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TRADUZIONE CAPITOLO III LIBRO COME TRATTARE IL PAZIENTE BORDERLINE “Se ora ci volgiamo a considerare la vita psichica dal punto di vista biologico, la ‘pulsione’ ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche. Come una misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea”. (Freud, “Pulsioni e loro destini”, Opere 8, 1915, p. 17) IL CORPO DI FREUD E IL NUOVO INCONSCIO IN PSICOTERAPIA Le relazioni primarie, sia quelle positive che distruttive, sono inscritte nel corpo come risposte psiconeurobiologiche a stimoli complessi, insieme a rappresentazioni psichiche incarnate, che si manifestano anche nei sintomi e nel modo in cui il corpo viene trattato o visto. È da questa rete intricata e affascinante che dobbiamo iniziare nella terapia. Per Freud, il transfert (il complesso delle reazioni emotive al terapeuta e al trattamento, per sintetizzare) era costituito dalla riproduzione della malattia del paziente nella regione intermedia del setting terapeutico visibile attraverso gli scambi 1

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TRADUZIONE CAPITOLO III LIBROCOME TRATTARE IL PAZIENTE BORDERLINE

“Se ora ci volgiamo a considerare la vita psichica dal punto di vista biologico, la

‘pulsione’ ci appare come un concetto limite tra lo psichico e il somatico, come il

rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e

pervengono alla psiche. Come una misura delle operazioni che vengono richieste alla

sfera psichica in forza della sua connessione con quella corporea”. (Freud, “Pulsioni e

loro destini”, Opere 8, 1915, p. 17)

IL CORPO DI FREUD E IL NUOVO INCONSCIO IN PSICOTERAPIA

Le relazioni primarie, sia quelle positive che distruttive, sono inscritte nel corpo come risposte

psiconeurobiologiche a stimoli complessi, insieme a rappresentazioni psichiche incarnate, che si

manifestano anche nei sintomi e nel modo in cui il corpo viene trattato o visto. È da questa rete

intricata e affascinante che dobbiamo iniziare nella terapia.

Per Freud, il transfert (il complesso delle reazioni emotive al terapeuta e al trattamento, per

sintetizzare) era costituito dalla riproduzione della malattia del paziente nella regione intermedia

del setting terapeutico visibile attraverso gli scambi affettivi diretti al terapeuta. Data l'importanza

primaria delle rappresentazioni di sé e dell’altro per l' identità e per la formazione della personalità

in generale e gli effetti negativi degli imprinting traumatici nel corpo–mente–cervello del soggetto,

la terapia con il paziente borderline o che soffre di disturbi di personalità deve essere condotta con

speciale attenzione al dispiegarsi delle reazioni maladattive relazionali e delle reazioni affettive

nelle sedute.

La ripetizione delle dinamiche patologiche o disfunzionali e le conseguenti rappresentazioni

negative o distruttive di sé e dell’altro è anche il focus della psicoterapia psicoanalitica adattata da

Otto Kernberg per questi pazienti, chiamata psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP, Clarkin,

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Yeomans, Kernberg, 1999) ma, al contrario della visione di Kernberg, considero questa ripetizione

in seduta come gli effettivi re-enactment di stili di attaccamento inscritti dai primi due anni di vita

(insicuro–preoccupato per il borderline, insicuro–evitante per il narcisista e antisociale, e

attaccamento disorganizzato per la maggior parte dei casi gravi che presentano dissociazione), in

accordo con la teoria di Liotti sull'attaccamento disorganizzato come precursore di una vulnerabilità

alla dissociazione traumatica e con la più ampia teoria neurobiologica e neuroscientifica

interdisciplinare di Schore. A questa visione degli imprinting traumatici nel corpo-mente-cervello

aggiungo il concetto di identificazione con l'aggressore, con l’attivazione di una diade vittima-

persecutore interiorizzata nel sé e manifestata anche nel corpo, derivato da Ferenczi, come vedremo

meglio dai casi.

Nelle sedute, la ripetizione di questi imprinting (neurobiologici e rappresentazionali)

negativi è anche da intendersi come inscritta implicitamente nelle regioni limbiche (con l' amigdala

alla base) dell'emisfero destro. Pertanto le ripetizioni dei comportamenti e degli affetti sono, in

accordo con Bowlby, l'internalizzazione delle rappresentazioni e iscrizioni corporee delle effettive

esperienze di accudimento (o mancato accudimento e abuso) che il bambino ha ricevuto. Le

ripetizioni (più che essere in senso freudiano il segno della coazione a ripetere frutto dell'istinto di

morte del soggetto, si veda Al di là del principio di piacere, Freud 1919) ci danno il senso dei

modelli operativi interni (MOI) che operano sempre nel soggetto, anche fuori dalle sedute e nella

vita quotidiana.

In senso neuropsicoanalitico, vanno intese come pattern di disregolazione; vale a dire, come

disconnessioni tra amigdala e aree orbitofrontali che sono comunicate verbalmente e non

verbalmente attraverso identificazione proiettiva e momenti dissociativi e riproducono enactment

(azioni di motivazione inconscia suscitate dalla relazione con il terapeuta e dai due emisferi destri in

sintonizzazione) di identificazione con parti del sé vittima e parti del sé persecutore. Questi

enactment hanno luogo in una sequenza che alterna in continuazione affetti legati alla posizione del

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sé vittima che é stata internalizzata nel trauma (tristezza, vuoto, mancanza, depressione, disgusto di

sé, bassa autostima) e affetti collegati all’identificazione internalizzata con un persecutore

(aggressività, odio, violenza, invidia, rabbia), affetti, questi ultimi, che possono essere esternalizzati

su un altro o sul proprio corpo, per ragioni di autoregolazione. Le sedute presenteranno queste

posizioni e affetti alternati che il terapeuta è ben attrezzato a ricevere e restituire abreagite

(attraverso il proprio emisfero destro) al paziente.

Usando infatti le teorie di Allan Schore sull''uso dell'emisfero destro in psicoterapia (Schore

2019a, in preparazione mentre completavo questo lavoro), spiego infatti gli scambi peculiari che

avvengono tra paziente borderline e terapeuta come ripetizione delle modalità disfunzionali

dell'emisfero destro, dovute alla dissociazione e alle traumatizzazioni relazionali causate dal trauma

relazionale con o senza abuso e maltrattamento o deprivazione. L’intermediazione dell'emisfero

destro, fondamentale nell' attaccamento, implicato massicciamente nel trauma relazionale infantile e

particolarmente attivo nella ripetizione degli scambi patologici in seduta (che Kernberg chiama

"diadi"), è anche essenziale nel capire ciò che avviene effettivamente in terapia con questi pazienti

con tipiche traumatizzazioni da emisfero destro. (Discuteremo un effettivo momento dissociativo in

enactment nel caso di Dorothy, Capitolo 6).

CAMPO INTERSOGGETTIVO INCONSCIO NELLE SEDUTE

Episodi traumatici e modalità dissociative di funzionamento sono contenuti in forma implicita nel

sistema limbico (amigdala); si tratta di traumatizzazioni occorse nei primi due anni di vita, come

sono quelle degli attaccamenti traumatici (quando l'ippocampo non è ancora pienamente maturo e

funzionante) oppure traumatizzazioni successive, che non hanno potuto essere iscritte

nell'ippocampo a causa dell'eccesso di arousal del sistema limbico, con produzione di sostanze a

livello neuroendocrino che impediscono la tranquilla codifica a base ippocampale. Non essendovi

iscrizione nell'ippocampo nè dei traumi accorsi nei primi due anni di vita, né dei traumi successivi

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a causa dell’eccesivo iperarousal, questo spiega perché la tranquilla rievocazione a livello di

memoria episodica e dichiarativa (a base ippocampo) di episodi traumatici è impossibile. Questo

chiarisce anche il motivo per cui, in condizioni di rielaborazione nel tempo e nella sicurezza

emotiva della situazione terapeutica, è possibile il recupero di momenti traumatici e memorie fino

ad allora "seppellite nel corpo" e nella memoria implicita o procedurale (per cui il corpo sa e ha una

sensazione, ma non sa dire perché nè spiegarla chiaramente e in modo ordinato a parole).1

Ciò che è necessario nel lavoro con i pazienti borderline o con disturbi di personalità gravi è

pertanto un’autentica (conscia e inconscia, di emisfero destro e sinistro) disponibilità e impegno in

cui livelli espliciti e impliciti, simbolici e subsimbolici di interazione si rendono necessari, per

anni2. Come scrive Schore, “l'intersoggettività è pertanto più di un incontro o di una comunicazione

di cognizioni esplicite. Il campo intersoggettivo co-costruito dai due individui include non solo due

menti ma due corpi” (Schore, 2012, p. 40, trad mia per questa edizione, corsivo mio). E aggiunge:

“le transazioni transfert -controtransfert quindi rappresentano comunicazioni non consce, non

1 Basterebbe questa banale conoscenza neuroscientifica sui funzionamenti della memoria a base amigdala (attiva dalla nascita) e collegata al corpo e quelli a base ippocampo, più legata alla rievocazione in parole (attiva dopo i primi due anni e mezzo di vita, motivo per cui non abbiamo ricordi di solito in quel periodo della vita) a dissipare i dubbi sulla possibilità di recuperare memorie di abuso molti anni dopo, a trattamento psicodinamico ben riuscito, perché quanto è legato ai primi anni di vita o non immagazzinato chiaramente nella memoria ippocampale può tornare come ricordo negli anni e nel lungo lavoro di ricostruzione emotiva delle parti dissociate che viene fatto in una buona terapia. Lo dico a quanti si sono fermati al dibattito per il recupero della memoria di abuso alle posizioni contrapposte tra cognitivisti, che invocano la possibilità di creare false memorie (cosa possibile) e i clinici di solito psicodinamici che sono testimoni spesso di memorie rievocate di quanto era stato per anni seppellito nel corpo ma parlava, come spesso accade ai borderline attraverso distruttività fisica e psicologica, e maltrattamenti del soggetto al proprio corpo. Rimando per il dibattito al capitolo secondo di Il dolore estremo (Borla, 2008) e al capitolo II di Trauma e perdono (Raffaello Cortina Editore, 2014). La terapia psicodinamica a base psicoanalitica integrata neuroscientificamente come quella che presento rende possible il recupero delle tracce menestiche di reali avvenimenti traumatici e relazioni traumatiche grazie alla presenza di un testimone attivo nel recupero (per attivo intendo la disponibilità da emisfero destro ad accogliere e rendere presenti nel trattamento parti dissociate che hanno bisogno appunto di un altro, un testimone "benevolo e soccorrevole”, come spiegato da Ferenczi e che sia eticamente e umanamente disponibile a mettere al servizio dell'altro le proprie esperienze emotive, affettive ed empatiche di emisfero destro).2 Di solito nel primo anno i sintomi sono in remissione, ma la ristrutturazione del funzionamento della personalità e l'acquisizione stabilizzata della capacità autoregolativa simbolica almeno due, tre anni.

