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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo N. 1 MARZO 2000 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Acqua: Senza cooperazione internazionale e un management globale il futuro sarà difficile Sudafrica, forte e fragile speranza Lotta alla povertà: Poveri per sempre?

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Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

N. 1MARZO 2000LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

Acqua: Senza cooperazioneinternazionale e un managementglobale il futuro sarà difficile

Sudafrica, forte e fragile speranza

Lotta alla povertà: Poveri per sempre?

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Sommario

Pubblico e privato, insieme contro i parassitiNella lotta contro le malattie tropicali, la DSC sostiene una collaborazione inedita

21Un formaggio degno di creditoUn caseificio russo e il programma della DSCa sostegno delle piccole e medie aziende

22Dietro le quinte della DSC

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«World Music» - quo vadis?Un’analisi critica sulla musica del mondoe sulla coscienza planetaria

28La maschera si incrinaUn documentario sui predatori di cultura

30

Editoriale 1Periscopio 2Cos’è la povertà ? 23Servizio 31Agenda 33Colophon e tagliando d’ordinazione 33

Eine Welt Nr.1/ Februar 1998

DOSSIER

FORUM

SVILUPPO E COOPERAZIONE SVIZZERA

EFFICACIALa difficile ricerca dell’efficacia ottimaleUn obiettivo provocatorio: rendere cooperazione e sviluppo superflui

4La famosa goccia, la canna da pesca e l’autonomiaOttiche e prospettive diverse:

VIETNAMUn occhio sfuocatoDuong Phuong Vinh, giornalista vietnamita,parla del suo paese

14Nel vortice del progresso e dello sviluppoIl Vietnam e la spaccatura fra tasso d’incrementoesplosivo e grande povertà

16

Solidarietà: oltre il denaroWalter Fust, direttore, esprime ilpunto di vista della DSC sul concetto di solidarietà

19La medicina contro la violenzaL’aiuto umanitario svizzero miglioral’assistenza medica in Afganistan

20

Un solo mondo n.4/marzo 2000

Ancora guerra in Angola«Ponti per la pace» è questo il nome del programma diaiuto umanitario svizzero in Angola

24Dietro le quinte della DSC

25

Poveri per sempre? Un dibattito sulla lotta alla povertà con Paul Collier della Banca Mondiale ed Elliot Berg, docenteuniversitario ed esperto d‘Africa

26Carta bianca Hugo Loetscher, scrittore e giornalista, ci parla del suoincontro con gli angeli in Brasile e Messico

29

Messaggi forti che fanno discutere «South meets West»: una mostra d’arte contemporaneasi batte contro stereotipi di moda in Svizzera e in Africa.

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Editoriale 3Periscopio 4L’opinione della DSC 21Cos’è... l’ownership? 25Servizio 33Agenda 35Impressum e tagliando d‘ordinazione 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione, l’agenzia dello sviluppoin seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) è l’editrice di«Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in sensostretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertanto nonesprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

DOSSIER

SVILUPPO E COOPERAZIONE SVIZZERA

ACQUAIn futuro niente acqua? Senza acqua, niente vita – le prospettive per il futurodell’acqua sul nostro pianeta sono nere

6Imparare dal Sud? Le grandi metropoli in continua espansione abbisognano di una quantità d’acqua sempre maggiore

10Molti canali per proteggere l’acquaIl rifornimento idrico è stato uno dei primi compiti assunti dalla cooperazione allo sviluppo

12In guerra per l’acquaIl potenziale di conflitto insito nell’acqua è preoccupante e incontinuo aumento

14

SUDAFRICA Forte e fragile speranza Diseguaglianze e tensioni razziali continuano a caratterizzarela società sudafricana e mettono in pericolo la speranza delriscatto economico

16Che cos’è un africano? La giornalista sudafricana Lizeka Mda illustra il suo quotidiano

20

La rivoluzione dall’alto La Bolivia sta mettendo in atto trasformazioni considerevoli. La DSC vi gioca un ruolo centrale

22Un’antenna nel cielo bluNuova stazione radiofonica in Kosovo grazieal sostegno svizzero

23

GENTE E PAESI

FORUM

CULTURA

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Un solo mondo n.1/marzo 2000

La Svizzera è considerata una sorta di serbatoio idricod’Europa. Un paese nel quale l’acqua scorre a volontà.Acqua da bere, per la doccia di tutti i giorni ed anche perl’agricoltura. Noi svizzeri ci possiamo addirittura per-mettere di utilizzare questo prezioso elemento qualemezzo di trasporto dei nostri rifiuti fecali, delle urine edegli avanzi generati dalle nostre economie domestiche.La nostra ricchezza idrica è verosimilmente considera-ta, ad ogni livello, una vera benedizione del cielo. Delresto gli esperti ritengono che in futuro l’acqua risulteràfattore decisivo per lo sviluppo ed il benessere. Il tempodarà loro ragione, considerato che già oggi un quintodella popolazione mondiale – e dunque 1,2 miliardi dipersone – non hanno soddisfacente accesso all’acquapotabile, né per qualità, tantomeno per quantità. Con untipo di sviluppo analogo a quello attuale, fra 25 anni sa-ranno 2,3 miliardi le persone che si troveranno confron-tate con questo problema. La situazione sta dunque pre-cipitando e l’opinione di esperti qualificati vale come am-monimento: l’accesso all’acqua potabile diverrà in futurosempre più motivo di conflitti armati.

Una realtà desolante e proiezioni che potrebbero indur-ci alla rassegnazione. Ma proprio tale comportamentosarebbe il più errato nell’approccio con problematicheche risulteranno decisive per il futuro. In occasione delSecondo Forum internazionale sull’acqua, che si terràall’Aia nel prossimo mese di marzo, le due reti interna-zionali World Water Council e Global Water Partnershippresenteranno le loro strategie per una saggia ammi-nistrazione delle risorse idriche e le dirette esperienzetese ad una durevole gestione del patrimonio idrico. Perdare maggiore vigore al loro lavoro, le due strutturehanno deciso di attivarsi in maniera strettamente siner-

Ed itor ia le

gica ed ai più diversi livelli operativi. Dai giorni della lorofondazione, all’inizio degli anni 90, la DSC è membro epartner operativo di queste due reti internazionali.In occasione di questo seminario un gruppo di ricercasvizzero sostenuto dalla DSC presenterà un nuovoconcetto di «gestione integrata delle acque urbane e deirifiuti ». Il punto di partenza di tale concetto sta nellaconstatazione che il sistema di gestione delle acque discarico nei paesi dell’Occidente ha precisi limiti. Percontro, nei quartieri poveri delle grandi città dei paesiin via di sviluppo le abitazioni non sono collegate allarete idrica urbana. L’incombenza acqua è dunque la-sciata all’iniziativa del singolo, che spesso riesce a tro-vare proprie soluzioni. Un tipo di iniziativa, questo dellesingole economie domestiche, che potrebbe vantag-giosamente entrare a far parte di un concetto idrico par-ticolarmente organizzato (per luoghi di prossimità, cittàe regioni). Decisivo appare qui disciplinare il ciclo dellesostanze fertilizzanti quali fosforo e azoto, presenti nelleacque di smaltimento urbano e che sono da inviare di-rettamente a beneficio dell’agricoltura, invece di pro-vocare, attraverso le canalizzazioni, l’inquinamento deicorsi d’acqua. Questi nuovi «percorsi » idrici dovrannoin futuro essere presi in sempre maggiore considera-zione anche dai paesi dell’Occidente, per riuscire a li-mitare lo sconsiderato sfruttamento delle risorse idriche.Il « serbatoio idrico» d’Europa, la Svizzera, saprà anco-ra in questo scorcio di secolo approfittare delle espe-rienze fatte nei paesi in via di sviluppo nel campo dellagestione integrata delle acque urbane e dei rifiuti.

Harry Sivec, Capo media e comunicazione DSC

(Dal tedesco)

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Gratuito sì, ma non per tutti...(jls) La maggior parte delle

pubblicazioni della DSC è distribuita

gratuitamente. Ciononostante, si

constata che all’insaputa dell’editore

alcuni prodotti seguono una

traiettoria diciamo così mercantile.

Il Servizio media e comunicazione

DSC è venuto incidentalmente a

conoscenza di ciò leggendo la lettera

inviata da un lettore del Congo: «Il

vostro opuscolo, che si occupa della

riforma fiscale e che ho avuto modo

di acquistare presso un’edicola di

Kinshasa, ha suscitato in me un

grande interesse.»

L’opuscolo in questione è apparso

con il titolo «Riforma fiscale e lotta

contro la povertà nel quadro dei

programmi di aggiustamento

strutturale». Parecchie dozzine di

esemplari di questa pubblicazione,

in risposta ad una massiccia richiesta,

erano state spedite l’anno scorso alla

volta del Congo. E ciò spiega

parzialmente quanto è poi avvenuto.

Del resto, pur senza essere a

conoscenza del fatto che questo

opuscolo veniva posto in vendita, la

Direzione dello sviluppo e della

cooperazione aveva provveduto a

sospendere ogni invio a causa delle

spese di consegna troppo elevate.

Alberi e foresta: un modo percombattere la povertà ?(chk) Là dove la popolazione non

ha accesso alla foresta, sorgono

conflitti che sovente comportano un

degrado, se non addirittura una

devastazione, delle stesse. Per

contro, proprio dove alla gente è

Per

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Parliamo di baratto(bf) Spesso sono i piccoli coltivatori

dei paesi del Sud a dover sopportare

in maniera più intensa di altri gli

effetti negativi dell’economia di

mercato. Del resto tale fenomeno

non consente in pratica alcuna

alternativa. Di certo non

nell’altopiano boliviano, come ha

stabilito un gruppo di ricercatori

nell’ambito del Programma agro-

ecologico dell’Università Estatal de

San Simon di Cochabamba, in

Bolivia. Nella provincia boliviana

di Quillacollo, a 2500 metri di

altitudine, la popolazione locale

da anni è sempre più intensamente

dedita ad una pratica vecchia di

secoli, una strategia di sopravvivenza

che è poi il baratto. Una pratica

commerciale che non ha mancato di

suscitare la sorpresa dei ricercatori,

in quanto non solo contribuisce

alla sopravvivenza economica,

ma presenta anche concrete

«componenti di carattere sociale

e spirituale ».

Nei mercati locali si distinguono,

infatti, due tipi di baratto. Il primo è

il cosiddetto Cambiacuy che serve

più che altro a rafforzare le relazioni

familiari ed interpersonali, visto che

i beni che si scambiano sono

sovente considerati più che altro

dei regali. Il secondo, il cosiddetto

Trueque, è invece un tipo di

commercio più professionale, tra

contadini e uomini d’affari. Un

commercio teso spesso all’acquisto

di beni che non possono essere

ottenuti con il Cambiacuy.

concesso trarre un giusto utile dalla

foresta, si constata che essa non

subisce alcun degrado. È questa la

nozione centrale cui si è giunti al

termine di un seminario su alberi e

foreste, nell’ambito della

cooperazione allo sviluppo, che

aveva come tema la lotta alla

povertà. Un esempio che viene dal

Ruanda: durante la guerra civile del

1994, in quel paese sono state

devastate molte foreste. Eppure, la

foresta che corre sullo spartiacque

geografico tra lo Zaire ed il Nilo è

rimasta praticamente intatta. I

motivi sono evidenti, infatti la gran

parte delle famiglie che vivono

accanto a quella regione boschiva

gode di un diritto d’uso forestale.

In occasione del seminario sono

emersi anche quesiti riguardanti la

Convenzione sul clima di Kyoto.

Ad esempio, i paesi industrializzati

dovrebbero fornire una parte del

loro impegno volto alla riduzione

delle emissioni di CO2 sotto forma

di finanziamento di progetti di

protezione forestale e di opere di

rimboschimento nei paesi in via di

sviluppo. Infine i partecipanti al

seminario hanno mostrato

preoccupazione, in quanto le

popolazioni locali verosimilmente

non riusciranno a trarre alcun

profitto dal grande flusso di

sovvenzioni finanziarie che oggi

appare lecito attendersi.

India: panettieri edisboscamento(bf) Si stima che in India ogni anno

circa 75 mila panettieri alimentino i

loro forni con oltre 12 milioni di

tonnellate di legna. In

considerazione del fatto che in

molta parte del paese il disbosca-

mento e la successiva erosione del

suolo sono divenuti fenomeni di

emergenza ecologica, molti

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scienziati hanno messo in guardia la

popolazione. Quale alternativa ai

tradizionali forni di mattoni, si è così

deciso, nella regione dell’India

occidentale di Maharashtra, di

rendere operativi forni elettrici ed a

nafta, in modo di consentire un

paragone con quelli a legna. Il

risultato indica che, seppure il

bilancio energetico dei nuovi forni

è sensibilmente migliore di quello

degli impianti a legna, il costo di

produzione di un chilogrammo di

pane con il sistema tradizionale resta

leggermente più conveniente. Per

questo motivo molti sono i

panettieri che purtroppo esitano ad

acquistare nuovi forni.

Imparare scommettendo(jls) La gente del Gambia mostra di

avere una grande passione per le

corse ippiche francesi dal giorno in

cui nel paese è stato introdotto, nel

1996, il «Pari Mutuel Urbain»,

PMU. Sono circa 13 mila le

persone che scommettono

regolarmente. Nonostante che

questo gioco sia severamente

condannato dall’Islam, sono molte le

persone che perdono – nella

speranza di garantirsi una vincita

rapida ed una vita dai grandi agi –

tutto il loro patrimonio.

Seppure non è riuscito a soddisfare

tutti i sogni di arricchimento, il

PMU ha almeno contribuito a

diminuire il numero di analfabeti

nel Gambia. «Molti scommettitori

hanno imparato a leggere

semplicemente cercando di decifrare

i nomi dei cavalli e a far di calcolo,

quando è toccato a loro incamerare

una qualche vincita», dice Raphael

Manga, agente della lotteria.

Di ritorno dalla Mecca(jls) Ogni anno circa seimila abitanti

della Guinea vanno alla Mecca. La

maggior parte di loro ha un’età

superiore ai 60 anni e affronta il

viaggio a spese dei propri figli. Sono

costoro che arrivano spesso ad

indebitarsi pesantemente o a

vendere i loro beni per consentire ai

propri genitori questo importante

pellegrinaggio. Numerose agenzie di

viaggio offrono volo e soggiorno ad

un prezzo di 2,7 milioni di franchi

della Guinea (circa 2700 franchi

svizzeri). Ma le spese non finiscono

qui. Al suo ritorno il pellegrino

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Piccola guerra «umanitaria»

dovrà essere accolto con il dovuto

fasto - indipendentemente dai mezzi

economici di cui si dispone. Un

doganiere di Conakry racconta che

l’organizzazione delle cerimonie

di accoglienza lo ha quasi ridotto al

lastrico: «Una volta acquistato il sôbi,

l’abito speciale adatto ad accogliere i

pellegrini e dopo aver pagato i succhi

da bere, la preparazione dei piatti ed

il noleggio di una videocamera, c’è

ancora da sborsare il denaro per i

cantici declamati giorno e notte.

