscotto a Riccardo, biscotto che, poco prima, era stato offerto a loro.E anche il ritrovarli, ogni mattina, è diventato per noi una piccola quo-tidianità, il loro sorriso e i loro sa-

luti, le cui frasi diventavano, ogni giorno, orgogliosamente, più com-plesse e complete, a mano a mano che il corso di alfabetizzazione procedeva.E poi, il riconoscersi per strada e il salutarsi come amici.È per questo che, al termine della loro presenza in Comunità, abbia-mo festeggiato e ringraziato Alì, Mohamed, Nasar, Zahidullah, Iba-dullah, Nassem, in un saluto che, ormai da buoni amici, è solo un arrivederci a presto.

Come ogni anno abbiamo convocato l’assemblea dei soci per l’appro-vazione del bilancio, fare un resoconto dell’anno appena trascorso e dei progetti per il 2016.La riunione si è svolta, come pubblicizzato sull’ultimo numero del giorna-le, il 21 aprile nella sede di Piazza Vittorio Emanuele II, 1 e oltre ai con-suntivi del 2015 sono state affrontate le tematiche inerenti i progetti per il 2016 oltre che l’approvazione del bilancio, che sintetizziamo di seguito.Nella colonna delle Entrate la somma di 3.419,00 euro è ascrivibile inte-ramente alle quote versate dai soci sostenitori del giornale.Nella colonna delle Uscite la somma di 3.375,18 è il costo che abbiamo sostenuto per la Tipografia, 2704,00 euro, il resto 671,18 è interamente ascrivibile a costi di gestione per la sede, spese di bolli e c/c ed acquisto servizi. L’attivo dell’anno è di 43,82 che va ad aggiungersi a quello dello scorso anno e ci permetterà di portare, serenamente, in stampa il giornale anche per il 2016.Quest’anno i soci sostenitori sono stati 102 di cui 8 nuovi, complessi-vamente 8 in meno rispetto lo scorso anno. Qualcuno, sicuramente per dimenticanza, non ha provveduto al rinnovo ma c’è sempre tempo per farlo ancora, senza problemi.Ovviamente un Grazie a Tutti Voi che continuate a sostenerci .... e non esitate anche a proporvi come nuovi collaboratori. Il nostro giornale vuole continuare ad essere, nel locale, ma anche spa-ziando un po’ più in là, uno spazio libero per proposte, confronti, ironia e racconti di chiunque abbia la voglia di collaborare.Vi aspettiamo.

La Redazione

Estratto del “Bilancio 2015 dell’Associazione Culturale Insonnia”

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“Ogni volta che faccio click sull’interruttore esercito una scelta”

É NOSTRAUn nuovo operatore per la distribuzione dell’energia elettricasegue dalla primaPer la luce della mia casa ho abban-donato Enel e tutti gli operatori del libero mercato che con nomi simili ci perseguitano al telefono per otte-nere un nuovo contratto, e ho scelto è nostra una cooperativa, nata nel 2014 con sede legale a Racconigi, che fornisce energia elettrica 100% etica e sostenibile. Un’energia non vale l’altra: per esempio, è nostra fornisce ai propri soci un’energia prodotta esclusi-vamente da fonti rinnovabili, ma non solo. L’energia rinnovabile è meglio della fossile e della nucle-are, ma non è detto che sia sempre sostenibile, è importante distingue-re i produttori che operano con re-sponsabilità, per limitare gli impatti sul territorio e sulle comunità loca-li, da quelli che, con una logica spe-culativa, realizzano impianti che feriscono gravemente il paesaggio e danneggiano l’ambiente, spesso senza portare vantaggi all’econo-mia locale. Per è nostra questa differenza è de-terminante: pertanto gli impianti da cui compra energia sono selezionati attraverso una “matrice per la valu-tazione di sostenibilità”, che misu-ra la compatibilità ambientale degli impianti stessi e la responsabilità sociale dell’impresa proprietaria. Essendo una cooperativa, il suo obiettivo non è fare profitti, ma ga-rantire una fornitura di energia elet-trica equa e responsabile al giusto prezzo e favorire, parallelamente, la riduzione dei consumi attraverso campagne di sensibilizzazione al risparmio energetico.Per il contratto ho potuto scegliere

fra diverse tariffe:• è nostra relax: tariffa ideale per chi vuole una tariffa allineata con il prezzo del Servizio di Maggior Tutela. Con opzione monoraria per chi consuma elettricità in tutte le fasce orarie della giornata. Con opzione bioraria per chi consuma soprattutto di sera e nel fine setti-mana. • è nostra sole-relax: tariffa idea-le per chi di giorno autoconsuma l’elettricità prodotta dal proprio impianto fotovoltaico.• è nostra 3° settore: tariffa riserva-ta alle organizzazioni non a scopo di lucro e alle imprese sociali. • è nostra P.IVA: tariffa riservata alle imprese tradizionali e ai con-tatori “altri usi”. • è nostra D1: tariffa sperimentale per chi utilizza esclusivamente la pompa di calore per riscaldarsi.Il cambio di operatore è stato sem-plice: mi sono iscritta alla coopera-tiva e ho compilato il contratto on line. Il resto l’ha fatto tutto è no-stra. Oggi ricevo la bolletta della luce intestata a è nostra. Natural-mente ho ricevuto una telefonata da Enel, il mio operatore precedente, che mi chiedeva perché l’ho abban-donato ed io orgogliosamente ho risposto: “Ho scelto un operatore che mi fornisce energia solo rinno-vabile, perché anch’io voglio fare la mia parte per concorrere ad uno sviluppo sostenibile”.Anche tu puoi farlo! Per avere un preventivo di spesa personalizzato puoi scrivere a:[email protected]

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Al centro di tutto c’è David Bel-latalla, per metà docente di an-tropologia e per l’altra animatore del progetto sostenuto dalla Cro-ce Rossa Internazionale e da una grande quantità di sponsor, di vo-lontari e di liberi donatori.I 24 metri cubi di materiali rac-colti e stipati nel container sono arrivati alla Casa della Speranza quattro mesi dopo la partenza da Racconigi, in pieno agosto e sono stati suddivisi per genere, selezio-nati per destinazione. Oltre agli abiti ed al materiale didattico c’e-rano anche le macchine per cucire e i forni per la panificazione, gio-chi per i bambini e di tutto un po’.Un anno dopo. E’ il 18 aprile quando ci ritroviamo di nuovo con David Bellatalla, tornato a Racconigi per rendere conto di tutto quello che s’è fatto e si sta facendo con le donazioni degli italiani, tra le quali anche quelle dei Racconigesi. A dirla tutta, il professore è venuto anche a pre-sentare l’ultimo suo lavoro, la cui distribuzione è strettamente con-nessa con la prosecuzione del pro-getto di solidarietà. Si tratta della pubblicazione del diario inedito di Eugenio Ghersi, che nel 1933 ac-compagnò Giuseppe Tucci in uno straordinario viaggio alla scoperta del Tibet occidentale, della sua an-tica cultura e delle sue tradizioni. La pubblicazione si intitola, ap-punto, “Eugenio Ghersi - Sull’Al-tipiano dell’Io Sottile - Diario inedito della spedizione scientifica italiana nel Tibet occidentale del 1933”, a cura di Leana Moretti e Giuseppe Bosio, edito da Montura Editing, Rovereto (TN). Alla mor-te dell’autore, Bellatalla ne ha ere-ditato il patrimonio di documenti e testi che il Dott. Ghersi, medico, ufficiale di Marina, esploratore, alpinista, fotografo, ecc., aveva raccolto in una vita; ma soprattut-to questo prezioso diario, rimasto nascosto in un cassetto per più di ottant’anni. Ora il diario fa bella mostra di sé, in una bella edizio-ne ricca di tutte le fotografie che Ghersi aveva scattato su quelle montagne e che sono state ottima-mente riprodotte. Bellatalla, per la pubblicazione del diario, ha chiesto all’editore di avere mille copie gratuite da offri-re a 20 euro cadauna. Il ricavato andrà interamente a finanziare il nuovo progetto in cui si è gettato il Professore: il Gher Camp. Una delle realtà più tristi di quella terra lontana è quella delle donne che mettono al mondo bambini disabili: il più delle volte l’uo-

mo le abbandona, non di rado dopo averle picchiate e deruba-te di ogni avere. Queste donne sono prive di aiuti, di assistenza medica per se stesse e per i loro bambini, impossibilitate a mante-nerli e mantenersi. Di qui l’idea di dare vita ad un campo di Gher, la casa-tenda dei nomadi Mon-goli, con quindici unità abitative, ognuna delle quali può ospitare una famiglia di quattro o cinque persone. Ci saranno anche due Gher più grandi, una per il centro di assistenza medica e l’altra per il laboratorio di sartoria, nel qua-le anche queste donne possano imparare un lavoro e progettare un futuro. Alla fine della serata venti-cinque copie del libro sono state aggiudicate: cinque-cento euro in più per il Gher Camp. E così, un anno dopo, Rac-conigi ha dato di nuovo il suo contributo per i progetti della Casa della Speranza di Ulan Baator. Bellatalla se ne è andato a girare l’Italia con un carrettino pieno di libri da vendere, di serata in serata, accompagnato da Leana Mo-retti e da una non comune ca-rica di ottimismo e di volon-tà. Gli servono 60.000 euro per dare vita al suo campo, ma siamo sicuri che fra un anno tornerà a Racconigi per farci vedere le foto delle Gher, montate ed abitate dal-le donne e dai loro bambini.

