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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo N. 4 DICEMBRE 2007 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Contributo svizzero all’ampliamento dell’UE – gli effetti per il nostro paese e per i nuovi paesi membri Provata da una storia tragica e da catastrofi che si ripetono nel tempo - Haiti continua a sperare Aiuto al bilancio - pregi e difetti di uno strumento sempre più in voga

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Page 1: Un seul monde - Federal Council · a rafforzare la pace, la sicurezza e la stabilità dell’intera Europa. (Tradotto dal francese) Jean-Philippe Jutzi Capo supplente Media e Comunicazione

Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

N. 4DICEMBRE 2007LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

www.dsc.admin.ch

Contributo svizzeroall’ampliamento dell’UE – glieffetti per il nostro paese e per i nuovi paesi membri

Provata da una storia tragica e da catastrofi che si ripetono neltempo - Haiti continua a sperare

Aiuto al bilancio - pregi e difetti di uno strumento sempre più in voga

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Sommario

DSC

FORUM

Un solo mondo n.4 / Dicembre 20072

CONTRIBUTO ALL’AMPLIAMENTO DELL’UEShopping nella vecchia miniera di carbone Nonostante l’euforia per la crescita economica che pervade i nuovi paesi dell’UE, non tutti sono riusciti nel progetto di trasformazione strutturale. Un reportage sulla situazione in Polonia

6Mercati nuovi, nuove prospettiveMolte imprese svizzere hanno scoperto gli ex paesi dell’Estcome nuovi mercati del futuro. Mentre il campo della ricercaspera in nuovi impulsi

12Nicchie e know-how La Svizzera si impegna nella «nuova Europa» laddove puòcontraddistinguersi con iniziative particolari

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HAITIHaiti, un’isola dalla cattiva reputazione Ritratto di questo Stato insulare, situato nelle Grandi Antille,annoverato fra i dieci paesi più poveri al mondo

16Breve cronaca di una domestica La vedova Viergela Louisy sulla vita a Port-au-Prince

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La Svizzera al passo con il mondoIl direttore della DSC Walter Fust sugli interessi dellaSvizzera ad aprirsi al mondo piuttosto che proseguire la corsa in solitaria

21Un vivaio di competenze a Ouagadougou Il Politecnico federale di Losanna (EPFL) collabora dal 1980 con una scuola di ingegneria del Burkina Faso. Oltre 450 specialisti sono stati formati grazie a questopartenariato

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Un dialogo imperfetto, che ha il merito di esistereI pregi e i difetti dell’aiuto al bilancio – uno strumentorelativamente nuovo della cooperazione sempre più in voga

26Piccoli vietnamiti viziatiLa scrittrice vietnamita Phan Thi Vang Anh ci offre unosquarcio di vita quotidiana delle domestiche vietnamite alle prese con bambini sempre più viziati

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Il vudù, un segmento del DNA haitiano La svizzera Marianne Lehmann ha costituito ad Haiti una delle più importanti collezioni di arte vudù al mondo

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è… la Corporate Social Responsibility? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertantonon esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

L’anello mancante dell’azione umanitaria A Ginevra su iniziativa della Svizzera è stato creato il Forum umanitario mondiale che è presieduto dall’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan

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DOSSIER

ORIZZONTI CULTURA

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Il dossier di questa edizione di Un solo mondo è dedi-cato al contributo svizzero all’allargamento dell’UnioneEuropea. I dieci paesi che si sono aggiunti all’UE il 1°maggio del 2004 potranno giovare nel corso dei pros-simi cinque anni del miliardo di franchi che la Confe-derazione mette a loro disposizione per aiutarli a col-mare il loro ritardo rispetto agli altri membri dell’ Unio-ne. Un miliardo, una cifra che è piccola e grande allostesso tempo.

Certo, dall’inizio degli anni ’90, i paesi dell’Est euro-peo registrano tassi di crescita mai raggiunti prima.L’economia di mercato si sviluppa ad una velocitàesponenziale, il mercato del lavoro è in pieno boom edil livello di vita della popolazione è nettamente miglio-rato. Ma non è solo rose e fiori. Questa nuova e piace-vole prosperità è in effetti distribuita in maniera di-seguale; numerose regioni, e degli interi strati delle popolazioni dei dieci nuovi Stati membri sono rimastiesclusi da questo provvido sviluppo.

Paragonato alla massa di flussi economici e finanziarigenerati dall’allargamento, il miliardo svizzero potreb-be apparire un contributo modesto. Tuttavia, si riveleràcertamente di grande utilità per colmare alcune dellelacune più sentite nell’ambito di quello sviluppo. Nelsettore della sanità, delle infrastrutture, degli alloggi,dell’ambiente ed in quello energetico c’è da affrontareun lavoro colossale, soprattutto nelle zone rurali. Sinoti: solo in Polonia, il 90 per cento degli ospedali do-vranno essere ristrutturati entro il 2012 per soddisfarei parametri dell’UE. Ed i fondi mancano, clamorosa-mente. E non sarà certo la dottoressa Godula-Stuglik,

dell’Ospedale universitario di Zabrze, ad affermare ilcontrario, lei che si vede costretta, nelle ore che le la-scia libere il lavoro, a mettersi a caccia di sponsor perfinanziare il mantenimento della sua clinica!

Nel rispetto delle sue dimensioni, la cooperazione sviz-zera (DSC e SECO) partecipa a questo gigantescosforzo di ricupero concentrando le sue attività nei set-tori in cui dà già ampiamente prova delle sue compe-tenze, e dunque la sanità, l’istruzione e la formazioneprofessionale, lo sviluppo rurale ed i trasporti, tanto percitarne qualcuno. Si tratta soprattutto di un aiuto mi-rato alle regioni maggiormente svantaggiate, nicchieignorate nel grande cantiere che è l’ampliamentodell’UE. L’economia privata svizzera, così come ilmondo della scienza e della ricerca, se ne gioverannodirettamente; usufruiranno, infatti, di un accesso faci-litato a questi nuovi mercati, cosa questa che finirà percreare nuovi posti di lavoro anche nel nostro paese.

Questo miliardo è dunque un’operazione doppiamentevincente, per i dieci nuovi Stati membri dell’UE e per laSvizzera. Senza contare che esso finirà per contribuirea rafforzare la pace, la sicurezza e la stabilità dell’interaEuropa.

(Tradotto dal francese)

Jean-Philippe JutziCapo supplente Media e Comunicazione DSC

Un miliardo doppiamente vincente

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Editoriale

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Capra nera in pericolo(bf) Per l’agricoltura e l’industriapellettiera del Bangladesh, la capra nera bengala, una razza ca-prina nana, riveste un’importanzainestimabile. Nel paese, la popola-zione di questa razza ammonta aoltre 300 milioni di capi e ognianno si vendono circa sei milionidi metri quadri di pelli di capraper trasformarli in pellami. Ma l’habitat della razza nera è in pericolo. I progressi raggiunti nell’agricoltura hanno fatto sì che sempre più terreni un tempo lasciati a maggese oggi sono coltivati. Di conseguenza, dimi-nuiscono costantemente anche lezone di pascolo per questi pregiaticaprini, la cui pelle nonteme con-fronti neanche a livello interna-zionale vista l’altissima qualità e ilprezzo elevato che raggiunge sulmercato. La svolta potrebbe arri-vare grazie ad un progetto di svi-luppo dell’Organizzazione delleNazioni Unite per l’alimenta-zione (FAO) e dell’Agenzia in-ternazionale dell’energia atomica(AIEA), che concentra gli sforzisulla ricerca genetica di questianimali da un lato per migliorarele tecniche di allevamento dei caprini e dall’altro per garantireun reddito ai contadini e «crearele capacità dei sistemi nazionali diricerca agricola».

