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Capitolo 1 - La «questione fiscale» delle società IAS/IFRS

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Capitolo 1 LA «QUESTIONE FISCALE» DELLE SOCIETÀ IAS/IFRS

di Giuseppe Zizzo

Sommario: 1. Premessa 2. La prima fase: la ricerca della neutralità «sostanziale» 3. I limiti di questo approccio e le ipotesi di riforma 3.1. Le criticità affiorate nella prima fase 3.2. L’ipotesi del «binario unico» 3.3. L’ipotesi del «doppio binario» 3.4. Le ipotesi intermedie 4. La seconda fase: la neutralità «procedurale» 4.1. Il rinvio ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi contabili internazionali 4.2. I rapporti tra i criteri di qualificazione, im-putazione temporale e classificazione in bilancio 4.3. I rapporti tra i criteri di quali-ficazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio e le regole tributarie 4.4. Neutralità «procedurale» e disuguaglianza «sostanziale» 4.5. Neutralità «proce-durale» e accertamento tributario 5. Il principio di derivazione e il risultato del pro-spetto di conto economico complessivo

1. Premessa La «questione fiscale» delle società che adottano i principi contabili in-

ternazionali1 nasce dalla combinazione di due fattori: uno in campo contabi-le ed uno in campo tributario. In campo contabile, mi riferisco all’introdu-zione, con il D.Lgs. n. 38/2005, dell’obbligo per alcune categorie di società, della facoltà per altre, di redigere i bilanci d’esercizio secondo i principi con-tabili internazionali (IAS/IFRS), anziché secondo i principi contabili nazio-nali e le disposizioni del codice civile. In quello tributario, al nesso di deriva-zione, che, ai sensi dell’art. 83 del TUIR, unisce l’imponibile IRES al risultato d’esercizio ed innesta il calcolo del primo sulla determinazione del secondo.

Essa si dirama (principalmente) lungo due versanti: quello della dispari-tà di trattamento, posto che, conteggiando l’imponibile su risultati di eserci-zio difformi, soggetti versanti in situazioni economiche omogenee potreb-bero subire prelievi di entità diversa unicamente in ragione del sistema con-tabile utilizzato (spesso non per scelta); e quello della complessità di appli-cazione, trattandosi di utilizzare un insieme di regole (le regole relative alla determinazione dell’imponibile) modellato per operare con riferimento a voci di bilancio formate utilizzando un certo sistema contabile (quello na-

1 Per una sintesi dei temi proposti dall’adozione degli IAS/IFRS nel nostro ordinamento cfr. Ruggiero e Melis, Pluralità di sistemi contabili, diritto commerciale e diritto tributario: l’esperienza italiana, in Rass. trib., 2008, pag. 162; Venuti, Measuring Company Income Tax on the Basis of the International Accounting Standards/International Financial Reporting Standards (IAS/IFRS): the Italian Case, in British Tax Review, n. 4/2010, pag. 361.

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zionale) a voci di bilancio formate utilizzando un altro sistema contabile (quello internazionale).

La cura del primo versante suggerisce di ampliare detto insieme di rego-le, sviluppando ulteriormente la prospettiva dell’autosufficienza dell’impo-nibile dal risultato di esercizio, con l’aggiunta, a regole informate alle tradi-zionali esigenze di semplificazione, certezza, neutralità, assenza di salti d’imposta o di doppie imposizioni, contrasto all’elusione e all’evasione, di regole informate all’esigenza di neutralità del prelievo rispetto al sistema contabile utilizzato.

La cura del secondo spinge invece ad una revisione dell’insieme consi-derato, per verificare la capacità delle regole che lo compongono di soddi-sfare le esigenze di semplificazione, certezza, neutralità, assenza di salti d’imposta o di doppie imposizioni, contrasto all’elusione e all’evasione, per le quali sono state introdotte, anche quando applicate da società IAS/IFRS.

2. La prima fase: la ricerca della neutralità «sostanziale» In una prima fase, avviata dallo stesso D.Lgs. n. 38/2005, gli interventi

sulle regole indicate hanno, almeno in prevalenza, colto soltanto la prima dimensione della «questione». Si sono concentrati sulla possibilità che sog-getti nella medesima situazione economica subissero prelievi diversi unica-mente in ragione del diverso sistema contabile utilizzato, con un duplice esi-to: di disparità di trattamento, anzitutto, e poi di interferenza del fattore fi-scale nella scelta (laddove ammessa) dell’impianto contabile. E si sono quin-di preoccupati di assicurare un imponibile tendenzialmente indifferente al sistema contabile utilizzato.

Era invero agevole osservare che, sebbene l’ordinamento (pur non ri-nunciando al legame tra le due grandezze) avesse da tempo imboccato la via della dissociazione dell’imponibile dal risultato d’esercizio, munendo il mec-canismo delle variazioni (in aumento e in diminuzione) al predetto risultato di un’estensione e di una flessibilità assai ampie, tuttavia questo processo non permetteva di assumere la sostanziale insensibilità del conteggio dell’imponibile ai cambiamenti riguardanti le regole sulla determinazione del risultato di esercizio, specie se dotati della consistenza di quelli prodotti dal passaggio dai principi contabili nazionali a quelli internazionali2.

2 Per le prime riflessioni sulle implicazioni sul versante tributario della adozione degli IAS/IFRS:

Miccinesi, L’impatto degli IAS nell’ordinamento tributario italiano ala luce della riforma del TUIR: fi-scalità corrente e differita, in Giur. imp., 2004, pag. 1435; Gaffuri, I principi contabili internazionali e l’ordinamento fiscale, in Rass.trib., 2004, pag. 871; Gallo, Riforma del diritto societario e imposta (segue)

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Insomma, benché la normativa sulla determinazione dell’imponibile of-frisse3 strumenti di identificazione e misurazione dei componenti di reddito che, per la loro autonomia rispetto a quelli utilizzati nella redazione del bi-lancio di esercizio, si prestavano ad assorbire (o quanto meno a smussare) molte delle divergenze generate dalla convivenza dei due sistemi contabili, residuavano aree nelle quali era plausibile che questi ultimi avrebbero mo-dellato l’imponibile in modo diverso.

Le integrazioni al TUIR realizzate in questa fase, principalmente ad o-pera del citato D.Lgs. n. 38/20054, fondamentalmente aspiravano a (quanto meno) ridurre l’ampiezza di dette aree5.

In questa prospettiva si muovevano le modifiche agli artt. 83 e 109, comma 4, le quali avevano l’obiettivo di rendere ininfluente sulla determina-zione dell’imponibile il fatto che i principi contabili internazionali escludano alcuni elementi di reddito dal transito dal conto economico6. sul reddito, in Giur. comm., 2004, I, pag. 273; Verga, Riflessi tributari dell’adozione dei nuovi princi-pi contabili internazionali, in Rass. trib., 2004, pag. 231.

3 Nel 2005, ancora più di oggi, stante che nel 2005 l’art. 109, comma 4, lett. b), del TUIR sot-traeva alla previa imputazione a conto economico gli ammortamenti, le rettifiche di valore e gli accantonamenti, consentendo, attraverso variazioni in diminuzione al risultato del conto eco-nomico, di includere nel calcolo dell’imponibile, ad esempio, le quote di ammortamento dell’avviamento e dei marchi che i principi contabili internazionali non ammettono. Oppure quegli accantonamenti a fondi rischi e oneri futuri fiscalmente tipici che i principi contabili inter-nazionali non ammettono o ammettono in misura inferiore, per effetto delle modalità di quantifi-cazione adottate (era il caso degli accantonamenti per le indennità di fine rapporto, per la cui determinazione i principi contabili internazionali impongono il ricorso al metodo attuariale). Que-sta deroga, introdotta con la Riforma Tremonti del 2003, è stata soppressa dalla legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008).

4 Zizzo, I principi contabili internazionali nei rapporti tra determinazione del risultato d’esercizio e determinazione del reddito imponibile, in Riv. dir. trib., 2005, I, pag. 1165.

5 La relazione al decreto precisava che con lo stesso sono state introdotte quelle modifiche strettamente indispensabili a consentire l’applicazione dei meccanismi di determinazione della base imponibile ai soggetti che utilizzeranno i principi contabili internazionali, «salvaguardando, nei limiti del possibile, la neutralità dell’imposizione rispetto ai diversi criteri di redazione del bilan-cio d’esercizio».

6 Ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs. n. 38, queste disposizioni operavano anche con ri-ferimento ai componenti che venivano alla luce in sede di prima applicazione dei principi con-tabili internazionali. Poiché il D.Lgs. n. 38 non indicava la decorrenza delle disposizioni tributarie che conteneva, sia quelle che interessavano le sole società che adottano i principi contabili in-ternazionali sia quelle che interessavano la generalità delle società, si doveva ritenere (così infatti Sammartino, I principi generali relativi al reddito d’impresa, in AA.VV., L’IRES due anni dopo: con-siderazioni, proposte e critiche, Milano, 2005, pag. 40) che queste avessero effetto solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono entrate in vigore (e quindi dal periodo d’imposta 2006), secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, della legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente). Ai sensi dell’art. 1, comma 1, di questa legge, l’anticipazione al 2005 avrebbe infatti richiesto una deroga espressa. Se quest’ultima poteva, for-se, ravvisarsi in quelle disposizioni nelle quali si faceva riferimento alla prima applicazione dei principi contabili, e la cui operatività era chiaramente connessa a questo evento (che ben po-(segue)

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Dopo detti interventi, infatti, l’art. 83 prevedeva che il risultato del con-to economico, prima di essere inciso dalle consuete variazioni (in aumento e in diminuzione) di matrice fiscale, dovesse essere aumentato o diminuito dei componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi con-tabili internazionali, mentre l’art. 109, comma 4, stabiliva che i componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili interna-zionali dovessero essere considerati imputati a conto economico.

Degli interventi compiuti in questa fase, nella direzione della neutralità «sostanziale», alcuni si rivolgevano alla generalità delle società.

Ad esempio, con il D.Lgs. n. 38/2005 è stato riformulato il comma 3 dell’art. 110 (e abrogato il comma 4), per disporre l’ininfluenza sull’imponi-bile delle differenze cambio nascenti dalla valutazione (in bilancio) delle po-ste monetarie in valuta secondo il cambio del giorno di chiusura dell’esercizio.