Operazione Gengis Car per la MongoliaUN ANNO DOPOsegue dalla prima

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a cura di Guido Piovano

Gli zanzarini sono in-setti molesti. La loro puntura non è mortale e neppure dolorosa, ma è spesso irritante. Se ne scacci uno ne arriva subito un altro. Tanto vale farci l’abitudine.

“E’ una bestia” si dice di una persona brutale e violenta. “Bestiale” è l’aggettivo con cui si qualifica spesso un comporta-mento disumano, crudele, fero-ce.“Bestia”: qualsiasi animale pri-vo di ragione e di coscienza, in contrapposizione agli esseri umani, si legge in un dizionario di lingua italiana.

Non c’è dubbio: da una parte ci siamo noi (voi, io sono uno zan-zarino), gli uomini; dall’altra loro, le bestie. Una conferma evidente viene dal Sudafrica. Lì prospera una fiorente attività industriale di allevamento e riproduzione di leoni, notoriamente bestie feroci e letali, da destinare alla caccia di ricchi esseri umani disposti a sborsare un sacco di soldi per spa-rare a bestie che non hanno mai conosciuto la libertà, vivono rin-

chiuse in recinti per la loro breve vita e non hanno nessuna possibi-lità di sfuggire al loro destino.Il loro destino è deciso da altri es-seri umani che lucrano su questo business. Gli animali vengono fatti nascere in cattività da leonesse destinate alla riproduzione in batteria e se-parate molto presto dai loro cuc-cioli. Quelli che diventano grossi ma-schi sono destinati ad essere spa-

“Le religioni su questa terra sono istituzioni umane ed essendo uma-ne hanno un inizio ed una fine, mentre Dio è infinito ed essendo Dio infinito e le religioni finite ogni religione vede soltanto un pezzo del volto di Dio. Mi spingo anche più in là: se esistono altri pianeti an-che loro vedono solo un pezzo del volto di Dio. Ma tutte le religioni di tutto l’universo messe insieme non vedranno mai per intero il vol-to di Dio. Noi ci renderemo conto dell’essenza di Dio solo quando la-sceremo questo nostro corpo che ci vincola e ci limita.Allora se tra religioni ci scambias-simo le nostre idee su Dio, ciascuna allargherebbe un poco la visuale sul proprio pezzo di volto di Dio. É per questo che abbiamo bisogno di dia-logo tra le religioni”. (maria ivana)“D’accordo. Infatti, se io sono così geloso del mio pezzo di Dio da di-fenderlo a colpi di dogmi e di cer-tezze, alla fine ritengo di conoscere Dio tutto intero e non ho più alcun bisogno di dialogare con te che se-condo me hai un Dio sbagliato”.

(guido)“Se noi possedessimo Dio non lo cercheremmo più, guai a chi pensa di avere capito tutto di Dio, di pos-sederne tutta la verità”. (franco)“Va bene, ma in una visione che tende al relativismo, cioè a dire che la mia religione è solo una vi-sione parziale, questa prospettiva sacrosanta può essere vissuta solo a partire dal vivere profondamente la propria fede. Solo allora, si potrà dialogare con gli altri e cercare con loro le risposte ai nostri interrogati-vi”. (alfredo)“Accettare il molteplice non signi-fica cancellare l’identità, anzi solo se ho una vera identità posso dialo-gare con gli altri… la mia identità non deve diventare arrogante e pre-suntuosa, ma se io mi sento profon-damente cristiano, nel dialogo parlo da cristiano. Se si perde lo spessore dell’identità, uno spessore umile ma di contenuti, diventa difficile anche il dialogo. L’identità va capita bene: essere profondi nella propria scelta rende molto umili perché in realtà il conoscere ti fa sapere quanto non

Che bestie! rati da qualche cacciatore ricco di denaro più che di coraggio che li ha prenotati on line e po-trà esibire con gli amici foto e trofei della sua impresa. Quelli che non promettono bene vengono presto uccisi per ven-derne le ossa sui mercati orien-tali, come ingredienti di prepa-rati della medicina tradizionale assai apprezzati da altri ricchi esseri umani. Che bestie!

ECHI DI UN GRUPPO BIBLICO: IL VOLTO DI DIO

sai e quanto hai bisogno degli altri, delle tradizioni altrui. Questo oggi l’abbiamo capito: senza l’ebraismo o senza l’Islam non andiamo da

nessuna parte. Dico di più: per capi-re il cristianesimo abbiamo bisogno che ce le pongano gli atei le doman-de vere”. (franco)

PAPA FRANCESCOA Lesbo, in una comunità orto-dossa per dire al mondo parole coraggiose e profetiche, il papa ha voluto con sé il patriarca ecu-menico di Costantinopoli e l’arci-vescovo ortodosso di Atene. È un gesto di grande spessore ecume-nico, ma non solo: in un mondo dove il pensiero unico è il mer-cato, l’impressione, dopo il venir meno delle ideologie, è che solo papa Francesco sia capace di un messaggio diverso. Per il resto è

tutto un gran silenzio.

500 ANNI DALLA RIFORMAIl 31 ottobre 2017 ricorre il 500° anniversario dell’affissione, sulla porta del castello di Wittenberg, delle 95 tesi di Martin Lutero sulle indulgenze: il gesto che, simboli-camente, dette l’avvio alla Riforma protestante. Le chiese evangeliche - e non solo - si stanno preparando a celebrare questo evento sin dal 31 ottobre di quest’anno, con un incon-tro promosso dalla Federazione lu-terana mondiale a Lund, in Svezia, a cui sono stati invitati rappresentanti di tutte le chiese cristiane, compresa quella cattolica.Ma in casa cattolica non tutti sono d’accordo sull’opportunità di cele-brare l’anniversario della Riforma. Lo dice, senza tanti giri di parole, il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione vaticana per la dottrina della fede (l’ex Sant’Uffi-zio) nel suo ultimo libro, «Rappor-to sulla speranza», appena uscito in Spagna e di imminente pubblicazio-ne anche in Italia.«Strettamente parlando, noi catto-

lici non abbiamo alcun motivo per festeggiare il 31 ottobre 1517, cioè la data considerata l’inizio della Ri-forma che portò alla rottura della cristianità occidentale», afferma il cardinale. […]Il cardinale evita accuratamente di parlare di «chiese» protestanti defi-nendole sempre «comunità ecclesia-li», ed esalta il ruolo del documento vaticano Dominus Iesus del 2000 che ribadiva appunto che l’unica Chiesa, in senso proprio, sarebbe quella cattolica romana. […]Quale atteggiamento prevarrà nel-la chiesa cattolica rispetto ai 500 anni della Riforma? Quello aperto che si riflette nel documento della commissione luterano-cattolica di dialogo, o quello chiuso del cardina-le Prefetto? Staremo a vedere. Una cosa è certa: i luterani hanno invitato papa Francesco all’incontro di Lund del prossimo 31 ottobre, e il papa ha prontamente accettato l’invito.(Luca Maria Negro, da Riforma del 15 aprile).

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insonnia 7Maggio 2016

Come è noto a tutti l’abbandono di picco-li rifiuti e le deiezioni canine lasciate nelle strade della città sono un comportamento poco civile, nocivo per il decoro della città e l’ambiente in cui viviamo e un brutto bi-glietto da visita per i visitatori.In particolare la legge vieta l’abbandono di scontrini, fazzoletti di carta, gomme da masticare, mozziconi di prodotti da fumo e altri rifiuti di piccole dimensioni sul terre-no, nelle acque e negli scarichi. Chiunque viola il divieto di abbandono è soggetto a una sanzione amministrativa pecuniaria da 30 a 150 €. In caso di prodotti da fumo la sanzione è aumentata fino al doppio (da 60 a 300 €).A questo riguardo sono in arrivo a Racconigi due novità, annunciate il 29 marzo in conferenza stampa della Amministrazione Comunale, con la presenza del sindaco Brunetti, il consigliere con delega all’ambiente Meinardi, l’assessore Rosso, il dott. Pautassi della ditta Fortesan di Fos-sano. Le iniziative sono finalizzate a sensibilizzare i cittadini alla difesa del decoro urbano e dell’ambiente, nonché a rendere loro più agevole un comportamento corretto e rispettoso della legge.

DIVIETO DI ABBANDONO DEI PICCOLI RIFIUTIIl Comune ha acquistato e distribuirà gratuitamente, fino ad esauri-mento delle scorte, 2.000 ecoastucci, cioè contenitori portatili per la

raccolta dei mozziconi di sigarette e/o di altri piccoli rifiuti.La distribuzione avverrà con l’ausilio degli eco volontari in v. S. Gio-vanni giovedì 12 maggio dalle ore 9.30 alle 12; sabato 7 e 21 maggio dalle 15.30 alle 18; e presso l’uffi-cio ambiente del Comune durante il consueto orario di apertura al pubblico.

