Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 4 GIUGNO 2011 ANNO 14 • N. 22 DON CIOTTI DON CIOTTI ULTRAVISTA: LIBRI PER L’ESTATE SANTARCANGELO 41 CHIPS&SALSAULTRASUONI: DE GREGORI, LA CONTESTAZIONE DEL SECOLO RAP & ROCKTALPALIBRI: CERONETTI DI STEFANO BERGERO LA BUR LE ROVINE DI MILANO/5 SEILER BACHMANN HANDKE Lasciare libero il passo SABATO 9 LUGLIO 2011 ANNO 14 • N. 27 SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SULLE TRACCE DI UNA FORZA INARRESTABILE CHE DALLA TORINO DEGLI ANNI ’70 HA ATTRAVERSATO TUTTO IL PAESE ED È ARRIVATA IN SICILIA. «LA PEDATA DI DIO» RACCOGLIE UN VENTO CHE NON LASCIA RIPOSARE LA POLVERE ALZATA DA MAFIA E SOPRAFFAZIONE

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SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»SABATO 4 GIUGNO 2011 ANNO 14 • N. 22

DON CIOTTIDON CIOTTI • ULTRAVISTA: LIBRI PER L’ESTATE • SANTARCANGELO 41 • CHIPS&SALSA• ULTRASUONI: DE GREGORI, LA CONTESTAZIONE DEL SECOLO • RAP & ROCK• TALPALIBRI: CERONETTI • DI STEFANO • BERGERO • LA BUR • LE ROVINE DI MILANO/5 • SEILER • BACHMANN • HANDKE

Lasciarelibero

il passo

SABATO 9 LUGLIO 2011 ANNO 14 • N. 27

SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO»

SULLE TRACCE DI UNA FORZA INARRESTABILE CHE DALLA TORINO

DEGLI ANNI ’70 HA ATTRAVERSATO TUTTO IL PAESE ED È ARRIVATA

IN SICILIA. «LA PEDATA DI DIO» RACCOGLIE UN VENTO

CHE NON LASCIA RIPOSARE LA POLVERE ALZATA DA MAFIA

E SOPRAFFAZIONE

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■ DOCUMENTARIO ■ LA PEDATA DI DIO ■

Questo è «il noi»che Libera tutti

Don Ciotti(foto Massimiliano

Verdino);immagini

dalla copertinadel dvd «La pedata

di Dio» (sopra)e momenti sul set

durantele riprese del film

(destra)

2) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

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«Libero cinema in libera terra» è il festivalitinerante sui beni confiscati alle mafie VIedizione che si tiene dal 1 al 23 luglio inundici regioni, dal Piemonte alla Sicilianelle cooperative di Libera Terra. La mani-festazione è organizzata dalla FondazioneCinemovel, presieduta da Ettore Scola, incollaborazione con Libera, Associazionecontro le mafie fondata da Don Luigi Ciot-ti. Ragazzi e ragazze provenienti da tuttaItalia ogni estate scelgono di fare un'espe-rienza di volontariato e di formazione civi-le sui terreni confiscati, gestiti dalle coope-rative sociali di Libera Terra. Oltre ad alcu-ne tappe storiche come San Sebastiano daPo, Galbiate, Mesagne, Polistena, L’Aquila,Belpasso, Castel Volturno, quest’anno ilfestival nomade monterà lo schermo an-che nel modenese e poi a Matera, a Polli-ca, Isola Capo Rizzuto, Castelvetrano, Fava-ra, Roccamena, Lanuvio. Il tour si concludeil 23 luglio a Firenze, alla Festa nazionaledi Libera. In programma i film di RobertaTorre, Ascanio Celestini, PasqualeScimeca, Laura Halilovic, Andrea Segre,Calabria, Ruggiero, D'Ambrosio («Biutifulcauntri»), Pietro Marcello, Daniele Gaglia-none, Marco Chiarini, Jafhar Panhai. Pro-gramma su www.cinemovel.tv, per soste-nere l’iniziativa con piccoli fondi popolariwww.produzionidal basso.com

Il ManifestoDIRETTORE RESPONSABILENorma RangeriVICEDIRETTOREAngelo Mastrandrea

AliasA CURA DIRoberto Silvestri

Francesco Adinolfi(Ultrasuoni),Federico De Melis,Roberto Andreotti(Talpalibri)ConMassimo De Feo,Roberto Peciola,Silvana Silvestri

REDAZIONEvia A. Bargoni, 800153 - RomaInfo:ULTRAVISTAfax 0668719573ULTRASUONIfax 0668719573TALPA LIBRItel. 0668719549e [email protected]:http://www.ilmanifesto.it

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LIBERO CINEMA

di Silvana Silvestri

La parola di don Ciotti hamesso in moto meccanismi di gi-gantesca portata, iniziative chepartono da molto lontano, da unaTorino che negli anni ’70 stavaper iniziare un inarrestabile decli-no, le lotte operaie sotto tiro e unagenerazione che sarebbe prestosparita, sottoposta all’ingresso mi-rato dell’eroina. Così nasce il grup-po Abele. Ma oggi siamo in un al-tro secolo, la crisi è diventata lanormalità e vedere La pedata diDio, il documentario di TommasoD’Elia, Silvia Bonanni e DanielaPreziosi, ci apre alla speranza. Siracconta tutta la rete che avvolgeil nostro paese con migliaia di pre-senze organizzate ad arrestare tut-ti i veleni che ci circondano, conla stessa forza con cui tentano didistruggerlo, tessuta ormai in qua-rant’anni di lavoro. La mafia, lecarceri, la droga, le violenze e le so-praffazioni hanno trovato in «Libe-ra», nel gruppo Abele e Arcobale-no e molto altro la risposta chemeritano.

Attraversiamo tutta l’Italia dasud a nord in questo documenta-rio (sarà proiettato in pubblico allafesta di Libera a metà luglio, ma sipuò vedere sul sito di Arcoiris chelo ha prodotto), dalla legalità chesi materializza attraverso le terrestrappate alla mafia e che Liberagestisce, alla grande riunione deifamiliari delle vittime di mafia chepronunciano uno dopo l’altro i no-mi dei familiari uccisi come a ren-derli presenti. Il cardinale Pellegri-no disse un giorno a don Ciotti«Luigi, la sua parrocchia sarà lastrada» e lui lo ha preso in parolatrasformando le strade d’Italia inuna grande assemblea di gente at-tiva che difende i poveri e gli ulti-mi, nei luoghi dalle sopraffazionicome il presidio di Libera all’Aqui-la che monitora il territorio, arrivafino a Bruxelles in pullman a dareuna presenza collettiva nella gior-nata contro la corruzione, fa delgruppo Abele un luogo dove transi-tano 25 mila persone all’anno dariabilitare e difendere, in una Tori-no che sembra fatta di gente indif-ferente (lui dice «seriosa») ma ca-pace di generosità, come i tanti vo-lontari che nella fabbrica donatada Giovanni Agnelli praticanoun’accoglienza impareggiabile. Ildocumentario si chiude con unasua citazione da don Albino Casa-ti: «vorrei che le chiese fossero co-me gli alberi che danno ombra, ci-bo, riparo agli uccelli per poi la-sciarli volare via» a sottolineare lasua idea della chiesa come luogoaperto.

Com’è don Ciotti? «È un uomocome tutti, cioè non come tutti» di-

ce uno dei suoi e lo descrive perfet-tamente, attraversato da dubbi econtraddizioni. «Ci vuole molto co-raggio, lui ci insegna coraggio» ag-giunge.

C’è voluto anche un bel po’ dicoraggio, pensiamo, ad andare dalui e chiedere: possiamo fare undocumentario su di te?

Intanto perché sottolinea conti-nuamente il lavoro collettivo: «Iofaccio la mia parte, dice questanon è opera di navigatori solitari,questa è la forza, questo è il «noi».Bisogna che la gente sappia che lapovertà non è un destino, ma frut-to di scelte politiche».

Tra le firme della regia un docu-mentarista di lungo corso, Tom-maso D’Elia autore di bellissimi la-vori dal latinoamerica, dalla Gior-dania, dall’Afghanistan, poi in Cilecon Daniela Preziosi per Calle Mi-guel Claro 1359, che prende il tito-lo dall’indirizzo dell’ambasciataitaliana a Santiago che durante ladittatura accolse 600 rifugiati (uffi-cialmente). Inoltre ha realizzatotre documentari dal «Rototom Reg-gae Sunsplash Festival» di Osop-po, un luogo dove la tolleranza èstrumento di trasmissione di sape-ri. La difficoltà di raccontare laguerra e gli stermini si affiancanoa «La pedata di Dio, una pista diffi-cile da seguire, per un personag-gio che rifugge dal culto della per-sonalità e dalla complessa mappadi iniziative da raccontare.

Quali difficoltà avete incon-trato?

Già l’impresa di riuscire a incon-trarlo ci ha impegnato più di unmese. Lo abbiamo incontrato nel-la sede nazionale di «Libera». Gliho detto che ero stato convocatoda Arcoiris che mi aveva chiesto difare un documentario su di lui.Avevo giù lavorato agli inizi di Libe-ra con alcuni progetti su Roma.Lui ha risposto: «No no, guarda sudi me non se ne parla proprio». Pe-rò ha aggiunto «se riuscite a fare imille volti ,le mille storie, le millefacce, quel «noi» che è così impor-tante, io poi ve le lego». Lui è statonon solo oggetto, ma soggetto deldocumentario, l’ha un po’ coman-dato. Dovete andare là, dovete fa-re questo e quest’altro. L’altra co-sa bella è stata quel rapporto di-staccato ma anche intimo con luiche spero venga fuori.

Emerge benissimo anche ilmosaico di iniziative, dal sudverso il nord del paese.

La prima cosa che abbiamo ripre-so è stata quella pazzesca e fatico-sa per noi, come sempre quandoti trovi di fronte al dolore degli al-tri: Luigi ci ha portato nella bellissi-ma struttura di Terrasini, albergochiuso d’inverno e riaperto per ac-cogliere delle giornate di studio edi lavoro insieme a trecento paren-

ti di vittime di mafia. Un impattofortissimo.

Eppure tu hai grande espe-rienza di situazioni al limite

Quando lavori in maniera empati-ca in cui entri nelle storie perchéne fai parte, perché cerchi di aboli-re quel diaframma mostruoso cheè la macchina da presa o il micro-fono, non è così semplice. Stai conloro, gli stai accanto. Gli abbiamochiesto: tu stai con loro, con que-sto dolore continuo. Come fai? Harisposto: «ma io sto in silenzio, ciguardiamo, ci tocchiamo le mani».

La caratteristica del silenzioè meno conosciuta della suatrascinante eloquenza.

La cosa più eclatante in lui è che èuna persona pulita, una personaperbene. Poi siamo andati all’Aqui-la e abbiamo deciso di raccontarela storia con una troupe di giornali-sti Rai, la nostra scelta è stata docu-mentare questo modello di docu-mentazione: loro facevano ’la tele-visione’ e noi riprendevamo loromentre la facevano. Lo dice ancheDaniela Preziosi: «per una volta ri-tornano nel cratere i giornalisti».Era il secondo anno.

Come siete infine riusciti afarlo parlare così a lungo?

Ci ha tenuto molto sotto controllodall’inizio alla fine, sapeva quelloche avevamo fatto a Torino. Tori-no è una situazione molto specia-le, il Gruppo Abele ha 600 personeche ci lavorano tra volontari e ad-detti, 25 mila persone che l’attra-versano, tra gruppi di contrasto,persone che transitano ogni anno.Stanno in questa fabbrica bellissi-ma, regalata da Giovanni Agnelli,un fan di Luigi, con una delle bi-blioteche più importanti sulla lot-ta alle mafie, estremamente spe-cializzata, la consulta chi lavora suquesti argomenti. Fuori della «Fab-brica delle ’e’», così si chiama, fan-no la raccolta della differenziata aTorino con centinaia di furgoni,tutti vengono da una cooperativache ha esperienza di reinserimen-to di tossicodipendenti. Negli annisono diventati i primi raccoglitoridi differenziata di Italia.

Torino è una città che a uncerto punto sembrava senzasperanza, oggi è rinata.

Noi facevamo le riunioni tra Torino e Pinerolo negli anni ’70, poi è diven-tata una città buia ed ora è una città quasi colorata. Il gruppo Abele ha 45anni di età. Noi abbiamo ripreso per puro caso il loro anniversario, maper loro è stata una cosa molto importante. Nasce da un incontro su unapanchina, come racconta, dalle parole di un barbone che un tempo erastato medico e ora è un insieme di attività produttive e non, perché è chia-ro che la riduzione del danno non può essere produttiva, oppure l’acco-glienza di donne sole che girano nel quartiere senza sapere dove andare adormire, con bambini, spesso immigrate ma non solo. C’è un’attività fu-riosa del gruppo.

Come lo avete convinto? (chiediamo alla coautrice Daniela Prezio-si che lo intervista nel documentario)

È stato difficile convincerlo, abbia-mo dovuto fargli capire che erava-mo seri. È molto attento a non far-si costruire l’aureola perché que-sto non lo renderebbe credibile.Lui dice: io non esisto, c’è solo ilnoi, le mille facce, le mille espe-rienze. Ogni volta che portavamola camera su di lui, si allontanava,poi ha capito che andavamo neiposti a seguire le attività e non luie alla riunione dei familiari dellevittime per mafia fatta a porte chiu-se siamo stati l’unica telecameraad avere il permesso di riprendere.Lì c’erano le persone più conosciu-te, i familiari di Falcone, Nando

Della Chiesa, ma anche tante vedo-ve non raggiunte da nessun risarci-mento. Infatti Libera lavora anchecon gli avvocati per poter ottenerei risarcimenti per le persone sem-plici che non hanno accesso alleinformazioni, altre che non posso-no averli perché non si trovanopiù i cadaveri. In quella riunione sifaceva il punto sulle leggi, anchesu quella che dia la possibilità diandare a parlare nelle scuole co-me lavoro riconosciuto di pubbli-ca utilità. L’intervista che gli abbia-mo fatto alla Casa del Jazz, un luo-go importante ed emblematicoperché tolto alla banda della Ma-gliana, ha accettato di farla solo al-la fine dopo aver visto che lo aveva-mo seguito per sei mesi, compre-so l’avventuroso viaggio in pull-man a Bruxelles arrivato con dieciore di ritardo per problemi di neve(da quel viaggio abbiamo l’intervi-sta con Francesco Forgione l’expresidente della commissione anti-mafia («la presenza dei mafiosi inEuropa è economia»). O nella fab-brica donata da Agnelli sede di al-tre associazioni torinesi. Un aspet-to che non abbiamo potuto tocca-re, ma che è di grande importanzaè che lui è referente per il ministe-ro degli interni per le donne chedenunciano la tratta e che risiedo-no in case protette».

Avete toccato anche aspettireligiosi della sua attività?

Abbiamo cercato di farlo emerge-re, lui tiene alto l’aspetto pastora-le, più che l’aspetto teologico, se-condo la citazione della lettera pa-storale del cardinal Pellegrino ve-scovo di Torino indirizzata ai pretinel ’72 che dice che la chiesa devecamminare con gli ultimi. Apria-mo il documentario con una cita-zione del Vangelo in cui, nel corsodi una tempesta, agli apostoli spa-ventati dalle onde Gesù raccoman-da di non aver paura».

Torino è stata segnata dall’at-tività di don Bosco. Ci sonodei riferimenti a lui?

No, piuttosto a don Milani e aigrandi del cattolicesimo umile co-me padre Turoldo, che lo aiutavaper le iniziative in carcere, di cui ri-corda la frase «lo spirito è il ventoche non lascia riposare la polve-re». Pur con tanti limiti è un perso-naggio carismatico, il gruppo Abe-le ha avuto non pochi problemi,lui vive blindato non si sa a cheora arriva, a che ora riparte, ma tro-va sempre il tempo per portare ilsuo appoggio alle persone che han-no bisogno. Come fai a sostenerli?chiediamo. Non faccio niente, liabbraccio. E sono povera gente, fa-miliari di gente ammazzata. Connoi ha stabilito un rapporto. Ci ve-deva. Fisicamente non si rispar-mia, non molla mai. Più che perquello che dice è importante quel-lo che fa.. Con tutti i volontari haun rapporto.

Oltre all’incontro con i fami-liari delle vittime per mafia,quali sono stati i momentipiù emozionanti del lavoro?

Un altro momento è stato il Natalein fabbrica, si è riempito di volon-tari e beneficiati, tossici, puttane ezingari, Caselli ed altre autorità,tutti insieme, un vero presepeumano. Non produce soldi é lob-by politiche. Quando capisce chec’è autenticità in quello che fa, lagente semplicemente si mette a di-sposizione.

Si parla di

«un uomo come

tutti, cioè non come

tutti» e soprattutto

del «noi», di come

una moltitudine

di addetti

e volontari riescono

a muovere

i macigni

in un paese

immobilizzato

dalla corruzione

e dagli affari

sporchi

In copertina:Dzerina Dace:«Touring DanceTeacher»

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (3

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Due libri, entrambi editi da Voland, intema di aerei.Anzi: di incontri con sconosciuti all’ae-roporto, o una volta a bordo.Cosmetica del nemico, firmato daAmélie Nothomb, è subito inquietan-te nella sua trama semplicissima: unuomo di affari viene agganciato da untizio, il quale comincia a parlargli. Ilbusinessman tenta di sganciarsi, mainvano. Il tizio dichiara che non lolascerà mai in pace. Seguendo dialo-ghi fulminanti, la voglia di riempire dibotte l’odioso chiacchierone, aumen-ta nel lettore pagina dopo pagina.Come andrà a finire? Ci mancherebbealtro, se ve lo svelassimo.Tatami si svolge nella pancia di un jetche vola da Madrid a Tokyo. Sedutoaccanto a Olga, c’è un passeggeroche senza reticenze inizia a raccontar-le della sua passione per il voyeuri-smo. Olga, a tutta prima, si scandaliz-za. Poi cede all’impulso di fare do-mande, accorcia le distanze nei con-fronti dell’ambiguo personaggio, loascolta con attenzione crescente. Leragioni di questo cambiamento, forse,hanno radici anche in lei. Acquistateliper leggere durante il viaggio. In ae-reo, è ovvio.Amélie Nothomb, Cosmetica del nemi-co (pp. 84, Euro 7, Voland)Alberto Olmos, Tatami (pp. 101, Euro12, Voland)

ITALIADue titoli, dove è solo la fotografia aparlare. Portano la firma di AttilioCristini, che fin dagli esordi ha scel-to di puntare l’obbiettivo sulle tema-tiche sociali. L’Aquila rinasce docu-menta il lavoro nei cantieri, negli uf-fici, nelle strade, per ricostruire, soc-correre, restaurare. Cronaca asciut-ta in bianco e nero di una fatica quo-tidiana, fuori dalla retorica politicae dagli appalti truffaldini. Le Mar-che di Cristini sono le chitarre e le fi-sarmoniche de Il mestiere dei suoni,reportage sugli artigiani che tra Ca-stelfidardo e Recanati sfidano le tec-nologie e i ritmi industriali per conti-nuare a produrre strumenti dalla vo-ce incantevole. Sfidano le cifre del-l’audience e dello share ogni gior-no, da 15 anni, i protagonisti di Unposto al sole, serie tv talmente unicada non poter venir classificata né co-me soap opera, né come telenovela.In onda dal lunedì al venerdì su Rai3, conta un pubblico di tre milionidi adepti, tra cui numerosissimi so-no gli appartenenti all’area della si-nistra. Loro, ma non solo, si lascinocondurre da Un posto al sole, il Li-bro, attraverso una Napoli di cui bi-sogna rifiutare l’omologazione a cit-tà della spazzatura. Dvd della primapuntata, in allegato. Bella, sorniona,amara e cialtrona, è la Napoli de Ilparadiso può attendere. A volte, gui-da dentro l’anima della città con tut-ti i suoi enormi guai e l’inossidabileveracità dei suoi sorrisi popolari. Illibro si addentra tra i vicoli e respiralungo i corsi e le piazze, lasciandocilettori irrisolti di fronte all’eternoMistero Napoletano. E irrisolta, den-sa di verità nascoste, è la morte diCarlo Giuliani durante gli scontri aGenova del 2001. Becco Giallo, unacertezza editoriale nel panoramadella graphic novel, ricorda quei fat-ti attraverso Carlo Giuliani, il ribelledi Genova. Afferma l’editore: «... Pernoi, pubblicare questo libro signifi-ca provare a superare lo schema ra-gazzo con estintore contro ragazzocon pistola... riscoprendo da unaparte il Carlo Giuliani ragazzo, dal-l’altra tutti quegli elementi troppospesso taciuti, che hanno portato al-la sua morte e ai più maldestri tenta-tivi di depistaggio». Nota a margine:fino al 24 luglio, Palazzo Ducaleospita la mostra «Cassandra. Geno-va 2001 – Genova 2011» per raccon-tare il decennio di un movimentoche si radunò nel capoluogo ligurein pacifica contrapposizione al G8 evenne massacrato da polizia e cara-binieri. Lei è la Duchessa del nullache dà titolo a un’opera difficile dainscrivere con certezza in una preci-sa categoria letteraria. Lui è un bam-bino, il fratello di Edmund, che loha abbandonato insieme alla du-chessa. Rimangono senza nome i

due protagonisti, creature fluttuantiin una Roma «vuota», fatta di topo-grafie appena accennate, immensae immobile. Dove sono, perché so-no lì, a quali principi si ispira l’edu-cazione che la Duchessa vuole (vor-rebbe) trasmettere al bambino an-nientando con un disprezzo più tri-ste che crudele il matrimonio, i poe-ti, la scuola, l’amore stesso? Forse,vivono e camminano nel nulla deltempo, dello spazio, della vita. Al ter-mine del lungo monologo, la Du-chessa scrive: «Vado verso nord, aRoma. O almeno credo sia il nord».Attilio Cristini, L’Aquila Rinasce (pp.91, Euro 22), Il mestiere dei suoni(pp. 94, Euro 25), Edizioni LavoroMarco Mele, Un posto al sole, il Libro,(pp. 254, Euro 18, Testepiene)Gaetano Amato, Il paradiso può atten-dere. A volte (pp. 174, Euro 12.90, Te-stepiene)F.Barilli/ M. De Carli, Carlo Giuliani, il ri-belle di Genova, (pp. 144, Euro 15,Becco Giallo)Heather McGowan, Duchessa del nulla(pp. 173, Euro 16, Nutrimenti)

FRANCIACominciamo con Avanti, in cammi-no, sottotitolo «Vivere a quattro chi-lometri l’ora, pellegrini verso Santia-go». Santiago è quella di Composte-la, e non dite «che palle, l’ennesimaguida sulla via mistica!». L’autrice,accanita tabagista e pigra fino all’ec-cesso, accetta l’avventura a piedi co-me pacifica sfida alle sue poco saneabitudini. Parte, e redige un diariodi viaggio dove riversa ironia e legge-rezza, ma anche domande e consi-derazioni. Quasi un romanzo, certopiù di un semplice taccuino. Final-mente radunata in un solo volume,La trilogia di Fabio Montale, firma-ta da Jean Claude Izzo. Fabio, il poli-ziotto eternamente contro la pro-pria vita, si trasforma, al fianco delviaggiatore attento e tra le pagine diCasino totale, Chourmo, Solea, nelcicerone ideale per chi intenda sco-prire quei luoghi di Marsiglia lonta-ni da giovani creativi e barman acro-batici. Il veleno della maldicenza hai suoi migliori effetti nella vita di pro-vincia. A Tulle, sud ovest della Fran-cia, regione del Limosino, per 5 an-ni, dal 1917, viene iniettato attraver-so migliaia di lettere firmate «L’oc-chio della Tigre». Vizi, segreti, mal-vagità, si annidano, stando all’Oc-chio, negli ambienti della Prefettu-ra. L’opinione pubbli-ca nazionale seguiràinquieta (chi non hascheletri nell’arma-dio?) la vicenda, vera,finita in tribunale e ri-

costruita nel libro Le calligrafie delcorvo, è degna di un noir di granclasse. Un russo racconta Parigi abordo di un taxi, in Strade di notte.La Ville Lumière di Gazdanov sfavil-la anche lungo i boulevard, ma benpiù sovente contorce le sue viscerenel buio di personaggi dai destinidesolanti e desolati. Puttane e mini-stri, nobiltà decaduta e preti, filosofie operai, si raccontano buttando viaogni reticenza. Lo stile di Gazda-nov, vicino al gotico, ma capace dialleggerirsi grazie a un’ironia maifuori luogo, ha portato i critici ad ac-costarlo al Nabokov di Lolita. Giu-stamente.Alix de Saint André, Avanti, in cammi-no (pp. 270, Euro 18, Terre di Mezzo)Jean Claude Izzo, La trilogia di FabioMontale (pp. 690, Euro 19.50, edizio-ni e/o)Francette Vigneron, Le calligrafie delcorvo (pp. 423, Euro 19.50, Nutri-menti)Gajto Gazdanov, Strade di notte (pp.201, Euro 20, Zandonai)

PORTOGALLOUno ha fatto dell’immobilità lo spiri-to e la ragione della sua vita e dellasua letteratura. L’altro mette al cen-tro di un piccolo libro, il viaggio for-zato e le illusioni di un migrante.Nel titolo delle due opere, il nomedi una città: Lisbona. Mai scrittorisono stati così distanti come il Pes-soa di Lisboa, quello che il turista de-ve sapere, e il Ruffato di Sono stato aLisbona e ho pensato a te. Il viaggia-tore immobile Fernando costruisceun’anomala guida; mentre Luis, dicerto ben disposto ai cambiamenti,se non altro guardando alla sua vi-ta, si limita a catapultare il protago-nista del romanzo, Serginho, dauna cittadina dello stato brasilianodel Minas Gerais nella capitale lusi-tana. Se le pagine di Pessoa trasuda-no spleen nella descrizione di stra-de e luoghi, Ruffato allestisce unascenografia popolare fatta di pensio-ni tristi come i bar e le trattorie, dipanorami urbani che si spezzanocontro i muri dei vicoli, di amicizienate da una placida disperazione.Fernando ha sempre fumato, Ser-ginho ricomincia a Lisbona. Fernan-do ha baciato una sola volta unadonna, Serginho si innamora dellaprostituta Sheila. La vostra estate aLisbona ha bisogno di tutti e due.Fernando Pessoa, Lisboa, quello che il

turista deve sapere (Voland, pp. 112,Euro 7)Luiz Ruffato, Sono stato a Lisbona eho pensato a te (La Nuova Frontiera,pp. 94, Euro 12)

EUROPA DELL’EST E BALCANILa piccola (nel formato) e accurata(nei contenuti) collana Off the Roaddell’editore Vallecchi, propone inCaduti dal Muro il racconto/dialo-go tra due autori lontani per età, diuna «caduta» che, con effetto domi-no, ha travolto il pianeta dopo averriunificato l’Est e l’Ovest di Berlino.Diario da backpacker, il viaggio at-traversa una buona porzione dimondo, appassiona, porta a riflette-re, e arriva fino in Cina, dove un al-tro Muro racconta molte e assai di-verse cose, soprattutto oggi. Lui èMichael Palin (ricordate i MontyPhyton?), scrittore della guida Viag-gio nella Nuova Europa. Non stupi-tevi di questo insolito ruolo, e acqui-state un manuale di viaggio all’inse-gna dello stile Monty, senza per que-sto scivolare mai nell’inattendibile.Dalla quarta di copertina: «Irudote-rapia con le sanguisughe, sfilate un-gheresi e treni a vapore di boscaioliungheresi, Wrestiler in olio di oli-va...». Benvenuti nella fantasticaNuova Europa. Nessuno come Mi-chael saprà mai raccontarvela così.Ha qualche analogia narrativa conNeve di Orhan Pamuk, I fiumi delSahara. Qui non siamo in un paesesperduto della Turchia, ma in un al-trettanto sperduto villaggio dellaprovincia albanese, ai tempi del so-cialismo, dove un giovane è nato etorna a far visita a parenti e amici.Una frana, seguita da una fitta nevi-cata, trasforma il breve soggiorno inprigionia. Nell’isolamento forzato,mutano, giorno dopo giorno, i tratticrudeli dello scenario umano. Na-scosti prima di allora sotto una pati-na di noia e indifferenza. La narra-zione è resa avvincente grazie a unaperfetta miscela di sentimenti, pas-sioni, conflitti, tensioni che sfioranola follia. Schiavo inquieto di una vi-ta che non gli appartiene, Rudi, ilprotagonista de La finestra russa,dopo essersi mal cimentato con glistudi e il mestiere di attore, abban-dona la sua Belgrado per trovareuna via di uscita prima a Budapeste poi in Germania. Ma è un Paese,

ANCORA TU!DI ANDY FICKMAN; CON KRISTEN BELL,

SIGOURNEY WEAVER. USA 2010

0Quando Marni, giovanedonna in carriera nel setto-re delle pubbliche relazioni,

torna a casa perché suo fratello mag-giore sta per sposarsi, scopre che lapromessa sposa è Joanna, sua exrivale ai tempi del liceo. Decide alloradi fargliela pagare a sua volra. Le co-se si complicano quando la madre diMarni, incontrando la zia di Joanna, siaccorge che anche loro erano compa-gne di liceo e nemiche per la pelle.

BIG MAMA: TALE PADRETALE FIGLIODI JOHN WHITESELL; CON MARTIN

LAWRENCE, BRANDON T. JACKSON. USA 2011

0Dopo Big Mama ed FbiOperazione tata tornal'agente speciale Malcolm

Turner,abile nei travestimenti e conlui c'è suo figlio Trent diciassettenne.Insieme si travestono e comincianoad investigare in una scuola femmini-le di arti dello spettacolo dopo cheTrent è stato testimone di un omici-dio. Spacciandosi per Big Mama eChairmane, padre e figlio dovrannotrovare l'assassino prima che lui troviloro.

DREAMLAND - LA TERRADEI SOGNIDI SEBASTIANO SANDRO RAVAGNANI, CON

FRANCO COLUMBU, TONI SPERANDEO. ITALIA

2010

0La storia è ambientata nel1951, dal Sud Italia al quar-tiere italiano di Milwaukee

nel Wisconsin. Un ex pugile di origineitaliana, vedovo e stimato da tutti maspesso vittima di angherie da partedelle gang locali, riconosce nel capodi una di queste il proprio figlio adot-tivo e lo convertirà alla lotta per i dirit-ti umani e per una vita senza violen-za. Ravagnani è autore televisivo (Do-menica In, Fantastico, Circo di Mo-sca, Sabato al circo 2) e ha scritto labiografia di Moira Orfei.

IL VENTAGLIO SEGRETODI WAYNE WANG; CON BINGBING LI, GIANNA

JUN. CINA USA 2011

0Nella Cina del XIX secolo,due bambine si giuranoamicizia eterna e diventa-

te grandi comunicano tra loro in-viandosi un ventaglio su cui scrivo-no con il linguaggio segreto delledonne, il «nu shu». Parallela a que-sta scorre una storia di amicizia nel-la Shangai contemporanea. Dal ro-manzo di Lisa See «Fiore di neve e ilventaglio segreto».

SEGNUE A PAG 10

EUROPA

LETALE

INSOSTENIBILE

RIVOLTANTE

SOPORIFERO

CLASSICO

BELLO

COSI’ COSI’

CULT

MAGICO

4) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 5: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

■ LIBRI PER L’ESTATE ■

Sul tappeto volante

un posto reale, quello che davverocerca Rudi? L’intrico di amori cheaccompagnano il suo cammino me-ritano davvero di chiamarsi tali? Ela sua fuga è una corsa in avanti, oun cammino a ritroso nel tempo?Tito Barbini/Paolo Ciampi, Caduti dalMuro(Vallecchi, pp. 300, Euro 12)Michael Palin, Viaggio nella Nuova Eu-ropa (Sagoma, pp. 380, Euro 18)Ardian K. Kyçyku, I fiumi del Sahara(Zandonai, pp. 120, Euro 13)Dragan Velikic, La finestra russa (Zan-donai, pp. 325, Euro 22.50)

SCANDINAVIASiete tra coloro che aspirano a cam-biar vita trovando un Buen Retirofuori dal caos materiale e moraledella nostra cosiddetta civiltà? Se ilvostro orizzonte non guarda soloverso la Toscana o le isole esotiche,leggetevi L’allegra apocalisse, am-bientato tra i boschi finlandesi delKainuu. Asser Toropainen, comuni-sta fino alla morte, finalizza la suaeredità alla costruzione di un tem-pio nascosto in mezzo alle fronde.Già l’edificio nulla aveva di sacro,ma ci penserà la comunità che pianpiano intorno al tempio si raduna, atrasformarlo nel simbolo di una Cit-

tà Ideale e autarchica, dove gli eredidi Assler lavorano e se la spassanoalla faccia di un mondo, vicino e lon-tano, sempre più sprofondato den-tro il buio dei valori e dei falsi miti.La galleria dei personaggi, le descri-zioni dei loro caratteri, il raccontodelle vicende, sono resi mirabilmen-te accattivanti dalla penna di ArtoPaasilinna. Restiamo nelle foreste,questa volta svedesi, e seguiamo, inL’uomo che morì come un salmone,le indagini della detective ThereseFossner, arrivata da Stoccolma nelpaesino di Pajala per risolvere unostrano delitto. L’anziano Martin Ud-de è stato ritrovato nella sua villetta,trapassato da una fiocina per la pe-sca del salmone. Inutile dire che latrama «gialla», anzi noire, del libro,senza rinnegare l’origine narrativa,entra nelle pieghe della piccola co-munità, lingua compresa. Gli abi-tanti di Pajala parlano da sempre ilMeänkieli, e Therese è convinta cheproprio in tale idioma si nascondala causa dell’omicidio.Arto Paasilinna, L’allegra apocalisse(Iperborea, pp. 315, Euro 16)Mikael Niemi, L’uomo che morì comeun salmone (Iperborea, pp. 322, Eu-ro 16.50).