Con il D.L. n. 223/2006 (convertito con modificazioni nella legge n. 248/2006) è stato vietato di conteggiare nell’imponibile le quote di ammor-tamento del costo delle aree occupate dai fabbricati strumentali e delle aree che ne costituiscono pertinenze, con le connesse regole per lo scorporo del valore di dette aree laddove acquisite insieme al fabbricato.

Altri invece riguardavano unicamente le società IAS/IFRS. In tema di leasing finanziario, lo stesso D.Lgs. n. 38/2005, per non pena-

lizzare le società che, passando ai principi contabili internazionali, erano co-strette a contabilizzare queste operazioni con il metodo finanziario, aveva modificato gli artt. 102, comma 7, e 109, comma 4, lett. b), in guisa da auto-rizzare le società utilizzatrici – quale che fosse il metodo contabile adottato, e quindi anche se, anziché quello patrimoniale indicato dai principi contabili nazionali, utilizzavano quello finanziario prescritto dai principi contabili in-ternazionali – ad includere l’intero importo dei canoni tra i componenti ne-gativi del reddito, operando, se si avvalevano del metodo finanziario, una variazione in diminuzione al risultato del conto economico per l’eccedenza rispetto alla somma degli interessi passivi (inglobati nei canoni) e degli am-mortamenti (del bene in leasing) imputati a conto economico7.

teva collocarsi nel 2005), per le altre appariva assai arduo superare detta regola generale. Tutta-via, aderendo a questa soluzione, le società che fossero passate ai principi contabili internazio-nali sin dal 2005 si sarebbero trovate sprovviste di un’adeguata disciplina tributaria, sicché l’anticipazione al 2005 degli effetti della generalità delle disposizioni tributarie del decreto (peral-tro riconosciuta, senza alcuna incertezza, dalla stessa Amministrazione finanziaria nella risoluzione Agenzia Entrate, 17 giugno 2005, n. 80/E), pur non formulata in modo espresso, avrebbe potuto essere difesa adducendo quella stessa esigenza di tutela dei contribuenti che giustifica la regola generale (si sarebbe trattato, cioè, di un’anticipazione in bonam partem).

7 Anche questa disciplina è stata soppressa dalla legge n. 244/2007.

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In tema di «altre spese relative a più esercizi» di cui all’art. 108, comma 3, ancora il D.Lgs. n. 38/2005, per impedire che il rinvio alla quota imputa-bile (contabilmente) a ciascun esercizio si risolvesse, per le società che adot-tavano i principi contabili internazionali, nella possibilità di una deduzione immediata delle stesse (atteso lo sfavore di questi per la capitalizzazione del-le spese), ha aggiunto un secondo periodo al comma in questione, preve-dendo che dette spese, se non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali, sono deducibili nell’esercizio in cui sono sostenute e nei quattro successivi, prevedendo, cioè, una loro obbligatoria distribuzione su cinque esercizi8.

In tema di spese per studi e ricerche di sviluppo, il D.L. n. 223/2006, per assicurare alle società IAS/IFRS la possibilità di avvalersi pienamente della deduzione immediata di queste spese (che i principi contabili interna-zionali impongono, in linea di principio, di capitalizzare) prevista dall’art. 108, comma 1, aveva inserito le stesse nel novero di quelle detraibili in via extracontabile ai sensi dell’art. 109, comma 4, lett. b)9.

Alla logica anzidetta è stata, inoltre, informata la disciplina della transi-zione dai principi contabili nazionali a quelli internazionali (First Time Adop-tion). Nel regolare questo fenomeno si è scelto infatti di garantire, per quan-to possibile, la sua ininfluenza sulla misurazione dell’imponibile, tanto nell’esercizio interessato dallo stesso, quanto in quelli successivi.

Con il D.Lgs. n. 38/2005 è stata quindi disposta l’irrilevanza del ripri-stino e dell’eliminazione nell’attivo, rispettivamente, di costi imputati al con-to economico di precedenti esercizi, ma da capitalizzare secondo gli IAS/IFRS, e di costi capitalizzati in precedenti esercizi, ma da spesare se-condo gli IAS/IFRS, nonché l’irrilevanza dell’eliminazione nel passivo di fondi alimentati da accantonamenti dedotti, ma non ammessi dagli IAS/IFRS. E’ stata inoltre accordata la possibilità, a determinate condizioni, di continuare a valutare (ai soli fini fiscali) le rimanenze con il metodo LI-FO, e le commesse pluriennali con il metodo del costo.

8 La previsione (ancora in vigore) genera gravi incertezze in sede applicativa, implicando la

necessità di stabilire caso per caso, in un contesto in cui la distinzione ha perso di rilevanza, e non è dunque contabilmente evidenziata, la natura annuale o pluriennale dell’onere sostenuto.

9 Anche questa disciplina è venuta meno per effetto delle modifiche al TUIR attuate con la legge n. 244/2007.

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3. I limiti di questo approccio e le ipotesi di riforma

3.1. Le criticità affiorate nella prima fase Gli aggiustamenti operati nella prospettiva della neutralità «sostanziale»

(con il citato D.Lgs. n. 38/2005 e con i provvedimenti successivi) sono ben presto apparsi, per numero e portata, chiaramente insufficienti a dirimere del tutto i problemi applicativi sollevati dal nuovo assetto.

Come detto, questi interventi coglievano soltanto uno dei profili di cri-ticità affioranti, quello della disparità di trattamento, senza, peraltro, riuscire a cancellarla10.

Sostanzialmente negletto era invece un altro profilo, molto sentito dalle società con bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali, quello della accresciuta complessità del procedimento da seguire per tradurre nell’imponibile il risultato d’esercizio. Poiché i principi internazionali sono informati al modello del reddito maturato e postulano la prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, la fedeltà della disciplina di detto procedimento al modello del reddito realizzato, offerto dai principi contabili nazionali, nonché, e soprattutto, il suo legame alle forme giuridiche, com-portava infatti che il passaggio dal risultato d’esercizio all’imponibile IRES si configurasse, per le società con bilanci redatti secondo i principi contabili internazionali, di gran lunga più macchinoso di quello richiesto alle società con bilanci redatti secondo i principi nazionali, e producesse la necessità di gestire nel tempo ampi disallineamenti tra valori contabili e valori fiscalmen-te riconosciuti11.

La Commissione di studio sull’imposizione fiscale sulle società insediata nel 2006 (conosciuta come Commissione Biasco, dal nome del suo presi-dente, il prof. Salvatore Biasco), nella sua relazione finale pubblicata nel 2007, collocava pertanto la «questione» in esame al vertice di quelle definite

10 Sulla inidoneità delle misure adottate con il D.Lgs. n. 38/2005 a soddisfare in modo pieno

l’esigenza di sganciare il calcolo dell’imponibile dal sistema contabile adottato cfr.: Zizzo, op. cit., pagg. 1168 ss.; Bianchi e Di Siena, Il coordinamento tra IAS e disciplina del reddito d’impresa: il principio di derivazione è giunto al capolinea?, in Dialoghi dir. trib., 2005, pagg. 141 ss.

11 Lo scollamento tra l’approccio dei principi contabili internazionali e quello della normati-va tributaria è messo bene in luce da alcune prese di posizione dell’Agenzia delle Entrate, solleci-tate da interpelli formulati da società IAS/IFRS, e segnatamente: risoluzione Agenzia Entrate, 16 maggio 2007, n. 100; risoluzione Agenzia Entrate, 9 agosto 2007, n. 217. Sulle criticità emerse nel corso della descritta prima fase, e sulle linee di intervento che si aprivano: Salvini, Gli IAS/IFRS e il principio fiscale di derivazione, in AA.VV., IAS/IFRS, la modernizzazione del diritto contabile in Ita-lia, Milano, 2007, pag. 193; Vacca, Gli IAS/IFRS e il principio di prevalenza della sostanza sulla for-ma: effetti sul bilancio e sul principio di derivazione nella determinazione del redito d’impresa, in AA.VV., IAS/IFRS, la modernizzazione del diritto contabile in Italia, op.cit., pag. 211.

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cruciali, articolando una serie di considerazioni di metodo che è opportuno in questa sede ripercorrere12.

3.2. L’ipotesi del «binario unico» Nel trattare delle prospettive di riforma, la Commissione anzitutto scar-

tava le due ipotesi più radicali, e cioè l’ipotesi del cosiddetto «binario unico» e quella del cosiddetto «doppio binario».

L’ipotesi del «binario unico» prevede l’identificazione dell’imponibile nel risultato d’esercizio. Un nesso di derivazione del tutto rigido, quindi, non temperato da variazioni. Per la Commissione questo approccio «po-trebbe portare ad un’eccessiva volatilità del risultato imponibile», stante il ri-lievo che nei principi contabili internazionali hanno i plusvalori e i minusva-lori meramente maturati. Produrrebbe inoltre «un mutamento dell’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria», in quanto la stessa, per verifica-re l’esatto adempimento dell’obbligazione d’imposta, sarebbe tenuta a con-trollare l’osservanza dei suddetti principi contabili.

Il giudizio negativo formulato dalla Commissione su questa ipotesi è, a mio parere, da condividere.

Quanto alla rilevanza dei plusvalori e dei minusvalori meramente matu-rati, è vero che la loro sistematica inclusione nell’imponibile risulta inoppor-tuna, sotto più profili13, tuttavia, poiché la gran parte di essi non concorre a formare il risultato di esercizio14, il rischio vero dell’impostazione considera-ta non è quello della loro sistematica inclusione nell’imponibile15, ma quello della loro sistematica esclusione, difettando, tanto nell’esercizio della matu-razione quanto in quello della realizzazione, la partecipazione a detto risul-tato.

12 In argomento Zizzo, Gli IAS e la determinazione del reddito d’impresa nella «relazione Bia-

sco», in Corr. Trib., 2007, pag. 2899. 13 In primo luogo, perché, essendo la loro quantificazione frutto di stime, spesso assai com-

plesse, fomenterebbe la litigiosità tra fisco e contribuenti, e sacrificherebbe il valore della certez-za del rapporto tributario. E poi, perché, trattandosi di elementi volatili, suscettibili così di ampliarsi come di contrarsi, e persino di trasformarsi gli uni negli altri (le plusvalenze in minusvalenze, e vi-ceversa), da una parte, e guardato dal punto di vista del fisco, pregiudicherebbe il valore della stabilità degli imponibili (e quindi del gettito tributario), dall’altra, e guardato dal punto di vista dei contribuenti, imporrebbe un ampliamento delle possibilità di compensazione delle perdite fi-scalmente riconosciute, con riporto, oltre che in avanti, anche all’indietro. Infine, perché, nel ca-so di plusvalori, non si abbinerebbe alla disponibilità, da parte dei soggetti passivi, della liquidità richiesta per fronteggiare la relativa obbligazione tributaria.