Tutti i miei risparmi si sono volatiliz-

zati. Davvero un bel guadagno...»

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Un solo mondo n.1/marzo 2000

Senza acqua, niente vita ! Ecco perché suscita tante preoccu-pazioni il futuro del bilancio idrico del nostro pianeta. Con la co-operazione internazionale e una gestione globale si tenta ora divoltare pagina. Di Gabriela Neuhaus.

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In futuronienteacqua?

Taabyldy Egemberdiev è un abile uomo d’affari e siè assicurato tempestivamente i diritti di godimentoper la sorgente che sgorga dai monti vicini alla capi-tale kirghisa Bishkek. Ora commercializza sul mer-cato locale acqua in bottiglie di PET. «La gente habisogno di acqua potabile sia d’estate che d’inverno»,ci dice Egemberdiev, « la richiesta aumenterà, siaperché la qualità delle nostre condotte di distribu-zione peggiora continuamente, sia perché la penuriad’acqua costituirà la maggiore preoccupazione delnuovo secolo. » Egemberdiev non è la sola persona ascommettere sull’acqua. La Nestlé, per esempio, stasistematicamente acquisendo sorgenti d’acqua pota-bile. Infatti anche la grande multinazionale intrave-de in questo settore grandi affari per il futuro. NegliStati Uniti e in Europa gli investitori lungimirantipuntano sul settore idrico che in molti paesi sta at-tualmente passando dall’ente pubblico ai privati.L’acqua, così stimano gli esperti, rappresenterà in fu-turo il fattore decisivo per lo sviluppo e il benessere.Il fatto che l’acqua sia un fattore chiave anche perl’umanità non è una scoperta recente. Già in tempiremoti si veneravano le divinità dell’acqua. Dasempre si combattono guerre per accaparrarsi le ri-sorse idriche e da sempre si costruiscono gigan-tesche opere edili per garantire il rifornimento idri-co. Per contro è un fenomeno recente che stiamomanifestamente superando ogni limite nell’utilizza-zione di acqua. Ciò significa che consumiamo piùacqua di quanta il ciclo naturale ne metta a disposi-zione. Oggi attingiamo a antiche riserve idriche e ledeprediamo. La preziosa materia prima sta così di-ventando in tutto il mondo un bene raro che pre-sto o tardi potrebbe esaurirsi.

Una ripartizione tutt’altro che equaLe gigantesche riserve d’acqua della Terra – le scien-ziate e gli scienziati stimano il volume totale a circa1,4 miliardi di chilometri cubi – sono saline in ra-gione del 97,5 percento e, nelle vesti di ghiaccio per-petuo delle cappe polari o di acque freatiche pro-fonde, sono praticamente inaccessibili all’utilizza-zione umana. Solo lo 0,13 percento del volumecomplessivo d’acqua si lascia utilizzare direttamen-te. In caso di una equa ripartizione, considerati i 6miliardi di individui che attualmente popolano ilnostro pianeta, sarebbero pur sempre disponibiliben 1500 a 2000 metri cubi di acqua pro capiteall’anno. Queste quantità sarebbero più che suffi-cienti se solo fossero ripartite equamente e se l’ac-qua fosse utilizzata in modo efficiente.Ma la realtà è diversa. Nonostante i pluriennali sfor-zi compiuti nel campo della cooperazione allo svi-luppo, fino a oggi 1,2 miliardi di persone non hannoaccesso a sufficienti quantità di acqua potabile. E sela situazione continuasse a evolvere come finora,entro il 2025 esse saranno addirittura 2,3 miliardi.Ogni anno muoiono circa 4 milioni di persone permalattie dovute alla cattiva qualità dell’acqua e allacattiva igiene pubblica. Già oggi la popolazione di29 paesi (quasi tutti d’Africa e d’Asia) soffre della pe-nuria cronica, se non addirittura della mancanza, diacqua. E anche qui le prospettive sono alquantotetre.Il consumo di acqua aumenta incessantemente. Conl’industrializzazione e l’aumento del benessere cre-sce anche il fabbisogno. Chi riceve l’acqua in casa,erogata dalle apposite condotte, non si dà eccessivipensieri riguardo al suo uso, come invece sono co-

Acqua

L’aqua sta divenendo unfattore centrale di sviluppo ebenessere. Ogni annomuoiono circa quattro milionidi persone a causa dellacattiva qualità dell’acqua edella scarsa igiene pubblica.

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stretti a fare coloro che devono trasportare ogni sin-golo litro, spesso per lunghe distanze. L’africana ol’africano medio consuma 18 metri cubi d’acquaall’anno, mentre un europeo occidentale ne consu-ma oltre quattro volte di più e uno statunitense ad-dirittura oltre dieci volte di più.

Spreco e inquinamentoLa maggior parte dell’acqua utilizzata, ossia circa il70 percento, serve all’irrigazione delle colture agri-cole e dunque alla produzione di derrate alimenta-ri. È proprio in questo settore che si verificano i mag-giori sprechi : impianti d’irrigazione inefficienti, so-prattutto nei paesi poveri e aridi del Sud, fanno sìche gran parte dell’acqua convogliata evapori ancorprima di aver bagnato le colture, contribuendo perdi più alla distruzione dei suoli. Per affrontare inmodo efficace l’emergenza globale dell’acqua che sista profilando bisogna rendere più efficienti in tuttoil mondo gli impianti di irrigazione.Un altro punto sempre più critico è rappresentato dalrifornimento idrico delle grandi agglomerazioni ur-bane. Una città di 1 milione di abitanti, consideran-do anche l’industria e le attività artigianali, necessitaogni giorno circa 400’000 tonnellate di acqua fre-sca. Ciò spinge oggi in molte regioni a depredare lefalde freatiche, pregiudicando a lungo termine im-portanti riserve d’acqua. Nei pressi di Pechino il li-vello delle acque di falda sta scendendo di uno a tremetri l’anno a causa dell’uso eccessivo. E’ solo unaquestione di tempo e la città potrebbe rimanere let-teralmente a bocca asciutta... A tutto ciò si aggiun-gono i problemi connessi allo smaltimento delleacque di scarico. Problemi sempre maggiori soprat-tutto nelle aree di grande concentrazione demogra-fica. Le previsioni indicano che per assicurare a mediotermine l’alimentazione umana si debbano realizzareurgentemente delle misure per tutelare le risorse di-sponibili, in particolare quelle idriche.

Urgono visioniLa penuria d’acqua non è ormai più un problemache tocca solo il Sud. Già oggi lo spreco di acqua inagricoltura, nell’industria e nelle economie dome-stiche determina situazioni di carenza anche neipaesi industrializzati che in futuro tenderanno ad in-

Un solo mondo n.1/marzo 2000

asprirsi. A ciò si aggiunge l’inquinamento delle acquedovuto ai rifiuti della civilizzazione. Dopo il Verticemondiale sull’ambiente di Rio si sono perciò crea-te due reti internazionali. Il loro scopo è di riuscirea gestire le risorse idriche a livello mondiale secon-do criteri durevoli, ricercando anche delle soluzio-ni per un management globale dell’acqua.Mentre il Consiglio mondiale dell’acqua (WorldWater Council WWC) elabora vari scenari per la fu-tura utilizzazione dell’acqua e ne promuove una mi-gliore gestione, l’organizzazione Partenariato globa-le dell’acqua (Global Water Partnership GWP) tentadi concretizzare delle modalità di gestione durevolidell’acqua. Nella ricerca di consensi per l’importan-te causa le organizzazioni internazionali operano avari livelli : dalle attività regionali alla strategia glo-bale ogni elemento è un tassello importante.Il WWC e il GWP presenteranno i loro risultati

I link che conduconoall’acquaFedeli al principio dellacollaborazione e dellamessa in rete ai livelli piùdisparati, le piccole egrandi organizzazioni cheoperano a favoredell’acqua sono presentianche in internet. Eccoqualche esempio :

www.worldwatercouncil.orgè il sito del WWC, il « thinktank internazionale dellapolitica idrica».

www.gwp.sida.se/ - LaGlobal Water Partnership siprefigge di creare una retemondiale per la gestionesostenibile delle risorseidriche.

www.wsscc.org/index.htmlI gruppi di lavoro del«Water Supply andSanitation CollaborativeCouncil » presenteranno iloro progetti dal 17 al 22marzo 2000 all’Aianell’ambito della «Visionemondiale dell’acqua 2025».

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Acqua

nel marzo di quest’anno all’Aia, in occasione delII Forum mondiale sull’acqua, dove sottoporrannopure i piani d’azione elaborati nelle diverse regioniper assicurare una gestione durevole e la tutela dellerisorse idriche. Oggi sono richiesti approcci inno-vativi per imprimere all’evoluzione un indirizzo piùpromettente : per esempio promovendo impiantid’irrigazione a goccia, sistemi di canalizzazione abasso consumo di acqua o persino l’estrazione diacqua dolce dall’aria...Ma attualmente la realtà è ancora ben diversa : l’ac-qua potabile pulita diventa sempre più rara, gli eco-sistemi continuano ad essere annientati dall’inqui-namento e dall’uso eccessivo, e in molte regioni lalotta per l’acqua rischia di degenerare.

(Dal tedesco)

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bane è inoltre la costruzione di nuovi WC a uso do-mestico. In questo caso la DSC sostiene le personeinteressate fornendo crediti e consulenza. I nuoviWC sostituiscono le tradizionali latrine dotate di bi-doni per gli escrementi, i quali devono essere vuo-tati a mano. Proprio per questa ragione l’interessedella popolazione alla nuova soluzione, decisamen-te più igienica, è grande. La gestione dell’acqua potabile e delle acque di scari-co rappresenta una delle maggiori sfide per le città –non solo per quelle del Sud. Nel secolo scorso nei paesiindustrializzati si sono realizzate le fognature. Nelle re-gioni in cui l’acqua è abbondante, come per esempioin Europa, si è convinti che sia possibile concedersi illusso di utilizzare l’acqua come vettore per evacuarel’urina, gli escrementi e i rifiuti domestici.Tuttavia anche questo sistema pone dei problemi.Infatti, dagli anni Sessanta qui da noi si trattano leacque di scarico in impianti di depurazione, ma moltinon sono più in grado di supplire alle necessità.Completamente diversa è la situazione nella maggiorparte dei paesi del Sud: procedimenti di trattamentodelle acque così costosi come da noi non entrano ge-neralmente neppure in considerazione per i paesi invia di sviluppo. Inoltre, in molti di essi l’acqua è unbene raro che dovrebbe essere utilizzato solo in modomirato e parsimonioso. Molte città crescono con ritmitali che la costruzione di un sistema di approvvigio-namento e di smaltimento centralizzato, sul tipo diquelli in uso da noi, appare del tutto impensabile. Allavista di simili premesse è urgente trovare nuove so-luzioni per gestire le acque nelle aree urbanizzate.

Approfittare nel Nord delle esperienze del SudSANDEC, il gruppo di ricerca per « l’acqua e il ri-sanamento nei paesi in via di sviluppo» che operapresso l’Istituto federale per l’approvvigionamento,la depurazione e la protezione delle acque (IFADPA/EAWAG) è una delle poche istituzioni che, a livel-

Link che conduconoall’acqua e allacooperazione allosviluppo

Il gruppo specializzatoelvetico SANDEC è tra lepiù rinomate istituzioni nelcampo della ricerca sulleacque e della gestionedelle acque di scarico deipaesi in via di sviluppo :www.eawag.ch/research/sandec/d_index.html

La DSC è particolarmenteattiva in seno al Programmaper le acque e l’igienepubblica promosso dalProgramma delle NazioniUnite per lo sviluppo(UNDP) e dalla Bancamondiale : www.wsp.org/

Un altro importante partnersvizzero è lo «Swiss Centrefor DevelopmentCooperation in Technologyand Management SKAT»:www.skat.ch/ws/ws.htm

www.fao.lorg/waicent/faoinfo/agricult/agl/aglw/aglw.htmconsente di avvicinarsi allaproblematica delle acque,dell’irrigazione e dellaproduzione di derratealimentari.

(gn) Nam Dinh è una città vietnamita di media gran-dezza, un centro industriale e commerciale situatonella regione del delta del Fiume Rosso. Dopo lepiogge torrenziali, tipiche per la regione, la città sitrasforma regolarmente in un lago. Le strade riman-gono spesso per giorni sotto una coltre d’acqua altafino a 80 centimetri. I rifiuti e gli escrementi si dis-perdono ovunque, nel clima caldo-umido si forma-no focolai di germi patogeni, e la vita economica dellacittà si ferma. Infatti, l’inondazione interrompe anchel’erogazione di corrente elettrica.Grazie al sostegno elvetico si è finalmente potutainaugurare nell’ottobre scorso una prima stazione dipompaggio per drenare le acque dalla città. Mediantepompe a vite si convogliano ora queste acque oltrela diga per farle fluire in un braccio laterale del FiumeRosso. L’impianto pilota è stato finanziato nell’am-bito del programma della DSC per lo sviluppo ur-bano in Vietnam e rappresenta un primo passo versola soluzione degli enormi problemi idrici che as-sillano la città. «Lo smaltimento dell’acqua dovutaalle piogge torrenziali dovrà essere ulteriormente po-tenziato migliorando il sistema di drenaggio e co-struendo un’altra stazione di pompaggio a nord dellacittà », ci dice Hubert Eisele, responsabile presso laDSC a Berna, descrivendo le prospettive della futu-ra gestione delle inondazioni a Nam Dinh. Mentrequesto prcesso continuerà a livello di consulenze adessere accompagnato dalla DSC, anche in vista dicreare delle capacità in loco, per gli elevati costi d’in-vestimento degli impianti è invece necessario tro-vare nuovi partner o crediti.

Acqua pulita e igieneNam Dinh riceve sostegno dalla Svizzera anche perl’urgente risanamento e il potenziamento del siste-ma di approvvigionamento idrico, al quale non sonoancora allacciati tutti i quartieri e le abitazioni dellacittà. Strettamente legata alla gestione delle acque ur-

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Tra 20 anni la metà della popolazione mondiale vivrà in agglo-merazioni urbane. Per le megacittà in espansione si devonoapprontare e smaltire crescenti quantità d’acqua in uno spa-zio ristretto. Un compito che richiede nuove soluzioni.

Imparare dal Sud ?