DISTRIBUTORI SACCHETTI PER ESCREMENTI DI CANISono in corso di installazione da parte del Comune 20 distributo-ri di sacchetti per la raccolta di escrementi dei cani. I dispenser sono stati sponsorizza-ti dalla ditta Fortesan di Fossano con un contributo di 2.500 €.Nella mappa sono visualizza-ti i luoghi di installazione dei dispenser.

CAMPAGNA PER LA RACCOLTA DIFFERENZIATA E IL DECORO URBANO: ATTO SECONDO

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insonnia8 Maggio 2016

REGOLE CONFUSE REGOLE CHIARETroppe spiegazioni non servono ad educaredi Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

- Matteoooooooo! Accidenti, non senti? Perché mi fai gridare così? Ma non ti rendi conto che mamma si è stufata di aspettarti? Allora andiamo a casa adesso???- NO!!!Matteo ha 5 anni, forse 6.La sua mamma gli ha domandato più volte cosa voleva fare, poi ha perso la pazienza e ora grida da-vanti alle altre mamme presenti la sua disperazione per questo picco-lo testardo che assomiglia tutto a suo padre.Ho scelto il luogo e il momento peggiore per fare una pausa rilas-sante. Avevo voglia di calma e di natura, non di certo di questa sce-netta consueta da giardinetti all’u-scita da scuola.Come vorrei aver registrato una conferenza che pochi giorni fa Daniele Novara ha tenuto a 500 genitori in una città qui vicino. Il titolo era lo stesso del suo ultimo libro “Urlare non serve a nulla”.Perché questa generazione di ge-nitori urla?

Le urla sono segno di non sop-portazione: non ce la fanno più. Oppressi da “piccoli despota” che comandano e decidono, sot-tomettendo tutti ai loro capricci. Le mamme lo dicono a volte ai giardini: “Non serve a nulla dedi-care tanto tempo a spiegare loro le cose! Non capiscono!”Brave mamme! Ecco il punto. Peccato che poi ci dimentichiamo questa saggezza e ricominciamo a riempire di parole i nostri piccoli.Perché chiediamo ad un bimbo di 5 o 6 anni cosa vuole fare? Spe-riamo che abbia il dono del di-scernimento? Che sappia mettersi nei panni dell’adulto indaffarato e bisognoso di andare a casa a fare cena? Crediamo veramente che un bimbo di 5 o 6 anni possa rinun-ciare al suo gioco?

Oh poveri noi genitori illusi che abbiamo dimenticato com’è que-sta fase evolutiva che si chiama pensiero magico!Per il bimbo nel pensiero magico, esiste solo il presente. Un presente meraviglioso e coinvolgente, nel quale si può dar da mangiare ai dinosauri e si ha il potere di cam-biare le cose pronunciando una parola!Noi, a questi bimbi, chiediamo il discernimento tra i giardinetti e andare a casa a preparare cena e ci stupiamo se ci aggrediscono con un NO secco e deciso, un No in-cantesimo che paralizza la mam-ma come una bacchetta magica che fa sparire le scocciature.Non solo a casa ma anche a scuo-la, noi adulti parliamo e spieghia-mo a questi bimbi le cose senza ricordarci che a sei sette anni si comprendono le parole in tutto un altro modo: per associazioni di idee, associazioni magiche dove le cose nominate richiamano altre cose e portano il bimbo lontano, nei fantastici labirinti dell’imma-ginazione.Il problema non sono i piccoli ter-remoti, ma noi adulti che abbia-mo sostituito l’educazione con le emozioni e con le parole. E non sappiamo più quando è il tempo per una cosa e quando quello per un’altra.Parliamo, spieghiamo e ci confon-diamo.Un esempio: qual è l’età della pa-ghetta? 5 anni? 6? NO!A quale età il bimbo sa fare un uti-lizzo adeguato dei soldi?Bisogna aspettare l’età evolutiva che corrisponde alla prima media.Un altro esempio:

scegli energia etica e

sostenibilescopri le offerte

di ènostrawww.enostra.it

Qual è l’età per avere il cellulare?Ha senso che un bimbo di quarta e quinta elementare abbia il cellu-lare? NO!A cosa gli serve davvero???- Papà, mamma, tutti i miei amici c’è l’hanno, io sono l’unico diver-so.Il genitore emotivo si lascia irreti-re da questi ricatti…I nostri figli e anche i nostri alunni non hanno bisogno di parole, ma di regole chiare, fatte di parole chiare.

Ecco 5 REGOLE CONFUSE:• Stai fermo e seduto• Non è educazione giocare con il cibo• L’importante è che tu mangi tutto• Ti prego di non fare dispetti a fra-telli e sorelle• Non chiedermi di accendere la TV.Il genitore ESORTA il bambino a

fare la cosa giusta. Ma il bambino non sa qual è la cosa giusta.

Ecco 5 REGOLE CHIARE: • A tavola si sta seduti• Si resta a tavola finché tutti han-no finito• La TV resta spenta• Si può parlare• Ognuno ha il suo posto.Le regole chiare sono PROCE-DURE. Danno chiarezza perché spiegano al bambino l’organizza-zione.L’organizzazione è fatta di poche parole. I bambini sono abitudinari e consuetudinari. Amano la chia-rezza, la ripetizione e l’organizza-zione. Vogliono regole chiare, non vogliono comandare su genitori servizievoli. Si accorgono subito se le regole sono condivise dai ge-nitori. Non amano le parole delle nostre spiegazioni spesso logor-roiche.Se vogliamo usare con loro le pa-role, raccontiamo delle storie che li incantano e insegnano loro mol-tissime cose.Stiamo entrando in un tempo che ha perso il senso dell’età evolu-tiva. Riprendiamo in mano i libri che ci spiegano le fasi evolutive, le scoperte fatte da Piaget. Leg-giamo cosa dice Stainer dei bimbi e di ogni fase della loro crescita.Abbiamo un bisogno estremo di recuperare il ruolo educativo e sintonizzare le diverse età con le scelte che facciamo. Dobbiamo diventare genitori educativi, dob-biamo studiare!

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insonnia 9Maggio 2016

LA PRATICA É LA RISPOSTA A UNA DOMANDA NON POSTARiflessioni tra le discipline sportive e la vita quotidianadi Alessia Cerchia

Aikido, danza, teatro, kendo, judo, nuoto, rugby, tennis, arram-picata. Porte. Porte di mondi lon-tani, la cui chiave è, al contem-po, il corpo e l’annullamento del corpo, la mente e l’annullamento della mente. Porte di mondi in cui ciascuno di noi cerca risposte a domande che non ha mai posto. Almeno ad alta voce.Quello che mi ha sempre stu-pito, sentendo parlare ballerini, aikidoka, scalatori, rugbisti e, in generale, chiunque pratichi un’attività fisica con intensità e passione, è come le parole usate per descrivere esperienze appa-rentemente diversissime siano estremamente simili. Sono le stesse parole che mi vengono alla mente durante e dopo un semina-rio di aikido o di naginata.Durante l’ultimo a cui ho par-tecipato, la scorsa settimana, in particolare, mi sono involonta-riamente soffermata a pensare

a quanto cerco ora di rendere a parole. Complice un fisico non ancora perfettamente allenato, devo confessare che dopo due giorni di pratica, per sei ore al giorno, quasi ininterrottamente, con praticanti più giovani e più allenati, non è stato difficile arri-vare a quel particolare momento in cui corpo e mente perdono il controllo e si entra in uno stato di “percezione differente”. Ricordi, pensieri, immagini e odori si con-fondono e danno vita a quelle che chiamerei “risposte a domande non poste”.Ultimamente gli avvenimen-ti nella mia vita, come penso in quella di ciascuno di voi, si sono susseguiti rapidamente e senza tregua. Lavorando in università ho avuto il terribile spiacere di

perdere una ragazza giovane e piena di speranze. E con lei sono tornati alla mente ricordi di com-pagne e compagni di strada che non ci sono già più. Che sono stati strappati via da questo mon-do troppo presto. Penso ancora a loro, ai giochi di quando eravamo piccoli, alle notti passate a con-dividere sogni. Penso ai profughi che riempiono le nostre spiagge da mesi. Uomini, donne, bambi-ni, giovani e vecchi, dottori, av-vocati, contadini, cuochi. Gente come me e come voi, che si è trovata, di colpo, a dover abban-donare tutto ciò che amava per fuggire dal male del mondo, ri-versatosi con violenza sulle loro vite. Sento sulla pelle il senso di colpa per non essere in grado di far nulla per loro, sento la paura di potermi ritrovare, prima o poi, a dover pescare, io e voi, la pa-gliuzza più corta del destino… e quel giorno toccherà a noi. Penso

ad altri mille pensieri, che nella mente si confondono.Il fisico che si muove, la stan-chezza delle membra, la mente che si libera e viaggia nei punti più lontani della mia anima. Que-sto io provo quando pratico fino al limite delle mie forze. Fino a quando, spogliata di ogni paura, di ogni dolore, di ogni pensiero, un po’ come una margherita a cui si staccano i petali uno ad uno, la pratica mi porta per mano a tro-vare risposte che non hanno paro-le, solo sensazioni, colori e odori. La stanchezza del corpo mi porta a realizzare, nei miei momenti “di grazia”, che, in fondo, non siamo altro che energia. Come energia muoviamo la materia e ci facciamo presenza, consapevoli, tuttavia, che il rovescio della me-