14 In quanto, prima dell’entrata in vigore della nuova versione dello IAS 1 (2009), imputata direttamente a patrimonio netto, dopo, esposta tra le altre componenti di conto economico complessivo (sulla rilevanza nel calcolo dell’imponibile di queste ultime si veda infra il paragrafo 5).

15 Salvo, vigente il nuovo IAS 1, ad assumere a punto di partenza per la misurazione dell’imponibile, anziché l’utile di esercizio, l’utile complessivo di esercizio.

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In generale, poi, la soluzione del «binario unico», implicando un rinvio integrale alle regole contabili, è palesemente antitetica all’esigenza di certez-za del rapporto tributario che impronta la maggior parte delle norme sulla determinazione dell’imponibile, se solo si osserva, come riscontrava la Commissione, che molti valori di bilancio sono, nei principi contabili inter-nazionali, basati «su modelli matematici, su regole statistiche, su valutazioni probabilistiche, su tecniche attuariali», o si riflette sulle difficoltà connesse all’utilizzo del criterio della prevalenza della sostanza sulla forma.

Come evidenziato sopra, la certezza del rapporto tributario non è l’unico interesse ad essere valorizzato nel sistema delle variazioni al risultato del conto economico. La soppressione di questo sistema implicherebbe la rinuncia a tutelare anche gli altri interessi richiamati: quello di escludere in-quinamenti dei bilanci, quello di proteggere la base imponibile da manovre elusive o evasive, quello di impedire la doppia imposizione, quello di pro-muovere l’efficienza, il rafforzamento e la razionalizzazione degli apparati produttivi. Una scelta così estrema è però molto difficile da immaginare se si riconosce, come l’ordinamento attualmente riconosce, la meritevolezza degli interessi in questione, e quindi l’esigenza di assicurarne la protezione mediante appropriate correzioni ai dati di bilancio.

3.3. L’ipotesi del «doppio binario» L’ipotesi del «doppio binario» prevede, all’opposto, che l’imponibile sia

calcolato in modo autonomo e, dunque, senza nesso di derivazione dal risul-tato di esercizio. Per la Commissione questa soluzione esporrebbe «i contri-buenti ad una determinazione dell’imponibile sulla base di scelte che di volta in volta sarebbero rimesse al legislatore senza alcun aggancio a quei criteri economici elaborati dalla dottrina contabile per individuare la c.d. “ricchez-za novella”, che fino ad oggi sono stati la maggiore garanzia dell’obiettività dell’imposizione».

Non condivido questa preoccupazione. L’aggancio al risultato d’esercizio assicura, è vero, all’imposta una base

economica attendibile, perché formata in via analitica secondo le indicazioni fornite dalle scienze aziendali. Il reddito, quale nozione economica, sfugge però ad una definizione univoca, dipendendo questa, in buona parte, come la convivenza tra principi contabili nazionali ed internazionali attesta, dalla funzione assegnata alla sua rilevazione.

Più della fedeltà al modello utilizzato nel bilancio di esercizio conta che il modello adottato nel calcolo dell’imponibile sia ragionevole. Rifletta, per-tanto, uno dei modelli elaborati da dette scienze (anche se diverso da quello scelto per la misurazione del risultato d’esercizio), e lo declini in modo coe-rente nelle sue componenti, in armonia con quei valori che devono informa-re la disciplina del prelievo tributario (riparto secondo capacità contributiva,

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come pure semplificazione, certezza, neutralità, assenza di salti d’imposta o di doppie imposizioni, contrasto all’elusione e all’evasione).

L’opzione per il sistema del «doppio binario» non abbasserebbe pertan-to il livello di tutela offerto – all’interesse ad una giusta imposta – da un si-stema che, come quello attuale, assuma il risultato del conto economico come punto di partenza del calcolo del reddito d’impresa.

Ed invero, per gli elementi di reddito fiscalmente tipici la tutela di que-sto interesse si risolve, tanto nel modello della derivazione parziale quanto in quello del doppio binario, esclusivamente all’interno della normativa tri-butaria, che individua tempi, modi e forme del loro concorso alla determi-nazione del reddito d’impresa, senza richiedere la cooperazione della nor-mativa sul bilancio d’esercizio, e si concretizza nell’esigenza di un razionale fondamento a tale disciplina. Per quelli fiscalmente atipici, assumendo l’integrazione del modello del doppio binario con una norma di chiusura che rinvii al bilancio per quanto non diversamente disposto, detta tutela si risolve invece, parimenti in entrambi i modelli, nel collegamento con la normativa sul bilancio d’esercizio, alla quale tempi, modi e forme del loro concorso alla determinazione del reddito d’impresa sono rimessi dalla nor-mativa tributaria (sia pure con modalità diverse).

Peraltro, mentre l’adozione del modello del binario unico massimizze-rebbe la differenza tra gli imponibili delle società che utilizzano i principi nazionali e quelli delle società che utilizzano i principi internazionali, l’adozione del modello del doppio binario consentirebbe di minimizzarla, confinandola alle ipotesi coperte dalla norma di chiusura. Produrrebbe, in altre parole, l’assetto normativo più coerente con la neutralità cercata dal D.Lgs. n. 38/2005.

3.4. Le ipotesi intermedie Respinte le soluzioni indicate, le tre proposte che la Commissione trat-

teggiava nella relazione si muovevano all’interno del sistema della derivazio-ne parziale e si indirizzavano a restringere il divario tra l’imponibile IRES e il risultato d’esercizio ottenuto applicando i principi contabili internazionali.

La prima, quella più estrema, prevedeva che l’imponibile fosse costitui-to dall’utile distribuibile emergente dal bilancio (compreso quello inviato a riserva legale, che distribuibile non è), «nell’ottica semplificatrice di rendere fiscalmente rilevante ciò che costituisce anche ricchezza di cui possono be-neficiare i soci».

La prospettiva, non nuova, che questa soluzione sviluppava è quella che attribuisce al fisco il ruolo di socio (per legge) dell’operatore economico, ed in tale qualità lo investe del diritto ad una quota dei suoi utili, e si avvicina molto, evidentemente, a quella del «binario unico», della quale condivide pertanto alcuni degli inconvenienti sopra denunciati, differenziandosene per

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non escludere in radice la presenza di variazioni al risultato d’esercizio. Que-ste dovrebbero però essere drasticamente ridotte, residuando quelle destina-te ad evitare fenomeni di doppia imposizione, a produrre differenze perma-nenti da considerare irrinunciabili (come quella che riguarda le imposte sul reddito), a contrastare l’elusione.

Il dubbio che la soluzione considerata solleva è il seguente: ma se di tante variazioni si può davvero fare a meno, perché la loro cancellazione de-ve toccare solo le società che adottano i principi contabili internazionali?

La replica, in effetti, sembra agevole da formulare: le società che utiliz-zano detti principi sono prevalentemente società di grandi dimensioni, spes-so soggette a vigilanza, e formano un insieme circoscritto. L’innalzamento del tasso di incertezza, a livello di sistema, non dovrebbe pertanto risultare significativo, e comunque potrebbe essere contenuto con una gestione spe-ciale dei controlli relativi a queste società. Tuttavia, poiché con l’attesa at-tuazione della Direttiva n. 2003/51/CE, di modernizzazione delle legisla-zioni in tema di bilanci delle società di capitali, le regole contabili nazionali dovrebbero essere sottoposte ad una profonda revisione, che dovrebbe av-vicinarle a quelle internazionali, è da attendersi che molti dei problemi che ora appartengono ad una ristretta cerchia di società diventino comuni a tut-te, imponendo la ricerca di una soluzione diversa, fruibile dalla generalità delle società.

La seconda e la terza via indicate dalla Commissione erano meno ever-sive della prima, ed erano quindi più adatte ad operare nei confronti di una platea ampia di destinatari.

La seconda prevedeva la sottrazione delle società IAS/IFRS al campo di applicazione dell’art. 109 del TUIR, nella parte in cui disciplina l’imputazione temporale dei componenti di reddito. Queste società avrebbe-ro dovuto fare riferimento, «per individuare il momento di imputazione del provento e dei costi, nonché la loro natura, alle qualificazioni e alle rappre-sentazioni del bilancio IAS». Il nesso di derivazione sarebbe risultato indub-biamente rafforzato da questo intervento, ma, ancora una volta, a discapito della certezza del rapporto tributario, implicando l’ingresso, senza alcun fil-tro, nella misurazione del reddito d’impresa di elementi da qualificare e col-locare nel tempo secondo il principio della prevalenza della sostanza sulla forma e secondo le sue applicazioni.

Più attenta alla predetta esigenza di certezza era la terza via configurata dalla Commissione, la quale consisteva nell’individuare, «in modo esplicito, un maggior numero di fattispecie contabili IAS da porre a riferimento della determinazione della base imponibile in luogo dei tradizionali criteri».

Il trasferimento di valori dalla misurazione del risultato di esercizio (se-condo i principi contabili internazionali) alla misurazione del reddito

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d’impresa avrebbe avuto in questa soluzione carattere selettivo, in quanto a-vrebbe richiesto la presenza di una disposizione abilitante, o perché contenen-te un generico rinvio alla disciplina contabile, o perché contenente uno speci-fico rinvio alle rilevazioni attuate sulla base dei principi contabili internazio-nali. Disposizione abilitante che, a sua volta, sarebbe stata adottata in virtù di una valutazione di ragionevolezza del rinvio, nonostante l’incertezza di cui avrebbe potuto essere fonte, in considerazione della modesta incidenza sulla misura degli imponibili, ovvero, e più probabilmente, della complessità dei meccanismi da attivare nel calcolo del reddito d’impresa per evitarlo (più complessi questi interventi, maggiore, infatti, la tollerabilità dell’incertezza generata).

Evidente è, d’altra parte, come questa impostazione fosse quella che a-vrebbe richiesto alle società IAS/IFRS l’effettuazione del maggior numero di rettifiche al risultato del conto economico, e, sopratutto, fosse quella che avrebbe imposto al processo di adattamento considerato la maggiore gra-dualità.