Mai così appropriato suona, in Assenze asiatiche,l’aggettivo «misterioso» che spesso accompagnacon faciloneria di suggestioni la geografia cultu-rale dell’Oriente. Consegnato al secolo dei jum-bo e del turismo organizzato, l’Oriente non èuno solo; non ha la sua spina dorsale nell’esoti-smo, non si nasconde per aumentare il propriofascino ad uso dello straniero in cerca di storiedal raccontare poi nel salotto di casa. L’Orientevero è quello dei sei reportage che Büscher ha re-alizzato tra India, Nepal, Cina, Cambogia e Giap-pone. Se davvero amate l’Oriente perché ne sie-te stati, o ne siete, frequentatori per vacanza, fa-te vostro questo libro, senza dubbio spiazzante.Ibis è buon cacciatore di titoli che sembrano ap-partenere ad altri tempi e ad altri viaggi. Esem-pio viene dal monumentale e magnifico L’India,Una guida culturale per il viaggiatore: quasi 600pagine e quasi un’enciclopedia, che consigliamocaldamente a chi nel Paese torna, o va per la pri-ma volta. L’autore divide la sua opera in sei capi-toli, di cui l’ultimo è dedicato proprio al viaggio.Come a dire: bene, adesso siete pronti. Mappe diitinerari e mappe interiori le disegna il bel ro-manzo La fortuna di perdere, dove si narra delviaggio di Ric alla ricerca dell’amico Francesco,fuggito 7 anni prima in seguito all’accusa di averucciso un politico, e improvvisamente avvistatoa Delhi. Ric lascia Genova, e finisce a Roma, aDelhi, nel Kerala, nello Sri Lanka, a Parigi. Il fina-le «libera» lettori e protagonisti. La forza dell’in-sieme narrativo si deve alla bravura dell’autore

nel sovrapporre le mappe dei luoghi e dell’ani-ma cui si accennava più su. Spassosissimo e deli-catamente irritante, Mama Tandoori racconta lavita dell’autore e della sua famiglia, metà olande-se e metà indiana. Il mite padre, Theo, ha sposa-to Veena, arrivata nel Paese dei tulipani da Bom-bay, e con lei ha fatto tre figli (Ernest è il minore);la nonna Voorst ama mostrarsi nuda sul balconedi casa, lo zio Sharma, è un volto noto di Bollywo-od. Ma la vera, straripante, sfacciata protagoni-sta è Veena, capace di accumulare una piccolafortuna, senza preoccuparsi di quelli che le stan-no intorno. Da una tipa così, meglio stare alla lar-ga! Ricordate il film Lost in Transaltion? La HongKhong sullo sfondo della trama era già stata con-segnata alla Cina Popolare, mentre la HongKong di L’uomo con il cappello di legno ha anco-ra architetture, atmosfere, voci, templi e incensi,di quando sull’isola regnava la corona britanni-ca. Il libro continua a seguire, dopo Figlio dell’Im-pero Britannico, le vicende (questa volta coniuga-li) di Old Filth, al secolo Edward Feathers, natoin Malesia, cresciuto in un orfanotrofio, e divenu-to un grande avvocato. Fanno da contorno nonsecondario alla vicenda, divisa tra Hong Kong eLondra, Malta e la campagna inglese, strampala-te figure quali l’esperta di messaggi cifrati e il na-no con le carte da gioco nel cappello. Le dieci ri-ghe iniziali del terzo capitolo sono impeccabiledescrizione della baia della città al tramonto. Loscorso anno, Il Mulino ha pubblicato un saggiosul Giappone, dal titolo Il paese più stupido delmondo. Nel 2011, terremoto, tsunami e Fukushi-ma hanno imposto all’attenzione del «comune»cittadino occidentale, un Paese che se da un latosa affrontare le catastrofi naturali, dall’altro appa-re fragile e ambiguo al cospetto di emergenze na-te da ciò che ha scelto e voluto, il nucleare nellospecifico.

Tale contraddizione ben si addice allo spiritodel lavoro di Claudio Giunta, che afferma: «Separlate con un europeo che ha vissuto 20 anni inGiappone, vi dirà ‘20 anni non sono sufficienti.Avevo le idee più chiare, quando sono arrivatoqua’. ... questo è un saggio sul Giappone nel qua-le non si dice niente di profondo o di originale...Il Giappone rende tutto più difficile, interessantee, inevitabilmente, superficiale. Ma la superficieconta». Per concludere un titolo da non perdere,nel labirinto delle librerie. È Suppliziario salaga-riano, viaggio tra la feccia e il trash dei personag-gi di Emilio Salgari, non solo nei romanzi del ci-clo delle Tigri. Torture, vessazioni, ingiurie, sacri-legi, esecuzioni capitali, botte da orbi, sono statiraccolti in un’antologia che, senza nulla togliereal bravo Emilio, ne mette in evidenza la vena va-gamente sadica. Prefazione, ironica ed efficace,di Antonio Bozzo.Wofgang Büscher, Assenze asiatiche (pp. 138. Euro13, Voland)Alvaro Enterría, L’India, Una guida culturale per ilviaggiatore (pp. 576, Euro 26, Ibis)Piero Elia, La fortuna di perdere (pp. 246, Euro 17,e/o)Ernest Van Der Kwast, Mama Tandoori (pp. 280, Eu-ro 16.90, Isbn)Jane Gardam, L’uomo con il cappello di legno (pp.246, Euro 18, e/o)Claudio Giunta, Il paese più stupido del mondo (pp.176, Euro 14, Il Mulino)Santi Urso (a cura di) Suppliziario salgariano (pp.102, Euro 13, Zandonai).

ASIA

AFRICHE

Piccole escursioni sparse sul tappe-to di un continente che trascina etravolge, a cominciare dalle suemusiche. Di alcune di esse dà testi-monianza La musica del deserto,con un sottotitolo allettante, «DaTimbuctu a Bamako alla scopertadei suoni del Sahara». L’autrice, An-na Jannello, a lungo giornalista delsettimanale Panorama, viaggia se-guendo la formula del Turismo Re-sponsabile, e dunque il suo sguar-do è particolarmente sensibile. Tresettimane raccontano il Mali del Fe-stival au desert, i concerti a Ba-mako, le sonorità raccolte scenden-do le acque del Niger, o girandoper Timbuctu. Jannello non scrivenei panni della specialista, ma in-dossa quelli di una viaggiatrice at-tratta da percussioni e pizzicar dicorde che evocano storie antiche,da parole che emozionano pur noncomprendendole.

Nell’attesa, speranza forte, di po-ter tornare in una Libia senza Ghed-dafi, e guarita dalle profonde feritedei bombardamenti «liberatori»,leggetevi Da Tripoli al Messak, per-corso, anche storico, nella Libia mi-nore, fino a raggiungere le stupefa-centi incisioni rupestri del Messak.L’autore, Luca Cosentino, si tieneben lontano da narrazioni egotiste,dando vita a un racconto da cui tra-spaiono l’amore e l’ammirazioneper un Paese magnifico. Era il1939, quando Curzio Malapartepartì come inviato del Corriere del-la Sera verso l’Africa. Aveva pocomeno di 40 anni, ma seppe indaga-re l’universo africano e farlo suo, in-viando in Italia articoli di impres-sionante lucidità ed efficacia, oggiraccolti in Viaggio in Etiopia e altriscritti africani, raccomandato sen-za esitazione. Amara Lakhous, scrit-tore algerino che vive a Roma, ciaveva già sorpreso e divertito con isuoi due precedenti lavori, Scontrodi civiltà per un ascensore a piazzaVittorio e Divorzio all’islamica aviale Marconi. Con Un pirata picco-lo piccolo, adotta un passo narrati-vo diverso, ugualmente destinato alasciare un’impronta. Hassinu, im-piegato alle poste di Algeri, nato il29 febbraio, scopre all’improvvisodi avere 4 anni in più rispetto ai 36fino ad allora dichiarati.

Quattro anni di vita in meno. Unfurto, cui Hassinu si ribella. Scrittocon largo anticipo rispetto alle re-centi ribellioni che hanno trafitto ledittature di Maghreb ed Egitto, la vi-cenda è un’invocazione alla libertà,chiesta per prima proprio dall’Alge-ria. Muhammad viveva in una zonadesertica e inospitale, non molto di-stante dalla Mecca, abitata da unpopolo miserabile e intriso di paga-nesimo. Era analfabeta, ma lo spro-navano la sete di giustizia, la speran-za di un mondo migliore anche perle donne, la lotta all’idolatria, il desi-derio di diffondere l’istruzione.Muhammad è Il messaggero, derisofino alla notte in cui dio gli apparvee gli parlò. Kader Abdollah rivisita lafigura di Maometto in forma lettera-ria, partendo dalla convinzione chel’approccio all’Islam sia possibile so-lo conoscendo il Profeta. Precedutoda un’introduzione di Isabella Ca-mera d’Afflitto, Le stelle di Gerico in-titola i suoi 10 capitoli ad altrettanti

SEGUE A PAGINA 6

di Luciano Del Sette

Ilibri ci salvano, come sempre. Anche in questa estate,lo scrivevamo già lo scorso anno e purtroppo dobbiamo tor-nare a riscriverlo, che ha imposto a molti di noi di rinunciare

a un viaggio. Ma abbiamo i libri,che con le loro storie, le loro geo-grafie, i loro personaggi, diventa-no tappeti volanti su cui possiamosalire senza biglietto, senza chenulla e nessuno riesca a fermare ilvolo che ci porta in capo al mon-do. I libri ci salvano, perché nonconoscono le barriere dei confini.Arrivano nelle nostre mani, li apria-mo, e siamo già partiti. Per dirlacon Paolo Conte, i libri sono l’Afri-ca (l’Europa, l’Asia, le Americhe)in un giardino dove l’oleandro divi-de il suo spazio con il baobab.

Libri per viaggiare

meglio, magari senza

neanche partire.

Per dirla

con Paolo Conte, i libri

sono l’Africa in giardino,

dove l’oleandro

convive col baobab

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (5

Page 6: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

Una lettura

argentina per

grandi e piccoli:

«L’estate che uno

diventa grande»,

di Francesca

Capelli,

o il racconto

di Jules Verne,

«La giornata

di un giornalista

americano

nel 2890»

SEGUE DA PAGINA 5

elementi naturali (lapislazzuli, cri-stalli, rame, l’oro nero...) tramite iquali Liana Badr, esule a Ramallah,descrive i luoghi della sua Palestinae il dolore di non poterci tornare.Badr popola le pagine di figure edepisodi che attraversano vicendepersonali, e accadimenti storici di-menticati. Forte l’accento sulla quo-tidianità di una patria mai abbastan-za rimpianta. Un’altra donna, Moni-que Agénor, ci porta, con Figli dellanotte, in navigazione tra Comore,Madagascar, Syechelles. Lo fa sce-gliendo una rotta il cui fine è avvici-nare il lettore, in 7 racconti, ai riti, al-le leggende, alle figure, ai mondionirici e reali, costruiti dalle diverseetnie di quelle terre. Parallelamen-te, Agénor lancia un forte messag-gio contro le tante minacce che, diquelle terre, insidiano l’integrità cul-turale e ambientale.Anna Jannello, La musica del deserto(pp. 141, Euro 7, Terre di Mezzo)Luca Cosentino, Da Tripoli al Messak(pp. 205, Euro 7.50, Terre di Mezzo)Curzio Malaparte, Viaggio in Etiopia ealtri scritti africani (pp. 240, Euro 9,Vallecchi)Amara Lakhous, Un pirata piccolo pic-colo (pp. 182, Euro 17, e/o)Kader Abdallah, Il messaggero (pp.297, Euro 17, Iperborea)Liana Badr, Le stelle di Gerico (pp.231, Euro 15, Edizioni Lavoro)Monique Agénor, Figli della notte (pp.108, Euro 12, edizioni Lavoro)

West dei tempi che furono e dei no-stri, in tre opere assai differenti tra lo-ro. Esce il 14 luglio, Il grande librodel Western Americano: oltre 300 pa-gine, divise in Racconti e leggende,Scritti, Canzoni e ballate, Glossariodel West. Tra gli autori degli Scritti,Theodore Roosvelt e Washington Ir-ving; nei Racconti spiccano le firmedi Mark Twain, Zane Grey e Jack Lon-don. Davvero imperdibile. Fa a pezziil mito del West Percival Everett conIl paese di Dio. Sulla copertina, comein un film di Sergio Leone, la scritta«Menti, ruba, inganna e, se non fun-ziona, prega». La storia, 1871, iniziacon il protagonista, spregevole vi-gliacco, che assiste da lontano all’in-cendio della propria casa e al rapi-mento della moglie per mano di unabanda di delinquenti. Dopo aver as-soldato un cacciatore di taglie, partecon lui alla ricerca della consorte. Edè proprio usando il filo del viaggio,che Everett tesse la trama di un Westda B movie e tv, ricamando tutti maproprio tutti gli stereotipi. A libro ter-minato, vengono in mente i fratelliCohen, l’Eastwood «leonino» e, vada sé, John Wayne.

West con jeep e tv in Notte di san-gue a Coyote Crossing. Servendosi diuna chiave che gira nella serraturadel pulp e del noir, la trama ha sche-ma classico: un paese dell’Oklaho-ma, tranquillo come il suo vice scerif-fo, tre uomini che vi irrompono pervendicare la morte del fratello e mi-nacciano fuoco e fiamme. Ma il cada-vere è scomparso e il vice sceriffo de-ve ritrovarlo in una notte. Impresacomplicata da sparatorie, incendi, in-seguimenti, mentre il marcio della cit-tà viene a galla. E, tanto per rimanere

nel classico, arriva la sfida finale.Era il 1889 quando la rivista The fo-

rum pubblicò un racconto di JulesVerne, La giornata di un giornalistaamericano nel 2890. Immaginandol’America di un secolo dopo, Vernemette al centro della vicenda l’im-prenditore Francis Bennet, proprie-tario di un impero editoriale. Bennetmuove immensi giri di affari, finan-zia imprenditori e ricerche scientifi-che. Ma, sopra ogni altra cosa, con-trolla l’informazione, e grazie a ciònaviga come un capitano di lungocorso nel mare della politica interna-zionale. Jules, seppure con qualchedifferenza, profetizzò la carriera di ta-le Silvio B? In anticipo sui tempi eraanche la baronessa Elsa vonFreytag-Loringhoven di Sante gon-ne. Elsa passeggiava per il Gre-enwich Village indossando corpettidi lattine di pomodoro; si spogliavaper Man Ray e recitava poesie nelletaverne dei marinai. Definirla eccen-trica, sarebbe improprio. La barones-sa era donna che rivolgeva la sua in-telligenza a tutto ciò che poteva, permille e validi motivi, uscire dalle re-gole. Lo faceva sui palcoscenici deicabaret berlinesi, nei circoli dadaisti,nelle improbabili relazioni sentimen-tali. Ebbe grande coraggio, lottandoa modo suo contro i ghetti dentrocui le donne erano chiuse.

La data della Descubierta, in Nuo-vo Mondo, coincide con la verità sto-rica: 12 ottobre 1492. Quando, però,l’ammiraglio sbarca, trova ad atten-derlo una nave vichinga, che, senzatanti complimenti, affonda una cara-vella e uccide molti marinai. Cristofo-

ro torna in Spagna, e viene accusatodi tradimento. I Reali, tuttavia, gliconcedono una seconda possibilità.La spedizione salpa. Al fianco di Co-lombo c’è Leonardo Da Vinci. Altradata importante, nelle moderne vi-cende del Caribe, è il 17 aprile 1961.Fu allora che John Kennedy tentò diinvadere Cuba, sbarcando nella Baiadei porci un gruppo di anticastristiappoggiati dalla Cia. Radio Miamiguarda a quella vicenda da tre diver-si punti di vista: due uomini, un cu-bano e un americano, a bordo diun’imbarcazione ancorata al largo,cui è affidato il compito di decifrare imessaggi lanciati dall’emittenteSwan; altri due, sull’isola, che orga-nizzano lo sbarco; la maestra Cleopa-tra, che, per prima, sente i colpi dellearmi da fuoco. L’argentino Rawsonmescola invenzioni e realtà dei fatti,dando forma a una storia in cui en-trano nomi celebri, ed episodi di ra-ro divertimento.

Pur definendosi, con bella mode-stia, «residente temporaneo» e nonviaggiatore (titolo che molti facilonisi assegnano) Alessandro Agostinel-li, nel suo Honolulu Baby, ha saputoscovare veramente di tutto dentro ilpaniere esotico delle Hawaii. Adot-tando un linguaggio cha sa di radio edi cinema, e mettendolo in forma didiario, l’autore racconta dei leghistihawiani, di economia locale, di capo-danno cinese, dell’ukulele, del surf,e incolla i lettori alle pagine con capi-toli dal titolo «L’ubriaco invasore»,

«Vecchie foto delle Hawaii e papa Lu-ciani», «Il Totti delle Hawaii». Rac-conti brevi messi giù con il pepe, l’in-telligenza e l’autoironia di un tosca-no quale Agostinelli è.

Una lettura argentina e consiglia-ta per le estate di figli e nipoti picco-li: L’estate che uno diventa grande, re-cente uscita di Sinnos, editore spe-cializzato nei libri per l’infanzia. Sa-verio segue il padre che va in Argenti-na per lavoro. Qui incontrerà leAbuelas (nonne) di Plaza de Mayo eRosana, scoprendo una realtà fattadi drammi e di speranze, che gli spa-lancherà il cammino verso l’età adul-ta. A Tijuana, Messico, VincentCalhoun aspetta il Dia de los muer-tos, la grande festa del Giorno deiMorti. Le scommesse sulle corse deicani lo hanno ridotto sul lastrico, maora pensa di avere in tasca la drittavincente. Perde, e il suo strozzino glipropone di saldare i debiti scortan-do oltre confine un ricercato. Men-tre Vincent si trascina sotto il soledel deserto, riemerge dal passato ladonna della sua vita. Il cammino in-fernale è l’ultima scommessa, soloVincent può provare a vincerla. Meri-diano Zero conferma grande intuitonello scegliere titoli e autori.

Sui Gesuiti, armata religiosa cheebbe un ruolo fondamentale nel pe-riodo della prima colonizzazione del-le Americhe, esiste una letteraturasterminata. Venga il tuo regno, pon-derosa ma affascinante opera, è am-bientata nel Canada di inizio ’600.Spinti dalle voci che favoleggiano diimmense riserve di diamanti e oro,alcuni commercianti francesi sbarca-

no a Port Royal. La sete di ricchezzali spinge a inoltrarsi nel territorio.Identico cammino compiono i Gesu-iti, cacciatori senza scrupoli di ani-me, che stringono accordi con le tri-bù Irochesi e Uroni. La giovane iro-chese Kateri si converte, e la sua tota-le dedizione alla fede la pone in odo-re di una santità che farebbe assai co-modo alle Vesti Nere. Ma è a questopunto che la storia prende un corsodiverso. Sarà la Storia con la esse ma-iuscola a scrivere la parola fine.

Scritto una ventina di anni fa, Do-v’è finita Dulce Veiga? è il capolavorodi Abreu, intellettuale che, sotto ladittatura, dichiarò pubblicamente lapropria omosessualità. Dulce, can-tante popolarissima in Brasile, scom-pare nel nulla dopo un concerto. Ungiornalista, anni dopo, accetta l’inca-rico di provare a ritrovarla. Le traccedi Dulce, lo sprofondano nella di-mensione smisurata di San Paolo, ela ricerca assume i contorni netti diun’ossessione, di un pretesto dietroil quale si nascondono angosce per-sonali. Meraviglioso.William Targ (a cura di) Il grande librodel Western americano (pp. 330, Eu-ro 18.50, Cavallo di ferro)Percival Everett, Il paese di dio (pp.200, Euro 16, Nutrimenti)Victor Gischler, Notte di sangue a Coyo-te Crossing (pp. 207, Euro 14, Meridia-no Zero)Jules Verne, La giornata di un giornali-sta americano nel 2890 (pp. 75, Euro8, Ibis)René Steinke, Sante gonne (pp. 400,Euro 18, Alet)Giampiero Stocco, Nuovo Mondo (pp.375, Euro 20, Bietti)Eduardo B. Rawson, Radio Miami (pp.315, Euro 18, La Nuova Frontiera)Alessandro Agostinelli, Honolulu Baby(pp. 172, Euro 9. 50, Vallecchi)Francesca Capelli, L’estate che uno di-venta grande (pp. 128, Euro 11, Sin-nos)Kent Harrington, Dia de los muertos(pp. 207, Euro 14, Meridiano Zero)William T. Volmann, Venga il tuo regno(pp. 840, Euro 22, Alet)Caio F. Abreu, Dov’è finita Dulce Veiga?(pp. 246, Euro 16.50, La Nuova Fron-tiera)

AMERICHE

6) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 7: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (7

■ FESTIVAL ■ SANTARCANGELO 41 ■

Attori in scena e fuori

FINALMENTE ANCHE NEW YORKRICONOSCE I MATRIMONI GAYLa notizia, e la festa più grande, èvenuta da New York. Ma almenoin questo caso va detto che oggila Grande Mela non è più cosìdiversa, o distante, dal resto degliStati uniti. Tanto per cominciare,New York è arrivata sesta, persinodopo il certo non così liberalIowa, nella corsa verso il riconosci-mento dei matrimony gay. E se èvero che, ora che per la prima vol-ta il tabù è stato rotto in un luogocosì importante, in uno degli Statipiù popolosi, c'è chi suggerisce diandare all'attacco finale, sfidare laCorte suprema, in realtà tutto ilPaese si sta già muovendo. Persi-no le corporation, grandi e picco-le, sembrano infatti essersi convin-te che essere gay o lesbiche nonpuò più essere un motivo per es-sere trattati in modo differente sulposto di lavoro. Nemmeno quan-do si parla dei vantaggi che dasempre, non solo qui, accompa-gnano chi si sposa o diventa partedi un unione civile. A cominciaredal punto più dolente per chi vivenegli Stati Uniti, ovvero l'iscrizionedel partner alla propria assicura-zione sanitaria. Cosa già possible,ma costosa, a meno che per l'ap-punto il tuo datore di lavoro nondecida di pagare di tasca sua.Le prime a muoversi, e sborsaretra i 2000 e i 2500 dollari l'annoper i loro impiegati gay, sono sta-te, già qualche anno fa, la Cisco,multinazionale dei servizi dellarete, o gli hotel della Kimpton. Mail vero boom è arrivato nel giugno2010 quando anche Google, e aruota Apple, Facebook, le aziendedella Silicon Valley o gli studi lega-li di Wall street hanno deciso diadeguarsi al nuovo trend. Cosìoggi, dicono i dati della HumanRights Campaign, una delle colon-ne della comunità gay americana,ben il 58% delle 500 aziende del-la lista di Fortune, ha esteso allecoppie omosessuali i benefit sani-tari. In realtà, se si guarda al di làdella lista, le aziende «virtuose»sono ancora minoranza. Tra legrandi, chi ha più di 200 lavorato-ri (i dati sono della Kaiser FamilyFoundation), la percentuale scen-de a un più modesto 38%. Maforse tra qualche anno non saràcosì, visto che ora si è addiritturascatenata una piccola competizio-ne nel mondo delle corporation,una corsa a chi è più aperto versoi lavoratori omosessuali.È l'ennesima prova della forza del-la lobby gay negli Usa, così estesada provocare l'ammirazione, e unpizzico di invidia, degli altri movi-menti, a partire da quello degliambientalisti. Così quest'annosono stati proprio loro gli ospitid'onore del «Power Shift», la con-ferenza nazionale che riunisce imilitanti di base dei mille gruppi«verdi» del paese. Dan Choi, exsottotenente dell'esercito, e lea-der del movimento che ha impo-sto a Obama di cancellare il terri-bile «Don't ask, don't tell», la leg-ge che discriminava soldati e sol-datesse omosessuali, è stato adesempio l'unico relatore a riceve-re una standing ovation. Per poiessere subissato di domande sucome si fa a convincere la Casabianca, ma anche l'intera società,a dare ragione a chi si batte per ilcambiamento.

di Elfi Reiter

«Da quando ho ini-ziato a pensare al festival, la figuradell’attore è stata l’immagine-gui-da di ogni mia indagine», scrive Er-manna Montanari nell’introduzio-ne al catalogo di Santarcangelo 41,aperto ieri per riempire fino a do-menica 17 luglio, con spettacoli,performance e installazioni piazzee teatri della cittadina romagnolaalle porte di Rimini. «L’attore co-me emblema concreto del fare-di-sfare-rifare, l’attore che chiama incausa lo spettatore, senza il qualenon si dà teatro». Sì, perché la rela-zione tra attore e pubblico è fonda-mentale affinché possa crearsiquell’evento nel senso deleuziano,atto al presente che fonde passatoe futuro in una visione comune. Èla riprova che il terzo movimentodi Santarcangelo 2009/2011 con ladirezione artistica che riunisceChiara Guidi della Socìetas Raffael-lo Sanzio (2009), Enrico Casagran-de dei Motus (2010) e ErmannaMontanari del Teatro delle Albe(2011), promette di indagare a fon-do il presupposto dato all’anda-mento triennale suggerito daun’idea di Piergiorgio Giacchè,Sandro Pascucci e Fabio Biondinel luglio 2008 per l’autogestionecollettiva all’insegna del «poteresenza potere». Ripartire dal basso,consegnando le scelte artistiche inmano a coloro che le fanno quoti-dianamente.

L’attore dentro e fuori la realtàscenica, dunque, per interrogare(anche) la realtà politico-sociale,come dimostrano alcuni incontrial margine: «Poesia araba. La rivo-luzione permanente», reading dipoesie a cura di Tahar Lamri, scrit-tore e giornalista nato ad Algeriche vive in Italia da 25 anni e tral’altro collabora a Internazionale,oppure la giornata dedicata a«Un’idea di rivoluzione» per riflet-tere su nuovi punti di partenza per

«agire» anziché «reagire» di frontealle diverse crisi che ci hanno inve-stito mettendo sotto sopra narra-zioni, interpretazioni, codici di let-tura del mondo e – last but not le-ast – lo stesso nostro vivere.

L’attore dentro e fuori lo spazioteatrale. A guardare il programmasono tanti gli eventi fuori dai classi-ci canoni dello spettacolo dal vivo,e ciò fa parte delle caratteristichedi sempre del Festival internazio-nale del teatro in piazza dove spes-so si mettono in scena le stessecomponenti del fare spettacolo. At-tori che marcano codici e conven-zioni per sovvertirli, come Ivo Di-mchev in Som Faves assume 10 to-poi da una lista ipotetica di 100, limette in connessione ricavandoneintriganti modelli non modelli incui forma e contenuto sono in as-soluto contrasto inedito. In uncontinuo fabulare tra gestualità everbosità si rincorrono luoghi co-muni del vivere contemporaneoin una scena quasi nuda, in cui l’at-tore di origini bulgare si fa accom-pagnare unicamente da una tastie-ra, un gatto bianco in porcellana,una sedia e una parrucca.

Attori fuori e dentro la scena sa-ranno coloro che partecipano allaperformance di Monika PormaleEverything is going to be alright n.5, dove il numero 5 sta per la quin-ta volta che ha luogo questo singo-

lare evento in cui persone a casosono chiamate ad abbracciarsi(qui nelle sere del primo e secon-do weekend, all’interno di uno spa-zio segnato da una parete di vetroaffinché il dentro e il fuori sianoben visibili per tutti). Nata comeinstallazione ai margini di Das Eisdi Alvis Hermanis, la scenografa ecostumista lettone che lavora perlo più con l’acclamato regista di Ri-ga, Everything... prende di fattospunto e nome dalla gigantesca in-stallazione fotografica commissio-natale da Brigitte Fürle per la pri-ma edizione di «spielzeit’europa»(la sezione teatro dei Berliner Fe-stspiele) svoltasi nel 2006/07 sottoil motto «Alles wird gut» (tutto an-drà per il meglio), come dice ap-punto il titolo inglese. A suo tem-po gli abbracci tra passanti anoni-mi e coppie improvvisate eranostati inseriti come sculture viventiin diversi luoghi storici della exBerlino Ovest, fotografati e poiesposti per i tre mesi del festivalsulla facciata esterna e in alcunispazi interni, per simboleggiareun nuovo inizio. Dentro e fuori,per simboleggiare anche le archi-tetture del teatro, fatte di mattonie di corpi, di materia e di immate-riale. Sarà di buon auspicio ancheper Santarcangelo? Chissà.

Everything... fa parte di «Intersec-tion/Intimacy and Spectacle», pro-getto della Quadriennale di Pragacondiviso con 8 istituzioni culturalieuropee, tra cui Helsinki, Belgrado,Riga, Bergen e Nitra. Santarcangelodei teatri accoglie nella sua sezione5 artisti. Accanto alla citata Porma-le, giunge dalla Lettonia Dace Dze-rina portando una enorme pedanasu cui sono disegnate le tracce deipassi utili per imparare a ballare il

tango. Con questo suo TouringDance Teacher l’artista visiva e sce-nografa, attiva dal 1998 oltrechénel suo paese, in Lituania, Olandae Germania, esprime nel movimen-to della danza il concetto messo inscena dalla sua collega: usare lospazio pubblico per incontrarsi,colloquiare, divertirsi. Insieme. Glialtri tre partecipanti a Intersectionarrivano da Finlandia, Germania eFrancia: Hans Rosenström, HarunFarocki e Ulla von Brandenburg. Ilprimo allestisce una stanza in cuigli spettatori sono pregati di entra-re uno a uno, sedersi sulla sedia po-sta davanti a uno specchio, metter-si le cuffie e ascoltare ciò che saràloro narrato: Mikado fa scaturireun mondo fatto di suggestioni so-nore. Farocki e von Brandenburginvece lavorano entrambi con leimmagini in movimento. Farocki ènoto per i suoi lavori di documen-tazione con la tecnica del found fo-otage e il rigore applicato nelle ri-cerche e analisi storico-politiche, equi con Immersion mette a repen-taglio la percezione: nel video di20 minuti (proiettato in loop) si ve-dono sequenze registrate nel corsodi un laboratorio a Fort Lewis vici-no a Seattle che vedeva impegnatialcuni psicoterapeuti a istruire al-cuni psichiatri dell’esercito Usa ri-guardo l’uso di Virtual Iraq, un sof-tware inventato per curare i solda-ti traumatizzati dalla guerra. Unacarrellata verso un enorme sole altramonto distoglie in un primo mo-mento l’attenzione dal cannoneche si erge dal basso per puntaresull’ambiente circostante, e subitosi inserisce la voce accompagnatadall’immagine che scorre parallelasullo schermo e rappresenta un uo-mo (tra)vestito da soldato, ripreso

frontalmente, nel raccontare le fa-si salienti di un’imboscata fino aterminare enfaticamente conl’esclamazione: «era tutto talmen-te surreale!». Parole, queste, chedanno il via alla scomparsa nel bu-io della figura umana per farci con-centrare maggiormente sullo sce-nario (disegnato) di un luogo abita-to, spettralmente vuoto, dopo esse-re passati in mezzo alle più terrifi-canti esplosioni con nuvole neresull’orizzonte. L’aspetto interes-sante è che la colonna a sinistra,quella del «videogioco per la tera-pia immersiva», non si riconoscesempre come finta, per cui sorgo-no continuamente questioni del ti-po: vero o finto? scena reale o co-struita? Farocki come già in altrisuoi lavori focalizza le peculiaritàdel linguaggio audio-visivo facen-done emergere tutte le ambiguità,tra visione e percezione, apparen-za e verità, costruzione e messin-scena, realtà e finzione.

Ulla von Brandenburg (nata aKarlsruhe, vive a Parigi) presentail suo Singspiel concepito nel2009 nella Villa Savoia di Le Cor-busier: un’unica lunga inquadra-tura cattura ciò che gli abitantinon hanno mai vissuto, ossia «lamacchina ideale del vivere» con-cepita dal suo ideatore. Indagan-do la macchinazione del teatro, lacostruzione dei comportamenti, isignificati dei gesti, l’artista si sof-ferma sull’aspetto formale di mes-sinscena e l’enfasi psicologica uti-lizzando i canoni della dramma-turgia musicale. Per svelare la re-altà in una finzione storica, gio-cando sul doppio livello tra sedu-zione e memoria.

Per informazioni visitare il sito:www.santarcangelofestival.com

Da ieri e fino a domenica 17 luglio torna il Festival internazionale del teatro

in piazza, con una miriade di spettacoli, performance e installazioni che

occuperanno le strade e i teatri della cittadina romagnola alle porte di Rimini

Dall’alto: «Mikado» di H.Rosestrom;«Everything is going to be all rightn.5» di M. Pormale;«Singspiel» di U.Von Brandenburg

TEATRO

Page 8: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

di Gabriele De Palma

Il più grande essere vivente èla foresta, secondo il sapere dei nati-vi americani. Un modo di pensareolistico che è stato spesso trascura-to dai bianchi che hanno colonizza-to il continente. La foresta è unenorme sistema senziente, di cui isingoli alberi e arbusti sono partiche interagiscono tra loro: un orga-nismo composto da microorgani-smi. Un po' come per la barriera co-rallina, in cui i polipetti che abitanoi singoli coralli non sono che partidi un tutto. Oggi anche l'uomo«bianco» si è riappropriato di que-sta antica saggezza, e l'ha traslata inambito tecnologico. Al prestigiosoMit di Boston c'è una divisione dedi-cata alle città intelligenti, le cosid-dette smart cities, in cui gli aggrega-ti di edifici, oggetti e abitanti vengo-no intesi in modo non meccanicisti-co ma come un solo organismo, unsistema di (sotto)sistemi. E dove il si-stema nervoso centrale è costituitodalle reti di comunicazione che col-legano i singoli elementi. E gli esseriumani in tutto questo non sono cheuna parte residuale del sistema.Quella preponderante sono le cose,le macchine o meglio i sensori inse-riti negli oggetti. È quella che vienedetta l'Internet delle cose, abilitatada diverse tecnologie che vengonospesso raccolte sotto la locuzionemachine-to-machine (m2m).