Un santuario degli uccelli migratori ( jls) Il lago di Oursi, all’estremonord del Burkina Faso, è un

luogo di transito per gli uccellimigratori, che si radunano quidopo la lunga traversata delSahara. Questa zona umida isolatain un ambiente arido e secco at-tira anche contadini, orticoltori,pescatori, nonché allevatori no-madi giunti da lontano per abbe-verare le loro greggi. Ma per viadello sfruttamento eccessivo oggiqueste paludi sono in uno statoavanzato di degrado e minacciatedi prosciugamento e insabbia-mento. In passato molti volatilierano abbattuti dai bracconieri odagli abitanti dei villaggi in caccecollettive. Otto anni fa, la fonda-zione burkinabè Naturama halanciato una campagna per la sal-vaguardia di un ecosistema vitale.La popolazione è stata sensibiliz-zata alla necessità di proteggeregli uccelli e l’ambiente. In colla-borazione con i villaggi riviera-schi, la fondazione ha avviato ilrimboscamento del perimetrodello stagno, allo scopo di stabi-lizzare gli argini e trattenere la

sabbia con l’aiuto di piante cheNaturama coltiva nel proprio vivaio. Una siepe naturale siestende già su 1.5 km di lun-ghezza.

Prendere in mano il propriofuturo( jls) In alcune banlieue cameru-nesi, gli abitanti si sono organiz-zati e hanno preso in mano il lorosviluppo. Il quartiere di TowoSud, a Douala, ne è un esempio.I suoi 300 abitanti fanno partedel comitato locale per lo svi-luppo, cui versano un contributomensile di 2000 Fcfa (5 franchi).Hanno così finanziato la sistema-zione di una strada di terra bat-tuta lunga 2 km. La domenicamattina, tutti scendono in stradaarmati di zappa e machete peroccuparsi della manutenzione diquesta pista e di altre vie che at-traversano il quartiere. Il comitatoha ampliato anche la rete elet-trica, affinché vi si possano allac-ciare tutte le case.A qualche passodi distanza, gli abitanti di TowoNord hanno costituito un comi-tato di sicurezza, incaricato dellalotta contro il banditismo. Il la-voro comunitario si pratica anchein altre città africane.Nella RDC una sessantina digiovani si ritrovano ogni dome-nica per sgombrare il quartiere diMabanga Sud dai sassi e dalla lavache vi si sono riversati con l’eru-zione del vulcano Nyiragongo nel2002 e riaprire le strade ancorabloccate.

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Risparmio a caro prezzo( jls) La produzione dello zuc-chero di palma, fonte di redditoper migliaia di contadini cambo-giani, richiede un’alta quantità dienergia, visto il lungo periodo dicottura del succo ottenuto dallapalma. Ma la legna per il fuoco si fa sempre più rara e i prezziesplodono. Sono sempre più nu-merosi gli abitanti dei villaggi che

la sostituiscono con degli avanzitessili. Le fabbriche di capi di abbigliamento, che importano lastoffa dalla Cina, producono ognigiorno delle montagne di rifiuti.Qualche furbo ha fiutato uncommercio redditizio e ha pro-posto alla gente del posto uncombustibile conveniente. Il pro-blema è che bruciando questestoffe, di solito sintetiche, liberano

diossina e altre sostanze altamentetossiche. Molti abitanti dei paesisoffrono già di mal di testa.Eppure non vogliono rinunciaread una possibilità di risparmio assai gradita: con una tonnellata emezza di rifiuti tessili, comprati al prezzo di 120000 riel (36 fran-chi), una famiglia può produrrezucchero per un mese; se bru-ciasse legno dovrebbe sborsareben 200000 riel (61 franchi).

La felicità vale più dei soldi (bf) Se siamo in grado di misu-rare cosa rende felici i poveri,possiamo migliorare anche le no-stre strategie e politiche di svi-luppo e di aiuto a loro favore. Siriassume così il credo della diret-trice del nuovo istituto di ricercadella Oxford University, l’OxfordPoverty and Human Develop-ment Institute (OPHI). SabinaAlkira è convinta che il reddito è

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L’ampliamentolungi dall’essere il fattore deter-minante per il benessere dellepersone. Ecco perché nello svi-luppo invita a focalizzare l’atten-zione su fattori diversi da quelliprediletti dagli economisti eorientati al denaro, quali la pro-duzione e il consumo di beni eservizi. «Chiediamo ai poveri cosaè importante per loro e il redditonon è mai citato per primo», diceSabina Alkira. «L’importanza dellareligione, dei rapporti interperso-nali e della pace interiore è invece di gran lunga maggiore –contrariamente a quanto si af-ferma nelle pubblicazioni specia-listiche sullo sviluppo». Per questomotivo, l’istituto di Sabina Alkiraoggi lavora ad un «nuovo kit diindicatori dello sviluppo umano»,per misurare fattori quali empo-werment, coinvolgimento, rispettoe sicurezza.

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Il contrasto non potrebbero essere più stridente: là dove un tempo nella città di Katowice si estraeva il carbone, oggi si va a fare shopping. Mamolte persone vivono ancora in povertà, per esempio in case operaie del 19o secolo.

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Contributo all’ampliamento

Shopping nella vecchiaminiera di carboneTempi di boom per i paesi dell’ex Europa dell’Est: dall’adesioneall’UE, nel maggio 2004, la loro economia registra tassi di cre-scita mai conosciuti prima. Voglia di cambiamento ed euforiaper la crescita pervadono l’intera regione, ma questa è solo unadelle due facce della medaglia. Infatti, non mancano i perdenti- e finora non tutti sono riusciti nel progetto di trasformazionestrutturale. Un reportage sulla situazione in Polonia di GabrielaNeuhaus.

«Un marchio d’infamia»! Con un gesto di scusa Ka-tarzyna Chojna punta il dito contro la stazione cen-trale di Varsavia.Effettivamente il monumento nonimpressiona nessuno, stretto fra l’imponente Palaz-zo culturale regalato ai polacchi da Stalin e un nuo-vo shopping center futuristico. E non per nienteha i giorni contati: «Per gli Europei di calcio 2012ne riceveremo una nuova»,dice orgogliosa la tren-tenne cittadina svizzero-polacca.Vive a Varsavia danove anni e per il momento non ha intenzione ditornare in Svizzera: «All’inizio era voglia d’avven-tura – la vita qui è molto più caotica che in Sviz-zera. L’economia registra una rapida crescita, ma alivello politico i polacchi sono conservatori. Quiquesto spirito pionieristico è ancora una sensazio-ne nuova».Tempi di boom a Varsavia, soprattutto dall’adesio-ne all’UE il 1° maggio 2004:grattacieli tirati su ra-pidamente, un’enorme richiesta di spazi commer-ciali e abitativi per i collaboratori delle succursalidelle multinazionali. Sulla Piazza antistante il ca-stello un viavai di gente, un’atmosfera internazio-nale come quella che si respira davanti al CentrePompidou di Parigi;nei grandi centri commercia-li i ceti medi e alti – sempre più importanti – tro-vano gli articoli griffati e le catene di distribuzio-ne che ai primi indicatori di prosperità si insedia-no immediatamente in ogni parte del mondo.