4. La seconda fase: la neutralità «procedurale»

4.1. Il rinvio ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi contabili internazionali

Delle tre soluzioni suggerite dalla Commissione Biasco, la legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008) ha, nella sostanza, accolto la secon-da (meno radicale della prima, ma più incisiva della terza), specificando, però, di accoglierla «in attesa del riordino della disciplina del reddito d’impresa, conseguente al completo recepimento delle direttive 2001/65/CE ... e 2001/51/CE ... al fine di razionalizzare e semplificare il processo di deter-minazione del reddito dei soggetti tenuti all’adozione dei principi contabili internazionali». Ha declinato, dunque, un regime al quale ha assegnato carat-tere eminentemente transitorio, concependolo come strumento per traghet-tare le società IAS/IFRS da un ambiente dominato dai principi contabili na-zionali, all’interno del quale si erano manifestate le criticità descritte, ad uno dominato da quelli internazionali (direttamente, o indirettamente mediante la «modernizzazione» dei principi nazionali), al cospetto del quale si imporrà un riesame globale della normativa in tema di determinazione del reddito d’impresa.

Gli interventi operati con la legge finanziaria per il 2008 si sono svilup-pati lungo tre direttrici: una nuova modifica dell’art. 83; una serie di ritocchi alla normativa in tema di strumenti finanziari; un’ampia delega al Ministro dell’economia e delle finanze per il completamento, mediante regolamento,

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del disegno di riforma (sfociata nella emanazione del D.M. 1 aprile 2009, n. 48).

L’art. 83 è stato modificato, eliminando l’inciso relativo ai componenti imputati direttamente a patrimonio, inserito con il D.Lgs. n. 38/2005, per disporre l’applicazione, nella determinazione dell’imponibile delle società che adottano i principi contabili internazionali, dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai principi con-tabili internazionali, anche in deroga alle disposizioni della sezione del TUIR dedicata alla determinazione dell’imponibile delle società e degli enti com-merciali residenti16.

16 Per un primo commento cfr. Zizzo, L’Ires e i principi contabili internazionali: dalla neutralità

sostanziale alla neutralità procedurale, in Rass. trib., 2008, pag. 316; Vicini Ronchetti, Legge finan-ziaria 2008 e principi IAS/IFRS: le modifiche all’art. 83 del TUIR, una possibile soluzione ai dubbi in-terpretativi, in Rass. trib., 2008, pag. 680; Crovato, I criteri di imputazione, classificazione e qualifi-cazione (art. 83 TUIR), in Crovato (a cura di), La fiscalità degli IAS, Il Sole 24 Ore Editore, 2009, pag. 7; A. Gaffuri, La determinazione del reddito tassabile per le imprese che adottano gli IAS/IFRS se-condo le recenti modifiche legislative e le norme del decreto n. 46/2009, in Boll. trib., 2010, pag. 752; Fiorentino, IAS e neutralità fiscale nell’esercizio d’impresa, in Riv. dir. trib., 2009, I, pag. 833; Grandinetti, La determinazione della base imponibile delle società ai fini delle imposte sui redditi, Rubettino Editore, 2009, pag. 90 ss.; nonché circolare Agenzia Entrate, 28 febbraio 2011, n. 7/E.

Il nuovo regime rileva a partire dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Più specificamente, come indica l’art. 15, comma 1, del D.L. n. 185/2008 (convertito, con modificazioni, nella l. 2/2009), con riferimento ai componenti reddituali e patrimoniali rilevati in bi-lancio a decorrere da detto esercizio. Per i periodi d’imposta precedenti, sono però fatti salvi gli effetti sulla determinazione dell’imponibile prodotti dai comportamenti adottati in applicazione degli IAS/IFRS, purché conformi alle disposizioni introdotte dalla finanziaria per il 2008. A queste è dunque assegnato carattere retroattivo, ma solo in bonam partem.

Come specificato dall’art. 6 del D.M. n. 46/2009, la conformità alla nuova disciplina degli imponibili dichiarati con riferimento ai periodi d’imposta 2005, 2006 e 2007, non deve necessa-riamente risultare completa: può interessare singole fattispecie, ad altre essendo stati collegati gli effetti previsti dalla vecchia. Deve però essere rilevabile in tutti i periodi in cui si è manifestata la fattispecie e sono stati applicati gli IAS/IFRS, salvo che non sia intervenuta una pronuncia dell’Amministrazione finanziaria contraria al riconoscimento fiscale dell’impostazione IAS/IFRS. Per l’identificazione della singola fattispecie può farsi ricorso alla definizione che si trova nell’art. 15, comma 5, del citato D.L. n. 185/2008, la quale menziona i componenti reddituali e patrimoniali delle operazioni aventi la medesima natura ai fini delle qualificazioni di bilancio e dei relativi rap-porti di copertura.

Se un’operazione produce effetti in più periodi d’imposta, alcuni precedenti e altri succes-sivi all’entrata in vigore della nuova disciplina, e se la società non ha anticipato l’applicazione di quest’ultima, determinando sin dall’origine detti effetti in base ad essa, il passaggio dalla vec-chia alla nuova potrebbe produrre distorsioni. Per impedirle, l’art. 15, comma 1 1, del D.L. n. 185/2008 prevede che le ricadute sull’imponibile del periodo di entrata in vigore della nuova di-sciplina, e di quelli successivi, delle operazioni compiute sotto il vigore della vecchia, e che a-vrebbero prodotto effetti, sull’imponibile e sulla valorizzazione fiscale delle attività e passività, di-versi se, sin dall’adozione degli IAS/IFRS, la società avesse potuto servirsi dei criteri di qualificazio-ne, imputazione temporale, valutazione e classificazione in bilancio introdotti dalla legge n. 244/2007, restano governate dalla disciplina originaria.

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Invertendo l’ordine nel quale sono elencati nell’art. 83, ed assumendo quale riferimento il Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bi-lancio17, è possibile assegnare ai rinvii i seguenti contenuti.

Nel rinvio ai criteri di classificazione in bilancio, l’art. 83 rinvia alle re-gole formulate dai principi contabili internazionali in ordine al raggruppa-mento nel bilancio degli effetti finanziari delle operazioni e degli eventi a-ziendali in classi (le attività, le passività e il patrimonio netto per quanto ri-guarda lo stato patrimoniale, i ricavi e i costi per quanto riguarda il conto economico) e sottoclassi.

Nel rinvio ai criteri di imputazione temporale, rinvia alle regole di rile-vazione contabile espresse dai principi contabili internazionali, a quelle rego-le, cioè, che sono destinate ad individuare l’esercizio nel quale gli elementi di bilancio (attività, passività, ricavi, costi) devono essere contabilizzati, e quin-di esposti nello stato patrimoniale o nel conto economico.

Infine, nel rinvio ai criteri di qualificazione, rinvia alle regole di identifi-cazione dei piani di rilevanza giuridica delle operazioni e degli eventi azien-dali, e perciò fondamentalmente al principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, che, per il predetto Quadro sistematico, costi-tuisce un corollario di una delle quattro caratteristiche qualitative dell’in-formazione di bilancio, l’attendibilità. Segnatamente: per essere attendibile l’informazione deve rappresentare fedelmente le operazioni e gli altri eventi, e per rappresentare fedelmente le operazioni e gli altri eventi è necessario che essi siano rilevati e rappresentati secondo la loro sostanza e realtà eco-nomica, e non solamente secondo la loro forma legale.

17 Il Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio (Framework for the preparation and presentation of financial statements) ha una posizione peculiare. Non è un principio contabile internazionale, e perciò non è stato omologato dall’Unione Europea. Quindi non è direttamente fonte normativa. Tuttavia espone i concetti di base per la preparazione e la presentazione dei bilanci redatti secondo detti principi (le finalità del bilancio, le caratteristiche qualitative che determinano l’utilità dell’informativa contenuta nel bilancio, la definizione, rileva-zione e valutazione delle poste che costituiscono il bilancio, i concetti di capitale e di conserva-zione del capitale), ed è richiamato a vario titolo in numerosi principi. Di particolare rilievo quelli nello IAS 1 (dove, al par. 15 si precisa che «Una rappresentazione attendibile richiede la rappre-sentazione fedele degli effetti delle operazioni, altri fatti e condizioni in conformità alle definizioni e ai criteri di rilevazione di attività, passività, proventi e costi esposti nel Quadro sistematico», e, al par. 19, si prevede che «In circostanze estremamente rare in cui la direzione aziendale conclude che la conformità con una disposizione contenuta in un IFRS sarebbe così fuorviante da essere in conflitto con le finalità del bilancio esposte nel Quadro sistematico, l’entità deve disattendere ta-le disposizione…») e nello IAS 8 (dove, al par. 11, per il caso di assenza di un Principio o di una In-terpretazione che si applichi specificamente ad una operazione, si richiede alla direzione azien-dale di «fare riferimento e considerare l’applicabilità delle seguenti fonti in ordine gerarchica-mente decrescente: (a) le disposizioni e le guide applicative contenute nei Principi ed Interpreta-zioni che trattano casi simili o correlati; e (b) le definizioni, i criteri di rilevazione e i concetti di misu-razione per la contabilizzazione delle attività, delle passività, dei ricavi e dei costi contenuti nel Quadro sistematico»).

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4.2. I rapporti tra i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio

Sui rapporti tra questi criteri, e sullo spazio che occupano nel campo della determinazione dell’imponibile, è opportuno, in questa sede, cercare di fare chiarezza.

I criteri di classificazione e di imputazione temporale (o rilevazione) ap-partengono alla sfera degli effetti delle regole contabili. Individuano, cioè, le conseguenze contabili di certi fatti: in quale veste (i primi) e quando (i se-condi) i fatti in questione incidono sulla informazione contabile. Il rinvio ad essi, da parte dell’art. 83, produce (in primo luogo) la conversione degli ef-fetti contabili in effetti tributari: in quale veste e quando detti fatti incidono sulla formazione dell’imponibile.