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lo mondiale, cerca di percorrere nuove vie nel campodella gestione delle acque nelle aree urbanizzate. « Ilnostro sistema occidentale di gestione delle acque discarico conosce chiaramente dei limiti », dice RolandSchertenleib, capo del SANDEC. «Nei paesi in viadi sviluppo abbiamo l’opportunità di poter pensare anuovi approcci e di poterli realizzare più facilmenteche non qui da noi, dove già sono state investitesomme ingenti nei sistemi di evacuazione e depura-zione convenzionali. » Nell’ambito di un gruppo dilavoro internazionale il SANDEC ha elaborato la vi-sione per una nuova «gestione integrata delle acqueurbane e dei rifiuti nel XXI secolo». Nel farlo si sonoprese le mosse dalla più piccola cellula di una comu-nità urbana : al centro si trova perciò l’economia do-mestica, che è circondata dal vicinato/quartiere, poidal comune/città, e infine dalla regione. Solitamente,

le economie domestiche più povere non sono in-fatti allacciate alla rete idrica urbana. Devono orga-nizzarsi da sé e spesso lo sanno fare benissimo. Nellavisione del SANDEC questa capacità di aiutarsi dasé dovrebbe essere sfruttata e essere integrata gra-dualmente in un piano generale di gestione delleacque. Il punto cruciale è che i cicli devono chiu-dersi, e ciò nel modo più efficiente possibile. Gli ele-menti nutritivi (fosforo e azoto) ricavati dalle acquedi scarico urbane dovrebbero per esempio essere uti-lizzati direttamente dall’agricoltura, anziché finirenelle canalizzazioni a inquinare i fiumi... Simili cicli,a detta di Schertenleib, dovrebbero in futuro esseremaggiormente presi in considerazione anche dallenostre parti.

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Il rifornimento idrico è stato uno dei primi compiti assunti dallacooperazione allo sviluppo. In passato ci si concentrava anzi-tutto sulla costruzione di pozzi nei villaggi. Oggi l’impegno sispinge ben oltre i progetti di base e l’obiettivo è la gestione glo-bale delle acque.

(gn) Una comunissima bottiglia in PET, trasparen-te, colorata a metà di nero e riempita d’acqua. Inbreve tempo il sole ne riscalda il contenuto a oltre50 gradi. Questa temperatura, alla quale si aggiungeanche l’effetto dell’irraggiamento solare, uccide quasitutti i germi patogeni pericolosi, come per esempioi colibatteri o l’agente responsabile del colera (Vibrocholerae).Con questo metodo la gente del Sud può preparar-si facilmente dell’acqua potabile ineccepibile, senzadover ricorrere alla legna da ardere né al cherosene.

Il sistema è stato messo a punto e testato dal SAN-DEC, il gruppo di ricerca per « l’acqua e il risana-mento nei paesi in via di sviluppo» operante pressol’EAWAG, il quale si occupa tra l’altro anche dell’ap-prontamento di acqua potabile in quei paesi ope-rando in stretta collaborazione con partner nel Sud.La SODIS (Solar Water Desinfection) ha già trova-to impiego in vari paesi, per esempio in Indonesia,Bangladesh, Kenya e Bolivia.La messa a punto di tecnologie adattate rappresentauno dei cinque settori cruciali nella politica perse-

Molti canali per proteggerel’acqua

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Di fronte ai molteplici problemi che vanno affrontati nel contesto «acqua e sviluppo» occorre adottare strategiediverse a seconda della regione, delle condizioni quadro e degli interrogativi da risolvere.

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guita dalla DSC in materia di acqua e igiene pub-blica. Mediante i suoi progetti la DSC si impegnainoltre nel settore sociale, istituzionale e economi-co, nonché nel settore « conoscenze e norme». Datoche l’acqua – nelle sue diverse forme e ai livelli piùdisparati – gioca un ruolo in quasi tutti i program-mi, anche per una politica durevole dell’acqua è ne-cessario considerare i settori più disparati. Nel « set-tore sociale » rientra per esempio la collaborazionecon le persone direttamente toccate dalle misure, siaall’atto della pianificazione che della realizzazione diprogetti. A questo proposito (per quanto attiene alsettore « conoscenze e norme») bisogna considerareinoltre sia le regolamentazioni tradizionali vigenti inmateria di diritti d’acqua, sia l’importante ruolo svol-to dalle donne nell’ambito del rifornimento idrico edell’igiene.Mentre nella cooperazione allo sviluppo si ritenevain passato che l’accesso all’acqua costituisse un dirit-to fondamentale e dovesse perciò essere gratuito,oggi si ammette che occorre pagare per usufruire diquella preziosa materia prima che è l’acqua. In campoeconomico la DSC punta perciò a conseguire alungo termine un grado di copertura dei costi ra-gionevole, sia per l’acqua potabile, sia per il tratta-mento delle acque di scarico e lo smaltimento deirifiuti. In campo istituzionale si tratta di instaurareuna collaborazione e una ripartizione ottimale traistituzioni statali, imprese private e organizzazioninon governative (ONG) : queste ultime dovrebbe-ro assumere più compiti operativi, mentre lo Statodovrebbe definire e sorvegliare la politica e la stra-tegia idrica nazionale.

Scambio di esperienze e collaborazioneDi fronte ai molteplici problemi che bisogna affron-tare nel contesto « acqua e sviluppo» è chiaro che oc-corre adottare strategie diverse a dipendenza della re-gione, delle condizioni quadro riscontrate e degliinterrogativi da risolvere. Il settore «approvvigiona-mento idrico e igiene pubblica » (A+I) rappresentauna priorità nell’operato della DSC. Ecco perchénon ci si accontenta di prestare attenzione al rifor-nimento idrico solo nell’ambito dei singoli proget-ti ; oggi si tenta piuttosto di dare il dovuto peso allatematica, concependola nel suo contesto più ampioe facendo capo alla collaborazione in rete.Il caposettore A+I Armon Hartmann ritiene che ilsuo ruolo sia soprattutto quello di mediatore e pro-motore. Infatti intreccia la sua rete agendo a livelliassai diversi. In seno al gruppo specialistico Aguasansi incontrano quattro volte l’anno per uno scambiodi esperienze specialisti dello sviluppo e delle acque

«Water and SanitationProgram»Nel 1984, nel contestodel Decenniointernazionale dell’acquapromosso dall’ONU(1980-1990), era statolanciato in seno allaBanca mondiale con ilsostegno dell’UNDPe di vari donatoriinternazionali (tra i qualianche la Svizzera) il«Water and SanitationProgram» (WSP).Di fronte alla situazioneprecaria che caratterizzail settore dell’acqua,l’obiettivo del programmaè di elaborare in tutte leregioni e i paesi delmondo delle politiche edelle strategie settorialiper l’approvvigionamentoidrico e l’igiene pubblica,e di concretizzarle inmaniera mirata. Ciòavviene nell’ambitodi una gestione globaledelle acque che, in ultimaanalisi, dovrebbe con-durre ad un’ utilizzazionedurevole delle limitaterisorse idriche del nostropianeta.

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di tutta la Svizzera. A livello internazionale laSvizzera è membro attivo del Programma per l’ac-qua e l’igiene pubblica (WSP) creato dal Programmadelle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) edalla Banca mondiale (v. riquadro). Il Programma,con sede principale presso la Banca mondialea Washington, opera essenzialmente attraverso icinque uffici regionali di Nairobi (competente perl’Africa orientale e meridionale), Abidjan (Africacentrale e occidentale), La Paz (regione andina),Giacarta (Asia orientale e Pacifico) e Dehli (Asia me-ridionale).La cooperazione svizzera ricerca una collaborazio-ne intensa con questi centri soprattutto per gli aspet-ti che interessano i paesi di concentrazione dellaDSC. In questo modo vengono a crearsi delle si-nergie tra il lavoro di progetto alla base e gli sforzicompiuti a livello regionale o addirittura globale afavore di una gestione durevole delle acque. Comein Perù, per esempio, dove solo un quarto della po-polazione rurale ha accesso all’acqua potabile sicu-ra e solo il 10 percento dispone di installazioni sa-nitarie confacenti. Qui la Svizzera sostiene da qual-che tempo dei progetti idrici bilaterali e partecipadal 1998 anche finanziariamente ai lavori dell’uf-ficio regionale del WSP per la regione andina, non-ché a quelli dell’ufficio nazionale del WSP per ilPerù. A livello nazionale, due programmi idricidella DSC fungono da progetti pilota centrali in vistadell’elaborazione della politica e della strategia set-toriale del Perù in questo ambito.

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Bene vitale, risorse limitate e distribuzione ineguale : il poten-ziale di conflitto insito nell’acqua è preoccupante e in continuoaumento.

(gn) «La prossima guerra in Medio Oriente non saràcombattuta per ragioni politiche, bensì per il control-lo dell’acqua. » Era questa la profezia fatta nel 1991dall’allora segretario generale dell’ONU BoutrosBoutros-Ghali. E il vicedirettore della Banca mon-diale Ismail Serageldin prospetta che, dopo le guer-re per il petrolio, i conflitti armati del nuovo seco-lo avranno come posta in gioco l’acqua. Il poten-ziale di conflitto è in aumento, poiché l’acqua stadiventando un bene sempre più raro a causa dellacrescita demografica, del maggiore consumo pro ca-pite, e delle maggiori esigenze che l’acqua pulita devesoddisfare. Particolarmente precaria è la situazionenelle regioni in cui vari gruppi d’interesse sono co-stretti a spartirsi il prezioso liquido, dato che dipen-dono dalla stessa sorgente. Già negli anni Cinquantae Sessanta si erano registrati tra la Siria e Israele degliscontri armati, sedati in seguito al tavolo delle trat-tative. Ciononostante il Medio Oriente e l’Africasettentrionale sono le regioni più a rischio per quan-to riguarda una possibile guerra per l’acqua. A causadi un gigantesco progetto di sbarramento idrico e diirrigazione turco in Anatolia orientale, i siriani e gliiracheni che vivono a valle del fiume temono di ve-

dersi privati dell’acqua : se gli abitanti dell’alto corsodel fiume utilizzano le sue acque intensivamente,quelli che abitano in prossimità della foce avrannomeno acqua e acqua di cattiva qualità.I problemi si manifestano non solo nel bacino im-brifero dell’Eufrate e del Tigri. L’acqua del Giordanoè contesa tra Israele, la Giordania, la Siria, il Libanoe la Palestina ; mentre nella West Bank gli interessidegli israeliani si scontrano con quelli dei palestine-si. Particolarmente ambita è anche l’acqua del Nilo.Già nel 1898, nel corso della lotta per le colonie, gliinglesi impedirono con un intervento militare che ifrancesi conquistassero il controllo delle regioni sor-give del Nilo Bianco. Le sorgenti principali delfiume con la maggiore portata di acqua dell’Africasi trovano in Uganda e in Etiopia, paesi che a causadelle proprie difficoltà interne hanno finora prele-vato poca acqua a scopi agricoli o industriali. Ma amedio termine questa situazione potrebbe cambia-re. Particolarmente preoccupante si profila il futurodell’Egitto, che copre il 97 percento del proprio fab-bisogno idrico grazie al Nilo, ma che essendo situa-to alla foce è anche l’ultimo degli otto paesi riviera-schi di questo grande fiume. A livello internaziona-

In guerra per l’acqua

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le è tuttora impossibile far valere dei diritti a deter-minati «deflussi minimi » . I tentativi di regolamen-tazione in questo campo falliscono di regola a causadelle eccessive divergenze d’interessi tra i vari Stati.La legislazione internazionale sull’acqua si limitavafino a pochi anni fa anzitutto ai diritti di godimen-to relativi alla navigazione e alla pesca.

In Asia centrale : bomba a orologeria?Un’altra regione in cui i conflitti per l’acqua si stan-no acuendo è l’Asia centrale. La cooperazione sviz-zera cerca qui di prevenire i futuri conflitti attuan-do con il concorso di partner il programma «Acquae pace ». I problemi si manifestano a vari livelli. Ilpotenziale di conflitto insito nella scarsità di acquaviene rafforzato dai conflitti etnici e dalle rivalità trai vari Stati. Particolarmente critica è la situazionenella fertile Valle Ferghana, il centro agricolodell’Asia centrale. Qui il suolo e l’acqua sono dasempre risorse rare, ma durante il regime sovieticoerano state promulgate precise regole di godimentoe il sistema idrico serviva tutta la regione. Crollatoil vecchio regime, le frontiere dell’Uzbekistan, delTagikistan e del Kirghistan frammentano oggiquest’area, imponendo ai tre paesi di condividere lerisorse idriche. La maggior parte delle cisterne ven-gono alimentate da sorgenti situate nel paese vicinoe ciò suscita regolarmente pericolosi conflitti.Nel 1989 la lotta per l’acqua ha generato un san-guinoso conflitto tra contadini kirghisi e tagichi. Lasituazione è tuttora oltremodo tesa. In questa zona

di frontiera dove i più disparati gruppi d’interesselottano per le limitate risorse idriche si registranocontinuamente liti a causa dei diritti di godimentoe dei prezzi dell’acqua. Vi si aggiungono problemicome quelli del villaggio Arka, dove il sistema di ir-rigazione azionato dalla corrente elettrica non fun-ziona più perché il Kirghistan non può permetter-si di importare sufficienti quantità di corrente dalTagikistan. Inoltre non bisogna dimenticare che lapopolazione deve già acquistare l’acqua potabileoltre frontiera, in Tagikistan appunto, un fatto chenon manca di generare continui conflitti riguardoai prezzi. I giovani devono ora imparare già a scuo-la come gestire simili conflitti, come praticare la tol-leranza oltre le nuove frontiere nazionali e, soprat-tutto, devono imparare a riconoscere il valore chel’acqua ha per tutti.Questo perché la base che consente di evitare in fu-turo le guerre per le limitate risorse idriche è – oltreai trattati internazionali e alla gestione interregiona-le – anzitutto la disponibilità della popolazione aavere cura del prezioso bene e a condividerlo congli altri.

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L’acqua assurge sempre più a questione politica: per esempio nelle alture del Golan, dove Siria ed Israele sibattano, non in ultimo, anche per i diritti dell’acqua e l’accesso al lago di Genezareth.

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Nel mese di maggio del 1998 a Città del Capo si riunìil parlamento per dibattere sulla riconciliazione nazio-nale. Da quattro anni ormai il Sudafrica è un paese de-mocratico. Nelson Mandela aveva saputo, con gene-rosità, tendere amichevolmente la mano ai bianchi, acoloro che avevano a lungo gestito il potere. Erano fi-nalmente guarite le lacerazioni sociali causate dall’apar-theid? Quanto era realmente radicata l’eguaglianza deidiritti in seno alla popolazione? Thabo Mbeki, in queigiorni ancora vicepresidente, all’ombra del notissimoMandela, fornì una risposta che suscitò non poche cri-tiche: «Il Sudafrica – disse – è un paese formato dadue nazioni. Una è bianca, e verosimilmente bene-stante. L’altra è più grande, nera e povera.»In effetti, questo paese resta contraddistinto da profondespaccature. A prima vista, con i suoi 2’880 dollari ame-ricani di reddito medio all’anno a persona, non si trat-ta certo di un paese in via di sviluppo, anche se in quasinessun’altra nazione al mondo la differenza tra bene-stanti e nullatenenti è così rilevante come qui. I ricchigodono di uno standard economico paragonabile aquello europeo. Ma la popolazione nera delle regionirurali non ha certo un’esistenza migliore di quella dellagente del Lesotho, del Mozambico o del Malawi.

