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Fisiopatologia M.U. Ruggeri 11.11.2013

E allora la volta scorsa ci eravamo fermati alla classificazione dell’insufficienza respiratoria.

Abbiamo detto che l’insufficienza respiratoria è una condizione fisiopatologica a cui si possono giungere diverse malattie, che possono coinvolgere l’apparato respiratorio. L’abbiamo definita in generale, come l’incapacità dell’intero organismo a fornire un’adeguata scorta di ossigeno a livello periferico, a livello tissutale. Che può essere più o meno associata all’incapacità di eliminare l’anidride carbonica. Quindi, percorrendo quelle che sono le tappe fondamentali del processo della respirazione, identificate sotto forme di tappe legate le une alle altre, tanto che le definiamo globalmente come catena respiratoria, abbiamo detto che una o più interruzioni di questi anelli può determinare l’insorgenza dello stato di insufficienza respiratoria. Qui è la stessa cosa, rappresentata non sotto forma di catena ma sotto forma di un trenino, come per dire che se uno o più vagoni di questo treno si staccano, ovviamente il treno può deragliare e vanno incontro ad uno stato di insufficienza respiratoria, fermo restando che la motrice è rappresentata, ovviamente, dal sistema nervoso centrale, dove sono localizzati i centri del respiro e, quindi, sotto vedete tutte le condizioni patologiche che possono intervenire nello scatenare uno stato di insufficienza respiratoria: partendo dalle patologie del sistema nervoso centrale, alle patologie del midollo spinale, alle patologie del sistema neuro-muscolare, lo abbiamo detto più volte, così come le patologie prettamente polmonari, che possono interessare il torace, che possono interessare il cavo pleurico, che possono interessare anche l’addome. Ovviamente esiste un movimento coordinato toraco-addominale e si può avere l’insorgenza di uno stato di insufficienza respiratoria. Pensate all’obesità di grado elevato, soprattutto viscerale che interessa l’addome, può determinare un’ alterazione del movimento e dell’espansione della gabbia toracica; patologie che possono interessare le alte o le piccole vie aeree, patologie che possono interessare il sistema cardio – circolatorio.

Ricordate sempre che il polmone ed il cuore sono entrambi due pompe in serie, entrambe localizzate nel torace. Quindi, sottostanno a quelle che sono le variazioni di volume e pressione che la gabbia toracica subisce durante gli atti respiratori, sia tranquilli, che sotto sforzo. Le patologie che possono interessare ovviamente gli alveoli e le vie aeree periferiche.

Abbiamo detto che esistono diverse modalità di classificare l’insufficienza respiratoria. Una di queste si basa sui meccanismi fisio-patologici e, quindi, distinguiamo una insufficienza pneumogena, quando la causa è prettamente localizzata nell’apparato respiratorio; cardiogena, quando la causa è localizzata nell’apparato cardio-vascolare; anemica-ematogena se interessa il trasportatore naturale dell’ossigeno; tissutale o istotossica se avviene in periferia, cioè tutto funziona ma l’ossigeno non può essere utilizzato a carico dei mitocondri per produrre poi le molecole di ATP.

A seconda della sede principale dell’insufficienza respiratoria abbiamo ulteriori meccanismi fisio-patologici che la spiegano, fermo restando che nel singolo soggetto possiamo avere più di queste condizioni associate. Le più frequenti sono le cause polmonari associate alle cause cardio-vascolari, quindi, in questo caso parleremo più di un’insufficienza cardio-respiratoria. Se ci soffermiamo alla parte relativa all’insufficienza pneumogena, l’origine della causa polmonare, possiamo distinguere queste due grosse categorie :

1. insufficienza di pompa toracica;

2. insufficienza di parenchima polmonare.

L’insufficienza di pompa si realizza quando abbiamo un’alterazione della ventilazione . Quindi, pompa toracica intesa come capacità del polmone di far giungere aria al suo interno e di eliminare aria durante l’atto espiratorio. Intendiamo invece insufficienza di parenchima intendendo il polmone come

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scambiatore di gas, quindi, un’alterazione che avviene a carico soprattutto dei sistemi deputati allo scambio dei gas a livello alveolo-capillare. Quindi, se parliamo di insufficienza di pompa, diciamo che si definisce anche un’insufficienza globale, intendendo con il termine globale l’insufficienza che coinvolge l’ossigeno e l’anidride carbonica, quindi, un’insufficienza ipossiemica-ipercapnica. Mentre parliamo di insufficienza di parenchima o anche di insufficienza parziale intesa come un’alterazione che coinvolge primariamente soprattutto lo scambio dell’ossigeno; quindi, sarà un’insufficienza ipossiemica e in genere normo-ipocapnica quindi, caratterizzata anche da valori di anidride carbonica o normali o più bassi rispetto ai valori della norma. I meccanismi fisiopatologici che sottendono i due quadri sono differenti.Nell’ insufficienza di pompa toracica possiamo avere un’ alterazione dei centri del respiro , un’ alterazione neuromuscolare , un’ alterazione della configurazione della gabbia toracica , un’ alterazione della pleura , che si traducono tutte in che cosa? In una fatica muscolare , una fatica dei muscoli respiratori . Se i muscoli respiratori vanno in fatica il soggetto ventilerà di meno, se ventila di meno, meno ossigeno raggiungerà gli alveoli, meno anidride carbonica potrà essere eliminata dagli alveoli.Ecco che si realizza una condizione di ipossiemia, valori bassi di ossigeno nel sangue, ipercapnia, valori alti di anidride carbonica.

Mentre le alterazioni di insufficienza respiratoria parziale sono legate soprattutto ad un’alterazione della diffusione alveolo – capillare , oppure da un’alterazione del rapporto ventilo-perfusivo . La quantità di aria che raggiunge il polmone deve essere accoppiata alla quantità di sangue che viene spinto dal cuore. Gli effetti estremi quali sono? L’ effetto shunt e l’effetto spazio morto. L’effetto shunt si ha quando una porzione di polmone è perfusa ma non è ventilata . Abbiamo fatto l’esempio di una grossa polmonite globale. L’effetto spazio morto si ha quando una porzione di polmone è ventilata ma non è perfusa; esempio pragmatico è l’embolia polmonare, quando uno o più rami polmonari vengono ostruiti, in genere da un embolo che parte dagli arti inferiori, da una trombosi venosa inferiore.

Quali possono essere le cause di insufficienza ventilatoria? Cause extra polmonari, cause della escursione della gabbia toracica, deficit legati strettamente ai muscoli respiratori. Quindi, tutte queste condizioni che alterano quella che si chiama meccanica del respiro possono indurre un’insufficienza globale, perché se meno aria arriva negli alveoli, meno ossigeno può essere scambiato e soprattutto meno anidride carbonica può essere eliminata.Abbiamo poi cause prettamente polmonari; alcune di queste le abbiamo viste. Se c’è un ingombro di muco, come si realizza nella broncopolmonite cronica ostruttiva ci sarà un’alterazione della ventilazione; così come se c’è un’ostruzione fisica, un bronco maggiore viene ad essere ostruito da una grossa neoplasia può determinare una situazione di alterazione della ventilazione.Andando al pratico abbiamo detto che l’aria che realmente è necessaria in scambi gassosi è l’aria che raggiunge gli alveoli che noi sappiamo che ogni atto respiratorio tranquillo, che si chiama volume corrente, solo una quota raggiunge gli alveoli, che sono i due terzi, un terzo invece serve a riempire il c.d. spazio morto. Allora, la ventilazione efficace è la ventilazione alveolare; è la ventilazione che si misura in litri al minuto.La ventilazione globale è il prodotto del volume corrente per la frequenza respiratoria. La ventilazione alveolare sarà data dal prodotto della frequenza respiratoria per la quantità di aria che raggiunge l’alveolo. Abbiamo detto che un ipotetico 500 ml di volume corrente, 350 raggiunge l’alveolo, 150 è rappresentato dallo spazio morto.Se ci soffermiamo su questo grafico, soprattutto sulla linea rossa, vedete come al diminuire della ventilazione alveolare, abbiamo che cosa? Un aumento dell’anidride carbonica ed abbiamo una diminuzione del pH. Abbiamo detto che l’anidride carbonica è una sostanza acida che si accumula nel sangue, si lega all’acqua formando acido carbonico che si dissolve in ioni idrogeno e ioni bicarbonato. Quindi, dovete identificare la CO2 come sostanza acida. Più CO2 c’è nel sangue più acidi ci stanno, più basso è il pH e vedete che questa relazione è una relazione esponenziale.