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verbali di corpo-mente-emisfero destro” (Schore 2012, p. 41, trad mia per questa ediz.), cosa che

risulta particolarmente utile a mio avviso se applicata alla terapia con i borderline.

I casi ci aiuteranno pertanto a definire meglio come funzionamento implicito da emisfero

destro e patterns di modulazione conscio/in-conscio ritornano nel trattamento e vengono messi in

atto. A questo scopo è necessario all'incrocio tra neuroscienze e psicodinamiche umane una

riscrittura di ciò che intendiamo per in-conscio e delle sue modalità per il funzionamento sia sano

che disturbato. Questo richiede una riscrittura della teoria psicoanalitica e una comprensione di

come la patologia grave sia basata sulla dissociazione, non sulla rimozione, come Freud riteneva,

cosa che alcuni contemporanei di Freud, ovvero Pierre Janet e Sandor Ferenczi, avevano già

rilevato alla fine dell'Ottocento (Lingiardi & Mucci, 2014; Mucci, 2017a), scontrandosi con il

pensiero di Freud dominante a quel tempo e ancora oggi influente.

MEMORIA IMPLICITA, INCONSCIO NON REPRESSO, E LO SCANDALO DEL CORPO

PARLANTE DELL'ISTERICA

Per le isteriche nella comprensione di Freud, la via per la guarigione mirava a una ricostruzione

dell’"inconscio," ovvero di eventi traumatici (almeno fino a Studi sull'Isteria, scritto con Breuer,

1982-95) che lui definiva "rimossi" e a trovare parole per questa storia cancellata, cosicche' alla

fine, tramite il processo energetico della abreazione, la libido (termine usato da Fred

successivamente) poteva rifluire e la paziente tornare alla salute, ovvero il sintomo, una volta

riportata alla luce l'episodio rimosso, andava in remissione, spariva. Pezzi di storia cancellata e

rimossa (che trovavano testimonianza solo nel sintomo corporeo, paralisi, afasia o altro), venivano

recuperati nella “talking cure”, come, in inglese, una prima famosa paziente di Freud e Breuer

aveva chiamato questo singolare metodo catartico basato sul libero fluire delle parole. Via via che la

paziente isterica parlava, la paziente recuperava gli affetti corrispondenti e rimossi perché

inaccettabili della propria storia, recuperando pezzi di ricordi della avvenuta "seduzione", come in

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termini puritani e obliteranti della verità dell'abuso Freud chiamava l'origine traumatica. Ciò che

Freud chiamava seduzione (di solito da parte di una figura paterna o comunque maschile ben nota

alla paziente e parte del circolo familiare) indicava in realtà, come spesso Freud confessava anni

dopo nelle note, storie di abuso e incesto ( al riguardo, si veda il primo capitolo de Il dolore

estremo, Mucci, 2008; e Rachman & Klett, 2015). Fino al 1987, anno della morte del padre, Freud

parla di seduzione reale; dopo questa data, e come una famosa lettera di Freud a Fliess riconosce,

Freud non crede più ai "neurotica" (ovvero le storie) delle sue pazienti ma le ritiene in gran parte

inventate e frutto appunto della particolare patologia delle isteriche legate a un complesso sessuale

per cui verità e fantasia si intrecciano (Mucci, 2008). Da quel momento, una visione fantasmatica

del trauma è prevalsa nel discorso psicoanalitico, fino al punto, ancora oggi, di far sorgere la

domanda nel terapeuta formato in modo classico, di fronte a un paziente che riferisce di abusi

sessuali, se si tratti di verità o di fantasia. Nelle successive rivisitazioni della teoria traumatica

effettuate da Freud, il conflitto inconscio attorno al desiderio sessuale è diventato il marchio del

problema psicopatologico dell'isterica, come ben evidenzia il caso di Dora, (Freud, 1901) e dei

problemi di Freud e del suo periodo oltre che della sua cultura rispetto al desiderio e al corpo

femminile3.

Jacques Lacan, nel porre la sua opera come "ritorno a Freud", sia pure un Freud riletto

attraverso gli occhi della linguistica e dello strutturalismo del Novecento (ma con ben ampia

radicale rivisitazione), ha inteso l'inconscio come una struttura che si rivela attraverso vari

linguaggi, ad esempio i sogni, i sintomi, i motti di spirito, i lapsus, le paraprassi). Nella definizione

di Lacan, l'inconscio è "strutturato come un linguaggio", quindi organizzato come qualsiasi

linguaggio su due livelli, significante (ovvero il piano delle manifestazioni fisiche e dei segni della

3 Sul territorio o sulla pelle di Dora è stato scritto talmente che una bibliogafia degli scritti su questo primo caso di Freud sarebbe infinita. Campo delle femministe anglosassoni specie dagli anni 80, rimando solo ad alcuni ormai classici lavori, come In Dora’s Case. Freud–Hysteria–Feminism, a cura di Charles Bernheimer and Claire Kahane, New York: Columbia University Press, 1985; Freud’s Dora: A Psychoanalytic, Historical and Textual Study di Patrick Mahony, New Haven, Yale University Press, 1996; Helen Cixous, Ritratto di Dora, Milano, Feltrinelli, 1976.

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malattia) e significato (cioe' il significato del sintomo, nascosto e quindi da scoprire, attraverso la

storia o il momento di vita di quel soggetto). Lacan dava voce a un complesso universo simbolico

che condivide una similarità di struttura, seguendo la famosa doppia articolazione del linguaggio

spiegata dalla linguistica di Saussure (de Saussure, 1893), cercando la connessione nei messaggi del

corpo, della voce come articolazione corporea e psicofisica, del linguaggio, dei sintomi, dei sogni.

L'intero lavoro clinico coi pazienti (come accade nei testi letterari, si veda Benveniste, 1966; Lacan,

1966; Mucci, 2004; Orlando, 1975, Serpieri, 1986) è basato sulla decodifica dei significati nascosti

nella superficie dei significanti, o del testo, rivelando il soggiacente significato mascherato.4.

Lacan valorizzava del mandato di Freud la profonda radicalità di una visione che vedeva la

verità del soggetto per definizione sradicata, come Altro, rispetto a se stesso, e inattingibile se non

appunto attraverso gli strumenti della tecnica psicoanalitica (dovrei scrivere "psicanalitica",

seguendo i lacaniani); il soggetto, per accedere all'ordine simbolico, secondo Lacan deve accettare

la radicale rimozione del discorso dell'Altro, l'inconscio che parla dentro di sé solo nei modi cifrati e

difficili da ricostruire secondo le regole del discorso quotidiano, razionale e "Simbolico" appunto,

intendendo per ordine simbolico essenzialmente l'ordine del linguaggio che per Lacan è l'insieme

delle istituzioni costruite socialmente e storicamente. In questa visione, davvero il conscio è la

punta dell'iceberg, come diceva Freud, e il vero discorso del soggetto è perso nella profondità di un

Soggetto che per definizione non può che "manque à etre", un essere "mancante a se stesso", prezzo

pagato per l'accesso all'ordine simbolico (se non vuole rimanere nell'immaginario e nella follia).

Mentre dare voce all'Altro come verità rimossa è il compito dell’analisi, e costituisce la tensione

continua esistenziale del soggetto, evidente per esempio nei sogni, va detto che la verità per il

soggetto rimarrà sempre sotto la barra di significazione, letteralmente dislocata e rimossa sulla

superficie (il livello significante rispetto al significato). Nell'isteria, dunque, il sintomo esprime

quella verità che è relegata al corpo: un sintomo corporeo ha preso il posto di una verità traumatica

4 È evidente, da questa descrizione, per quanto suggestiva, di come una simile visione del paziente-testo non sia sufficientemente "empatica" o umana a mio parere.

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che è stata relegata al di là della coscienza. La novità del discorso psicoanalitico freudiano

consisteva precisamente in questa connessione rivelatrice di corpo, verità traumatica rimossa e

relazione rappresentativa tra sintomo e parola. In realtà, Freud aveva “inventato” o “scoperto” la

psicoanalisi attraverso il corpo parlante dell'isterica e il legame unico che sapeva rintracciare tra

dolore, parole della paziente, ricordo rimosso, e verità (Mucci, 2004).

Le isteriche avevano rimosso nel corpo forti emozioni legate a eventi traumatici

apparentemente dimenticati, per cui al posto dell'evento era emerso un sintomo, o un’incapacità

funzionale (come la paralisi o l'afasia). Freud scoprì che la messa in parole dell'evento attraverso

l'abreazione dell'emozione repressa coincideva con la guarigione: l'arto riprendeva a funzionare, la

voce tornava. È pertanto particolarmente grave che questa fondamentale e originaria scoperta

freudiana (della verità traumatica a cui bisogna arrivare a dar voce per guarire) sia stata

abbandonata in seguito, con il privilegio della visione fantasmatica del trauma e della malattia come

basata sulla pulsione e sul conflitto tra istanze diverse nel soggetto.