daglia è assenza. Che il pieno non ha senso senza il vuoto, che tutto scorre come un unico flusso. Sia-mo energia a cui viene concesso di forgiare il mondo, almeno per un breve periodo di tempo, per poi ritornare nel flusso. Ciascuno a suo modo, ciascuno al suo mo-mento.E’ la prima volta che cerco di esprimere a parole ciò che spe-rimento nella pratica ma, a ben pensarci, non sto dicendo nulla di particolarmente interessante o in-novativo. Ma questo mi consola. Mi consola sapere che qualunque sia la chiave che utilizzate per accedere alla porta più profonda di voi stessi, ciò che trovate die-tro di essa non può essere molto diverso da quanto capita anche a me di trovare. Purtroppo, le risposte dell’inconscio, che tut-ti ci accomunano, scivolano via

fugaci proprio come sono venute. Il sollievo che danno resta sotto forma di ricordo, di sensazione indistinta. Non mi aiutano a di-menticare chi mi ha già prece-duto nell’altrove, né a farmi una ragione del tempo che passa e del mutare delle stagioni, o dei no-stri corpi. Ma per qualche attimo - il mio momento di grazia nel-la pratica - riesco a raggiungere la sicurezza di essere parte di un Tutto infinito. E per ora questo mi basta.Per far mie le parole di un grande poeta inglese, John Donne, “nes-sun uomo è un’isola, intero in sé stesso. Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra (..). Ogni morte d’uomo mi dimi-nuisce, perché io partecipo all’U-manità. E così, non mandare mai a chiedere per chi suona la cam-pana: essa suona per te”.

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insonnia10 Maggio 2016

Com’è nato il vostro pedibus? Avete iniziato con un pedibus solo dimostrativo?No, fin dall’inizio facciamo pedi-bus tutti i giorni della settimana da settembre a giugno. Il proget-to, partito con finalità educative come educazione civica legata all’ambiente, come una “buona abitudine” da intraprendere, oggi è anche un modo per sensibilizza-re alla mobilità sostenibile. E’ una iniziativa di adesione volontaria delle scuole e funziona come un bus vero e proprio con biglietti, orari, partenze, capolinea e arrivi ben precisi e un autista volonta-rio, genitore o nonno, che accom-pagna i ragazzi a scuola. Due sono i valori aggiunti: il fat-to di “camminare” (i piedi inve-ce delle ruote) e il fatto di farlo “insieme”. Il camminare insieme è proposto come divertimento e vissuto come tale. Più una clas-se (o un gruppo-classe) utilizza il bus più saranno numerosi i bi-glietti che alla fine la condurran-no a vincere un premio moneta-rio.Da qualche anno, cercando di acquisire una nuova sensibilità verso le buone pratiche, abbiamo introdotto un patto con i cittadini di cui pedibus è buon esempio: all’inizio, a due dipendenti era af-fidato il compito di organizzarlo e di controllarne lo svolgimento, poi, a queste figure si sono sosti-tuite nuove figure spontanee, i referenti di linea, ora in grado di migliorare il servizio suggeren-

do nuove proposte. Questa è la fase due: il coinvolgimento degli adulti come volontari civici con copertura assicurativa e con una loro autonomia. Ho visto che il vostro pedibus è rivolto alle scuole primarie, non pensate ad un allargamen-to alle scuole medie? Il nostro pedibus è nato per le scuole primarie, ma stiamo pro-gettando il mini-pedibus, cioè la possibilità di estenderlo verso il basso alla scuola materna.Le scuole medie sono invece due: un plesso, data la conformazione del territorio, avrebbe problemi significativi nel creare in sicurez-za le linee, l’altro è in zona chiu-sa al traffico e quindi lì il pedibus sarebbe superfluo. Alla scuola media far accompagnare i ragazzi sarebbe però improponibile, for-se in prima è ancora possibile ma poi... difficilmente accetterebbe-ro il presidio di un adulto; ormai vanno a scuola da soli.Avete dovuto modificare in modo significativo la viabilità?Sì, laddove s’è reso necessario. Abbiamo creato delle zone con il presidio degli ex carabinieri in congedo, transennate e messe in sicurezza nel periodo che precede

Il PEDIBUS A BRAa cura di Guido Piovano e Giacomo Castagnotto

l’ingresso a scuola. Avete incontrato resistenze da parte di qualche categoria di cittadini?Mai, quando la motivazione è re-lativa alla sicurezza scolastica. In altri ambiti, invece succede spes-so.Come è stata accolta l’iniziati-va?I bambini sono quelli più entusia-sti, apprezzano il gioco, la sfida, la gara e di riflesso apprendono le buone abitudini. Dai genitori è venuta una buona risposta, con qualche perplessità iniziale sotto l’aspetto della sicurezza, del tipo “ma chi è questo che li accompa-gna?”. Oggi si fidano in pieno. Il mondo degli insegnanti in genere

di primo acchito sta un po’ sulle sue, ma alla fine gli insegnanti sono quelli che si spendono di più, anche negli adempimenti pratici e nel fornire stimoli agli scolari. Poi ci sono gli accom-pagnatori, i responsabili di linea, spesso proprio i rappresentanti di classe, persone che si impegnano con generosità anche in altre ini-ziative del Comune e diventano perciò persone note nel panorama cittadino. Non abbiamo difficoltà a reperire questi collaboratori. Parliamo dei risultati… Sul piano del coinvolgimento, della partecipazione, delle buone abitudini credo che ci siamo, con margini di miglioramento. Sul terreno della ripercussione su al-

Sul numero scorso abbiamo parlato del Pedibus di Racconigi auspi-cando una svolta che ne determinasse una evoluzione.Al fine di approfondire il tema e senza alcun intento polemico, abbiamo chiesto ai signori Gianni Fogliato, vicesindaco della città di Bra dove da tempo è in atto un progetto pedibus che dura l’intero anno scolastico, e Sara Cravero, responsabile del progetto pedibus braidese nonché assessore con delega all’Ambiente, all’Innovazione, alle Politiche energetiche ed ai Servizi Appaltati/Rifiuti, di illustrarci la loro esperienza. Li ringraziamo per il prezioso contributo.

Gianni Fogliato, vicesindaco della città di Bra e Sara Cravero, assessore con delega all’Ambiente

I NUMERI DEL PEDIBUS DI BRA- 10: gli anni di pedibus a Bra- 9: i plessi che aderiscono al pedibus- 16: le linee-pedibus esistenti- 480 (circa): i bambini che usufruiscono del pedi-bus (su un totale di quasi 2000 bambini, tra i quali molti sono quelli che vanno a scuola a piedi per loro conto).

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insonnia 11Maggio 2016

L’altro giorno ero parte dell’assem-blea di Confcooperative, la coop di cui sono socio ne fa parte, è una so-ciale. La persona vicina a me, sen-tendo parlare dell’accoglienza dei profughi da parte delle coop sociali ha sentenziato “Ci governeranno gli arabi! Li manteniamo e mica lavorano!” E’ esattamente come quando la ragazza del tuo amico, parla male dei rumeni e tu devi dir-gli che la tua compagna è rumena! Ma stavolta sono stato zitto. C’è il rischio di sentirsi accusare di speculazione, di guadagnare sulla sofferenza altrui! Lavoro dal 2005 con persone affette da handicap, e dal settembre scorso con i migran-ti, sono quindi a tutti gli effetti uno speculatore sociale!Sull’accoglienza dei profughi si dice di tutto di più: che li mantenia-mo, che gli diamo persino il WiFi! Chi produce questi luoghi comuni, diviene però un campione di soli-darietà, quando dice “questi poveri cristi sono sfruttati dalle coop ros-se” (le stesse che gli danno il WiFi, e qui il turbo-leghista di turno ri-schia la scissione psicotica).Si dicono un sacco di nefandezze sull’argomento:• Arrivano perché li accogliamo: in realtà è il contrario, li accoglia-mo perché arrivano (più o meno come fecero in Argentina o negli Usa quando a scappare eravamo noi). Nello specifico, noi abbiamo iniziato a fare questo lavoro l’an-no scorso perché c’era la domanda.