Un gran voglia di cambiamento e tantapovertà Questa nuova Polonia non si trova solo nella capi-tale. La torre altamente simbolica del Silesia CityCenter di Katowice si distingue da lontano. Finoa pochi anni fa, qui si estraeva carbon fossile.A te-stimoniare di questo passato, oltre al pozzo alto 50metri, sono rimasti solo gli edifici ristrutturati del-

le vecchie officine di riparazioni, nonché la cap-pella di Santa Barbara, patrona dei minatori, chesembra quasi sperduta fra la ricca e accattivante of-ferta all’insegna del consumo: intrattenimento,ne-gozi, ristoranti. Un esempio impressionante dellarapidità dei cambiamenti che hanno travolto la vitanel paese negli ultimi dieci anni. I gestori del CityCenter parlano di 2000 nuovi posti di lavoro,crea-ti grazie all’inaugurazione del centro, e di circa 12milioni di visitatori all’anno.Non si può dire che Wadislaw Sekulas appartengaai clienti della miniera oggi adibita a shopping mall.Il suo turno nello stabilimento Polska Wirek ini-zia fra pochi minuti e dura dalle 18.30 alle due dimattina. Anche questa miniera di carbone è mi-nacciata di chiusura, ma per il momento – certa-mente per via dei prezzi del carbone che negli ul-timi tempi registrano un’impennata – è ancora infunzione.Wadislaw Sekulas non si scervella su cosa gli por-terà il futuro.Lavora qui da oltre 22 anni e deve te-ner duro ancora per altri tre, fino al pensionamen-to.«Negli ultimi anni la protezione sul lavoro è mi-gliorata», risponde alla domanda sui cambiamentiintercorsi. «Ma i salari sono praticamente restati gli stessi, bisogna veramente saper fare i calcoli per riuscire a farcela fino alla fine del mese».Ma almeno lui e i suoi colleghi hanno una paga daportare a casa alla fine del mese, cosa che in AltaSlesia,un tempo centro dell’industria pesante e mi-neraria, è ormai tutt’altro che scontata. Nei primianni Novanta numerose aziende hanno dovutochiudere i battenti, oltre 300mila minatori sono rimasti senza lavoro.In città come Bytom o Zabrze la povertà e il de-grado sono onnipresenti. Malgrado il fascino ar-chitettonico le Familokis, le casette di mattoni ros-

Fondi UE per la Polonia Al fine di ridurre il divariofra i paesi europei ricchi equelli poveri, nell’ambito diun programma paneuro-peo di perequazione l’UEmette a disposizione fondifinanziari per i suoi Statimembri più poveri. In unaprima fase, dal 2004 al2006, la Polonia, con 38milioni di abitanti, che nefanno il paese neo-affiliatocon la maggior densità dipopolazione (v. riquadro), eun grande fabbisogno direcupero in settori qualil’infrastruttura, l’ambiente ol’economia, ha beneficiatodi sussidi pari a 12,8 mi-liardi di euro; dal 2007 al2013 l’UE ha stanziato 85miliardi di euro per lo svi-luppo dell’economia po-lacca. A ciò si aggiungonoaltri 558 milioni di euro daipaesi AELS Norvegia,Liechtenstein e Islanda,nonché 438 milioni di fran-chi dalla Svizzera.

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si costruite nel 19° secolo per i lavoratori, non ri-escono a nascondere la povertà dietro le loro mura.Davanti al portone di una casa si è radunato ungruppo di ex minatori. «Va sempre peggio», diceuno degli uomini.Da quando non scende più nel-la miniera,tenta di sbarcare il lunario vendendo rot-tami. Ovunque scompaiono fili telefonici, gron-daie, tegole. Tutto quello che si può portare via,scompare e viene venduto. «Questo non è più vi-vere», dice una donna, «è solo vegetare».

Sistema sanitario: una gestazione difficile Per le gemelle Karolina e Julia per ora si tratta disopravvivere.Hanno buone speranze di farcela,an-che se sono nate con tre mesi di anticipo e pesanoappena 800 grammi ciascuna. Grazie ad un perso-nale molto preparato e al reparto di neonatologiadell’ospedale universitario di Zabrze, equipaggia-to di tutto l’occorrente, dal 1990 il tasso di mor-talità dei prematuri si è fortemente ridotto.Un suc-cesso possibile grazie al progetto «Madre e bambi-no» cofinanziato dalla Svizzera, che ha stanziato

fondi per finanziare l’equipaggiamento e la for-mazione del personale nel settore della neonato-logia in tutta la Slesia.Il progetto era stato lanciato a causa della pessimaqualità dell’aria nella regione. Un fattore che haportato la percentuale di parti prematuri in Slesiaad un livello molto più alto rispetto alla media po-lacca. Sebbene l’inquinamento atmosferico negliultimi anni sia sensibilmente diminuito, di solitotutte e trenta le incubatrici sono occupate. «L’ariaè migliorata», dice Urszula Godula-Stuglik, capo-reparto e professore di neonatologia presso l’ospe-dale universitario di Zabrze. «In cambio ora ab-biamo dei grossi problemi sociali: disoccupazionee bassi redditi per lavori pesantissimi nei super-mercati fanno sì che le madri – di solito molto gio-vani e senza partner – soffrano di denutrizione omalnutrizione».Il medico ha individuato un altro fattore preoccu-pante dovuto al cambiamento strutturale: è veroche in Polonia i costi di cura dei pazienti sono an-cora coperti attraverso il Fondo nazionale per la sa-

La Polonia e la SvizzeraNegli anni Novanta,nell’ambito dell’aiuto allatransizione, la Svizzera hasostenuto la Polonia insvariati settori: nella provin-cia di Malopolskie, adesempio, le piccole im-prese hanno ricevuto sus-sidi sotto forma di crediti a condizioni agevolate. APosen, un progetto pilotaper un mercato ortofrutti-colo all’ingrosso si è svi-luppato fino a diventare unprogetto modello. Iniziativecome il progetto «Madre ebambino» in Slesia sonoservite a promuovere il si-stema sanitario e nel set-tore dell’ambiente sonostate sostenute iniziativequali ad esempio la costru-zione di una centrale ter-moelettrica più ecologica a Katowice.

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Contributo all’ampliamento

Il 1° maggio 2004 Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Estonia, nonché Slovenia,Malta e Cipro sono stati accolti in seno all’Unione Europea. Già nella fase preliminare all’adesione i nuovi membrihanno dovuto intraprendere grossi sforzi per soddisfare i criteri di adesione. Eppure, ancora oggi, in questi paesi ilreddito è inferiore alla media dei 15 «vecchi» paesi dell’UE. Accettando la legge sulla cooperazione con gli Stati dell’Europa dell’Est nella votazione del 26 novembre 2006, lamaggioranza della popolazione svizzera si è espressa a favore del pagamento di sussidi ai nuovi paesi dell’UE. Ilcosiddetto «miliardo per l’est» era contestato. Questo contributo è strettamente legato ai trattati bilaterali, cheaprono alla Svizzera le porte per accedere al mercato comunitario.È così stato stanziato un miliardo di franchi, che nei prossimi cinque anni sarà disponibile per progetti e programmiproposti dagli stessi paesi partner, ma realizzati e controllati in collaborazione con la Svizzera. In tal modo, laSvizzera vorrebbe fornire un contributo al mantenimento della pace, della stabilità e della prosperità in tutta l’Europa.Un criterio fondamentale nella scelta dei progetti è che i mezzi svizzeri siano impiegati in settori in cui possano for-nire un contributo allo sviluppo autonomo e visibile. Anche le modalità di accesso ai fondi di progetto devono es-sere il più semplice e trasparente possibile. La ripartizione dei mezzi finanziari e la suddivisione fra i singoli paesi sieffettuano in conformità ad un «Memorandum of Understanding» definito a Bruxelles.