Le tecnologie in questione sonovarie: quelle dei sensori, che vannodalle etichette Radio FrequencyIdentification (Rfid) ai codici bidi-mensionali come i QRcode (quelliche si trovano sulle bollette della lu-ce, in alcuni quotidiani e in certacartellonistica pubblicitaria); quelledelle reti e dei protocolli di comuni-cazione (Gsm, Gprs, Hedge, 3G, 4G,Wi-Fi e Gps). Una rete connettiva, ilnetwork, che usa hardware (chips),software (salsa) e middleware (la su-

perficie ruvida delle chips che per-mette alla salsa di aderirvi).

L'internet delle cose non è una al-lucinazione premonitrice di quelche verrà, Ne abbiamo già in casa iprodromi, che non fanno ancoradelle nostre città esseri senzienti,ma sono i primi esempi e le primeunità che domani diverranno partedi un tutto. Ad esempio i contatoridella luce installati in moltissimeabitazioni dall'Enel qualche anno fagià comunicano i consumi reali deiclienti. Lo fanno usando un tipo direte di norma poco usata, quellaelettrica, capace di trasmetterequantità di dati esigue su distanzenotevoli. Il vantaggio è che si pagaquel che si consuma, anziché – co-me accadeva prima con i contatoritradizionali – pagare una stima ba-sata sui consumi dei mesi preceden-ti, quasi sempre poi da conguaglia-re in un senso o nell'altro.

Gli ambiti a cui si adatta la comu-nicazione tra macchine sono poten-zialmente infiniti, così come il nu-mero di oggetti a cui i chip si posso-no adattare. In una giornata dedica-ta all'esposizione dei prototipi di Re-ply, un'azienda italiana, si è potutoprovare ad esempio lo specchio ma-gico dei nostri giorni: un enormepannello che restituisce oltre all'im-magine riflessa di chi ci si para din-nanzi anche gli appuntamenti dellagiornata, la temperatura corporea,l'ossigenazione del sangue, il peso ela dieta necessaria per mantenerequello ideale. Per ora è un pezzounico, o quasi, ma l'ingresso nellenostre vite quotidianeè lontano so-lo quanto l'intraprendenza di qual-che partner industriale.

Al momento tra i settori più inte-ressati ci sono quello dei trasporti,con servizi di infomobilità in temporeale, e diverse filiere produttive,dall'alimentare a qualsiasi altro be-ne che non sia una materia prima.Le etichette a identificazione radiovengono già messe su alcune mercideperibili per monitorarne lo statodi conservazione. Come accade per

la catena del freddo, che viene gesti-ta meglio in automatico dai sensoriche dall'uomo. Chi meglio di unsensore può verificare la temperatu-ra a cui viene mantenuto il pescesurgelato? Quale controllore in car-ne ed ossa è in grado di garantireche la merce non è stata esposta etemperature non salubri per un gua-sto al sistema refrigerante delle cel-le frigorifere?

Siamo ancora lontani dal giornoin cui le nostre abitazioni e le nostrecittà potranno considerarsi un uni-co organismo, ma ci arriveremo. Fi-no a qualche anno fa era più facileperdere il telefonino, oggi invece ap-propriarsi di uno smartphone altruicomporta un alto rischio di essererintracciati grazie all'identificazio-ne del dispositivo attraverso la trian-golazione delle celle di rete mobile,o con ancor più precisione tramiteil segnale Gps. Alcuni ladri di iPho-ne sono stati scovati in poche ore, ea denunciarli non è stato un cittadi-no, ma il telefono stesso. I braccialielettronici con cui vengono costret-ti alcuni detenuti o alcuni indagati.Julian Assange, ideatore di Wikile-aks, e Dominique Strauss-Kahn, di-rettore del Fondo Monetario Inter-nazionale, sono stati confinati agliarresti domiciliari con la garanziache non fuggissero data da un sen-sore su una cavigliera. Vallanzascanon avrebbe potuto evadere passan-do da un oblò e irridendo la sorve-glianza delle guardie, se non ampu-tandosi un piede.

Come ogni tecnologia nuova oogni nuova applicazione di quelleesistenti anche l'internet delle coseporta con sé nuovi problemi, o pro-blemi noti ma che assumono di-mensioni completamente diversein base alle nuove coordinate. LaCommissione dei servizi pubblicicaliforniana, su suggerimento dellaassociazione dei difensori dei dirittiin era digitale – la Electronic Fron-tier Foundation – ha recentementeproposto un rafforzamento delle re-gole sulla privacy dei dati dei conta-

tori energetici intelligenti. I dati sulconsumo elettrico ad esempio pos-sono indicare con un ottima percen-tuale di plausibilità la presenza omeno in casa dei residenti. Finoranon c'era stata molta attenzione suinumeri dei nostri contatori, perchéquesti venivano registrati da esseriumani, spesso su carta e archiviatinei database. Ora l'intercettazionedei dati è una possibilità più concre-ta e allarmante.

I kilowatt diventano così un da-to sensibile e pericoloso se finiscenelle mani sbagliate, mentre primal'unica preoccupazione che poteva-no destare era legata ai costi dellebollette per gli utenti e per i gesto-ri. Neelie Kroes, commissaria euro-pea per l'Agenda digitale, con otti-ma scelta di tempo si è già pronun-ciata in merito al nuovo mercato ealle nuove frontiere che si prospet-tano per la comunicazione tra mac-chine indicando nella privacy unodei temi più delicati per i cittadinidell'Ue.

In fondo le informazioni che gliutenti danno di sé su Facebook –giustamente considerato uno spau-racchio per la propria riservatezza –possono essere false dato che nonc'è nemmeno la necessità di regi-strare il proprio account fornendo ipropri dati reali. Ma il chip inseritonell'automobile, manomissioni aparte, non mente. E dà informazio-ni degli spostamenti non contestabi-li nemmeno in tribunale. Provate acontestare una multa presa dall'Eco-pass, o a sfondare un casello muni-to di Telepass sperando di farla fran-ca. Si può discutere eventualmentesu chi era al volante al momentodell'infrazione, non che il volantefosse di quella precisa automobile.Rischi e opportunità si mescolanoforse in pari misura: i vantaggi in ter-mini di conoscenza, sicurezza e effi-cienza comportano anche nuoviproblemi, che vanno affrontati pos-sibilmente senza inibire lo sviluppoche promettono.

[email protected]

Le rete sta

per assistere

a un sostanziale

cambiamento

di popolazione,

domani

i dispositivi

connessi saranno

molto più

numerosi

delle persone

e comunicheranno

tra loro dati

per migliorare

la nostra vita,

dalla mobilità

all'ambiente,

dalla sicurezza

agli alimenti. Ma

attenzione alle

orecchie indiscrete

A sinistra un drone volanteguidato via telefono cellularee a destra lo «specchio magico»di Reply

■ L'INTERNET DELLE COSE CAMBIA IL MONDO DEGLI UMANI ■

Se le macchineparlano tra loro

8) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 9: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

CINEMAUk, 2011, 4’, musica: Benny Benassi con Gary Go,

regia: autore ignoto, fonte: Virginradiotv

7Tre uomini si recano in unlaboratorio ipertecnologicocon una «memoria» digitale. Il

tecnico gli fa indossare un casco e inseri-sce l’hard disk in modo da fargli rivivere alivello neuronale i loro incontri in sogget-tiva con tre donne (sempre la stessa truc-cata in modo diverso: mora, bionda erossa). Nel finale nello stesso luogo entrafinalmente lei con un disco in mano,davanti ai tre attoniti maschietti che nonsapranno mai (come del resto lo spettato-re) l’incontro (o gli incontri) da lei regi-strati. Siamo dalle parti di Strange Dayso di Se mi lasci ti cancello, dunque inlinea con la rappresentazione delle imma-gini mnemoniche a cui il cinema degliultimi anni ci ha abituato. Ma questo clip– il cui singolo vede la collaborazione trail dj di origini italiane e il musicista ingle-se – oltre a essere ben girato, ha il pregiodell’ironia, il che non guasta.

LE DONNEItalia, 2011, 5’37”, musica: Fabri Fibra, regia: Cosimo

Alemà, fonte: Mtv

6Per un brano che vuole essereun tributo d’amore all’univer-so femminile, alle donne di

ogni razza e taglia, non poteva che esser-ci un videoclip-galleria di corpi e volti«rubati» soprattutto per le strade (di Ro-ma). Donne, insomma, più che belleautentiche, filmate nei luoghi di lavoropiù diversi, al ralenti e in primo pianomentre rivolgono lo sguardo alla camera.Fabri Fibra inframezza questi portraiteseguendo il playback circondato dabianchi manichini. Le donne ha una strut-tura prevedibile anche se, tutto somma-to, funziona, firmato come altri lavori delrapper dal solito Alemà. Questo terzosingolo è incluso nell’album Controcultu-ra. La fotografia è di Edoardo Carlo Bolli.

ALAS DE TANGOArgentina, 1997, 5’30”, musica: Leon Gieco, regia:

Mario Sabato, fonte: Youtube.com

7In una tangherìa deserta, av-volta nella penombra, unacoppia danza. Ai tavoli – oltre

allo stesso Gieco che canta – gli avvento-ri sono sagome di cartone. Il volto di leisi trasforma nella morte. Nel bandoneonche suona vengono intarsiate una seriedi immagini. Poi gli sfondi cambiano e iballerini si ritrovano a danzare fin sullaluna. Molto riuscita l’atmosfera che Saba-to riesce a creare a partire dalla musicastruggente di Gieco, peccato che il clipnon sia compatto e si disperda un po’iconograficamente. Bellissime alcuneinquadrature come i tanghèri (Cesar Coe-lho e Johana Copes Buenos) ripresi attra-verso il vetro di due calici.

I’M ON FIREUsa, 1984, 3’, musica: Bruce Springsteen e The E

Street Band, regia: John Sayles, fonte: Youtube.com

1Diretto da uno degli esponen-ti più importanti del cinemaindipendente Usa, I’m on Fire

non ha la rapidità classica dei video musi-cali ma, al contrario, una sorta di dilata-zione narrativa che crea un suggestivoeffetto di intensità. La classica femmefatale entra in una officina e, ammiccan-te, lascia le chiavi della sua decapottabileal meccanico Springsteen per la revisio-ne. Sayles ne inquadra solo la gonna e legambe, mentre lui, che sta riparando unavettura schiena a terra, la guarda dal bas-so. La sera il bel ragazzo scorrazza nellanotte a bordo della decapottabile fino adarrivare sotto casa della cliente. Sarebbetentato di bussare al campanello e appro-fittare della situazione, ma – dopo averciriflettuto – decide di lasciare le chiavinella buca delle lettere. Il messaggio èchiaro: il maccanico orgoglioso non accet-ta le profferte della ricca signora e rivendi-ca la sua natura di uomo puro, sorpren-dendo così lo spettatore che si sarebbeaspettato un epilogo diverso. Non siamodalle parti di Uptown Girl di Joel, dovel’incontro tra classi sociali finiva in musi-cal. Ora il proletario ha maturato unacoscienza di classe.

di G.D.P.

Nel mondo della comunicazione tramacchine l'Europa ha un ruolo trainante rispettoagli altri continenti, è infatti il mercato più sviluppa-to e da solo rappresenta quasi la metà di quello glo-bale. Neelie Kroes, Commissario europeo dell'Agen-da digitale, da un paio di anni sta cercando di gover-nare il processo di sviluppo di questo settore desti-nato a crescere costantemente e a collegare più mac-chine che persone alla rete. Anche per questo si è re-centemente passati dal vecchio sistema di indirizziIP (ipv4) a quello nuovo (ipv6) molto più capiente.

L'Italia annovera alcune realtà molto interessantie tra queste uno dei pionieri delle tecnologie che abi-litano l'internet delle cose, Telit, azienda fondatanel 1986 a Trieste – rilevata dagli israeliani della Po-lar Investment nel 2003 – e che conserva oltre alla se-de italiana del capoluogo giuliano anche un altrocentro di ricerca e sviluppo in Sardegna. Chicco Te-sta, presidente della divisione Communications Plc,racconta lo scenario in cui si muove il mercato.

L'internet delle cose è in espansione costante,cosa ci riserva il futuro?

Una crescita ancora più rapida. Siamo al punto incui sono diminuiti i costi per unità di prodotto, chese per le aziende è uno svantaggio – visto che do-vranno confrontarsi con una più agguerrita compe-titività sui prezzi – per il mercato è un'agevolazio-ne, nel senso che l'm2m avrà maggiore penetrazio-ne anche in settori che finora erano rimasti esclusiper i costi industriali. Un po' quello che è successoper i cellulari: venti anni fa costavano tantissimo eli avevano in pochi, oggi costano pochissimo e lihanno tutti.

Quali settori saranno interessati maggiormen-te dall'adozione di moduli per la comunicazio-ne wireless tra macchine?

In base all'ultimo Beecham Report, il più autorevolein materia, è quello dei trasporti con la gestione del-le flotte aziendali con la possibilità di effettuare iltracking dei mezzi sempre più monitorati attraversol'm2m. Poi la cosiddetta building automation, conl'adozione di moduli, chip e lettori integrati negli

edifici. Le applicazioni in campo energetico sono or-mai una realtà così come il controllo delle macchi-ne manifatturiere, e sta per esplodere, grazie al calodei costi e alle soluzioni sempre più raffinate, ancheil campo medicale con il monitoraggio di alcuni ap-parecchi sanitari e la telemedicina.

Ad esempio?Ad esempio è possibile controllare automaticamen-te e da remoto che un paziente assuma i farmaciprescritti, cosa che soprattutto nel caso dei salvavitaè fondamentale. Se la pillola non viene consumata,scatta un allarme che prima informa il paziente stes-so, e poi in caso di mancata risposta, i parenti.Per quanto riguarda i trasporti c'è una best-practiceche riguarda il porto di Trieste, con varchi in ingres-so dotati di lettori di etichette elettroniche che regi-strano i movimenti dei container.L'idea è di trattare i container come flotte di oggettiin movimento. Ce ne sono più di 50 milioni in giroper il mondo, riuscire a sorvegliarne gli spostamentiè strategico per il trasporto merci.

La commissione europea vigila anche sui pro-blemi relativi al monitoraggio sempre piùpervasivo che ci attende nei prossimi anni.Ci sono anche problemi di privacy sui datitrasmessi?

Per quanto riguarda gli oggetti come i containernon vi sono problemi di sorta. Le cose cambiano unpo' quando si passa ad applicazioni consumer. Adesempio in Olanda c'è una legge che prevede l'ado-zione di scatole nere nelle auto private, il che oltre aagevolare la mobilità permette enormi risparmi sul-l'assicurazione.Se le assicurazioni sono in grado di sapere dove, co-me e quando viaggia un’auto, possono far pagare so-lo per l'uso effettivo del mezzo. In Olanda presto ver-rà eliminato il bollo auto e la tassa di proprietà. I na-vigatori di domani anziché indicare il percorso piùbreve, indicheranno quello più rapido, evitando gliingorghi. Questo permetterà di ridurre l'inquina-mento e ottimizzare i consumi.Certo le informazioni in tempo reale possono com-portare problemi di privacy ma con gli attuali algo-ritmi non è difficile garantire l'anonimato. In fon-do anche quando si paga con carta di credito sistanno dando informazioni in tempo reale agli isti-tuti di credito.

INTERVISTA A CHICCO TESTA

L'alba di un mercato in esplosione

di Bruno Di Marino

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (9

Page 10: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

10) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

SEGUE DA PAG 4

IN VIAGGIO CON UNAROCK STARDI NICHOLAS STOLLER, CON BILLY GREEN BUSH,

CHRISTINA AGUILERA. USA 2011

0Il geniale e volubile rockeringlese Aldous Snow vive unmomento di depressione e

stasi creativa dopo il flop del suo discoAfrican Child, oltre al fatto che la don-na lo lascia e si porta via il figlio. Snowprecipita nella droga ma nel frattempodagli Usa un talent scout suggerisce ilsuo nome per una grande rentrée. Oradovrà recarsi in Inghilterra per convin-cerlo a trasferirsi a Los Angeles

L'EREDEDI MICHAEL ZAMPINO; CON ALESSANDRO ROJA,

GUJA JELO. ITALIA 2011

0Dopo la morte del padre,Bruno, medico milanese,prende possesso di una

vecchia villa immersa nella natura sel-vaggia degli Appennini. Non saràun’eredità facile. La conoscenza deivicini lo farà precipitare in una spiraledi sospetti che cambieranno per sem-pre la sua esistenza.

L’ALBERODI JULIE BERTUCCELLI; CON ADEN YOUNG,

CHARLOTTE GAINSBOURG. FRANCIA AUSTRALIA

2010

5Film di chiusura di Cannes2010, fuori concorso, produ-zione franco-australiana,

opera dalle ambizioni poetiche, pro-messa di una cineasta legata ai set diKieslowski, Tavernier, Ioseliani, e autri-ce di un titolo pluripremiato (Semainede la Critique 2003 e César per il mi-glior esordio), Depuis qu'Otar est parti.Documentarista, la giovane Bertuccellisi avventura agli antipodi dietro il ro-manzo Our Father who art in the Treedi Judy Pascal, ambientato negli arsiterritori del Queensland. A caccia dellasospensione dell'incredulità, cercandol'equilibrio con il sovrannaturale e lamagia di Peter Weir, L'albero ricadeindietro, sradicato e non solo metafori-camente. L'albero è un enorme ficus,cattedrale aborigena conficcata nelterreno, sovrastante l'edificio abitatoda Dawn (Gainsbourg) e dai suoi quat-tro figli. La sottile linea che divide larealtà dell'immaginazione qui si dissol-ve in segni premonitori inconcludenti,in visioni di paesaggi gialli, e in un este-nuante menage familiare. (m.c.)

5 (CINQUE)DI FRANCESCO MARIA DOMINEDÒ; CON

ROLANDO RAVELLO, STEFANO SAMMARCO.

ITALIA 2011

7Francesco Maria Dominedòè un attore (Fatti della ban-da della Magliana, Cover

Boy). Il film da regista sceglie questistessi luoghi, anche perché gli permet-tono di muoversi con una certa libertàe di evitare un realismo un po’ facile erumoroso.La storia è ambientata al Quarticciolo,si ispira alla cronaca, ha un segno tuttomaschile: cinque ragazzi, adolescentiin riformatorio, cercano il colpo grosso,quello che li possa fare ricchi. Il puntodi vista del regista è eccentrico, a co-minciare dalla scelta degli attori presidal Grande fratello o dall’Isola dei fa-mosi, prova a raccontarci le relazionitra maschi, il contesto in sé rimanefuori campo. La macchina da presabracca i personaggi, il ritmo forte am-micca alla loro adrenalina. (c. pi.)

THE CONSPIRATORDI ROBERT REDFORD; CON ROBIN WRIGHT,

JAMES MCAVOY. USA 2011

7La guerra di Secessione èterminata con la sconfittadei sudisti, ma il conflitto ha

lasciato strascichi: il 14 aprile il presi-dente Lincoln è ucciso da John WilkesBooth. Tra gli arrestati c’è anche MarySurratt, poiché le riunioni per organiz-zare gli omicidi venivano fatte nellasua pensione. L’abilità di Robert Re-

dford e dello sceneggiatore James Salo-mon sta nel mostrare quanto sia diffici-le mantenere i nervi saldamente demo-cratici di fronte a un attacco durissimo.In filigrana si legge quello che è avve-nuto negli Usa dopo l’11 settembre ela lettura del film apre squarci inquie-tanti sui piani alti del potere. (a.ca.)

GIALLO/ARGENTODI DARIO ARGENTO; CON ADRIEN BRODY,

EMMANUELLE SEIGNER. ITALIA 2011

1Dario Argento rimane im-menso, elevando le pulsionidella sua estetica horror ad

artigianato shock del subconscio, acardiogramma feroce di cento succeda-nei. Nonostante le infinite difficoltàproduttive, una trama sempliciotta eun cast (Adrien Brody, EmmanuelleSeigner, Elsa Pataky) alla sbando, Ar-gento si conferma genio invisibile, unbambino che nella sua vita cinemato-grafica migliora le coscienze interiori diognuno di noi. Dario Argento è ancheil motivo per cui psicologi e critici han-no ancora la sensazione di esistere(per tanti motivi, senza riuscirci). Nona caso, i personaggi di Giallo possiedo-no tutti qualcosa di freudianamenteirrisolto nella loro infanzia, e un po’come il grande demiurgo raramentetornano nei luoghi in cui sono stati dabambini, se non con la memoria. (f.bru.)

ISOLA 10DI MIGUEL LITTIN; CON BENJAMÍN VICUÑA,

BERTRAND DUARTE. CILE 2009

7Un episodio poco conosciu-to del golpe cileno. I ministridel governo Allende, il suo

segretario personale e altri esponentidella pubblica amministrazione furonoportati nel profondo sud del paese,sull'isola Dawson. Tra quei trenta pri-gionieri c'era anche il ministro delleminiere Sergio Bitar, che ha scritto unlibro a cui Littin si è ispirato. Nel cam-po i detenuti perdono la loro identità ei contatti con il resto del paese, i loronomi sono ridotti a numeri. Il tessutodel film si allarga un po' alla volta inun respiro profondo a comprenderenon solo la loro vicenda personalefatta di dignità e forza morale, ma quel-la dell'intero paese in un momentofissato per sempre nella storia, l'assal-to alla Moneda e la morte di SalvadorAllende (e Littin non ammette la teoriadel suicidio, ora infatti si è riapertal’inchiesta).(s.s.)

LIBERA USCITADI BOBBY FARRELLY, PETER FARRELLY; CON

OWEN WILSON, JASON SUDEIKIS. USA 2011

5Quando all’orizzonte eraapparso Tutti pazzy perMary sembrava che due

nuovi geni irriverenti si fossero affaccia-ti nell’olimpo hollywoodiano. Neglianni successivi, pur firmando film an-che curiosi, non riuscirono più a bissa-re quel successo così eccentrico. Ora,tredici anni dopo, la coppia sembraavere subito una mutazione genetica:nel loro mirino entrano infatti un paiodi quarantenni in odore di imbecillità ea rischio strabismo per il loro vizio diseguire con lo sguardo la parte poste-riore di qualsiasi ragazza. Anche quan-do sono in compagnia delle rispettiveconsorti. In loro soccorso viene unaamica che dà loro un singolare suggeri-mento: concedere una libera uscita dalmatrimonio. L’involuzione dei Farrellynon sta tanto nell’aver reso macchiettei due protagonisti maschili, quanto nelnon aver saputo costruire situazioniche non fossero tutte ancorate alleconvenzioni. (a.ca.)

MICHEL PETRUCCIANI.BODY AND SOULDI MICHAEL RADFORD. DOCUFILM. FRANCIA

ITALIA 2011

7Michael Radford (Il mercan-te di Venezia, Il postino)intreccia le testimonianze

dirette e quelle del padre, delle moltedonne della sua vita (dalla hippie Erlin-da alla pianista classica Gilda Buttà,che lo sposò), jazzisti francesi ed ameri-cani (da Aldo Romano a Joe Lovano),produttori discografici, il figlio Alexan-dre ed altri personaggi che furono vici-ni al pianista. Biografia che appassionae può sedurre anche chi non sia unamante del jazz. Emergono con straor-dinaria forza il carattere di Michel Pe-trucciani, la sua indomabile voglia divivere e sperimentare, la capacità divincere una malattia terribile e invali-dante, creando musica di rara potenzae ispirazione. (l.o.)

PAULDI GREG MOTTOLA; CON SIMON PEGG, NICK

FROST. USA 2011

7Due amici fanatici di sf, scrit-tori di avventure galattichepartono da Roswell, New

Mexico dove, come si sa, atterrò undisco volante e salvano dalle maceriedi un’auto maldestramente guidata unalien alto un metro di nome Paul cheproduce incanti come Elio (e le StorieTese) che infatti lo doppia in italiano.Ne restano così affascinati che se loportano, perennemente inseguiti, ingiro in camper per gli States prima diconsegnarlo all’astronave marziana disoccorso. L’ex filmaker indie Greg Mot-tola maneggia un budget serio ma nonvacilla e interviene con l’arma invincibi-le dell’umorismo. (r.s.)

IL PRIMO INCARICODI GIORGIA CECERE; CON ISABELLA RAGONESE,

FRANCESCO CHIARELLO. ITALIA 2010

7Bell’esordio di Giorgia Cece-re, già sceneggiatrice perAmelio e Edoardo Winspea-

re. Una maestra del sud negli annicinquanta lascia il paese, assegnata aun villaggio ancora più sperduto. Quan-do il fidanzato la lascia per una riccaragazza del suo stesso ambiente, lei silascia andare a un rapporto con ungiovane muratore e per non perdere ilposto per lo scandalo causato, decidedi sposarlo, scoprendo poi le sue verequalità di uomo forte e maturo. (s.s.)

13 ASSASSINIDI MIIKE TAKASHI; CON GORO INAGAKI, KOJI

JASUKO. GIAPPONE 2010

7Remake dal film di EichiKudo del ’63, il più grandedel genere «wu xia», è un

omaggio non solo al genere samurai eal gioco d’azzardo, ma anche al we-stern all’italiana, dedicato a Sergio Cor-bucci, realizzato dall’attore e registaspecialista di neo-horror, riuscita meta-fora del potere dispotico incarnato inNaritsugu, principe feudale del 1844 edella sua idea di popolo come «servito-re del sovrano». Miike si diverte a fareun po’ di accademia ma resta quelgiocoliere naturale dell’umorismo edella violenza che ha esibito nella sualunga carriera. (m.c.)

TRANSFORMERS 3, 3DDI MICHAEL BAY, CON SHIA LEBEOUF E ALAN

TUDYK, USA 2011

5Per chi non fosse appassio-nato di mezzi di trasportoche cambiano forma trasfor-

mandosi in gigantesche creature d’ac-ciaio per scambiarsi grandi mazzatel’inizio di questo nuovo episodio risul-ta piuttosto interessante. Siamo infattiin piena guerra fredda, Unione sovieti-ca e Stati uniti si contendono il prima-to spaziale. Tutta la parte iniziale èbrillante. Purtroppo poi tutto precipita.Autobot e Decepticon prendono il so-pravvento, sono talmente giganteschiche gli esseri umani scompaiono inloro presenza e si fa fatica ad appassio-narsi alla guerra tra i buoni Autobot e icattivi Decepticon. (a.ca.)

IL FESTIVAL

MITTELFESTCIVIDALE DEL FRIULI, GORIZIA 9-16 LUGLIO

La ventesima edizione di Mittelfest propo-ne spettacoli di teatro, danza e musica coneventi internazionali e anteprime assolute,riflessione sui primi vent’anni in Europa,uno sguardo speciale verso l’est . Inaugurail 9 luglio Luca Ronconi con «La modestia»sul testo di Rafael Spregelburd. IsabellaRagonese il 16 sarà in scena con Lady Graydi Will Eno e in cartellone ancora autoripolacchi, slovacchi, russi e l’anteprima na-zionale «Goli Otok» produzione Teatro del-la Cooperativa di e con Renato Sarti e Pao-lo Bonacelli. Nel cartellone musicale unodei concerti è il ritorno della No SmokingOrchestra del regista Emir Kusturica, nata a Sarajevo nel 1980 (il concerto si tienel’11 luglio al teatro Verdi di Gorizia). Nove gli appuntamenti di danza e tra i nume-rosissimi appuntamenti musicali, Mario Brunello e Marco Paolini rileggono ArnoldSchönberg e Lella Costa (il 14) in «Liszt e la Poesia» compie con Roberto Plano (alpiano), un percorso nelle pagine meno frequentate di Liszt. (s.s.)

PREMIO AMIDEIGORIZIA, PALAZZO DEL CINEMA, PARCO CORONINI

CRONBERG 14-23 LUGLIO

Il Premio Amidei, dedicato a uno dei grandisceneggiatori italiani, premio alla miglioresceneggiatura cinematografica tra i filmeuropei della stagione (in giuria i registiScola, Giraldi, Marco Risi, Piccioni, gli scritto-ri Bruni e Piccolo, con Giovanna Ralli e Sil-via d’Amico) quest’anno propone la sensa-zionale rassegna completa organizzata incollaborazione con l’ambasciata francese,di tutti i film di François Truffaut come regi-sta e sceneggiatore, accompagnata dal volu-me Vivément Truffaut di Ugo Casiraghi acura di Lorenzo Pellizzari. Sarà presenteSylvain Chomet, il regista de L'illusionista per parlare di sceneggiatura dell’anima-zione (la sceneggiatura de L'illusionista è di Tati). Dedicata alla scrittura migranteci saranno retrospettive di Mohsen Melliti, Mohamed Zineddaine, Fred Kuwornu,Dagmawi Yimer, Mefehnja Tatcheu, Laura Halivovic, Fatma Bucak. Inoltre: premioopera prima, spazio per i bambini, omaggi ai personaggi del cinema italiano. (s.s.)

MARZIA MIGLIORAE SALLA TYKKÄEX3, FIRENZE FINO ALL’11 SETTEMBRE

Il Centro per l’arte contemporanea di Firen-ze ospita fino all’11 settembre prossimouna doppia personale con delle installazio-ni di due artiste internazionali: «Rada» è ilprogetto proposto dell’italiana Marzia Mi-gliora, a cura di Arabella Natalini, e «WhiteDepths» la prima personale in uno spazioistituzionale italiano della filmakers finlan-dese Salla Tykkä, a cura di Marinella Pader-ni. Migliora, classe 1972, per la sua opera siè ispirata a una bandiera, il cui segno grafi-co - nel Codice internazionale dei segnalimarittimi - significa «sospendete quello chestate facendo». Così se in mare quella «traccia» assume un valore univoco, perl’artista diventa un invito aperto a molteplici soluzioni. La stessa croce blu diventaun luogo percorribile e il bianco delle porzioni restanti, una distesa di materiali discarto. L’autrice finlandese (Helsinski, 1973) si rivolge al pensiero di John Ruskinper reinventare un mondo di metamorfosi. (a di ge.)

filippo brunamontiantonellocatacchio

mariuccia ciottaluciano del settecristina piccinoroberto silvestrisilvana silvestri

PASSANNANTEDI SERGIO COLABONA; CON FABIO TROIANO, ULDERICO

PESCE, ANDREA SATTA. ITALIA 2011

Nel novembre del 1878, Giovanni Passannan-te, cuoco anarchico lucano, attenta con untemperino alla vita del re Umberto I. L’augu-sto monarca riporta soltanto qualche graffio.Per Passannante si apre un processo, che siconcluderà con la condanna a morte. La gra-zia precipita l’uomo in una cella sotto il livel-lo del mare, e poi in un manicomio criminaledove morirà nel 1910. Il corpo, cui viene ne-gata sepoltura, viene decapitato, e il cervello,insieme al cranio, entra a far parte dei repertidel museo di Criminologia di Roma. La vicen-da, caduta nel dimenticatoio, è tornata allaluce in tempi recentissimi, quando un giornalista, un musicista e un attore decidonodi dar battaglia affinché i resti di Passannante trovino sepoltura a Savoia di Lucania,suo paese natale. Dalla vicenda, il regista Sergio Colabona ha tratto un film, Passan-nante, in programmazione nel circuito nazionale, che ha tra i protagonisti l’attore luca-no Ulderico Pesce, Bebo Storti e, nel ruolo di Passannante, Fabio Troiano (lds)

SINTONIEIL FILM

LO SCENEGGIATORE

LA MOSTRA

Chi lo ha fatto fare a Fabio Frizzi?!Chi me lo ha fatto fare?! di FabioFrizzi si è svolto il 10, 11 e 12maggio al Teatro Centrale Prene-ste a Roma e un estratto dellospettacolo, con le musiche realiz-zate dal compositore per i film diFulci, è stato presentato durantela serata d’inaugurazione del Fan-tafestival il 9 giugno scorso, all’au-ditorium della Conciliazione. «Èun diario di vita aperto dopo annidi lavoro. La musica dei miei mitie la mia suonate insieme in unaserata confessione divertente eun po’ intimo. Chi me lo ha fattofare?» afferma Frizzi. Sulla locandi-na dello spettacolo, dietro al mae-stro sorridente, ci sono i suoi miti,quelli che lo hanno influenzatoe/o aiutato nella suo crescita este-tica, artistica e professionale:Johann Sebastian Bach, i Beatles,Pietro Germi, Lucio Fulci, TomasMilian, Sidney Bechet e alcuni al-tri. «Sono molte le persone cheme lo hanno fatto fare e a tutteloro va la mia stima e la mia rico-noscenza. Riconoscenza per tren-tacinque anni di musica, di passio-ne, di incontri e di esperienze.Tutto è cominciato ed è continua-to grazie alla musica, che mi haaffascinato e mi ha portato consé. Ed ai miei miti, i miei punti diriferimenti che mi hanno accom-pagnato e stimolato giorno dopogiorno». È il tipo di spettacolo chesempre di più i compositori dimusica applicata al cinema deci-dono di realizzare ad un certopunto della loro carriera. Una spe-cie di autobiografia musicale. Sipensa ovviamente al concertoFotogramma di Nicola Piovani,che era un viaggio attraverso i mo-menti più importanti e toccantidella sua vita attraverso i film euno spettacolo di teatro e di can-zoni. O i concerti di Claudio Simo-netti, dove con i Daemonia, oltrealle musiche che ha realizzato perDario Argento, suona sempre Hal-loween di John Carpenter e laToccata e fuga in re minore diBach. «Siamo tutti stati influenzatida lui, noi compositori gli dobbia-mo tutti qualcosa. Proprio perquesto, suoniamo la 3˚ Branden-burghese di Bach durante questospettacolo» spiega Frizzi. Oltre aquesto bellissimo brano di Bach,gli altri che costituiscono una par-te dello spettacolo sono: EleanorRigby dei Beatles, Il Ferroviere diCarlo Rustichelli, La canzone del-l'amore perduto di Fabrizio deAndrè, Petite fleur di Sidney Be-chet, un Medley di musica deifilm di Fulci non scritte da Frizzi,Stare bene a metà di Pino Danie-le, Otto e mezzo di Nino Rota e Ilfunerale di una marionetta (Te-ma di Hitchcock). Quelle di Frizziinvece sono Ibo Lelè (Mombasa),un Medley di Fulci, San Frediano,Fantozzi, When I fall in love withyou, Concerto per Clarinetto eArchi - 3˚ mov. Allegro, Un ciclonein Famiglia, Medley Capitano, Ifatti vostri (sigla), Butta la luna(Tema di Alyssa). «Unico imbaraz-zo di uno spettacolo come questoè il confronto: le mie musiche ese-guite insieme a quelle che hosempre amato» confida Frizzi. For-se è anche il modo per capire me-glio l'estetica di un compositore.Solo attraverso quelli che si ammi-rano si può forse capire qual èstato il suo percorso creativo».

di Gabrielle Lucantonio

ENNIO & CO.