Il concetto contemporaneo di memoria implicita permette la giusta riconnessione tra corpo,

trauma e memoria. Costrutto (o funzionamento) scoperto negli anni 1970 da Warrington e

Weiskrantz (1974), la memoria implicita fu studiata dapprima in connessione con gli esperimenti di

priming5 in pazienti affetti dall' amnesia di Korsakov, in cui le strutture della memoria esplicita o

dichiarativa erano danneggiate. La memoria implicita si basa su una dimensione procedurale e getta

luce sulle relazioni primarie dei primi due anni di vita (non codificate dall'ippocampo, che come

detto matura dopo i primi due anni di vita, Joseph, 1996; Siegel, 1999 ). Perché ci sia rimozione, ci

deve essere una traccia mnestica da cancellare, cosa impossibile prima dei due/tre anni, cosa da

attribuirsi al procedimento della rimozione ad anni di maggiore maturità psiconeurologica e in

connessione con una codifica verbale, impossibile prima dei due anni circa.

5 Il priming è un sistema mnemonico inconscio che consente a uno stimolo (verbale, uditivo, visivo) al quale si è stati esposti una prima volta, di essere riconosciuto le volte successive rapidamente e senza averne consapevolezza.

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Pertanto, quelle prime esperienze non codificabili attraverso l'ippocampo e il linguaggio

possono essere incluse sotto forma di memoria implicita corporea, che contribuiscono a formare un

nucleo del sé che non è rimosso, nel senso freudiano del termine, ma afferisce all'"inconscio non

rimosso" e primordiale, implicito, appunto, in modo non dissimile da quanto sostenuto da Mancia,

(2006), che a sua volta segue Matte Blanco e configura una zona primitiva per definizione non-

conscia, preverbale e pre-raffigurativa, (si veda il volume sull'inconscio non rimosso come

individuato tra neuroscienze e psicoanalisi, Craparo & Mucci, a cura di, 2017), zona non distante da

quella "unformulated experience" (esperienza non formulata) individuata da Donnel Stern (Stern,

2003, o dagli “stati non rappresentati” (Levine, Reed, Scarfone, Eds. 2013; Mucci, 2016; Mucci,

2017a; Schore, 2003a, 2003b; Schore & Schore, 2008; Siegel, 1999).

Secondo Mancia, l'inconscio non represso o la memoria implicita dipendono dalle aree

posteriori associative temporo-parietali dell'emisfero destro. Queste aree sarebbero più attive

durante le fasi del sogno REM e perciò durante l'attività onirica rispetto all'emisfero destro.

L'INCONSCIO MODERNO E LA REGOLAZIONE AFFETTIVA

Una corrente definizione di inconscio che può essere accettata sia da cognitivisti che da

psicoanalisti consiste in ciò che è "non conscio", "in-conscio" ma guida comunque gran parte della

nostra vita mentale, inclusi atteggiamenti, comportamenti e affetti. Questo è esattamente ciò che il

concetto di memoria implicita suggerisce.

Questo in-conscio è quindi un nucleo implicito del sé (Schore, 2012) creato originariamente

in connessione con potenzialità trasmesse attraverso i movimenti regolatori occorrenti tra emisfero

destro della madre e del bambino, soprattutto nel primo anno di vita del bambino, periodo critico

per l'attaccamento, stabilendo un prevalere dello sviluppo emotivo e affettivo su quello analitico,

decisionale, linguistico, settoriale, che si manifesta anche nei due sistemi di memoria.

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Seguendo Schore, (2003b), alla fine del primo anno di vita, circuiti corticali–subcorticali

lateralizzati a destra formano una memoria implicita procedurale, con modelli operativi di

attaccamento che recano strategie di regolazione affettiva che, in modo non consapevole, guidano

il soggetto nei futuri scambi interpersonali, cosicchè scambi traumatici sono codificati nel corpo per

sempre, inespressi verbalmente per anni se non vengono recuperati e liberati grazie ai nuovi

imprinting terapeutici di liberazione e riparazione.

Molte ricerche recenti provano che soggetti traumatizzati in modo cronico a causa di

relazioni d'abuso protratte per anni (quindi con un disturbo post-traumatico da stress complesso, o

complex PTSD come riconsce solo il PDM-2) presentano ippocampo ridotto. Quando a questi

soggetti è stato chiesto di rievocare esperienze traumatiche precoci, hanno registrato un’attivazione

dell'emisfero destro, mentre quando dovevano rievocare un ricordo affettivamente neutro,

l'attivazione era soprattutto a sinistra. Nei soggetti non traumatizzati, l' attivazione era simile sia per

i ricordi disturbanti che per quelli neutri. Inoltre, cosa interessante, il corpo calloso, il ponte tra i due

emisferi, presentava volume ridotto nei soggetti traumatizzati, segno della mancanza di integrazione

tra l'informazione dei due emisferi (si veda anche Bakermans-Kranenburg, van

IJzendoorn, Mesman , Alink, & Juffer, 2008; Bakermans-Kranenburg & van IJzendoorn, 2015).

La corteccia orbitofrontale, meccanismo centrale della regolazione degli affetti nei due

emisferi, accede ai due processi di memoria con processi impliciti, cioè non coscienti (Frey &

Petrides, 2000; Rolls, Everitt, & Roberts, 1996; Schnider, Treyer, & Buck, 2000; Stuss et al., 1982).

Questo è importante per definire i processi (che Freud chiamerebbe) preconsci (Schore, 2003b),

influenzati direttamente da questa attività regolatoria che dall'esterno diventa una forma di

autoregolazione.

SISTEMA LIMBICO E MEMORIE TRAUMATICHE

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Secondo Schore, il sistema limbico è un sistema gerarchico tripartito; ciascun livello (amigdala,

cingolato anteriore, e insula–orbitofrontale) contiene funzioni affettive, cognitive, e

comportamentali separabili e stato-dipendenti. Ogni livello processa rappresentazioni codificate e

immagazzinate delle tracce sensoriali-affettive, per cui, in momenti diversi, vari livelli di memoria

implicita possono essere attivati (Schore, 2003b), cosa che probabilmente spiega perché il recupero

delle tracce non avvenga attraverso un meccanismo “tutto o niente”, ma attraverso un disvelamento

progressivo, a strati, in cui, tra l'altro, la stessa aumentata o migliorata cognizione rimodella

continuamente l'emozione, e viceversa.

Poiché questi sistemi maturano per stadi, se il trauma relazionale interferisce con la maturazione

dipendente dall'esperienza delle interconnessioni di questi sistemi, possono perdere la possibilità di

integrazione, cosicchè si creano stati somatici disregolati (cosa che i disturbi di personalità

sembrano confermare).

Nella psicoterapia, il sé somatico emozionale (o il sé funzionante a base emisfero destro) del

paziente comunica con il sé somatico (a base emisfero destro) del terapeuta attraverso una

“conversazione tra i sistemi limbici di entrambi” (Buck, 1994).

Nella comunicazione emisferica tra caregiver e bambino, a livello intergenerazionale non

solo al bambino vengono trasmesse le modalità eventualmente disorganizzata, ma la

comunicazione viene effettuata nelle due direzioni; in altri termini, l' attaccamento disorganizzato

nel bambino può a un certo punto riattivare le dolorose memorie traumatiche dell'attaccamento del

genitore in un circuito che può diventare pericoloso per la parte più vulnerabile della diade. Per il

bambino, queste memorie si possono riattivare perfino dopo molto tempo, anche in età adulta (Perry

et al., 1995). In questa catena, l' esperienza intergenerazionale è trasferita automaticamente (in

modo in-conscio, senza alcuna consapevolezza, o a volte come detto perfino in mancanza di vero e

proprio abuso).

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Nel reprimere il trauma e nel rendere il trauma un problema fantasmatico e frutto di

conflitti interni, Freud “rimuoveva” anche il processo della dissociazione che pure stava scoprendo

nello studiare le isteriche, privilegiando quella difesa più matura che abbiamo visto essere la

rimozione. L’attuale comprensione dei disturbi di personalità al contrario prova: (1) l' origine

traumatica degli scambi precoci o dell'abuso protratto nel tempo, (2) che non c'è rimozione nel

continuum della patologia borderline, ma quella più primitiva e radicale dinamica che Ferenczi

chiamava “frammentazione” o dissociazione, sempre di origine traumatica interpersonale (che

Kernberg con il termine kleiniano preferisce chiamare scissione).

È il recupero delle parti dissociate e la reinscrizione di nuovi significati nella sicurezza della

terapia che libera il paziente dalla sofferenza. Implica una forma di accettazione della propria

esistenza e del proprio passato che ha luogo non solo a livello cognitivo (un sapere della mente)

ma reca con sé la reiscrizione di una traccia emozionale che rimodifica l’integrazione del sistema

mente-corpo-cervello, a cominciare dall'abolizione dei sintomi e dal mancato trasferimento

intergenerazionale delle parti traumatiche dissociate.

PERCHÉ FREUD HA RIMOSSO LA DISSOCIAZIONE?

Nel saggio Sulla metapsicologia, nella prefazione del capitolo “L'inconscio” Freud afferma che

"Tutto ciò che è rimosso è destinato a restare inconscio; tuttavia è nostra intenzione chiarire fin

dall'inizio che il rimosso non esaurisce tutta intera la sfera dell’inconscio. L’inconscio ha

un’estensione più ampia; il rimosso è una parte dell’inconscio”. (Freud, 1915, L’inconscio,

Premessa, p. 49, corsivo mio).

In questo brano, Freud sta chiaramente affermando che il rimosso è solo una parte

dell'inconscio, (appunto, ciò che ha subito repressione), e un’area più ampia deve essere definita

in-conscia, ovvero, non conscia, i cui effetti si avvertono nel comportamento e negli atteggiamenti

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Page 13:  · Web viewPer Janet, un trauma legato all'ambiente, non necessariamente un trauma sessuale, conduceva all’arresto dello sviluppo cognitivo e affettivo del soggetto e causava il

degli individui e che possono essere retroattivamente ricostruiti o, nei termini di Freud, “tradotti” e

riportati alla coscienza.

La modernità di questa affermazione è provata dalla distinzione che oggi possiamo operare

e verificare neuroscientificamente grazie alla distinzione dei due sistemi di memoria.

Sembrerebbe dunque che la memoria implicita a base emisfero destro possa render conto di

ciò che è in-conscio (cioè non consapevole) ma neanche rimosso, eppure influenza comportamenti e

atteggiamenti ( e immagini di sé) influenzando risposte automatiche e stati della mente, perfino in

modi assai distruttivi e non spiegabili o congruenti con il presente.