La ripartizione del «miliardo di coesione» per i singoli paesi

2 Ungheria

3 Repubblica Ceca

4 Slovacchia

5 Lituania

6 Lettonia

7 Estonia

8 Slovenia9 Cipro

10 Malta

1 Polonia

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lute,ma è anche vero che ogni ospedale deve prov-vedere a sostenere da sé i costi per la manutenzio-ne e il rinnovo urgente e indispensabile dell’infra-struttura. «Nel mio tempo libero cerco degli spon-sor e vado a parlare con i direttori delle banche»,spiega Urszula Godula-Stuglik. «La cosa mi mettemolto in imbarazzo, ma lo faccio per i miei pa-zienti». È per il futuro dell’ospedale, perché entroil 2012 la clinica universitaria di Zabrze deve ot-temperare alle norme ospedaliere valide nell’U-nione europea – pena la chiusura della struttura.Il problema interessa oltre il 90 per cento degliospedali polacchi. Una carenza che si riscontraquasi dappertutto sono gli spazi angusti e la man-canza di posto. Fino a cinque letti sono stipati inuna camera di venti metri quadri, spesso con gliimpianti sanitari sul piano. L’obiettivo dichiaratodell’UE è quello di permettere al più presto ai nuo-vi Stati membri di raggiungere un tenore di vitain linea con la media europea. A tale fine, no-nostante un’economia ormai rilanciata da tempo,in Polonia servono ancora degli investimenti enor-mi, soprattutto nel settore delle infrastrutture. Ol-tre al settore sanitario,anche l’ampliamento dei tra-sporti pubblici costerà miliardi.Soltanto fino ai campionati Europei di calcio del2012, che si terranno in Polonia e in Ucraina, siparla di costruire ex novo oltre 1000 chilometri fraautostrade e strade a scorrimento veloce,undici ae-roporti e tutta una serie di stazioni ferroviarie.Can-

tieri aperti in tutto il paese, dunque, un largo na-stro di asfalto avanza chilometro per chilometro daCracovia a Katowice e anche la località turistica diTatra Zakopane, la «St. Moritz polacca», ben pre-sto sarà accessibile in autostrada.

Sperando in nuovi ospiti Dal balcone di una camera per ospiti, Cristina To-porkiewicz indica piena d’entusiasmo quel punto,poco lontano dal suo motel, dove un pezzo di bo-sco dovrà lasciare il posto al raccordo autostradalecon una stazione di servizio. «Da sette anni assi-stiamo alla ripresa economica», dice. «Già oggi frai nostri ospiti vi sono molti stranieri che si ferma-no a pernottare nel nostro motel – la strada nuo-va, però, porterà ancora più clienti».A Rabka,piccola cittadina a 50 chilometri da Cra-covia, sono in tanti a puntare sul turismo. La re-gione vanta un microclima unico.Aria buona,pae-saggi intatti e numerose sorgenti saline offrirebbe-ro un’ottima base per lo sviluppo di un turismodella salute fiorente, dice Pawel Rapacz, già sinda-co di Rabka. Ci vorrebbero tuttavia anche un si-stema di smaltimento dei rifiuti funzionante, non-ché l’ampliamento della canalizzazione e degli im-pianti di depurazione delle acque di scarico – perquesti però il comune non ha mai trovato i soldinecessari.Un tempo Rabka era nota in tutta la Polonia inquanto centro di convalescenza e cura per i bam-

«È difficile stimare quantotempo ci vorrà ancora perraggiungere la media UE.Non dipende solamentedalla Polonia, né solodall’UE – viviamo in unmondo globalizzato. Finoad un paio di anni fa pensa-vamo che ci sarebbero vo-luti ancora 30 o 40 anni,oggi ci siamo già avvicinatiai livelli della Grecia. Gli Eu-ropei del 2012 fornirannostimoli importanti, l’attualecrescita economica del 6-7per cento non è male – mail ritardo da compensare ègrande. Ciononostante civorrà meno tempo diquanto pensassi.» Cezary Gmyz, responsa-bile delle pagine nazionalidella testata Rzeczpospolita

Ancora oggi lo stipendio medio di un cittadino polacco è inferiore a 1000 franchi al mese. Lo standard di vita è dunquerelativamente basso e induce molti uomini e donne polacchi a emigrare.

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blematico: «All’estero un lavoratore specializzatoguadagna molto di più di quanto posso pagare io».Attualmente il salario medio polacco si situa an-cora sotto i 1000 franchi al mese – ma la situazio-ne potrebbe cambiare ben presto.Andrzej Napora gestisce una piccola falegnamerianei pressi di Rabka.Due anni fa, ai suoi operai pa-gava 4.50 franchi all’ora, oggi guadagnano quasi ildoppio.Da Posen e Breslavia,dove attualmente l’e-conomia registra i tassi di crescita più rapidi, oggivi sono degli agenti che si recano in Irlanda e inGran Bretagna per convincere i loro connaziona-li a tornare. Per avere successo, una tale propostadeve prevedere anche delle offerte salariali attrat-tive per i polacchi emigrati. Ma attualmente, nellamaggior parte dei casi questa è un’utopia.Vi sono però anche altre vie per combattere la pe-nuria di personale. L’imprenditore edile e immo-biliare Stanislaw Wojdyla, che ha costruito il suoimpero partendo dalla mediazione di lavoratori po-lacchi nei cantieri tedeschi, oggi per la costruzio-ne dei suoi nuovi edifici in tutta la Polonia ricor-re alla manodopera edile ucraina. «I giovani polac-chi non vogliono più lavorare sui cantieri – perciòla cosa migliore sarebbe adattare le nostre leggi, inmodo da permetterci di lavorare direttamente consubfornitori ucraini, che ci porterebbero la mano-dopera in Polonia». ■

(Tradotto dal tedesco)

bini delle regioni industriali inquinate. Oggi que-sto gruppo di ospiti si è fortemente ridotto, solonei mesi estivi alcune strutture registrano il tuttoesaurito. Questo non basta per gestire le aziendesecondo i principi dell’economia di mercato. Di-versi sanatori hanno dovuto chiudere, molte per-sone hanno lasciato la regione e cercano di che vi-vere nelle città più grandi o all’estero.

Salari al rialzoSoprattutto l’Inghilterra e l’Irlanda e di recente an-che la Norvegia e l’Olanda figurano fra le metepredilette di uomini e donne polacchi in cerca dilavoro.Un tempo erano impiegati come manodo-pera a basso costo nell’agricoltura o sui cantieri,spesso costretti nell’illegalità,ma con l’adesione al-l’UE la situazione è cambiata. Oggi le stime par-lano di oltre due milioni di polacchi che lavoranoufficialmente all’estero. Fra questi molti giovaniprofessionisti con un’ottima preparazione, medici,ingegneri, informatici.«Faccio molta fatica a trovare personale qualifica-to», si lamenta ad esempio Andrzej Dubiel. Gli af-fari della sua fabbrica di vetri e specchi vanno agonfie vele: nel giro di dieci anni l’impresa in cuilavorava una persona sola è diventata un’aziendacon 150 dipendenti, che produce sia su ordinazio-ni speciali che per i supermercati. Il livello salaria-le ancora molto basso in Polonia da un lato è sta-to un vantaggio – al contempo però si rivela pro-