I criteri di qualificazione operano invece sul terreno della fattispecie, concorrendo alla definizione dei fatti assunti a fonte di effetti, contabili e tributari. Ed invero, poiché qualificare significa collocare una situazione concreta all’interno dell’insieme di situazioni che l’attività interpretativa as-segna ad una certa fattispecie normativa, una regola che interessa la qualifi-cazione si risolve inevitabilmente in una direttiva riguardante l’interpreta-zione delle fattispecie normative. Una direttiva che prescrive di intendere in un dato modo determinate espressioni utilizzate, nella definizione di dette fattispecie, dalle disposizioni da interpretare, e dunque di articolare in un da-to modo la selezione dei fenomeni oggetto di disciplina.

Il rinvio ai criteri di qualificazione, da parte dell’art. 83, si muove dun-que su un piano diverso da, e posto a monte di, quello su cui agiscono i rin-vii ai criteri di classificazione e imputazione temporale.

4.3. I rapporti tra i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio e le regole tributarie

I rinvii descritti non dispongono tuttavia (in modo diretto) in ordine al-la rilevanza degli effetti finanziari dei fatti di gestione nella misurazione dell’imponibile. Decidono (anche ai fini della misurazione dell’imponibile) sulla identificazione delle operazioni realizzate nell’esercizio (criteri di quali-ficazione). Decidono (anche ai fini della misurazione dell’imponibile) sulla veste che gli effetti finanziari di dette operazioni assumono (criteri di classi-ficazione). Decidono (anche ai fini della misurazione dell’imponibile) sui tempi con i quali gli effetti finanziari di dette operazioni si manifestano (cri-teri di imputazione temporale). Non decidono, invece, sul se, e per quale parte, gli effetti finanziari di dette operazioni devono (o possono) concorre-re alla formazione dell’imponibile. O meglio, non decidono nei limiti in cui si può, in generale, sostenere che le regole contabili non decidono su questi profili.

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Grazie al meccanismo delle variazioni in aumento e in diminuzione, nel-l’ipotesi in cui una regola contabile ed una regola tributaria assumono a fat-tispecie la medesima situazione, riallacciandovi conseguenze giuridiche (in tutto o in parte) difformi, la prima fornisce il parametro sulla base del quale giudicare della legittimità della misurazione del risultato di esercizio, la se-conda fornisce quello sulla base del quale valutare la legittimità della misura-zione dell’imponibile. Se invece una particolare situazione di fatto non è contemplata da alcuna regola desumibile dalla legislazione tributaria (e co-munque per i profili per i quali non è disciplinata da alcuna regola tributa-ria), non dovendosi effettuare con riferimento ai suoi effetti finanziari alcun aggiustamento al risultato d’esercizio in sede di redazione della dichiarazio-ne, il parametro per valutare la legittimità tanto della misurazione del risulta-to di esercizio quanto della misurazione dell’imponibile è costituito dalla medesima regola, che è quella contabile.

Il rinvio ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classifica-zione in bilancio previsti dagli IAS/IFRS, come il riferimento (con formule varie) alle valutazioni operate in base alla corretta applicazione di tali princi-pi, non modificano l’assetto descritto. Anche in queste ipotesi, a mio avviso, le regole contabili acquisiscono spessore di regole tributarie semplicemente per carenza di regole tributarie derogatorie18. L’aspetto peculiare risiede nel fatto che questa carenza non è nella circostanza assoluta, ma circoscritta alle società IAS/IFRS, in quanto provocata da dette regole tributarie di rinvio, le quali (nella sostanza, derogando alla deroga) comprimono, con riferimento a dette società, l’operatività di quelle altre regole tributarie che, diversamente disponendo rispetto alle regole contabili oggetto di rinvio, ordinariamente imporrebbero una variazione al risultato di esercizio.

Insomma, la funzione dei rinvii anzidetti non è quella di espandere le regole tributarie (sia pure con regole replicanti quelle contabili), ma di com-primerle (sia pure con riferimento ad un certo insieme di soggetti passivi del

18 Diverso avviso esprime sul punto Fransoni (La categoria dei redditi d’impresa, in P. Russo,

Manuale di diritto tributario, parte speciale, Giuffrè, 2009, pagg. 202-203), per il quale i rinvii con-siderati implicherebbero la recezione delle regole contabili nell’ambito di quelle tributarie, e per-ciò comporterebbero la «fiscalizzazione» delle prime. Se così non fosse, «non sarebbe ipotizzabile l’affermazione della portata ‘derogatoria’ di tali regole, in quanto la deroga presuppone la coe-sistenza…di norme con contenuto diverso». In realtà, la coesistenza dei due insiemi di regole di-pende, come rilevato, dal generale principio di derivazione, il quale assegna alle regole tributa-rie il ruolo di regole di variazione sulle regole contabili. In questo quadro, le regole tributarie che operano detti rinvii semplicemente limitano l’ordinaria sfera di applicazione di altre regole tribu-tarie, sottraendo all’obbligo (o alla possibilità) della connessa variazione le società IAS/IFRS. La regola contabile incide dunque sull’imponibile secondo lo schema tipico proposto dal principio di derivazione, per carenza di una regola tributaria di variazione.

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tributo), eliminando la necessità di operare le usuali variazioni, e così resti-tuendo rilevanza alle regole contabili.

La caduta, ad opera dei rinvii in questione, delle difformi regole tributa-rie in tema di qualificazione, imputazione temporale e classificazione, non implica tuttavia che gli effetti tributari dei fatti di gestione siano interamente rimessi alle regole contabili. Restano infatti pienamente efficaci, in quanto non ridimensionate dalle richiamate regole di rinvio, le regole tributarie che stabiliscono se gli effetti finanziari dei fatti di gestione (modellati alla stregua dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilan-cio definiti dalle regole contabili) devono (o possono) partecipare alla for-mazione dell’imponibile, e, quando devono (o possono) partecipare, in che misura sono ammessi a farlo, sicché: un effetto finanziario, di segno positi-vo come negativo, rilevante nel calcolo del risultato di esercizio potrebbe manifestarsi in tutto o in parte irrilevante nel calcolo dell’imponibile; o, all’opposto, un effetto finanziario, di segno positivo come negativo, in tutto o in parte irrilevante nel calcolo del risultato di esercizio19 potrebbe manife-starsi rilevante nel calcolo dell’imponibile.

Si tratta di disallineamenti tra i due sistemi da gestire con il consueto meccanismo della variazioni al risultato del conto economico, senza che, nella seconda famiglia di ipotesi, sia di intralcio la non partecipazione dell’elemento di reddito alla determinazione del risultato di esercizio. Se di elemento positivo si tratta, in quanto l’art. 109, comma 3, dispone che i componenti positivi concorrano alla formazione dell’imponibile anche se non imputati a conto economico. Se di elemento negativo, posto che l’art. 109, comma 4, come modificato dal D.Lgs. n. 38/2005, equipara all’imputa-zione a conto economico l’imputazione a patrimonio netto in forza dei prin-cipi contabili internazionali20.

19 Ad esempio, vigente il nuovo IAS 1, perché transitato tra le altre componenti di conto

economico complessivo. 20 Meramente confermativo appare dunque l’art. 2, comma 2, del D.M. n. 48/2009, il quale

si preoccupa di stabilire che «Concorrono comunque alla formazione del reddito imponibile i componenti positivi e negativi, fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni dello stesso testo u-nico, imputati direttamente a patrimonio per effetto dell’applicazione degli IAS». Quanto ai componenti positivi, la relazione al D.M. n. 48/2009, in effetti, riconosce a questa previsione porta-ta innovativa, in quanto l’art. 109, comma 3, avrebbe «ragion d’essere per quei componenti che avrebbero dovuto figurare al conto economico e sono stati illecitamente omessi, non per quei componenti – come quelli in esame – che legittimamente non figurano al conto economico». Trovo però questa interpretazione dell’art. 109, comma 3, irragionevolmente restrittiva. Non mi pare infatti che la formula letterale della disposizione (che non specifica la ragione della non im-putazione del componente a conto economico), o la sua ratio (che è evidentemente quella di non creare vincoli alla confluenza dei componenti positivi nell’imponibile), costringano a confi-nare il suo campo di applicazione all’ambito indicato nella citata relazione. Né, come pure è stato sostenuto (A. Gaffuri, op.cit., pag. 755), vi è ragione di ritenere la stessa inapplicabile alle (segue)

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Occorre, tuttavia, che, a monte, sia ravvisabile un evento idoneo a costi-tuire fonte, per la normativa tributaria, di elementi di reddito, e questa atti-tudine deve essere, per le società IAS/IFRS, pur sempre appurata nel pri-sma dei criteri di qualificazione previsti dai principi contabili internazionali, secondo quanto disposto dall’art. 83. Laddove un siffatto evento non sia ri-scontrabile (è il caso, ad esempio, della cessione di azioni proprie, qualifica-ta, per la prevalenza della sostanza sulla forma, come nuova emissione delle azioni stesse), si deve escludere la possibilità di identificare un elemento di reddito (ancorché, privilegiando la forma sulla sostanza, lo stesso sia confi-gurabile)21.

L’art. 83, oltre a non incidere sulla rilevanza tributaria degli elementi di ricavo e di costo, non richiama i criteri di valutazione previsti dai principi contabili internazionali. Le valutazioni operate sulla base degli IAS/IFRS confluiscono nel calcolo dell’imponibile solo se relative ad alcune voci, tutte riguardanti il comparto degli strumenti finanziari, mercé l’inserimento di re-gole speciali in altre disposizioni del TUIR (cfr. gli artt. 94, comma 4-bis, 101, comma 2-bis, 110, commi 1-bis e 1-ter, 112, comma 3-bis).

In ordine alle regole di rilevanza e a quelle in tema di valutazioni (con le eccezioni appena nominate) non si è, dunque, ritenuto possibile mettere da parte gli interessi specifici del settore tributario. Mantengono pertanto la lo-ro efficacia per le società IAS/IFRS le regole del TUIR che riguardano le valutazioni di fine esercizio degli elementi del patrimonio (plusvalenze e mi-nusvalenze iscritte con riferimento alle immobilizzazioni come con riferi-mento all’attivo circolante, ammortamenti ed altre rettifiche di valore), quel-le che riguardano gli accantonamenti, quelle che escludono in tutto o in par-te determinati elementi di reddito (positivi o negativi) dalla formazione dell’imponibile, o ne dispongono o consentono il frazionamento in più pe-riodi d’imposta.