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Considerando che la PCO2 nel sangue arterioso quant’è? Circa 35, 45, giusto? E’ un range, mettiamo 40. La ventilazione alveolare per mantenere 40 di PCO2 è circa 5 litri/minuto. Se la ventilazione alveolare diminuisce, per esempio a 4 litri/minuto, vedete che la PCO2 è circa 50, se raggiunge 1 litro/minuto è circa 70. Quindi, più bassa è la ventilazione alveolare più alta sarà l’anidride carbonica nel sangue. Ovviamente, più basso sarà il pH. Quindi, vedete qui che la PCO2 è inversamente proporzionale alla ventilazione. Se aumenta la ventilazione diminuisce la CO2 e viceversa. Questo perché è importante? Non perché ci dobbiamo ricordare le cose di fisica o altro.Perché se voi conoscete questo, fate un emogasanalisi al soggetto che è ipercapnico, stimate quanto ventila attraverso dei macchinari a livello alveolare. Sapete come impostare la ventilazione di supporto per aumentare la ventilazione alveolare e aspettate una diminuzione della CO2. Se questo non lo sapete non lo potete fare.

Quali sono le cause che possono alterare la ventilazione? L’aria che raggiunge le più fini diramazioni bronchiali, l’abbiamo visto analizzando la fisiopatologia delle malattie ostruttive, abbiamo detto che le cause che possono determinare un’ostruzione, una difficoltà al passaggio dell’aria sono:

cause endoluminali cioè cause insite nella parete del bronco; cause extraluminali.

Le cause endoluminali, lo dice la parola stessa, qualcosa che chiude dall’interno i bronchi, soprattutto le secrezioni, che sono secrezioni più abbondanti, tanto che ne qualificano la stessa definizione di bronchite cronica. Abbiamo detto che un soggetto è bronchitico cronico se ha tosse ed espettorato per tre mesi l’anno, per due anni consecutivi.Soggetto asmatico, può avere aumento delle secrezioni, ma secrezioni molto più vistose, si vengono a creare dei veri e propri tappi nei bronchioli periferici. Poi c’è l’ispessimento della parete.L’ispessimento della parete del bronco può essere legato all’edema infiammatorio, può essere legata alla contrazione della muscolatura liscia. Poi ci sono le alterazioni strutturali , tipiche dell’enfisema, da perdita di sostegno . Abbiamo detto che i bronchioli terminali sono mantenuto fermi dai setti interalveolari che si trovano tra i sacchi alveolari. Se i sacchi alveolari si riempiono troppo e non riescono a scaricare tutta l’aria comprimono dall’esterno i bronchioli. Così come se il bronchiolo non ha più una struttura che cerca di sostenerlo, in fase espiratoria collassa. E questo, abbiamo detto, è legato al meccanismo del punto di eguale pressione. In condizioni normali, la pressione al di là del bronco, quella all’interno del bronco si eguagliano quando il soggetto ha svuotato quasi completamente i polmoni. Se questo si realizza prima significa che il soggetto intrappola aria; più aria intrappola più ha difficoltà a respirare, perché ci troviamo in un punto della curva volume/pressione più alto. Quindi, per avere uno spostamento di volume più piccolo, il soggetto deve compiere una grande variazione di pressione, quindi, deve fare un grande sforzo. Il nostro compito farmacologico qual è in questi soggetti? Di sgonfiarlo, di far si che possano cacciare fuori più aria e, quindi tornare in un punto della curva volume/pressione più basso e fare meno fatica nel respirare. Questo perché avviene? Perché, ovviamente, aumenta il carico se aumenta il flusso, c’è maggiore secrezione nelle vie aeree, l’aria passa con difficoltà, il soggetto avrà un carico maggiore a parità di una performance muscolare che nel tempo si può esaurire. Quindi, l’alterazione muscolare della PCO2 è la conseguenza di questo lavoro eccessivo, oppure il soggetto può avere una malattia intrinseca dei muscoli. Quindi, pur se il carico è normale, se la capacità è ridotta, il soggetto va in insufficienza respiratoria, sempre di tipo globale, insufficienza del paziente neuro–muscolare puro è un’ insufficienza globale ipossiemica e ipercapnica anzi, ad una piccola variazione di anidride carbonica dobbiamo subito intervenire, altrimenti quel soggetto rischia la vita.

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Cosa succede se il soggetto va in ipoventilazione alveolare acuta? Significa che in un arco di tempo ristretto accumulerà gradi quantità di anidride carbonica, che abbiamo detto è uguale ad una sostanza acida, quindi il pH si abbasserà, ci sarà un squilibrio tra gli acidi e le basi nel nostro organismo , cosa che non deve avvenire, è molto pericoloso, mette a rischio la vita del soggetto. Quindi, se aumentano gli acidi rispetto alle basi, il pH si abbasserà sotto quel range di normalità che voi sapete essere tra 7.35 e 7.45. Se il pH è più basso si parla di acidosi. Quindi in condizione di acidosi respiratoria acuta il pH sarà basso, la CO2 sarà alta, i bicarbonati cominceranno ad aumentare. Per far questo, che è un sistema di compenso, di tampone verranno impiegati diversi giorni. Il rene cosa fa? Recupera bicarbonati eliminando idrogenioni. Quindi, nel momento in cui si realizzerà il compenso, cosa succede? Questa bilancia si riequilibria perché il rene recupera bicarbonati, che sono sostanze basiche, che tampona un eccesso di acidi. E, quindi, l’acidosi respiratoria si dirà cronica. Ecco un’ulteriore classificazione dell’insufficienza respiratoria in acuta e cronica. Un’insufficienza acuta è un’insufficienza che avviene rapidamente, si instaura rapidamente, non sono ancora intervenuti i sistemi di compenso . Nell’insufficienza respiratoria cronica, invece, sono intervenuti i sistemi di compenso, perché abbiamo detto che un soggetto non può stare in acidosi per molto tempo, soprattutto se è un’acidosi grave. Per intenderci, sotto 7.2 di pH si ha rapidamente la morte, se il soggetto non è abituato a sopportare questi valori. Quindi, tutto dipende dal fattore tempo. Quindi, in funzione del tempo noi possiamo stabilire se un soggetto è normale, cioè ha un pH e una CO2 normale; se un soggetto ha un’insufficienza respiratoria acuta o cronica a secondo del pH non compensato o compensato, o potrebbe avere, cosa molto frequente, un’insufficienza respiratoria acuta più cronica. Se un soggetto ha per esempio, la bronchite cronica ostruttiva con insufficienza respiratoria che si è realizzata piano piano nel tempo, quindi, ha un’insufficienza cronica compensata; ad un certo punto si fa l’influenza, si fa una polmonite sovrapposta, si fa una riacutizzazione di bronchite cronica, ve l’ho spiegata. Rapidamente il pH peggiora e la CO2 sale anche a valori più alti, molto alti; quindi, si chiama insufficienza acuta su cronica. Questa definizione è importante perché ha un valore prognostico diverso per il paziente.I meccanismi che possono sottendere una riduzione di ossigeno nel sangue, quali possono essere? L’ipoventilazione. Abbiamo detto che meno aria raggiunge gli alveoli, meno ossigeno può raggiungerli, meno scambio ci può essere.Alterazione della diffusione, shunt e squilibrio ventilo-perfusivo, li abbiamo già accennati prima.

Nell’insufficienza parziale, invece, abbiamo detto essere interessata non è la ventilazione, non è l’aria che entra o esce dai polmoni, ma è l’aria che deve scambiarsi con la membrana alveolo–capillare . Anche a questo livello avviene un meccanismo di scambio per gradiente, perché ci deve essere più ossigeno nell’alveolo rispetto al sangue, ci deve essere più anidride carbonica nel sangue rispetto all’alveolo.Se si verifica un’alterazione della struttura e la membrana alveolo capillare, in termini di composizione o in termini di spessore, ci sarà un’alterazione nel passaggio dei gas , che interesserà soprattutto l’ossigeno perché l’anidride carbonica è più diffusibile rispetto all’ossigeno di circa venti volte ! Quali sono queste patologie che interessano l’interstizio? Si chiamano interstiziopatie polmonari. C’è una classificazione, non so se ce la facciamo a farla oggi, poi vi do il materiale, facciamo una lezione aggiuntiva vediamo.