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ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (11

■ RICORDI ■ 2 APRILE 1976, FRANCESCO DE GREGORI CONTESTATO AL PALALIDO DI MILANO ■

Il processo di Alice

di Alberto Piccinini

Passò alla storia come il «processo a De Gregori». Processo politico, s'intende. Ve-nerdì 2 aprile 1976, al Palalido di Milano, un centinaio di persone fermò a metà il concertosold out del cantautore romano di fronte a seimila spettatori. Rimmel, uscito l’anno prima,era stato in classifica 40 settimane, vendendo la cifra record di 500.000 copie. Proiettato inuna nuova dimensione di popolarità, De Gregori aveva un album in uscita: Buffalo Bill.

La tournèe la organizzava il Piccolo Teatro di Milano. Sullo sfondo c'è la Rca, la casa di-scografica del cantuautore. Il biglietto costa 1500 lire. Prima del concerto della sera, accantoal botteghino, vengono distribuiti volantini «contro i padroni della musica» firmati da Stam-pa Alternativa: «Decine di migliaia di incazzati hanno capito che i Palalido sono i loro Viet-nam, i loro campi di battaglia». Soltanto due mesi prima, nello stesso Palalido, uno spettraleLou Reed (2000 lire) è stato costret-to a interrompere il concerto tra lan-ci di sassi e bottigliette. Per evitarealtri attriti si aprono precauzional-mente le porte a tutti.

E il concerto si svolge con le luciaccese. «Vedevo la gente che ap-plaudiva appena salivo sul palco, co-sa mai successa prima. – è il ricordoDe Gregori raccolto dal giornalistaClaudio Bernieri – Poi c’erano quel-le luci accese». Dopo una prima in-terruzione («gli strapparono la chi-tarra di mano», ricorda il batteristaCarlo Marcovecchio), e la letturadal palco di un comunicato control’arresto di un compagno a Padova,il concerto riprende. De Gregori e lasua band finiscono come possono,poi tornano nei camerini.

E’ qui che va in scena il processovero e proprio. I «verbali» li scovia-mo nella cronaca che il giorno dopouscì sul Corriere della Sera: «Quantohai preso stasera?» urla un giovane.«Credo un milione e due... - sussurracon un filo di voce De Gregori -, mapoi c'è la SIAE...». «Se sei un compa-gno, non a parole ma a fatti, lasciaqui l'incasso», ribattono.

Fu il critico Mario Luzzatto Fegiza firmare il pezzo. Calcò la mano:«Al microfono si alternano volti lom-brosiani e giovani che sembranocolti da raptus isterico...». Secondo itestimoni un vero e proprio proces-so neppure ci fu: il Palalido si stavasvuotando, il diverbio tra i contesta-tori e De Gregori si sarebbe svoltotra il sottopalco e i camerini. D’altraparte la cronaca, pure romanzata,coglie bene la centralità drammati-ca che quell’evento avrà nella storia

successiva della canzone italiana.Continuiamo a leggere: Prende la

parola un uomo con la barba bian-ca, d'età indefinibile: «La rivoluzio-ne non si fa con la musica. Prima sifa la rivoluzione, poi si potrà pensa-re alle arti o alla musica. Lo dicevaanche Majakovski che era un vero ri-voluzionario e si è suicidato. Suicida-ti anche tu!». De Gregori ascolta pal-lido e silenzioso. Con scarsa convin-zione mormora al microfono: «Forsesono una vittima dell'industria...».Di chi erano quelle voci? In un’inter-vista televisiva recente De Gregorichiedeva che almeno si facessero ve-dere. A quasi 40 anni di distanza.

E’ rimasto qualche nome. GianniMuciaccia, punk della prima ora,chitarrista dei Kaos Rock, poi personei gorghi del socialismo milanese.C’era sicuramente Marcello Bara-ghini, che dell’arcipelago di StampaAlternativa era il volto più noto. Ac-cetta di rovistare nei ricordi di unevento del quale sono rimasti, dice,solo pochi flash: «No, non ero ioquello di Majakowskij. – sorride -Non avevo la barba bianca. Pensofosse Gianluca, che adesso non c’èpiù. Gianluca faceva teatro, guidavaun furgone col quale abbiamo gira-to il mondo e la cosa più incredibileè che non aveva mai documenti

con sè. Scendeva, parlava con leguardie, ripartiva».

«Non ricordo molta violenzaquella sera. – riprende Baraghini –Esasperazione, sì. C’erano nel no-stro gruppo delle frange accese, au-tonomi, che però in genere riusciva-mo a calmare. Naturalmente unaparte del pubblico si incazzò. Ricor-do bene De Gregori, stizzito. Avreb-be potuto spiegarsi, ma non lo fe-ce». «Mancava solo l’olio di ricino»,fu invece il commento del cantauto-re riportato ancora dal Corriere. «Lacontestazione è quando tu prendiuna persona e gli contesti delle cose(…) Un’aggressione è quando io tiprendo a cazzotti e ti dico che seistronzo… Quella fu un’aggressione,cioè non ci fu nessun dialogo».

Quest’ultimo commento lo haraccolto un cronista/musicista cheallora collaborava con L’Unità, Clau-dio Bernieri. Ne fece un libro, Nonsparate sul cantautore - preziosa rac-colta di interviste a cantautori dellametà degli anni ’70, da tempo intro-vabile, che il prossimo settembreverrà ripubblicato dalle edizioni Vo-lolibero con allegati i nastri originalidelle conversazioni. «C’era que-st’area libertaria, moralista se vuoi –ricorda oggi Bernieri – Riteneva chesi dovesse suonare a un prezzo poli-

tico, saltare l’intermediazione diquelli che chiamavano i padroni del-la musica. Erano cani sciolti. Anda-vano a vedere con quale macchinaarrivavano a suonare i musicisti, fa-cevano i conti in tasca».

Moralismo a parte, l'idea della«musica gratis» non godrà mai digrande considerazione, né allora ené mai. Sull'utopia, pericolosa onaif che fosse, vinse fin da subitouna specie di necessario realismomercantile. Per due anni in Italianon si fecero grandi concerti. Poi,negli anni '80, si ricominciò dacca-po. Su quelle contestazioni Bernieriha un'altra idea: «Per capirci, è co-me se oggi si riuscisse a impedire ildownload gratuito dalla Rete. Chesuccederebbe?».

Ancora. Chi ce l'aveva con DeGregori, e perchè? Re Nudo e An-drea Valcarenghi avevano chiesto alcantautore di organizzare il concer-to di Milano, ricevendo in cambioun garbato rifiuto (da qui la sceltadi coivolgere il Piccolo Teatro). ConLotta Continua, poi, c'era stato unoscontro a proposito del rimborsochiesto in occasione di un concertomilitante. Il giornale sfotteva così:«E’ venuto compiendo un pericolo-so viaggio da Roma centro alla peri-feria di Roma tale De Gregori, pare

celebre, il quale ha chiesto 400.000lire per esibirsi, e ha preso 400000pernacchie». De Gregori, da partesua, si difese con un lettera al gior-nale facendo notare ai compagniche «la musica è ancora in mano aiTony Santagata, e non ai proletari».

E c’era Muzak, il mensile di musi-ca e politica diretto da Giaime Pin-tor. La stroncatura di Rimmel (e del-l’ermetico «canto degregoriano»)comparsa su quelle colonne a firmadello stesso Giaime è rimasta cele-bre: «Non è un caso da sottovaluta-re che la fortuna dell'ermetismo da-ti anni '30-'40, e cioè si collochi pro-grammaticamente come isolamen-to dal fascismo, isolamento nell'atti-vità pubblica e nella poesia come ri-sposta "privatistica" alla retoricamussoliniana. (...) Una poetica er-metica, dell'intuizione lirica, è unapoetica tendenzialmente idealista,dunque di destra, arretrata negli an-ni '70, dunque incapace di rispec-chiare tensioni, di farsi portatrici divalori positivi e rivoluzionari».

Più prosaica e velenosa risultòtuttavia una cronaca coeva di EnzoCaffarelli per Ciao 2001, Racconta-va il De Gregori privato così: «Loguardo sbigottito mentre gioca a po-ker e beve champagne all’Hotel Bel-le Vue di Rimini, categoria lusso,

una stanza tutto escluso 38.000 lirea notte, mentre cala il sipario. Matutto questo Alice non lo sa». Fuquella che colpì nel segno, eccitan-do il moralismo dell'epoca?

Per uno scherzo del destino lamaniera dylaniana di De Gregori,nei testi e nello stile, si allargò inquegli anni fino a investire il voltopubblico del cantautore, il difficilerapporto con il tumultuoso «voglia-mo tutto» di quegli anni. Sembravala storia di quell'«immondiziologo»che nel 1965 si era messo a frugarenella spazzatura di Dylan per scopri-re le prove del tradimento. Dylanera scappato a gambe levate verso ilrock elettrico, nascosto giorno e not-te dietro i Ray Ban scuri. «Dylan - at-taccò una volta Giaime Pintor - è so-lo il ripiegarsi su se stesso dell'intel-lettuale giovane americano».

Il paradosso lo spiegò una voltalo stesso De Gregori: «Dylan non èmai stato inquadrabile politicamen-te al contrario di me che invecequando mi chiedono per che parti-to voto non ho nessun problema adirlo». Dopo quella brutta serata, ilcantautore minacciò di smetteredel tutto, di non cantare più. Perpiù di un anno non suonò in pubbli-co. Lo avvistarono a fare il commes-so in una libreria di Trastevere.

Un centinaio di persone distribuiscono

volantini «contro i padroni della musica».

Bloccano il concerto. Urlano al cantautore:

«Lascia qui l’incasso». Testimonianze

su una serata-simbolo della canzone italiana

Fotoposter di FrancescoDe Gregori pubblicate sull’album«Rimmel», 1975

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■ FENOMENI ■ L’IMPERDIBILE INCONTRO TRA DUE GENERI ■

Contaminazionedi una scena

di Luca Gricinella

Il crossover è una delle ten-denze musicali che ha maggior-mente segnato gli anni Novanta.La definizione di per sé è genericama all’epoca era intesa come la fu-sione tra rap e rock - c’è anche chidice tra funk e metal - operata daun gruppo o un solo artista, e inquesto senso era una vera novità.Per la stessa fusione generata dauna collaborazione tra rappresen-tanti dell’uno o dell’altro genere sifaceva già più fatica a tirare in bal-lo il termine anche perché un sin-golo episodio non pareva né gene-rare un fenomeno nuovo né snatu-rare lo stile degli autori. Per i culto-ri tutto ha inizio nel 1991 conl’uscita di Life 'n Perspectives of aGenuine Crossover, album fonda-mentale per farsi non solo un’ideadel genere (per giunta fuori dai ca-noni poi affermatisi) ma ancheper capire in fretta la concezionemusicale di un decennio in cui èavvenuto lo sdoganamento collet-

tivo e dunque definitivo delle contaminazioni tra ambiti musicali diver-si. A firmarlo non sono né degli artisti statunitensi né inglesi ma gli olan-desi Urban Dance Squad, al loro secondo lavoro, quello che ha ufficializ-zato la nascita del crossover. Ma la vera e propria esplosione popolaredel binomio rock-rap arriva appena un anno dopo con l'uscita dell'epo-nimo esordio degli statunitensi Rage Against The Machine: un albumche prende spunto dal concetto portato alla ribalta dagli Urban DanceSquad ma risulta più immediato e ha un grande impatto, specie sui ven-tenni di allora, anche per il mes-saggio antagonista dei testi. Glispettatori del primo concerto ita-liano della band di Zack de la Ro-cha e Tom Morello, un sabato po-meriggio allo Zimba di Milano,hanno potuto assistere a una sin-tesi estetica più che mai efficacedel fenomeno: il pubblico era divi-so tra incappucciati vestiti oversi-ze, pantaloni col cavallo basso evia così, e capelloni vestiti di neroo, meno numerosi, con una cami-cia di flanella a scacchi sbottona-ta. Rapper e rocker, gli stessi chespesso e volentieri si guardavanostorti fino a disprezzarsi, per unavolta erano uniti sotto lo stessopalco. Da qui in poi la sintesi trarock e rap ha cominciato a essereistituzionalizzata fino a far entrarestabilmente le rime a tempo nel-l'estetica pop, ultima e definitivaconferma del successo di questosdoganamento della presunta «an-timusica» rap.

Ma non tutto inizia negli anniNovanta, anzi. La novità vera epropria dell’epoca era appunto ilprocesso di istituzionalizzazione.È quando i Run Dmc decidono diincludere su Raising Hell anche lacover di un pezzo degli Aerosmithe di realizzarla con l’apporto deimembri stessi del gruppo capita-nato da Steven Tyler, che si scriveperò un pezzo di storia. E siamoappena nel 1986. Tutto esplodeanche grazie a un video che rap-presenta con ironia ed efficaciaquesto incontro-scontro tra dueculture considerate agli antipodi:per questi e altri motivi Walk ThisWay è entrata a far parte a tutti glieffetti della cultura popolare. Mail 1986 è un anno clou in questosenso perché registra l’uscita diun altro album fondamentale: inLicensed to Ill dei Beastie Boys,trio proveniente dal punk ma piùche mai coinvolto nel rap, chitar-re e rime si incrociano a più ripre-se a cominciare da (You Gotta) Fi-ght for Your Right (to Party!), l’in-no di una generazione che, in pie-na affermazione del decennio edo-nistico, si stava ancora formando.Questo brano di recente è stato ce-lebrato nel video di Make SomeNoise, il primo realizzato a partireda un singolo estratto da Hot Sau-ce Committee Part Two (2011), ulti-mo e ispirato album dei tre (ex) ra-gazzacci newyorkesi. Si tratta piùdi un mediometraggio di fictionche di un videoclip musicale: undivertito e ironico omaggio dei Be-astie Boys ai loro esordi che parteproprio da quella chitarra grezzafusa alla perfezione con quel rapurlato. Se il flirt tra rock e rap conla sua ricca storia stava rischiandodi venire dimenticato, i BeastieBoys insomma hanno pensato dievitare l’ingiustizia ricordandociche loro per esempio sono esplosi

così. Per giunta senza il featuringdi un gruppo rock. La storia diquesto flirt sta vivendo ormai datempo e inevitabilmente uno deimomenti più anonimi. Le star del-le due sponde Jay-Z e LinkinPark con Collision Course nel2004 hanno provato di nuovo adattirare l’attenzione su questo con-nubio ma la loro collaborazionenon ha eccelso per incisività e ori-ginalità, anzi. È andata un po’ me-glio con Street Sweeper SocialClub, gruppo messo in piedi daTom Morello (Rage Against theMachine) e Boots Riley (TheCoup) a Los Angeles nel 2006, manel loro eponimo album del 2009vince la nostalgia visto che si trat-ta a tutti gli effetti di crossover an-ni Novanta. In Blakroc, progettoe album del 2009 prodotto musi-calmente dal duo rock Black Keysche duetta, tra gli altri, con MosDef, Q-Tip, Raekwon, Ludacris,RZA e Pharoahe Monch, invece sisfruttano i differenti stili dei rap-per chiamati a raccolta e il risulta-to sa meno di già sentito. Ma toc-ca guardare più indietro per trova-re le vere e proprie chicche. Partia-mo dal 1991: i Public Enemy, al-l’epoca i rapper con i suoni piùrock in circolazione, danno allestampe una nuova versione di unloro singolo uscito nel 1987, Bringthe Noise. Stavolta la musica nonarriva dai piatti ma è opera degliAnthrax, metal band newyorkeseche dà al brano una spinta in piùrendendolo uno dei rap più poten-ti della storia. Chuck D ne parla intermini eloquenti: «Quando ho in-contrato Percy Sledge gli ho chie-sto quante volte ha cantato Whena Man Loves a Woman e lui mi harisposto ‘circa sei milioni di volte’.Allora ho pensato ‘Se Percy Sledgepuò cantare When a Man Loves aWoman sei milioni di volte io pos-so fare Bring the Noise per altrivent’anni».

In questa dichiarazione del2008 il nostro non si riferisceespressamente alla versione congli Anthrax ma è anche grazie aquella che il brano è diventato a

tutti gli effetti un classico per unpubblico trasversale. Passiamo al-l’incontro tra i Cypress Hill e i So-nic Youth: introdotta da alcuni«rumori» chitarristici I Love youMary Jane (ogni doppio sensonon è puramente casuale) prendequota con Kim Gordon che sussur-ra fino a quando la voce nasale diB-Real si fa avanti a ritmo ma dan-do la sensazione di provenire dauna persona in uno stato alteratodi coscienza. Considerando la di-stanza estetica tra i due gruppi il ri-sultato è una combinazione sor-prendente. Il brano fa parte dellacolonna sonora di Judgment Ni-ght (in italiano Cuba Libre - La not-te del giudizio) film del 1993 di Ste-phen Hopkins diventato un vero eproprio culto per i rapper e i roc-ker meno puristi. Basta leggere lalista delle collaborazioni sul book-let della colonna sonora per capi-re i motivi di questo successo: gliHelmet sostengono gli House ofPain, i Dinosaur Jr. se la vedonocon Del the Funky Homosapien,gli Slayer con Ice-T (già avvezzo alcrossover visto che appena un an-no prima aveva dato vita al proget-to Body Count), i De La Soul con iTeenage Fanclub, i Faith No Moreaffiancano i Boo-Ya Tribe e i Li-ving Colour i Run Dmc - che tor-nano a coltivare il vizio dopo averricevuto varie soddisfazioni daquel primo esperimento. Ma il pic-co della colonna sonora resta pro-prio I Love You Mary Jane: un bra-no etereo, senza quel rap duro equelle chitarre pestate che hannopresto reso scontato e statico ilcrossover. Successivamente solola collaborazione tra i Black Lipse Gza (Wu-Tang Clan) del 2009per il brano The Drop I Hold si èavvicinata a questi livelli di armo-nia anomala.

Una versione ancora meno pre-vedibile è stata quella europea an-che se da queste parti il generenon è stato frequentato tantoquanto oltreoceano. In prima li-nea ci sono proprio gli Urban Dan-ce Squad, gruppo che si è formatoin quel 1986 in cui sono usciti

Walk This Way e Licensed to Ill mache dopo i primi due folgoranti al-bum ha perso un po’ di smaltouniformandosi in qualche modoallo stile statunitense. Subito do-po, perché no, ci sono gli AssaltiFrontali di Conflitto (1996), piùche mai ispirati e per l’occasionesostenuti dai Brutopop, bandpost-punk capitolina il cui grooveirregolare si incastra alla perfezio-ne col flow di Militant A. Ma la fu-sione più didascalica dei due gene-ri è salita alla ribalta proprio a sca-pito di queste versioni meno alli-neate e questa stagione è presto fi-nita. Se da qualche anno però ilrap è entrato nel linguaggio rock epop fino a non farsi più notare ilmerito è anche dei musicisti me-no allineati dell’epoca che dun-que si sono presi la loro rivincita.Questa fusione naturale, «nasco-sta», accade anche quando ci so-no di mezzo collaborazioni traesponenti dei due fronti comequella, emblematica in questosenso, tra Kid Cudi, Mgmt e Rata-tat per Pursuit of Happiness(2009). Di certo l’ala radicale deipuristi hip hop che storceva il na-so anche all’epoca della prima ri-balta dei Roots perché non ritene-va lecito parlare di hip hop peruna band che non rappava su del-le basi ma su un tappeto sonorocreato da strumenti (più) tradizio-nali, oggi ripenserà a quei tempicon imbarazzo. Stesso discorsoper i rocker che in passato hannobiasimato Aerosmith, Anthrax eSonic Youth per le collaborazionicitate. Chissà che i Beastie Boysnon abbiano risvegliato le coscien-ze del crossover, genere che di cer-to rivivrà la sua gloria quando ilgruppo giusto lo riprenderà nellamaniera giusta e nel momentogiusto. Mentre scriviamo Big Boidegli Outkast per esempio è in stu-dio con i Modest Mouse per colla-borare al nuovo ellepì di questi in-die rocker trentenni. Non si trattadi nomi nuovi e sulla carta nonsembrano poter approdare sullascena musicale spiazzando un po’tutti ma chissà…

Negli anni Novanta,

il crossover di band

come Urban

Dance Squad

e Rage Against

The Machine

istituzionalizza

la fusione

tra rap e rock.

Già nel 1986 Run

Dmc e Aerosmith

avevano dato

la linea.

Ripensando

a «Walk this Way»

12) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 13: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

■ STILI ■ JAMES BROWN TRA GLI ARTISTI PIÙ «CITATI» ■

I campioni dell’hip hopdi L. Gr.

Ancora prima di collaborazioni, incroci ed esperimenti sonori, l’hip hop è entrato in contatto con altri generi musi-cali tramite le selezioni discografiche dei dj più arguti e lungimiranti e i campionamenti di una miriade di produttori. Chiara-mente il secondo caso è quello di cui ci sono più testimonianze: le incisioni su disco. Soul e funk sono (ancora oggi) senzadubbio le musiche predilette per questo «saccheggio» mirato alla produzione di basi utili per il rap. In poco più di tre decennidi produzioni, tra una rima a tempo e l’altra gli ascoltatori più attenti e/o ossessivi del ritmo urbano per eccellenza avrannoriconosciuto porzioni ritmiche (break) di brani firmati da colossi come James Brown - su tutti Funky Drummer - ma anche dipezzi prodotti da veri e propri outsider come Melvin Bliss o gli Honey Drippers - si vedano gli incipit, rispettivamente, di Syn-thetic Substitution e Impeach the President, a detta di molti il pezzo più campionato in assoluto dal rap. Fama degli autori aparte, tra i brani più campionati nella storia dell’hip hop figura anche Hihache della Lafayette Afro Rock Band, pezzo senzadubbio ascrivibile alla black music ma con sonorità che aprono con decisione al rock. E non si tratta di un caso isolato.

Per spostarsi sul rock classico va subito tirata in ballo When the Levee Breaks dei Led Zeppelin: la batteria di John Bonhamè facilmente riconoscibile in Rhymin’ and Stealin’, brano di apertura del primo album dei Beastie Boys, Licensed to Ill (1986).Ma lo stesso break è finito, tra gli altri, in Kim di Eminem, Lyrical Gangbang di Dr. Dre e Midnight di Ice-T. Si tratta dunque diun campionamento rock classico in ambito hip hop, anche se manifesto più che altro ai rari cultori di entrambi i generi. Nonmancano però esempi di campioni più riconoscibili: nel 1990 sull’album d’esordio di A Tribe Called Quest, People's Instincti-ve Travels and the Paths of Rhythm, l’ottava traccia, Can I Kick It?, è costruita principalmente sul loop di un segmento di Walkon the Wild Side di Lou Reed. I due brani hanno lo stesso attacco ma in quello dei rapper, a basso e chitarra si aggancia prestoe a sorpresa un beat sporcato subito da uno scratch. Più recente invece, del 2005, What's Your Number: Dj Muggs dei CypressHill ha costruito l’hit sulla linea di basso di Guns of Brixton dei Clash, a conferma che la crew losangelina ha una predilezioneper il rock - già dichiarata nel 2000 con l’album Skull & Bones. Wyclef Jean in questo ambito è andato oltre, senza neanchecambiare il titolo e senza troppo sforzo e fantasia infatti nel 1998 ha realizzato una via di mezzo tra un remix, un omaggio euna cover di uno dei brani più noti dei Queen: Another One Bites the Dust. Una versione rap che ha sbancato le classifiche dimezzo mondo. Tra i gruppi rock più campionati dai dj hip hop non vanno dimenticati i Black Sabbath e gli AC/DC e guardacaso una volta ancora i primi Beastie Boys sono i titolari di più canzoni che hanno attinto da queste storiche band: toccacitare di nuovo Rhymin’ and Stealin’, costruita sul riff di Sweet Leaf dei primi, come No Sleep Til Brooklyn che vive sul riff diT.N.T. dei secondi.

Hanno sezionato la loro musica anche altre star dell’hip hop come Eminem, Busta Rhymes, Ice-T, Boogie Down Pro-ductions e Tone Loc. Senza dimenticare Dan the Automator che per Music to Be Murdered By, il suo micro-mix del 1989in piena orbita «taglia e cuci», tra uno scratch e l’altro ha scomodato Hell’s Bells (1980). Senza guardare così indietro unadelle ultime vere hit hip hop, Hip Hop is Dead di Nas, tratta dall’omonimo album uscito sul finire del 2006, prende vitadal riff di In-A-Gadda-Da-Vida (1968) degli Iron Butterfly. Per lo più non si tratta di brani campionati tanto quanto quellidi James Brown e soci ma i dj e produttori hip hop più affermati per forza di cose sono affamati di musica senza distinzio-ni di genere e il rock è un contenitore troppo ampio per essere evitato o ancora peggio snobbato a causa di quei pregiudi-zi generati da una storica ma più che mai anacronistica rivalità. I rocker, che allo stesso modo continuano a guardareall’hip hop con la puzza sotto il naso, dovrebbero fermarsi un attimo e ascoltare meglio la musica non più dei propri vici-ni di casa, ma dei propri coinquilini.

Molte star

della versificazione

hanno saccheggiato

le basi ritmiche

di rocker

e non solo.

Da «Walk

on the Wild Side» di Lou

Reed, ripresa da A

Tribe Called Quest,

alla zeppeliniana

«When the Levee

Breaks», incastonata

in una hit

dei Beastie Boys,

«Rhymin’

and Stealin’»A

sinistrailpezzo

degliAnthraxcon

ChuckD,accanto

lacopertina

dellacolonna

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«CubaLibre

-Lanotte

delgiudizio»;alcentrodella

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BeastieBoys,quisopra

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thisW

ay»,l’originaledeiRun

Dmc

ALIASN.

27-

9LUGLIO

2011(13

Page 14: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

Stan RidgwayL’artista di culto americano, giàleader dei Wall of Voodoo e auto-re di album storici come The BigHeat, di nuovo in tour in Italia.ASTI LUNEDI' 11 LUGLIO (PIAZZA SANSECONDO-ASTIMUSICA)BOLOGNA MARTEDI' 12 LUGLIO(BOTANIQUE)

ROMA MERCOLEDI' 13 LUGLIO (PARCODEGLI ACQUEDOTTI-ROCK CITY)

LIVORNO GIOVEDI' 14 LUGLIO (VILLACORRIDI)

PONTINIA (LT) SABATO 16 LUGLIO(ANFITEATRO G. VERGA)

MogwaiIn Italia la indie post rock bandscozzese, tra le migliori espressio-ni della nuova scena europea, perpresentare l'album Hardcore WillNever Die, but You Will.BAGNOLI (NA) SABATO 9 LUGLIO(ACCIAIERIA SONORA-NEAPOLIS FESTIVAL)TORINO MARTEDI' 12 LUGLIO (SPAZIO211-SPAZIALE FESTIVAL)

Lou ReedUna icona del rock internazionale.PISTOIA DOMENICA 10 LUGLIO (PIAZZADUOMO-PISTOIA BLUES)LECCE SABATO 16 LUGLIO (STADIO VIADEL MARE-ITALIA WAVE, MAIN STAGE)

Arcade FireUna delle band indie più quotatedel momento, arrivano da Montre-al, Canada.LUCCA SABATO 9 LUGLIO (PIAZZANAPOLEONE-LUCCA SUMMER FESTIVAL)

Hjaltalinuna data per l'interessante bandindie pop islandese.ROMA DOMENICA 10 LUGLIO (CIRCOLODEGLI ARTISTI)

Jethro TullUna delle band storiche del pro-gressive rock inglese, capitanatacome al solito dalla voce e dal flau-to di Ian Anderson.ASTI GIOVEDI' 14 LUGLIO (PIAZZADELLA CATTEDRALE-ASTIMUSICA)BORETTO (RE) VENERDI' 15 LUGLIO(CANTIERI ARNI)

BRESCIA SABATO 16 LUGLIO (PIAZZADELLA LOGGIA)

AustraUna sola data per la band indieelectro pop canadese.SANT'ARCANGELO IN ROMAGNA (RN)DOMENICA 10 LUGLIO (PIAZZAGANGANELLI)

Anna CalviTorna in Italia la cantante e autricebritannica, rivelazione del 2011sulla scia di PJ Harvey.TORINO MERCOLEDI' 13 LUGLIO (SPAZIO211-SPAZIALE FESTIVAL)

CombichristLa band norvegese unisce il metalcon la techno e l'electro.PALESTRINA (RM) DOMENICA 10 LUGLIO(PARCO ARCHEOLOGICO BARBERINI)

Dudu ManhengaUn lungo tour italiano per la inte-ressante vocalista africana, conospiti Raffaele Casarano e Max DeAloe.TREIA (MC) MERCOLEDI' 13 LUGLIO(AFROROCKO)MANTOVA GIOVEDI' 14 LUGLIO(DA CONFERMARE)

Limp BizkitTorna una delle band di punta delcosiddetto nu metal.CODROIPO (UD) MARTEDI' 12 LUGLIO(VILLA MANIN)

ChicagoLa superband è tornata.ROMA SABATO 9 LUGLIO (CAVEAAUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE)MILANO DOMENICA 10 LUGLIO (ARENACIVICA-MILANO JAZZIN' FESTIVAL)

Ray Manzarek & RobbieKriegerA quarant'anni dalla scomparsa diJim Morrison tornano due degliartefici del suono dei Doors.PISTOIA SABATO 9 LUGLIO (PIAZZADUOMO-PISTOIA BLUES)GRADO (GO) DOMENICA 10 LUGLIO (DIGANAZARIO SAURO)

Take ThatLa più famosa boyband si è riuni-ta.MILANO MARTEDI' 12 LUGLIO (STADIOMEAZZA)

Burning HeadsHardcore-punk dalla Francia.BOLOGNA LUNEDI' 11 LUGLIO (XM 24)

FIRENZE MARTEDI' 12 LUGLIO (CPAFIRENZE SUD)

ACQUAVIVA DELLE FONTI (BA)MERCOLEDI' 13 LUGLIO (OASI SANMARTINO)

ROMA GIOVEDI' 14 LUGLIO (INIT)

MONSERRATO (CA) VENERDI' 15 LUGLIO(CAMPO RUGBY UNION)

BOVISIO MASCIAGO (MB) SABATO16 LUGLIO (WIPE OU FESTIVAL)

JazzanovaSia nei live che nei dj set, la bandesprime un mix di suoni modernie retrò.PELLEZANO (SA) VENERDI' 15 LUGLIO(COMPLESSO MONUMENTALE SPIRITOSANTO)LOCOROTONDO (BA) SABATO 16 LUGLIO(LARGO MITRANO-LOCUS FESTIVAL)

Cyndi LauperIl ritorno della «ragazza che volevadivertirsi».ROMA LUNEDI' 11 LUGLIO (CAVEAAUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA-LUGLIO SUONA BENE)

GlasvegasLa band indie rock scozzese tornanel nostro paese.VIGEVANO (PV) MARTEDI' 12 LUGLIO(CORTILE DEL CASTELLO-FLIPPAUTFESTIVAL)ROMA MERCOLEDI' 13 LUGLIO (ALPHEUS)

I’m from BarcelonaPiù che un gruppo è una bigband, 29 membri per la formazio-ne indie-pop svedese.MARINA DI RAVENNA (RA) MARTEDI'12 LUGLIO (HANA-BI)

Anthony BUna leggenda del roots reggae,accompagnato dalla Born FireBand.BOSCO ALBERGATI (MO) MERCOLEDI'13 LUGLIO (IL FIENILE CIRCUS

VerdenaTour estivo anche per la rockband bergamasca che presental'acclamato nuovo doppio cdWow.TORINO SABATO 9 LUGLIO (PIAZZA SANCARLO-TRAFFIC FREE FESTIVAL)RHO (MI) MARTEDI' 13 LUGLIO (FLIPPAUTRELOADED)

LECCE SABATO 16 LUGLIO (ITALIA WAVE)

Marlene KuntzIn tour la band piemontese perpresentare il nuovo disco, Ricoverivirtuali e sexy solitudini.BAGNOLI (NA) SABATO 9 LUGLIO(ACCIAIERIA SONORA-NEAPOLIS FESTIVAL)ROMA DOMENICA 10 LUGLIO (PARCOPORTA SAN SEBASTIANO)

QUARTU SANT'ELENA (CA) VENERDI'15 LUGLIO (SPIAGGIA DEL POETTO)