Solo nella memoria episodica, o autobiografica (esplicita), in cui un “Io” è stato modulato

grazie a strutture più mature, è possibile avere accesso a difese meno primitive o secondarie del

tipo rimozione. Come processi gestiti dall' emisfero sinistro, maneggiano contenuti acquisiti

consapevolmente (dopo i primi anni di vita); solo successivamente (come anche Freud sostiene) il

soggetto li sottrae alla coscienza e li reprime. Come processi elaborati dall'emisfero sinistro,

riguardano contenuti acuisiti successivamente, dopo il secondo o terzo anno di vita almeno, e sono

recuperabili in certe situazioni, rimanendo accessibili al linguaggio).

Tuttavia, Freud parla chiaramente di "scissione di coscienza" in Studi sull'isteria, ma non

nel senso di dissociazione, in quanto la causa del disturbo per lui rimane la rimozione. Vale la pena

di analizzare in dettaglio un brano del caso "Miss Lucy" da Studi sull'isteria:

Il momento veramente traumatico quindi è quello nel quale la contraddizione si impone all’Io e

l’Io stesso decreta il bando alla rappresentazione contraddicente. Con tale bando quella

rappresentazione non viene però annullata, ma soltanto sospinta nell’inconscio; quando questo

processo si produce per la prima volta, si forma con ciò un nucleo e centro di cristallizzazione

per la formazione di un gruppo psichico distinto dall’Io, attorno al quale si raccoglie

successivamente tutto ciò che avrebbe per presupposto l’accettazione della rappresentazione

contraddicente. La scissione della coscienza in tali casi di isteria è quindi voluta, intenzionale,

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o per lo meno promossa per lo più da un atto volontaristico. Di fatto accade una cosa diversa da

quella che l’individuo si propone; egli vorrebbe eliminare una rappresnetazione come se non si

fosse mai prodotta, ma riesce soltanto a isolarla psichicamente. (Breuer e Freud, 1892-1895, p.

278, corsivo mio).

Qui Freud chiaramente descrive la scissione della coscienza come collegata a un atto di volontà per

cancellare la realtà dell'evento sgradevole (atto che lui chiama "rimozione"). Come può la scissione

di coscienza essere “intenzionale”, e dipendere da un "atto volontaristico"?

Sembrerebbe che la strada che Freud ha preso verso la rimozione, privilegiandola sulla

dissociazione, che tuttavia per altri versi riconosce in Studi sull'isteria, sia profondamente

dipendente dal suo diniego o disconoscimento degli effetti della realtà traumatica derivanti

dall'abuso, ovvero, che sia connesso al suo rinnegare i "neurotica" di queste pazienti, le loro storie

di abuso (Mucci, 2009). Questa e' la via per cui Freud ha scelto di provilegiare la rimozione a

scapito della disoociazione, abbracciando la teoria della base fantasmatica, non reale, del trauma e

dell'incesto. La storia di abuso delle isteriche non è dissimile dalla storia di abuso che spesso le

pazienti borderline riferiscono.

Quindi il corpo "accusa il colpo", come dice van der Kolk, (2015), attraverso la memoria

implicita, testimone di una storia (non simboleggiata) che la dissociazione ha reso a lungo

inconfessabile anche al proprio sé e che ha bisogno di un altro, un testimone, per essere recuperata,

sentita, accolta, ed espressa.

Con il ripudio della teoria traumatica nel 1897, Freud radicalizzava una visione che ha

messo al centro della teoria e della pratica clinica psicoanalitica la pulsione, la fantasia, la realtà

intrapsichica, lasciandosi alle spalle un'altra via, quella della dissociazione come risposta

neurobiologica a un incontro sovrastante tra un soggetto troppo fragile e un adulto incapace di

cura. Questo rifiuto di un trauma precoce sovrastante spiega anche perché Freud abbia avuto

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Page 15:  · Web viewPer Janet, un trauma legato all'ambiente, non necessariamente un trauma sessuale, conduceva all’arresto dello sviluppo cognitivo e affettivo del soggetto e causava il

bisogno della teoria del nachträglichkeit, dell'apres coup, in termini lacaniani, per dire che il colpo

traumatico originario inferto a un essere inerte è diventato traumatico in seconda battuta, e causa

quindi patologia " a posteriori".

LA TEORIA DEL TRAUMA NEL VENTESIMO SECOLO IN CONTRASTO CON FREUD

Per Freud, la rimozione e' alla base della patologia nell’isteria e nella psiconeurosi, mentre non

prende in considerazione le risposte dissociative come conseguenza traumatica, come invece ofgi

siamo pronti a riconoscere.

MA gia' due contemporanei di Freud, lo psicologo francese Pierre Janet (1859–1947) e lo

psicoanalista ungherese Sandor Ferenczi (1873–1933), entrambi rimasti pressoché sconosciuti fino

a pochi anni, avevano studiato ed evidenziato in quegli stessi anni nella clinica un meccanismo di

tipo dissociativo di chiara origine traumatica interpersonale.

La teorizzazione di Janet sulla dissociazione come disaggregazione della psiche, risultante

da eventi stressanti, insostenibili per la psiche, e la teorizzazione di Sandor Ferenczi sulla

frammentazione della psiche a seguito di trauma e abuso chiaramente si riferiscono e descrivono un

aspetto più primitivo, dissociativo della psiche, come conseguenza traumatica relazionale.

Janet suggeriva che alla base dell’isteria patologica vi fosse una désagrégation

psychologique che era il contrario di quella funzione superiore e integrata in cui consistevano i più

alti livelli di coscienza (Janet, 1889). Per Janet, un trauma legato all'ambiente, non necessariamente

un trauma sessuale, conduceva all’arresto dello sviluppo cognitivo e affettivo del soggetto e causava

il “restringimento del campo di coscienza” tipico dell'effetto traumatico (Lingiardi & Mucci, 2014,

p. 43). Vari studi condotti da Janet sottolineavano la rilevanza delle condizioni ambientali, o delle

relazioni primarie, come le chiameremmo oggi. Come ha autorevolmente sottolineato Giovanni

Liotti in una recente riconsiderazione della critica di Janet, "l'idea di Janet …diverge chiaramente da

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quella di Freud, che la patologia dipenda da una attiva difesa dell'io volta a escludere dalla

coscienza emozioni e rappresentazioni perturbanti" (Liotti, 2014a, p. 32).

Anche per Ferenczi, in forte conflitto con Freud, la dissociazione, o la frammentazione, era

indicata come reazione patologica all’estrema traumatizzazione (1988, 1974) di origine

interpersonale, per lo più l'abuso.

Come scrive Ferenczi in un famoso passo del Diario clinico (1988), al 21 Febbraio, sulla

“frammentazione” :

un bambino subisce un’aggressione e viene sopraffatto; conseguenza: “rende l’anima” con la

totale convinzione che questo abbandono di sé (svenimento) significhi la morte. Ma proprio il

rilassamento totale che si instaura con l’abbandono di sé può creare condizioni più favorevoli al

sorgere della capacità di sopportazione della violenza. In una persona svenuta che non si oppone

alla violenza gli organi, i tessuti, diventano più elastici e le ossa si piegano in misura maggiore,

senza arrivare alla rottura, di quanto non avvenga in una persona in stato di veglia… Colui che

ha “reso l’anima” sopravvive dunque fisicamente alla “morte” e comincia a rivivere con una

parte della sua energia; avviene persino il ristabilimento dell’unità con la personalità

pretraumatica, anche se accompagnato per lo più da perdita di memoria e da amnesia retrograda

di durata variabile. Ma, per l’appunto, questo frammento amnestico è in realtà un pezzo della

persona che continua a essere “morta” o a trovarsi nell’agonia dell’angoscia. (Ferenczi, 1988,

pp. 94-95.)

La straordinaria accuratezza di questa descrizione della reazione traumatica dissociativa che arriva

allo svenimento, (freezing, dissociazione del sistema parasimpatico), è stata confermata dalle

ricerche neurofisiologiche (Porges, 2011) come risposta polivagale che conduce a perdita di sensi e

anestesia (compatibile con quel restringimento dell’esperienza conscia descritta da Janet). Più che

una difesa, e sicuramente non intenzionale, come intendeva Freud col suo concetto di rimozione,

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addirittura "un atto di volontà", la neurofisiologia del trauma descrive un collasso di risorse mentali

e fisiche come risposta a un’esperienza esterna/estrema che sovrasta la difesa intrapsichica.

In un altro brano assai rivelatore del suo Diario Clinico (“Bendaggio clinico,” March 25,

1932), Ferenczi descrive come un’esperienza estrema lasci una traccia permanente e resulti in una

scissione di personalità e alla fine in un cambiamento della vita:

a partire dal momento in cui, ammaestrati da un’esperienza amara, si è perduta la fiducia nella

benevolenza dell’ambiente, si produce una persistente scissione della personalità, la cui parte

scissa si erge a sentinella contro i pericoli, in special modo quelli riguardanti la superficie (pelle

e organi di senso), e l’attenzione di quella sentinella è quasi esclusivamente rivolta verso

l’esterno. Essa si preoccupa soltanto dei pericoli, vale a dire degli oggetti dell’ambiente che

possono diventare tutti pericolosi. E da ciò si origina la scissione di quel mondo, che prima dava

l’impressione di unità, in un sistema psichico soggettivo e in uno oggettivo, […]. Il vero trauma

dei bambini è vissuto nelle situazioni in cui non ci si preoccupa di porre immediato riparo al

danno, e in cui pertanto s’impone un adattamento, cioè un cambiamento del proprio

comportamento, primo passo per stabilire la differenza tra mondo interno e mondo esterno, tra

soggetto e oggetto. D’ora in avanti né l’esperienza soggettiva né quella oggettiva da sole

costituiscono più una completa unità emotiva […] (Ferenczi, 1988, pp.132-133 ).