Sono le interstiziopatie polmonari che alterano la struttura e la funzione della membrana alveolo –capillare. Cosa succede? Succede che se aumenta lo spessore della membrana alveolo capillare-non si raggiunge l’equilibrio per l’ossigeno. Normalmente, vedete, già in ¼ di secondo, in condizioni di normalità, tutto l’ossigeno che è presente nell’alveolo riesce ad equilibrarsi con l’ossigeno presente nel sangue. Quindi, questo passaggio è rapidissimo. Se aumenta lo spessore, si rallenta questo passaggio. Quindi, nel tempo in cui il sangue perfonde i capillari pre–alveolari, il tempo non è sufficiente ad equilibrare questo ossigeno, quindi, l’ossigeno sarà più basso nel sangue. Questo non avviene per l’anidride carbonica perché è molto diffusibile e, quindi, passa subito.

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E qua c’è spiegata la stessa cosa che vi dicevo. Quali sono esempi di patologie interstiziali? Ci sono, per esempio, le patologie fibrosanti legate ad esposizioni ambientali; avete sentito l’asbestosi, legata alle fibre di amianto. Sapete che oggi è bandito l’amianto, sapete che ancora oggi però nell’ambiente ci sta parecchio amianto, legato all’eternit, legato alla costruzione delle navi, legato alla coibentazione dei treni, perché l’amianto è una sostanza che riesce a mantenere il calore, per non farlo disperdere. Oggi è stato bandito perché queste fibre di amianto che sono come degli aghi, molto, molto sottili, raggiungono il polmone determinandovi l’interessamento interstiziale fibrosante non riversibile. Possono provocare patologie, soprattutto della pleura, si chiama mesotelioma pleurico, o anche patologie polmonari tumorali associate a carcinoma o ad altre patologie tumorali del polmone. Poi ci sta la sarcoidosi, forse la studierete in patologia, quando studierete i granulomi. Avete studiato i granulomi che è un’infiammazione cronica? Sapete che è una malattia infiammatoria cronica, la cui origine ancora non si sa e che si manifesta con localizzazioni in diversi organi. Quando interessa il polmone può avere un’evoluzione fibrosante, interessando l’interstizio polmonare. Poi ci sta la fibrosi polmonare idiopatica , idiopatica perché anche qui non sappiamo l’origine, ma è una malattia molto pericolosa, una malattia a prognosi infausta. Per intenderci, non esistono terapie che riescono a curarla. Ce ne stanno alcune che sono state messe in commercio da qualche mese che rallentano l’evoluzione. Per intenderci, il soggetto che ha fibrosi polmonare idiopatica ed ha un’età inferiore ai 65 anni deve essere messo immediatamente in lista trapianto ed hanno una prognosi anche peggiore rispetto ad alcune neoplasie, anche polmonari. C’è tutto l’interessamento polmonare interstiziale da malattia del connettivo, malattie reumatologiche come il lupus eritematoso, avete sentito questi termini, l’artrite reumatoide, la granulomatosi di Wegener e via dicendo. Quindi, esistono tutta una serie di patologie che, con meccanismi diversi, possono dare un interessamento interstiziale del polmone. L’interessamento interstiziale del polmone da in genere un’insufficienza parziale ipossiemica normo-ipocapnica .

Quali sono i meccanismi di compenso ad uno stato di insufficienza respiratoria? L’organismo interviene per cercare di compensare queste alterazioni? Certamente si. Agisce attraverso dei meccanismi di compenso acido/base attraverso il rene, l’abbiamo visto, attraverso i tamponi del sangue. Agisce attraverso l’azione di produzione di un ormone che aumenta il valore dei globuli rossi, questo forse l’avete fatto pure , l’eritropoietina. Questo perché essendoci meno ossigeno nel sangue in maniera cronica viene stimolato il midollo a produrre più globuli rossi. Questo meccanismo, però, alla lunga diventa un danno perché aumentare il numero dei globuli rossi significa aumentare la viscosità del sangue, che si misura con quale parametro? Con l’ematocrito. Normale quant’è l’ematocrito? Diciamo che il limite massimo è già 42 – 45%. Superato questo valore, abbiamo un’iperviscosità del sangue. Quindi, cosa succede, quali sono gli effetti, se il sangue è più viscoso cosa significa? Che il cuore pomperà questo sangue con maggiore difficoltà, deve fare più fatica per pompare il sangue. Quindi, la diminuzione di ossigeno determina eritrocitosi, aumento delle eritropoietina, aumento della viscosità ematica, un sovraccarico, ovviamente della sezione destra del cuore e, quindi una condizione cronica che si chiama cuore polmonare . Dall’altro lato si realizza anche che cosa? La carenza di ossigeno dà un riflesso anche a livello polmonare. Se voi fate abbassare l’ossigeno a livello del polmone, le arterie hanno un meccanismo di vasocostrizione riflessa. Questa vasocostrizione riflessa che cosa porta? Porta un aumento della pressione nel circolo arterioso polmonare. Quindi, un’ipertensione polmonare secondaria legata al calo dell’ossigeno . Questo, associato ad altri meccanismi infiammatori, per esempio, sostiene una condizione di percezione polmonare nei pazienti con bronchite cronica ostruttiva ed è un fattore prognostico negativo, perche se un soggetto ha la bronchite cronica ostruttiva ed ha pure l’ipertensione arteriosa polmonare ha un rischio di mortalità molto più alto rispetto ad un soggetto che non ha questo tipo di meccanismo.

Possiamo classificare dal punto di vista clinico l’insufficienza respiratoria in latente e manifesta . Latente che significa? Che se il soggetto se sta fermo non ha nessun tipo o segno o parametro emogasanalitico che faccia pensare ad uno stato di insufficienza respiratoria. Non è dispnoico, non è cianotico, non ha un’alternanza dei muscoli toraco addominali e quant’altro. Se gli fate l’emogas è buono.

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Questo perché? Perché a riposo ha bisogno di ossigeno periferico supportato da un’attività respiratoria in senso lato. Se mettiamo sotto sforzo questo soggetto, a correre, etc.. secondo dei protocolli standard, si chiama test cardiorespiratorio da sforzo, il soggetto manifesterà uno stato di insufficienza respiratoria. Se gli facciamo l’emogas, avrà un valore di PO2 sotto i 60 mmHg. Ora la possiamo dividere anche qui in ipossiemica parziale o globale. E’ importante perché l’approccio terapeutico è completamente diverso se un soggetto ha solo l’ossigeno basso o ha l’ossigeno e l’anidride carbonica alta. Perché nel soggetto con insufficienza ipossiemica noi gli diamo l’ossigeno, sapete che l’ossigeno è un farmaco; se il soggetto è ipossiemico-ipercapnico , non gli possiamo dare solo l’ossigeno, anzi l’ossigeno in questi soggetti, in alcuni casi può essere dannoso, perché il soggetto che è ipossiemico-ipercapnico cerca di stimolare i centri del respiro a ventilare di più, a mandare un maggiore input, un maggior drive respiratorio. Se noi gli diamo l’ossigeno, il centro del respiro pensa l’ossigeno è buono, non ventilo, ventilo normalmente quindi la CO2 aumenta ancora di più; si chiama ipercapnia ossigeno indotta . Cosa che la norma in un soggetto BPCO, che si reca al pronto soccorso, al 118, perché vanno a casa, la prima cosa che fanno, lo vedono che respira male, è un bronchitico enfisematoso, magari già fa ossigeno a casa, gli sparano l’ossigeno a palla e lo mettono nell’ambulanza in posizione supina. Sapete che la ventilazione in posizione supina è più difficoltosa rispetto ad una posizione seduta o retta. Quindi lo trasportano per un’ora in ambulanza, arriva al pronto soccorso, altro ossigeno messo in maniera esagerata, fanno l’emogas e magari partiva da 40 l’emogas, glielo abbiamo indotto noi, poi lo dobbiamo ventilare, intubare e fare altro, o purtroppo non c’è la fa.Quindi, fare ossigeno terapia in un soggetto ipercapnico sempre con le dovute cautele. Va fatto in determinati modi che poi imparerete. Però dovete sapere, dal punto di vista fisiopatologico che se date ossigeno ad un soggetto può andare in ipercapnia.Questo lo abbiamo fatto. Questa è la parte legata all’insufficienza respiratoria per grosse linee.Ora parliamo, sempre per grosse linee, delle interstiziopatie polmonari.