D’altronde se non li accogliessimo, arriverebbero comunque e l’alter-nativa è veramente affondare le navi con donne e bambini e questo il buon politico leghista non può

dirlo (gli servono i voti del catto-lico solidale nel vederlo tenere il presepe in mano sentenziando che il crocifisso a scuola non si tocca).• Per gli italiani non si fa nulla: fino a prova contraria in Italia nes-suno muore di fame, ci sono la cas-sa integrazione, le case popolari, le pensioni etc.• Ai profughi si danno 35 € al giorno: li prendono le associazioni che li accolgono, al profugo vanno 2,50 € al giorno (oltre a vitto, allog-gio, all’assistenza sanitaria e all’o-rientamento legale), con questi sol-

di la coop di cui sono socio ha dato lavoro a quattro persone italiane e ad un mediatore senegalese. Que-sti soldi si riversano sul territorio, arrivano al supermercato, al panet-

tiere, etc.• Loro a noi non ci accoglierebbe-ro: provate ad andare in Senegal e vedrete che accoglienza! Il Libano accoglie un milione e mezzo di profughi su un totale di quattro mi-lioni di abitanti!• Ci stanno invadendo: in Italia alla fine del 2014 c’erano 140mila profughi, su 60milioni di persone (tornando al Libano, in propor-zione noi dovremmo accoglierne 16milioni!)• Sono solo un costo per la società: nel breve periodo forse può essere

considerato vero (se non si guarda al PIL italiano generato dalle azien-de aperte qui da stranieri, aziende che pagano le tasse), ma sul lungo periodo, queste persone, rimanen-do in Italia, integrandosi, mettendo su famiglia, lavorando, versando i contributi, diventando italiani a tut-ti gli effetti, saranno coloro che pa-gheranno (loro, i loro figli e i loro nipoti) le pensioni alla mia genera-zione e a quelle a venire.• Tra i profughi si nascondono i terroristi: in realtà, di solito i terro-risti sono persone di seconda o ter-za generazione, che non sono state integrate dalla società ma tenute ai margini. Molto spesso i profughi sono vittime e scappano dai terrori-sti: la stragrande maggioranza del-le vittime del terrorismo islamico, sono mussulmani.Non ho certo la verità in tasca, non pretendo di averla e credo nessuno l’abbia, sono pieno di dubbi, sul mio lavoro, sull’efficacia del mo-dello di accoglienza nazionale, ma credo si debba accogliere, senza se e senza ma, oggi più di ieri. Ed il buon leghista cattolico dovrebbe pensare un attimo, mentre insulta i migranti, alla coppia di profughi che circa duemila anni fa raggiun-sero l’Egitto a cavallo di un mulo per salvare il proprio bambino. Come mi scrisse una persona sen-sata a Natale: “oggi come duemila anni fa i Profughi cambiano la sto-ria”.

MEDIAMENTE, QUANTO PUÒ DARTI FASTIDIO IL MIGRANTE SE PROVI A SPEGNERE LA TV?Smontiamo un po’ di luoghi comuni sull’accoglienzadi Gabriele Eandi

ERRATA CORRIGENell’articolo “PEDIBUS: UN BEL GIOCO DURA … TROPPO” del numero di aprile di Insonnia scrivevo erroneamente che “il pedibus è un rito che una volta l’anno coinvolge bambini…”. Devo ai lettori una rettifica: il calendario del pedibus è più articolato. Infatti, alla Scuola Primaria pedibus è attivo in 13 venerdì, nel periodo che va da novembre a giugno, mentre alla Scuola Media il pedibus non si fa. Mi scuso per l’errore.Questa precisazione, peraltro doverosa, non fa venir meno l’assunto dell’articolo, e cioè che per raggiungere gli obiettivi dichiarati si deb-ba rendere quotidiano e continuativo il pedibus, modificando se necessario in modo significativo la viabilità cittadina. Riporto qui gli appuntamenti col pedibus ancora previsti quest’anno alla Scuola Primaria: 13, 20, 27 maggio e 3 giugno.Guido Piovano

tri comportamenti, in tutta onestà dobbiamo dire che essa varia da situazione a situazione: in certi plessi, data la situazione geo-grafica, la presenza del pedibus costituisce un invito per gli auto-mobilisti a comportarsi in modo decoroso, in altre situazione sono le linee del pedibus a doversi ade-guare. E questo non va bene. Nella prossima edizione del pe-dibus oltre alla premialità mette-remo anche le penalità nel senso che i bambini avranno la possibi-lità di mettere dei bigliettini sul-le auto che parcheggiano male e intralciano le linee del pedibus. Biglietti molto discreti, con su un

disegnino, fatti vagliare prima dai vigili ma tali da far vergognare un po’ gli automobilisti…Le buone abitudini si apprendo-no nel tempo, è difficile valuta-re i risultati su questo piano, ma qualcosa rimane… come il pia-cere di andare a scuola insieme. Già si vedono gruppi spontanei di bambini che si avviano a scuola insieme.Ultimamente abbiamo promosso un concorso sempre corredato da una premialità collettiva, di grup-po o di classe, in tema di igiene urbana con le deiezioni canine, di decoro urbano con l’abbando-no dei piccoli rifiuti e di mobilità

sostenibile con l’uso del pedibus. L’obiettivo era di produrre cartel-li di segnaletica ambientale, che il Comune avrà cura di sistemare sul territorio, che disincentivas-sero i cattivi comportamenti. Il concorso è stato poi valutato dal Consiglio Comunale dei ragazzi. Davvero una bella esperienza.Avete riflettuto sulla figura del mobility manager?Noi abbiamo già una persona che incarna queste caratteristiche, l’energy manager, una persona che da anni nella scuola fa da re-ferente per il pedibus ed un’altra persona nell’ufficio ambiente che fa da riferimento per tutte quelle

che sono le dinamiche di mobilità sostenibili. Mi sembra che queste due figure insieme costituiscano il mobility manager. É fondamen-tale prima di tutto avere al posto giusto persone che ci credono.

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insonnia12 Maggio 2016

Come ogni anno, l’autunno era arrivato sulla Langa, con il suo corredo di vigneti e alberi che si spogliavano dalle ultime foglie accese di gialli d’oro, arancio e rossi di brace. Le strade fan-gose erano percorse da qualche carretto, e le donne langarole si affrettavano a portare in cascina quel poco di legna tagliata, di fo-glie secche rastrellate e di fasci-ne di rami che raccattavano qua e là sulle colline.

Anche nella valle del Belbo, nel novembre del 1944, l’aria si era fatta pungente e le piogge autun-nali facevano salire dalle terre umide una nebbiolina invadente. In quel periodo, uomini in età da lavoro in Langa non se ne vede-vano. Molti mariti e padri erano partiti per una guerra assurda e non più tornati, intruppati nella Divisio-ne Alpina Cuneense, mandata a perdersi nelle steppe di Rus-sia. A casa, in cima alla Langa, erano rimaste le donne, alcuni vecchi con bambini e bambine, che sarebbero presto diventati grandi, a suon di sacrifici e la-vori agricoli. Gli uomini giovani o risultavano “dispersi” in Rus-sia oppure erano spariti dalla circolazione e si erano dati alla macchia. Quelli che non vole-

vano aderire alla Repubblica di Salò, erano passati nelle file dei partigiani. Il 20 novembre nel paese di San Benedetto Belbo la fredda temperatura autunnale si era improvvisamente alzata, e di parecchi gradi. Quel giorno tutte le case, ma proprio tutte, aveva-no fatto parte di un grande falò, acceso dalle micidiali S.S. nazi-ste per rappresaglia. Erano stati accesi dapprima i fienili, così le case adiacenti erano bruciate an-

ch’esse in pochi minuti. Le fiam-me, alzatesi improvvise da più parti, nel giro di un’ora si erano divorate non solo i fieni accata-stati, ma anche tutte le travature secolari, le traverse di rinforzo, i listelli che sorreggevano i vecchi coppi. Il pian terreno delle case contadine aveva una volta fatta di travi portanti, che reggevano il peso del pavimento del primo piano, e lo scarso mobilio di fat-tura artigiana. Tutto il contenu-to delle camere era stato facile preda delle fiamme, tanto che le donne e i vecchi presenti erano appena riusciti ad uscire in fretta e furia nei cortili in pendenza. Qualche coraggioso era corso al primo piano, nella stanza da letto, per cercare di salvare dal fuoco documenti importanti, atti notarili, delle lettere dal fronte,

qualche vecchia fotografia, una catenina o un paio d’orecchini d’oro che passavano di madre in figlia. Sfidando le fiamme or-mai vicine, avevano gettato dal balcone bracciate di lenzuola ricamate a mano da ragazze da marito, borse o valigie ripiene nel cortile sotto, dove i ragazzi le avevano afferrate e tratte al sicuro.Le grida dure degli invasori te-deschi avevano spaventato tutti, allarmato i cani che abbaiavano senza tregua, messo in agita-zione le vacche che, attaccate alla greppia di microscopiche stalle, respiravano l’aria roven-te e muggivano a perdifiato. Le persone che potevano lavorare, madri e figlie, nuore o ragazzi, si erano precipitati nelle stalle al pian terreno e avevano staccato il collare di tutte le loro bestie. Improvvisamente le vie di San Benedetto erano state invase da decine di queste vacche dal-le lunghe corna, che correvano spaventate e incontravano le loro simili uscite da altri cortili. Mentre i fienili erano divorati dalle fiamme e le tettoie in legno crollavano a terra sotto il peso dei coppi, qualcuno correva die-tro alle vacche per mandarle in un prato appena fuori dal paese.Il vecchio Bastiàn era ormai sen-za capelli, vestito di abiti sgual-citi, teneva un fazzoletto nera-stro perennemente al collo. Era prossimo a settant’anni, magro e consunto da una vita di lavoro e dai dispiaceri dovuti alla guerra. A quel punto si era ricordato del cane Moretu che stava attacca-to ad una catenella vicino alla stalla. Era rientrato di corsa nel cortile, rischiando la vita per passare sotto la tettoia in fiam-me, per staccare il cane dal suo posto, e liberarlo da morte cer-ta. Tutti gli abitanti, precipitatisi fuori dalle case divenute ormai trappole, erano corsi sulla piazza del paese oppure erano scappati in posizione sicura sull’alto del-la vigna. Di là avevano osserva-to sconsolati e ammutoliti le loro case sbriciolarsi nel fuoco e visto i tetti crollare mentre vampate di faville si innalzavano al cielo.Bisognava decidere dove andare a dormire alla sera, dove procu-rarsi il cibo, e dove sistemare le bestie, in vista dell’inverno che era alle porte. Pochi giorni dopo, al 25 novembre, ricorreva Santa Caterina e tutti, grandi e piccoli, erano a conoscenza del vecchio detto contadino “a Santa Cat-