Del resto, in una prospettiva che è di mera «razionalizzazione e sempli-ficazione» dei meccanismi di misurazione dell’imponibile, come quella di-chiaratamente adottata dalla legge n. 244/2007, e non di ridefinizione di

società IAS/IFRS, a causa della deroga portata dai rinvii di cui all’art. 83. Come precisato, detti rinvii servono ad assicurare che gli effetti finanziari delle operazioni qualificate secondo il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, laddove dovessero concorrere alla formazione del reddito, concorrano nella veste e nei tempi previsti dagli IAS/IFRS, non ad escludere che si confi-gurino elementi dell’imponibile non costituenti elementi del risultato di esercizio. E se così è, non vi è evidentemente motivo di ipotizzare un conflitto tra l’art. 109, comma 3, e l’art. 83, nella parte qui considerata.

21 In senso sostanzialmente analogo la circolare Agenzia Entrate, 28 febbraio 2011, n. 7/E, par. 3.2.1 e par. 3.5. In argomento: Muratori, Profili tributari dei componenti imputati direttamente a patrimonio netto secondo gli IAS/IFRS, in Rass.trib., 2008, pag. 1353; Valacca, Profili tributari del-le imputazioni dirette a patrimonio netto, in Corr. trib., 2008, pag. 3181.

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questa grandezza, dovrebbero essere sottratte alla deroga stabilita dalla di-sposizione in commento tutte quelle regole che riflettono unicamente inte-ressi di matrice tributaria, ancorché non sia sempre agevole isolarle, e sem-pre che questi interessi siano avvertiti anche al cospetto delle rappresenta-zioni fornite applicando i principi contabili internazionali.

Non si comprenderebbe, infatti, stante l’indifferenza della funzione che esprimono al sistema contabile utilizzato, la ragione per continuare ad appli-carle alle società che adottano i principi contabili nazionali, imponendo loro di rettificare conseguentemente il risultato d’esercizio, e smettere di appli-carle a quelle che adottano i principi internazionali, lasciando ai dati di bi-lancio la definizione dell’imponibile. In luogo di un’azione di riequilibrio nel numero delle variazioni al risultato d’esercizio da compiere per identificare l’imponibile, si svilupperebbe, ingiustificatamente, un intervento volto alla trasformazione di un assetto normativo squilibrato a favore delle società che adottano i principi nazionali (perché idoneo a produrre un numero minore di variazioni con riferimento a questo insieme di società) in uno squilibrato a favore di quelle che adottano i principi internazionali (perché idoneo a produrre un numero minore di variazioni con riferimento a quest’altro in-sieme di società).

Di più, parimenti ingiustificatamente, si aprirebbe una frattura tra la sfe-ra dei fenomeni che sono assunti come fiscalmente rilevanti per le società che utilizzano i principi contabili nazionali e quella dei fenomeni che sono assunti come fiscalmente rilevanti per le società IAS/IFRS.

Né l’uno, né l’altro effetto ipotizzato è coerente con la suddetta pro-spettiva di mera razionalizzazione e semplificazione della fiscalità delle so-cietà IAS/IFRS22.

Dunque, non sono toccati dai rinvii in esame non solo – come già rile-vato – argomenti come l’esclusione dei dividendi e la participation exemption23,

22 Il D.M. 1 aprile 2009, n. 48, precisa (all’art. 2, comma 2), in coerenza con questa imposta-zione, che resta ferma l’applicazione delle disposizioni «che prevedono limiti quantitativi alla de-duzione di componenti negativi o la loro esclusione o ne dispongono la ripartizione in più periodi di imposta, nonché quelle che esentano o escludono, parzialmente o totalmente, dalla forma-zione del reddito imponibile componenti positivi, comunque denominati, o ne consentono la ri-partizione in più periodi d’imposta, e quelle che stabiliscono la rilevanza dei componenti positivi o negativi nell’esercizio, rispettivamente, della loro percezione o del loro pagamento». Per una ricognizione di queste disposizioni si veda la circolare Agenzia Entrate, 28 febbraio 2011, n. 7/E, par. 3.4, dove però le stesse sono impropriamente catalogate come “Limitazioni al principio della prevalenza della sostanza sulla forma”. Impropriamente, perché non attengono alla conforma-zione delle fattispecie normative, ma alla definizione degli effetti di queste ultime sulla quantifica-zione dell’imponibile.

23 Contrariamente a quanto sostenuto da Fiorentino, op.cit., pag. 839, l’esenzione non e-sprime una qualificazione (e non si interfaccia dunque con i relativi criteri IAS/IFRS), riguardando il piano degli effetti, non quello della fattispecie.

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oppure come l’indeducibilità degli oneri non inerenti, in fatto o per presun-zione legale, l’indeducibilità di determinati interessi passivi e quella di de-terminati accantonamenti, oppure, ancora, come il frazionamento, in via opzionale o obbligatoria, in più periodi d’imposta della partecipazione all’imponibile di determinati proventi o oneri imputati a conto economico.

Ma anche – e lo conferma il D.M. n. 48/2009 – il tema della rilevazione di certi proventi ed oneri per cassa, ancorché indubbiamente appartenga all’area delle imputazioni temporali, che l’art. 83 consegna agli IAS/IFRS. E il tema della identificazione delle spese di rappresentanza, benché, laddove gli IAS/IFRS si occupassero di esso (ma non mi costa che lo facciano), lo stesso apparterrebbe all’area delle classificazioni in bilancio24, e dunque an-cora ad un’area riservata agli IAS/IFRS.

Il recepimento dei principi contabili internazionali da parte del TUIR è dunque ampio (sotto il profilo formale più ampio di quello che si configura per i principi contabili nazionali), ma pur sempre selettivo. Esso si connota, fondamentalmente, per la sostituzione della cornice all’interno della quale sono collocate le regole che governano il calcolo del loro imponibile. Per le società IAS/IFRS non opera più quella pensata per le società che adottano i principi contabili nazionali. Nella nuova cornice è naturalmente possibile che per esse si delinei un piano dei fatti fiscalmente rilevanti in tutto o in parte differente da quello che si sarebbe prospettato nella vecchia, e che si prospetterebbe per una società che adotta i principi contabili nazionali, tan-to a causa di una difformità di qualificazione, quanto, a qualificazione inva-riata, a causa di una mera divergenza di classificazione o uno sfasamento temporale tra la loro manifestazione secondo gli IAS/IFRS e quella secondo i principi contabili nazionali (e le regole del TUIR che li assumono a riferi-mento).

Il principio di neutralità sembra trovare, in questo assetto, una dimen-sione nuova, ben diversa da quella valorizzata dal D.Lgs. n. 38/2005, in una omogeneità tra società che adottano i principi contabili internazionali e quelle che adottano i principi nazionali che non è di risultato, che non si ap-punta sulla cifra dell’imponibile, ma sulla struttura del suo calcolo: alleggeri-ta dalle variazioni legate alle regole del TUIR che riproducono criteri accolti nei principi contabili nazionali, da variazioni che, pertanto, difficilmente in-teressano il calcolo dell’imponibile delle società che adottano questi ultimi, la struttura del calcolo dell’imponibile delle società che utilizzano i principi internazionali sembra assumere infatti una conformazione analoga a quel-la`che assume presso le società che utilizzano i principi nazionali. Una di-

24 Lo riconduce, invece, al campo delle qualificazioni Tinelli, Bilancio d’esercizio, principi contabili internazionali ed accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 283.

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mensione di neutralità «procedurale», quindi, in luogo di una dimensione di neutralità «sostanziale».

In questa prospettiva, del tutto ragionevole appare il successivo appre-stamento (con l’art. 15 del D.L. n. 185/2008, convertito nella legge n. 2/2009) di una serie di misure (prelievi sostitutivi) volte a consentire alle so-cietà di rimuovere quei disallineamenti tra i valori contabili delle attività e delle passività e i loro valori fiscalmente riconosciuti, che non sarebbero af-fiorati se, sin dall’adozione degli IAS/IFRS, esse avessero potuto applicare il nuovo regime, o quelli che sono stati generati (o saranno generati) in sede di transizione agli IAS/IFRS (in ragione del regime di neutralità fiscale delinea-to per questo evento). Attivandole è infatti possibile «aggiornare» le ricadute nella sfera impositiva delle operazioni compiute anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, oppure anteriormente al passaggio agli IAS/IFRS, evitando un effetto di trascinamento che evidentemente compli-ca non poco il calcolo dell’imponibile, imponendo la gestione, in parallelo, di due serie di valori.

Dette misure sono inoltre applicabili per cancellare i disallineamenti tra valori contabili e fiscalmente riconosciuti che emergono nel caso di modifi-che retroattive agli IAS/IFRS, le quali impongono alle società che li adotta-no di rettificare i valori contabili di attività e/o passività per adeguarli a quel-li che avrebbe generato il nuovo regime se si fosse sempre applicato, senza peraltro incidere (in virtù del regime di neutralità previsto per queste ipotesi) sui loro valori fiscalmente riconosciuti.

Il rafforzamento del principio di derivazione implica peraltro che le modifiche agli IAS/IFRS (una volta rese vincolanti attraverso il procedi-mento di omologazione di cui al regolamento CE n. 1606/2002), (quanto meno) laddove coinvolgano profili di qualificazione, imputazione temporale o classificazione in bilancio, si riflettano in modo automatico sull’imponibi-le. La loro frequenza potrebbe, in effetti, essere fonte di incertezze applica-tive (in primo luogo, ovviamente, ai fini della redazione del bilancio, e poi ai fini della redazione della dichiarazione dei redditi), ma soprattutto compro-mettere l’affidabilità del gettito dell’imposta, causandone una variabilità non dipendente dalla volontà del legislatore nazionale. Evidente è però che quest’ultimo non è tenuto ad accettare dette modifiche, potendo sempre riappropriarsi dei segmenti di disciplina dell’imponibile affidati agli IAS/IFRS mediante un ampliamento delle regole tributarie di variazione, e dunque un’attenuazione del suddetto principio25.

25 In questa direzione procedono gli interventi operati sull’art. 4 del D.Lgs. n. 38/2005 dal D.L.

n. 225/2010 (convertito con modificazioni nella legge n. 10/2011), con i quali si è previsto che, con apposito decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell’economia e delle (segue)

Capitolo 1 - La «questione fiscale» delle società IAS/IFRS

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4.4. Neutralità «procedurale» e disuguaglianza «sostanziale» Due argomenti di carattere generale mi pare meritino su queste basi at-

tenzione. Il primo è quello della neutralità «sostanziale». Il suo repentino accanto-

namento torna infatti a proporre gli inconvenienti sopra evidenziati: la di-sparità di trattamento, anzitutto, e l’interferenza del fattore fiscale nella scel-ta dell’impianto contabile, poi.