INTERSTIZIOPATIE POLMONARI

Si chiamano interstiziopatie polmonari, significa che sono delle patologie che coinvolgono gli interstizi e, quindi, dobbiamo sapere cos’è l’interstizio, dal punto di vista anatomico, se no non possiamo capire quando questo diventa patologico. Come si divide l’interstizio polmonare dal punto di vista anatomico? Bronco arterioso assiale, caratterizzato da questo connettivo, soprattutto tessuto connettivale elastico, è quello che garantisce elasticità al polmone, l’interstizio, l’impalcatura.C’è un interstizio bronco-arterioso assiale che circonda i tronchi arteriosi e bronchiali dall’ ilo fino agli alveoli. Questo serve all’elasticità ma non alla funzione diffusiva polmonare. Poi abbiamo quello parenchimale o alveolare, che è molto sottile pochi micron, com’è costituita da una parte, dall’altra, dal versante arterioso, dal versante alveolare e via dicendo e serve allo scambio dei gas. E poi, c’è uno periferico che interessa soprattutto i setti intralobulari e gli spazi subpleurici. Sapete la funzione respiratoria è rappresentata dai lobuli polmonari, strutture poliedriche, lo abbiamo detto, di 2,5 cm. Questo è l’interstizio bronco arterioso assiale, che circonda, che segue il percorso dei vasi arteriosi, venosi e del sistema bronchiale, questo è quello periferico sub-pleurico e poi c’è quello alveolare, deputato all’ematosi dei gas. L’avete studiato sicuramente bene. Come è composto? E’ composto soprattutto da fibro-collagene di diverso tipo: da glicosamminoglicani, da proteoglicani, da glicoproteine. Queste strutture garantiscono l’ elasticità del tessuto . Sono presenti, però, all’interno dei sistemi di difesa rappresentati dalle cellule, quindi, dai sistemi immunitari, oltre alla vascolarizzazione ed ovviamente al tessuto linfatico.Esistono più di 100 forme di interstiziopatie. Le forme idiopatiche vengono considerate malattie rare. Ma per chi ce l’ha non sono da sottovalutare e, sono, purtroppo, delle forme che sono in continuo aumento. Probabilmente perché legate all’esposizione al fumo di sigaretta, anche questo. Il fumo di sigaretta non determina solo la bronchite cronica ostruttiva o il tumore, ma è correlata ad alcune forme di interstiziopatie polmonari, si chiamano fumo-correlate , tra cui anche la forma idiopatica, molto grave.

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Possono essere divise dal punto di vista eziologico in:1. infettive;2. immunologiche;3. tossiche;4. proliferative neoplastiche;5. idiopatiche.

La classificazione oggi più accreditata è quella che vedete qui. Quindi, abbiamo quelle da origine nota da farmaci. Esistono dei farmaci che possono provocare interstiziopatie polmonari. I farmaci che oggi possono dare interstiziopatia polmonare sono diversi. Tra i più frequenti, per esempio, alcuni antiaritmici come l’ amiodarone , che ancora oggi in alcuni casi si utilizza. Possono essere associati a malattie del connettivo. Abbiamo detto che tutte le malattie reumatologiche, molte delle malattie reumatologiche possono avere un’espressione polmonare di interstiziopatie. Vedi la sclerodermia, vedi il lupus eritematoso sistemico, vedi l’artrite reumatoide, vedi la granulomatosi di Wegener o altre patologie che possono interessare il rene ed il polmone, ci sono degli anticorpi che si legano alla membrana glomerulare ed alla membrana alveolo capillare. Può essere associata alla bronchite cronica ostruttiva, ci sono alcune forme di intestiziopatie che interessano le basi dei polmoni ed agli apici il soggetto ha l’ enfisema, quindi ha enfisema e l’ interstiziopatia. Poi ci sono le forme di granulomatosi, come per esempio la sarcoidosi, granulomi non caseificanti, oppure forme particolari, molte più rare, la linfangioleiomiomatosi, istiocitosi x, le polmoniti eosinofile e poi c’è tutta una fetta di interstiziopatie che si chiamano idiopatiche.

Vedete, nell’ambito delle interstiziopatie idiopatiche ce n’è una quota che è realmente idiopatica, nel senso che non ne sappiamo l’origine, purtroppo ne sappiamo l’evoluzione, è rapidamente letale e altre, rispetto alla fibrosi polmonare idiopatica che hanno tutta una serie di sigle, ma le sigle derivano dal pattern anatomo-patologico che li sottende. Mi interessa che sappiate che cosa sono le interstiziopatie polmonari, come si possono classificare, il significato di interstiziopatia polmonare idiopatica, all’interno delle idiopatiche bisogna dividere le fibrosi polmonari idiopatiche da tutto quello che non è fibrosi polmonare idiopatico. Questo tipo di differenziazione perché è importante? Perché su questa, purtroppo, possiamo fare poco, dobbiamo sottoporre a trapianto il soggetto, possiamo fargli dei farmaci che rallentano il decadimento funzionale, però, diciamo che è rapidamente letale. Su questo,invece, esistono delle terapie anche importanti che riescono a frenarle o ad arrestarle.Quindi, quando un soggetto ha una interstiziopatia idiopatica, dobbiamo sapere se ha la fibrosi polmonare idiopatica o se ha una di quelle altre forme, perché cambia completamente la sua possibilità di sopravvivenza, la sua prognosi. Ecco perché sono importanti. I meccanismi patogenetici che sottendono queste fibrosi polmonari sono in parte noti, in parte sconosciuti . In sostanza è un processo legato all’ infiammazione e, quindi, a questi mediatori, un processo legato alla riparazione tissutale. E’ come se c’è un agente che da un danno e poi non si forma una cicatrice unica ma, a partire dalla proliferazione dei fibroblasti, questi fibroblasti aumentano in maniera incontrollata sovvertendo completamente la struttura.Se voi avete una grossa cicatrice avete un tessuto che è anelastico . Pensate che tutto l’interstizio polmonare diventa una grossa cicatrice, il polmone non si muove più, è rigido, quindi, ha una ridotta compliance polmonare.Dal punto di vista fisiopatologico le fibrosi polmonari hanno una ridotta compliance. Quindi, avviene un danno attraverso il sistema immunologico, si ha una produzione abnorme di fibroblasti e questi vanno a sovvertire completamente la struttura dell’interstizio polmonare. Gli stessi fibroblasti producono fibre collagene diverse da quelle normali, alterate (collagene di tipo I, più denso) . Queste alterate fibre collagene danno questo aumento di rigidità al polmone.

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Cosa succede dal punto di vista funzionale, respiratorio in un soggetto che ha interstiziopatia polmonare? Avrà una sindrome? Abbiamo detto con la spirometria possiamo dividere le patologia polmonari respiratorie in tre categorie che si chiamano ostruttive , restrittive e miste . Le patologie fibrosanti polmonari sono patologie ostruttive, restrittive o miste. Le vie aeree sono pervie. E’ l’architettura del parenchima polmonare che da l’elasticità ad essere alterata. Le patologie fibrosanti polmonari e le interstiziopatie polmonari in generale sono patologie restrittive parenchimali. Ricordate quando vi ho parlato delle patologie restrittive vi ho detto che esistono patologie restrittive extraparenchimali, patologie restrittive parenchimali. In quelle extraparenchimali il polmone non si muove perche non si muove la gabbia toracica, perché la gabbia toracica è deforme, perché i muscoli non funzionano, perché i nervi non funzionano, perché il centro del respiro non funziona . Extraparenchimali, polmone sano, tutto quello che sta di fuori non funziona per farlo espandere.