lina la vaca và ‘n cassìn-a” (a Santa Caterina la vacca va in ca-scina, in stalla). Con questo si in-tendeva che durante tutta l’estate e l’autunno le bestie potevano stare al pascolo e cibarsi all’a-perto, mentre dopo quella data le basse temperature e i ciuffi d’erba già ricoperti di brina non erano più digeribili, e quindi non adatti alla loro alimentazione. Il giorno dopo, spente le ultime macerie fumanti, tutti gli abitanti di San Benedetto erano rientrati in possesso di quel che restava delle loro case, completamente da rifare. Riuscirono a passare quell’inverno, tra il ’44 e il ’45, quasi tutti con sistemazioni di fortuna. Molte donne e vecchi erano sopravvissuti dormendo tra le macerie dei loro fienili, qualcuno era andato in un paese vicino, alloggiato da parenti. Chi aveva le vacche, la maggior par-te, era rimasto senza stalla, e le bestie erano state attaccate sotto i porticati, con coperture provvi-sorie. Il vecchio Bastiàn aveva detto alla nuora :- A febbraio, quan-do la neve si scioglie, e le pri-me giornate di sole scalderanno le nostre ossa, io vado a buttar giù due roveri alti e poi chiedo a Notu ‘d Cajè di prestarmi per un giorno il suo bue per attaccare i tronchi e portarli fin qui.La nuora gli aveva risposto: - Va bene, per adesso andiamo avan-ti così, e questa guerra prima o poi finirà. Ma Notu ‘d Cajè sta a Murazzano.- Fa niente. Io alla fine di genna-io, appena va via la neve, vado a tagliare due roveri belle alte e dritte che abbiamo in valle, e poi vado a parlare a Notu.In questo modo il vecchio Ba-stiàn, che aveva il figlio disperso in guerra, e una nuora di trent’an-ni con un bambino in braccio, si era dato da fare e, ai primi di febbraio del ’45, ancora sotto il giogo nazista, aveva chiesto aiu-to al suo amico di Murazzano.Notu ‘d Cajè era un bravo la-voratore, con le mani callose, la schiena e le spalle allenate a spostare tronchi, e in bocca non gli mancava mai un sigaro to-scano. Alto come il suo bue, non era andato in guerra solamente perché apparteneva alla classe del 1885. Notu ‘d Cajè di me-stiere faceva il boscaiolo e nego-ziante di legna, e insieme al suo paziente collaboratore avevano già fatto parecchio lavoro, nel trasporto di pesanti carichi su e

1944 - BASTIAN E IL BUE BIUNDdi Silvio Marengo

Raccontami...

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giù per la Langa. Teneva in stalla uno splendido esemplare di bue di razza piemontese. Nel 1938 aveva preso un vitello giovane da un paesano suo, in cambio di un carico di legna da ardere. Lo avevano castrato all’età di tre mesi. In questo modo l’aggres-sività tipica del toro era sparita, ed aveva lasciato il posto ad una calma proverbiale, unita ad una forza fisica imponente. Quel bue era chiamato Biùnd, per via dei riccioli di pelo giallastro che gli erano cresciuti tra le corna. Notu si era attrezzato con delle robuste paia di ruote di legno che venivano piazzate sotto i pesanti tronchi e fissate con delle corde. Una lunga sbarra di legno ad uso timone era poi collegata al giogo del bue che così era attaccato a traino. Ma il lavoro che avevano fatto fino a quel momento insie-me era poca cosa in confronto a tutto quello che c’era da rico-struire in cima alla Langa. Tutto il paese di San Benedetto Belbo era andato distrutto e doveva essere, poco alla volta, ricostru-ito. Un giorno di sole all’inizio di febbraio Bastiàn aveva fatto

intervenire Notu: il lungo tron-co di rovere era stato sistemato su quattro ruote dai raggi spessi e Biund attaccato a traino im-pegnava tutta la sua immensa forza per portare quel rimorchio fino al centro di San Benedetto. Nella salita lunga qualcosa però non doveva andare per il verso giusto. La guerra d’occupazione era ancora in corso e gli ultimi dolorosi strascichi sembravano non aver fine. Da una curva po-sta in alto, vicino alla sommità, un gruppo di quattro “repubbli-chini” che stavano di pattuglia,

aveva osservato con curiosità i due coraggiosi che, con l’ausilio del bue, avevano osato abbattere due alberi senza chiedere loro il permesso. In pratica, innervositi per l’iniziativa dei due, si erano inventati che l’autorizzazione per il trasporto non era stata ri-chiesta. In verità erano alla ricer-ca di un pretesto per far volare un po’ di piombo: bastardi erano e da bastardi si divertivano. Il sergente ordinò ai tre scagnozzi : -Non colpite il bue perché è trop-po facile. Riempiamo di piombo il tronco così quando lo segano si spaccano tutte le seghe, e poi gli facciamo fischiare le orecchie ai quei due.Imbracciarono immediatamente i mitragliatori e tolsero la sicura, e così i tre malcapitati diventa-rono dei veri e propri bersagli. Notu si accorse esterrefatto che quelli stavano prendendo la mira e gridò: - Bastiàn, a sparu! a tàra! a tàra! (Bastiano, quelli sparano! a terra, a terra!).E l’altro: - Giù ‘n tel fussà! (giù nel fossato!). Così i due uomini si gettarono immediatamente nel riparo del fossato, che si trovava

vicino alla strada, mettendosi in salvo. L’unico che era rimasto allo scoperto era il povero Biùnd che, attaccato al timone di quel tronco, non poteva spostarsi. I quattro bastardi da sopra si sta-vano divertendo parecchio, a sparare verso il basso, per cerca-re di alzare le pietre o le schegge di piombo vicino ai due langaro-li, e riempire di pallini il tronco di rovere. Quando ebbero con-sumato due caricatori ciascuno, ritennero di aver inflitto una va-lida lezione e, saliti in macchina, sparirono dietro una curva.

Qualche minuto dopo, Notu e Bastiàn uscirono sulla strada e constatarono che il povero bue sanguinava copiosamente dal ginocchio anteriore destro. Un proiettile del mitra aveva passa-to da parte a parte le cartilagini lasciando i due fori, di entrata e di uscita, grondanti di sangue. Per cercare di tamponare la fe-rita ed evitare che la bestia mo-risse dissanguata, Bastiàn tolse il fazzoletto bisunto che aveva intorno al collo e lo legò stretto al ginocchio del bue. Il sangue cessò di fiottare, e presto for-mò un coagulo spesso. Per loro grande fortuna, il proiettile era uscito totalmente dalla zampa ed il bue sembrava non risentire affatto del dolore. Un certo bru-ciore era inevitabile, ma bisogna anche tener presente la grande resistenza di quelle bestie, av-vezze alle fatiche. Il bue non si

poteva staccare perché il carico era posto in discesa, e poi quello era l’unico mezzo che avevano. Furono chiamate in aiuto quat-tro persone del paese, due vec-chi e due ragazzi di dodici anni, mentre due robuste corde furono aggiunte ai lati del tronco per alleggerire il gravoso compito dell’animale. Notu ‘d Cajè gui-dava con perizia il valido Biùnd su per le curve, gli altri davano manforte, finché non riuscirono a portare il tronco da costruzione nel cortile.Si era fatta l’una e la nuora di Bastiàn, avvertita del fatto, pre-parò minestra in brodo di gallina per tutti e una frittata di uova, accompagnata con un salame fatto in casa e un barbera che scendeva giù come fosse acqua. Biùnd, lavato e disinfettato con acqua e aceto, fu premiato con doppia dose di fieno e crusca.

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Centro diurno AlambiccoAugusta master…un po’ speciale!di Marisa Destito

Nei mesi di febbraio e marzo, tutti i venerdì mattina dalle ore 10.30 alle ore 11.30, abbiamo deciso di “buttarci” in una nuova avventura e partecipare all’attività di Mini Golf con quattro ospiti dell’A-lambicco. L’idea di aderire a que-sta iniziativa, messa in campo dal Centro Commerciale di Carma-gnola, è nata dopo aver letto un messaggio che sponsorizzava tale iniziativa. Dopo esserci informate ed organizzate, abbiamo deciso di coinvolgere Alberto, Daniele, Os-sama e Valentina. L’attività ci ha subito appassionati e ci ha visti coinvolti in una sfida avvincente che ci permetteva di superare i limiti fisici dei nostri grandi sportivi. Ogni venerdì i nostri atleti dovevano cimentarsi e confrontarsi su 4 campi ubicati all’interno del Centro Commer-ciale. I campi erano costruiti con diversi materiali, opportunamen-te delimitati da sponde che rac-chiudevano il gioco all’interno di un’area delimitata ed abbellite con coreografie fantasiose. All’in-terno le piste erano costruite con dell’erba sintetica ed i percorsi erano tutti diversi in quanto pre-vedevano differenti difficoltà. Tali piste ci hanno dato l’opportunità di cimentarci con diversi livelli di difficoltà, ma anche di inge-gnarci per consentire ai ragazzi in carrozzina di poter giocare con dei “piccoli” aiutini da parte degli operatori coinvolti. Come tutti gli sport, anche il mini golf ha delle regole da seguire, re-gole che noi abbiamo modificato e adattato in base alle esigenze dei nostri grandi atleti.