Come conseguenza del trauma (che qui implica maltrattamento, abuso, incesto, cioè quello che io

chiamo secondo livello traumatico), il bambino adatta il proprio comportamento all'ambiente, e in

questo modo ha luogo una distorsione cognitiva permanente nella personalità, in cui “ben presto

comincia anche a dubitare dell’attendibilità dei propri sensi oppure– cosa più frequente, si sottrae

all’intera situazione conflittuale rifugiandosi in sogni a occhi aperti e assolvendo d’ora in poi come

un automa i compiti della vita di veglia[...]. Il bambino precocemente sedotto si adatta al suo

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difficile compito ricorrendo alla completa identificazione con l’aggressore” (Ferenczi, 1988, p.

290).

Per Ferenczi, il trauma reca anche le tracce di un’esperienza interpersonale sopraffacente che è stata

internalizzata, resa intrapsichica, mentre funziona all'esterno indirizzando il comportamento. Ciò

che Ferenczi sottolinea nella sua teoria del trauma e nelle sue indicazioni per il trattamento è che il

bambino abusato molto probabilmente internalizzerà l' aggressività e il senso di colpa dissociato

del persecutore, elementi che inscriveranno nel soggetto un modello vittima–persecutore a livello

di memoria implicita, quindi come comportamento e affetti inconsci.

Leggo la diade vittima-persecutore descritta da Ferenczi come le diadi internalizzate degli

introietti degli affetti negativi del persecutore, colpa e vergogna da un lato e aggressività e rabbia

dall'altro, che costituiscono le parti scisse nei disturbi di personalità. In opposizione a qualsiasi

visione fantasmatica, queste diadi internalizzate sono derivati traumatici e sono ripetute nel paziente

borderline (se non è intervenuta alcuna riparazione affettivo-relazionale).

Nel privilegiare la teoria del trauma fantasmatico rispetto a una reale traumatizzazione e

nell'aver privilegiato la teoria della rimozione sulla dissociazione, Freud andava contro il suo

originale desiderio di dar voce alla verità del corpo e delle sue sofferenze, da cui tuttavia la

psicoanalisi aveva tratto origine.

Contrariamente all'idea da lui espressa che l'Io sia “innanzitutto un’entità corporea, non è

soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie,” (Freud, 1922, p. 488) e

che “i presunti processi concomitanti di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in

ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza" (Freud, 1938, p. 585), Freud finisce quasi

suo malgrado per rinforzare un disconoscimento culturale del corpo, ripetendo l'errore cartesiano

che pure voleva evitare nella visione delle pulsioni, come "creature mitiche a metà tra corpo e

mente". Sono d'accordo con Pat Ogden e gli autori di Trauma and the Body, quando iniziano il

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volume con la considerazione che “il corpo, per un insieme di ragioni, è stato lasciato fuori dalla

“talking cure” (Ogden, Minton, & Pain, 2006, p. xxvii) e con Alessandra Lemma, che con Sotto la

pelle (2010) e con Minding in the Body (2014) ha riaperto il campo psicoanalitico a urgenti

considerazioni sul corpo.

Nel descrivere un sistema che privilegiava la modalità di risposta dell'io attraverso strategie

difensive, Freud privilegiava una modalità top-down che le moderne neuroscienze hanno sostituito

con un modello bottom-up, come si è visto: la risposta del soggetto va dal "bottom", dalla base

corporea, dal basso—dalla formazione reticolare e dalle informazioni che giungono ai sensi—alla

corteccia, il cui accesso in caso di traumatizzazione è in difficoltà (Liotti, 2014a; Porges, 2011).

Data la "rimozione" a cui sia Janet che Ferenczi sono stati soggetti fino a pochi anni fa, nella

teoria psicoanalitica del trauma abbiamo dovuto aspettare gli sviluppi di altre aree di ricerca

interdisciplinari, come l’ Infant research, gli studi dell'attaccamento, la psicologia dello sviluppo e

la psicopatologia, la neurobiologia interpersonale, gli studi sul trauma e la teoria della regolazione

per una più completa comprensione del dolore estremo nel soggetto umano.

DISSOCIAZIONE OPPOSTA A RIMOZIONE NEI DISTURBI DI PERSONALITÀ

Come Schore scriveva già da più di dieci anni fa, la rimozione è una difesa da emisfero destro più

avanzata dal punto di vista dello sviluppo contro affetti di ansietà che sono rappresentati a livello

corticale dell'emisfero destro, mentre la dissociazione che compare prima ed è più primitiva è una

difesa contro gli affetti traumatici come il terrore immagazzinati a livello sub-corticale nell'emisfero

destro (2003a).

È quindi alla dissociazione come modalità primitiva di origine traumatica che il trattamento

dei pazienti gravi deve rivolgersi (Putnam, 1997; Schore, 1994, 1997; van der Kolk, van der Hart, &

Marmar, 1996).

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Il trattamento deve infatti adattarsi al livello di sviluppo del paziente, pertanto con patologie

gravi da emisfero destro e formate precocemente, la funzione primaria del clinico sarà quella di una

regolazione degli affetti per gli stati primitivi traumatici del paziente, inclusi quegli stati affettivi

che sono inizialmente inaccessibili perchè dissociati (Schore, 2003a, 2003b).

È per questo che si rende necessaria una terapia che possa raggiungere le parti dissociate del

paziente, attraverso enactment e comunicazioni non verbali, lavorando ai margini della

disregolazione affettiva, in una zona in-between, andando da emisfero destro (con attitudine

empatica e affettiva) a emisfero sinistro (più settoriale e basata sul linguaggio), per poi tornare alla

comprensione globale e affettiva (emisfero destro) dal basso all'alto (dal corpo alle aree superiori di

comprensione e rappresentazione della mente) e dall'altro al basso (reintegrando nel corpo, anche

grazie al respiro)6.

Pertanto la differenza tra rimozione e dissociazione apre un grande divario nell

apsicopatologia e nella individuazione della gisuta modalita' di trattamento. Patologie che hanno la

rimozione alla loro base sono tipiche della struttura nevrotica (e quindi vanno bene affrontate anche

sul famoso lettino) mentre patologie basate sulla dissociazione sono ovviamente di natura più grave

e di traumatizzazione più precoce, e sono di spettro borderline, nel senso indicato da Kernberg

(1975) dal concetto più ampio rispetto al DSM, di "organizzazione borderline", che include un

livello di gravità (caratterizzato da diffusione di identità, difese primarie massicce ed esame di

realtà conservato) che comprende vari tipi di personalità, dal grave isterico-istrionico, al borderline

"proper"7.

6 E' evidente, come spiega bene la teoria polivagale, come il respiro sia una tecnica involontaria e automatica di reintegro di parti emotive-affettive e cognitive non integrate e dissociate: come tutti i terapeuti sanno, a grosse rivelazioni finalmente arrivate alla mente-corpo-cervello corrispondono respiri particolarmente intensi e a volte sbadigli (questi ultimi, a me sembra, in particolare quando il sistema non è ancora del tutto pronto al reintegro). Sono pertanto un segnale non di disattivazione ma di attivazione, sia pure in un sistema complesso che fa fatica ea intergrare il nuovo.7 Si noti che in questo continuum non c'è il disturbo ossessivo di personalità, che pure il DSM include, né quello dipendente; mi sento di aderire a questa descrizione come fatta da Kernberg sulla base della mia osservazione clinica.

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Nel suo fondamentale articolo del 1967 sui disturbi di personalità Kernberg riconosceva la

connessione tra corpo e disturbo di personalità e anche la presenza di sintomi dissociativi tra quelli

della patologia, includendo “sintomi di conversione multipli elaborati, o bizzarri, soprattutto se

sono cronici, o anche reazione monosintomatica di conversione di tipo grave che si estende per una

durata di parecchi anni; anche sintomi di conversione di tipo elaborato, confinanti con allucinazioni

corporee o che implicano complesse sensazioni o sequenze di qualità 'bizzarre'; oltre a reazioni

dissociative, e specialmente 'stati crepuscolari' isterici e di fuga, e amnesia accompagnata da

disturbi della coscienza” (Kernberg, 1967, p. 648). Per Kernberg i disturbi di personalità non sono

basati sulla rimozione ma sulla scissione, difesa ben più grave e primitiva.

Sulla base della sua lunga e complessa esperienza di lavoro sulla dissociazione con pazienti

traumatizzati, Philip Bromberg definisce accuratamente le due “difese” come segue:

La rimozione, come difesa, rappresenta una reazione all’angoscia: un affetto

negativo ma regolabile che segnala la possibile irruzione nella coscienza di contenuti

mentali capaci di generare un conflitto intrapsichico spiacevole ma sostenibile. La

dissociazione, come difesa, rappresenta una reazione a un trauma: un flusso caotico di

affetti non regolabili nella mente, che minaccia la stabilità del Sé e talvolta la stessa salute

mentale. Il conflitto intrapsichico viene vissuto come insostenibile, non solo spiacevole.

Perché insostenibile? Perchè la discrepanza non si verifica tra contenuti mentali

discordanti, ma fra aspetti del Sé alieni, fra stati del Sé talmente discrepanti da non poter

coesistere in un singolo stato di coscienza senza minacciare di destabilizzare la continuità

del Sé. (Bromberg, 2012, p. 49).

Bromberg (2011) inoltre sottolinea come nella dissociazione la connessione tra

comunicazione simbolica e non simbolica ( subsimbolica, per usare i termini di Bucci) sia stata

interrotta, il che risulta in una sconnessione tra sistemi del sé impliciti superiori di destra, corticali

(simbolici) e sistemi inferiori destri, subcorticali (subsimbolici). Nei termini di Schore:

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Sul piano neurobiologico, la dissociazione riflette l’incapacità del sistema corticale-

sottocorticale destro del Sé implicito di riconoscere ed elaborare la percezione degli stimoli

esterni (le informazioni esterocettive provenienti dall’ambiente relazionale) e opera una loro

integrazione momento-per-momento con gli stimoli interni (informazioni enterocettive

provenienti dal corpo, dai marker somatici, l’ “esperienza percepita”). Questo fallimento

nell’integrazione tra emisfero destro di livello superiore e inferiore e la disconnessione del

sistema nervoso centrale dal sistema autonomo inducono un istantaneo collasso della

soggettività e dell’intersoggettività. Gli affetti stressanti, in special modo quelli associati a

dolore emotivo, non vengono quindi esperiti nella consapevolezza (gli stati “non-me” di

Bromberg).