«In Polonia abbiamo moltapovertà nascosta: attual-mente, il numero dei disoc-cupati raggiunge quote im-portanti. In alcune regionile persone vivono pratica-mente solo delle rimesseche ricevono da parenti al-l’estero – e dell’assicura-zione contro la disoccupa-zione. Le scuole pubblichea Varsavia sono buone,mentre i bambini in campa-gna incontrano condizioninettamente peggiori.Spesso devono percorrerein bus 30 - 40 chilometriper andare a scuola e al-trettanti per tornare a casa.Nel tempo libero aiutanonei campi, le loro opportu-nità di avanzare nella vitanon sono particolarmentebuone. Dai genitori eredi-tano solo la povertà». Cezary Gmyz, responsabiledelle pagine nazionali dellatestata Rzeczpospolita

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(gn) FLIRT in Polonia – no, non si parla di un’av-ventura romantica.La sigla si riferisce piuttosto al-l’ingresso dello Stadler Rail Group sul mercato del-la «nuova Europa». Nel 2006, l’azienda turgoviesea gestione familiare ha vinto un appalto interna-zionale, aggiudicandosi la fornitura di treni regio-nali nelle province polacche Masowia e Slesia. Ilvalore della commessa, incluse prestazioni di ser-vizio per tre anni e formazione del personale, am-monta a 100 milioni di franchi.I 14 treni automotori denominati FLIRT sono fab-bricati in Svizzera, mentre l’assemblaggio definiti-vo avviene a Siedlce, in Polonia. Lo stabilimento,una succursale di Stadler Rail, conta una cinquan-tina di collaboratori; in una prima fase sono statiinvestiti 4 milioni di euro. Dalle officine uscirà un

treno automotore al mese, le cui componenti sa-ranno fornite dalla Svizzera.Più tardi, per eseguire gli ordini successivi, si pre-vede di trasferire in Polonia o in Ungheria anchealtre fasi della produzione. «I nuovi membri del-l’UE manifestano un grande bisogno di recupero– vediamo un importante potenziale per il futuroin paesi quali Polonia, Repubblica Ceca, Unghe-ria o Slovacchia», dice Vincenza Trivigno, segreta-ria generale della Stadler.L’obiettivo è quello di co-struirsi una «terza patria» con l’impegno nei vec-chi paesi dell’est. «I siti svizzeri e tedeschi sonoincontestati, non abbiamo intenzione di dislocarela nostra produzione », evidenzia Vincenza Trivi-gno. «Attraverso la nostra presenza in Polonia spe-riamo di riuscire ad accedere ad altre commesse

Sono in tanti ad approfittare della ripresa economica e degliinvestimenti nei nuovi paesi dell’UE. Molte imprese svizzerehanno scoperto gli ex paesi dell’Est - non solo in quanto luo-ghi di produzione, ma soprattutto come nuovi mercati del fu-turo. Mentre il campo della ricerca spera in nuovi impulsi.

Mercati nuovi, nuove prospettive

«In Polonia c’è penuria digiovani professionisti spe-cializzati. Il passaggio dallascienza al mondo econo-mico per molti costituisceun passo troppo grande.Ecco perché nella pros-sima fase vogliamo am-pliare la nostra scuola distudi PHD, orientandocianche verso il manage-ment e avvalendoci delcontributo di consulentiprovenienti dall’economia». Jolanta Janczak-Rusch,responsabile InternationalPhD School Switzerland-Poland

«Auspichiamo che buonaparte dei fondi UE per lacoesione siano investitinella messa a punto e nel-l’ampliamento dei trasportipubblici.L’approvvigionamento dirotaie e nuovo materialerotabile per questi paesi èancora relativamente co-stoso, anche se i costi sisono ridotti drasticamenterispetto a prima».Vincenza Trivigno, StadlerRail Group

«Una partnership attivacon l’Europa dell’Estschiude delle vere oppor-tunità per un’economiasvizzera forte».Urs Kaufmann,Huber+Suhner-Gruppe,Herisau e Pfäffikon ZH

Nei settori dei trasporti pubblici e dell’efficienza energetica la Polonia ha un grande bisogno di recupero – due set-tori in cui gli imprenditori svizzeri sono molto concorrenziali.

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nella regione. Ma questo significa anche che unaparte del valore aggiunto generato si deve tradur-re in un tornaconto per i nostri clienti».

Molteplici opportunità La Stadler Rail non è un caso isolato – numeroseimprese svizzere ora puntano su rapporti com-merciali con l’Europa centrale e orientale, moltecostruiscono in loco nuovi siti di produzione o co-stituiscono delle succursali. Oltre ai costi salarialipur sempre bassi - in confronto all’Europa occi-dentale – queste iniziative nei nuovi paesi dell’UEsono motivate in modo determinante dai mezzi fi-nanziari stanziati in abbondanza e dalla ripresaeconomica ad essi correlata.Ciò spiega i vantaggi del miliardo per l’est per l’e-conomia svizzera.Tuttavia le imprese svizzere nonpotranno contare sin dall’inizio sui progetti soste-nuti dalla Svizzera, visto che questi sono propostidai paesi partner e dopo l’approvazione da partedella Svizzera saranno banditi a livello internazio-nali secondo le disposizioni UE.Ma per le ditte e organizzazioni svizzere un lievevantaggio resta.«Negli ambiti tematici proposti peri progetti, quali la salute, lo smaltimento dei rifiu-ti e l’efficacia dell’energia a salvaguardia dell’am-biente, le imprese svizzere sono molto competiti-ve», dice Hugo Bruggmann, il responsabile dellaSECO per il contributo all’ampliamento. «E nondobbiamo dimenticare che il nostro contributoammonta solo allo 0,5 per cento delle prestazionidi sostegno versate dall’UE ai nuovi membri.È im-portante ricordare che le imprese svizzere oggi pos-sono partecipare a pari titoli a tutti i bandi inter-nazionali nell’ambito della politica di coesione del-l’UE».

Completamento reciprocoAnche nei settori della scienza e della ricerca sipunta maggiormente sulla cooperazione fra le uni-versità dell’Europa centrale e orientale e la Sviz-zera. I primi passi sono stati intrapresi dal Labora-torio federale di prova dei materiali e di ricerca(Empa) in collaborazione con l’Università tecnicadi Varsavia, nonché l’Accademia per la scienza e latecnologia di Cracovia.Jolanta Janczak-Rusch professoressa polacca discienza dei materiali insegna e si occupa di ricer-ca presso l’Empa. Nel 2005 è stata incaricata dimettere a punto un istituto svizzero-polacco di stu-di per dottorandi.«All’Empa siamo piuttosto orien-tati alla prassi, le scuole superiori polacche invecesi situano ad un altissimo livello per quanto riguardail processo di realizzazione di modelli e la forma-zione teorica generale,» afferma Jolanta Janczak-Rusch, descrivendo il vantaggio di questa colla-

borazione ad orientamento internazionale e inter-disciplinare.In un progetto pilota, finanziato in parti uguali dal-lo Stato polacco e dall’Empa, nove dottorandi po-lacchi nonché uno svizzero stanno preparando laloro tesi nel settore della scienza dei materiali.«Nella selezione dei progetti abbiamo prestato at-tenzione a offrire a ognuna delle scuole superiorila possibilità di convogliarvi i suoi punti forti», ri-

badisce Jolanta Janczak-Rusch. La laureanda EwaUra ad esempio si serve delle apparecchiature del-l’Empa per la determinazione della corrosione dimateriali sviluppati e prodotti in Polonia.Gli studenti seguono circa la metà della fase pilo-ta della durata di tre anni in Polonia e l’altra metàin Svizzera. Mentre i primi laureandi stanno perconcludere le loro tesi di dottorato, anche JolantaJanczak-Rusch e la sua equipe devono sostenere laprova del nove:per portare avanti o ampliare comeprevisto l’istituto, in Polonia si vuole presentare alpiù presto una richiesta di finanziamento dal con-tributo svizzero all’ampliamento.È previsto di co-involgere anche altre scuole superiori, quali il Po-litecnico di Zurigo e l’Università Jagiellonen diCracovia, nonché di fornire un orientamento piùvicino alla prassi nella formazione. ■