Per ognuno dei quattro atleti ci siamo preposti degli obiettivi in-dividuali, ma ci siamo anche foca-lizzati su un obiettivo comune che noi riteniamo importantissimo: prendersi cura dell’altro. Per po-ter raggiungere questo obiettivo abbiamo pensato di fare una ro-tazione ben precisa tra i ragazzi, in modo tale che ognuno avesse un ruolo importante e potesse valorizzare le abilità del ragazzo successivo. La prima a scendere in campo era Valentina che, nono-stante fosse l’unica atleta donna, ha dato del filo da torcere a tutti i maschietti coinvolti. Prima di posizionare Valentina sul campo con la sua carrozzina, la ragazza riceveva l’aiuto di Daniele che le sistemava la pallina fra gli indica-tori di partenza e le consentiva di dare il suo colpo di partenza. Con l’aiuto di una operatrice Valentina dava il via e cercava di mettere la palla in buca con il minor numero di tocchi. Terminato il suo turno portava e passava la mazza al se-condo atleta: Alberto. Anche per lui Daniele provvedeva alla si-

stemazione della pallina in modo tale che potesse portare a termine il suo turno. A differenza di Valentina, Alberto diceva a voce alta a chi avrebbe passato la mazza (Ossama), di-mostrando un’ottima capacità mnemonica nel ricordare la giusta rotazione degli atleti. Ossama ha dovuto lavorare molto su se stesso, poiché tale attività richiedeva una grande capacità di concentrazione. Ossama è un ra-gazzino molto esuberante e tende a mettersi al centro dell’attenzio-ne attuando dei comportamenti a volte poco corretti. Durante l’atti-vità è riuscito ad essere abbastan-za equilibrato, riuscendo a mante-nere la concentrazione e portando a termine l’intero percorso. Alla fine del suo turno Ossama è sem-pre riuscito a fare amicizia con tutti i passanti e/o i lavoratori del Centro Commerciale suscitando simpatia e divertimento. Ultimo atleta, non per importanza, era Daniele che riceveva la mazza e la pallina da Ossama. Anche Danie-le si è impegnato tantissimo nel

gioco, ma soprattutto è stato quel-lo con maggiori responsabilità nel prendersi cura dei compagni. Al termine di ogni mattinata ci siamo concessi una piccola sosta al bar per rifocillarci e rigenerarci dalle “enormi” fatiche. Natural-mente l’ultimo giorno non poteva mancare il pranzo diverso dall’or-dinario, pranzo che ha decretato la fine dell’attività. Come tutti gli sport è stato decre-tato un vincitore alla fine di ogni partita, ma per noi questo signi-ficava solo esultare e mettere al centro del gruppo un ragazzo o una ragazza. Il vederli felici e fieri per il percorso fatto, sono stati per noi i maggiori indicatori che ci hanno portato a dire che l’attività è stata ben accolta e ci ha dato un ritorno più che positivo.Credo sia giusto ringraziare in primis il Centro Commerciale di Carmagnola, poiché grazie a que-sta iniziativa ci ha permesso di svolgere una nuova attività, ma soprattutto ci ha dato la possibi-lità di conoscere persone nuove. Un sentito grazie va anche alla “YoYogurt” sita all’interno del Centro Commerciale, perché con molta gentilezza ci ha consegnato il materiale utile per poter svolge-re l’attività (mazza, pallina, mati-ta e fogli per tenere il punteggio).Non può mancare un grazie a tutti gli atleti che con costanza e de-dizione hanno portato a termine questo percorso.

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CinCinema

LibLibri

ROOM di Cecilia Siccardi

Gianmaria Testa “Da questa parte del mare”

2016, pp. 102, € 12,00Edizioni Einaudi

Disponibile anche in e-book

immagina che il mondo possa esi-stere davvero oltre quelle quattro mura: per lui è finzione, qualcosa di finto che si vede in televisione, come gli ha raccontato sua madre per proteggerlo da una realtà cru-dele e oscura. Ma è infatti tenu-ta prigioniera da Old Nick da ben sette anni. E se Jack non ha mai conosciuto il mondo, lei invece lo ricorda, e capisce che l’unico modo per tornarci è attraverso suo figlio. I due attuano così un audace piano di fuga, ma uscire da Stanza signi-ficherà davvero tornare alla libertà?Room, diretto da Lenny Abrahm-son, è l’adattamento del romanzo Stanza, Letto, Armadio, Specchio di Emma Donoghue, che ha cura-to anche la sceneggiatura del film. Agli Oscar 2016, è stato nominato nelle categorie Miglior Film, Mi-glior Regia, Miglior Sceneggiatu-

ra non Originale e Miglior Attrice Protagonista, vincendo in quest’ul-tima categoria. Brie Larson effetti-vamente dà vita, nei panni di Ma, ad una performance memorabile, insieme a Jacob Tremblay nel ruo-lo di Jack. Sul loro legame si basa tutto il film: la scelta è infatti di raccontare una vicenda così delica-ta dal punto di vista più innocente, quello di Jack, per il quale Ma rap-presenta tutto il mondo. La regia segue lo sguardo del bambino: all’i-nizio Stanza appare come un luogo ampio, persino accogliente, mentre alla fine del film, quando i protago-nisti tornano, si vede come in realtà si tratti di un ambiente minuscolo e squallido. Interessante inoltre la scelta di non ridurre la vicenda a un thriller psicologico, ma di affronta-re anche gli eventi che seguono alla fuga da Stanza, che diventa una pri-

gione mentale. Mai noioso, il film regala sequenze molto emozionanti e fa riflettere sul tema del trauma e delle sue conseguenze.

E’ il racconto della grande tragedia che sta turbando il nostro mondo quello che narra Gianmaria Testa in “Da questa parte del mare”.Nato cantautore, da pochi anni co-nosciuto in Italia ma famoso ormai in tutto il mondo, qui Gianmaria diventa scrittore-poeta e racconta ora ciò che magistralmente aveva cantato già dieci anni fa nell’al-bum omonimo, premiato con la Targa Tenco nel 2007 come mi-gliore dell’anno, consapevole fin da allora del dramma vissuto da moltitudini di disperati la cui unica sfortuna era di essere nati dall’altra parte del mare.Il suo è il viaggio intenso e com-

movente attraverso storie di sof-ferenza, di dolore, di tragedia, ma anche di speranza, nonostante tut-to.Non è un osservare distaccato ma, come dice Erri de Luca, suo gran-de amico che cura la prefazione del libro, rivolto allo stesso scrittore “hai messo insieme pezzi del tuo tempo senza ricavarne un’autobio-grafia, perché non riesci a dire di te senza gli altri”; in ogni racconto si trova un po’ dell’autore, c’è parte-cipazione e struggimento ma non c’è mai retorica o commiserazione e all’altro è riservata tutta la sua attenzione.Le storie si intrecciano con i testi delle canzoni per dare ancora più forza alla denuncia che traspare in ogni frase o strofa, ma le vittime di questa tragedia per lo più non han-no astio e non provano odio verso chi le sfrutta, le violenta, le minac-cia: è una sorta di rassegnazione, di consapevolezza della necessità di sopportare, pur di raggiungere la “terra promessa”.Incontriamo: il violinista albane-se conosciuto per caso, il ragazzo cui viene cambiato nome, simbolo di identità e di appartenenza, da chi non ha rispetto per la dignità

a cura di Anastasia

dell’altro considerato “diverso” solo perché quello vero è ritenuto impronunciabile, Tinochika detto Tino, salvato nel mare di Lampe-dusa e tenuto in vita dalla speranza di un amore impossibile, la giova-ne che dopo una giornata di “lavo-ro” al freddo per le strade percorse dagli sfruttatori cerca in Gianma-ria un approdo e la salvezza, e i disperati cui noi stessi rivolgiamo parole malevole perché ai sema-fori chiedono di pulire i vetri delle nostre auto disturbandoci ma che con pochi spiccioli mantengono la famiglia rimasta nel paese d’o-rigine.Insieme a queste storie scorrono le esperienze dell’autore, cenni alla sua vita privata, alle ore trascorse con la famiglia: le scoperte di lui bambino e le esperienze dell’ado-lescenza che segneranno per sem-pre il suo sentire, il suo percorso, la sua esistenza.Scrive: ”…nei confronti del feno-

Jack, cinque anni, vive in un luogo chiamato Stanza. Non ha mai cono-sciuto nient’altro, non ha mai visto la luce del giorno se non quella che entra dal lucernario, e nemmeno

meno dell’immigrazione abbiamo avuto uno sguardo povero e impau-rito che ha fatto emergere la parte meno nobile di noi”, noi popolo di migranti che, dimenticandoci di ciò che i nostri hanno dovuto subi-re nel passato, facciamo rivivere ai più deboli le stesse sofferenze.Gianmaria se n’è andato il 30 mar-zo di quest’anno.E, come ha scritto chi gli ha voluto bene: che la terra ti sia lieve.