Se tutte le società potessero scegliere tra i due sistemi, il secondo incon-veniente, quello della carenza di neutralità del fattore fiscale, sopravanze-rebbe il primo, quello della disuguaglianza, posto che il diverso prelievo di-penderebbe dall’esercizio di un’opzione. L’adozione di contromisure po-trebbe pertanto essere relegata al piano della semplice opportunità. Così pe-rò non è. E se detta scelta manca, non importa se per l’intera platea delle società o per una parte (come nell’ordinamento italiano), ed è il problema della disuguaglianza da assumere la preminenza, l’adozione di contromisure non mi pare possa essere relegata al piano dell’opportunità.

È bensì vero che una questione di legittimità costituzionale potrebbe, in un contesto normativo come quello considerato, infrangersi di fronte alla carenza di un chiaro parametro di riferimento (quale dei due regimi, quello concepito per le società che adottano i principi contabili nazionali o quello concepito per le società che adottano i principi contabili internazionali, as-sume a questo punto il ruolo di regime «normale»?), come di fronte alla natura transitoria (quasi «emergenziale») attribuita all’intervento, ma l’omogeneità

finanze, emanato entro novanta giorni dalla entrata in vigore del regolamento UE di omologa-zione, acquisito il parere di OIC, Banca d’Italia, Consob e ISVAP, siano stabilite eventuali disposi-zioni applicative volte a realizzare, ove compatibile, il coordinamento tra i nuovi principi contabili internazionali e la disciplina del bilancio d’esercizio contenuta nel codice civile, e che entro 60 giorni dalla entrata di vigore del predetto decreto (o entro 150 dalla entrata in vigore del rego-lamento, se il decreto non è adottato) il Ministro dell’economia e delle finanze possa emanare eventuali disposizioni di coordinamento con la disciplina relativa alla determinazione della base imponibile IRES ed IRAP (entro il 31 maggio 2011 queste disposizioni di coordinamento possono essere emanate anche con riferimento ai principi contabili internazionali adottati con regola-menti entrati in vigore nel biennio 2009-2010). Si configura in questo modo la possibilità che la tra-sposizione delle regole IAS/IFRS nella misurazione dell’imponibile sia soggetta ad un duplice filtro: un primo, operante (a monte) nella redazione del bilancio d’esercizio, legato al loro coordina-mento con la disciplina del codice civile; ed un secondo, operante direttamente nel calcolo dell’imponibile, legato al loro coordinamento con la normativa tributaria. Questo secondo filtro riflette la comprensibile preoccupazione di assicurare che le regole contabili, nel momento in cui si trasformano in regole di misurazione dell’imponibile (secondo lo schema della derivazione), non producano alterazioni indesiderate nel gettito tributario, e, più in generale, aderiscano ai principi e valori che tipicamente informano queste ultime. Desta tuttavia non poche perplessità l’evidente assenza di qualsiasi principio o criterio direttivo (che non sia il mero “coordinamento” tra i due insiemi di regole) capace di circoscrivere il potere normativo ministeriale. Per un primo commento a questa disciplina si veda Manzitti e Mariotti, Le nuove regole per applicare gli IAS al bilancio di esercizio: un recupero di sovranità tributaria, in Corr. trib., 2011, pag. 1121.

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degli imponibili è un valore che dovrebbe comunque imporsi, nella misura in cui garantisce l’uguaglianza nel concorso alle pubbliche spese in presenza di capacità economiche uguali.

In questa prospettiva sarebbe indubbiamente auspicabile che, nella convivenza di due sistemi contabili, la normativa sulla determinazione dell’imponibile conservi un tasso di (più o meno spiccata) autonomia, con-finando il rinvio alla disciplina contabile alle ipotesi in cui si manifesti neu-tro, inidoneo cioè a produrre sfasamenti negli imponibili, oppure a quelle in cui possa essere giudicato ragionevole.

In particolare, la ragionevolezza del rinvio deve essere valutata alla luce della complessità dei meccanismi necessari alla rimozione degli sfasamenti che produce: più complessi si rivelano questi interventi, maggiore si manife-sta infatti la tollerabilità delle divergenze negli imponibili che emergerebbero in loro mancanza. Nonché della sua incidenza sulla misura degli imponibili, da valutare tanto sotto il profilo quantitativo, quanto sotto quello qualitati-vo: sotto il profilo quantitativo, perché, più dette divergenze sono modeste, maggiore è la loro tollerabilità; sotto quello qualitativo, perché, a parità di importi, indubbiamente la accettabilità delle divergenze è maggiore quando hanno carattere meramente temporaneo (perché destinate a rientrare nel tempo), è minore, sino a scomparire, quando hanno carattere permanente.

4.5. Neutralità «procedurale» e accertamento tributario Il secondo argomento di carattere generale che mi sembra utile eviden-

ziare si connette ai limiti che la neutralità «procedurale», per come intesa ne-gli interventi considerati, denuncia. Essa si arresta infatti alla fase dichiarati-va. Nella fase del controllo amministrativo le posizioni dei due insiemi di società tornano ad allontanarsi.

Non tanto per il rilievo che è stato attribuito, da alcune disposizioni, alle valutazioni operate in base alla corretta applicazione degli IAS/IFRS. Esse riguardano infatti strumenti finanziari classificati come Held for Trade (dete-nuti per la negoziazione, e perciò, ex art. 85, comma 3-bis, strumenti non in-clusi nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie agli effetti della de-terminazione dell’imponibile), per i quali i valori di mercato sono, di solito, agevolmente accertabili (dovendosi trattare di investimenti a breve, quindi facilmente scambiabili).

Quanto, principalmente, per la diversa propensione a generare conte-stazioni delle qualificazioni utilizzate. Indubbiamente maggiore è, infatti, quella delle qualificazioni (e connesse classificazioni e rilevazioni) basate sul-la sostanza economica, utilizzate dalle società IAS/IFRS, rispetto a quella delle qualificazioni basate sulla forma giuridica, utilizzate dalle società che adottano i principi contabili nazionali. La valorizzazione delle qualificazioni basate sulla sostanza economica convoglia pertanto le verifiche fiscali relati-

Capitolo 1 - La «questione fiscale» delle società IAS/IFRS

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ve al primo insieme di società su un terreno insidioso, perché connotato da apprezzamenti complessi e dotati di forti margini di opinabilità26.

Certo, sotto il profilo del metodo, poiché all’Amministrazione finanzia-ria non spetta riscrivere (anche se solo ai fini della determinazione dell’imponibile) le voci di bilancio, sostituendosi ai suoi estensori nella loro definizione, ma verificare se le pertinenti regole contabili sono state corret-tamente applicate, maggiore è la loro elasticità, maggiori sono, cioè, i margi-ni di manovra che le stesse consegnano agli estensori del bilancio, più ampia risulta la cerchia delle soluzioni contabili compatibili con le regole medesi-me, e minore lo spazio a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per un intervento in rettifica, dovendo la stessa dimostrare, per affermare che la loro applicazione non è avvenuta correttamente, che la soluzione contabile adottata non è collocabile all’interno della predetta cerchia27.

Tuttavia, il problema è che, nella gran parte delle ipotesi, la valorizza-zione della sostanza sulla forma non implica il ricorso a regole elastiche, at-tributive di aree di libertà o di discrezionalità agli estensori del bilancio, ma – più semplicemente – a regole che richiedono valutazioni tecniche articolate, perché legate ad una pluralità di fattori, non sempre di agevole ed univoca identificazione e combinazione. La loro applicazione può, ad esempio, ri-chiedere l’identificazione del fair value di un certo bene o servizio, oppure la stima delle probabilità che in futuro si verifichi un certo evento.

Rispetto a queste valutazioni non è configurabile soltanto un sindacato debole, di insostenibilità evidente (per un soggetto dotato delle necessarie

26 In argomento: Crovato, IAS e controlli fiscali, in Crovato (a cura di), op. cit., 301; Viotto, L’accertamento sulle valutazioni di bilancio: i poteri dell’amministrazione anche alla luce della recente soppressione delle deduzioni extracontabili e delle modifiche concernenti i soggetti che adottano gli IAS, in Riv. dir. trib., 2009, I, pag. 205; Tinelli, Bilancio d’esercizio, principi contabili in-ternazionali ed accertamento tributario, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 288; Damiani, Lupi, Stevana-to, Dus, Arcenese, Sostituzione dei principi contabili alle regole fiscali e possibile reinterpretazione degli organi verificatori, in Dialoghi dir. trib., n. 5/2008, pag. 29.

27 L’Agenzia delle Entrate (nella circolare 28 febbraio 2011, n. 7/E, par. 3.1) avverte che, “qualora i principi contabili internazionali consentano di effettuare scelte meramente discrezio-nali senza prevedere un criterio direttivo, l’Amministrazione finanziaria potrà sindacare le opzioni adottate che, sulla base di specifici fatti e circostanze, risultino finalizzate al conseguimento di in-debiti vantaggi fiscali”. Tuttavia, è bene chiarire che, se i principi contabili offrono la possibilità di scegliere tra impostazioni diverse, con diverse implicazioni sul piano impositivo, la circostanza che la scelta tra le stesse sia orientata dal fattore fiscale non può, di per sé, connotare il risparmio ot-tenuto come espressione di abuso (come invece suggerisce l’Agenzia laddove ipotizza il conse-guimento di vantaggi qualificabili come indebiti). Ed infatti, nell’imputare a soluzioni assunte dai principi contabili come fungibili conseguenze differenti, la normativa tributaria inevitabilmente contempla e accetta di giocare un ruolo determinante nella scelta tra le stesse, e così inevita-bilmente mette a sistema la possibilità che, alle spalle di quest’ultima, difettino ragioni diverse da quelle di indole fiscale (spunti sulla questione si possono trarre da: Zizzo, Leasing infragruppo e abuso del diritto, in Corr. trib., 2009, pag. 2357; Fransoni, Appunti su abuso del diritto e “valide ra-gioni economiche”, in Rass. trib., 2010, pag. 952).