(Schore, 2012a, in Bromberg, 2012, p. XXXII)

La peculiarità della dissociazione, infatti, è la disconnessione mente-corpo, come si vede

nella derealizzazione e depersonalizzazione, ed è principalmente una caratteristica dipendente

dall'emisfero destro, essendo questo l'emisfero dominante per un coerente senso del proprio corpo

(Schore, 2012; Tsakiris, Costantini, & Haggard, 2008) e tra l'altro per l'elaborazione del dolore

corporeo (Carrasquillo & Gereau, 2008; Geha et al., 2008; Schon et al., 2008; Symonds, Gordon,

Bixby, & Mande, 2006).

Come nota David Kalshed nello spiegare la dissociazione: “L'affetto nel corpo è separato

dalle immagini corrispondenti nella mente e perciò un significato insopportabilmente doloroso

viene obliterato” (2005, p. 174, trad. mia). E Schore aggiunge: "In questo modo la strategia di

dissociazione dell'emisfero destro rappresenta l'estrema difesa usataper bloccare il dolore

emozionale basato sul corpo” (2012, p. 160, trad. mia). Anche McGilchrist definisce la

dissociazione una “ipofunzione dell'emisfero destro” (2009, p. 224, trad mia).

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In uno studio con risonanza magnetica funzionale su pazienti con PTSD, Ruth Lanius e

colleghi (2005) hanno trovato l'attivazione emisferica destra durante la dissociazione: i pazienti si

dissociavano per sfuggire alle emozioni. Questo è stato anche verificato dalle ricerche di Enriquez

and Bernabeu (2008) e di Spitzer e colleghi (2004).

MEMORIA IMPLICITA, ENACTMENT, RIPETIZIONE E DISSOCIAZIONE

Il ruolo centrale della memoria—o dovrei dire dell'amnesia—in pazienti con dissociazione e/o

PTSD e complex PTSD è stato spiegato da molti autori (Dorahy & Huntjens, 2007; Mucci, 2008;

van der Kolk et al., 1996). Ricorderei solo che l' amnesia come la dissociazione non si sviluppano

di solito in bambini a seguito di un trauma (o un PTSD) causato da cause naturali, come un

uragano o un terremoto; come Liotti (2004) ha sottolineato, si sviluppa quando è coinvolta una

relazione, per lo più con caregiver. In pazienti adulti, problemi nel ricordare sono dovuti anche al

fatto che le cellule dell'ippocampo sono danneggiate da eccesso di CRT (corticotropina) e da livelli

eccessivi nel cervello di adrenalina, noradrenalina, e dopamina, provocati da iperarousal, che

provocano come si è detto riduzione di volume (si veda anche Yehuda et al., 2008a). Secondo De

Bellis e colleghi (1999), è stata riscontrata degenerazione ippocampale in scimmie sottoposte a

prolungato stress sociale (Uno, Tarara, Else, Suleman, & Sapolsky, 1989). Volumi dell'ippocampo

ridotti e deficit nella funzionalità della memoria sono stati trovati in adulti con la sindrome di

Cushing (esposizione cronica a glucocorticoidi come il cortisolo, per cui si chiama anche

cortisolismo) (Starkman, Gebarski, Berent, & Schteingart, 1992), in veterani di guerra con PTSD

(Bremner et al., 1997 Gurvits et al., 1996), in adulti con PTSD derivato da abuso infantile (Bremner

et al., 1997), e in donne sopravvissute ad abusi sessuali infantili con o senza una diagnosi di PTSD

(Stein, Koverola, Hanna, Torchia, & McClarty, 1997). Il PTSD dunque a seguito di maltrattamento

infantile può essere considerato come un disturbo complesso dello sviluppo indotto dall'ambiente. Il

ciclo stesso della ritraumatizzazione può essere visto come indotto da ciò che è codificato dalla

memoria implicita; come scrive Scaer: “La memoria procedurale fornisce il collegamento

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apparentemente indistruttibile che perpetua il ciclo neurale di trauma e dissociazione” (Scaer, 2001,

p. 76).

Quindi, il corpo "tiene il conto" della traumatizzazione attraverso la dissociazione corporea

e i buchi neri dell'amnesia, anch'essa una specie di paradossale "ricordo" attraverso il corpo. Questa

fondamentale disconnessione tra corpo e mente, cosicchè il corpo sa e a suo modo ricorda (a volte

anche attraverso paure apparentemente irrazionali che fanno evitare luoghi, situazioni o persone,

rifiuti di contatto fisico, e somatizzazioni) e la mente si oppone al sapere (per cui non ricorda

pienamente o non crede in quanto ricorda), costituisce la struttura traumatica di base del soggetto

borderline, come ad esempio vedremo nel capitolo 6. Ciò che Dorothy "sa" (che il padre sia cattivo

e che le ha fatto del male) ritorna in stati dissociati di consapevolezza, nella forma inquietante del

diavolo in seduta.

STRUTTURA DISSOCIATIVA NEL DISTURBO DI PERSONALITÀ E

IDENTIFICAZIONE CON L'AGGRESSORE

La scissione tra oggetto interno buono e oggetto interno cattivo—di solito letta attraverso le lenti

del mondo infantile intrapsichico della Klein che vede il bambino come pieno di aggressività,

persecutorietà e affetti scissi—continua a essere considerata come fondamentale nel trattamento

psicoanalitico psicoterapeutico dei pazienti con disturbo di personalità borderline (si veda Clarkin,

Yeomans, & Kernberg, 1999 e successive edizioni). La scissione va vista come la struttura di base

per spiegare la diffusione di identità e l'uso di difese primitive—i due elementi, che per Kernberg.

insieme all'esame di realtà conservato, portano alla diagnosi di "organizzazione di personalita'

borderline". Tuttavia alla luce di una teoria del trauma reale dell'accudimento (secondo Bowlby,

secondo Main e Hesse) come opposto al trauma fantasmatico (Freud), e sulla base di una struttura

dissociativa (Ferenczi, Janet) come opposta alla rimozione (Freud), e soprattutto della dinamica di

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identificazione con l' aggressore (Ferenczi) al posto della teoria innata dell' aggressività e della

pulsione di morte come istinto, (Freud, 1920), il concetto stesso di oggetto interno cattivo deve

essere riconsiderato.

Mi sembra che l'introiezione dell'oggetto cattivo invece che di origine innata e intrapsichica

come in Klein e Kernberg possa essere meglio spiegato come introiezione dell'aggressore come in

Ferenczi (1932a, 1932b; Mucci, 2013). Quella che si considera una vulnerabilità di base che

conduce a una risposta neurobiologicamente eccessiva verso l'ambiente trova la sua causa

nell'ambiente abusante. Liotti (2014a) giustamente sostiene che si potrebbe obiettare che mentre per

Kernberg la scissione è un meccanismo di difesa , il MOI (Modello Operativo Interno) legato alla

disorganizzazione nell'attaccamento deve la sua molteplicità dissociata di rappresentazioni a

dinamiche cognitive (la traduzione di elementi di memoria implicita in memoria dichiarativa)

basate su una relazione reale (che distorce la realtà e la scinde).

Mentre la scissione sembra essere un meccanismo cognitivo al lavoro in tutti i disturbi di

personalità, risultante nella tendenza a scindere gli aspetti interni in parti affettivamente e

cognitivamente opposte, dominanti una per volta (Kernberg, 1975, 1989), la dissociazione va intesa

non come la tendenza a frammentare e a dividere cognitivamente e affettivamente ma come una

componente strutturale di base dentro un sé disorganizzato, creatasi in risposta a trauma e abuso,

frutto di una specifica risposta vagale e di stati corporei neurobiologici, legati all'emisfero destro.

Schore propone che in alcune personalità la dissociazione sia esperita soprattutto come stato

corporeo.

STATI CORPOREI DISSOCIATI E EMISFERO DESTRO

Seguendo Schore, uso qui la dissociazione nel senso di “stati corporei”, e questo spiega come

dissociazione e scissione non siano solo due diverse difese: la prima è di base traumatica e

corporea, la seconda è cognitiva e meno primitiva, implicante una divisione che scinde l'oggetto

(quindi c'è in parte formazione oggettuale) in parti negative e positive. La scissione è legata alla

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fase schizoparanoide di sviluppo secondo Klein, non è associabile a conseguenze del Sistema

Nervoso Centrale e al sistema di risposta simpatico–parasimpatico.

Come Devinsky (2000) e Lou e colleghi hanno notato (2004), l'emisfero destro gioca un ruolo

ontogenico nel mantenere un senso coerente, continuo e unificato del sé “identificando un’immagine

corporea del sé." Un ruolo importante è svolto dalla regione parietale laterale destra nella

rappresentazione del Sé fisico. Secondo Spitzer e colleghi (2004), i sintomi dissociativi della

depersonalizzazione riflettono una mancanza di integrazione dell'emisfero destro; "l'esperienza di

dissociazione del sé dal corpo è un risultato del fallimento dell’integrazione delle funzioni complesse

somatosensoriali e vestibolari" (Blanke, Ortigue, Landis, & Seeck, 2002, p. 269) e di quella coerenza

del senso di sé basato sull'emisfero destro (Tsakiris et al., 2008).

PAZIENTI DISSOCIATIVI E ZONE DI SOVRAPPOSIZIONE CON I DISTURBI DI

PERSONALITÀ

Molti studi mostrano che i bambini maltrattati diagnosticati con PTSD mostrano anormalità

metaboliche limbiche lateralizzate a destra (De Bellis et al., 2002) e adulti gravemente abusati

nell'infanzia (Raine et al., 2001) e con diagnosi di PTSD (Galletly et al., 2001) mostrano ridotta

attivazione emisferica destra durante un compito di memoria di lavoro. Pertanto, come Schore

(1997) e van der Kolk (2014) sostengono, i sintomi del PTSD riflettono un danneggiamento del

funzionamento dell'emisfero destro e pertanto del “nucleo affettivo” (Emde, 1985) del sé. In uno

studio su pazienti con PTSD (in opposizione a pazienti traumatizzati senza PTSD) che

sperimentano memorie traumatiche con aumento del battito cardiaco, Lanius e colleghi (2004)

hanno osservato attivazione dell'emisfero destro e in particolare delle strutture prefrontali e

limbiche nelle risposte dissociative. In un altro studio, Spitzer e colleghi (2004) concludono che in

individui proni alla dissociazione, un trauma che è percepito ed elaborato dall'emisfero destro

porterà a una rottura delle normali funzioni integrate della consapevolezza.