Trasformazione della societàUna distribuzione più equilibrata della ricchezza e unmaggiore impegno per i più poveri, sono i massimi co-mandamenti dell’African National Congress (ANC),

attuale partito di governo. Recenti inchieste mostra-no che tra il 1991 ed il 1996 si è verificata un’inver-sione di tendenza e che la percentuale di neri giunta atoccare un certo benessere è notevolmente salita. Diciò approfitta però soltanto il 10% della popolazionenera. Per i poveri, a prescindere dal colore della pelle,la miseria diventa sempre maggiore. L’87 percento deibambini neri al disotto dei 12 anni è denutrito. Su 40milioni di abitanti, almeno 9 milioni vivono nelle mi-serevoli capanne degli «slum» o delle campagne. Il 65percento della popolazione adulta è analfabeta. IlSudafrica presenta il più alto tasso mondiale di siero-positivi HIV e dozzine di amministrazioni comunalisono alla bancarotta. Per contro, questo paese dispo-ne di un modernissimo sistema finanziario, di una retedi telecomunicazione che non ha eguale nel continentee di imprese che mostrano di essere, anche a livellomondiale, all’altezza di ogni concorrente straniero.L’ANC ha dovuto riconoscere nei cinque anni del go-verno di Nelson Mandela che la piena giustizia socia-le è un obiettivo difficile da raggiungere. Ciò nono-stante, nel giugno dello scorso anno Mbeki è succe-duto a Mandela con la promessa di accelerare latrasformazione della società. Mbeki si è immediata-mente messo all’opera: ha nominato un governo ligioal suo modo di agire, ha dato vigore alla sua funzionedi centrale di controllo di tutti i settori governativi edè intervenuto a livello di ministeri cambiando conmolta frequenza i segretari di stato.

In Sudafrica sta crescendo una sempre più consapevole de-mocrazia. Ma l’apartheid non è ancora del tutto superato.Diseguaglianze e tensioni razziali caratterizzano la società, esono esse che pongono in pericolo la speranza che proprio ilpaese economicamente più forte dell’Africa possa diventareil motore del riscatto e del boom economico del continente.Di Hans Brandt*.

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Per opporsi a questo genere di migrazioni, il Sudafricapunta ad una rapida integrazione nella Comunità su-dafricana di sviluppo (SADC), alla quale appartengo-no 14 stati. Ma il Sudafrica non gode tra i paesi vici-ni di grandi simpatie, soprattutto a causa dei successisegnati in tutto il continente dalle sue industrie.

Gli « yankee» d’AfricaGeneri alimentari, veicoli, materiali da costruzione eabiti contrassegnati dal «Made in South Africa» riem-pioni i negozi dello Zambia, del Mozambico, delloZimbabwe e, addirittura, del Kenia. Imprese di co-struzione, industrie minerarie, birrerie e banche consede a Johannesburg aprono filiali in ogni parte delcontinente. Oramai in quei paesi che si sentono in un

certo qual modo schiacciati da quello spietato potereeconomico, i sudafricani sono definiti gli «yankee»d’Africa. Mbeki sogna tuttavia un «Rinascimento afri-cano» e spera che gli africani acquistino una nuovaconsapevolezza e sappiano prendere nelle proprie maniil loro destino. «Non intendiamo più essere conside-rati un continente che sa solo chiedere l’elemosina.»Il presidente sudafricano è fedele ai propri principi. Alpaese è consentito accettare aiuti dall’estero soltantodopo un’approfondita analisi. La Banca mondiale edil Fondo monetario internazionale si sentono addirit-tura frustrati, considerato che i crediti offerti sono per-lopiù rifiutati da Pretoria e che i consigli sono accet-tati ma sovente poco seguiti. Questo Sudafrica de-mocratico appare piuttosto, in seno a molte istituzioniinternazionali, sempre più come un consapevole lea-der del Terzo mondo con mire non celate ad un postostabile nell’ambito del Consiglio di Sicurezza.Ma la considerazione internazionale serve a poco secittadini bianchi professionalmente molto qualificatiemigrano a migliaia, la disoccupazione e la povertàavanzano e la criminalità dilaga. Il Sudafrica vuole es-sere il motore dello sviluppo nel continente ed al pro-posito un’avveduta politica finanziaria ha provvedu-to a creare le basi necessarie. Tuttavia, le speranze po-tranno essere realizzate appieno soltanto se si riusciràa superare in maniera adeguata le spaccature che an-cora dividono la società di questo paese. (Dal tedesco)*Hans Brandt Brandt è corrispondente del « TagesAnzeiger » e del «Frankfurter Rundschau» dall’Africa delsud. Vive a Johannesburg.

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Alcuni commentatori attribuiscono al nuovo capo distato valori «vittoriani » del duro lavoro e della so-brietà. Altri, più critici, parlano di tendenza agli in-trighi di corridoio e di tratti autocratici. Ma detto ciò,va rimarcato che sono molti coloro che gradisconouna mano vigorosa sul timone dello stato, proprioperché è l’insicurezza a caratterizzare l’esistenza dimolti. Criminalità diffusa, omicidi, rapine e violen-ze di ogni tipo fanno del Sudafrica uno dei paesi piùviolenti al mondo. Un alto tasso di disoccupazione,soprattutto tra i govani, è segno che molta gente vivesenza vere speranze di miglioramento.

Un vero Eldorado per gli stranieriI bianchi si lamentano e dicono che la loro ascesa

professionale è bloccata in quanto oggi i neri sonoavvantaggiati. I neri fanno notare che il potere eco-nomico, oggi come negli anni dell’apartheid, è an-cora nelle mani della stessa minoranza. Così, i rap-porti interrazziali sono spesso improntati all’aggres-sività, come ad esempio nel traffico stradale.Lo stesso Mbeki afferma che i bianchi non appog-giano le trasformazioni del paese. Il presidente esor-ta all’«Unità nazionale », per il superamento della ve-lenosa eredità dell’apartheid.Le tensioni interrazziali sono parte delle molte forzecontrapposte che danno oggi un’impronta al Sudafrica.L’ANC, nell’interesse dei poveri, punta su di una po-litica di tipo socialdemocratico, che possa contaresull’alleanza dei sindacati. ContemporaneamenteMbeki tollera in economia una linea di ispirazione li-berale che favorisce investimenti ed iniziativa im-prenditoriale. Una rigorosa condotta dell’economia,una politica monetaria restrittiva e aperture al merca-to dovrebbero consentire al paese un’alta competiti-vità economica. Tutto ciò è gradito al mondo degliaffari, ma dal 1994 ad oggi ha comportato la perditadi decine di migliaia di posti di lavoro.Quasi tutti i sudafricani hanno un qualche motivodi insoddifazione. Tuttavia il paese resta per le popo-lazioni di appena oltre il confine un vero Eldorado.Sono milioni le persone che dall’intero continenteemigrano verso sud ed il dieci percento lo fa ille-galmente. La xenofobia è molto diffusa. E quandoun dottore sudafricano rifiuta di lavorare nei cosid-detti «ospedali del bush», c’è sempre un collega ugan-dese, del Congo o dello Zambia pronto ad offrirsi.

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L’oggetto dellavita quotidianaIl «Primus»La grande considerazioneche il fornello a carbone dilegna gode in quasi tuttal’Africa non è condivisadai sudafricani. Al suoposto, nelle baracchedegli « slum» e nellecapanne di fango, maanche nelle minuscolecasette delle « township »e addirittura negliappartamenti di città(che con l’esaurirsidell’apartheid sonodivenuti accessibili ancheai neri, anche se soventenon sono dotati dielettricità) troviamo nellacucina un «Primus». Ilfornello «Primus» è percosì dire uno scalinointermedio tra il carbone el’elettricità. La paraffinache alimenta il fornello èposta sotto pressione : ilgas che ne deriva forniscela fiamma al fornello, cheè leggero e facilmentetrasportabile. Inoltre, laparaffina non è cara e la sipuò acquistare ovunque.

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Circa 3 milioni di anni fa: uomini preistorici viveva-no nell’estremo sud dell’attuale Africa (nel 1997,presso Johannesburg, è stato rinvenuto il più anticoscheletro attribuibile alla specie dell’australopitecoafricano).

1488 Il navigatore portoghese Bartolomeu Dias approda in Sudafrica e chiama Capo di Buona Speranza la punta più a sud del continente africano.

dal 1600 Commercianti olandesi operano sul Capoe portano nella città schiavi dall’Africa Occidentale e Orientale, dall’India e dall’Indonesia.

1806 Il Capo diventa una colonia britannica.1852 I Boeri fondano la «Repubblica Sudafri-

cana» (Transvaal), la capitale è Pretoria.1899- Guerra dei Boeri: la Gran Bretagna occupa 1902 l’«Oranje Freistaat» e la «Repubblica

Sudafricana». 1910 Le colonie del Capo, di Natal, dell’Orange

River e del Transvaal si uniscono per for-mare l’Unione Sudafricana, una colonia in-dipendente dell’Impero britannico. Il gene-rale boero Louis Botha è il primo capo di governo dell’Unione.

1912 Atto di fondazione del Congresso Nazionale dei nativi del Sudafrica (SA Native National Congress), che più tardi si chiamerà African National Congress (ANC).

1939- Il Sudafrica prende parte – accanto agli1945 eserciti alleati – alla seconda guerra mondiale. 1948 Il neo fondato Partito nazionale boero si

impone nelle votazioni legislative. È l’iniziodell’era contrassegnata dall’apartheid.

1961 Il Sudafrica diventa repubblica e si stacca dall’Impero britannico.

1961 Inizia la resistenza armata contro l’apartheid.Nelson Mandela diviene massimo respon-sabile dell’Esercito dell’ANC, detto l’«Umkhonto we Sizwe» (la «Lancia della nazione»).

1962 Nelson Mandela è arrestato e processato. Nel 1963 sarà condannato all’ergastolo.

1969 L’Atto di fondazione di «Coscienza nera», un’organizzazione guidata da Steven Biko.

1976 I moti di Soweto causano centinaia di morti. Migliaia di oppositori entrano nell’ANC in esilio.

1977 Steven Biko, posto agli arresti, muore nella sede della polizia. Sottoposte a divieto 17 organizzazioni anti-apartheid e due giornali.

Anni ’80 Stato d’emergenza, severa censura dei media; in tutto il paese, violente proteste contro l’apartheid. Migliaia di persone ven-gono incarcerate senza essere sottoposte ad alcun giudizio.

1990 Il presidente Frederik de Klerk abolisce il divieto imposto ad ANC e PAC. Nelson Mandela è posto in libertà. Si discute a pro-posito di una nuova carta costituzionale.

1994 Prime votazioni libere: Nelson Mandela è eletto primo presidente nero della Repubblica del Sudafrica.

1999 Thabo Mbeki è il secondo presidente del Sudafrica democratico.

La Svizzera ed il SudafricaSostegno alla realizzazione della democrazia

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Cifre e fattiCapitalePretoria

Superficie1 219 912 km2

Lingue Undici lingue nazionaliufficiali, incluse Zulu,Xhosa, Afrikaans,Nordsotho e inglese(lingua consueta nelleoccasioni pubbliche).

Popolazione 43,4 milioni di abitanti75,2 % neri 13,6 % bianchi8,6 % meticci 2,6 % asiatici/indianiAntichi abitanti dellaregione : Khoikhoi e San(«Ottentotti » e«Boscimani »)

Speranza di vita :Uomini : 53 anniDonne : 59 anni

Religioni :68 % cristiani28,5 % animisti2 % musulmani1,5 % indù

Economia :Reddito medio annuo apersona (1998) : 2880dollari USA

Prodotto interno lordo(1998) : 119 miliardi didollari USA

Deficit di bilancio :2,8 % del PIL

Tasso di crescitaeconomica (1998) : 0,5 %

Settori economici :Agricoltura : 4,3%Miniere : 7,9 %Industria : 30,4 %Settore dei servizi (inclusoil settore pubblico) 57,4 %

Importanti prodotti diesportazione : pietrepreziose, oro, metallipreziosi, minerali, prodottimetallici, prodotti chimici,macchinari, prodottiagricoli.

NamibiaMozambico

LeshotoOceanoindiano

Oceanoatlantico

Botswana

Zimbabwe

Le Cap

Johannesburg

Sudafrica

Cenni storici

(bf) Durante la visita che il Consigliere federaleJoseph Deiss ha fatto nell’ottobre del 1999 in Sud-africa, il nostro ministro degli esteri ha sottoscrittofra l’altro anche un trattato riguardante il prosegui-mento del programma di sostegno al Sudafrica nellarealizzazione di una società democratica. Così fa-cendo Joseph Deiss ha aggiunto un’ulteriore testi-monianza della cooperazione svizzera allo sviluppooperativo in Sudafrica dalla fine degli anni 70.«Anche se non lo si considera un paese in via di svi-luppo, il Sudafrica consente di constatare che, a causadell’apartheid vigente nel passato, la differenza tra ric-chi e poveri resta notevole», afferma Anton Stadler,responsabile per il Sudafrica in seno alla DSC.Fino al 1994, quando Nelson Mandela e l’AfricanNational Congress (ANC) vinsero le votazioni, ilsostegno si concretizzava prevalentemente in borsedi studio a giovani svantaggiati (neri, indiani e dirazza mista), sessioni di introduzione ai diritti umanied organizzazione di conferenze sul superamentodell’apartheid con i metodi della non-violenza.

Dal 1994 la cooperazione è volta alla realizzazionepratica di un pacifico Sudafrica con eguali diritti pertutti, sia per ciò che concerne l’accesso al sistema sa-nitario nazionale che a quello dell’istruzione o neltrattamento che l’apparato dello stato riserva ad ognicittadino e cittadina. Il nuovo Programma quinquennale – si estenderàfino al 2004 e comprende un contributo annuo dicirca 7 milioni di franchi – si concentra prevalente-mente sulla provincia «Eastern Cape» e presenta iseguenti punti-chiave :- Riforma fondiaria : il Programma prevede unaredistribuzione della terra a neri, indiani e meticci.- Istruzione : miglioramento del sistema di scuolaprimaria, soprattutto nelle zone rurali e nelle«Townships», dove i non-bianchi risultano di normasvantaggiati.- Buona gestione degli affari pubblici : fra lealtre cose, e con l’intento di migliorare la gestionedegli affari pubblici, programmi di formazione edistruzione per impiegati dell’amministrazione.