In questo caso sono patologie restrittive parenchimali. Il polmone non funziona, i muscoli cercano di farlo espandere, ma se è una struttura rigida, non ce la fanno. Quindi, che cosa succede come alterazione della meccanica respiratoria? Il soggetto con interstiziopatia polmonare avrà una riduzione di tutti i volumi polmonari. Quindi, avrà un indice di Tiffeneau normale , quel rapporto tra volume aspirato massimo al secondo (VEMS) e capacità vitale e avrà ridotta capacità polmonare totale. Se il polmone non si espande, non riesce ad incamerare aria. Quindi, la volumetria polmonare statica sarà ridotta. Come cerca di ottemperare a questa riduzione del volume il soggetto, se fa entrare meno aria, come fa a mantenere un’adeguata ventilazione? Aumenta la frequenza respiratoria . Questi soggetti all’inizio hanno un pattern caratterizzato da basso volume ed alte frequenze. Questo dal punto di vista degli scambi gassosi che cosa comporta? Ha un minor tempo di transito dell’ossigeno e tempo di scambio e, quindi, c’è un accumulo di CO2 . Perché c’è un accumulo di CO2 nel soggetto? Abbiamo detto da quello schema che vi ho fatto vedere prima, che la CO2 è 20 volte più diffusibile rispetto all’ossigeno, quindi, anche se ha meno tempo passa lo stesso. Giusto? Se è un gas si diffonde subito, anche se ha disposizione pochissimo tempo, l’anidride carbonica passa, quello che non passa è l’ossigeno. Infatti, questo tipo di insufficienza respiratoria è insufficienza parziale ipossiemica, anzi, addirittura ipocapnica. Se un soggetto fa così, va in alcalosi respiratoria da eliminazione di anidride carbonica. Se voi respirate così per due minuti e poi vi fate fare un emogas avrete un pH di 7,50, un pH in alcalosi con anidride carbonica molto bassa.

Poi, che cosa comporta questo ossigeno basso nel sangue? Comporterà un aumento della pressione polmonare, lo abbiamo detto adesso e, quindi, un’alterazione cardiaca. Quindi, dal punto di vista spirometrico, capacità vitale ridotta, massima quantità di aria che entra ed esce, capacità polmonare totale ridotta, significa capacità vitale più volume residuo (quell’aria che resta intrappolata), volume residuo ridotto, volume espirato massimo al secondo ridotto, ma è ridotto di entità uguale a quello della capacità vitale. Infatti il rapporto è costante (indice di Tiffeneau).

Dal punto di vista emogas analitico, il soggetto si manifesterà, con ossigeno basso, soprattutto sotto sforzo. All’inizio questi soggetti stanno bene, non ve ne accorgete, verranno da voi, vi diranno, quando faccio un minimo sforzo, una rampa di scale di 10 gradini mi devo fermare, mi affanno. Poi voi lo portate in laboratorio, gli fate l’emogas e, quindi, a riposo non ha niente, avrà un’insufficienza latente. Quindi, nelle prime fasi, l’interstiziopatia si manifesta come insufficienza latente. Cioè, voi documentate il calo dell’ossigeno solo sotto sforzo. Man mano che la malattia va avanti si manifesterà anche a riposo . La CO2 in genere è bassa perché abbiamo detto che è un’insufficienza di tipo parziale e avrà un altro test. Noi possiamo misurare la capacità, la funzione dell’apparato respiratorio di scambiare i gas a livello della

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membrana alveolo-capillare? Si, si chiama test di diffusione. Se il meccanismo che fa passare i gas si chiama diffusione, questo test si chiama test di diffusione ed utilizza un gas, utilizza un gas che ha una grande affinità per l’emoglobina, è il CO, il CO è il monossido di carbonio, ovviamente in quantità infinitesimali se no lo intossichiamo, in questo caso utilizziamo una frazione di monossido di carbonio molto bassa. Vediamo il tempo che è necessario affinché il soggetto faccia passare tutto il monossido di carbonio a livello del sangue e calcoliamo questa diffusione alveolo-capillare per la DLCO . DL significa diffusion lung, quindi, capacità di diffusione del polmone per il CO, per il monossido di carbonio. Se è ridotto significa che c’è un danno interstiziale. Soggetto con sindrome restrittiva, avrà una pendenza molto ripida della fase espiratoria con riduzione, soprattutto, della capacità vitale.

Dobbiamo differenziare la fibrosi polmonare idiopatica da altre forme di malattie idiopatiche.

Ora, al di là di dove si localizzano le cellule, al di là dei meccanismi, il quadro istologico della polmonite interstiziale, usuale fibrosi polmonare idiopatica pura, si chiama anche UIP, con la sigla, tante volte potete anche sentire questo. UIP = Usual Interstitial Pneumonia = polmonite interstiziale usuale. Polmonite intesa non come polmonite classica da batterio, ovviamente. Ci sono tutte queste caratteristiche anatomopatologiche. Che cosa comportano alla fine? Perché questa patologia è invalidante, è mortale? Perché alla fine distrugge completamente il polmone trasformandolo in un alveare. Avete presente l’alveare delle api? Ha le strutture esagonali molto rigide, le pareti molto spesse e, quindi, non funzionali . Questo è il polmone a favo d’api, quella è la superficie della pleura, in alto, subito sotto, infatti questa patologia tipicamente interessa le basi dei polmoni e interessa gli spazi sub-pleurici, quella porzione di polmone che sta subito sotto la pleura. E se vedete queste strutture simili esagonali, vedete, molto rigide, con inspessimento importante dei setti , subito sotto ci sono i bronchi che sono stirati e slargati, dei bronchi che hanno una struttura permanentemente larga, abnorme, si chiamano bronchiectasia . Avete studiato il termine Bronchiectasia? Quando il soggetto ha una bronchiectasia che non sono solo tipiche di questo quadro, ha un’abnorme permanente dilatazione dei bronchi. E questo è importante sapere che la porzione di polmoni interessata è quella sub pleurica perché se gli fate un esame radiologico, un ETG del torace vedrete che queste alterazioni che si vedono bene sono sub – pleuriche. Quindi, se dal punto di vista radiologico avete tutto una serie di elementi, le lesioni sono sub – pleuriche, ci sono le bronchiectasie da trazione, c’è il polmone a favo d’api, avete più fattori, potete fare una diagnosi quasi di certezza di fibrosi polmonare idiopatica.

Altrimenti come si fa la diagnosi, secondo voi? Se abbiamo detto che la definizione è anatomopatologica dobbiamo andare a prendere un pezzo di polmone, quindi, una biopsia polmonare e non è una cosa semplice uscire da effetti collaterali.

Se il soggetto ha invece altre forme, come può essere la polmonite non specifica, la polmonite desquamativa, che è quella tipica anche del fumo o altre. Perché è importante la diagnosi differenziale? Perché queste forme rispondono alla terapia cortisonica e alla terapia immunosoppressiva. Quindi, abbiamo delle terapie che funzionano in qualche modo. Per la fibrosi polmonare idiopatica, abbiamo oggi, da poco, da un mese in Italia, due mesi in Italia, sono dei farmaci anti-proliferativi, che riducono la proliferazione dei fibroblasti, ancora non si sa se migliorano la sopravvivenza , sono usciti da troppo poco tempo. Quindi, questa è la parte relativa alle interstiziopatie polmonari.

A me interessa che sappiate che cos’è l’interzio polmonare, questo è ovvio, che poi sappiate come si classificano le interstiziopatie polmonari, le cause note e le cause non note. Tra le cause note abbiamo

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detto i farmaci, per esempio, alcune infezioni possono dare le interstiziopatie, come le patologie virali, le polmoniti da virus sono interstiziali, le polmoniti da microplasma, per chi fa microbiologia, l’avete fatta? La clamidia, da un quadro polmonare interstiziale.

Poi ci stanno le patologie interstiziali legate alle connettiviti, legate ad alcune forme di sarcoidosi, legate ad alcune forme di istiocitosi X, anche questa correlata al fumo, molte di queste interstiziopatie sono correlate al fumo. E poi le fibrosi polmonari idiopatiche. All’interno delle fibrosi polmonari idiopatiche ci sta l’UIP che è quella a prognosi più infausta, si deve trapiantare il soggetto se abbiamo l’organo. E quelle non UIP, che invece rispondono al trattamento. Dal punto di vista biomeccanico e fisiopatologico sono sintomi restrittivi parenchimali, con alterazione della diffusione e, quindi, con la tendenza a determinare un’insufficienza di tipo parziale.