AfterhoursTour estivo per la formazione diManuel Agnelli.MILANO SABATO 9 LUGLIO (ARENACIVICA)

Paolo BenvegnùIl cantautore si conferma tra i piùispirati della scena italica con ilnuovo lavoro Hermann.TORINO GIOVEDI' 14 LUGLIO (SPAZIO211-SPAZIALE FESTIVAL)PADOVA VENERDI' 15 LUGLIO(PARCHEGGIO NORD STADIO EUGANEO-SHERWOOD FESTIVAL)

Virginiana MillerLa band livornese è tra le miglioriespressioni del pop rock italiano.ROSELLE (GR) GIOVEDI' 14 LUGLIO (CAVA)

ROMA SABATO 16 LUGLIO (PARCO PORTASAN SEBASTIANO)

CaparezzaIl rapper di Molfetta è tornato conun nuovo album dal titolo Sognoeretico.SANT'AGATA BOLOGNESE (BO) DOMENICA10 LUGLIO (SONICA FESTIVAL)BAGNOLI (NA GIOVEDI' 14 LUGLIO (ARENILERELOAD)

ROMA SABATO 16 LUGLIO (IPPODROMODELLE CAPANNELLE-ROCK IN ROMA)

One Dimensional ManNuovo interessante album per laindie rock band italiana.PADERNO FRANCIACORTA (BS) SABATO 9LUGLIO (CRAZY BEER FEST)VICENZA GIOVEDI' 14 LUGLIO (FERROCK)

BUCINE (AR) VENERDI' 15 LUGLIO (NE PASCOUVRIR)

SASSARI SABATO 16 LUGLIO (ANFITEATROFERROVIARIO)

Yo Yo MundiLa band piemontese presenta dalvivo il nuovo album Munfrà.GORGONZOLA (MI) SABATO 16 LUGLIO(AREA FESTE)

Neapolis FestivalNelle due giornate la rassegna parte-nopea ha in cartellone Mogwai,Skunk Anansie, Marlene Kuntz, TheShak&Spears e l'unica data italianadi Architecture in Helsinki (oggi),Newyork Newyork, Crocodiles, Batt-les, Hercules and Love Affair e Un-derworld (domani).BAGNOLI (NA) SABATO 9 E DOMENICA10 LUGLIO (ACCIAIERIA SONORA)

Pistoia Blues FestivalLo storico festival toscano ha in pro-gramma James Burton, RobbenFord, Robbie Krieger & Ray Manza-rek, Willie Nile, Dave Peabody, Mi-chele Beneforti & Hot Love Trio,General Stratocuster & The Mar-shals, Skapestrati (oggi) e chiudedomani con Lou Reed, Hilary Travise Gaia Groove.PISTOIA SABATO 9 E DOMENICA10 LUGLIO (PIAZZA DEL DUOMO)

DinamoFestUn nuovo progetto autofinanziatoche regala a Roma oltre settantaeventi culturali per quattro giorni. Inambito musicale si segnala un in-contro nazionale di reggae sound(oggi), Adriano Bono & La MinimaOrchestra e Sandro Joeux (domani).ROMA SABATO 9 E DOMENICA 10 LUGLIO(CITTA' DELL'ALTRA ECONOMIA EXMATTATOIO)

Musica sull'acquaIl festival sulle sponde del lago diComo propone Concerto Ateliers Ilpiccolo principe (oggi Abbazia diPiona, Colico), recital pianistico diEnrico Pace su musiche di Liszt (do-mani al chiostro di san Calocero aCivate), Trio d'Archi su opere di Ba-ch (il 15 a Villa Monastero di Varen-na) e Concerto Anniversari (il 16,Abbazia di Piona, Colico).PROVINCIA DI LECCO SABATO 9, DOMENICA10, VENERDI' 15 E SABATO16 LUGLIO

Hydrogen LiveIl Love Festival ha in programma ilreggae di Alborosie e Elton John.PIAZZOLA SUL BRENTA (PD) DOMENICA 10E MARTEDI' 12 LUGLIO (ANFITEATROCAMERINI)

Emilia Romagna FestivalIl festival itinerante prosegue con ilvioloncellista Ramon Jaffé (il 13,Aeroporto G. Marconi di Bologna),Orchestra Regionale Emilia Roma-gna in L'elmo di Scipio (il 14 allaRocca Sforzesca di Imola, Bo), Figa-ro il barbiere con Elio voce recitante(il 14 e il 15 al Teatro Petrella diLongiano, Fc), Iva Bittová in Rootsof Soul (il 15 all'Arena della Balle diPaglia di Cotignola, Ra), la TallinSinfonietta (il 16 al Tempio Malate-stiano di Rimini).COMUNI DELL'EMILIA ROMAGNADA DOMENICA 13 A SABATO 16 LUGLIO

Luglio Suona BeneIl festival estivo al Parco della Musi-ca. Il programma della settimanaprevede: il ritorno dei Chicago (il 9alla Cavea), Stefano Di Battista Quin-tet (il 9 in Sala Sinopoli), John Mel-lencamp (il 10, Cavea), Cyndi Lau-per (l'11, Cavea), Tea for 3 con D.Douglas, E. Rava, A. Cohen, U. Cai-

ne, L. Oh e C. Penn (l'11, Sala Sino-poli), George Benson (il 12, Cavea),Brad Mehldau & Joshua RedmanDuo (il 13, Sala Sinopoli), EltonJohn (il 13, Cavea).ROMA DA SABATO 9 A MERCOLEDI'13 LUGLIO (AUDITORIUM PARCODELLA MUSICA)

BloomLiveSettima edizione per la rassegna dirock indipendente made in Italy chequest'anno si sposta a Sesto SanGiovanni. Sul palco Club Dogo (og-gi) e la reunion tra Almamegretta eRaiz (domani).SESTO SAN GIOVANNI (MI) SABATO 9E DOMENICA 10 LUGLIO (CARROPONTE)

LustandoPrime due delle tre serate della ras-segna nel Monferrato. In program-ma Rumatera, Marracash, Tre Alle-gri Ragazzi Morti, Mista Savona, SudSound System e Bria Sound Systemdj set (oggi) e, a chiudere, Lou Se-riol, Orange Project e Baraonda Me-ridionale.LU MONFERRATO (AT) SABATO 9E DOMENICA 10 LUGLIO (PIAZZA GHERZI)

I Suoni delle DolomitiUno dei festival più attesi d'Italia,tra le splendide montagne del Tren-tino Alto Adige propone appunta-menti oggi con Mario Brunello eNives Meroi in Val di Fassa (rifugidel Catinaccio e del Sassolungo) ealle ore 14 in Pian Frataces, ancoraBrunello e Hortus Musicus (il 14,Malga Costa, Val di Sella), HornsAloud & Martin Mayes (il 15, a Lagu-sei, Val di Fassa).DOLOMITI TRENTINE SABATO 9, GIOVEDI'14 E VENERDI' 15 LUGLIO (VARIE SEDI)

Festival delle CollineIl festival della provincia toscana hain programma due appuntamenti,Tre Allegri Ragazzi Morti e TigranHamasyan in A Fable.PRATO MERCOLEDI' 13 LUGLIO (BIBLIOTECALAZZERINI)CARMIGNANO (PO) GIOVEDI' 14 LUGLIO(ROCCA)

GruVillageAll'interno della kermesse live Ma-rio Biondi (oggi) e, unica data italia-na, Peter Hook and Joy Division'sCloser (il 15).TORINO SABATO 9 E VENERDI' 15 LUGLIO(SHOPVILLE LE GRU)

Ferrara sotto le stelleSedicesima edizione per uno deifestival più importanti della penisolain ambito rock indipendente. In setti-mana previsti due concerti, quellodegli Skunk Anansie e quello di Vini-cio Capossela.FERRARA DOMENICA 10 E VENERDI'15 LUGLIO (PIAZZA CASTELLO)

Festival Internazionaledi Villa AdrianaPer la parte musicale la rassegnatiburtina ospita per la prima volta inItalia il pianista Zhang Haochen, inprogramma musiche di Schumann,Beethoven, Chopin, Debussy e Pro-kof'ev (oggi) e Cassandra Wilson (il16).TIVOLI (RM) SABATO 9 E SABATO16 LUGLIO (AREA ARCHEOLOGICA DI VILLAADRIANA)

Rock in RomaIl festival rock della capitale prose-gue i suoi appuntamenti con i livedi Fabri Fibra (oggi), ChemicalBrothers (il 13), Franco Battiato (il15), Caparezza (il 16).ROMA SABATO 9, MERCOLEDI' 13, VENERDI'15 E SABATO 16 LUGLIO (IPPODROMO DELLECAPANNELLE)

Genova Guitar FestivalL'edizione 2011, la seconda, delfestival è dedicata a Gary Moore eospita Warren Hayes Band (l'11,unica data), Robben Ford (il 13) eAlvin Lee Band (il 16, unica data).GENOVA LUNEDI' 11, MERCOLEDI' 13E SABATO 16 LUGLIO (PORTO ANTICO ARENADEL MARE)

Villa Arconati FestivalIn cartellone Vinicius Cantuaria eAdriana Calcanhotto (il 13) e GoranBregovic (il 14).CASTELLAZZO DI BOLLATE (MI)MERCOLEDI' 13 E GIOVEDI' 14 LUGLIO (VILLAARCONATI)

Roma incontra il mondoIn programma concerti con OfficinaZoè, Ana Carolina, Chiara Civello,Yann Tiersen, Jimmy Cliff, Alex Brit-ti, Alborosie, Petra Magoni & Ferruc-cio Spinetti, Nando Citarella & ITamburi del Vesuvio.ROMA DA SABATO 9 A SABATO 16 LUGLIO(LAGHETTO DI VILLA ADA)

AstimusicaIl prestigioso festival ha in cartello-ne Graziella Lintas e Mau Mau (og-gi), Daniele Ronda, Billy Bros. Jum-ping Orkestra & Minnie Minoprio (il10), Ordem e Stan Ridgway (l'11),Eugenio Ripepi e Lou Dalfin (il 12), ITre Tenorini (il 13), Jethro Tull (il14), Chiara Canzian e Morgan (il15), Luca Passarino, Beppe Giampà,Ribbon Ink e Brunori Sas (il 16).ASTI DA SABATO 9 A SABATO 16 LUGLIO(PIAZZA SAN SECONDO, PIAZZA CATTEDRALE,CORTILE DEL MICHELERIO)

Milano Jazzin' FestivalSono attesi: Chicago (il 10), GeorgeBenson (l'11), una serata a tuttorap con Cypress Hill, House of Paine Public Enemy (il 12), Cyndi Lau-per (il 13), Medeski, Martin & Wood(il 15) e Vinicio Capossela (il 16).MILANO DA DOMENICA 10 A MERCOLEDI' 13E SABATO 16 LUGLIO (ARENA CIVICA)

IpmL'International Promoters Meetingprevede Performance oggi con Ka-rizma, Ricky Birickyno e Spellband(al Room 26), Tony Humphries, Tim-my Regisford, Barbara Tucker,Dawn Tallman, Luis Radio, SarahFavouritizm e Jacko (domani dalleore 10 alle 21, Sheraton Golf Hotel& Resort) e Fatboy Slim, Kerri Chan-dler, Tania Vulcano e Kikko Messina(ancora domani dalle 18 alle 24 alJanga Beach di Fregene).ROMA SABATO 9 E DOMENICA 10 LUGLIO(VARIE SEDI)

Traffic Free FestivalLa rassegna torinese rinnova l'ap-puntamento estivo con Pfm, Verde-na, Stearica (oggi), Tiger & Woods(oggi al Museo Regionale di ScienzaNaturali), Arti e Mestieri, EugenioFinardi, Manuel Agnelli e ClaudioRocchi (domani).TORINO SABATO 9 E DOMENICA10 LUGLIO (PIAZZA SAN CARLO)

Lucca Summer FestivalLa rassegna propone Arcade Fire eA Classic Education (oggi), EltonJohn (il 14), B.B. King e Joe Cocker(il 15).LUCCA SABATO 9, GIOVEDI' 14 E VENERDI' 15LUGLIO (PIAZZA NAPOLEONE)

Rock CitySettima edizione per il festival rocknella zona sud della capitale. Oltrea una serie di «tribute» (Ac/Dc, Batti-sti, Vasco Rossi, Santana e De An-dré) in cartellone i concerti diTower of Power (il 12) e Stan Ri-dgway (il 13).ROMA DA SABATO 9 A SABATO 16 LUGLIO(PARCO DEGLI ACQUEDOTTI)

OrientoccidenteSettima edizione del festival di cultu-re e musiche migranti. In cartellone:il progetto Shemtov Slept Here (il12 in Piazza del Comune a PergineValdarno, Ar), serata dedicata a BobMarley, con Mellow Mood YacoubaDembelé & Djeli-Kan (il 13 in PiazzaVarchi a Montevarchi, Ar), DhoadGypsies of Rajasthan ospiti NuoveTribù Zulu (il 14 in Piazza Masaccioa San Giovanni Valdarno, Ar).PROVINCIA DI AREZZO DA MARTEDI' 12A GIOVEDI' 14 LUGLIO

Italia WaveLo storico festival va in Salento. Suivari palchi allestiti si alternerannoband e artisti noti e meno noti. SulWake Up Stage: band emergenti eLa Fame di Camilla (il 14), Ioso-nouncane (il 15), Elizabeth e TheCyborgs (il 16). Sullo Psycho Stage:band emergenti e BoomDaBash,Krikka Reggae e Almamegretta (il14), Ardecore e Perturbazione (il15), Kalweit & The Spokes, Quintori-go e Ex-Otago (il 16). Sul Main Sta-ge: Emel Mathlouthi, Oudaden, Zi-na, Sud Sound System e Jimmy Cliff(il 14), Bud Spencer Blues Explo-

sion, The Joy Formidable, KaiserChiefs e Paolo Nutini (il 15), TheSerge Gainsgbourg Experience, LouReed, Vivendo de Ócio e Verdena (il16). E inoltre il 15 Elettrowave alLivello Undiciottavi di Trepuzzi conAndrea Mi, Tetrixx, Dario Lotti, Mar-cello Napoletano, Guido Nemola eRalf.LECCE DA MERCOLEDI' 14 A SABATO16 LUGLIO (STADIO VIA DEL MARE E ALTRESEDI)

Sherwood FestivalL'edizione 2011 del consolidato festi-val rock patavino prosegue con ilconcerto di Nouvelle Vague (oggi),Emir Kusturica (il 12), Calibro 35 (il13), Paolo Benvegnù (il 15), Elio ele Storie Tese (il 16).PADOVA SABATO 9, MARTEDI' 12,MERCOLEDI' 13, VENERDI' 15 E SABATO16 LUGLIO (PARCHEGGIO NORD STADIOEUGANEO)

Spaziale FestivalLa rassegna organizzata dal proposi-tivo locale torinese ha in cartelloneMogwai (il 12), Anna Calvi, PaoloSpaccamonti (il 13), Paolo Benve-gnù, Theoric Fund, Tomakin (il 14),Calibro 35, Ronny Taylor, TrafficLight Orchestra (il 15).TORINO DA MARTEDI' 12 A VENERDI'15 LUGLIO (SPAZIO 211)

Locus FestivalSono attesi Cristina Donà (il 15, Jaz-zanova e Paul Randolph (il 16).LOCOROTONDO (BA) GIOVEDI' 15E SABATO 16 (LARGO MITRANO)

FlippautUn festival lungo una giornata con:Don Black, Chromeo, Elizabeth, Gla-svegas, The Strokes e Verdena.VIGEVANO (PV) MARTEDI' 12 LUGLIO(CORTILE DEL CASTELLO)

I Concerti nel ParcoAltra rassegna capitolina che preve-de live di Girotto/Servillo/Mangalavi-te (oggi), Sergio Cammariere (il 10),Patrizio Trampetti e Peppe Barra (il13), Adriana Calcanhotto (il 14),Sofya Gulyak (il 16).ROMA SABATO 9, DOMENICA 10,MERCOLEDI' 13, GIOVEDI' 14 E SABATO16 LUGLIO (VILLA DORIA PAMPHILJ)

Fiera della MusicaLa cittadina friulana ospita la dodice-sima edizione della rassegna, si chiu-de con Moby e A Certain Ratio.AZZANO DECIMO (PN) SABATO 9 LUGLIO(AREA PALAVERDE)

!50!La maratona sarda, organizzata daPaolo Fresu, prevede suoi concerticon Sheila Jordan Special 5tet, duocon Ralph Towner e con LudovicoEinaudi, performance del trombetti-sta con Lella Costa e Flavio Soriga;altri appuntamenti con Tea44, FoodSound System, Bojan Z, Stefano Ben-ni (Melodia. La sfida dei principitrombettieri), Devil Quartet.ORISTANO, BARUMINI, POSADA, UTA,FLUMINIMAGGIORE, MANDAS, ARBUS,STINTINO, DORGALI DA SABATO 9A SABATO 17 LUGLIO (VARIE SEDI)

Odio l’estate/Festivaldi Villa CarpegnaLa manifestazione (fino al 5 agosto,dopo una serie di Cam Jazz Nights)prevede «Roma Tarantella Festival»(Battente Italiana, M. Cavallaro &Tarantaproject), la sezione «Jazz’sCool»: Chihiro Yamanaka Trio,Gianluca Figliola 5tet, Sheila Jordan4tet, carta bianca a Enrico Pieranun-zi (E. Pieranunzi Latin Jazz 5tet, Pie-ranunzi/Danilo Perez Duo, Pieranun-zi/John Patitucci/LaBarbera), Rosa-rio Giuliani 4tet con Joe LaBarbera,Lage Lund 5tet, Jazz Age 4tet e una«Maratona Jazz» con allievi e mae-stri dei seminari.ROMA DA SABATO 9 A SABATO 16 LUGLIO(VILLA CARPEGNA)

Casa del Jazz FestivalLa ricca rassegna propone LucaChiaraluce, Joe Lovano Us Five, Rob-ben Ford, Michael Brecker TributeBand, Eddie Calmieri Quartet, Ga-briel Cohen Jewish Experience, fina-le concorso per cantanti di big-bandjazz.ROMA DA SABATO 9 A SABATO 16 LUGLIO(CASA DELLA JAZZ)

ON THE ROAD

14) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 15: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

L’artista

è stato ospite

della rassegna

di Sarzana,

dove ha ritirato

il premio

assegnato

alla memoria

dei due grandi

cantautori cileni,

Victor Jara

e la madre Violeta.

«La dittatura

pensava di averci

zittiti, ma siamo

più vivi che mai»

Tre immagini di Angel Parra

di Gianluca Diana

In piedi dal 1998, l'Acoustic Guitar Mee-ting di Sarzana ha da poco mandato in scenala sua quattordicesima i presso lacornice della Fortezza Firmafede,come di consueto ha centralizza-to la propria attenzione sul mon-do della chitarra acustica e suipersonaggi che attorno a questasi muovono. Dal 2009 inoltre èstato istituito il «Premio Città diSarzana-Regione Liguria. Corde evoci per Dialogo e Diritti», una se-zione dedicata alla celebrazionedella chitarra come strumento diimpegno sociale e di lotta. Per il2011 il premio in questione è sta-to assegnato alla memoria deidue grandi cantautori cileni Viole-ta Parra e Victor Jara. A ritirare iltutto il figlio di Violeta, Angel Par-ra. Personaggio importante que-st'ultimo, a cui la storia ha conse-gnato il ruolo di testimone diun'epoca. Dopo l'assassinio di Ja-ra e la scomparsa della madre, glieventi hanno giocoforza legatoad Angel il ruolo di voce rappre-sentativa delle vicende della suaterra. Il figlio di Violeta nel corsodegli anni dell'esilio che lo ha co-stretto dapprima in Messico e poiin Europa, ha costruito ulterior-mente la sua figura di cantautore,già iniziata in terra natia negli an-ni della gioventù con la madre ela sorella Isabel. Non solo, col tra-scorrere degli anni Parra ha intra-preso anche altre strade, percor-

rendo ambiti letterari e cinemato-grafici in qualità di scrittore e at-tore. Ma la figura principale di séè quella dello storyteller. Voce,chitarra e mille storie da narrare.In questa veste Parra si è fatto co-noscere, e cosi è stato presentatoalla premiazione: «Come accogliequesto premio? Cosa significa og-gi portare avanti l'eredità politi-ca, culturale e musicale che fu disua madre e di Victor Jara?».

«È una grande responsabilità.Noi, uomini e donne della genera-zione vicina a Salvador Allende,dobbiamo dare l'esempio. Parten-do con l'insegnare ai nostri figli eai nostri nipoti. L'amore per ilprossimo inizia dalla propria ca-sa. Nonostante passi il tempo,non ci fermiamo. Il prossimo an-no si inaugurerà a Santiago il mu-seo intitolato a Violeta Parra. Il ci-neasta cileno Andres Wood haconcluso le riprese di un film rela-tivo alla sua vita prendendo lemosse dal mio libro Violeta se fuea los cielos e inoltre, la fondazioneVictor Jara fa un gran lavoro di di-vulgazione e conservazione del-l'opera e dei valori che animaro-no la vita di Victor. La dittaturaera convinta di averci zittiti unavolta per tutte, ma hanno sbaglia-

to. Siamo più vivi che mai».Le parole di Angel Parra sono ferme e decise, e il messag-

gio è chiaro. La voglia di non abbassare la guardia, di nonfare cadere nel dimenticatoio gli anni di Pinochet, è viva eintensa, in molteplici segmenti della cultura cilena. Inclu-so quello cinematografico: oltre la pellicola dedicata a Vio-leta, è gia in produzione il film The Resurrection of Victor Ja-ra, che sarà firmato dal regista diNew Orleans John Travers, conun cast stellare che comprendetra l'altro lo stesso Angel Parra.Che ha ben chiaro cosa significafare memoria: «Cosa significa con-tinuare a suonare e raccontarequesti eventi nel 2011? Significacontinuare a lottare contro i mez-zi che ci ignorano, significa tene-re alti i valori e gli ideali utopicidella nostra identità. La sinistrademocratica ha bisogno di avere isuoi portavoce altrimenti rischiadi scomparire». A proposito di re-centi dipartite, lo scorso 25 aprileè venuto a mancare a Santiagodel Cile Gonzalo Rojas Pizarro,considerato il maggior poeta lati-noamericano esistente. Rojas, ol-tre il valore come intellettuale euomo di cultura, era amico dellafamiglia Parra: «È stato un poetadi grande prestigio. Ma non solo,è stato molto di più: un educato-re, un professore universitario,un uomo di sinistra. Un promoto-

re di incontri tra intellettuali nellaUniversidad de Concepción neglianni Cinquanta, e inoltre fu ungrande amico di mia madre. Hoanche avuto modo di intervistar-lo qualche mese fa».

Lavorare sulla trasmissione del-la memoria ha un senso se vi èqualcuno a cui parlare e trasmet-tere un messaggio. Utilizzandoanche gli attuali strumenti di co-municazione. Non stupisce quin-di se Parra è presente sui princi-pali social network della rete e alcontempo rende disponibili indownload libero i suoi dischi sulproprio sito web. C'è chiaramen-te volontà, oltre i fini commercia-li, di parlare alla giovani genera-zioni: «In Cile il pubblico che se-gue i miei concerti è un uditoriomisto di giovani e meno giovani.Agli ex esiliati e più in generale acoloro che hanno un passato e/oun presente più “politico” piac-ciono i brani più datati, rappre-sentativi del periodo Allende. Ipiù giovani cercano di scandaglia-re la propria storia passata e pococonosciuta, perché la storia uffi-ciale la scrivono quelli che stan-

no al potere. Ed èper questo che è ne-cessario scrivere, fa-re cinema e cantare.Il pubblico europeoascolta con senti-mento culturale e

storico, quello sudamericano conil cuore e lo stomaco».

Il Vecchio Continente ha accol-to Parra negli anni del suo esilioin terra francese, a Parigi, quandovisse «straniero» in terra d'altri.Di quel periodo racconta e narranelle sue canzoni, sottolineandoche oltre la musica c'è poco da ag-giungere: «Per comprendere l'esi-lio è necessario viverlo». Non di-mentica la «sua» Europa l'uomodi Valparaiso, al cui sguardo atten-to alle cose del mondo, non sfug-ge il dramma delle genti che scap-pano dai conflitti in corso nelleterre maghrebine. Popolazioni infuga, stranieri e il forte rischio diintolleranza: «In Europa è presen-te uno zoccolo duro di destra fa-scista, per cui in periodi di crisi sicercano "capri espiatori". Questivengono trovati negli stranieri. Aquesti i governi della destra euro-pea inputano le colpe della loromala gestione dello stato (privatiz-zazioni, perdita dello spirito diunità nazionale e tendenza alla di-visione, ecc.). Il diverso, l'altro,viene usato strumentalmente.Preoccupante è anche che moltidegli stessi giovani maghrebiniche giungono in Europa, aderisca-no a questi valori del modello libe-rale. In quanto sono l'unico mo-dello proposto, e ciò accade per-chè manca un'ideologia di massaa sinistra».

Oltre le opere di prosa scrittedi pugno, le partecipazioni cine-matografiche passate, presenti efuture, Parra come già ricordatoin precedenza, è cantante e chitar-rista delicato e coinvolgente. Unadiscografia chilometrica - solo sulsuo sito sono presenti ben trenta-due titoli da scaricare - che ne te-stimonia l'inesauribile vena crea-tiva. I pensieri conclusivi dell'in-tervista non potevano quindi cheessere rivolti a chi cerca di intra-prendere il mestiere di cantore.«A un giovane cantautore che og-gi decidesse di affrontare un per-corso di canto e di lotta con le so-le armi di voce e chitarra direi diessere onesto e coerente. E ap-prendere la propria storia. Il po-polo che non conosce la propriastoria inciampa due volte sullastessa pietra».

Pozzuoli Jazz FestivalLa rassegna si svolge in luoghi natu-ralistici e archeologici. Concerti diMario Romano con Joe Amoroso,Luca Aquino, Slivovitz, Sarah JaneMorris, Matteo Ranieri, AntonelloSalis, Virginia Sorrentino e MarcoDi Tilla con Pietro Condorelli, Elisa-betta Serio Trio con Annalisa Ma-donna, Bebo Ferra 4tet.POZZUOLI (NA) SABATO 9, DOMENICA 10E DA GIOVEDI' 14 A SABATO 16 LUGLIO(VARIE SEDI)

Villa Celimontana Festival«Circus»Gli appuntamenti più a caratteremusicale riguardano il Lino PatrunoJazz Show, Shake the Jazz. Cleopa-tra, Ciuri Ciuri Jazz. Musica e teatrodalla Sicilia, Jazz Circus.ROMA LUNEDI' 11, MARTEDI 12, GIOVEDI' 14E VENERDI' 15 LUGLIO (VILLA CELIMONTANA)

Vivere JazzIn cartellone Gianluca Petrella I-JazzEnsemble (omaggio a Nino Rota) eRaphael Gualazzi.FIESOLE (FI) LUNEDI' 11 E GIOVEDI'14 LUGLIO (TEATRO ROMANO)

Musicastelle in BlueIl festival internazionale di musica espettacolo offre i concerti di JoshuaRedman/Brad Mehldau, TheManhattan Transfer, Return to Fore-ver di Chick Corea e The OriginalBlues Brothers Band.BARD (AO) MARTEDI' 12, MERCOLEDI' 13,VENERDI' 15 E SABATO 16 LUGLIO (FORTEDI BARD)

Iseo JazzEntra nel vivo la rassegna conl’omaggio a Sarah Vaughan (J. Yuil-le, S. Gibellini, M. Vaggi, T. Arco),Stefano «Cocco» Cantini 4tetto, Ste-fano Bollani solo, Mattia Cigalini4tetto, trio Irrigo Cappelletti/AndreaMassaria/Mat Maneri, Umberto Pe-trin solo, Lucio Terzano 4tetto, RitaMarcotulli, Lydian Sound Orchestradiretta da Riccardo Brazzale.PALAZZOLO SULL’OGLIO, ISEO (BS)DA MARTEDI' 12 A SABATO 16 LUGLIO (VARIESEDI)

Umbria JazzNel megacartellone (dalle 12 a not-te inoltrata) Dee Alexander’s Evolu-tion Ensemble, Renato Sellani conMassimo Moriconi, Francesco Bear-zatti, Tia Fuller, Henry Butler, Hiro-mi Trio, Ahmad Jamal, Stefano Min-cone, Anat Cohen, Max Ionata,Funk Off, Simona Severini, FrancoD’Andrea Three, Brandon MarsalisDuo & Quartet, European Jazz En-semble, Stefano Di Battista, MattiaCicalini, Claudio Fasoli, Santana,Gabriele Mirabassi con Aca SecaTrio, Perugia Jazz Orchestra direttada Mario Raja, Nicola Mingo, Mar-co Tamburini, Liza Minnelli, Ciam-marughi/Zeppetella/Sferra/Tavolaz-zi, Rosario Giuliani con Fabrizio Bos-so, Gilberto Gil, Sergio Mendes,Roberto Cecchetto, Dado Moroni,Alvin Queen, Roberto Gatto, DaniloRea/Flavio Boltro, Trombone Shorty& Orleans Avenue, B.B. King, Fran-cesco Cafiso, Giornale di Bordo (Sa-lis, Angeli, Murgia, Drake), EddiePalmieri, Michel Camino, ChuchoValdes.PERUGIA DA SABATO 9 A SABATO16 LUGLIO (VARIE SEDI)

Pescara JazzLa veterana rassegna propone Cas-sandra Wilson, i Manhattan Tran-sfer, la quarta edizione dei Returnto Forever guidati da Chick Corea, iltrio di Cyrus Chestnut, la Jazz atLincoln Orchestra guidata da Wyn-ton Marsalis con ospite FrancescoCafiso.PESCARA VENERDI' 15 E SABATO 16 LUGLIO(TEATRO-MONUMENTO D’ANUNNZIO)

Merano JazzNella cittadina suonano Joe Lova-no, The Teachers, Franco D’Andreain piano solo, Roswell Rudd Trio,John Scofield 4tet.MERANO (BZ) DA MERCOLEDI' 13 A SABATO16 LUGLIO (GIARDINO CASTEL KALLMÜNZ)

a cura di Roberto Peciola con Luigi Onori (jazz)(segnalazioni: [email protected])

Eventuali variazioni di date e luoghi sonoindipendenti dalla nostra volontà.

RITMI

■ INCONTRI ■ ALL’ACOUSTIC GUITAR MEETING ■

Angel Parra,il testimone

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (15

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16) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

AA. VV.ERASED TAPES COLLECTION III (Erased Tapes/Self)

7Terzo capitolo della raccolta che Robert Ra-ths, boss della label tedesca, mette in campoper far conoscere i suoi «beniamini». L’etichet-

ta si sta facendo notare per alcune produzioni di rilievoin particolare in ambito «neoclassico». Ma non solo. E losi capisce dagli artisti presenti in questa compilation chevede la presenza di un folle sperimentatore giapponese(World’s End Girlfriend), dell’inglese Rival Consoles, nuo-vo guru Idm, e dei seguaci post rock Codes in the Clou-ds, The British Expeditionary Force e Ólafur Arnalds. Arappresentare il genere principe della Erased Tapes Pe-ter Broderick e Nils Frahm, qui in veste solista e in duocon Anne Müller. (r.pe.)

ANGELO ADAMOMY FOOLISH HARP (Red)

6Relax à go-go in questo cd di classici del jazzpiù qualche originale che se ne vien fuori perautomatismo linguistico, per fedele aderenza

a stereotipi luoghi comuni. Tutto è come una jam ses-sion, nella quale ha il sapore dell’abituale anche quelloche non s’è mai sentito. Il titolare della registrazionesuona un’armonica a bocca cromatica; è col suo quartet-to, ma qua e là fa comparire uno o più dei suoi ospiti.Tra questi Roberto Ottaviano (in Mizzy il gatto) e Fabri-zio Bosso (in La mela di Carmela), ma quanti sono sem-brano stare volentieri e bene insieme, divertendosi conuna musica volutamente anonima. Poco be-bop, malgra-do il lavoro esca da un’etichetta bop-dipendente. (g.ca.)

ANTIMUSICAANTIMUSICA TI VUOLE BENE (Autoproduzione)

7Antimusica, vero nome Michele Cosentino, èun cantautore torinese sopra le righe e - pun-to a favore - difficile da arginare. La sua verve

popolare non ha troppi filtri, sia dal punto di vista sono-ro sia da quello testuale. Telefonate da parte di dio, mes-saggi d'amore sulla «bamba», un'ossessione anti-Moccia(come dargli torto?), Kakà che diventa «il giocatore che aprostitute non va» e via di questo passo. Tutto a suon di- udite, udite - drum'n'bass, electro-pop dozzinale maanche voce e chitarra, blues, rock e ska. Ironico e politica-mente scorretto, schietto e scrupoloso nell'abbinamentodi testo e musiche, Antimusica è un vero cane sciolto trai musicisti italiani, uno che difficilmente troverete inclusoin questa o quella scena. E meno male! (l.gr.)

PASQUALE BARDAROMOVE ON (Itinera / Egea)

7Pasquale Bardaro è un nome da tenere d'oc-chio, nella galassia composita di chi, in Italia,cerca di trovare nuove vie per il jazz. Percus-

sionista al San Carlo di Napoli, quando «pensa» il suojazz invece lavora con vibrafono, pianoforte, Fender Rho-des. Decisamente interessante, qui, la scelta timbrica:Bardaro ha messo assieme le voci sassofonistiche com-plementari di Gaetano Partipilo e Francesco Bearzatti, haaggiunto una ritmica efficace, e poi spazio alle sue com-posizioni, ariose e memori di pressoché tutte le strade diricerca tentate dal jazz contemporaneo: senza dimentica-re il cammeo di una verdiana Amami Alfredo... (g.fe.)