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Secondo Liotti, assistere a un evento potenzialmente traumatico attiva il sistema

motivazionale di attaccamento (Liotti, 1999a, 1999b). L'esperienza del dolore fisico e psichico

insieme alla percezione della propria vulnerabilità fa sì che l'individuo automaticamente cerchi

conforto e aiuto, e questo accade entro il contesto del proprio sistema di attaccamento. In questo

caso, se il sistema attivato è disorganizzato, molto probabilmente si attiverà una risposta dissociata.

Liotti notifica che in queste circostanze si aggiunge anche una rappresentazione scissa di se e altro,

derivante dall'attaccamento disorganizzato. Per questo motivo, la disorganizzazione dell'

attaccamento è un fattore di rischio per il PTSD e/o per il disturbo di personalità in futuro se non

viene attivata una adeguata riparazione (Adams et al., 1995; Liotti, 1999a, 1999b). Quindi, cattivo

accudimento infantile e abuso diventano fattori di vulnerabilità che, in presenza di significativi

stress emotivi, diventano un fattore di mediazione verso la dissociazione e verso quei disturbi che

possono avere la dissociazione alla loro base, ovvero i disturbi dissociativi e un'alta percentuale di

disturbi di personalità. Tuttavia, PTSD e disturbi di personalità non vanno confusi: un disturbo di

personalità infatti si sviluppa solo in una relazione abusante continuata nel tempo, mentre il PTSD

può essere causato anche da fattori non relazionali (come un terremoto o un incidente). La

confusione deriva dalla sovrapposizione di alcuni sintomi, come ansia, esplosioni di rabbia,

aggressività, insonnia e disregolazione dell'umore, con o senza depressione. Per relazioni abusanti a

lungo termine si dovrebbe usare la categoria diagnostica del complex PTSD.

Grazie al contributo della ricerca di Lanius e colleghi del 2012, un nuovo sottotipo

dissociativo del PTSD è stato incluso nel DSM-5, con tutti i sintomi del PTSD più la

depersonalizzazione e la derealizzazione. La risonanza magnetica funzionale ha mostrato che un

sottogruppo di pazienti con PTSD rispondeva a immagini traumatiche con iperattività della

corteccia frontale e inibizione limbica, (un segno della dissociazione), in contrasto con ciò che ci si

sarebbe aspettato da sintomi da iperarousal; in altri termini, si evidenziano iperfrontalità e

attivazione limbica con attività difensiva attacco o fuga del sistema nervoso simpatico (aumento

del battito cardiaco, la conduttanza cutanea, e la pressione sanguigna) (Pole, 2007; Porges, 2011). In

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aggiunta all’usuale amnesia, ai flashback e all'ottundimento, questo sottogruppo presentava anche la

tipica disconnessione parasimpatica che abbiamo sottolineato come tipica risposta vagale

all'estremo stress e all' abuso. Il gruppo che presenta sia sintomi di PTSD che sintomi dissociativi

(depersonalizzazione o derealizzazione) presenta storie di trauma e abuso più prolungato o grave e

mostra maggiori tendenze suicidarie (Stein, et al., 2013). Questi pazienti rispondono alle

sollecitazioni traumatiche con risposte passive difensive di sottomissione, accompagnate da

ottundimento del sistema autonomo e analgesia (in accordo con la risposta che Nijenhuis chiama

dissociazione somatoforme e che Porges ha spiegato attraverso la risposta polivagale).

La relazione tra PTSD e il futuro sviluppo di un disturbo di personalità non è stato chiarito8.

Sembra importante tuttavia ricordare che il PTSD è una reazione a un singolo episodio o una serie

di eventi traumatici sia naturali che originati dall'essere umano, mentre perché vi sia disturbo di

personalità occorrono traumi cumulativi o protratti nel tempo, provocati da mano umana (cosa che

fino ad ora ha riconosciuto solo il PDM-2). Attualmente la ricerca non ha mostrato un legame

diretto tra traumatizzazione da mano umana (anche del tipo complex PTSD o trauma cumulativo) e

lo sviluppo conseguente di patologie dissociative e disturbi di personalità. Sarebbe comunque

difficile immaginare una singola ricerca che prenda in esame tutti i fattori relazionali ed esistenziali

protratti nel tempo che sarebbero necessari per mostrare le conseguenze del trauma relazionale di

primo e secondo livello.

ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO COME PRECONDIZIONE PER UN DISTURBO

DI PERSONALITÀ E PSICOPATOLOGIA DISSOCIATIVA

Secondo Hesse and Main (1999), la disorganizzazione dell'attaccamento (tipo D) associato con

abuso e neglect assomiglia fenotipicamente agli stati dissociativi. Questo potrebbe essere

8 Per noi, abbiamo già detto che la confusione nell'usare il concetto di PTSD consiste nel fatto che il PTSD come è oggi configurato dal DSM 5 e precedenti, non comprende il complex PTSD.

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interpretato seguendo la spiegazione di Schore sulla trasmissione neurobiologica

intergenerazionale: durante la comunicazione tra gli emisferi destro della madre (o del caregiver) e

del bambino nell'infanzia, il trauma può essere trasmesso anche in assenza di abuso da un caregiver

traumatizzato. Come scrive Schore,

Durante episodi di attaccamento connessi alla trasmissione intergenerazionale del trauma, il

bambino si associa alle strutture ritmiche degli stati disregolati della madre. Questa

sincronizzazione viene registrata nei pattern di scarica delle regioni corticolimbiche

dell’emisfero destro sensibili allo stress, che è dominante nel caso di risposte umane allo

stress e di sopravvivenza (Wittling, 1997; Wittling, Schweiger, 1993 ). Si tratta di strutture

emisferiche destre che si trovano in un periodo di crescita critico durante le prime fasi dello

sviluppo umano. (Allman, Watson, Tetreault, & Hakeem, 2005; Bogolepova & Malofeeva,

2001; Chiron et al., 1997; Schore, 1994)

(Schore, 2012a, in Bromberg 2012, p. xviii)).

L' eziopatogenesi traumatica multidimensionale dei disturbi di personalità non è facile da

definire, e su questo punto molti autori divergono. Tuttavia, un nutrito corpo di ricerca sembra

provare che l'attaccamento disorganizzato in presenza di fattori di vulnerabilità e in mancanza di

elementi riparatori predisponga all’instabilità e alla disregolazione che caratterizza i disturbi

borderline (Barone, 2003; Byun et al., 2016; Fonagy et al., 1996; Liotti, 2014; Liotti & Farina,

2011; Lyons-Ruth, 2003; Patrick, Hobson, Castle, Howard, & Maughan, 1994; Schore, 2012).

Ianarini, Paris, e Gabbard, che hanno una grande esperienza clinica con i disturbi di

personalità, confermano l'alta percentuale di abuso (soprattutto abuso sessuale) in pazienti che sono

stati diagnosticati come borderline. Kernberg allo stesso modo riconosceva “la prevalenza

dell'abuso fisico e sessuale nella storia di pazienti con disturbi gravi di personalità” (Clarkin,

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Yeomans, & Kernberg, 1999, p. 245). Bessel van der Kolk e Pat Ogden identificano nella

disregolazione affettiva e nella dissociazione la causa principale della patologia.

Schore fornisce questa spiegazione del trauma relazionale infantile e della

disorganizzazione dell'attaccamento:

Cosa importante, a causa della maturazione più tarda del sistema nervoso parasimpatico e i

conseguenti avanzamenti cognitivi, i tentativi del bambino di far fronte difensivamente alla

madre che induce stress sono più complessi. Con la successiva maturazione del SNA, il

bambino può ora ricorrere a due stati psicobiologici distinti, non sovrapponentisi. Secondo

Kernberg (1975), una delle caratteristiche principali della condizione borderline è l’utilizzo di

difese di scissione che permettono la presenza simultanea di stati scissi o dissociati. Si ritiene

oggi che le condizioni precognitive per le difese dissociative vengano già stabilite nel bambino

nel periodo tra i 12 e i 18 mesi (Gergely, 1992). [La stessa fase del possibile sviluppo di un

disturbo di personalità in caso di trauma relazionale infantile.] La funzione di queste difese può

essre di evitare stimoli esterni che possono indurre stato di disregolazione di iperarousal o

ipoarousal. (Schore, 1994, p. 420, Trad mia per questa edizione).

La mancanza di regolazione affettiva, con dissociazione, identificazione proiettive, e difese

primitive, si accompagna all’impossibilità interna di un oggetto consolatorio a cui fare ritorno

quando il paziente è disregolato e sopraffatto dalle emozioni, a causa di cattive esperienze di

attaccamento o anche neglect, maltrattamento, e abuso protratti per un lungo periodo. Il cattivo

funzionamento delle strategie di autoregolazione non riescono ad evitare al paziente di passare da

iperattività a estrema ipoattività della corteccia orbitofrontale e dell'amigdala, cosicchè al vuoto

interiore si accompagna il caos e la costante agitazione. In questi pazienti si rileva un deficit delle

regioni parietale e frontali destre.

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Va notato che l'emisfero destro è dominante non solo per la regolazione affettiva ma anche

per il mantenimento di un coerente senso del proprio corpo (Tsakiris et al., 2008), per l'attenzione

(Raz, 2004), e per processare il dolore (Symonds et al., 2006), cosicchè la strategia di dissociazione

da emisfero destro rappresenta l'estrema difesa per bloccare il dolore emotivo, basato sul corpo.