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cognizioni specialistiche), da parte dell’Amministrazione finanziaria28, ma pure un sindacato forte, in cui la rettifica si radichi sulla minore opinabilità (o maggiore plausibilità) della soluzione individuata da quest’ultima rispetto a quella formulata dagli estensori del bilancio.

Con la seguente precisazione: poiché è della corretta applicazione dei criteri contabili che si discute, e poiché questi si innestano sulle informazio-ni e sulle conoscenze delle quali gli estensori del bilancio disponevano (o a-vrebbero potuto disporre, usando l’ordinaria diligenza) al momento della sua predisposizione, la conclusione alternativa prospettata dall’Amministra-zione finanziaria, benché frutto di un autonomo apprezzamento della realtà, non può che radicarsi sulle informazioni e conoscenze acquisite o acquisibili (se avessero fatto uso dell’ordinaria diligenza) dagli estensori del bilancio, assumendo, evidentemente, o una carenza nell’istruttoria compiuta da questi ultimi o un vizio nell’iter logico percorso dagli stessi per esprimere la valuta-zione controversa29.

L’introduzione (sempre con la legge finanziaria per il 2008) di una nuo-va e pesante sanzione a carico dei revisori, che, nella relazione al bilancio, omettono di effettuare i rilievi che avrebbero dovuto effettuare, purché da tali omissioni derivino infedeltà nella dichiarazione dei redditi o IRAP (art. 9, comma 5, D.P.R. n. 471/1997), esprime, comunque, in modo netto la consapevolezza delle difficoltà che l’Amministrazione finanziaria è destinata ad incontrare in questo campo. Ed invero, attraverso questa previsione – che non riguarda soltanto le società IAS/IFRS, ma principalmente queste società, stante il particolare vigore che il nesso di derivazione assume nei lo-ro confronti (grazie ai suddetti rinvii) – i revisori, in virtù della loro indipen-denza e competenza tecnica in materia di principi contabili, sono, nella so-stanza, investiti del ruolo di ausiliari dell’Amministrazione medesima, sia nella prevenzione delle violazioni dei principi medesimi (esigendo dalle so-cietà clienti il loro pieno rispetto), sia nella denuncia delle stesse (mediante la formulazione di rilievi al bilancio).

Naturalmente, come la previsione testé menzionata conferma, una rela-zione di revisione senza rilievi non inibisce all’Amministrazione finanziaria una rettifica dell’imponibile fondata sulla inosservanza dei criteri o delle re-

28 Come auspicato da: Crovato, op. cit., pag. 305; Damiani, op. cit., pag. 33; Lupi, op. cit., pag. 39; Venuti, op. cit., pag. 371.

29 In senso conforme si è espressa l’Agenzia delle Entrate, la quale (nella circolare 28 feb-braio 2011, n. 7/E, par. 3.1) ha precisato che «la rilevanza fiscale dei criteri di qualificazione, impu-tazione temporale e classificazione adottati nei bilanci IAS compliant presuppone che i principi contabili internazionali di riferimento siano stati correttamente applicati. Ciò deve essere valutato in base agli elementi di fatto delle concrete fattispecie, tenendo conto dei dati e delle informa-zioni disponibili al momento della redazione del bilancio».

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gole di valutazione IAS/IFRS richiamate dal TUIR. Potrà, al più, imporle una motivazione più articolata e rigorosa30.

5. Il principio di derivazione e il risultato del prospetto di conto economico complessivo

Come rilevato, il principio di derivazione dell’imponibile IRES dal risul-tato d’esercizio è formulato, in termini generali, nell’art. 83, primo periodo, del TUIR, per il quale il reddito complessivo delle società e degli enti com-merciali è determinato apportando una serie di variazioni in aumento e in diminuzione «all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta».

Il nuovo IAS 1, peraltro, prevede la redazione di un prospetto di conto economico complessivo, da presentare, a scelta della società, in un unico documento, denominato appunto prospetto di conto economico comples-sivo, oppure in due documenti, denominati conto economico separato e prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo.

Nel primo caso, l’utile o la perdita di esercizio configura un totale par-ziale, che precede le altre componenti di conto economico complessivo. Nel secondo, chiude il conto economico separato, ed apre il prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo, il quale, come il prospetto di conto economico complessivo, a sua volta si chiude con il risultato com-plessivo dell’esercizio.

Le altre componenti di conto economico complessivo sono quelle voci di ricavo e di costo che secondo i pertinenti IAS/IFRS non devono essere iscritte nel conto economico separato, e che, sino all’entrata in vigore del nuovo IAS 1, erano ospitate nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto (dove adesso è presente il «totale del conto economico complessivo»).

L’assetto descritto, se congiunto con l’art. 83, pone un interrogativo: «l’utile o la perdita risultante dal conto economico», alla quale questa dispo-sizione si riferisce, è l’utile o la perdita del conto economico separato (come totale parziale o autonomo, non potendosi, ovviamente, ipotizzare che il da-to di partenza per la misurazione dell’imponibile cambi in ragione della scel-ta della società per il prospetto unico in luogo del doppio prospetto) o quel-la del conto economico complessivo?

La logica della continuità indurrebbe a rispondere nel primo senso: il ri-sultato al quale l’art. 83 si riferiva, prima dell’entrata in vigore del nuovo IAS

30 Spunti in questo senso forniscono due recenti sentenze (Cass., sez. trib., 12 marzo 2009, n. 5926, e Cass., sez. trib., 18 marzo 2009, n. 6532) nelle quali la Cassazione ha riconosciuto alla certi-ficazione rilasciata dai revisori l’attitudine a dare vita ad una presunzione di correttezza dei criteri utilizzati da una società per ripartire determinati oneri tra stabile organizzazione e casa madre.

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1, era un risultato corrispondente a quello che, dopo detto evento, è espres-so dal conto economico separato. Dunque, in assenza di un esplicita adesio-ne, da parte dell’art. 83, alla nuova grandezza, si deve preferire un’interpre-tazione conservatrice, che tenga fermo il nesso con la grandezza originaria-mente identificata.

D’altra parte, come evidenziato sopra, con il D.Lgs. n. 38/2005 l’art. 83 era stato integrato per richiedere alle società IAS/IFRS di rettificare il risul-tato del conto economico con riferimento ai componenti imputati diretta-mente a patrimonio netto. Per tale via, in sostanza, il calcolo dell’imponibile delle società in questione prendeva le mosse da un dato simile al risultato dell’attuale conto economico complessivo, posto che questo risultato si dif-ferenzia da quello del conto economico considerato al tempo di detta modi-fica in ragione della scelta, compiuta con il nuovo IAS 1, di rappresentare come «altre componenti di conto economico complessivo» una serie di voci che prima trovavano evidenza nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto, in quanto, appunto, imputate direttamente a patrimonio netto.

Tuttavia, come pure evidenziato, la legge n. 244/2007 ha nuovamente modificato l’art. 83, sopprimendo l’obbligo di effettuare le suddette rettifiche.

Nell’art. 83 si è perciò optato, in un primo tempo, per includere le voci imputate direttamente a patrimonio netto nel valore a partire dal quale pro-cedere alla determinazione dell’imponibile, anticipando, se si vuole, la scelta effettuata dallo IAS 1, e poi per escludere le stesse da detto valore, identifi-candolo, puramente e semplicemente, nel risultato del conto economico, e perciò in un valore che, dopo l’entrata in vigore del nuovo IAS 1, corri-sponde al risultato del conto economico separato. Ne consegue che l’interpretazione conservatrice sopra indicata, non solo postula una conti-nuità nell’attribuzione di contenuto al rinvio al risultato del conto economi-co operato dall’art. 83, ma pure ne rispetta l’evoluzione.

Questo naturalmente non implica l’automatica irrilevanza delle voci di ricavo o di costo comprese tra le «altre componenti di conto economico complessivo», come l’abrogazione della rettifica del risultato del conto eco-nomico con riferimento alle voci imputate direttamente a patrimonio netto non ha prodotto la loro automatica irrilevanza. Implica soltanto, come os-servato sopra, che le stesse, se giudicate rilevanti ai fini della quantificazione dell’imponibile, si risolvono in normali variazioni al risultato del conto eco-nomico (separato), e per tale via accedono all’imponibile.

Al riguardo, se si conviene con la soluzione di identificare il conto eco-nomico al quale si riferisce l’art. 83 con il conto economico separato, occor-re farsi carico di un’ulteriore questione, relativa alla deduzione dei compo-nenti negativi. In particolare, agli effetti della verifica della ricorrenza del re-quisito della previa imputazione a conto economico di cui all’art. 109, com-

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ma 4, del TUIR, occorre chiedersi quale sia la posizione dei componenti ne-gativi che si trovano esposti tra le «altre componenti del conto economico complessivo». Se il conto economico al quale si riferisce l’art. 83 (e, di rifles-so, l’art. 109, comma 4) è, per le società IAS/IFRS, il conto economico se-parato, la deduzione di detti componenti richiede che si interpreti l’ultimo periodo della lett. a) del comma 4 dell’art. 109 – il quale, per le società IAS/IFRS, equipara all’imputazione a conto economico l’imputazione diret-ta a patrimonio netto – nel senso di assumere come imputati direttamente a patrimonio netto anche quei componenti negativi che, in virtù del nuovo IAS 1, sono esposti tra le «altre componenti del conto economico com-plessivo».

Anche questa operazione ermeneutica mi pare da condividere, se si considera che le voci raccolte tra le «altre componenti di conto economico complessivo» sono comunque da qualificare come imputate direttamente a patrimonio netto, non concorrendo a determinare l’utile o la perdita d’esercizio. In altre parole, dette voci, benché esposte tra le «altre compo-nenti di conto economico complessivo», restano imputate direttamente a patrimonio netto, e rientrano pertanto, già dal punto di vista della lettera, nel campo di applicazione della predetta regola di equiparazione. In ogni ca-so, se la funzione di questa regola è quella di impedire che il modello conta-bile utilizzato, collocando fuori dal conto economico certi componenti ne-gativi, incida sulla loro rilevanza tributaria, si deve ritenere che le voci in questione rientrino nel campo di applicazione della regola anche sotto il profilo della sua ratio. Non si vede, infatti, perché l’equiparazione debba es-sere negata con riferimento ai componenti indicati tra le «altre componenti di conto economico complessivo», posto che questi ultimi sono estranei al conto economico, e sarebbero perciò destinati, in ragione del loro regime contabile, ad incappare nel divieto di cui all’art. 109, comma 4.