BEYONCE'4 (SonyMusic)

7Iperprofessionale, perfezionista, bellissima.Ottima cantante, produttrice, ora anche titola-re di una linea di profumi. Vi sfidiamo a trovar-

le un difetto. Ah, sì: la musica... Finora l'ex Destiny's Chi-ld ha messo mano a canzoni iper-liftate scala hit parade,della serie: grande tecnica, poco cuore. Ora uno scatto,perché questo 4 non cambierà la storia della musica mala riposiziona senz'altro del mondo dell'r'n'b contempo-raneo con reminescenze soul anni Settanta. Molto per-cussivo - non a caso pare si sia ispirata all'afrobeat diFela Kuti - e con un utilizzo della voce decisamente piùsfrontato, in particolare nell'apripista 1+1, ballata acusti-ca ricorda Prince. Funzionerà benissimo anche Party,grazie al contributo del rapper Andrè 2000. (s.cr.)

EUGENIO COLOMBO/RAFFAELLAMISITIOCTOBER SONGS (Rudi Records)

8Dal progetto concertistico Il futuro non è piùquello di una volta del polistrumentista edella cantante è generato l’album (sottotitolo

Play the Songs of Leonard Cohen prodotto da una neo-nata etichetta, info: rudirecords.com). Il jazz da annicerca di rinnovare il repertorio ma occuparsi oggi delloscrittore e cantautore canadese è operazione che nasceda esigenze artistiche legate alla percezione dell’attuale,e critico, momento storico. «Le sue canzoni - dicono gliautori -, spesso nella loro semplicità disarmante, ci mo-strano una strada percorsa coerentemente molti anni fa,anche se il futuro a quel tempo ci sembrava migliore».Così la musica del duo sgorga in modo contemporaneoe non nostalgico, cerca di restituire nuova poesia a testie suoni già ricchi di una calda umanità, di profonda sug-gestione, di un’asciutta etica dei sentimenti. I brani cohe-niani sono reinventati con originalità e se la Misiti haparlato di «attraversare la canzone» è proprio questo ilsenso di un doppio viaggio, passato e presente. (l.o.)

MOMBUMANTRA (Subsound-Narcotica/Goodefllas)

7Metti assieme due entità che si sfiorano damolto senza toccarsi. Cresciute musicalmentecon fonti d'ispirazione e approccio simili:

quello del jazz-core più slabbrato e sporco. Che fa cion-dolare teste a ritmi inauditi, ed evoca rispettosamentestorie di improvvisazione di matrice african-american.Che, forse perchè lontane nel tempo, assurgono - beffar-da nemesi - a tradizione. È compito rischioso, con per-centuali di errore alte. Non accade. Piuttosto si azzeccala strada, destando stupore e stimolando interesse. Que-sto la sintesi dell'incontro tra A. Zitarelli (batteria) e L.T.Mai (sax), rispettivamente provenienti da Neo e Zu. Qual-che ospite a dar corpo ai suoni, ma il tutto c'è. È tangibi-le, in modo rilevante e vibrante. Che disco! (g.di.)

MUSENSILENTI (Abeat Records/Ird)

7Nel mare magnum delle uscite discografichejazz italiane segnaliamo un progetto che sidiscosta con grazia e intelligenza da tanto

mainstream. I Mu sono un quartetto dall’assetto ritmicopiuttosto inconsueto: vibrafono e glockenspiel, chitarra,basso e batteria. Siamo dunque dalle parti dei Tortoisedi Tnt, ma il gruppo sempre lavora per dare alla musicaun che di quieto, di assorto che invece in tanti gruppi nujazz e post rock è preludio ad accelerazioni drammati-che. Vivono vicino a un lago, i Mu: e si sente, nello scia-bordio liquido delle loro composizioni. (g.fe.)

SIMONA SEVERINILA BELLE VIE (My Favorite Records)

7La giovane interprete rende omaggio allagrande poesia francese cantando, in linguaoriginale, due liriche di Rimbaud musicate da

Antonio Zambrini, pianista e arrangiatore dell'album,oppure i testi di Hugo, Prudhomme, DeLisle, Isle-Adam,sui quali Fauré, a inizio Novecento, ricama sonorità im-pressioniste. Ma c'è spazio anche per la chanson swinga-ta (Distel, Gainsbourg, Legrand) mentre lo standard Emi-ly (Mercer/Mandel) rovina la coerenza di un album cheha nella voce della leader, nella delicatezza del pianojazz trio e negli assolo di Gabriele Mirabassi al clarinettoi momenti di forza, espressione, originalità. (g.mic.)

SONIC YOUTHSIMON WERNER AU DISPARU (Syr/Goodfellas)

7Episodio cinematografico numero due per lagioventù sonica. Mondo del cinema semprefrancese, con la pellicola diretta da F. Gobert.

E un volo pindarico intriso di psichedelia dall'inizio allafine dei tredici temi musicali sviluppati in questo disco.Con alle stelle anche le sonorità per cui si conosce laband, in un delicato e riuscito equilibrio. Con al centro inmodo chiaro e netto la visualizzazione su grande scher-mo. A materializzare il tutto Moore, Ranaldo, Gordon,Shelley e O'Rourke. Tonici e concentrati, i nostri sono inuno stato di grazia. Capacità, esperienza e consapevolez-za realizzativa. Che altro volere di più? (g.di.)

STEELAUN PASSO UN DUBBIO (On the Road/Universal)

7Un ascolto distratto di questo disco potrebberichiamare alla mente vaghe reminiscenzedei Subsonica. Ma immergendovisi più atten-

tamente ci si accorge che il parallelo si limita al fatto chea scolpire il sound di questo secondo album degli SteelAsi aggiungono i contributi di Max Casacci, Samuel Roma-no e di Madaski vero idolo con la sua band Africa Unitedi questi ragazzi di origine salentina. E già perché i seitipi folgorati nel Salento (nota Giamaica d’Italia) dai ritmisincopati giamaicani sono partiti alla volta di Torino perintercettare un proprio ipotetico sound, che si concretiz-za in una miscela di reggae, dubstep, elettronica, e bal-lad minimaliste. Età media ventiquattro anni, gli SteelAdimostrano a questo punto del loro percorso artistico,una maturità, sensibilità, professionalità, dedizione eimpegno, alquanto rari in tempi di suoni precotti, cutand past dell’ultima ora, e ricette da fast food. Nei tuoisilenzi, voce e chitarra in bella evidenza, è solo una delleprove che quando il talento c’è, fa la differenza. (g.d.f.)

WHEN SAINTS GO MACHINEKONKYLIE (!K7/Audioglobe)

7La Scandinavia ci ha abituati a band di livellointernazionale ormai da anni: il pop svedese,l’alt rock norvegese, le sperimentazioni islan-

desi, il metal estremo finlandese. Per qualche tempo arimanere indietro sembrava essere la Danimarca, mapare che le cose anche da quelle parti stiano prendendouna piega interessante. Pop e elettronica sono i punti sucui sembrano focalizzarsi maggiormente le attenzioni dinuove formazioni in arrivo da Copenaghen e dintorni, traqueste buon ultima ecco quella dei When Saints GoMachine. Un quartetto nato come band elettrodance mache per l’ep prima e per l’ellepì di debutto ora allarga gliorizzonti abbandonando le ritmiche in 4/4 da danceflo-or in favore di strutture più complesse e decisamenteintriganti che vanno a toccare anche territori meno«easy», con tocchi classicheggianti, echi di world music etanta sana attitudine pop che ci ha fatto pensare ai Cari-bou di Swim, solo meno sperimentali... (r.pe.)

Roberto Peciola

Troppo spesso - complice anche ungergo giovanile che non nega certosuperlativi di ogni genere - si senteparlare di personaggi, cose o fatti intermini eccessivi, e così è facile ascol-tare la parola «mito» a proposito, anzia sproposito, di questo o quello. Cisono però situazioni in cui nessun al-tro aggettivo può essere altrettantoefficace, come, ad esempio, quando siparla del gruppo che ha scritto più diogni altro la storia del rock e del pop, iBeatles. Per celebrarne il suddetto«mito» sono stati utilizzati innumerevo-li mezzi, e tra questi numerosi volumiche ne hanno ripercorso la storia, ifatti, le parole, le canzoni, gli errori. Unmito su cui non sembra, anche a di-stanza di mezzo secolo dalla nascita epiù di quarant’anni dalla fine, calarel’interesse. Prova ne sono anche duelibri pubblicati in questi mesi nel no-stro paese. Il primo - a firma MassimoPadalino, giornalista e critico musicaleper varie riviste specializzate - si intito-la The Beatles. Yeh! Yeh! Yeh! (Arcanaed., 559 pag, 25 euro), ed è la raccol-ta dei testi - commentati - dei FabFour nel periodo che va dal 1962, an-no del loro primo album Please. Plea-se Me, al 1966, quando Lennon e socipubblicarono un disco, Revolver, chepreannunciava l’epocale svolta chesarebbe avvenuta di lì a poco (è inprogramma anche una seconda partecon i testi dei successivi album delquartetto di Liverpool). Un lavoro cer-tosino in cui Padalino, oltre a riprodur-re le liriche con traduzione in italiano,è andato alla ricerca dei significati piùreconditi e meno noti di canzoni che

hanno segnato un’epoca, da She Lo-ves You a Help!, da Love Me Do a Ye-sterday, e in più ha aggiunto stralci diinterviste, aneddoti, aforismi. Per en-trare nel mondo Beatles nel profondo.

UN ANNO DOPO, nel 1967, i quattro«baronetti» registravano un disco tra ipiù importanti dell’intera storiografiarock, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts ClubBand, lavoro che si concludeva conuno dei brani più belli incisi dallaband, A Day in the Life, composta daJohn Lennon e Paul McCartney. A que-sta canzone e ai cinque giorni che civollero per registarla è dedicato TheBeatles 1967 (Casanova e Chianura ed.,collana Auditorium, 13 euro) di Giam-piero Orselli. L’autore racconta le azio-ni di Lennon, McCartney, Harrison eStarr, non lesinando idiosincrasie, vizi,manie e, ovviamente, il genio nasco-sto dietro ognuno di loro e dietro i

vari personaggi che fecero da contor-no alle loro vite.

ALTRI MITI. È uscito da poco, per laRizzoli, uno splendido volume che dimiti ne contempla ben due: i PinkFloyd e il loro discusso capolavoroThe Wall. Pink Floyd. The Wall (256pag., 45 euro) di Gerald Scarfe conintroduzione di Roger Waters è unlibro che traccia, attraverso i disegni ei bozzetti del grande artista inglese,vignettista politico del Sunday Timesda ben quarantadue anni, ma ancheattraverso i racconti dei tre floydianisuperstiti (lo stesso Waters, Nick Ma-son e Dave Gilmour) e di Alan Parker(regista dell’omonimo film del 1982),la genesi di un disco - per certi versianch’esso epocale -, il «making of» e iretroscena di uno degli spettacoli piùambiziosi che siano mai stati pensatie messi in atto da un gruppo rock.

VIJAY IVER/PRASANNA/NITIN MITTATIRTHA (Act/Egea)

7Un disco delicato, onirico e intriso di capacitàevocative. Un incontro tra piano, tabla, voce echitarra, senza tentativi di scrittura che mirino

a una fusione, piuttosto a un dialogo costante tra i tremusicisti. Al fine di raggiungere un delicato, funzionale eriuscito equilibrio. Obiettivo raggiunto. Il combo gira allagrande, coordinato con maestria dal leader, lo statuniten-se di origine indiana Iver. Il pianista è in un periodo ferti-le. Ben venga quindi questa registrazione, che seppurdatata 2008, affascina e avvince oltremodo. Sia nelleistanze più jazzate (Tribal Wisdom), sia in contesti piùtradizionali (Entropy and Time). Davvero bello. (g.di.)

FRANCESCO LO CASCIO/ALÍPIO C NETO/FEDERICO UGHIAIR (Terresommerse)

8Si può fare improvvisazione d’assieme e noncadere nella routine? Si può, quindi, rendereomaggio sul serio al concetto di composizio-

ne istantanea? Si può. Lo dimostra questo trio di pensa-tori ispirati della musica «scritta nella testa». Parlano diaria nel titolo e fanno bene. Perché la loro è musica ario-sa. Poi: è musica di rarefazione commossa. Poi: è musi-ca di riflessione e sintesi creativa. Lo Cascio, vibrafonista,sa che i veri maestri dello strumento per l’attualità musi-cale sono Bobby Hutcherson e Teddy Charles, non gliottimi Lionel Hampton e Milton Jackson o il meno otti-mo Gary Burton. Se ne ricorda, si ricorda pure degli itine-rari melodici (sissignori: melodici) di Anton Webern, mapoi fa benissimo di testa sua come coordinatore e soli-sta. Neto, sax soprano e tenore, rilegge magnificamente,con delicatezza, la storia del jazz post-free. Il batteristaUghi è superbo per tecnica misura intuito. (m.ga.)

SCOTT MATTHEWGALLANTRY'S FAVORITE SON (Glitterhouse / Venus)

7E tre: Scott Matthew, archiviata la pur notevo-le avventura sonora con l'ex sodale di Morris-sey, Spencer Corbin, gli Elva Snow, sembra

sempre più indirizzato a una sorta di raffinata formacantautorale. Questo è il terzo lavoro solistico, e forse ilmigliore a oggi. Certo, Matthew non è esattamente quel-lo che definireste uno spirito pacificato: astenersi quindidepressi e inclini alla malinconia. Ma il suo vocione spes-so virato sul falsetto così vicino al timbro affascinante diun John Matyn, e la sua scrittura prossima alla classicitàfolk rock d'un Thomas Dybdhal lo aiutano assai. E lacrescita è evidente di lavoro in lavoro. (g.fe.)

giampiero canestefano crippagianluca diana

grazia rita di florioguido festinesemario gambaluca gricinella

gabrielle lucantonioguido michelone

luigi onoriroberto peciola

L E G E N D A

ULTRASUONATI❙ ❙ B O O K N O T E ❙ ❙

Il senso delle parolesui muri. Un giornocon Beatles e Pink Floyd

ALEXANDRE DESPLATTHE TREE OF LIFE (Lakeshore Records)

8Il compositore francese Alexandre Desplatè ormai completamente inserito nel cine-ma americano, a tal punto che Terrence

Malick lo ha chiamato per le musiche originali delsuo meraviglioso The Tree of Life, sicuramente unodei film più importanti della stagione cinematograficaappena conclusa. La partitura (corde e pianoforte) diDesplat, registrata con la London Symphony Orche-stra, è discreta. Si inserisce alla voce off e all’ ambien-te sonoro in cui tutti i rumori quotidiani e quelli dellanatura hanno lo stesso peso. The Tree of Life è unfilm nel quale il sonoro è importante quanto l’imma-gine, entrambi sono interdipendenti l’uno dall’altroper formare un tutto omogeneo, perfetto. La musicaè come un fiume che attraversa la vita, dalla nascitafino alla morte. Indispensabile e necessaria. (g.lu.)

FLOGGING MOLLYSPEED OF DARKNESS (Borstal Beat Records/Audioglobe)

6A volte recensire un disco può essere unasfida difficile da affrontare per non caderenella banalità, altre invece può risultare un

esercizio semplicissimo. E quest’ultimo è il caso diSpeed of Darkness, quinto lavoro dei Flogging Molly,band tra le più note in ambito celtic-punk. Sempliceperché il genere in sé non lascia spazio a sorprese dialcun genere: quello che pensi sarà, è. La questionequindi è facile facile, se vi piace lo stile e il sound,questo è l’ennesimo disco per voi, con anche, dalpunto di vista delle liriche, i giusti riferimenti politicie, in particolare, alla crisi economica mondiale. (r.pe.)

RAY GELATO & KAI HOFFMANHEY BOY! HEY GIRL! (Double Scoop)

7Il merito indiscutibile di Gelato, cantante esax tenore statunitense, trapiantato a Lon-dra, consiste, da vent'anni in qua, nel conti-

nuare a proporre coerentemente tutte quelle musi-che decisive per la nascita del rock (fuori dal countryo dal blues): ecco quindi, dopo il boogie, il jump,l'honk-tonk, la jazz-song, che, come avverte la coperti-na: «The golden age of the vocal duet is back». È iltrionfo del duo canoro d'impronta swing che daLouis Prima con Keely Smith ad Armstrong con laFitzgerald, caratterizza un'epoca. Da provetti crooner,Ray e Kai si buttano in sedici classici anni Quaranta-Cinquanta, con il sestetto Giants a riarrangiare tutto(o quasi) in veloci r'n'b. (g.mic.)

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ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (17

di Graziella Pulce

Che Ceronetti sia granlettore di romanzi non fa notizia.Ma non era per nulla prevedibileche dopo più di un cinquantenniodi attività desse alle stampe un ro-manzo, come ha fatto con questoIn un amore felice (Adelphi «Fabu-la», pp. 313,€ 19,00). Come un Polli-cino di fiaba il settantaquattrennefotoreporter Aristide Boronovici,detto Aris, coglie minuti segni nelfrastuono aggrovigliato di una gran-de città e trova il suo amore, unadonna di trent’anni che dice di chia-marsi Ada, ma che in circostanze di-verse altri chiamano Nada o ancheNanda, e sul cui passato gravanocolpe oscure. Dare il nome o cam-biare il nome esprime un atto dipossesso o un’istanza di manipola-zione e in questo romanzo i nomi ei profili sono entità piuttosto elasti-che che si allungano e si accorcia-no, si fanno più leggeri o si carica-no in spessore. Ada infatti è visitatada entità extraterrestri che l’assedia-no e che otterranno il suo sacrifi-cio. Accanto a personaggi di fanta-sia, se ne affacciano altri ben altri-menti noti, come Tesla, von Brauno J. F. Kennedy. L’espediente di fa-re della protagonista una sensitivaconsente al narratore di intrecciarei fili del passato del presente e delfuturo e di rendere mobile l’occhiodel teleobiettivo in modo da daredei fatti narrati una versione il piùpossibile svincolata dalla prospetti-va umana.

Grottesco e surreale, In un amo-re felice si colloca sulla linea di scrit-tura che passa per Difesa della luna(1971) e Aquilegia (1973 e 1988), te-sti che sfondano il muro del reale re-alistico e mostrano un’altra trama-tura del mondo, della quale di nor-ma i più non hanno neppure sento-re. Romanzo di difficile definizione,insieme fantascientifico, filosoficoe profetico, in cui risulta marcatol’elemento elegiaco della compas-sione vicendevolmente nutrita daiprotagonisti, unica loro difesa difronte a un male di proporzioni co-smiche. Nel 2011 dunque una sto-ria ambientata nel 1957 sull’amoreincongruo e sugli UFO, su una sen-sitiva e un anziano fotoreporter, suabductions da parte degli alieni, sumisteriosi contatti, sull’invasionedell’Ungheria, sulla Città degli Strac-ci, sugli effluvi graveolenti, sulla mi-seria delle carni consumate. In unoscenario grigio piombo si accendo-no lampi di vitalità autentica solo acontatto con i più derelitti e semprenetta resta la distinzione ceronettia-na tra i molti e i veggenti, tra chi per-segue il potere, il denaro e la fama,e chi schiva tutto questo e si tienepago di una tazza di tè caldo e diuna carezza. Dunque un’opera dinatura evidentemente allegorica,nella quale ogni elemento è ancipi-te e sta a rappresentare oltre se stes-so anche qualcosa che i più di norma non vedono e non colgono.

Su tutti i temi qui trattati Ceronetti era intervenuto più volte, tuttavia inquest’occasione ha cucito i vari elementi in modo che le sue figurine po-tessero agire compiutamente. Ciò ha richiesto un impegno di scrittura di-verso da quello abituale: lo scrittore si è tenuto lontano dalle forme con-suete dell’aforisma, dell’articolo di giornale, dell’invettiva e del commen-to e ha accettato di intrecciare dialoghi e situazioni nell’intento di portareil lettore a sperimentare l’esposizione all’indicibile, a ustionarsi a contattocon le allegorie. Il Novecento di Ceronetti, inventariato in Ti saluto mio se-colo crudele (vedi box) si ricompone in uno scenario di epifanie che occhi

e orecchie capaci avrebbero potu-to cogliere. La lettura della Guerradei mondi da parte di Orson Wel-les, l’episodio di Roswell, le fre-quenti segnalazioni di avvistamen-ti: il fenomeno UFO diventava po-polare. Nel ’58 Jung pubblicavaUn mito moderno. Le cose che si ve-dono in cielo e, tanto per dire, qual-che anno dopo Flaiano metteva in

scena Un marziano a Roma, Calvi-no pubblicava Le Cosmicomiche eBuzzati La signora ch’è stata sullaluna; poi verrà Manganelli con gliarticoli sugli Oggetti volanti nonidentificati. «Il fantastico nel suo si-mulato arbitrio rivela sempre qual-cosa di quel che è nascosto», scriveCeronetti in La marionetta e l’ani-ma (poi nella Vita apparente). La

letteratura del Novecento presen-ta un’area del fantastico, con testiche volitano intorno al grandeenigma sulla natura di ciò che si ve-de e sul senso di ciò che è nasco-sto, con una consapevolezza tuttadiversa rispetto alle epoche prece-denti. Il narratore assume spessola postura del testimone e il testodi fatto si presenta non di rado

quale testimonianza di immaginie per immagini, in netta controten-denza rispetto a un modello lingui-stico che è andato sempre più pri-vilegiando l’individuazione perastrazione. L’autore si presenta co-me voce che dà corpo e sostanzaverbale a qualcosa che è stato per-cepito come pura forma, chiusa inun suo nocciolo di dura e inspiega-ta visività. In questo senso la scrit-tura di Ceronetti, anche quella diquesto «romanzo in lingua italia-na», come recita il sottotitolo, èprofetica, caduta nel tempo manon appartenente a questo tempo.L’autore ha rinunciato al grido e siè fatto passare attraverso la crunad’ago della narrazione purché fos-se possibile consegnare intero ilmessaggio di allarme che scuota fi-no al profondo le coscienze intorpi-dite, alle quali riesce sempre piùdifficoltoso percepire il gemito didolore delle terrestri creature vi-venti, umane e animali.

Anche l’età avanzata e la debo-lezza di Aris, come pure la docilitàdi Ada a farsi prostituta sacra sonoallegorie e sono continuamente ri-marcate: lo scopo è di creare spa-zio sufficiente a personaggi neiquali l’aggressività del secolo risul-ti depotenziata e mostrare un mo-dello alternativo a quello dell’uo-mo cieco, arrogante e portatore dimorte. Così come Ada riplasmataogni volta dal cambio dei nomi vie-ne a presentarsi come un perso-naggio metamorfico, librata su undestino anomalo che attende di es-sere dispiegato. Personaggi chesvelano la loro natura di marionet-te, carne deperibile e anima d’ac-ciaio, e sostengono con altissimadignità e piena consapevolezza illoro ruolo di portatori di balsamosulle piaghe dell’umana, inconsa-pevole creatura terrestre. La scon-certante ode oraziana dell’uomopuro e inerme che non teme gli ar-tigli del Caos ha trovato una sua ul-teriore e felice attualizzazione.

Ottimo per affrontare un incontrocon il negativo, con il meschino resoimpavido dal grado e dalla poltronaragguardevole, efficacissimo contro latentazione di abbandonare le armi difronte alla stupidità, Ti saluto mio seco-lo crudele Misteri e sopravvivenze delXX secolo di Guido Ceronetti (con leillustrazioni a cura dell’autore e diLaura Fatini, Einaudi, pp. 128, €17,50) è un piccolo ma efficace pron-tuario di salute mentale. Il baglioreche scintilla in questi trentacinquepezzi (alcuni estratti da testi di altriautori) consente di neutralizzarel’opaco indifferenziato e recuperarelimpido il cristallino per guardare gliemblemi di un secolo trafitto. Tuttopuò essere nominato da un linguag-gio che ha conosciuto il roveto arden-te dell’indicibile ed è disceso a vallecon le parole ancora calde del fuocoprimigenio: il Titanic, Rudolf Hess, ilnapalm o Nikola Tesla. Filologo efilosofo, lettore di testi antichi e mo-derni, scrutatore di fotografie e dise-gnatore, quest’uomo magrissimo,vegetariano dal ’57, è capace di indivi-duare l’assoluto acquattato nel detta-glio e di dimostrare che il mondodell’occulto è quello in cui viviamoogni giorno. La scrittura resta per luiesperienza dell’ignoto e del mistero,in grado di riattivare la potenza origi-naria del suono e dunque di renderevivo e vitale anche ciò che ha subitol’aggressione più devastante. È cosìper le statue del Buddha distrutte aBamiyan dagli integralisti islamici, oper l’immagine di Marilyn presenteovunque viva e bella, che ha avutoragione della ragion di stato che l’hacondannata a morte. (g. pu.)

Libro di difficile definizione, fanta-scientifico, filosofico e profetico, si incentra sull’elegia

della compassione reciproca come unica difesa, oggi, contro il male cosmico. Così Guido Ceronetti

«ustiona» il lettore con le sue allegorie, che attingono al culto paranoico anni cinquanta per gli Ufo

Un’elaborazione che cital’immaginario s.f.degli anni cinquanta, trattadal sito web «StumbleUpon»

CERONETTI, MISTERI

■ «IN UN AMORE FELICE»: DOPO OLTRE CINQUANT’ANNI DI ATTIVITÀ, ARRIVA UN ROMANZO ■

Ustionarsi con Ceronetti

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■ «LA CATASTRÒFA», INCHIESTA DI PAOLO DI STEFANO ■

Dignità e orgogliodei figli di Marcinelle

BERSAGLII N L I B R E R I A

La terrazza milanesedi Silvia Bergero

di Gianni Manzella

Entra subito dentro la scena, inse-gnavano antichi maestri alla scuoladello sguardo. Senza preamboli,senza divagazioni personali; non èpiù il tempo delle cronachette tea-trali di George Bernard Shaw chepure, col loro svagato parlar d’altro,avevano l’aria di mettere sull’avvisoche tanto da guardare sui quei pal-coscenici londinesi non c’era molto.Ha l’apparenza di una scena teatra-le il luogo in cui viene precipitato illettore nelle pagine iniziali di Galli-ne, primo romanzo di Silvia Bergero(Rizzoli, pp. 251, € 17,90). Non acaso Bergero chiama a sostegnol’autorità di Anton Cechov, in eser-go. Nella vita reale per lo più si man-gia, si beve, si dicono sciocchezze –scriveva il grande russo. Ecco cosabisogna far vedere in scena. Siamoavvertiti, sappiamo cosa ci aspetta.La scena, dunque. La festa che sisvolge in una casa con vista sulleguglie del Duomo, abbastanza gran-de da contenere le chiacchiere diduecento persone. Ragazze chedondolano sui tacchi alti. Musica edrink. Siamo a Milano, non c’è biso-gno di dirlo, non ci sarebbe nemme-no bisogno di quel cenno alla Ma-donnina che dalla terrazza sembraa portata di mano. Dove altrimentitanta maniacale attenzione all’abitofirmato, all’accessorio giusto? Dovealtrimenti anche l’abbigliamentodiventa una competizione? E si tra-duce infatti in un «mettersi giù dagara»... La Milano degli anni duemi-la, la Milano uscita dall’ubriacaturadei soldi facili. La Milano capace diriservare più di una sorpresa, che sicolora di arancio e scuote via la pati-na di antipatia che l’accompagnavaall’esterno, come avvertono le cro-nache di questi giorni. Vista dall’an-golo di una fauna intellettuale chesta al crocevia fra editoria, spettaco-lo, redazioni di network televisivi,senza escludere le vecchie solideprofessioni borghesi. Qui, l’occasio-ne per ritrovarsi è la presentazionedi un libro. Ma del libro non si dicee non si sa niente. Piuttosto è sul-l’autore che si butta un occhio, met-ti mai. Quel che si dice sono le grif-fe, i vestitini delle collezioni e lepalettes di stagione, i modelli dellescarpe e delle borse – ecco, ora sifa caso che la copertina del libroriproduce una di quelle borsetteche si tengono in una mano, comesi chiamano... E poi gli incontri, lestorie, come è d’uso ormai definirequelle relazioni di incerta durata –e anche lì a competizione non sischerza. E pazienza, se non sai co-s’è la Chanel 2.55 o lo shatush diCoppola, se hai qualche dubbiosulla clutch turchese Miu Miu o lesneakers di Yohji: fa parte del gio-co. Anzi è proprio questo il gioco:buttarti dentro i gerghi, i tic, le minu-zie che in un microcosmo possonogonfiarsi fino a diventare ossessio-ni, scovare i must prima che diventi-no must. Quei gerghi, quei tic, quel-l’ossessione per lo shopping e perquella sua variante ancor più osses-siva che sono i saldi, Silvia Bergeroli conosce assai bene, ha lavoratoper molti anni per un settimanalefemminile. E li riversa sulle sue pro-tagoniste. Quattro amiche diversequel che basta, dalla pragmatica ericca all’insicura e ipersensibile –più una quinta che appare e scom-pare, vive e lavora a Londra e anchenel nome, Andrea, porta un che diesotico. Le autoproclamate «galli-

ne» del titolo. Tutte cinquantenni,età cerniera fra una maturità chetarda ad arrivare e una giovinezzache ancora ieri sembrava lì, nonfosse che la vita vissuta fa zavorra. Ildramma è in agguato dietro l’ango-lo, o meglio dentro quelle famigliedi così solida tradizione, apparente-mente. Il destino dispettoso nonrisparmia neppure coloro che eranosicuri di vivere al riparo dai colpidella vita. Piccole crepe cui non sidà peso fino a che non si allarganopericolosamente. Un figlio incompa-tibile. Un padre che riemerge da unpassato negato per rimescolare rap-porti e sentimenti. Segreti e bugie.Un banale incidente stradale cheperò ha il torto di capitare nel postosbagliato, un periferico quartiere diimmigrazione cinese, quanto bastaper innescare disordini di strada ereazioni incontrollabili – e certo,torna in mente la rivolta di via Sarpio quella di via Padova, con tutto ilcorredo di commenti sociologici sutriadi orientali e bande giovanilisudamericane. Ma intanto gli incon-tri, le storie si dipanano. Esili e unpo’ fatue, nell’intreccio di conversa-zioni che prende il posto di unavera trama. Si mangia, si beve, sidicono sciocchezze. Disegnando lamappa di una città dall’eleganzadiscreta, più da brunch domenicaleche da ritrovi notturni. Mica soloBrera e i Navigli. Lasciassero tuttil’auto a casa, scoprirebbero la bel-lezza di questa città – sbotta quellaspecie di voce collettiva che l’autri-ce lascia slittare dall’una all’altradelle sue protagoniste. E poi iweekend fuori Milano. La rivieraligure, fra Rapallo e Verezzi; la mon-tagna di Sankt Moritz piuttosto cheCourmayeur; la gita sul trenino del-l’Engadina e le terme di Bagno Vi-gnoni. Dovunque portandosi dietroi propri riti, l’aperitivo, lo champa-gnino, le cure del corpo. Le propriechiacchiere un po’ intello. Sarà perquesto che queste sorelle d’Italiadel terzo millennio ci fanno un po’venire in mente i cari Fratelli arbasi-niani di quarant’anni prima. E se làc’era da correre per uno spettacolodi Visconti a Spoleto, qui non sipuò mancare il musical degli Abba,Mamma mia!. I conti tornano.Galline ti prende un po’ alla volta,con leggerezza. Gioca con la memo-ria generazionale, per una sorta digusto mimetico, facendo reagire illato debole (ma non era CamillaCederna?) come entità biologicacon i maschi che fan crocchio comele comari di un paesino (ma nonera De Andrè?). Mescola gruppi ap-parentemente omogenei per me-glio separarne le individualità –agendo più per centrifugazione cheper decantazione, vien da dire. Leg-gerezza è forse la parola chiave delromanzo, ma un po’ perversa. Indi-ca un modo di toccare le cose, uncontatto che può lasciare un impal-pabile disagio. Che siano propriosempre simpatiche, le nostre, nonsi può dire. Ci mettono del loro pernon esserlo. Ma è difficile sottrarsi aun moto di empatia per il sentimen-to che incarnano. Perché di questoin fondo si tratta. Il romanzo è ilracconto di un sentimento di amici-zia. Che finiscano per riconciliarsicon un party a sorpresa, una di quel-le feste dove gli ospiti arrivano all’in-saputa del festeggiato, è in fondoun atto dovuto. Come l’arrivo di undeus ex machina a teatro.

di Giulio Ferroni

In questi ultimi tempi si af-faccia insistentemente, insieme al-la parola d’ordine dell’autofiction,quella parallela e spesso convergen-te della non fiction: categorie, que-ste che passano spesso per crucialiacquisizioni, di risolutiva pertinen-za contemporanea, mentre è fintroppo evidente che designanoqualcosa che si ritrova nella lettera-tura di ogni tempo e paese (ma ca-pita che troppa concentrazione sulpresente non fa vedere al di là delproprio naso). È difficile segnare iconfini tra la cosiddetta non fictione il reportage: e chi può negare checerti reportage novecenteschi, oltrea toccare in profondità eventi reali,diano poi eccezionali esiti di scrittu-ra, superiori a quelli di tanta lettera-tura canonica? Singolare caso di in-chiesta rivolta al passato è ora il li-bro di Paolo Di Stefano La cata-stròfa Marcinelle 8 agosto 1956(Sellerio «La Memoria», pp. 252, €13,00), dedicato (A futura memo-ria, come indicano le pagine intro-duttive) al disastro della miniera dicarbone belga in cui morirono 262minatori, tra cui 136 immigrati ita-liani. Qui l’autore (che nell’inven-zione narrativa ha toccato recentifatti di cronaca, come in Nel cuoreche ti cerca, 2008) si presenta so-prattutto come un trascrittore, unoche costruisce un percorso in cuiraccoglie direttamente le voci di alcuni dei so-pravvissuti e di alcuni congiunti degli scomparsie offre la traduzione di alcuni documenti ufficia-li (atti processuali, interrogatori e testimonian-ze): compie un viaggio per registrare quelle voci,iniziando proprio da Marcinelle, dove incontrala figlia di una delle vittime, che abita ancora lì(e proprio in una rue des Mineurs, la via dei Mi-natori), toccando altre località della zona, doverisiedono varie persone rimaste in Belgio, e giun-gendo alla fine in Abruzzo, tra Pescara e Manop-pello, il centro da cui più numerosi venivano i

minatori italiani.Ma non tutte le voci trascritte

provengono dal viaggio e da incon-tri diretti: l’autore ha utilizzato an-che interviste e spezzoni di docu-mentari, frutto, come tutto il mate-riale del libro, di accurata ricerca.La trascrizione tende a conservarela vivacità dello scatto orale, le par-ticolarità di linguaggi in cui, per co-loro che sono rimasti in Belgio, ita-liano standard e forme dialettali simischiano col francese, mentrequasi per tutti la parlata dialettaletende a compromessi continui conla lingua, con anacoluti, forzaturegrammaticali e sintattiche di variogenere, idiotismi e scatti personali.Ne risulta una vera e propria polifo-nia che porta sulla pagina scrittanon tanto l’immediatezza dell’orali-tà, quanto la concretezza di vitesemplici e determinate, di senti-menti radicati nella durezza del vi-vere: amore, amicizia, lavoro, cibo,costruzione di sé entro la materiali-tà dell’esistere; vite devastate dallaperdita, dal dolore, ossessionatedal ricordo di quell’evento, dal pe-so che il mondo ha su di esse cari-cato. Con queste voci umane la me-moria della catastròfa (deformazio-ne tra francese e dialettale) non sirisolve solo in un atto di pietà perle vittime, in affermazione della ne-cessità del ricordo, ma nel palpitodi un’ultima persistenza di un mon-do che non è più, di un’Italia popo-lare, quell’Italia del lavoro, che haportato sulle proprie spalle il peso

delle trasformazioni che si sonosuccedute nel dopoguerra, suben-do la violenza di quel vorticoso svi-luppo italiano ed europeo.