(Tradotto dal tedesco)

Contributo all’ampliamento

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(gn) Per entrare nell’UE entro il 2004, i nuovi Sta-ti membri hanno dovuto tirare a lucido soprattut-to la loro economia. Ne hanno risentito altri set-tori: per esempio quello sanitario. Qui l’esigenzadi recupero è pertanto particolarmente elevata.Uno sguardo alla statistica mostra che nella mag-gior parte di questi paesi, il tasso di mortalità in-fantile è più alto e la speranza di vita più bassa ri-spetto alla media dei 15 «vecchi» paesi UE. Comenei paesi baltici, dove sono sempre più numerosele persone affette da tubercolosi. Ma anche la dif-fusione delle malattie cardiocircolatorie e vascola-ri, nonché del cancro polmonare e mammario èpiù ampia rispetto al resto dell’Europa.Nella maggior parte dei paesi, la proposta dellaSvizzera di fornire un aiuto mirato nel settore me-dico ha perciò ottenuto un riscontro molto posi-tivo. «La pressione sui bilanci pubblici ha provoca-

to cambiamenti drastici, soprattutto in Europa cen-trale e orientale. In Estonia, ad esempio, una voltasi contavano 120 ospedali,oggi ne sono rimasti 50,»dice Thomas Krajnik, membro della delegazioneDSC, che insieme ai paesi partner elabora i con-tratti quadro per i contributi all’ampliamento. «Pergarantire comunque un approvvigionamento sani-tario capillare in tutto il paese, è necessario costi-tuire delle strutture extraospedaliere e acquistaredelle ambulanze».Inoltre, nei paesi in questione oramai gran partedelle strutture mediche è obsoleta e ci vorrebberoun bel po’ di investimenti per renderle conformialle norme UE (v. anche p. 6). «Nel settore sanita-rio probabilmente potremo sostenere tutta una se-rie di programmi, » annuncia Thomas Krajnik. LaLituania è stata fra i primi paesi a presentare allaSvizzera una proposta concreta, che comprendeva

Nicchie e know-howRispetto al volume complessivo di mezzi finanziari da investi-re nei prossimi anni nella «nuova Europa», il contributo svizze-ro risulta modesto. Un motivo in più per la Svizzera per im-pegnarsi laddove può contraddistinguersi con iniziative parti-colari.

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anche un’assistenza medico-sanitaria per le gestantie le madri con bambini piccoli.

Programmi complessivi Nel settore «Madre e bambino» già negli anni No-vanta la Svizzera ha fornito aiuto alla transizione adiversi paesi dell’ex blocco comunista, compresa laLituania. Da questo impegno nasce la proposta di

Sfruttare le nicchieIn altri ambiti, per esempio per i grandi investi-menti nella costruzione di strade,la presenza di pro-grammi UE è sufficiente e rende meno urgente unimpegno da parte della Svizzera. L’UE ha messo adisposizione molti fondi anche per le questioni am-bientali.Ciononostante il sostegno svizzero è gradito: in

progetti mirati a ridurre ulteriormente il tasso dimortalità infantile e delle madri, fino a portarlo allivello europeo.Oltre alle apparecchiature mediche e alle ambu-lanze sono previste la formazione del personale eprogetti comuni di ricerca con la Svizzera. «Il pro-gramma integra diverse componenti, è completoe si prefigge un obiettivo chiaramente definito»,dice Thomas Krajnik. «Questo tipo di proposta ciinteressa,poiché l’impatto promette di essere mag-giore rispetto a quello di numerosi progetti più pic-coli, indipendenti gli uni dagli altri».Anche in altri settori si punta su questo tipo di «va-lore aggiunto». La Svizzera vorrebbe ad esempiosostenere delle partnership a lunga scadenza fra leuniversità svizzere e quelle nei paesi partner, non-ché creare un fondo per borse di studio.Un’altra componente importante in cui si vuoleinvestire denaro svizzero in modo mirato è lo svi-luppo regionale.«A seconda del potenziale o delle esigenze di unaregione, i comuni possono unire le loro forze, perfare progetti nell’ambito scolastico o dell’assisten-za sociale», concretizza Hubert Eisele, capo sosti-tuto del settore Cooperazione con l’Europa del-l’Est della DSC. «L’esperienza svizzera d’altrondeinsegna che la costituzione di consorzi tra i comunipuò avere ricadute molto positive.Disponiamo,in-fatti, di know-how in materia di sviluppo regio-nale che può rivelarsi utile per i nostri partner».

particolare nei settori efficienza energetica, ridu-zione delle emissioni inquinanti, protezione dellerisorse e smaltimento. «Abbiamo qualcosa da of-frire anche qui,non da ultimo grazie ai lunghi annidi esperienza e ad un’offerta competitiva in mate-ria di know-how e tecnologia,» afferma ChristianKellerhals, capo sostituto della sezione Finanzia-mento dell’infrastruttura della SECO.Nel contesto dell’aiuto alla transizione, ad esem-pio, la Svizzera ha sostenuto la costituzione di unsistema ecologico di smaltimento dei rifiuti ospe-dalieri in Ungheria o il risanamento della rete elet-trica slovacca; in Polonia e Lituania si è riusciti aridurre le emissioni inquinanti di svariate centralielettriche e termiche, nonché di altri impianti in-dustriali.Attingendo al «miliardo per l’est» – e non ci si stan-ca di ribadirlo ai paesi partner – la Svizzera vuoledare un contributo in quei settori in cui ha qual-cosa di speciale da offrire, dove con mezzi relati-vamente modesti può avere un impatto importan-te e visibile. ■

(Tradotto dal tedesco)

Le priorità tematichedella Svizzera I contributi della Svizzera ainuovi paesi dell’UE vannoimpiegati laddove l’ac-cesso ad altri mezzi finan-ziari è difficile o quasi im-possibile. Sono sostenutiprogrammi e progetti rela-tivi alle priorità tematichesalute, formazione, promo-zione del settore privato,nonché ambiente e infra-struttura. Inoltre hanno ot-time speranze di ottenerefondi dal «miliardo perl’est»i programmi focaliz-zati espressamente sullosviluppo regionale. I pro-getti sono selezionati daisingoli paesi sulla basedell’accordo quadro stilatocon la Svizzera.L’attuazione si svolge instretta collaborazione fra laSvizzera e il paese partnerinteressato e inizia a fine2007.Per ulteriori informazioni sulcontributo all’ampliamento:www.erweiterungsbei-trag.admin.chini/index.html?lang=it

Contributo all’ampliamento

I contributi svizzeri sostengono settori particolari quali la sanità, la previdenza sociale, la protezione dell’ambiente edelle risorse nonché la riduzione delle emissioni inquinanti.

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Indipendente dal 1804, Haiti è presentata soprattutto come unacatastrofe economica e politica. Situato nelle Grandi Antille,questo Stato è annoverato fra i dieci paesi più poveri al mon-do. Ma nella regione il suo potenziale culturale rimane ine-guagliato. Di Arnaud Robert*.