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Tutte le mattine da uno dei più tranquilli quartieriperiferici della città raggiungo in macchina il frene-tico centro di Johannesburg. Che la mia auto sia so-pravvissuta senza un graffio (tocchiamo ferro) finoad oggi nel caotico traffico dei minibus-taxi sullaMarket Street, è un fatto che non cesserà mai di stu-pirmi. Quando mi chiedono dov’è il mio ufficio, lamia risposta – Sauer Street, nella City – viene ac-colta con commiserazione e incredulità, e devo ag-giungere che la loro commiserazione è mal ripostaperché in effetti lavorare nella City mi piace.Naturalmente sarebbe più alla moda operare in queldi Sandton o Rosebaank, dove il Sudafrica degli af-fari ha potuto schivare l’« avvicinamento» dell’Africa,mantenendo ciò che taluno ama definire un satelli-te d’Europa. Costoro disconoscono Johannesburgquale città africana, una città in cui il significato realedipende dalla parte del confine razziale nel quale cisi trova. Per molte persone di colore significa che lacittà non gli è più ostile, a loro che, come si ricor-derà, dovevano uscirne entro le 6 di sera per il co-prifuoco dettato dall’apartheid. Adesso possono la-vorare e fare la spesa nella City, e comprare pratica-mente di tutto, dai cavoli alle scarpe da ginnasticadai venditori ambulanti, su quei marciapiedi doveessi una volta dovevano scostarsi per lasciar passarei bianchi.Questa non è l’immagine che molti bianchi hannodella città. Ciò che loro vedono è una città i cui mar-ciapiedi sono pieni di immondizia e brulicano difacce scure, che incutono timore. Forse Johannesburgha oggi un po’ di ciascuna di queste cose. Ma nes-suna di esse è sufficiente per farmi sentire prigionie-ra della paura. Nei 15 anni in cui ho lavorato e vis-suto da queste parti, ho mantenuto un conto ban-cario in una filiale nella City, e anche durante gli ottoanni che ho lavorato a Rosebank e Sandton. Spessoinfatti, durante la pausa per il pranzo, faccio a piedigli otto isolati che mi separano dalla banca. Ciò è in-solito, particolarmente se si considera che alcuni mieicolleghi (bianchi) non si sono avventurati fuori dalnostro palazzo per anni. Questa paura da parte delbianco di grandi folle di africani era evidente anchenella mia precedente occupazione. Gli uffici di quelparticolare giornale erano a Braamfontein che eraappena ai limiti del centro-affari. Il contratto d’af-fitto stava per scadere ed il giornale avrebbe dovu-to traslocare gli uffici. I dirigenti, cercando di com-portarsi democraticamente, consultarono gli impie-gati. Si arrivò a due alternative : locali splendidi inun palazzo della City che era stato costretto a ridur-re gli affitti a causa della migrazione verso la perife-ria, e uno squallido magazzino in una località de-pressa di un sobborgo. Si penserà che la scelta sa-rebbe stata ovvia, un giornale è meglio situato dovec’è movimento e succedono le cose. I vicedirettori,ed altri del personale dirigente – tutti bianchi –, mi-

nacciarono una protesta qualora il giornale venissetraslocato in città. Gli impiegati neri – tra cui gio-vani reporter, centralinisti, assistenti ricercatori –erano tutti unanimi : la city era più conveniente. Delresto, molti già prendevano due autobus/taxi per an-dare al lavoro dalle loro case nei villaggi periferici.Un trasloco in periferia avrebbe potuto forse signi-ficare un terzo autobus, allontanandoli inoltre dai ne-gozi che frequentavano solitamente per le loro spese.I dirigenti (bianchi) si schierarono con il personalebianco che, in molti casi, dopo aver parcheggiato lapropria auto la mattina, passa alla scrivania l’interagiornata, per poi andare a casa. Perché l’idea di una città nero/africana dovrebbespaventare ? Questa sembra essere soltanto una dellecontraddizioni tipicamente sudafricane. Pochi mesifa un articolo di giornale ha scosso il paese per variesettimane : che cos’è un africano?Il tutto cominciò con un giornalista del «The Star »,il quale scrisse che si sentiva offeso quando la gentedistingueva i sudafricani tra bianchi, indiani, di co-lore ed africani, perché lui, bianco com’è, è ancheafricano.Un professore universitario rispose che non c’eranessun motivo di offendersi se gli africani ora si de-finiscono tali, dopo essere stati definiti da altri persecoli come «nativi », «kafir », «plural », «bantu » e«non-europei». Il corrispondente che aveva dato ini-zio a questo dibattito scrisse che questa risposta erarazzista, così come molti altri bianchi che avevanoscritto al giornale. Altri giornali entrarono nel di-battito, così come varie stazioni radio e televisive.Come al solito, le opinioni si erano divise lungo bendefiniti confini razziali. Ad un osservatore esterno sa-rebbe stato perdonato se fosse giunto a pensare chequesta nazione è unita nella sua volontà di abbrac-ciare il continente intero e tutto quello che rappre-senta. Ma si tratterebbe di un’illusione. Proprio quel-li che sembrano così entusiasti di essere inclusi tragli « africani », sono contrariati dagli sforzi del presi-dente Thabo Mbeki che mirano alla pace ed allaprosperità nel nostro continente ed in particolarenella nostra regione. Non abbiamo niente a che spar-tire con questa gente, dicono. Perché il governo nonsi concentra sugli affari interni ?E gli africani, improvvisamente così fieri di potersichiamare tali, manifestano le loro tendenze xenofo-biche rivolte contro altri africani venuti qui da na-zioni a nord della nostra. Che cosa ci dice allora que-sto dei sudafricani ? Che sono tra i popoli più scon-trosi al mondo. E la vita in Sudafrica ? La si puòdescrivere nei modi più svariati, ma che sia noiosa,questo mai.

(Dall’inglese)

Lizeka Mda è «ExecutiveEditor » e responsabile delsettore «Features » pressoil « The Star », uno deimaggiori quotidiani diJohannesburg. Dal 1984,questa giornalistaprofessionista ha lavoratoper svariate riviste egiornali sudafricani,descrivendo con regola-rità e con senso critico lasituazione del suo paese.

Che cos’è un africano ?Sudafrica

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L’opinione della DSC

« In Africa, ogni grande comunità presenta una suaspecifica cultura, un autonomo sistema di valori ecostumi, un proprio idioma e propri tabù. Tutto ciòè sorprendentemente complicato, intricato, miste-rioso. E proprio per questa realtà, i maggiori antro-pologi non hanno mai potuto parlare di una « reli-gione africana » o anche, più semplicemente, di una«cultura africana », soprattutto perché essi sapevanodella loro inesistenza, e sapevano pure che la natu-ra profonda dell’Africa risiede nell’infinita varietàdelle sue popolazioni. » Scrive Ryszard Kapuscinskinel suo «Afrikanisches Fieber ». Quanto egli abbiaragione, – anche in virtù dei 40 anni passati in Africain qualità di corrispondente – lo constatiamo quo-tidianamente nei rapporti con i partner africani dellanostra cooperazione allo sviluppo.

L’Africa non è mai soltanto l’Africa così come noiriusciamo ad immaginarla. E noi, nell’esigenza dicomprendere questi nostri partner, dobbiamo asso-lutamente fare i conti con questa sconfinata varietà.Si tratta di una condizione basilare, necessaria perconferire una reale efficacia al nostro contributo allosviluppo. Non siamo però noi – impegnati a soste-nere i nostri partner africani nei loro sforzi – a doverattuare tale sviluppo. In ciò, le circostanze politiche,economiche e sociali giocano un ruolo decisivonello specifico ambito d’azione. E tali circostanzemutano profondamente, in quanto l’Africa sta cam-biando radicalmente.

«L’Africa offre oggi di sé l’immagine di un conti-nente lacerato, da movimenti migratori interni, dapaesi che si spaccano, da religioni che si dannonuove dimore di tipo geopolitico : all’approccio conuno scenario fatto di esplosione demografica e ur-banizzazione massiccia, l’Africa si vede sprofondarenelle sabbie mobili del cambiamento ; non da ulti-mo, a causa delle ambizioni politiche, militari e re-ligiose dei suoi piccoli e grandi capi. Solo raramen-te le linee di conflitto corrispondono a quelle dellerealtà statali esistenti. » Questa – espressa nell’edizionemensile del novembre 1999 di «Le Monde diplo-matique » – è l’opinione di Achille Mbembe, segre-tario esecutivo del «Conseil pour le Développement

de la Recherche en Sciences Sociales en Afrique »(Dakar). Tali immagini vengono poi amplificate danotizie riguardanti guerre, catastrofi e stati d’emer-genza che la stampa di tutto il mondo ci porta quo-tidianamente in casa.

Nonostante l’insieme di problemi, non è però leci-to ignorare che l’Africa può comunque contare sumolte realtà positive, anche se a distanza è arduo de-finire quali e quante esse siano. E pur assistendo adelle continue trasformazioni, è possibile constatareprogressi, anche se questi faticano ad acquistare ungiusto dinamismo ed a superare le immagini nega-tive del passato. Verosimilmente, gli organi d’infor-mazione ed il mondo della politica dei paesi del Norde dell’Occidente sono interessati ai cambiamentidella situazione geopolitica del continente nero, cosìcome agli effetti che essi generano sui nuovi orien-tamenti di tipo politico, economico e militare. Tuttociò è messo in maggior risalto rispetto ai successi deipaesi africani sulla via del loro sviluppo economico.

Il tema dell’anno 2000 sarà per noi l’Africa, e l’in-tento è quello di fornire di questo continente un’im-magine meno contrastata del solito. Un approcciodiversificato e interventi mirati consentiranno allaDSC una presa di contatto con il variegato mondoafricano, ci permetteranno di registrare i progressifatti e di constatare che in questi paesi si affronta lavita con la positiva volontà di riuscire a superare ogniproblema. Alle immagini negative dell’Africa propo-ste dai media vogliamo contrapporre delle immagi-ni positive. Molti paesi africani hanno raggiunto no-tevoli progressi per quanto concerne la democrazia,l’uguaglianza di fronte alla legge nonché lo svilup-po economico di piccole e medie imprese, ed inalcuni casi i ruoli di Stato e società civile sono cam-biati in modo determinante.E’ nostro intento, dunque, perorare per quest’Africadiversa e rivolta al futuro.

Walter Fustdirettore della DSC (Dal tedesco)

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Africa: una sconfinata varietà

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Negli ultimi anni la Bolivia ha subito trasformazioni considere-voli. Il paese più povero del Sud America ha avviato riforme ra-dicali, soprattutto a livello comunale. Un’impresa complessa,dove la DSC gioca un ruolo centrale.

(sbs) Una vera e propria rivoluzione. Una rivoluzio-ne dall’alto. Verena Münzenmeier, dal 1996 coordi-natrice della DSC nel paese andino sudamericano,parla della riorganizzazione della Bolivia dal 1994. Laparola magica è «participación popular », cioè parte-cipazione da parte della popolazione. L’immensopaese – la cui superficie è 27 volte superiore a quel-la della Svizzera – è stato suddiviso in 311 comuni (inpassato 23). Per la prima volta i centri hanno com-petenze proprie, per esempio nell’ambito della salu-te, dell’educazione o delle costruzioni stradali, e so-prattutto in ambito finanziario – il 20 percento delleimposte nazionali vengono riversate direttamente aicomuni. Per il paese, la cui popolazione è per il 65percento indio, un altro fattore centrale è il fatto chele tradizionali comunità indiane siano riconosciute uf-ficialmente e vengano incluse nei processi decisiona-li politici. Sin dall’inizio, la DSC ha accompagnatol’evoluzione legislativa di questa decentralizzazione,assumendo il ruolo di consulente.

Salvaguardare i dirittiRaduno nel villaggio Santa Ana de Velasco, comunedi San Ignacio, nel bassopiano tropicale della Bolivia.Vi si riuniscono rappresentanti della «Mancomunidadde la Gran Chiquitanía», un’associazione di undicicomuni con 200000 abitanti. Il direttore progettua-le Adrián Leaños illustra le possibilità di sviluppo nei

210000 chilometri quadrati (!) che compongono ilconsorzio di comuni. Turismo, economia forestale,allevamento di bestiame, o piuttosto industria mine-raria, piccolo artigianato? Dove e come i comuni de-vono rendersi attivi, e dove no?Per sindaci, rappresentati d’organizzazioni contadine,prefettura, membri di commissioni ecc. molte dellequestioni sono nuove. Il programma di cooperazioneallo sviluppo della DSC, che pone l’accento sulla de-centralizzazione, offre un sostegno sotto forma di circa14 milioni di franchi annui. Così come il progettoPADER, che offre ai comuni e alle regioni una consu-lenza nell’ambito della promozione economica. La de-centralizzazione non è infatti fine a se stessa : essa portai suoi frutti solo se si aprono nuove prospettive anchealla popolazione meno abbiente. Oppure il progettoPADEM, che in 18 comuni sostiene le organizzazio-ni contadine nell’esercizio dei loro nuovi diritti.« Il lavoro della DSC intende far sì che la popola-zione accolga favorevolmente le riforme, che essa lesostenga », spiega Verena Münzenmeier, coordina-trice della DSC. Chiaramente questo è un cammi-no lungo, e talvolta l’interesse del potere centrale di-minuisce. Ma a questo punto, proprio per le attua-li connessioni il processo è ormai irreversibile.

(Dal tedesco)

La rivoluzione dall’alto

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Philippe Dahinden (3)

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(jls) La priorità della missione interinale delleNazioni Unite nel Kosovo (MINUK), costituitapoco dopo la fine dei bombardamenti, era quella distabilire un dialogo con la popolazione in vista delleelezioni del 2000. Essa si è quindi rivolta allaFondazione Hirondelle di Losanna, specializzatanella creazione e nella gestione di media indipen-denti nelle zone colpite da un conflitto. «L’ONUcercava un’organizzazione in grado di creare inmodo molto rapido una radio capace di fornire in-formazioni di tipo giornalistico », ricorda PhilippeDahinden, responsabile redazionale in seno allaFondazione. «Questa radio non doveva soltantorappresentare la voce della MINUK, ma anche darela parola alle altre organizzazioni umanitarie, alla so-cietà civile e ai movimenti politici. »Il progetto si è concretizzato sotto forma di uno stu-dio di produzione, i cui programmi venivano dif-fusi da radio locali del Kosovo. La prima trasmis-sione è stata proposta agli ascoltatori il 28 luglio.Dopo due mesi di vita lo studio radiofonico è statodotato di un’antenna propria e, con il nome di BlueSky, è divenuta una stazione locale di Pristina.Continua tuttavia a proporre tutti i suoi program-mi ad una decina d’emittenti locali. Quest’ultime

sono state dotate di antenne paraboliche che per-mettono loro di captare le trasmissioni a scelta.

I dieci minuti della MINUKMattino e sera, con il titolo «UNMIK on air » (laMINUK in onda) Blue Sky diffonde dieci minutid’informazione. Questa trasmissione riferisce natu-ralmente di tutte le attività svolte dall’amministra-zione provvisoria della provincia, ma non solo. Essatratta anche altri argomenti d’attualità, come la rac-colta dei rifiuti a Pristina, la riapertura delle scuole,il reclutamento della polizia locale, i problemi d’ap-provvigionamento idrico ed elettrico o le mine an-tiuomo.Ad orari fissi, gli ascoltatori possono seguire bollet-tini informativi in albanese, in serbo e in turco non-ché una rassegna stampa internazionale. Blue Skypropone anche rubriche e reportage di società. Cosìcapita che una giornalista si rechi nelle scuole chie-dendo ai bambini di definire con parole proprie ter-mini come « l’amore » o « la NATO». In una brevesequenza, un personaggio risponde alle domanderaccolte fra la popolazione.