[Gli ultimi due aspetti importanti che sono a cavallo con la cardiologia, che è un dibattito sempre grande su chi deve trattare questo tipo di pazienti con l’edema polmonare e con l’embolia polmonare. Il cardiologo rimpalla lo pneumologo, lo pneumologo rimpalla il cardiologo. Quel poverino sta in mezzo e quello che non può respirare perché certamente ha un’embolia polmonare acuta con edema polmonare acuto. Sono due condizioni a rischio di vita del soggetto. Questo lo avete conosciuto, lo avete studiato? Si? No? Ne avete sentito parlare.]

EMBOLIA POLMONARE

Un anatomopatologo austriaco coniò il termina di embolia nel 1859. E come la definite embolia? Come il distacco di uno o più frammenti più o meno larghi, più o meno piccoli da una parte terminale di un trombo soffice che vengono trasportati attraverso il sangue e guidati in vasi remoti, distanti dalla sede di origine. A questo processo lui diede il termine di embolia. Quindi, quando parliamo di embolia polmonare, nella maggior parte dei casi si tratterà di una trombo-embolia polmonare . Significa che ci deve essere un trombo distante, da cui si distaccano dei frammenti, più o meno soffici, più o meno lunghi che vanno ad occludere uno o più vasi arteriosi polmonari. Infatti, la definizione classica è questa: ostruzione acuta ricorrente o cronica (anche se l’embolia, nella maggior parte dei casi, è un episodio acuto) di uno o più vasi arteriosi polmonari determinata dalla presenza di coaguli ematici provenienti da trombi a sede periferica, ovviamente a sede nel sistema venoso profondo. Se dal sistema venoso profondo vi diparte un embolo dove va a finire? Nel primo filtro che incontra. Il primo filtro è l’apparato, il circolo polmonare. Raramente dà fenomeni di trombosi locale, molto difficili, una trombosi cardiaca,una trombosi autoctona o un’embolia paradosso oppure da emboli che sono estranei alla normale composizione del sangue. Questi possono realizzarsi anche se sono meno frequenti. Sicuramente, avrete sentito parlare dell’embolia dei sommozzatori legata all’azoto, oppure all’embolia di grassi legata agli interventi ortopedici. Se in un soggetto si rilasciano piccole quantità di grassi, cosa succede? Questi vanno ad occludere uno o più rami arteriosi polmonari, ma non è la normale composizione del sangue, nel sangue non c’è il grasso. Oppure, per esempio, embolie da liquido amniotico, anche queste, fortunatamente molto rare, nella donna in gravidanza. Se ci soffermiamo alla trombo-embolia polmonare classica, da materiale proveniente dal sangue, Virchow disse che i fattori di rischio più importanti sono: la stasi circolatoria, l’ipercoagulabilità del sangue e il danno dell’endotelio.

Dobbiamo capire come si traducono nella clinica questi tre fattori. Nel 90% dei casi proviene dal sistema venoso profondo. Cos’è la stasi venosa? Sapete come sono fatte le vene, si? Hanno una struttura con delle valvole a nido di rondine e ci sono dei gruppi muscolari che non fanno altro che mettere in movimento il

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sangue che non tornerà indietro. Quindi, se il soggetto si ferma, queste valvole non funzionano e il sangue si ferma e coagula. Quindi, la stasi circolatoria è legata all’immobilità . Quindi, ecco perché i soggetti che sono immobili hanno più rischio di sviluppare embolia polmonare. E quando possono essere immobili i soggetti? Quando sono stati operati, per il dolore quindi e per una serie di motivi . Infatti, oggi si tende a mobilizzare subito i soggetti nel post- operatorio per evitare appunto embolia polmonare.

Tanto è vero che si devono attuare dei sistemi per evitare ciò, come per esempio l’uso di calze contenitive che aumentano la pressione e migliorano il movimento di queste valvole, oppure anti-coagulanti come l’eparina. Poi cosa abbiamo: questo è un trombo che si diparte dal sistema venoso profondo e raggiunge l’arteria polmonare in questo caso. L’embolo si vede come materiale molto scuro. Uno, quindi, è la stasi circolatoria che è molto semplice, l’altra è l’ipercoagulabilità del sangue e, che cosa si intende? Si intende la tendenza del sangue a coagulare con una maggiore velocità rispetto al soggetto sano. Questo perché? Perché rispetto al soggetto sano c’è un’alterazione genetica di alcune proteine che sono implicate nella cascata della coagulazione. La proteina C attivata o il fattore V° di Leiden. Esiste una patologia per un’alterazione di questo fattore dovuta ad un’alterazione di alcuni alleli che fanno coagulare il sangue con facilità. Un deficit di proteina C e proteina S o di attivatore tissutale del fibrinogeno . Diciamo che esistono delle condizioni per cui geneticamente il soggetto riesce a far coagulare più facilmente il sangue rispetto ad un soggetto normale. Quindi, un soggetto, per esempio, portatore del fattore V° ha 20 volte la probabilità di avere un’embolia polmonare rispetto a chi non ce l’ha, che comunque non si sa, si scopre quando c’è un evento e perché si sanno? Si vanno a valutare i fattori di rischio(assunzione di farmaci, post-operatorio). Quando si escludono questi fattori si va a valutare l’aspetto genetico soprattutto se il soggetto è giovane, perché in genere sono i soggetti giovani che manifestano queste trombo-embolie strane.

Gli altri fattori di rischio, vedete, l’immobilizzazione, l’intervento chirurgico, le neoplasie (il soggetto neoplastico ha tendenza a far coagulare facilmente il sangue), tutta la traumatologia, un’altra cosa, l’utilizzo di contraccettivi orali, che specie se il soggetto è fumatore, aumentano i rischi di trombo-embolia polmonare. Fumo di sigaretta, neanche a dirlo, è implicato anche nei fenomeni coagulativi, l’obesità, alcune malattie infiammatorie e la sindrome nefrotica, quindi, la perdita di proteine, la proteinuria spiccata, l’iperviscosità ematica.

L’altro quale può essere? Il danno dell’endotelio. Perché l’endotelio che fa? In generale possiamo dire che l’endotelio non è solo una barriera meccanica, che separa il sangue dalla parete del vaso ma è qualcosa di metabolicamente attivo che produce sia fattori vasodilatatori, tra i quali il monossido di azoto od ossido nitrico e fattori pro-cougulanti, attivatori tissutali delle piastrine ed altri fattori che possono attivare un processo coagulativo. Quando un soggetto può avere un danno endoteliale? Con un trauma sportivo per esempio. Vedete che purtroppo nel 45% dei casi l’embolia polmonare non ha una causa apparentemente nota, è qualcosa di veramente insidioso dal punto di vista clinico. Spesso non si capiva di cosa era morto e si vedeva all’autopsia, questo per dirvi anche la modalità con cui si manifesta. Noi dobbiamo fare la fisiopatologia. Cosa succede quando uno o più rami arteriosi polmonari si occludono? Dipende dal materiale embolizzato. La maggior parte l’abbiamo detto, proviene dal sangue. Dipende dalle dimensioni, una cosa è occludere tutta l’arteria un’altra è occluderla parzialmente e vedere anche in quanto tempo si realizzano questi processi di occlusione. Quando facciamo la diagnosi di embolia polmonare non ci preoccupa tanto togliere quegli emboli quanto evitare che se ne formino degli altri perché se se n’è formato uno evidentemente c’è una fonte che ne può rilasciare degli altri. L’organismo cerca di difendersi da sé rilasciando dei fattori fibrolitici. Cosa succede dal punto di vista emodinamico quando si va a

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chiudere, mettiamo il caso, un grosso ramo arterioso polmonare, secondo voi? Se voi andate a sperimentalmente in un animale l’arteria principale di destra, gliela chiudete con una molletta, aumenta la pressione nel circolo polmonare. Quindi, si ha un’ipertensione polmonare. Sapete che il circolo polmonare è un circolo come? Bassa pressione, elevata portata e bassa resistenza. Normalmente la pressione nel circolo polmonare quant’è? 8, 10, 12, 14 mmHg. Si parla di pressione polmonare elevata quando supera i 20, 25mmHg. Capite bene che mentre nella circolazione sistemica abbiamo 120 su 80, nella circolazione polmonare abbiamo una pressione molto più bassa. Quando si raggiunge i 20, 25, 30 di pressione media polmonare, parliamo di ipertensione polmonare conclamata. Cosa succede se la pressione polmonare è elevata? Il cuore destro non supporta, non è strutturalmente fatto come il cuore sinistro, quindi, tende a dilatarsi, quindi c’è uno scompenso cardiaco acuto destro . Come si manifesterà uno scompenso cardiaco acuto destro? Con il turgore delle giugulari, con il fegato da stasi, con l’edema agli arti inferiori, con insufficienza tricuspidale, perché la valvola non si riesce a chiudere se l’atrio e il ventricolo sono dilatati. Dal punto di vista dello scambio dei gas, se voi chiudete un’arteria polmonare che succede? L’intera porzione di parenchima polmonare sarà ventilata ma non perfusa, quindi, qual è il meccanismo che sottende? Shunt o spazio morto? Se una porzione di polmone è ventilata l’aria arriva ma non può essere utilizzata per gli scambi, è un’aria morta, è un’aria che non va da nessuna parte, perché arriva negli alveoli e poi non c’è il sangue e, quindi, non può passare dall’altro lato.