Una famosa guida turistica francese dedicata a San-to Domingo ne elogia le spiagge di sabbia fine, ilsole e i bungalow in riva al mare. In un paio diparagrafi, fra una ricetta di cocktail da gustare sot-to l’ombrellone e l’altra, cita l’esistenza di un pae-se limitrofo, acciambellato al termine di una lun-ga strada.Una nazione che languisce in questa lin-gua di terra occidentale,dopo un valico di frontieramarcio di corruzione che il turista indolente do-vrebbe attraversare soltanto se rigorosamente pre-parato. Questa terra di nessuno che vegeta al-l’ombra del trionfo turistico della Repubblica Do-minicana, la chiamano Haiti. La guida la descrivecome un ginepraio di miseria, violenza e super-stizione. Un quadro che somiglia, in fondo, all’i-dea che ciascuno se ne fa. Un luogo dove non cisi rende senza esserne costretto.

Due mondi su un’isola tagliata a metà A Port-au-Prince, capitale haitiana, si raccontanomille orrori sul paese di fronte, che occupa i dueterzi dell’isola di Hispaniola. Storie di lavoratorihaitiani che si recano nella Repubblica Domini-cana per tagliare la canna da zucchero in condi-zioni poco dissimili alla schiavitù.Storie di una cit-tà, Santo Domingo, la cui sola eredità valorizzataè quella del colonialismo: una statua di Cristofo-ro Colombo sulla piazza centrale,con l’indiana Po-cahontas a suoi piedi.Da quest’isola tagliata a metà, di cui una parte èdivenuta una gigantesca pista d’atterraggio pervoli charter e l’altra un disastro incessantementerinnovato, si può leggere tutta l’avventura caraibi-ca. «Haiti non esiste», scriveva nel 2004 lo storicofrancese Christophe Wargny in un libro che sol-

Haiti, un’isola dallacattiva reputazione

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contro Napoleone.Sfilata delle glorie patriottiche,in un paese sul punto di vivere l’ennesima desti-tuzione. Il 29 febbraio 2004, Aristide veniva tra-sportato in aereo verso una destinazione scono-sciuta. Il giorno stesso, un’enorme folla stracciavai suoi ritratti nelle vie di Port-au-Prince.

Aspettative deluse Due secoli tragici, in fondo.Col tempo Haiti è di-venuta il prototipo romanzesco della repubblicadel terzo mondo: una gran quantità di dittatori,golpe militari, squadroni al servizio del potere (iTontons Macoutes dei Duvalier, poi le Chimèresdi Aristide). Nel 1986, mentre «Baby Doc» lascia-va l’isola in fretta e furia, la sinistra mondiale te-neva lo sguardo puntato su Aristide, questo fer-vente sacerdote salesiano populista che lanciava unappello al riequilibrio delle ricchezze. Le grandifortune haitiane, famiglie di proprietari terrieri lecui radici risalgono alla tratta dei neri, si divido-no da sempre il denaro del paese. Aristide li bef-feggiava. Si rivolgeva alla gente in creolo. Fu dun-que eletto presidente.Vent’anni più tardi, la disil-lusione è ancora più drammatica.Aristide ha fallito– per ragioni dovute tanto alla sua incompetenzaquanto alle manipolazioni di Washington e di Pa-rigi. L’ONU è di ritorno. E la transizione demo-cratica di due anni sarà descritta come uno deipeggiori momenti della cronaca haitiana. Rapi-menti, carneficine, fallimento economico.Nel 2006 il ritorno alla presidenza di René Pré-val,vecchio partigiano di Aristide,non solleva on-

leva ancora scalpore fra le élite haitiane. Una con-statazione sbalorditiva e parziale, esitante tra l’o-micidio e il suicidio collettivo di un paese che nonriesce a sottrarsi alla povertà. Il resoconto di unacatastrofe ecologica, dove il disboscamento inten-sivo ha come ultimo risultato l’erosione e la scom-parsa delle colline e delle coste. Il racconto, infi-ne, di una rivoluzione permanente che, di colpodi Stato in colpo di Stato, ha lasciato un popoloesangue, ossessionato da mistici africani ed evan-gelismi americani.

La prima repubblica nera della storia Eppure,Haiti esiste.Nonostante tutto.Nonostan-te i rapporti dell’ONU e il lavoro incessante del-le organizzazioni non governative che possonosoltanto constatare il loro fallimento. Haiti esistedal 1804. Non c’è un solo haitiano che ignori an-che solo un singolo capitolo di questa storia. Il 1°gennaio 2004, una folla invadeva il giardino pre-sidenziale in cui si celebrava il bicentenario del-l’indipendenza. Jean-Bertrand Aristide, che sareb-be rimasto al potere per qualche settimana anco-ra,vi evocava la nascita della prima repubblica neradi tutti i tempi, l’unica rivolta di schiavi giunta abuon fine. Dinanzi a questo zoccolo di militantiraccoglieva gli eroi della nazione:Toussaint Lou-verture, artefice dell’indipendenza, morto in esi-lio in un forte francese; Jean-Jacques Dessalines,primo presidente,assassinato poco dopo la sua ele-zione; Boukman le Marron che, in una mitica ce-rimonia vudù, aveva lanciato la guerra vittoriosa

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ta: i prodotti di questo suolo fertile venivano espor-tati in massa. La distilleria di rum Barbancourt èoggi una delle ultime vestigia di un’industria di-sfatta.La sfida posta ad Haiti è colossale.È anzitutto quel-la della stabilità politica. Si stimano intorno a unmilione i membri della diaspora, stabiliti soprat-tutto a Miami, New York e Montreal.Attendonodi essere rassicurati per investire in patria. Il can-tiere, allora, potrà aprirsi. Dare spazio alla riformasociale, dell’istruzione, dell’ecologia, dei settoriche saranno cruciali per la rifondazione del pae-se. Haiti esisterà realmente solo quando non saràpiù definita per l’incongruenza di una repubblicache non riesce ad insediare processi democraticiduraturi. L’eccezione haitiana, allora, ritroverà lasua natura. Quella di un pezzo d’isola che rimanepioniere del pensiero caraibico ed afroamericano. ■

(Tradotto dal francese)

*Arnaud Robert è giornalista e realizzatore cinemato-grafico. Per il quotidiano «Le Temps» ha seguito la finedella presidenza di Jean-Bertrand Aristide.Ha effettuatouna decina di soggiorni ad Haiti.

date d’entusiasmo. Ma la vita continua. Nelle cit-tà l’insicurezza si attenua. E l’haitiano medio spe-ra ancora. Fin dai primi minuti nel paese, fin dal-l’aeroporto dove un gruppo di trovatori canta suun asfalto cocente, è sorprendente vedere a qualpunto la reputazione del paese è smentita dal suoprimo vagito. Si canta in creolo Haïti chérie. I qua-dri d’arte naif, raramente comprati, colorano conimmensi affreschi i muri della città. Scene di vil-laggio, folclore insulare. Una repubblica caraibicale cui spiagge vuote potrebbero senza difficoltà di-ventare luoghi di pellegrinaggi estivi. Cortei dibambini in uniforme che si recano a scuola.Enor-mi opere edili moderne aggrappate alle montagnein mezzo a selve di baracche. Ci si crederebbe al-trove. Si è ad Haiti.