(Dal francese )

Dallo scorso mese d’ottobre l’ONU dispone di una propria sta-zione radiofonica in Kosovo. Finanziata dalla DSC e gestita dauna fondazione svizzera, Blue Sky diffonde ogni giorno alme-no due ore di programmi parlati e una ventina d’ore di musica.

Un’antenna nel cielo blu

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A n c o r a g u e r r a i n A n g o l a

«Ponti per la pace» è questo ilnome del programma di aiutoumanitario svizzero in Angolaavviato in seguito al trattato dipace di Lusaka del 1994. Maper ricostruire ponti e strade, lastessa pace è una prerogativaindispensabile. Gli scontri traribelli dell’UNITA e le truppegovernative divampati nel ’97ed intensificatisi in questi ulti-mi mesi vanificano in buonaparte ogni sforzo di ricostru-zione.

(mr) Da oltre 30 anni questo paese con 12,5 milio-ni di abitanti, posto sulla costa occidentale del conti-nente africano, è scosso dalla guerra. Oltre un mi-lione di persone sono morte negli scontri ed attual-mente gli sfollati si stimano a due milioni.

Dapprima l’esercito marxista di liberazione MPLAe le forze pro-occidentali dell’UNITA combattero-no insieme contro il potere coloniale portoghese.Poi, dopo l’indipendenza ottenuta nel 1975, le duefazioni assistite da Cuba e Sudafrica iniziarono unsanguinoso scontro, sfociato nella vittoria del MPLAche oggi esprime il capo dello stato Eduardo dosSantos. Ne seguirono i trattati di pace del 1991 e del1994, ma l’esercito ribelle dell’UNITA di JonasSavimbi non fu mai veramente disarmato e oggicontrolla quasi il settanta percento del territorio an-golano, compresi i ricchi giacimenti di diamanti si-tuati nel nord-est del paese. I giacimenti petroliferi,situati lungo la costa, sono invece in mano alle forzegovernative.

L’aiuto svizzero, a partire dal 1995, si è concentra-to nella zona di Huambo, fertile altopiano postonell’Angola centrale, potenziale «granaio » del paese.Grazie alla ricostruzione di strade secondarie e diponti doveva essere garantito l’accesso alla regionee favorito il processo di pace. Ma già verso la finedel ’97 con la ripresa degli scontri, proprio nella re-

gione di Huambo, tra truppe governative e ribellidell’UNITA, il lavoro di ricostruzione soprattutto acausa delle mine è divenuto sempre più pericoloso.«A partire dall’estate del 1998 abbiamo dunquediversificato la nostra attività », ci spiega HansScheidegger, capo dell’ufficio di coordinamento perl’Angola a Luanda. «Entro pochi mesi decine di mi-gliaia di sfollati hanno cercato rifugio nelle grandicittà, 200000 nella sola città di Huambo. Le nostresquadre edili attualmente sono soprattutto impegnatenella ricostruzione dei tetti di vecchi capannoni in-dustriali, usati come alloggi per i rifugiati, e inlavori di ristrutturazione dell’ospedale centrale diHuambo. »

Il programma «Ponti per la pace » ci illustra in modoesemplare la necessità di operare in modo flessibilee di adeguare i progetti di aiuto umanitario costan-temente ai nuovi bisogni. Nonostante tutte le diffi-coltà ed i pericoli anche nei prossimi anni la DSCmanterrà l’ufficio di coordinamento di Luanda.«Non molleremo l’Angola », ci assicura fiduciosoPeter Steffen, coordinatore di programma perl’Africa meridionale della divisone aiuto umanitariodella DSC.

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Che cos’è...l’ownership?(bf) Stando al vocabolario, « ownership » si traduce con pro-prietà, possesso. Nella cooperazione allo sviluppo il termine in-glese ha assunto una connotazione che oltrepassa il possesso pu-ramente materiale. Un progetto di sviluppo o una misura deveinfatti essere concepita sin dal principio in modo tale che le per-sone direttamente interessate possano far loro questa misura oquesto progetto, possano parteciparvi in modo attivo, respon-sabilizzandosi nel loro proprio interesse. Ecco perché l’owner-ship comporta sempre anche la partecipazione e la decentraliz-zazione, e può essere spartita dal governo in modo da rag-giungere il singolo membro della società civile. Infatti, soloquando il potere decisionale viene delegato alle regioni, allecittà, ai villaggi e, da ultimo, agli individui sussiste la garanziache le persone interessate non solo si sentano interpellate daiprogetti, ma vi mettano mano direttamente, assumendone laresponsabilità. Ciò comporta a sua volta che i processi, i pro-getti e le misure si configurino trasparenti per tutte le persone

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interessate e vengano concretizzati secondo i principi dellabuona gestione degli affari pubblici (« good governance ») conil concorso di vari gruppi. Ciò significa però anche che la cooperazione allo sviluppo deve puntare sul conferimento diresponsabilità e potere alle persone e alle istituzioni che le rappresentano (« empowerment »), consentendo loro di parte-cipare al processo di sviluppo facendosi carico delle proprie responsabilità.

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Negli ultimi due anni vi è stato nuovamente un aumento dellapovertà nel mondo. Circa 1,5 miliardi di persone inizierannoil nuovo millennio con un reddito giornaliero inferiore al dol-laro. La lotta alla povertà è giunta in un vicolo cieco ? Vi pro-poniamo il punto di vista di due esperti : Paul Collier, diret-tore scientifico presso la Banca Mondiale, ed Elliot Berg, pro-fessore universitario, esperto d’Africa e autore di disparati librisulle strategie contro la povertà. Il dibattito è stato modera-to da Beat Felber.

Un solo mondo: « Il nostro sogno è un mondosenza fame», così si leggeva sul logo della BancaMondiale lo scorso anno. Negli ultimi tempi que-sto sogno è però scivolato molto lontano, come di-mostra l’ultimo «Rapporto mondiale sullo svilup-po». Su tutto il pianeta la povertà è aumentata.Dove si sta sbagliando nella lotta alla povertà ?

Paul Collier : Penso che l’aiuto allo sviluppo siamolto più efficace di quanto molti credano. Ma stadi fatto che per motivi politici negli ultimi dieci anniil sostegno finanziario allo sviluppo è sensibilmentediminuito. A molti è sembrato opportuno dissimu-lare queste ragioni politiche di riduzione delle sov-venzioni dietro il pretesto che gli aiuti non fosseroabbastanza efficaci. Riconosciamo che ci sono paesiin cui gli aiuti non sono sufficientemente efficaci,ma ci sono molti luoghi e paesi dove gli aiuti forni-ti mitigano la povertà in modo efficace ed efficien-te dal punto di vista dei costi.

Elliot Berg : Anch’io sono convinto che gli aiutifunzionino molto più spesso e, sotto molti aspetti,in modo molto più efficace di quello che si pensi.Tendiamo però a fornire un sostegno sull’arco di unanno per mietere buoni risultati durante tre anni,benché spesso ciò non sia il caso. In sostanza nonsappiamo nulla sulle ripercussioni a lungo terminedegli aiuti, sette o quindici anni più tardi. Non bi-sogna sottovalutare gli effetti indiretti a lungo ter-mine che sono molto importanti. Ma di quest’aspettonon parla praticamente nessuno.

Un solo mondo: E perché nessuno ne parla ? Infondo, in molti paesi la cooperazione allo sviluppoè vecchia di decenni.

Berg: Questa è una buona domanda. La BancaMondiale, ad esempio, valuta i suoi progetti a metàpercorso e al più tardi un anno dopo la loro conclu-sione. Nessuno valuta i risultati cinque anni dopo iltermine del progetto. Mancano semplicemente imezzi per farlo. Eppure queste informazioni po-trebbero essere molto rivelatrici. Ci aiuterebbero acapire, per esempio, perché proprio in una regionedel pianeta così importante come l’Africa gli aiutinon abbiano dato i frutti sperati.

Collier : È chiaro che in Africa vi sono delle regio-ni dove gli aiuti impiegati non sono stati propria-mente efficaci. Ma ripeto : in Africa ci sono moltiluoghi dove l’aiuto allo sviluppo ha lavorato inmodo estremamente efficiente. Negli anni novanta,grazie a regole di comportamento abbastanza coe-renti – le cosiddette «policies » – l’Uganda è peresempio riuscita a far calare positivamente la povertà,benché dopo il regime di Idi Amin la situazione delpaese fosse tutt’altro che rosea. Questo è solo unesempio di come vi siano paesi in cui sono conflui-ti importanti aiuti e dove la povertà ha contempo-raneamente registrato un sensibile calo.

Berg: Ciò che però non possiamo fare con l’aiutoallo sviluppo è influenzare in modo decisivo la po-litica di un paese. Quello che possiamo fare a lungo

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Poveri per sempre ?

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L’inglese Paul Collier èstato professore disviluppo internazionalepresso l’Università diHarvard ed in seguitoprofessore d’economia edirettore del «Centre forthe Study of AfricanEconomies» dell’Universitàdi Oxford. Nella primaveradel ’98 si è trasferito aWashington per assumerela carica di Direttorescientifico presso la BancaMondiale. È fondatore dellarivista «Journal of AfricanEconomies», e nell’arcodella sua carriera diprofessore ha pubblicatodiversi libri e pubblicazioniriguardanti l’economia,l’agricoltura, la situazionesul mercato del lavorononché la politicafinanziaria e di sviluppo inAfrica.

L’americano Elliot Bergdivide il suo tempo fra leattività di consulente, diprofessore universitario ed’autore di libri. Berg haconseguito il dottorato ineconomia pressol’Università di Harvard. Dal1982 insegna economiapresso l’Università diAuvergne, in Francia, e peranni ha vissuto in paesi invia di sviluppo comeconsulente, ricercatore eprofessore ospite. Il suolibro «AcceleratedDevelopment in Sub-Saharan Africa» è statorecentemente definito dallaprestigiosa rivista «ForeignAffairs» come «uno dei seilibri sull’Africa di maggiorpeso degli ultimi 75 anni».

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termine è di portare gli aiuti laddove vengono edi-ficati sistemi istituzionali e democratici accettabili.

Un solo mondo : Ciò significa che i paesi dona-tori e le istituzioni donatrici si arrogano il diritto didiscernere fra buono e cattivo. Si dà ai buoni,mentre si lasciano attendere i cattivi ?

Collier : Dobbiamo concentrare gli aiuti agli am-bienti in cui essi possono anche essere efficaci. Ciònon è possibile dappertutto, lo è però in molti luo-ghi. Questo modo di procedere non ha nulla a chevedere con standard e valori a misura d’Occidente.Si tratta infatti di standard generali istituzionali, eco-nomici, eccetera sui quali vi è praticamente l’una-nimità.

Berg : La questione è semplicemente di sapere sesiamo in grado di distinguere in modo sufficiente-mente ponderato fra paesi che hanno sviluppato«policies » efficaci per la lotta alla povertà e paesi con«policies » poco efficaci. Per alcuni paesi il caso è

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chiaro, ma in molti altri il giudizio sugli obiettivi egli effetti di queste pratiche è molto difficile daesprimere e le sue conseguenze sono importanti :esso decide infatti se un paese donatore investiràmolti soldi oppure no.

Collier : Si tratta di un problema che però insor-ge adottando qualunque criterio. Questo margined’interpretazione resterà sempre – ma non è un mo-tivo valido per non dare un giudizio.

Berg: Prendiamo due paesi. Entrambi non se la ca-vano né molto bene, né molto male. Magari, agliocchi di coloro che decidono sull’aiuto allo svi-luppo la politica ufficiale del governo è pessima.Magari, in seno per esempio al Ministero per la pia-nificazione vi sono però un paio di riformatori va-lidi. Non dovremmo forse elargire fondi per so-stenere il dialogo con queste persone, benché il pre-sidente del paese agisca in modo del tutto diffe-rente ?

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Collier : Il vantaggio offerto da presupposti chiariper l’aiuto è che essi ottimizzano gli effetti. L’aiutogiova tanto di più e tanto più velocemente alla po-polazione dei paesi in cui siamo anche sicuri chefunzioni. Dobbiamo imparare a disciplinare questoprocesso. Nello stesso tempo ciò aiuta ad erigeremeccanismi di difesa contro la politica accentratricedi un paese che avanza in direzione opposta a que-sto processo e che controlla ogni cosa.

Un solo mondo: Come può incidere un’agenziaper lo sviluppo relativamente piccola come quellasvizzera nella lotta contro la povertà ?

Berg: Un piccolo paese con molte teste intelligen-ti e un’elevata competenza tecnica dovrebbe concen-trare i suoi sforzi per scoprire come aiutare i più po-veri dei paesi poveri. Ciò significa da una parte faredella ricerca e realizzare nelle regioni strategiche pro-getti pilota innovativi, dall’altra partecipare allo sfor-zo generale dei paesi donatori.

Collier : Io ragiono nel senso di « small is beautiful ».Nessuno vorrebbe essere il primo a sperimentare no-vità, a realizzare progetti pilota. Essere piccoli signi-fica però anche poter agire più facilmente e in modopiù flessibile. In molti progetti di lotta efficace allapovertà la Svizzera può assumere il ruolo di precur-sore e di leader e avviare innovazioni che in segui-to vengono adottate anche dalle grandi agenzie.

Un solo mondo: Si tratta tuttavia anche di pro-

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getti ad alto rischio contro i quali si può sbattere ilnaso…

Berg: A tutti noi succede di prendere un granchio,spesso e in ogni situazione. Ma con questi progettisi può anche avere un enorme successo e ricavarneimportanti benefici quantificabili.

Un solo mondo: Da anni vi dedicate alla ricercascientifica di soluzioni atte a risolvere il problemadella povertà. Un giorno il mondo avrà in mano laricetta contro la povertà ?

Collier : Il professore in me dice : oh, è veramen-te un tema molto complesso. Scherzi a parte, ab-biamo buoni motivi per credere che nei prossimi15 anni la povertà diminuirà notevolmente.Naturalmente dobbiamo fare ancora molta ricerca.Ma abbiamo già parecchie informazioni e non citroviamo in un vuoto completo di sapere.

Berg: Il mondo diventa sempre più ricco e semprepiù piccolo. Perfino i grandi scettici del sostegno allosviluppo ammettono che le risorse che affluisconooggi nei paesi in via di sviluppo sono molto al disotto delle nostre possibilità. Personalmente pensoche oggigiorno in molti luoghi si discuta troppo dipovertà e troppo poco di come questi paesi possa-no crescere in tempi utili. Gli aiuti saranno neces-sari e utili ancora per molto tempo, non importa sottoquale forma. Il problema è organizzarli meglio.(Dal tedesco)

Condono dei debitiIl debito dei paesi in viadi sviluppo più poveriammonta attualmentea circa 90 miliardi didollari, strangola ilbilancio di questi paesie per la maggior partenon è rimborsabile.Lo scorso autunno inoccasione del loroconvegno annuale laBanca Mondiale e ilFondo MonetarioInternazionale hannodeciso di condonare lametà dei debiti di 33paesi in via di sviluppopoveri, sempre che essisiano disposti adintrodurre delle riforme.In quest’occasione, ilGruppo dei sette paesipiù industrializzati hapromesso in tuttacoscienza di prenderein esame contributibilaterali, purché la« ripartizione degli oneri »(burden sharing) siaequa.