Riguardo alla connessione tra attaccamento disorganizzato e sviluppo di un disturbo di

personalità borderline, molti autori sottolineano come la personalità di un individuo sia il risultato

della continua interazione tra tratti ereditati geneticamente e l'esperienza intersoggettiva relazionale

con il proprio ambiente (Bouchard, 1994; Calkins & Fox, 2002; Kagan, 1997; Kendler & Eaves,

1986; Rothbart & Ahadi, 1994).

La disorganizzazione dell'attaccamento è stata identificata da Lyons-Ruth e Jacobvitz

(1999), da Gunderson (1996), e da Fonagy e colleghi (2003) come un modello di sviluppo deviante

che può costituire un fattore di rischio che identifica lo sviluppo futuro di un disturbo di personalità

borderline. Inoltre, l' attaccamento disorganizzato è stato visto come possibile base per lo sviluppo

di un disturbo dissociativo. In generale, i disturbi borderline di personalità, nella misura in cui

implicano un disturbo nella rappresentazione integrata e stabile di sé e altro, con disregolazione o

impulsività, possono essere considerati come un particolare disturbo dell'emisfero destro che

richiede una particolare terapia da emisfero destro.

Che ci siano o no alti livelli di dissociazione in tutti i disturbi di personalità (si veda la

review di Scalabrini, Cavicchioli, Fossati, & Maffei, 2017), la dissociazione rimane alla base della

scissione nella formazione del disturbo, sia a livello affettivo che cognitivo.

Anche se possono non essere state attivate risposte dissociative, nei disturbi di personalità la

traumatizzazione ha causato in modo permanente una scissione nell'organizzazione delle

rappresentazioni sé-altro. La scissione non è la dissociazione, ma implica la presenza di visioni

opposte dell'oggetto, sia interno che esterno, (cosa che costituisce, secondo Kernberg, il nucleo

della patologia e si esprime in seduta attraverso elementi diadici, opposti, che riattualizzano

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contraddittori processi interni, sia a livello cognitivo che a livello affettivo, cosicchè nello stesso

momento livelli diversi del sé sono attivati/presenti).

ABUSO, CORPO E SINTOMI DISSOCIATIVI

Sull'abuso come fattore eziopatogenico per i disturbi borderline, Schore scrive in modo molto

convincente:

E’ oggi risaputo che abusi nella prima infanzia sono in grado di alterare la maturazione del

sistema limbico lateralizzato a destra, producendo alterazioni neurobiologiche che diventano il

substrato biologico di una varietà di conseguenze psichiatriche, inclusa instabilità affettiva,

inefficiente tolleranza allo stress, danneggiamento della memoria e disturbi dissociativi (Schore,

2002).

(Schore 2012a, pp. XXVIII-X-IX, Prefazione, in Bromberg 2012)

Herman, Perry, e van der Kolk nella loro ricerca del 1989 hanno verificato che i pazienti

borderline avevano subito traumi gravi, con violenza fisica e sessuale prima dei 6 anni; solo una

minoranza di pazienti non riferiva eventi traumatici, ma soffriva di grave amnesia. Dati simili

emergono dallo studio di Ogata e colleghi (1990) e di Zanarini e colleghi (1989). La dissociazione

peritraumatica viene vista come il maggiore predittore di PTSD (van der Kolk, van der Hart &

Mamar, 1996).

Coerentemente con quanto stiamo dicendo, van der Kolk ha osservato una forte

lateralizzazione dell’attività dell'emisfero destro quando vengono riattivate memorie traumatiche, in

aggiunta a notevole riduzione dell’attività dell' area di Broca nell'emisfero sinistro, l' area

notoriamente implicata nel linguaggio e nella verbalizzazione delle esperienze significative. La

possibilità di attribuire nuovi significati agli eventi traumatici ristruttura l'attività del cervello in

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modo più equilibrato e disattiva la risposta eccessiva del sistema limbico, permettendo una

maggiore possibilità di consapevolezza corticale e verbalizzazione esplicita.

Lanius e colleghi (2005) hanno usato la risonanza magnetica funzionale per mostrare una

attivazione prevalentemente nell'emisfero destro in pazienti con PTSD mentre erano in stato

dissociativo: i pazienti dissociavano per sfuggire a emozioni sopraffacenti per cui non avevano

parole per esprimerle.

A mio parere, in aggiunta alle vie dissociative create neurobiologicamente dal trauma

relazionale infantile (mancanza di attunement, mancanza di mirroring), le dinamiche psichiche

dissociative e i sintomi corporei sono la riattivazione nel presente di una vecchia diade vittima–

persecutore inscritta nel sistema mente-corpo-cervello a causa di effettiva violenza o perfino abuso

sessuale e incesto.

RUSSEL MEARES E IL MODELLO DISSOCIATIVO DEI DISTURBI BORDERLINE DI

PERSONALITÀ

L'autore che forse ha contribuito piu' autorevolmente a sostenere la teoria della base dissociativa dei

disturbi borderline di personalità è Russel Meares, il quale ritiene che la dissociazione come la

frammentazione entro il sé sia un sintomo caratteristico dei disturbi borderline, attribuibile alla loro

origine traumatica ed espressivo della dimensione delle sofferenze e difficoltà esistenziali del

paziente borderline. È probabile che sistemi multipli di memorie traumatiche esistano in risposta a

differenti caregivers o in differenti momenti di sviluppo, come accade ad esempio nelle diadi

controllanti/intrusive, abbandonanti/non responsive, spaventanti/spaventate e così via, tutte

corrispondenti a forme di attaccamento disorganizzato (Meares, 2012). Per Meares, il disturbo di

personalità è un disturbo del sé basato su una dolorosa incoerenza (Wilkinson-Ryan & Westen, 2000)

e mostra frammentazione della mente–corpo–sé, o oggetto sé secondo, Kohut (1971)—una

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frammentazione che spiego a livello evolutivo con il modello neurobiologico di Schore e con

l'internalizzazione delle dinamiche distruttive della diade vittima–persecutore seguendo Ferenczi.

Questo mi sembra in accordo con il fatto che i sistemi motivazionali di Panksepp sono

interconnessi secondo un sistema neurologico, fisiologico, relazionale e sociale che collega il sé

corporeo all'ambiente perché vi sia l' adattamento alla sopravvivenza e all'ambiente. La diade

internalizzata vittima–persecutore agisce come un sistema motivazionale di sopravvivenza per i

soggetti borderline.

Come sistema relazionale implicito, la dinamica relazionale vittima–persecutore rimane il

modello di regolazione funzionante durante l'intero arco di vita in questi pazienti (perfino in altre

relazioni amorose e di attaccamento), a meno che la terapia non intervenga a modificare e

ripristinare il modello di regolazione. La terapia può aiutare questi individui a praticare e ad arrivare

ad accettare nuovi modelli di differenziazione e integrazione di rappresentazioni e diadi sè–altro

all'interno di una cornice interpersonale sicura.

Concordo con Karlen Lyons-Ruth e i colleghi del Boston Change Process Study Group che

nella terapia rappresentazioni implicite messe in atto nello scenario reale del setting attraverso

forme di “ rappresentazioni attualizzate in relazione" debbano re-iscrivere una nuova traiettoria

implicita ed esplicita per il paziente. Ciò è possibile solo con un terapeuta che sia impegnato ad

agire nella seduta come un testimone attivo, presente anche a livello implicito-corporeo (attraverso

tutto il lavoro che il terapeuta stesso compie con il suo sistema mente-corpo-cervello, anche grazie

alle sue esperienze personali e di training), in accordo con quell'impegno intersoggettivo che

Ferenczi propone per un terapeuta che sia totalmente impegnato e presente, "benevolo e

soccorrevole"(come spiegherò nel capitolo successivo).

COME LAVORARE CON LE MEMORIE TRAUMATICHE IMPLICITE IN

PSICOTERAPIA

La psicoterapia funzionerà sulla base delle iscrizioni implicite, corporee, le tracce di

rappresentazioni internalizzate di relazioni passate a cominciare dalle tracce sedimentate

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dall'attaccamento. Come conferma Siegel, quando tracce di memorie implicite vengono recuperate,

i profili della rete neurale che vengono riattivate implicano circuiti del cervello che sono parte

fondamentale della nostra esperienza di vita quotidiana: i comportamenti, le emozioni, e le

immagini codificate in modelli operazionali della mente sono presenti nel qui ed ora della seduta.

Patterns distruttivi sono ripetuti e messi in atto in momenti di scambio reciproco in cui entrambi i

partecipanti del dialogo (in senso anche implicito) mettono in atto un modello implicito di emisfero

destro che è stato interiorizzato, ma oltre a questo il terapeuta può far uso di strategie linguistiche-

settoriali da emisfero sinistro che implicano linguaggio e interpretazione, in tutt'e due le direzioni,

avanti e indietro, da destra a sinistra, e poi a destra nuovamente (essendo comunque la coloritura

emotiva non verbale diretta dal funzionamento dell'emisfero destro).

Soprattutto i pazienti gravi, come quelli borderline, con la loro massa di emozioni

disregolate e il loro uso delle difese primitive massive, metteranno in atto una corrente di affetti

instabile e violenti che sono per lo più inconsci nel senso che non possono essere controllati a

livello corticale ed equilibrati. Qualsiasi occasione nei limiti del setting terapeutico ravvivera' e

riattivera' (dato anche il fenomeno di rekindling tipico del loro funzionamento) lo sturm und drang

emotivo a cui sono soggetti: una continua tempesta di acting out (fuori dalla seduta) e di enactment

(dentro la seduta) da una parte permetteranno la ripetizione di ciò che non è stato dominato e

compreso consapevolmente e d'altra parte saranno l'oggetto dell’esplorazione e del continuo

processo dialogico mentale e corporeo dell'incontro terapeutico. È il processo che guida il

contenuto; è per questo che il contenuto da solo e l'interpretazione da sola non possono influenzare

il processo. In aggiunta, il linguaggio inteso come un processo relazionale in cui l'"abreazione" (in

senso freudiano, la mera purificazione degli affetti, come Freud scriveva a proposito della terapia

con le isteriche, "non è abbastanza," come Ferenczi sosteneva già nel 1932: quello che serve,

diremmo oggi, è un reale cambiamento della reiscrizione delle rappresentazioni implicite

interiorizzate.

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