In un accordo col Belgio, del1946, il governo italiano aveva otte-nuto considerevoli quantità di car-bone in cambio dell’invio di mano-dopera italiana per il lavoro nelleminiere: la catastròfa viene da là, inquello scambio di «uomini per car-bone» che escludeva ogni conside-razione della sicurezza (e la voce diPeppe, un «siciliano dai due cuori,che sembra raccogliere in sé»l’esperienza di tutti i minatori delmondo, ci dice che «La gioventùnostra è stata venduta dal gover-no»). Di Stefano con delicatezza safar parlare queste voci nella loroevidenza, tanto lontana sia dal-l’esteriore retorica di alcuni politicidi quel tempo (di cui viene riporta-to qualche campione) che dalla vol-garità degli attuali talk show televi-sivi: esse toccano sempre dei fatti,pur se da punti di vista vari e diver-si, muovendosi tra la semplice con-sistenza della vita privata, i più ele-mentari affetti quotidiani, e la rico-struzione del terribile evento, le ipo-tesi e le denunce sulle responsabili-tà mai davvero chiarite, i risvoltioscuri della mancanza di sicurezzanella vecchia miniera, l’agitazionedei dirigenti e dei soccorsi, il recu-pero dei cadaveri e i riti funebri, ladisperazione delle donne che con iloro bambini aspettavano ai cancel-li. Attraverso questi fatti il libro ci fa

balenare davanti un dato storico es-senziale, su cui, nell’orizzonte illu-sorio della virtualizzazione, del po-stmoderno e del postumano, sia-mo troppo poco abituati a riflette-re: ci mostra che il grande sviluppoeconomico del dopoguerra e ognisviluppo produttivo è passato e pas-sa sopra le vite umane, che la radi-cale trasformazione del mondo acui abbiamo assistito nella secon-da metà del Novecento si è servitadegli esseri umani, ha lacerato tan-te esistenze, ha agito violentemen-te sulla loro semplice identità.

Certo, come dicono molti di co-loro che qui hanno la parola, si trat-tava di sfuggire alla fame: e permolte delle vite che non sono statedistrutte non sono poi mancati pro-gressi, miglioramenti; molti in unmodo o nell’altro sembra che cel’abbiano fatta. Ma che dire delconfronto, da molti suggerito, trala situazione dei nostri emigrantid’allora e quella dei disperati mi-granti di oggi? Qui si tocca con ma-no l’abiezione del razzismo e del le-ghismo, e ci giunge una lezione didignità, di umanità severa e resi-stente. Nella semplicità di tanti uo-mini e donne c’è davvero tanto dimemorabile, come ad esempio inquesta battuta di una figlia che vi-ve a Pescara: «Io quando dico chemio padre è stato minatore in Bel-gio lo dico con orgoglio, e certi per-sonaggi odierni della politica e del-le istituzioni mi piacerebbe cheavessero la stessa dignità».

Gianfranco Ferroni, «Le donne di Marcinelle»,1956-’57, Bergamo, Provincia

Uomini in cambio di carbone.

Quest’accordo del governo

italiano col Belgio è all’origine

della tragedia del 1956, qui

ricostruita con voci e archivi

come monito alla politica d’oggi

18) ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011

Page 19: Alias supplemento del Manifesto 09/07/2011

■ «TRENTA MISERIE D’ITALIA», QUARTA E ULTIMA PARTE DI UN POEMA CIVICO ■

Mia Italia al presente

Nelle nostre città pervase dal ce-mento, sigillate al suolo dall’asfalto,c’è ancora spazio per un uso delgiardino e del verde che, almenonell’approccio, non sia residuale.Ma necessita – nell’infinito frattem-po di sempre rinviate politiche pub-bliche volte a recuperare una qual-che sostenibilità ambientale sulterritorio urbano e con l’occhio at-tento invece al prodursi qui di varie-gate risposte dal basso – di un at-teggiamento mentale che sia, primadi tutto, esito di un utile eserciziodello sguardo. Saper vedere, imma-ginare e quindi trovare il verde an-che là dove non si è abituati a pen-sarlo, là dove non ci si aspetta ditrovarlo. Oppure, inventarlo. Che èlo stesso. A questo ci invita Emanue-le Bortolotti nel suo Il giardino ina-spettato (Electa, pp. 215, € 49,00).Sottotitolo immediatamente opera-tivo Trasformare angoli di cementoin spazi verdi. Sulla base soprattut-to della sua esperienza professiona-le, viene proposta dall’autore unarassegna che illustra, oltre a temipiù scontati, casi di un autoprocla-mato paesaggismo «estremo e difrontiera». E ciò sia perché indaga(tra l’altro) briciole disperse di spa-zi residuali dell’abitare urbano, sug-gerendone il ripensamento, il riusoanche straniante, quanto perchémetodologicamente assume comeuna sfida i condizionamenti dell’on-nipresente costruito. Situazioni limi-te dove tuttavia, complice la vitalitàdella vegetazione, il saper fare tec-nico e la specializzazione delle so-luzioni consentono, comportanoinvenzione, appunto, epifania dispazi nuovi perché immaginati erealizzati dove non erano. Cavediche diventano scenografie di foglia-mi e acqua con inserti d’artista,pozzi di luce con cascate di piante,garage di abitazioni o centri servizidi imprese che si ricoprono di giar-dini, affacci di verde dagli openspace degli uffici che riportano lavegetazione al centro degli edifici,patio che restituiscono ambienta-zioni a tema (importante il rappor-to anche soltanto visivo con fonda-li verdi), terrazzi interni che si ani-mano di colonnati d’edera, bocchedi lupo trasformate in finestre sulcortile… E accanto ai giardini suitetti, tetti giardino, facciate qualifi-cate dal verde (come quelle imma-ginate da Stefano Boeri nel milane-se Bosco verticale, dove terrazzisfalsati consentono lo sviluppo dipiante d’alto fusto tra i diversi pianidell’edificio), applicazioni di unaserie di sistemi per il verde vertica-le mutuate dall’originale intuizionedi Patrick Blanc. E ancora, episodidi «natura recuperata ai marginidell’abitare», cortili e corridoi e var-chi tra i palazzi come occasioni disocializzazione, fino alle suggestio-ni del giardino condominiale pro-miscuo. Con la consapevolezza cheil saper fare di questi molti inusualiepisodi di valorizzazione, di inven-zione molecolare del verde deve,per incidere, farsi sistema, abitudi-ne, uso condiviso, rete di soluzioni,punto di vista guida, modo di inten-dere generalizzato e condizionante(le mode, e con ciò forse l’interven-to pubblico, perlopiù temporizzatosulle scadenze elettorali). Sguardocapace appunto di trasformare inverde angoli di cemento ma, più ingenerale, innovativa feconda ango-lazione condivisa.

VÌRIDECRITICA DEL GIARDINO

BORTOLOTTI,SAPER VEDERENEL CEMENTOdi Andrea Di Salvo

di Roberto Galaverni

«ERoversi? E Rover-si?...». Quante volte, mentre mi tro-vavo lontano da Bologna per qual-che impegno legato alla letteratu-ra, è capitato che qualcuno mi ab-bia rivolto questa domanda, a me-tà tra una richiesta di corrispon-denza e un’affermazione certa. Co-me a dire, anzitutto, che RobertoRoversi c’è. Del resto anch’io lo sa-pevo di questo esserci di Roversi,di questa sua indefessa costanza diopere e di scrittura. Il «monacopazzo», così l’ha chiamato Pasoliniin una poesia che Roversi ricorda asua volta nella prima parte de L’Ita-lia sepolta sotto la neve, il poema acui lo scrittore bolognese sta lavo-rando dagli anni ottanta.

E davvero il destino di quest’uo-mo sempre vigile e attivo sotto lacrosta della sua città, come si fosseabbarbicato nella sua pancia, puòessere paragonato a quello dellasua poesia. Bologna, la città dellanebbia e della pietra rossa, rossocomunista e rosso cardinalizia, re-torica e istituzionale, accademica emassonica, la città di Catalano eLoderingo; Bologna che concede lesue cose più belle quando è comeaddormentata e dimentica di sestessa, al di sotto o al di fuori deiranghi, dei diplomi e dei tanti palu-damenti; Bologna amata nonostan-te tutto e oltre tutto; Bologna checompare come una volta per sem-pre, gravida di tutte le macerie, i co-lori e le speranze del dopoguerra,in Dopo Campoformio, il primo li-bro importante di Roversi. Nonmolto diversa la posizione dellasua poesia, che a partire dalla finedegli anni sessanta, con il rifiutodella grande editoria e la stampa inproprio del primo ciclostile delleDescrizioni in atto, ha preso a dif-fondersi sotterraneamente, sem-

pre brevi manu, in modo conti-nuo, affidabile, radicato in profon-dità. Non un gran rifiuto, dunque,quello di Roversi, bensì una deci-sione in nome di qualcosa; e anco-ra: non la scelta di un non fare madi un fare in modo diverso, in coe-renza con una precisa strategia cul-turale e politica. Da allora per luisoltanto ciclostilati, auto-edizionifacenti capo alla sua stessa libreriaPalmaverde, base operativa, garan-zia minima di libertà, riparo con-tro il tracimare del veleno e del ran-core; oppure pubblicazioni pressoeditori piccoli e piccolissimi. Pro-prio per la sua concezione naturali-ter sociale e politica dell’esistenzadell’uomo, Roversi ha sempre sa-puto che in poesia conta la qualitàdei gesti e dei rapporti, e che alloraun lettore vero vale più di mille let-tori contraffatti. E non solo l’ha sa-puto, ma da una certa altezza inavanti ha agito di conseguenza.

Per una neonata casa editricemarchigiana, la Sigismundus diAscoli Piceno, al prezzo da batta-glia, diciamo così, di 11 euro, èuscita ora la quarta e ultima partedell’Italia sepolta sotto la neve, conil titolo Trenta miserie d’Italia.Trenta come appunto il numerodelle sequenze poetiche di lun-ghezza variabile che la compongo-no. «Un canzoniere d’amore incat-tivito da una rabbia rabbiosa perun tradimento che è in atto mache deve passare», così l’ha defini-to Roversi. E la destinataria dei ver-si è sempre lei, l’Italia, a cui il poe-ta si rivolge in modi che stanno tral’accusa, il rimprovero, l’invocazio-ne, l’ammonimento, l’auspicio,

l’esortazione, il canto. Ne esce unaspecie di lunga canzone all’Italia;una canzone incendiata e incen-diaria, pur dentro alla neve e alfreddo della nostra storia degli ulti-mi decenni, perché il tono dei ver-si è sempre carico d’energia, pre-muroso, deciso, acceso. È vero in-fatti che in tanta indignazione, cheimpone spesso i modi del sempli-ce referto e della denotazione diret-ta, si tratta poi di un libro tutt’altroche arreso o ripiegato, ma di pa-zienza, di resistenza, perfino conalcune note forti di speranza.

Si crea allora una miscela moltoparticolare, perché questo poetadi molta memoria, che è provvistodi un retaggio culturale e antropo-logico forte e chiaramente orienta-to, che anche per formazione ideo-logico-letteraria conosce bene ilnesso tra memoria e utopia, fini-sce poi per scrivere – per necessità,emergenza, continuo stato d’ecce-zione – sempre e tutto al presente,quel presente che è per eccellenzail tempo della sua poesia. Scritti alpresente nel presente sono infattiquesti passaggi o sequenze poeti-che, a cui si può estendere la stes-sa denominazione di descrizioni inatto che si è richiamata prima, eche rappresenta, credo, la veraconfigurazione formale ed espres-siva di Roversi, quello che di piùsuo questo poeta ha posto sul piat-to della nostra poesia. La descrizio-ne in atto come sviluppo del riccoe pastoso poemetto della stagionedi «Officina» (Pasolini, Roversi, Le-onetti, Volponi, tutti con dietro Pa-scoli: sono quelli gli anni della rein-venzione della forma-poemetto),

come accelerazione ed esaspera-zione – anche qui è visibile l’im-printing sperimentale di Roversi –delle componenti di significazionediretta, nel tentativo di far deflagra-re il discorso poetico dall’interno,dalla situazione comunicativa im-mediata, quasi a voler compensa-re, non tanto per negarlo quantoper metterlo alla prova, il peso pre-determinato e sovrastrutturale del-l’ideologia.

Proprio per inseguire una de-nuncia il più manifesta possibile,tra Descrizioni in atto e il successi-vo Il Libro Paradiso la poesia di Ro-versi per circa un ventennio si è ste-sa sempre più in orizzontale, inuna specie di parossismo della visi-bilità dell’espressione. E in questapriorità del documento di per sébastante, la parola della sua poesiaha assottigliato perfino all’eccessoil suo spessore problematico, pro-ducendo come uno schiacciamen-to della scrittura sulla pagina. Cer-to per farsi più lampante, più pene-trante ed efficace. Il sacrosanto ri-sentimento storico-politico si è in-canalato talora in un discorso uni-laterale o univoco, la priorità delfatto visibile in uno sguardo a pri-ma vista. Come, soprattutto, senon si potesse far altro che vedere,e non anche ascoltare, «sentire».

Proprio con L’Italia sepolta sottola neve Roversi, senza peraltro rin-negare la propria linea di poesiacritica (il che significa anche di cri-tica della poesia), ha rilanciato lasua peculiare capacità di svolgi-mento poematico, inclusivo nonsolo di materiali espressivi diversi,ma anche di varietà di timbri e regi-

stri, d’aperture e dislivelli dellosguardo, d’incisività figurativa,con propensione alla rappresenta-zione visionaria e allegorica. Inquest’ultima parte del poema, poi,accanto alla storia affiora con for-za il sentimento del tempo, losguardo del poeta a se stesso e alproprio destino sull’isola-Palma-verde, un po’ naufrago scampatoal pericolo, un po’ prigioniero del-la sua stessa vocazione. Uno sguar-do non tanto introspettivo, però,ma di prospettiva, cioè volto, co-me sempre ma ora in modo anchediverso, attorno a sé, al di là di sé.Uno sguardo, ma anche più unascolto. Il monaco pazzo, il cammi-natore inamovibile, il lettore di Go-ethe, Hölderlin e Brecht, degli ereti-ci italiani, Campanella, Bruno oCampana, dalla sua cella stracitta-dina può sentire a questo punto ilsuono primo e ultimo della realtà,dentro a tutto, al di là di tutto.Quel suono che forse – dico soltan-to forse – può giustificare l’impe-gno, le scelte, la lotta. «Resto lì eascolto, l’Italia con la spada impol-verata e / senza filo al fianco. / Mifisso immobile ad ascoltare / impa-ro di nuovo il fascino del vento / lafrastagliata ebbrezza delle ondedei mari». Forse questo poeta chein fondo sembrerebbe votato altempo lungo della pazienza e al si-lenzio della contemplazione,avrebbe dovuto provare a scrivereun suo Divan, un libro di verità,giustizia, gioia e armonia. Ma lasua storia, la nostra storia – i versiche ho ricordato appartengono auna poesia sul ’77 –, almeno perora glielo ha impedito.

«Monaco pazzo», chiamava

Pasolini Roberto Roversi:

il quale oggi rivolge al Paese

questo canzoniere d’amore

incendiario, dove le memorie

divengono politica immediatezza

Gianriccardo Piccoli,«Shining», 2006

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (19

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■ PROMEMORIA PER MILANO, 5˚ MOVIMENTO: DA ALBERTINI ALLA MORATTI ■

Assessori, agenzie,galleristi: il sacco

BERSAGLII N L I B R E R I A

Le epifanie di Violodirettore della Bur

di Niccolò Scaffai

di Giovanni Agosti

Ai dieci anni – 1997-2006– della giunta milanese di destra,guidata da Gabriele Albertini, noncorrisponde un unico assessore allacultura: infatti nel 2005, quasi alla fi-ne del mandato, Salvatore Carrub-ba lascia l’incarico a fronte di taglidel bilancio ma anche di una limita-ta messa in opera dei tanti progettiannunciati. Che fine ha fatto, per fa-re solo un esempio, la Biblioteca Eu-ropea, in cui si favoleggiava avrebbe-ro preso posto circa un milione divolumi? E, cambiando di scala, chene è stato del concorso per la nuovasistemazione, al Castello Sforzesco,della Pietà Rondanini di Michelan-gelo? Le pratiche furono espletate;ci fu persino un vincitore nel 1999:l’architetto portoghese Alvaro Siza,classe 1933. Non sono storie soltan-to milanesi: nello stesso modo è an-data a Firenze con il giapponese Ara-ta Isozaki, classe 1931, che nel 1998aveva vinto regolarmente il concor-so per la costruzione di una nuovauscita per la Galleria degli Uffizi,una gigantesca pensilina affacciatasu piazza Castellani.

Sarà piuttosto da ragionare sullaMilano del 1952 che acquista – per170 milioni di allora, raccolti anchetramite una sottoscrizione popolare– l’ultima scultura di Michelangelo,posseduta a Roma, prima, dai mar-chesi Rondinini e, poi, dai Sanseve-rino Vimercati, e la fa sistemare, be-ne o male, in tempi brevissimi, daiBBPR e sulla Milano del Duemilache bandisce concorsi e convegniper mettere a punto una nuova col-locazione di quel capolavoro incom-piuto, senza approdare a nulla. Senon a una pulitura dell’opera cheoggi, bianchissima, stride con i mar-mi sporchi che le stanno vicini nellesale buie al piano terreno del Castel-lo Sforzesco e che – va detto una vol-ta per tutte – non sono ormai chel’ombra di quelle allestite nel 1956dallo studio BBPR (Banfi, Belgiojo-so, Peressutti, Rogers). Quel tipo dimuseografia, messa a punto alla lu-

ce dell’idealismo crociano e di unadecantazione formale dei valori figu-rativi, richiede una manutenzionecostante e non sopporta intromis-sioni: basta l’eliminazione di unabarriera architettonica o un cordo-ne di troppo o un distanziatore ogginecessario o un corpo illuminanteincongruo e l’equilibrio di una saladel genere va a farsi benedire. E cosìè successo a Milano. Un giro per laGenova incantata di Franco Albini,tra veneziane e tripoline, o la Vero-na cromatica di Carlo Scarpa, tra en-causti colorati e giochi d’acqua giap-ponesi, indica la fragilità di questimanufatti museali che lasciaronostupefatto, per eleganza e qualità,non solo il mondo degli studi.

La carica di Carrubba viene assun-ta, per l’ultimo segmento della se-conda giunta di Albertini(2005-2006), da un professore uni-versitario, insegnante di estetica, Ste-fano Zecchi, un allievo di Enzo Paci,noto al pubblico televisivo e autoredi tanti saggi e di parecchi romanzi,da Estasi a Sensualità, da Incantesi-mo a Amata per caso. Dei frutti diquella fine stagione, già segnata davistose difficoltà economiche, nonriesco però a farmi venire in mentenulla di preciso, tranne la mostra sul-la scultura lignea lombarda, dai Vi-sconti agli Sforza, che si tenne al Ca-stello Sforzesco: la manifestazionepiù seria che si fosse vista a Milanoda molto tempo, curata da GianniRomano e da Claudio Salsi, cioè dal massimo competente sull’argomento edal direttore delle raccolte civiche. Di certo non è invece un risultato di cui an-dare fieri la riapertura della Galleria d’Arte Moderna alla Villa Reale, che – senon sbaglio – avvenne in quel frangente: già si è detto, in una delle puntateprecedenti di questa cicalata, di come fosse ridicolo ribattezzare quell’edifi-cio «Villa Belgiojoso Bonaparte»; quanto al fatto di rinominarla, come avven-ne, «Museo dell’Ottocento», basta dire che tra quelle mura si conservanosplendidi De Pisis e splendidi Morandi, oltre a qualche Picasso. E infatti en-trambe le etichette, con carte intestate e loghi annessi e spese inevitabili, eb-bero vita breve, visto che, pur da poco, si è ritornati alle dizioni precedenti.Ma il risultato museografico non si può che continuare a stigmatizzarlo, tran-ne plaudire al fatto civile che il museo continua a essere gratuito, come perdecenni sono stati tutti i musei civici milanesi (non lo sono più dal 2004). Ten-de di fodera su bacchette d’ottone luccicante stonano con l’architettura neo-classica, mentre i colori delle pareti, scelti da chi ha poca confidenza con ipantoni, danno vita a una ridda di pugni negli occhi. Gli Scapigliati, da Cre-mona a Ranzoni, affogano in un mare rosso fuoco, ora che non hanno piùuna tappezzeria con cui ripararsi; idem dicasi per i giallo cromo e i blu notte,che – nei rivolgimenti conformisti della moda – sono stati impiegati al postodel prima onnipresente bianco. Nella Villa Reale sono assenti, quasi sempre,

i cartellini sotto le opere, sostituitida uno schema generale per le sale:neanche si trattasse di una casa mu-seo, neanche si avesse a che farecon sequenze di dipinti da manuale,la cui conoscenza è data per sconta-ta nel visitatore colto. Il risultato fina-le è, per gran parte delle sale, la tra-sformazione di un museo in una ca-va da cui attingere per i prestiti desti-nati alle infinite mostre sull’Ottocen-to italiano sparse ai quattro angolidel nostro paese. Ma chi ha avallatoscelte del genere?

L’inospitalità di Milano si misurabene, proprio per il decennio in que-stione, pensando alla vicenda delpiù grande regista teatrale italiano,Luca Ronconi, nato nel 1933, che dal1999 diventa – nell’ordine – diretto-re, direttore artistico, semplicemen-te consulente del Piccolo Teatro. Nel-la lunga stagione milanese, nono-stante la quantità di spettacoli pro-dotti, il lavoro di Ronconi non riescea segnare la vita culturale della città,se non con Infinities tra i capannonidella Bovisa; niente a che vedere in-somma con l’identità tra la propriacarriera di artista e il senso dell’istitu-

zione che Strehler aveva messo in at-to e che ha rappresentato, per decen-ni, un peculiar mark per Milano. Ladolorosa solitudine di Ronconi, allaguida creativa di un teatro provvistodi tre sale e di tantissimo pubblico, èun segno dello scollamento tra laproduzione culturale e la città. Nonriescono a forare la cortina di indiffe-renza gli spettacoli di chi ha pur da-to alla storia del teatro, e forse non aquella solo, l’Orlando Furioso o leBaccanti, la Torre o Ignorabimus,per attingere unicamente ai ricordigiovanili di chi scrive.

Si arriva in queste condizioni alleelezioni del maggio 2006, dove an-cora una volta le forze della destravincono e il sindaco di Milano di-venta Letizia Moratti, ex presidentedella Rai ed ex ministro della pubbli-ca istruzione durante uno dei gover-ni Berlusconi; l’assessore alla cultu-ra, ad apertura di mandato, è l’allo-ra cinquantacinquenne VittorioSgarbi. Laureato in filosofia e specia-lizzato in storia dell’arte, ha allespalle una produzione editoriale tor-renziale e una lunga carriera politi-ca: è stato più volte deputato per ilpartito di Berlusconi e, per due an-ni, sottosegretario nel secondo go-verno gestito dallo stesso uomo poli-tico. La fama televisiva di Sgarbi e ilvariopinto ambiente che lo circon-da esercitano un fascino su ammini-stratori pubblici di ogni colore; piùvolte la rossa Mantova lo aveva vi-sto protagonista di esposizioni mes-se in atto tramite società di serviziche si sovrapponevano alle struttu-re pubbliche preposte all’organizza-zione delle mostre. Idem dicasi aSiena. Così, a memoria: Tekne, Arte-matica, Arthemisia... A quest’ultimaagenzia si deve l’involontaria antro-pologia dei gusti medi dei letteratiitaliani messa in atto nel padiglioneItalia dell’attuale Biennale di Vene-zia. E forse da parte di intellettualiinvitati così in massa qualche «no,grazie», «sarà per un’altra volta»,«non mi intendo di arte contempo-ranea» anche qui non sarebbe statomale; inutile lamentarsi poi per illatte versato.

Quel ritratto e Francis BaconA lungo la società a cui Sgarbi si ap-poggiava è stata la Tekne di GilbertoAlgranti, un personaggio non trascu-rabile, dalle molte vite e dalla nonscarsa incidenza sulla vita culturale,o almeno artistica, milanese. Il galle-rista Algranti infatti è stato tra i re-sponsabili dell’approdo nel cortiledi un condominio in viale Sabotino,nel 1996, del ritratto di Innocenzo Xdi Velázquez della collezione DoriaPamphili: proprio quel portento del-la pittura, che Francis Bacon non eb-be mai il coraggio di studiare dal ve-ro a Roma, pur essendone stato cosìterribilmente pitonato. Nessuno cre-deva che l’originale fosse esposto inquel luogo, a Milano. In viale Saboti-no ho avuto netta la sensazione – inseguito più volte riprovata – che ilmondo si fosse capovolto; di lì a po-co infatti in quel cortile si sarebberotenute, se la mia memoria non falla,una mostra su Asterix e una sulle co-pertine dei Gialli Mondadori. Tuttoquesto solo per evocare i poteri fuo-ri del comune di Algranti. E del restonello stesso luogo, complici le So-printendenze, arrivava nel 2002 laFornarina di Raffaello. Ma perché lì,

Sembra quasi impossibile che laBUR – Biblioteca Universale Rizzoli– sia nata in Italia, uno dei paesieuropei in cui il numero dei lettoriè più basso e una percentualesconfortante di cittadini dichiara dinon leggere nemmeno un libroall’anno. Nata due volte, anzi, conla capacità di risorgere dalle pro-prie ceneri e di rinnovarsi tantocome sede autorevole per le edizio-ni di testi canonici (penso peresempio alla collaborazione recen-temente istituita con l’Associazionedegli Italianisti per i commenti aiclassici italiani), quanto come vei-colo di proposte attuali e militanti,tra le quali, alla fine del 2009, l’al-manacco dedicato alla Resistenzadel classico. Un titolo che potrebbeessere scelto come insegna dell’in-tera storia della BUR: non solo per-ché le edizioni dei classici latini egreci sono uno dei punti di forzadella collana (alzi la mano, almenotra i letterati, chi non ha avuto ache fare con quei libri, a scuola esoprattutto all’università, da unaparte o dall’altra della cattedra);ma anche perché la dignità del pro-getto e la solidità del catalogo han-no fatto della BUR vecchia e nuovauna di quelle risorse che garanti-scono la continuità di una culturaanche nei periodi meno favorevoli.Il primo libro pubblicato nella BUR(1949) fu I promessi sposi (300lire, 50 ogni cento pagine), cui se-guirono negli anni più di 900 titoliantichi e moderni. Quella primaserie, con la copertina grigia e unpo’ austera per gli standard odier-ni, offrì a molti l’occasione di farsiuna biblioteca privata di tutto ri-spetto (oggi si direbbe, con formu-la abusata e un po’ compromessa,che «entrò nelle case degli italia-ni»), prima che altre collane, tratutte gli «Oscar» di Mondadori, neriprendessero la formula con diver-si mezzi. La «vecchia» BUR, adoratae rimpianta persino da chi verosi-milmente non fece in tempo acomprarne nemmeno un volume,chiuse nel 1972. Ma appena unanno dopo fu inaugurata la nuovaserie, meno pionieristica e più cura-ta della precedente, sia sul pianoscientifico che su quello grafico(grazie alle copertine di John Al-corn). Prima uscita, Le confessionidi Sant’Agostino.Il principale artefice della fortunadella nuova BUR è stato EvaldoViolo, sotto la cui trentennale dire-zione la collana si è (ri)affermata eha prosperato. Nessuno meglio dilui, dunque, potrebbe raccontare lastoria della sua gloriosa collana,affidata a una lunga intervista cheViolo ha concesso al poeta e tradut-tore Marco Vitale: Ah, la vecchia Bur!Storie di libri e di editori (EdizioniUnicopli, pp. 186, € 14,00).Nato nel 1934, cresciuto tra Pado-va e Milano, dove ha studiato filo-sofia laureandosi con Enzo Paci,Evaldo Violo ha cominciato a lavo-rare nell’editoria già dal 1966, allaRizzoli del vecchio Angelo. Da sem-plice lettore e correttore, gli tocca-no all’inizio i volumi meno eletti;ma i complimenti del caporedatto-re non tardano a raggiungere ilgiovane collaboratore, che sa co-me si scrivono termini allora evi-dentemente non ovvi in terra lom-barda: «Hai ragione, pasta all’ama-triciana si scrive con la a. Bravo, sivede che tu hai la stoffa del redat-

tore. Continua così». Passato alSaggiatore di Alberto Mondadori,da poco emancipatosi dalla casamadre, e poi agli «Oscar», Violoritorna in Rizzoli nel 1973, proprioalla guida della nuova BUR chediventerà con lui quasi una casaeditrice autonoma, con un catalo-go articolato in diverse sottocolla-ne e un’attenzione al contempora-neo parallela a quella storica per iclassici.Il mestiere Violo l’ha imparato an-che grazie agli incontri con alcunefigure cruciali dell’editoria italianadel Novecento: da Mario Spagnol aVittorio Sereni, da Giampaolo Dos-sena a Enrico Filippini. Né sonomancate, nella sua carriera, quelleche lo stesso Violo definisce‘epifanie’: «Un giorno vidi passarenel nostro corridoio un signore an-ziano avvolto in un ricco cappottodi cammello che camminava lenta-mente, molto lentamente: era Eu-genio Montale». Oggi Violo è consu-lente editoriale di Nino Aragno,non a caso uno degli editori con uncatalogo letterario tra i più vivaci.Sono molti gli aneddoti che l’inter-vista riporta e che restituisconol’immagine di un uomo colto e iro-nico, giustamente orgoglioso del-l’alto artigianato culturale realizza-to insieme e talvolta nonostante gliintellettuali: penso per esempio alricordo pungente su Oriana Fallaci,di cui Violo non nasconde le asperi-tà caratteriali senza per questo smi-nuirne la consistenza professiona-le. Dal canto suo, Marco Vitale èbravo a sollecitare l’intervistatolasciandolo rispondere liberamen-te o anche divagare, per riprendereil filo se necessario; e lo è anchenel mantenere quasi sempre lagiusta distanza, mostrandosi parte-cipe (Vitale è stato anche un colla-boratore della BUR di Violo) senzale eccessive confidenze o complici-tà che avrebbero potuto escludereil lettore.Forse anche perché il dialogo nonillustra solo gli ingredienti della‘cucina’ editoriale (che sono co-munque un aspetto notevole dellibro), né si ferma solo sulla biogra-fia dell’intervistato. La chiarezza, lavolontà di spiegare che caratterizza-no le risposte mettono spesso inluce la ragion d’essere dell’intervi-sta, che consiste nella relazioneprofonda tra i libri letti, pensati,pubblicati e le circostanze storiche,politiche e socio-economiche cheli motivano e li rendono perfinonecessari. Anche come forma direazione o, appunto, di resistenzaa quelle circostanze. L’esempiomigliore è un incontro che EvaldoViolo fece nel 1986, durante unviaggio in Unione Sovietica dove loaveva condotto il progetto di pub-blicazione delle opere teatrali diBulgakov. A Mosca, Violo andò atrovare Cecilia Kin, grande conosci-trice della letteratura italiana, chegli raccontò di come avesse persoil marito nelle carceri staliniane e ilfiglio, cresciuto con il desiderio diemendare le ‘colpe’ del padre, nel-la seconda guerra mondiale. «Do-po il terribile racconto» ricorda Vio-lo «ebbi la sensazione che il suointeresse smodato e pantagruelicoper tutto ciò che riguardava la cul-tura italiana fosse una specie dinepente per dimenticare le tremen-de vicende di quella tragedia siapersonale che collettiva».