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Dai giorni di quella mia venuta sonopassati quasi venticinque anni. Lastrada d’accesso ora è dotata disemafori ed il traffico si srotola anchenelle rotonde. Nuova è la stazionedegli autobus. A quei tempi si entravanelle località con la corriera. Ilcapolinea era una qualche fermata diquelle sulla strada principale.

E adesso, ancora qui, sulla piazzadavanti alla basilica. L’albergo a buonmercato non c’è più. L’offerta deinegozi di articoli religiosi haguadagnato spazi. Per il resto imendicanti sembrano essere gli stessi.Con una mano stesa che sembra nonavere età. Come senza età appare ilvecchio che si trascina per la piazza,sulle sue stampelle, ed anche il vetustoapparecchio fotografico, sul suotreppiede, che ora è solo oggetto dicuriosità. Lo sfondo dipinto per le fotoricordo è nuovo, anche se il soggetto èquello di sempre: San Francesco; eproprio grazie a lui Canindé èdivenuto un luogo di pellegrinaggio.

Fu proprio qui che il fotografo quelgiorno scattò la fotografia: i genitori, ifratelli ed i parenti attorno ad unapiccola bara, la bara in cui giaceva unabimba, Fatima. Un angelo, come midisse suo padre. E colui che piange perla morte di un bimbo così piccolo,non fa che bagnare le sue piccole ali diangelo, rendendo difficile il suo voloverso il cielo.

Quando vidi quel viso di bambinacapii immediatamente quale sarebbestata la trama del mio libro sulNordeste brasiliano, una trama che datempo portavo in me, nella sua vestedi progetto: una bimba, c’era, che non

aveva la minima possibilità diconoscere il mondo in cui aveva avutola ventura di nascere; e c’ero io, unostraniero, capace di approfittare di ognioccasione per viaggiare in questoNordeste. Il libro non poteva esserealtro che un colloquio con questaragazzina e su ciò che sarebbe stato delsuo mondo, se avesse avuto lapossibilità di crescere in quel suoNordeste.

La famiglia si era schierata davanti allabasilica per la foto ricordo. Ed io, dopoche la fotografia fu scattata, avevoseguito il gruppo. Fratelli e sorelleportavano la bara; al cimitero il padreed il fratello maggiore della piccolaaiutarono a scavare la fossa.

Era anche una visita al cimitero, la mia.Ma solo dopo aver visitato la Sala deiMiracoli, un edificio che sorge accantoalla chiesa. Avevano dato una nuovadisposizione agli ex-voto. Quante fotoe quanti disegni erano appesi alle paretie quante membra lignee e di ceratestimoniavano speranza e voti. Conessi ci sarebbe stata la possibilità direalizzare un libro illustrato o ancheuna casa di bambole per la poveraFatima.

La salita verso il camposanto e quel suoportone erano gli stessi di sempre.Fatima fu seppellita sotto un albero.Come era stato allora, un albero.Magari lo stesso? L’albero non sta piùal di fuori della fila di tombe, là dove ilsuolo non costa, là dove è sepoltaFatima.

Il cimitero è stato ampliato. È statotirato su un muro, fuori, nella terra dinessuno. No, non è facile stabilire

dove sia il luogo dov’è sepolta Fatima.Sono pochi i bimbi ai quali è assegnatauna sepoltura individuale. La maggiorparte di essi invece se ne sta tra pietretombali e croci, in un rettangolodelimitato da una recinzione metallica,terra nuda, senza lapidi, anonima,senza fiori. È qui che vengonoseppelliti gli angeli.

Nel mio «Wunderwelt» ho raccontatodi Fatima, di un miracolo che non cifu. Né quello economico, tanto menoquello religioso. E quando il libro fupubblicato in lingua spagnola epresentato in Messico, ebbi la venturadi sapere che anche in questo paeseun’antica tradizione contempla gli«angioletti». «Niña-muerte», lamorte-bambina. Colui che muore neisuoi primi anni d’età, non ha maidisposto appieno della sua mente, edunque è impossibilitato a peccare.Fatima aveva tre piccoli anni d’età.

Ma ai bimbi messicani mortianzitempo è riservato un trattamentoprincipesco. Il trasporto funebre ha unaddobbo ricco, ben più costoso diquello in uso nel Nordeste brasiliano.Il funerale di Fatima non fu del tuttodisadorno: la piccola bara che laospitava era impreziosita da cartacrespa e la fronte della bimba portava,come un diadema, un candido fioccodi stoffa.

Al piccolo angelo Fatima, ad un«anjinho», ho portato il saluto di un«angelito». Essi giacciono nella terra,lontani mille miglia l’uno dall’altro, masotto lo stesso cielo, quello di tutti ibambini del mondo.

(Dal tedesco)

Hugo Loetscher,Scrittore e giornalista, èun cittadino del mondocon fissa dimora a Zurigo.Nato nel 1929, hastudiato scienze politiche,storia dell’economia,sociologia e letteratura aZurigo e Parigi. Soggiornaregolarmente in Americalatina, nell’EstremoOriente e nel Sud Estasiatico. Hugo Loetscher si batteper quelli che definisce«pensieri armoniosi eduna prospettivastabilmente mobile ». Nel suo nuovo romanzo«Die Augen desMandarin » (EdizioniDiogenes) ha fattoincontrare due paia diocchi, uno di color nero,l’altro verdeblu.

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Quando i bimbi diventano angeli

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Un solo mondo n.1/marzo 2000

La partita di calcio termina sul 2 a 1 per i WAR, vestiti dimagliette nere. La squadraperdente è quella degli AIDS, inmaglia bianca. Non si tratta diuna partita qualunque. Si giocanel parco del Museo Nazionaledi Accra, su una piazza nuova dizecca. Questa partita senzasperanza fra le due più temibilicalamità dell’Africa è una messain scena artistica dell’angolanodi razza bianca Fernando Alvim.Arte d’azione, community-art,come la chiama lui.Per il continente Accra – apronunciarla la parola suonaAg’kraah –, capitale del Ghana,è una metropoli di tre milionidi abitanti attraversata in modopressoché unico da autostrade,moderna e per le sue caratteri-stiche praticamente priva dicentro. Nel novembre del ’99è stata tirata a lucido : QueenElizabeth, capo del Common-wealth, ha visitato il paese.Contemporaneamente, per laprima volta Accra è stata teatrodi una mostra congiunta d’artecontemporanea dall’Africaoccidentale e dal Sudafrica.

«South meets West » è il titolo di una mostra d’arte contemporanea che si battecontro stereotipi di moda in Svizzera e in Africa. Le opere degli artisti cheabita(va)no in Africa non devono essere ad ogni costo «arte africana». Da Accra,Beni Güntert* riferisce di un progetto culturale complesso e multidimensiona-le appoggiato attivamente dalla DSC.

L’incontro di due regioni cosìlontane fra loro è avvenuto sottoil titolo «South meets West ».L’arte moderna descrittiva vieneproposta soltanto alle biennali diJohannesburg e Dakar – per ilGhana si è trattato di una prima.La meraviglia dei giornalisti haevidenziato che simili formed’espressione sono pococonosciute in un paese dove letradizioni sono ancorafortemente ancorate.L’iniziativa per la mostra è partitadalla Svizzera : Nawao,un’associazione zurighese pergli scambi culturali, non siaccontenta di trasportare inSvizzera la cultura africana.Secondo l’amministratore NiggiPopp è altrettanto importantemettere in discussione negli stessipaesi d’origine la cultura e i suoiscambi. In un lavoro preliminaredurato diversi anni è riuscito aschierare dalla parte del progettoil Museo Nazionale del Ghana.Nawao è anche riuscita adentusiasmare per il progetto ilnuovo curatore della Kunsthalledi Berna. Bernard Fibicher hascelto le opere – che potranno in

seguito essere ammirate anche aBerna (vedi colonna) – insieme aYvonne Vera, giovane direttricea Bulawayo della GalleriaNazionale dello Zimbabwe, econ Yacouba Konaté, filosofodell’arte di Abidjan.Ad Accra i tre hanno incontratoper la prima volta gli artisti.I seminari per curatori delcontinente, fra artisti e studenti,fra artisti provenienti dall’Africaoccidentale e dal Sudafrica sisono rivelati degli incontri moltostimolanti – anche se qualchemalalingua ha aggiunto che vistal’alta partecipazione dipersonaggi elvetici « Switzerlandmeets Africa » sarebbe stato iltitolo più appropriato.

Esorcismo di stradaCambio di scena : Yaoundé,capitale del Camerun, autunno1998. Sul grande mercato diMokolo, vestito come un uomodel Mali Goddy Leye poggia aterra un busto abbigliato e iniziaa trafiggerlo con degli aghi.Come indemoniato, senzatregua. Sempre più persone sifermano a guardare, bisbigliano,

chiacchierano a voce sempre piùalta attorno alla palpitante« scultura temporanea ». Cercanod’indovinare. Un pazzo? Unmago? Strano a dirsi, la polizia –che è solita prendere a randellateogni tumulto – lascia fare Leye. Ma la folla fermatasi a guardare ediscutere ha capito, così l’artista,che si trattava di un « esorcismo»contro un regime che ormainessuno più voleva. «L’artepermette di esprimere più delleparole », afferma il 34enneGoddy Leye, che ama lavorarecon il video, « e la burocrazianon ne capisce niente, ti lasciafare, ignora quello che succede.Una volta volevo diventaregiornalista, ma negli anni dipiombo non serviva più a nulla.Ho iniziato a raffiguraresimbolicamente le mie idee. Piùtardi ho potuto perfezionarmi inseno alla moderna scena artisticaeuropea. Oggi vivo a Douala efaccio dell’arte ». MarylinDoualabell, gallerista nella cittàportuale di Douala, si è frattantoguadagnata fama mondialeperché dà spazio ad una buonadozzina di giovani artisti

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sperimentali. «Questi artisti siorientano tutti alle realtà del miopaese – ed è diventato un po’ ilmarchio e il presupposto per illoro riconoscimento a livellointernazionale. »

Accese discussioni Nei seminari per giovani curatoriafricani tenutisi ad Accra, lequestioni sul ruolo socialedell’arte plastica sono rimastenell’ombra. Le discussioni piùaccese si sono avute sulsignificato dell’identità africananell’arte descrittiva. Soprattuttointeressava la domanda se gliartisti e gli espositori nonavessero l’occhio puntato almercato globale dell’arte, noncercassero un loro orientamentoladdove regnano il denaro e lamoda : all’Art di Basilea, allaDokumenta di Kassel o allaBiennale di Lione. Le opere diartisti sudafricani bianchi comeMinette Vari e Kendell Gearsgiustificano senz’altro questi

quesiti. Con istallazioni video eautorappresentazioni essi siannoverano volentieri e consuccesso in questa scena.Dall’altro capo della discussionec’era chi fa dell’espressioneartistica africana contemporaneauna tendenza. Spesso le operedegli artisti neri fanno molto piùriferimento alle realtà delcontinente, come mostra PascaleTayou con l’istallazione«Externet », esempio disganciamento dal flusso mondialed’informazioni. Ha fatto moltodiscutere il ruolo di alcunicuratori extra africani, che«creano i propri artisti » e chespesso hanno una migliorevisione d’insieme degli eventirispetto ai curatori delcontinente, giacché fra le regionidell’Africa si comunica ancorapoco.In questo senso, ad Accra «Southmeets West » è riuscita a creareun nuovo appiglio. Anche lamancanza di musei d’arte

«South meets West » inSvizzera – nuove immaginidall’Africa«South meets West » sarà a Bernadal 6 aprile al 25 giugno del 2000,nell’ambito di una prima coprodu-zione fra la Kunsthalle di Berna el’antistante Museo storico di Berna.Sin dall’inizio la DSC ha sostenutoil progetto «South meets West »,proprio per i suoi diversi aspettid’incontro, scambio eperfezionamento. In Svizzera gliartisti africani vengono formatipresso gli istituti superiori d’arte diBerna e Lucerna. È stata inoltreavviata una collaborazione fra lescuole d’arte di Lucerna eKumasi, seconda città del Ghana.

Un solo mondo n.1/marzo 2000

contemporanea ha dato adito alamentele da parte degli artisti.Un problema che ad AccraMeschac Gaba ha affrontato congrande ironia. Davanti al MuseoNazionale sorgeva una tendanella quale egli vendeva, a favoredel «Fund for Contemporary ArtGallery », oggetti d’arte creaticon delle banconote : moneyfrom art – art from money.Frattanto, nel museo di Accra –e speriamo presto anche a Berna– le stesse opere hanno fornitoampi argomenti diconversazione. I forti messaggi dimolti lavori raggiungono il loroobiettivo mettendo indiscussione numerosi luoghicomuni sull’Africa.

(Dal tedesco)

*Beni Güntert lavora presso laSezione media e comunicazione dellaDSC

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gente di tutti i continenti si

impegna a promuovere il proprio

sviluppo; schede di lavoro che

spaziano dall’indagine per la

scolaresca al test conclusivo e che

introducono agli interrogativi e ai

temi della cooperazione interna-

zionale ; il noto opuscolo «Sei

povero? Colpa tua !» con fatti e tesi

sulla politica di sviluppo messa in

atto dalla Svizzera ; il commento

destinato alle insegnanti e agli

insegnanti, inteso a facilitare

l’accesso al ricco materiale da

trattarsi preferibilmente nelle classi

di livello secondario I e II.