Quindi, cosa succede dal punta di vista fisiopatologico quando si ha un’ostruzione acuta di uno o più rami arteriosi polmonari? Si ha una vasocostrizione, un’ostruzione vascolare e vedete che la pressione polmonare aumenta quando almeno il 20, 25% del circolo polmonare è chiuso . Quindi, un aumento della pressione media polmonare di almeno 30, 40 mmHg costituisce uno stato di ipertensione arteriosa polmonare. Cosa succede poi in questo tessuto polmonare che è ventilato ma non perfuso? Vengono rilasciate delle amine e delle sostanze che danno broncocostrizione, soprattutto la serotonina. Cioè, l’organismo come reagisce? Reagisce dismettendo sostanze che tendono a chiudere i bronchi, perché se una porzione di polmoni, perché se una porzione di polmone non è perfusa, l’organismo tende anche a non farla ventilare, riducendo il volume di aria che la raggiunge. Quindi, aumenteranno le resistenze al flusso aereo, quindi si potranno avere delle zone che sono ventilate ma non perfuse, che piano piano riducono la quantità di aria all’interno. Si creano, quindi, delle porzioni non ventilate. Come si chiamano le porzioni di polmoni non ventilate? Una porzione di polmone che non è ventilata si chiama Atelettasia. Sapete che cos’è il polmone atelettasico? Un polmone privo di aria. Se un soggetto ha uno pneumotorace, il polmone si collassa e il polmone diventa atelettasico. Se il soggetto ha un tumore e chiude completamente un bronco, a valle l’aria si riassorbe e diventa un’atelettasia polmonare.

E questo è quello che ha fatto questo tizio che ha studiato per primo le modifiche anatomo – funzionali dell’embolia. In laboratorio ha preso una cavia e gli ha chiuso un’arteria e si è visto che dopo, 24, 48, 72 ore il parenchima polmonare diventava atelettasico e congesto come meccanismo di compenso. Quindi, in un soggetto che ha l’embolia polmonare aumenterà il volume dello spazio morto. Quindi, il soggetto che farà? Cercherà di aumentare la ventilazione per sopperire a questa alterazione del rapporto ventilo – perfusivo. Questo soggetto avrà nell’emogasanalisi un’ipossemia associata a ipocapnia che tende a ventilare in maniera diciamo da avere una frequenza respiratoria più elevata. Questo che cosa comporta? Un aumento ulteriore dello spazio morto. Se noi ventiliamo in maniera superficiale e veloce, che cosa facciamo? Spostiamo solo l’aria dello spazio morto ma nell’alveolo non arriva niente. Quindi, varierà quello che è il rapporto tra lo spazio morto e il volume corrente. Abbiamo detto che normalmente è il 30% . In condizioni normali il 30% dell’aria che raggiunge, che passa nell’apparato respiratorio è legato allo spazio

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morto. Nell’embolia questo rapporto aumenterà. Tutto questo si traduce in ipossemia ed ipocapnia. Quindi, se un soggetto manifesta tutta una serie di sintomi che si verificano rapidamente, quali possono essere i sintomi di esordio nell’embolia polmonare? La dispnea acuta. In un soggetto, all’improvviso, si chiude un’arteria o più arterie, avrà una dispnea acuta, può avere dolore toracico, potrà avere tachipnea riflessa quindi, avrà un respiro superficiale.

Dal punto di vista cardiocircolatorio i sintomi più importanti dell’embolia non sono respiratori, sono cardiocircolatori. Cosa succede ad un soggetto se noi chiudiamo un’arteria polmonare, abbiamo detto il cuore destro non ce la fa più. Quindi il turgore delle giugulari, e poi che cosa avrà? Il soggetto non è che va subito in turgore, a un certo punto può avere una sincope, sviene, cade a terra, è svenuto, gli è calata la pressione, perché questo? Se il cuore destro si gonfia di sangue e non riesce a buttarlo, giusto, il setto interventricolare si sposta verso sinistra, il cuore sinistro non riesce a riempirsi in diastole e, quindi si ha una perdita di gittata, quindi, se ne cala la pressione di colpo, il soggetto ha una sincope e questo è molto grave se si realizza contemporaneamente all’embolia polmonare perché significa che emodinamicamente è significativo questo episodio di embolia. Bisogna intervenire rapidamente per cercare di ripercorrere rapidamente il circolo polmonare ostruito. Però, se non capiamo questi meccanismi non ci spieghiamo il perché si possono verificare sintomi respiratori. Imparate a memoria la triade sintomatologica l’embolia, il dolore, l’apnea, la sincope o quant’altro. Dopo 10 minuti ve li siete dimenticati.

Qua non ne parliamo proprio a questo punto.

Vedete, per esempio, in questo caso, questa è l’arteria polmonare principale e diramazioni, qua c’è un grosso embolo che chiude quasi completamente l’arteria polmonare di sinistra. Nella radiografia si vede tutto al contrario, da quel lato è sinistro da quell’altro lato è destro. Vedete che nel sangue avrà una tendenza per l’anidride carbonica bassa, anche se l’ossigeno è normale con un gradiente tra ossigeno arterioso alveolare molto alto. Quindi, già l’emogasanalisi ci può far prevedere o ipotizzare uno stato di embolia polmonare. Quindi, l’embolia polmonare non è complicata. Dovete spiegarvi mentalmente quando si chiude una o più arterie polmonari che cosa succede dal punto di vista emodinamico, cardiaco, dal punto di vista dello scambio dei gas. Se riuscite a spiegare questi meccanismi, riuscite a capire quali sono i sintomi di esordio di un quadro che, abbiamo detto, spesso non viene riconosciuto se non dopo la morte. E’ un quadro che se non è trattato rapidamente il soggetto ha poche possibilità di sopravvivenza. Quindi, dobbiamo sapere che esiste, dobbiamo sapere i fattori di rischio che la determinano, perché se noi citiamo i fattori di rischio abbiamo meno eventi. Infatti, a tutti i soggetti allettati va fatto un trattamento preventivo con calze elastiche e con trattamento eparinico che scioglie il sangue, lo mantiene più fluido. Così come dobbiamo sapere che anche fattori di rischi, fattori generici, quelli traumatici, a quelli legati a farmaci, come il contraccettivo orale, quelli legati al fumo di sigaretta. E l’ultima parte, anche questa vi porta alla parte cardiovascolare, perché anche questa è un quadro fisiopatologico estremamente importante. E’ facile che vi capiti al pronto soccorso, in guardia medica, in medicina generale, in altra situazione, un paziente con edema polmonare e, un paziente con edema polmonare, se non viene riconosciuto e trattato, muore. Ecco l’importanza di questo quadro, che farete meglio, spero, nella sistematica. Però, se non capite i meccanismi fisiopatologici, non andiamo da nessuna parte.