ALBERI DI CARTA nel parco del castello di RacconigiDomenica 15 maggio, in occasione della Giornata delle Famiglie, oltre alle normali visite sono previsti tour speciali del castello “domestico” (zona pranzo, principini, balie, cucine): due tour al mattino e due al po-meriggio.Lo stesso giorno, in occasione del Salone del Libro di Torino, i visitatori del parco (orario apertura dalle ore 10 alle ore 19) avranno l’op-portunità di partecipare a ALBERI DI CARTA, proposto dal Comitato “Racconigesi per il Castello” in collaborazione con la Direzione del parco e l’Amministrazione Comunale di Racconigi.Queste le iniziative previste.Presso il punto di ristoro della dacia russa (in caso di maltempo nella sala cinema del castello), alle ore 16.00, presentazione di due libri di giovani racconigesi, con la partecipazione degli autori e della prof.ssa Luisa Perlo:- “I ragazzi del Millennio. Una ricerca sulle attività extrascolastiche a Torino”, di Simone Martino - Alessio Perlino - Federico Zamengo, 2015, Il Mulino - “Navitas. L’ultimo guerriero” di Davide Bergesio, 2014, YoucanprintSempre presso la dacia russa (in caso di maltempo nella sala mostre del castello) esposizione di testi e pubblicazioni riguardanti il territorio, a

cura della biblioteca di Racconigi.Nella zona dell’imbarcadero (in caso di maltempo nello spazio mostre attiguo al castello): “Piccoli lettori crescono”, laboratorio di lettura e creatività a cura dei volontari della biblioteca di Racconigi per gruppi di bambini della fascia di età 7 – 11 anni, in quattro turni alle ore 11, 15, 16, e 17. Nella zona in prossimità della dacia (in caso di maltempo nello spazio mostre attiguo al castello), esposizione e vendita libri e riviste da parte delle cartolibrerie e delle edicole di Racconigi.

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Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009Direttore responsabile Spessa AndreaRedazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Mario Monasterolo Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia LiprandiSede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti [email protected] Conto corrente postale n° 000003828255Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

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MusMusica

oggi, caso mai, si indossano cappellini con i colori della propria squadra del cuore, sem-bra essere la unica identità che contraddistingue i gruppi. E non veniteci a dire che invece le dif-ferenze esistono, certo che esi-stono ma si vedono molto meno.Durante il periodo delle elezio-ni, negli spazi di affissione, c’e-rano manifesti a strati; un paio di volte la settimana almeno, si incollavano nuovi slogan, un manifesto sull’altro, nuove spin-te a votare questo piuttosto che quello. Chi ricorda i grandi re-ferendum sul divorzio e sull’a-borto? Che vivacità, quanto la-voro prima di arrivare ai fatidici giorni del voto! Si conoscevano quasi tutti quelli che avrebbero fatto una scelta o l’altra.E oggi? Presidenti, ex presiden-ti, alte cariche dello Stato che invitano a non votare, televisio-ni e giornali praticamente muti sul tema, spazi elettorali senza un manifesto. Un limbo senza colori! Eppure anche questi Referendum sono esempi di De-mocrazia.E noi dove ci collochiamo? Chi siamo? Quali compagni di viag-gio ci accompagnano? Ci sem-

YO YO MUNDIEvidenti Tracce Di Felicitàdi Giuseppe Cavaglieri

Ecco finalmente il nuovo album degli Yo Yo Mundi intitolato Evidenti tracce di felicità. Tor-na, a cinque anni dal fortunato Munfrâ, il gruppo piemontese che colora la scena della musi-ca e della canzone d’autore ita-liana da oltre venticinque anni. Si suona con gli occhi chiusi, si sogna con le orecchie aperte, cantano gli Yo Yo Mundi, in una delle canzoni di questo album, e meglio di così non si potrebbe spiegare la genesi dello stesso:

un disco suonato, sognato e de-siderato. Si tratta di dodici brani caratterizzati da un suono ancora diverso e, in qualche modo, più evoluto rispetto ai lavori prece-denti: un disco profondamente acustico, solo a tratti lievemente elettrico, realizzato privilegiando suoni analogici e valvolari, re-gistrato senza l’ausilio di suoni elettronici. Il filo invisibile, ma resistente, che unisce i racconti e le storie delle singole canzoni, è la prova dell’esistenza di una felicità possibile. Infatti, canzo-ne dopo canzone, o meglio, bri-ciola dopo briciola, come nella favola di Pollicino, ne ritroviamo le tracce che via via si fanno più evidenti. Così le dodici storie, che in fondo sono tutte canzoni d’a-more, rendono omaggio alla vita e all’incontro, per affermare l’esi-stenza della felicità. Non si tratta, però, di una ricerca a tutti i costi della felicità: è solo il desiderio di segnalare in que-sti tempi pieni di superficialità, violenza ed egoismo, una strada possibile affinché le nostre vite non vengano contagiate da que-sto clima devastante e dalla ten-denza al disincanto. L’invito è ad andare controcorrente, facendo

scelte differenti, non artefatte, che offrano speranza, curiosità, voglia di futuro, felicità assor-tite. Se in ogni lacrima c’è una poesia in ogni sorriso ci sarà una rivoluzione. Gli ospiti che hanno contribuito alla realizzazione di questo nuovo album sono tutti ar-tisti vicini al gruppo monferrino da Chiara Giacobbe, violinista, che è diventata a tutti gli effetti il sesto YYM, Paolo Bonfanti che ha suonato chitarra e dobro, Si-mone Lombardo che ha seminato cornamuse, ghi-ronde, flauti in di-verse canzoni fino a Gino Capogna, Betti Zambruno, Alan Brunetta, Federica Addari, Andrea Negruzzo, Ludovica Valori, Rino Garzia, Mar-ta Wingu, ma le partecipazioni di Gianni Maroccolo (Ex CSI ed ex pro-duttore artistico degli YYM), Cri-stina Nico - rispet-tivamente al basso e alla voce in Cuo-re Femmina - e di

Anna Maria Stasi (CFF), voce solista in Chiedilo alle nuvole, meritano una segnalazione spe-ciale. Prodotto artisticamente da Pao-lo Enrico Archetti Maestri con la collaborazione di Eugenio Merico, l’album è stato regi-strato e missato da Dario Mec-ca Aleina nello studio Suoni & Fulmini di Rivalta Bormida. Ideazione grafica, illustrazioni e fotografie sono di Ivano A. An-tonazzo.

bra di camminare in una nebbia tanto densa da disorientarci. Non è un rimpianto del passato, è ricerca di identità perduta, deside-rio di ritrovarsi, di riconoscersi in qualcosa che non sia una squadra di calcio.Quasi non ci si riconosce più nep-pure nell’essere italiani; abbia-mo i figli che lavorano, studiano, viaggiano fuori del nostro paese e siamo obbligati a conoscere al-tri mondi perché siamo collega-ti a questi mondi, in un modo o nell’altro. Certo, visto da un’altra prospettiva questo è un bene ma ci sentiamo spaesati, sperduti, oppure ci aggrappiamo con le un-ghie a quei bricioli di identità che pateticamente vogliamo salvare a tutti i costi.Forse possiamo identificarci in un paese più grande: l’Europa.Proviamoci, in barba a quelli che credono ancora nelle barriere, nelle separazioni doganali, nei muri, nelle monete nazionali, nel-le autonomie.Purtroppo abbiamo ancora diffi-coltà a sentirci pienamente italia-ni nonostante l’unità del nostro paese sia datata 1861 e vogliamo sentirci europei? Lo abbiamo det-to sopra i cambiamenti oggi sono

entro dicembre 2016

2016

così rapidi da seguirli a stento, eppure non possiamo ritirarci in un austero isolamento dobbiamo provare a seguire il tempo che scorre. La differenza fra gli ita-liani e i tedeschi, gli ungheresi e gli spagnoli è enorme ma molto ci accomuna se ci confrontiamo con le culture asiatiche, africane o sud americane, abbiamo un’al-tra storia da loro.In comune gli stati membri della Unione Europea hanno i princìpi fondamentali come la pace, l’u-guaglianza, la libertà, princìpi da cui derivano le nostre rispettive Carte Costituzionali ma anche gli obiettivi che gli Stati perseguo-

no; ed è per questo che è neces-saria la cooperazione fra questi Stati e la cooperazione inizia dai cittadini di ogni singola Nazione.L’abazia di Staffarda, tra Saluzzo e Pinerolo, viene poeticamente definita “L’armonia nella dise-guaglianza” perché ogni capitel-lo, ogni arco, ogni colonna sono diversi gli uni dagli altri ma a poche decine di metri di distanza l’Abazia possiede una sua strut-tura unitaria, netta, un suo dise-gno che la rende unica. L’Europa potrà diventare una gi-gantesca e forte “Armonia nella diseguaglianza? Noi crediamo debba essere indispensabile.