A partire dal 1997

si fa sempre

più pressante,

intorno ai luoghi

storici milanesi

e alle opere d’arte,

la presenza

di agenti «estranei»

che danno vita

a iniziative

improvvide

senza alcun

argine civile

(le soprintendenze

dormono).

E così Velázquez

finisce

in un condominio

di viale Sabotino...

In grande, la «Pietà Rondanini» al Castello Sforzesco, nella sistemazionestorica dei BBPR. In basso, a colori, l’«Innocenzo X» di Velázquez

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in uno stabile qualunque, sulla cir-convallazione, e non in una sala diBrera? Tanto più che il quadro diRaffaello, normalmente esposto inPalazzo Barberini a Roma, è di pro-prietà statale. Il punctum dolens del-la situazione è sempre lo stesso:qualcuno autorizza le imprese appa-rentemente più assurde, perché – tiripete – sono il male minore e sonoimposte dall’alto. E così, passo do-po passo, si è arrivati al punto in cuisiamo. Solo un ricordo dal mio per-sonale cahier des doléances: quan-do si trattò nel 2008 di allestire alLouvre la mostra di Mantegna pres-soché tutti i prestiti richiesti ci furo-no concessi, con l’eccezione del SanGiorgio delle Gallerie dell’Accade-

mia di Venezia, una tavola di cm 66x 32 che tra il 2004 e il 2005 era stataspedita a Mosca, al Museo Puskin, ea Roma, alle Scuderie del Quirinale,per l’esposizione Da Giotto a Male-vic. La reciproca meraviglia che san-civa gli accordi economici e diplo-matici tra l’Italia di Berlusconi e laRussia di Putin: supposte ragioni diconservazione ne impedirono il pre-stito a Parigi, a una mostra monogra-fica dedicata al pittore rinascimenta-le; eppure nel 2009 il quadro di Man-tegna è stato prestato a Roma allamostra Il Potere e la Grazia. I SantiPatroni d’Europa, il cui titolo è giàtutto un programma. Quella paratadi immagini sacre del passato nei sa-loni abbuiati di Palazzo Venezia, riu-

nite con il fine di mostrare le radicicristiane dell’Europa, era lo sfondoper una riunione tra Berlusconi enugoli di autorità ecclesiastiche, apartire dal segretario di stato vatica-no Tarcisio Bertone. Manifestazionidel genere si svolgono perché accan-to a chi le pensa e ne ha bisogno permotivi che nulla hanno a che farecon gli studi c’è chi materialmentele mette in pratica e stila testi scienti-fici o considerati tali. Salvo poi ver-gognarsene e definirli, tra amici,«marchette».

Lo sbarco a Milano di Sgarbi investe di assessore avviene anche inseguito al ritiro della propria candi-datura a sindaco della città; è fruttocioè di un baratto con la Moratti.

Già prima di assumere quella caricaera stato proprio Sgarbi, nel 2005, acurare un’ampia rassegna su Cara-vaggio e sui caravaggeschi, italianied europei, in Palazzo Reale: a pre-scindere dalla portata scientifica del-la manifestazione, si può constatareche la mostra era prevista in due se-di, Milano e Vienna, dove sarebbestata ospitata – dal 5 marzo al 9 lu-glio 2006 – nel palazzo del principedi Liechtenstein. Ma, che io sappia,nella seconda sede non approdòmai. Perché? Qualcosa evidente-mente nella macchina, si fa per dire,organizzativa non funzionò a dove-re. È stato uno dei tanti segni dell’in-capacità di Milano di mettere a pun-to manifestazioni importanti condi-

vise con altre grandi istituzioni euro-pee o americane; piuttosto vigonoqui produzioni autarchiche, pensa-te in fretta e realizzate ancora più infretta, sui tempi spiccioli della politi-ca, o prodotti importati a pacchettodalle società di servizio in combuttacon gli editori. Il treno si era già per-so da tempo, almeno fin da quandola mostra Seicento. Le siècle de Cara-vage dans les collections françaisesnon era arrivata a Milano, nonostan-te il frontespizio del catalogo regi-strasse, sotto «Galerie nationales duGrand Palais, Paris», un «Palazzo Re-ale, Milan»: era il 1989 e quella para-ta di capolavori, frutto di un bene-merito censimento territoriale, nonfu visibile in Italia; qualcuno a Mila-

no fece saltare l’accordo previsto datempo perché per ragioni di conser-vazione la Flagellazione di Caravag-gio del museo di Rouen non sareb-be potuta venire: e quindi non vale-va la pena presentare la mostra; po-co valevano Baciccio, Cagnacci, Cai-ro, Carracci, Cortona, Gentileschi,Guercino, Maratta, Reni, Saraceni....

I quotidiani locali per mesi, tra il2006 e il 2007, hanno raccontato del-le frizioni tra sindaco e assessore inmerito a iniziative culturali rivoltesoprattutto all’arte contemporanea:dalla rassegna dei graffitisti al PAC auna mostra sui rapporti tra l’arte el’omosessualità nel disgraziato Pa-lazzo della Ragione (dove ancoranon si è vista un’iniziativa a livellodi quel monumento del medioevoitaliano, sulla cui facciata giace di-menticato l’antelamico Oldrado daTresseno, mentre all’interno arrediin verde malachite stavano a testi-moniare un restauro raccapriccian-te del passato recente). Le discussio-ni vertevano su questioni di princi-pio, dimenticando le ragioni di qua-lità, in una confusione delle ideeche vedeva parte dell’opposizionealleata con Sgarbi, alla difesa di unacinica esaltazione giovanilistica dichi dipinge i muri con gli spray o diun non meno cinico fiancheggia-mento delle istanze omosessuali.Dietro entrambi i fronti si agitava laconquista di fasce di mercato, nonla ricostruzione storica dei fenome-ni: l’arrembaggio ai temi, non la ri-flessione critica. Sarà proprio con lamostra sull’omosessualità, dove ac-canto a Warhol o a Nan Goldin sta-vano vere porcherie, che nel 2007 siinfransero i rapporti tra sindaco eassessore, pronti a riannodarsi peròin vista di altre occasioni elettorali edi nuovo usando le mostre d’arte co-me merce di scambio. Come dimen-ticare l’esposizione al Museo Dioce-sano, chiusa da pochi giorni, dedica-ta alla formazione lombarda di Ca-ravaggio nelle cui confuse sale – mamemorabile era quella dedicata adAntonio Campi con grandi pale tut-te notturne – Sgarbi e la Moratti fa-cevano la pace sotto lo sguardo be-nevolo di Silvio Berlusconi?

Comparsate e couriershipDi fronte a tutto questo da parte delComune lo Stato, nella figura delleSoprintendenze, cioè degli organipreposti alla tutela delle opere d’ar-te, non è stato in grado di rappresen-tare a Milano una sponda adeguatadi resistenza. Le ragioni sono molte-plici, non ultima il progressivo logo-ramento dei funzionari, sempre piùvecchi, sempre più privi di entusia-smo e di mezzi e inclini, in parecchicasi, alla ricerca del quieto vivere. Oin grado di accontentarsi delle offedi visibilità rappresentate da com-parsate in cataloghi e convegni: qual-che scheda, qualche saggio, qualchecouriership (cioè qualche soggiornogratuito per scortare le opere d’artedi qua o di là per il mondo). E poinon mancavano le lezioni dall’alto,dai capiufficio. Proprio la soprinten-dente di Milano nel 2005 scriveval’introduzione per il catalogo di unantiquario di Parigi che metteva invendita una tavola cinquecentescacon il Compianto su Cristo morto ri-ferita al Bramantino, cioè al più gran-de pittore lombardo del Rinascimen-to: un intero volume scritto da un exfunzionario di Soprintendenza pas-sato da poco a insegnare all’Univer-sità. Non mi ricordo che fin lì si fos-sero visti comportamenti del gene-re. E, ai fini di questo discorso, pocoimporta che il quadro sia una copiaantica e non un originale: serve soload aggiungere al danno la beffa. Re-sta che dimostrazioni di spregiudica-tezza del genere a me, e spero nonsolo a me, non piacciono. E adesso,di là me la richiedono, viene la voltadella Favola di Brera.

5-continua

ALIAS N. 27 - 9 LUGLIO 2011 (21

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■ «IL PESO DEL TEMPO», I RACCONTI DEL TEDESCO LUTZ SEILER ■

Lo sfaldamentodi un’infanzia Ddr

di Stefano Zangrando

Vi è un certo ardimentonel proporre, come ha fatto l’edito-re Del Vecchio, una collana dedica-ta alle short stories a un pubblico co-me quello italiano. Pure i buoni esi-ti continuano a non mancare unpo’ ovunque, come dimostra il pri-mo nato di questa «collana raccon-ti», Il peso del tempo (trad. di Pao-la Del Zoppo, pp. 232, € 15,00) delloscrittore tedesco Lutz Seiler. Il tito-lo è un lieve, felice scostamento dal-l’originale: la Zeitwaage, alla lettera«bilancia del tempo», è il cronocom-paratore, uno strumento che ampli-fica il ticchettio dell’orologio per ri-levarne le aritmie. Si tratta dunquedi misurare il tempo, di «pesarlo»appunto, di vagliare cioè, fuor dimetafora, le irregolarità, le sfasatu-re, le incongruenze esistenziali do-vute in primo luogo al congedo sto-rico dalla RDT, ma che nascono inrealtà da un sostrato più personale,da una pena variamente incarnata.

L’autore, nato nel 1963 a Gera, inTuringia, da una famiglia proletariae con un passato da muratore e fale-

gname, si era fatto conoscere so-prattutto come poeta e saggista, fin-ché nel 2007 aveva vinto il premioIngeborg Bachmann con un raccon-to, Tuksib, poi confluito in questaprima raccolta. Vi si narra del viag-gio in treno in Kazakistan – un viag-gio ufficiale, con interprete al segui-to – di una recluta dell’esercito tede-sco-orientale, un giovane insepara-bile dal contatore Geiger che na-sconde nel taschino. Non è forse iltesto più adatto a esemplificarel’estetica complessiva dell’opera,orientato com’è a una rappresenta-zione assai grottesca e claustrofobi-ca, il cui culmine memorabile è nel-l’incontro finale con il fiero e mar-ziale fuochista kazako tutto preso aintonare con il suo pesante accentoi primi versi della Lorelei di Heine,la più celebre romanza tedesca.Con gli altri testi della raccolta que-sto racconto condivide del resto lavocazione memoriale, autobiografi-ca e antispettacolare, per cui tutto ècondotto da una narrazione lenta eprecisa, «morosa» per dirla con ilGoethe teorico del romanzo, capa-ce di fondere azioni e descrizioni,forma e ricordo in un dettato di stra-ordinaria densità, in una sorta di so-spensione temporale che tuttavia

non pregiudica il ritmo narrativo eche, insomma, è tutt’altro che noio-sa. Seiler ha infatti la capacità di av-volgere il lettore in questo naboko-viano «paradiso di dettagli», per cre-are il quale egli attinge senz’altro al-le proprie qualità di poeta.

Vi è poi un tratto comune ai variprotagonisti di queste storie, ed èun grumo insolubile di malinconiae senso di colpa, l’attitudine riflessi-va e dolente di un personaggio cuiil senso delle cose pare sfuggire o,nella migliore delle ipotesi, svelarsiin un tempo ormai trascorso. Diqui il disadattamento e l’inettitudi-ne che contraddistinguono adesempio il Färber dei primi due rac-conti, gli unici ambientati fuori dal-la Germania. Frank vive l’inizio diuna crisi coniugale – la stessa chepervade di un muto dolore altrisuoi simili in alcuni racconti suc-cessivi – durante un viaggio negliStati Uniti, visitati per la prima vol-

ta. L’uomo è prostrato dal senso diun fallimento imminente e la narra-zione ne segue a distanza ravvicina-ta lo sfaldamento percettivo. Così,se nel primo testo la trama si ridu-ce all’attesa di entrare in un risto-rante lontano da casa, mentre a ungabbiano incastrato in un secchio-ne tocca assolvere una triste funzio-ne simbolica, nel secondo questavena analogica si estende all’incon-tro surreale con un improbabilesciamano di strada, un «soffiatoredi anime» che, grazie a un ingom-brante macchinario, produce enor-mi bolle di sapone contenenti, adir suo, gli spiriti di chissà qualiavi. La poesia di Seiler raggiungequi un apice quando, di fronte allafiglioletta scelta come cavia del ri-to-show culminante e avvolta or-mai in una grande bolla che ne con-fonde l’immagine, l’apatico prota-gonista asseconda maldestro un re-siduo impulso di ribellione: «in

quel momento Färber vide se stes-so: un riflesso grottesco, una stri-scia nell’oleoso specchio degli ante-nati, la cui essenza si era coperta,come impura o deteriorata, di mac-chie scure. Sulla pellicola di sapo-ne Färber era completamente solo;era invecchiato e aveva i tratti dellamadre, e qualcosa non quadravacon la prospettiva: si restrinse, con-fluì, concavo-convesso, gli passòper la testa, ma le sue conoscenze scolastiche non lo raggiun-gevano più. Le sue mani, già simili a quelle di un folletto, siagitavano per aria, completamente impotenti e sperdute. De-vo rompere la bolla azteca, era il suo unico pensiero; in predaal panico, con entrambe le braccia in avanti, Färber assalì lospecchio untuoso e sparì».

I racconti centrali hanno come ambientazione ricorrente laprovincia tedesca orientale nei decenni precedenti il crollo delMuro, e il mondo rievocato è quello dell’infanzia e della giovi-nezza. Il bacio sul cappuccio narra i turbamenti di uno scolaro«diverso», esplorandone la solitudine e gli affetti in un ambien-te dalle tinte grigie, a tratti cupo e violento; Il merlo della colpatorna su questo sentimento dominante attraverso la vicenda

di un merlo ferito e lasciato morireper sbaglio da un ragazzino segna-to da un’innocente sbadataggine; Ilbalbuziente porta il tipo del giovaneprotagonista sulla soglia della pu-bertà, inscenando la sua scelta in-consapevole di un nuovo riferimen-to adulto, di un primo modello ex-tra-parentale; e sempre la narrazio-ne è accompagnata da una profon-da cognizione letteraria, umana eambientale, che calibra ogni singo-la parola e scava nei temi e nei pae-saggi che tratta, fino a esaurirne,pur con un’allusività a tratti estre-ma, il potenziale poetico e di verità:come se più a fondo, in quell’anam-nesi, non si potesse andare.

L’espressione compiuta di que-sta poetica, dopo l’intermezzo po-co meno che visionario de Le ablu-zioni serali, in cui assistiamo allamorte assurda di un aspirante scrit-tore atterrato da una botta in fron-te, è nella «Trilogia degli scacchi».Se il primo dei tre racconti funge daraccordo con il tema della fine del-l’infanzia, e il terzo tenta un ricon-giungimento postumo lasciandoche sia la voce del padre a ripercor-rere la propria passione per il gioco,è però nel secondo, dedicato a unamore al tempo dell’università, cheemerge l’imperativo profondo dellaprosa di Seiler. Ripartito su diversidecenni, il ricordo di Gavroche – co-sì battezzata da un compagno distudi per una qualche somiglianzacon l’omonimo personaggio dei Mi-serabili –, del suo daimon scacchisti-co e della sua incantevole vitalità,approda alla scoperta costernatadella sua morte recente da parte del-l’autore, ormai tutt’uno con la vocenarrante. Seguiamo allora il raccon-to nel suo stesso farsi, e il narratorenel suo tentativo tardivo di salvareciò che resta: «era solo importantenon falsificare nulla, non inventarenulla, o comunque non far prende-re il sopravento all’invenzione, chedeve servire a rendere più esattociò che si vuole raccontare... dove-vo trovare un modo per accomiatar-mi, una pietra sepolcrale».

Alla luce di quest’intenzione, ilracconto che conclude la raccoltae dà il titolo al volume è anche, osoprattutto, la narrazione definiti-va di un destino: un destino «mino-re», tuttavia, se la nascita delloscrittore coincide con la morte del-l’operaio berlinese che, ritratto co-me un eroe epico, pareva incarna-re agli occhi dell’uomo spezzatoun’impossibile pienezza di vita, pa-drona di sé e del proprio mondo:«avvertivo l’inoppugnabilità, la cer-tezza priva di dubbi del suo “esse-re”... I suoi gesti mi apparivano pu-ri e compiuti». Ben diverso, e nonprivo di un ambiguo disprezzo disé, è l’appellativo di «sognatore»che il narratore riserva a se stesso,benché a conti fatti sia proprio que-sto ad avergli permesso di rinasce-re, trovando la strada che lo avreb-be portato, anni dopo, a pesare, amisurare quel tempo: a ripensarloquindi, a «ponderarne» lo scorrereineluttabile entro un processo dismarrimento storico e individuale.

Colata dopo colata d’asfalto, tuttala lunga pista che dall’industrialeChicago scendeva arzigogolandoincerta a sud fino a svoltare im-provvisamente a ovest per punta-re decisa in direzione del Pacificoe andare a morire sulla spiaggiadi Santa Monica, fu ricoperta, ce-lando le tracce lasciate dai carridei pionieri dell’epopea. Fu battez-zata Route 66 la prima grandepasserella che doveva celebrare iltrionfo dell’automobile, inaugura-ta con enfasi nel 1926. Bastò unamanciata di anni perché quella«festa» finisse. Quando John Stein-beck ne percorse ampi tratti aglialbori del decennio successivoera già cominciata un’altra epo-pea, quella degli Okies della Gran-de Depressione. La ribattezzò«Mother Road», non solo perchéera la prima di tutte le grandi stra-de d’America, ma soprattutto per-ché nel suo grembo si rituffavanoi reietti provenienti da nord e daest per resettare la loro vita e pro-vare ad andare a rinascere conpiù fortuna nella Terra Promessa,che come da manuale mitologicostava sempre a ovest. Lo scrittoreintitolò The Grapes of Wrath ilfrutto letterario di quel suo tampi-namento di anime vagabonde,che nella traduzione italiana fu,più semplicemente, Furore e dalquale John Ford trasse un filmche non sfigurò nei confronti delromanzo. Contemporaneamente,su quella stessa strada lungo laquale famiglie di migranti si spo-stavano come tribù in un esodobiblico c’era Woodie Guthrie, chele stesse storie raccoglieva perrestituirle in forma di ballate. Let-teratura, cinema e musica: suquell’infinito nastro d’asfalto incui si incrociano operai e disoccu-pati, hobos e reduci di guerra, fuo-rilegge e sognatori prendono con-sistenza, fino a diventare indistrut-tibili, le radici della highway cultu-re americana, sopravvivente an-che alla decadenza della Route66, caduta in stato d’abbandononegli anni sessanta e rimpiazzatada highway più scorrevoli fino aessere ufficialmente decertificatae cancellata dalle mappe stradali.Le percorrono tutte le altre impor-tanti arterie che tagliano gli Statesin ogni direzione attraversando ipiù variegati scenari undici autorivagabondi reclutati dalla LonelyPlanet. «99 itinerari tematici tra ipiù belli del paese» sono seziona-ti, indagati e svelati in ogni detta-glio, evocazioni comprese, in StatiUniti on the road (Edt, pp. 704, €28,00). East e West Coast, foreste,grandi fiumi, deserti, montagne,canyon, praterie, istruzioni perl’uso lungo ogni percorso e digres-sioni in luoghi limitrofi dove me-glio prendono corpo le suggestio-ni raccolte strada facendo. Storiae società, indiani e cowboy, pio-nieri e guerra di secessione, mo-tel e stazioni di servizio, arte eletteratura, cinema e musica, per-sonaggi leggendari. Noblesse obli-ge, è la Route 66, la madre di tut-te le strade, a inaugurare il viag-gio, tornata percorribile dopol’oblio, ridotata di segnaletica eripopolata nelle cittadine che sem-bravano set cinematografici ederano diventate ghost-town, im-perdibile museo a cielo apertodei simboli e dei miti americani.

VAGABONDINGL I B R I E V I A G G I

LA ROUTE 66E LE ALTRE: GLI USAIN 99 ITINERARIdi Roberto Duiz

Pesare il tempo significa, per questo poeta di Turingia

classe 1963, vagliare le sfasature e le incongruenze esistenziali

provocate dal congedo storico dalla Germania Est: una scrittura

che fonde con lentezza e precisione azioni e descrizioni

David Schnell, «Teich», 2007, Berlino, collezione privata

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■ IL «DIARIO DI GUERRA» 1944-’45 DA ADELPHI ■

La più bella delle primavere

BERSAGLIG L I A U S T R I A C I

Il bambino perduto, l’assente:Peter Handke

di Stefano Gallerani

«È la pace!». Queste fresche pagini giovanili,

tradotte per la prima volta, ci restituiscono

una Ingeborg Bachmann protesa alla letteratura

e interiormente già del tutto indipendente

«Forse Handke è un narratore unpo’ aberrante, un lirico che perlo-più scrive romanzi perché nellalirica la parola uscirebbe troppoallo scoperto e dovrebbe essereabbastanza violenta da esorcizza-re il vuoto che circonda il verso, eHandke nella parola teme, si sa,tanto l’inoffensività che la violen-za. O al contrario: scrive perlopiùromanzi perché gli stati lirici del-l’ovvio, sporadici, improvvisi – co-me sono certe ore fatate delladonna mancina, in casa, la notte,un bicchiere d’acqua in mano, ilsilenzio e fuori le stelle – risaltanomeglio nel continuo pacato dellaprosa». Con queste parole AnnaMaria Carpi accompagnava, nel1979, la versione a sua cura de Ladonna mancina (1975), uno deitesti centrali del secondo decen-nio creativo dello scrittore di Grif-fen (quello che seguiva il cubi-smo de I calabroni e si chiudevacol cromatismo stifteriano de Neicolori del giorno); e lo facevaschierandosi, tra i lettori di Han-dke, nel novero dei perplessi, ab-bagliata e, allo stesso modo, irrita-ta dal carattere precipuo di unascrittura tersa e tesa ai limiti delsopportabile: «quell’ineffabile cheappare ora soltanto un’emozioneora l’unica verità». Pure, più ditrent’anni dopo, e al di là della«polemica su Handke» (incom-prensibile per l’attuale status quodella letteratura), questa appareancora l’unica chiave d’accessoalla sua opera, col tempo rarefatta-si nella densa fluidità dei procedi-menti diaristici che già allora simodellavano (Il peso del mondo,del ’77) o nella fantastica enigma-ticità di narrazioni sempre più soli-tarie e irrelate (Il cinese del dolo-re, del 1983, o Il mio anno nellabaia di nessuno, del 1994). Comea voler sparire nella pagina e inuna parola che rifiutano la solenni-tà delle immagini memorabili manon si sottraggono alla cristallizza-zione del paesaggio, Handke èandato inesorabilmente dissacran-do nuclei di senso e equivoci con-tenutistici, rifugiandosi in una ma-niera paradossale (fideistica e pri-mitiva) che non ha mancato d’es-ser letta, psicoanaliticamente, co-me niente altro che la cattiva co-scienza di ogni avanguardia.E però, il giovane zazzeruto chesul finire degli anni sessanta insul-tava il pubblico e s’augurava divivere da scrittore piuttosto cheesserlo, sembra sempre aver scar-tato qualsiasi attestazione critica,vigile e al contempo estraneo (o,meglio, straniato) rispetto agliesiti della sua indagine (che resta,per inciso, una delle più ricche dispunti degli ultimi decenni, quasifosse la traccia d’una specie diartista in via di estinzione). Impe-gnatosi da par suo, ovvero ellittica-mente, in forme impreviste di vive-re civico (per quanto, cioè, si evin-ce dai suoi «reportage» politici),l’autore di Infelicità senza deside-ri e Falso movimento non hasmesso di scrivere romanzi: il pe-nultimo, Don Giovanni (racconta-to da lui stesso) data 2004, l’ulti-mo, appena tradotto in italiano,La montagna di sale (a cura di Clau-dio Groff, Garzanti, «Narratori mo-derni», pp. 103, € 15,00), è di treanni successivo. In entrambi, seb-bene nella diversità di registro e

riferimenti, a sorprendere è la pre-senza assente di una voce narran-te che troppo banalmente potrem-mo identificare con quella del nar-ratore in prima persona (una for-ma che lo stesso Handke sembraaver esautorato e depotenziatoproprio dal momento che l’haassunta come categoria dello spiri-to); non stupisce, invece, l’am-bientazione fantastica, così pedis-sequamente oggettiva e reale darisultare più che artificiosa: simbo-lica, appunto. Ma allora, chi è dav-vero che parla ne La montagna disale? E a cosa alludono i simboliche costellano ogni breve lassa diquesta favola-romanzo?A volerne ricostruire la trama –con l’aiuto, anche, del risvolto dicopertina – potremmo accettareper buone queste righe riguardol’avventura notturna della protago-nista di Kali – Eine Vorwinterge-schichte (così in originale): «Ladonna è tornata solo per rivedereun’ultima volta sua madre, maappena comincia ad aggirarsi perle strette viuzze di pietra si rendeconto che quello non è più il luo-go sereno e gioioso dei suoi ricor-di. Perché tutti i bambini sonoscomparsi, svaniti nel nulla in-ghiottiti dalla montagna di sale edal triste destino che affligge colo-ro che vi si avvicinano». Per scru-polo di chiarezza, la donna è unafamosa cantante lirica e le viuzzepietrose sono quelle del suo pae-se d’origine, ma come sempre inHandke (e a maggior ragione neisuoi titoli degli anni novanta) ci siaccorge presto che un’interpreta-zione simbolica palese (la scom-parsa dei bambini come perditadell’innocenza e la loro ricercacome itinerario per gradi verso lariappropriazione di sé) non è senon incongrua, e deve gioco forzalasciare il passo a una metafisicapiù profonda e tangente, in osse-quio al ritmo pacato e lento che ilromanzo-racconto di Handke im-pone trattando di pochissimo e ditutto. Circonfuso di nebbia, popo-lato da personaggi fiabeschi e co-stellato di boschi, sentieri e decli-vi, l’ambiente de La montagna disale non è meno realistico di quel-lo borghese de La donna manci-na e, come quello, di tale intensi-tà e legatezza di realizzazione cheogni figura dismette infine i propricaratteri, come un attore che lava-tosi il trucco diventi niente. Così ildestino della cantante, che ha ildono di trovare ciò che si è persomeglio di chiunque altro, diventail destino di nessuno e di ciascu-no; e non bisogna aspettare mol-to perché si insinui il sospetto chela voce che narra la sua storia,come osservandola da una posta-zione riservata e prossima, sia pro-prio quella di colui che manca,l’assente, il bambino perduto – oquanto questo rappresenta – masenza raggiri strutturali: così, sem-plicemente, perché dopotutto Pe-ter Handke non parla che del no-stro esistere circondati d’altri esi-stenti; perché «della sventura chearrechiamo con il nostro sempliceessere qui non abbiamo colpa.Non sono più i tori cattivi, conintenzione, già nell’istinto, a calpe-stare, infilzare, squarciare, bensì ibuoi odierni dallo sguardo fisso,irrisolti, inconsapevoli, peggio an-cora: ignari».

di Cecilia Bello Minciacchi

«Bientôt nous plonge-rons dans le froides ténèbres; /Adieu, vive clarté...». A questi versidel Chant d’Automne di Baudelai-re tornava Ingeborg Bachmann ap-pena diciottenne quando gli allea-ti sferravano gli ultimi attacchi suAustria e Germania. Attendevache i bombardamenti finissero ri-manendo all’aria aperta a leggereIl libro d’ore di Rilke o il Baudelai-re ormai imparato a memoria.Non sapeva ancora che il Cantod’autunno avrebbe invece avutoun esito favorevole: «è l’estate piùbella della mia vita e, dovessi cam-pare cent’anni, queste resterannola primavera e l’estate più belle.Della pace non si avverte un granche, dicono tutti, ma per me è pa-ce, pace!». Le pagine giovanili cheora possiamo leggere, pagine rapi-de, esatte e piene d’emozione, ap-partengono al Diario di guerra diIngeborg Bachmann appena pub-blicato da Adelphi con prontezzarispetto all’edizione tedesca del2010 (a cura di Hans Höller, tradu-zione di Elisabetta Dell’Anna Cian-cia, pp. 132, € 11,00) e addiritturacon nuove informazioni in antici-po sulla ristampa. Del volume fan-no parte sostanziale, non solo inte-grante, le lettere inviatele tra la Pa-squa del ’46 e l’estate del ’47 daJack Hamesh, l’ebreo viennese esu-le, arruolato nell’Armata Britanni-ca, che Ingeborg conobbe nel giu-

gno 1945 al termine del conflitto.Hamesh, di sei anni più grande,amante della lettura ma senza tito-lo di studi superiori, nel tono im-mediato delle sue lettere piened’affetto per Ingeborg e per la suafamiglia, restituisce tutta la meravi-glia dell’incontro, tratteggia il ca-rattere e le inclinazioni della giova-ne, ancora non espressa scrittriceche appena finita la guerra ripren-derà con passione gli studi lettera-ri a Innsbruck e poi a Graz. È tuttaorientata alla letteratura, IngeborgBachmann, che «riconosce» Hame-sh, apparsogli «basso e bruttino»durante l’interrogatorio sostenutoper ottenere un documento, soloquando nominano insieme autoriamati: «tutt’a un tratto abbiamoparlato di libri, di Thomas (Mann)e Stefen Zweig e Schnitzler e Hof-mannsthal. Ero così felice, lui li co-nosce tutti e mi ha detto che nonavrebbe mai pensato di trovare inAustria una ragazza così giovanecon queste letture, nonostantel’educazione nazista. E di colpotutto è stato completamente diver-so, e gli ho raccontato dei libri».

Ingeborg è protesa al lavoro e in-teriormente già del tutto indipen-dente: la «pace!» della sua esclama-zione calda di entusiasmo preludeai programmi desiderati e divenu-ti all’improvviso realizzabili. Sa ve-dere lontano con l’energia vitaleche le è restituita inaspettatamen-te dalla storia prima così dura:«Dio mio, chi avrebbe pensatoqualche mese fa anche soltantoche ne saremmo usciti vivi! Ho ri-preso ad andare ogni giorno sulla

Goria, da sola e per sognare, sogna-re sogni magnifici! Studierò, lavo-rerò, scriverò! Perché sono viva, vi-va. Oh Dio, essere libera e vivere,anche senza scarpe, senza pane eburro, senza calze, senza... mac-ché, sono tempi magnifici!».

I libri, d’altro canto, erano subi-to apparsi nel Diario come degli in-terlocutori e degli strumenti di sal-vezza personale all’interno dellatragedia collettiva, la salvezza dimorire da sola – ché in cuor suoaveva «già fatto testamento», lonta-na almeno dal buio umido e daquelle masse «torpide e mute» chesi chiudono in rifugi dove è vietatoparlare per risparmiare ossigeno.Meglio la luce e la letteratura: «Legiornate sono così piene di sole.Ho portato una sedia in giardino eleggo. Mi sono fermamente ripro-messa di continuare a leggerequando cadranno le bombe».

Il pudore che si può avere nelleggere lettere o diari trova la suagiustificazione: sicuro, ma privo dipresunzione, c’è già un destino, inqueste pagine della Bachmann, undestino naturale, scaturito da moti-vazioni e predilezioni profonde, eun destino cercato con tenacia, fat-to di applicazione e dedizione allascrittura, di libertà e di autonomia.Riflesso nitido del suo bisogno diindipendenza ci viene da un rim-provero affettuoso, a distanza, diJack Hamesh nelle lettere in cui lescrive delle prime speranze degliebrei tornati in Palestina, del rap-porto tra ebrei e arabi non ancoracompreso nei suoi tragici sviluppi,e poi del senso di «totale sradica-

mento», di spaesamento e solitudine: «Una sola cosa conti-nua a farmi male! Tu non hai detto nemmeno una parola aproposito di rivedersi o non partire o rincontrarsi un giornoda qualche parte».

Il Diario è diviso in due parti: la prima inizia nel settembre1944, quando Ingeborg, ammessa all’Istituto Magistrale di Kla-genfurt, scampa a un servizio di lavoro in Polonia, ma non si

adegua agli «educatori» nazisti, agliadulti che «vogliono farci ammazza-re» e mandano bambini a scavaretrincee: è quella che Hans Höllernella sua Postfazione definisce «larottura con il mondo militaristicodei padri», chiamando persuasiva-mente in causa il cosiddetto, straor-dinario, capitolo dei sogni del ro-manzo Malina. La seconda parte,maggio e giugno 1945, è piena di de-terminazione e di speranza.

Il testo del Diario di guerra, undattiloscritto «in pulito» curato confine scrupolo filologico, è in sé mol-to breve, ma la lettura risulta riccae permette di ritrovare, al di là deldocumento umano e storico cherappresenta, dettagli e chiavi nuo-ve per affinare l’interpretazione – oper interrogarsi sul rapporto biogra-fia-letteratura – dell’incompiuto Li-bro Franza, là dove Lord PercivalGlyde appare diversissimo da JackHamesh o dove, per parlare della li-berazione, Franza usa un’espressio-ne tratta quasi di peso dal Diario:«la più bella di tutte le primavere».

Verranno altri tempi di riflessio-ne sulla violenza della Shoah, perIngeborg figlia di un professoreiscritto al partito Nazionalsociali-sta, tempi di inchiesta sulle causedi morte, sempre assassinii, sul-l’elaborazione della colpa – e sul-l’intrusione inesorabile della sto-ria: «L’Io non è più nella storia, maè la storia, oggi, a essere nell’Io»,scriverà nelle Lezioni di Francofor-te. E per noi è davvero «magnifi-co», oggi, poter leggere il punto,drammatico e urgente, in cui perlei il ribaltamento ha inizio: «Mioamato diario, sono salva»!

Lee Miller, la soprano Irmgard Seefried nel settembre 1945,in mezzo alle rovine del Teatro Lirico Statale di Vienna

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