EDEMA POLMONARE

Questa è una membrana alveolo-capillare al microscopio a scansione; c’è una parte sottile ed una parte più spessa. Ovviamente, l’edema polmonare cos’è? Un accumulo di liquido a livello prima interstiziale e poi

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alveolare. Si manifesta clinicamente e poi con dei rumori discontinui che si chiamano rantoli che vanno dalle basi verso l’alto e sono di intensità molto elevata fino a quando il soggetto emette un espettorato anche schiumoso, rosato. Perché lo emette schiumoso? E’ surfattante alveolare. Sapete come è fatto il surfattante alveolare? Abbassa la tensione superficiale, vince la legge di La Place ed è dipalmitoilecitina. Quindi, è una sostanza tipo schiuma. Emetto una sorta di espettorato schiumoso che può essere anche striato di sangue. Su cosa si basa il passaggio di liquidi dai vasi verso l’interstizio e verso gli alveoli? Da questa legge, apparentemente complicata, l’ha fatta questo aviatore che si chiama Starling e l’avete in fisiologia, giusto? Quindi, questa la sapete bene, giusto i principi che regolano la legge di Starling: la pressione idrostatica, la pressione osmotica, la capacità di riassorbimento del sistema linfatico. Quindi, un soggetto può avere un passaggio di liquidi o perché diminuisce la pressione colloidosmotica o perché aumenta la pressione idrostatica all’interno dei vasi. L’opposto si verifica nel liquido interstiziale, oppure si ha un’alterazione del drenaggio linfatico. E, allora, quali sono i meccanismi che posso determinare l’insorgenza dell’edema alveolare o polmonare che dir si voglia? Ci può essere un’alterazione intrinseca della membrana alveolo – capillare. Cioè le pressioni sono buone, la pressione idrostatica è buona, la pressione colloidosmotica è buona, ma questa membrana diventa più porosa , si lascia attraversare con maggiore facilità dall’acqua e, quindi, si perdono anche proteine. Questo comporta un edema polmonare che è tipico del polmone da shock. Si chiama ARDS (Sindrome Acuta da Distress Respiratorio) . Oppure possiamo avere un’alterazione delle pressioni. Per esempio una riduzione della pressione colloidosmotica, delle proteine, è grave, soprattutto è l’albumina a determinare la pressione colloidosmotica oppure possiamo avere un aumento della pressione idrostatica. La condizione che è più facile da realizzarsi nella pratica clinica di edema polmonare è conseguente ad una crisi ipertensiva. Soggetto con una crisi ipertensiva ha un’alterazione della sezione sinistra del cuore, si ripercuote a volte sulle vene polmonari, sul circolo polmonare, sulla micro circolazione polmonare, aumentando la pressione, travasa liquido, il soggetto ha una crisi ipertensiva ed in più, per esempio, ha un danno valvolare in carico.

Quindi, questo è più semplice della prima. Aumenta la pressione idrostatica capillare, può diminuire la pressione oncotica del plasma, si può avere un’insufficienza di drenaggio linfatico, per esempio in una carcinomatosi infantile. Ma in quel caso c’è poco da fare. Un’alterazione primitiva della membrana alveolo – capillare, ci può essere un edema polmonare da elevata altitudine, anche questa abbastanza rara; oppure un aumento della negatività della pressione interstiziale: si chiama edema polmonare a pressione negativa. Quando si ha? Quando cerchiamo di riespandere un polmone collassato troppo velocemente . Se noi lo riespandiamo troppo velocemente negli stessi interstizi si crea una pressione negativa che richiama liquido, il polmone va soggetto ad edema polmonare . Quando ci mettiamo un tubo di drenaggio ed aspiriamo troppo velocemente l’aria, per un pneumotorace il soggetto può avere un edema polmonare da riespansione o a pressione negativa.

La causa più frequente di edema polmonare, l’abbiamo detto, è un’insufficienza ventricolare sinistra legata, per esempio, ad un crisi ipertensiva.

Se il soggetto ha l’edema polmonare il suo polmone peserà di meno o di più rispetto ad un soggetto normale? E’ come una spugna che mettete nell’acqua, se voi una spugna la buttate in acqua, poi la tirare su senza strizzarla, peserà di più. Lo stesso il polmone di un soggetto con edema polmonare, quindi, la sua compliance sarà ridotta. Siccome il polmone, abbiamo detto, e le vie aeree sono interdipendenti, se il polmone è meno compliante, le vie aeree come saranno? Ridotte o aumentate? Ridotte. Quindi, la difficoltà a far passare l’aria aumentata, aumenta la resistenza. Cosa succede per fare espandere un

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polmone che è bagnato? Ci vuole la stessa negatività o una maggiore negatività? Una maggiore negatività intratoracica. Quindi, deve aumentare la fluttuazione della pressione negativa intratoracica, nel senso, se io faccio questo tipo di sforzo per espandere il mio polmone, quando il polmone ha liquido, è bagnato, poco gonfiante, devo esercitare una maggiore negatività dentro il torace, che si deve togliere una maggiore differenza di pressione per fare allargare questo polmone. Quindi, aumenta il lavoro respiratorio, lavoro che devono fare i muscoli per espandere un polmone meno compliante. Poi cosa succederà se c’è un’insufficienza ventricolare sinistra? Diminuirà la gittata cardiaca, se no non la possiamo definire un’insufficienza ventricolare sinistra. Quindi, diminuirà il quantitativo di ossigeno che raggiungerà i muscoli e, quindi, è un circolo vizioso. Ma la cosa più importante, se il soggetto crea una maggiore negatività dentro il torace per far espandere il polmone, il cuore come ne risente di questo? Il cuore dove si trova? Nel mediastino, quindi nel torace. Giusto? Il cuore, vi ho detto all’inizio, forse oggi, non me lo ricordo più, il cuore e il polmone sono due pompe in serie che stanno entrambe all’interno del torace. Quindi, se il soggetto con edema polmonare deve creare una maggiore negatività per espandere il polmone, il torace che si trova in mezzo ai due polmoni che subirà dal punto di vista fisiopatologico? Ha una difficoltà a contrarsi. Se il cuore si contrae, giusto, con questo meccanismo e all’esterno noi gli creiamo una pressione negativa che stira le pareti verso l’esterno, il cuore che fa, pompa con facilità ? No, ha difficoltà a pompare il sangue. Quindi, abbiamo meccanismi correlati, cuore – polmone. Questa è la pressione negativa intratoracica, vedete, in un soggetto normale la deflessione è piccola, cioè il soggetto esercita piccole variazioni per fare espandere il polmone. Il soggetto che ha l’edema polmonare deve creare delle pressioni intrapleuriche, in questo caso, intra-esofagee molto negative per fare espandere allo stesso modo il polmone bagnato. Quindi, che cosa succede? Immaginate che questa è la cavità toracica, a destra ci sono i polmoni e quello è il ventricolo sinistro. Se aumenta la pressione di trazione sul ventricolo sinistro diminuirà la gittata. Questo ventricolo è stirato è allargato e non riesce a pompare il sangue. Questo perché aumenta la pressione trasmurale del ventricolo sinistro. La pressione che c’è all’interno del ventricolo rispetto a quella che c’è all’esterno del ventricolo. Quindi, se all’interno c’è una pressione di 100 ed all’esterno c’è una pressione di – 20, la pressione trasmurale sarà di 120 . I due negativi si annullano. Quindi, che cosa succede? Succede che il danno cardiaco iniziale si ripercuote sul danno polmonare, il polmone si ingorga di liquidi, diventa meno compliante e c’è bisogno di una maggiore forza per farlo espandere, questa maggiore forza per farlo espandere crea una maggiore negatività dentro il torace che ostacola la funzione normale del cuore che già è deficitario.

Se noi aumentiamo la pressione dentro le vie aeree, non dentro il torace, dentro le vie aeree, il polmone si potrà espandere con una maggiore facilità, quindi, ridurremo questa escursione negativa intratoracica, miglioreremo la performance del cuore. L’edema polmonare si tratta o pre farmacologicamente o con una ventilazione meccanica applicata alla faccia del soggetto, non invasiva. Aumentiamo la pressione nelle vie aeree, evitiamo che il liquido passi nell’alveolo, evitiamo che il polmone diventi pieno di acqua e, quindi, miglioriamo la performance del cuore sinistro. Questo concetto di interdipendenza polmone – cuore l’avete capito? E’ importante. Che se noi riduciamo questa negatività intratoracica necessaria per fare espandere il polmone il cuore ne risentirà in maniera benefica. Se a questo associamo i diuretici od altro per far eliminare questo eccesso di liquidi questo soggetto potrà migliorare, gli facciamo abbassare la pressione e quant’altro.

Poi c’è la parte dei versamenti pleurici che l’ultima che troverete in queste diapositive che vi do, ma in genere l’approccio ai versamenti pleurici è abbastanza semplice, più semplice degli altri.

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