Fonte/ordinazioni : direttamente con ilprospetto allegato al presente quaderno,oppure acquisto diretto presso lo standBLMV alla Worlddidac di Zurigo dal28 al 31 marzo, oppure tramitewww.blmv.ch. BLMV, Güterstrasse 13, 3008 Berna,tel. 031 380 52 52

End time city – Benares (bf) Dal 1991 il giovanefotografo americano MichaelAckerman ha trascorso a piùriprese vari mesi a Benares, lacittà santa delle luci sulle rive delGange. Ackerman dice di averevagato per la città avvolto « inuno stato febbrile ». Con leimmagini così raccolte ha creatol’albo fotografico «End timecity », un eccezionale e impres-sionante ritratto di Benares. Lefotografie dall’aspetto arcaico sicondensano in un sogno diintensa sensualità, sprigionandoun fascino irresistibile : unritratto della vita umana e dellamorte, libero da condiziona-menti religiosi e d’altra natura.«End time city » di MichaelAckerman, edizioni Scalo Zurigo

Lotta per l’acqua(bf) Partendo dall’esempio di unafamiglia della regione Chincomoin Mozambico il film «A guerrada agua » realizzato con ilsostegno della DSC mostra senzamezzi termini in che modo lapenuria di acqua si ripercuote

Un solo mondo n.1/marzo 2000

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La «cultura della pace» fascuola(bf) Alle soglie del nuovomillennio le Nazioni Unitehanno dichiarato il 2000 come«Anno internazionale dellacultura della pace » e gli anni dal2001 al 2010 come «Decenniodella promozione di una culturadella pace e della non violenza afavore dell’infanzia di tutto ilmondo».Questo ha convinto varieorganizzazioni non governativee varie istituzioni – tra le qualianche la DSC – che la causadella promozione della pacedebba raggiungere tutte lebambine e i bambini in Svizzera.Il progetto creato a propositoprevede per la primavera del2000 la distribuzione a tutte lescolaresche svizzere di unmanifesto accompagnato da undossier pedagogico. Le insegnantie gli insegnanti riceveranno cosìdocumenti che stimolano ladiscussione, la ricerca disoluzioni per gestire piùfacilmente i conflitti vicini elontani, e che promuovono loscambio di proposte costruttive.Ulteriori informazioni presso :Fachstelle Bildung und Entwicklung,tel. 01 482 34 01, fax 01 360 42 33, e-mail :[email protected]

Insieme incontro al futuro(gn) Da anni le insegnanti e gli

insegnanti provano il bisogno di

affrontare in una forma concreta il

tema della cooperazione allo

sviluppo previsto dai programmi

didattici. Le domande delle

scolaresche sul senso, gli effetti e

l’entità dell’aiuto allo sviluppo sono

tanto pressanti quanto il frequente

desiderio di lavorare in questo

settore. La DSC pubblica

quest’anno in marzo, per i tipi

della casa Berner Lehrmittel- und

Medienverlag (BLMV), un sussidio

didattico versatile comprendente i

seguenti elementi : sei documenta-

zioni video che mostrano come la

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vizi

osulla vita quotidiana dellepersone. Le donne sulle qualiletteralmente pesa l’incombenzadell’approvvigionamento d’acquain ambito rurale fanno ognigiorno la coda per ore pur diprocurarsi un secchio d’acqua.Spesso però le pompe sonoguaste o i pozzi sono statisfruttati all’eccesso e si sonopraticamente esauriti. Codesenza fine di secchi vuoti sonoi muti testimoni della penuriaidrica. La descrizione deglistrapazzi invita alla riflessione sulmodo in cui trattiamo l’acquaalle nostre latitudini.A guerra da agua di LicinioAzevedo, Mozambico, 1996/99,31 min.Versione tedesca : Noleggio/vendita :ZOOM, tel. 01 432 46 60,[email protected] und Entwicklung,tel. 031 389 20 21,[email protected] e consulenza :Fachstelle «Filme für eine Welt »,tel. 031 398 20 88,[email protected],www.filmeeinewelt.chVersione francese :Service «Filmspour un seul monde »Distribu-zione/vendita : Cinédia,tel. 026 426 34 30,[email protected] et Développement,tel. 021 612 00 81,[email protected]

Un viaggio nel mondo deisuoni della Mongolia(er) L’industria della world musicla trova (per ora) troppo pocolucrativa. Si tratta della musica

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All Stars » è scritto : Juan deMarcos Gonzáles ha di nuovoriunito i fuoriclasse della musicavocale e strumentale dell’isolacaraibica all’Avana per incidere ilnuovo album «Distinto,diferente », che potremmotradurre in italiano con «diverso,differente » . Il padre carismaticodel boom cubano è tuttaviarimasto fedele a sé stesso riunen-do il fior fiore della musicacubana : Ibrahim Ferrer, RubénGonzáles, «Puntillita » e tantialtri, compresi dei giovanimusicisti ! Tre diversegenerazioni offrono un soundpepato, nel migliore stile delletradizionali orchestre da ballodell’isola zuccheriera. Fiatipenetranti, briosi assoli di unatromba chiacchierina, untrombone gemente o un flautogiubilante, i ritmi cullanti deglistrumenti a percussione e i ritmicompiaciuti del contrabbasso,vivaci carrellate pianistiche evoci roche di sonores (cantanti),cariche di pura emozione. Coninaudita leggerezza la big bandspazia attraverso gli stili (son,danzón, bolero, mambo,charango, guaracha, guaguancó,guajira) o anche attraverso formecontemporanee (new timba son,son-montuno). Insomma, uneccellente e inebriante missaggiodi musica afrocaraibica piena dinostalgia e gioia di vivereesorcizza l’« epoca d’oro » deicasinò con le loro fiestas e rivistedei conjuntos (gruppi festivalieriitineranti).Afro-Cuban All Stars, «Distinto,diferente » (World Circuit/RecRec).

Lettere allaredazioneOltremodo affascinatoRingrazio di cuore l’interocomitato redazionale perl’informazione presentata inmodo eccellente e invitante.Leggo ogni volta con interessela pubblicazione traendonenuovi spunti.Una piccola nota nel quaderno3/99 mi ha oltremodoaffascinato. Concerneva ilpiccolo messaggio « Geografiae economia » nella rubricaPeriscopio. Forse il fatto cheintervenga su questo tema èda ascrivere agli acciacchidell’età, ma in fondo si trattadi un discorso che ho portatoavanti in pubblico sin dal 1980.Devo tuttavia chiarire un punto :voi parlate dell’emisfero nord,dicendo che ha più successodell’emisfero sud. Ciò non èdel tutto corretto, dato che ilMessico e l’area caraibica, laregione del Sahel, il Sud-Estasiatico ecc. si trovano purenell’emisfero nord. La differen-za corre altrove : si situaall’incirca tra i 30° nord e i 30°sud, nel frammezzo vi sono itropici asciutti e quelli umidi –è questa l’area effettivamentesvantaggiata.Bruno Messerli, professorepresso l’Istituto di geografiadell’Università di Berna.

Ottima analisiI miei più sentiti complimentiper l’edizione del vostroperiodico che ha trattato laproblematica concernente ilSahel. Un numero molto benconcepito, chiaro e capace dimettere in rilievo la comples-sità dello sviluppo di questasfortunata regione.Verosimilmente, non sipotevano analizzare megliodi come fatto i margini dimanovra di cui si dispone.Mi sia comunque permesso

di rilevare un’argomentazioneche mi è apparsa inopportuna.Verso la fine dell’articolo«Progetti faraonici, no grazie...»l’autore, provocando in meuna certa qual sorpresa, parladel « trickle down effect »,lasciando quasi intendere chesi tratti di una teoria praticatadagli economisti neoliberisti.Si tratta piuttosto di una realtàelementare e vecchia comeil mondo. Ormai da lungotempo si constata che i poveriche vivono in regioni poveresono più poveri di quelli chevivono invece in una regioneeconomicamente più ricca.Già nel lontano 1930,Jawaharlal Nehru – pocosospetto di neoliberismo –faceva notare le grandidifferenze salariali tra i conta-dini senza terra attivi nelbacino del Gange medio,semi-stagnante, e quelli deicanal irrigated colonies delPunjab, in pieno sviluppoeconomico dalla fine del XIXsecolo.I vostri esperti avrebberodovuto fare le stesseconsiderazioni, per ciò checoncerne gli ultimi trent’anni,per le zone della Rivoluzioneverde e per le altre regioni.Nelle prime, i salari e leoccasioni di lavoro dellamanodopera contadinaaumentano, mentre cambiadavvero poco nelle altre,come si osserva ad esempioin Bangladesh, in India ed inIndonesia.Gilbert Etienne, professoreonorario IUHEI e IUED,Ginevra.

della Mongolia. Ma questo nonvale per il marchio «Heaven andEarth », che ha già prodotto dueCD del gruppo Egschiglen,nome che in italiano significa«bella melodia » o anche « suonoarmonioso ». Le musiciste e imusicisti di Ulan Bator hannoper così dire inciso delle traccesonore che congiungono il cieloe l’inferno (il nome del marchioè una garanzia !) : la loro musicasi libera nell’aria rimanendo nelcontempo radicata nella terra,talvolta si esprime in modo finee trasparente come la musica dacamera e talvolta emana unapossente forza arcaica. Glistrumenti sono suonati convirtuosismo : violini a testa dicavallo (strumenti a arco concorde in crine di cavallo), liuti acollo di cigno, contrabbassi esalteri conferiscono ai suoni uncarattere magico insolitoall’orecchio occidentale. Vi siunisce un affascinante cantogutturale che a un tono di basesovrappone delle armonichemelodicamente modulate. Isuoni rochi, profondi, quasisordi, e i suoni acuti di giubilo,quasi fischiettanti o flautanti,rappresentano per i mongoli (e non c’è proprio dameravigliarsi) il ponte tra ilmondo terreno e il regno deglispiriti. I due CD di Egschiglencostituiscono una stupendaintroduzione al mondo dei suonidelle aride e silenziose dune delGobi, delle foreste fruscianti,delle vette ghiacciate e battutedai venti dell’Altai, e delleimmense steppe erbose sullequali di tanto in tanto risuonanogli zoccoli dei piccoli e robusticavalli dei nomadi.«Gobi »/«Egschiglen »(distribuzione : Plateau Libre,fax 032 725 68 68)

Afro-Cuban All Stars : nuovosuccesso(er) Il secondo capitolo dellavittoriosa storia di «Afro-Cuban

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Un solo mondo n.4/marzo 2000

«Un solo mondo»

Tagliando di ordinazione e di cambiamento d’indirizzo

• Desidero abbonare «Un solo mondo». La rivista della DSC esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco,francese ed è gratuita. Desidero riceverne ... copia(e) in italiano, ... copia(e) in tedesco, ... copia(e) in francese.

• Desidero ricevere gratuitamente delle copie supplementari del numero 1/2000 di «Un solo mondo»:... copia(e) in italiano, ... copia(e) in tedesco, ... copia(e) in francese.

• Ecco il mio nuovo indirizzo:

Cognome e nome:(p.f. in stampatello maiuscolo)

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In caso di cambiamento di indirizzo, vogliate p.f. allegare l’etichetta di spedizione con il vecchio indirizzo.

Spedire il tagliando a: DSC/DFAE, Sezione media e comunicazione, 3003 Berna.

Impressum«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano,tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) delDipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (vuc)Sarah Grosjean (gjs) Andreas Stuber (sbs) Reinhard Voegele (vor) Joachim Ahrens (ahj) Beat Felber (bf) Gabriella Spirli (sgb)

Collaborazione redazionale:Beat Felber (bf – Produzione) Maria Roselli (mr)Gabriela Neuhaus (gn) Jane-Lise Schneeberger (jls)

Progetto grafico:Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: City Comp SA, Morges

Stampa: Vogt-Schild / Habegger AG, Solothurn

Riproduzione:La riproduzione parziale o integrale dei testi èconsentita purché si menzioni la fonte. Si sollecital’invio di un esemplare all’editore.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente presso: DSC,Sezione media e comunicazione, 3003 Berna, Tel. 031 322 34 40. Fax 031 324 13 48E-mail: [email protected]

26139Stampato su carta sbiancata senza cloro per laprotezione dell’ambienteTiratura totale: 45000Copertina: Still Pictures / Mark Edwards

Internet: www.dsc.admin.ch

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«Svizzera oltre», la rivista delDipartimento federale degli affari esteri(DFAE), presenta temi d’attualità dellapolitica estera elvetica.Esce cinque volte all’anno in italiano,francese e tedesco.

Il prossimo numero – all’inizio di aprile - èdedicato alla promozione della pace nellasocietà civile. Il numero precedente -apparso all’inizio di gennaio - si occupainvece della situazione dopo la guerra nelKosovo.

Abbonamenti gratuiti possono essereordinati presso:«Svizzera oltre»c/o Schaer Thun AGIndustriestrasse 123661 Uetendorf

alla vita quotidiana dei paesi del Sude a stimolare lo scambiointerculturale. Si tratta in particolaredelle sessioni dedicate a «Le grandiopere del cinema arabo 1930-1998»,di una «Panoramica del filmbengalese» ed infine uno sguardosulla Corea del Sud ed i documentaridella resistenza. La DSC che già daanni collabora con il festival sipresenta per la prima volta comepartner ufficiale del FIFF.Dal 12 al 19 marzo a Friburgo

TirayattamIl tirayattam è una danza ritualeindiana che ogni anno viene eseguitanel tempio del villaggio di Malabar.Essa celebra la rinascita di un dio odi una dea, di un’eroina o di unantenato simbolizzati da undanzatore. Per la prima volta iltirayattam viene ora presentato aldi fuori del Kerala, una regionedell’India meridionale. Dodicidanzatori e musicisti presentanocosì una versione concentrata dellefasi essenziali di questo rituralespettacolare, facendo scoprire aglispettatori un lato rimasto sin quipressoché sconosciuto della riccatradizione artistica del Kerala.17 e 18 marzo presso la Cité Bleue diGinevra

Avere vent’anni nel 2000Al Festival «Médias Nord-Sud» leemittenti televisive e i cineastiindipendenti di tutto il mondoconfrontano già per la sedicesimavolta nell’ambito di un concorso leloro produzioni incentrate su temidi politica dello sviluppo. Inoltre sisvolgeranno diversi dibattitiall’insegna del motto «averevent’anni nel 2000» con giovani delSud che scambieranno le loro idee econvinzioni con i registi, i giornalisti,i giovani svizzeri e il pubblico. Latavola rotonda del 6 e 7 apriletematizzerà la libertà di stampa e ilrispetto dei diritti della persona inAfrica.Dal 6 al 7 e dal 10 al 14 aprile aGinevra

Da Benares a JerezSia la ballerina di flamenco Ana laChina sia il danzatore di kathakindiano Ravi Shankar Mishra sonoindiscussi maestri della loro arte egodono di una fama mondiale.Quando ebbero modo di incontrarsia Ginevra decisero di unire le loroconoscenze sulla danza e di creareuno spettacolo comune. Nacque cosìun affascinante incontro delle piùsvariate forme di danza e di stili

musicali, legate da un linguaggiocomune.18 e 19 aprile presso il Forum Meyrin diGinevra

Offerta CinfoIl Centro d’informazione, diconsulenza e di formazione per leprofessioni della cooperazioneinternazionale e dell’aiuto umanitario(Cinfo) organizza le seguentigiornate d’informazione durante lequali viene data la possibilità diriflettere e discutere sulle opportunitàe i limiti di un proprio impegnonell’ambito della cooperazioneinternazionale elvetica:11 marzo e 27 maggio in tedesco e 8aprile in francese: Cooperazioneinternazionale – domanda e offerta. I corsi si svolgono a Bienne e presumonola conoscenza del dossier «InternationaleZusammenarbeit I – Grundlagen,Umfeld, berufliche Anforderungen undMöglichkeiten».Ordinazioni, informazioni eprenotazioni presso: Cinfo,Rue Centrale 121, 2500 Bienne,www.cinfo.ch, tel. 032 365 80 02,e-mail: [email protected]

Tre interessanti proposte aFriburgoIl Festival internazionale del film diFriburgo (FIFF) presenta quest’annoben tre proposte di altissimo livellodestinate ad avvicinare il pubblicointeressato alla cultura, alla storia e

Agenda

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