La sfida della stabilità e della democrazia Il paese ha dato vita a numerosi scrittori, pittori emusicisti. In questi tempi di magra, tutti riesconoad accasarsi in un giornale, sulle pareti di città fra-gorose,nei cabaret che si ostinano ad abitare la not-te nonostante il pericolo reale o bisbigliato. L’e-sodo dalle zone rurali ha trasformato Port-au-Prince in un termitaio dalle escrescenze obese.Untempo orgoglio nazionale, l’agricoltura non riescepiù a nutrire una popolazione che supera gli ottomilioni e mezzo di abitanti. Si importa riso ame-ricano, meno costoso del riso locale.All’epoca diNapoleone,questa parte dell’isola era chiamata «laperla delle Antille».Canna da zucchero,caffè, frut-

L’oggetto della vitaquotidianaLa candela Sono di un bianco latteo,per la maggior parte ano-nime, spesso d’importa-zione asiatica. Ma ad Haitile candele vanno per lamaggiore. La notte, nelleviuzze delle città senz’om-bra, quando l’illuminazionepubblica sempre insuffi-ciente provoca i rari pas-santi, appaiono qua e là.Sono a portata di mano, acasa. Nella maggior partedei quartieri e in campagna,fanno da palliativo all’as-senza quasi totale di elettri-cità. Ma le candele hannoanche altri compiti. Neitempli vudù, la loro cerafluisce. I servi degli spiriti,lwas impavidi, camminanovestiti di bianco con unacandela tra le mani. Suglialtari, decine di lumi. E piùlontano, in questo paesecosì cattolico, sono in pro-cessione in mezzo allechiese. Tutti ceri accesi perché su Haiti sia luce.

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(bf) La Svizzera è impegnata ad Haiti sin dalla metàdegli anni Ottanta.A causa della situazione scon-fortante e a seguito di due catastrofi naturali, nel2004 la DSC ha deciso di estendere le sue attività.Nel 2005 ha inaugurato un suo ufficio a Port-au-Prince,e nel 2006 ha lanciato un programma uma-nitario speciale.Il budget 2007 a favore di Haiti am-monta a 6,3 milioni di franchi (di cui 3,5 milionidestinati all’aiuto umanitario e 2,8 alla coopera-zione bilaterale allo sviluppo).L’Aiuto umanitario della DSC è attivo in tre set-tori. Sicurezza alimentare: con un sostegno alProgramma alimentare mondiale (PAM) ad Haiti,che si concretizza sia in contributi di ordine fi-nanziario, sia mettendo a disposizione del PAMesperti del Corpo svizzero di aiuto umanitario(CSA);HIV/Aids: attraverso misure di sensibiliz-zazione delle istituzioni e dei loro collaboratori sicerca di contribuire nei programmi del PAM e del-le organizzazioni partner ad un’azione congiunta(mainstreaming). Parallelamente, si procede al cofi-nanziamento di progetti a favore dei gruppi di po-polazione interessati o particolarmente a rischio(come i bambini di strada);

Infrastruttura: svariati progetti contribuisconoalla ricostruzione delle infrastrutture sociali e, conciò, ad un miglior funzionamento delle istituzionisociali. In tal modo si procede al ripristino di scuo-le e case di accoglienza per bambini,e anche di cen-tri sanitari periferici dell’Ospedale Albert Schwei-zer. L’aspetto fondamentale di questi progetti è lapianificazione e realizzazione congiunta con gli at-tori locali.Nell’ambito della cooperazione allo sviluppo,dalla partenza del presidente Aristide la DSC haparzialmente esteso il suo sostegno in due settori:da un canto è stata intensificata la collaborazionecon Helvetas nel settore dell’approvvigionamentoidrico (con un’attenzione particolare rivolta al co-involgimento degli attori locali – popolazione,set-tore privato e governo locale), mentre la sezioneRisorse naturali e ambiente ha lanciato un progettodi biodiversità per la tutela delle risorse naturali.Visi aggiungono i contributi della DSC alle ONGsvizzere attive ad Haiti.Attualmente la DSC sta va-lutando,con un attento monitoraggio degli sviluppipolitici, opzioni per consolidare il suo impegno adHaiti.

Cifre e fattiNome Repubblica di Haiti. In linguataino Ayiti significa «terramontagnosa».

Capitale Port-au-Prince

Superficie 27750 km2

Popolazione 8,5 milioni di abitanti (2003)

Densità 271 ab./km2

Lingue ufficiali Francese e creolo haitiano

Religioni Cattolici (80 per cento), protestanti (16 per cento).La metà della popolazionepratica anche il vudù.

Gruppi etnici Neri (95 per cento), meticcie bianchi (5 per cento)

Valuta Gourde haitiano (ca. 30 perun franco svizzero)

PIL pro capite 1500 USD. L’80 per centodella popolazione vive al disotto della soglia di povertà.

Occupazione L’agricoltura impiega dueterzi della popolazione at-tiva. Il tasso di disoccupa-zione è stimato al 50 percento.

Esportazioni Manufatti, mango, cacao,caffè, essenze.

La Svizzera e HaitiDall’approvvigionamento idrico ai bambini di strada

Haiti

Cenni storici

1791 Rivolta degli schiavi a Santo Domingo, co-lonia francese. Dieci anni più tardi,Toussaint Lou-verture elabora una prima costituzione.Le sue am-bizioni separatiste irritano Napoleone Bonaparte,che lo esilia a Fort-de-Joux, nel Giura.

1804 Haiti ottiene l’indipendenza.Le truppe fran-cesi sono sconfitte nella battaglia di Vertières con-dotta da Jean-Jacques Dessalines, primo presiden-te del paese.

1826 La Francia riconosce l’indipendenza controun’indennità di 150 milioni di franchi-oro. Que-sta tassa sulla libertà sarà sistematicamente chiama-ta in causa a giustificazione del fallimento econo-mico di Haiti.Ancora nel 2004,Jean-Bertrand Ari-stide esige dalla Francia un risarcimento di svariatimiliardi di dollari.

1915-1934 Occupazione americana. Questa tra-gedia nazionale spiega certamente perché la po-polazione si dimostra oggi alquanto tiepida dinan-zi alla presenza massiccia dei Caschi Blu sull’isola.

1957 Elezione di François Duvalier, detto «PapaDoc».Suo figlio Jean-Claude gli succede nel 1971.Vi saranno trent’anni di duvalierismo, caratteriz-zato dalla creazione di milizie forzate, le TontonsMacoutes, e il saccheggio sistematico del tesoropubblico.

1986 Il 7 febbraio «Baby Doc» si esilia in Franciadopo essere stato destituito. Dopo alcuni anni ditransizione emerge la figura di Jean-Bertrand Ari-stide.Sacerdote carismatico,è eletto presidente nel 1991,ma rovesciato sette mesi più tardi da un gol-pe militare.Gli Stati Uniti lo reinsediano nel 1994perché porti a termine il suo mandato.

1995 René Préval, vicino ad Aristide, accede allapresidenza. Per preparare il suo ritorno al potere,Aristide fonda nel 1996 il partito Fanmi Lavalas.

2001Aristide è nuovamente presidente.Questo se-condo mandato inaugura un periodo di disordinipolitici ad Haiti. La società civile, gli intellettuali egli studenti manifestano regolarmente contro il go-verno. Ribelli legati all’esercito nazionale, scioltoda Aristide, conquistano le città del nord ed arri-vano a Port-au-Prince

2004 Aristide lascia il paese. Dopo un breve sog-giorno in Centrafrica, si rifugia in Sudafrica. L’O-NU organizza una missione di stabilizzazione perHaiti (MINUSTAH). La transizione democraticaè vissuta dolorosamente dalla popolazione.La pacesociale è sovente minata dai rapimenti, dagli omi-cidi politici e dalla violenza delle gang.

2006 Nuovo mandato di René Préval. Da alcunimesi, l’insicurezza diminuisce.

USA

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HaitiGiamaica

Mar dei Caraibi

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Viergela Louisy è una vedova haitiana di 59 anni,madre di sette figli. Abitasulle alture di MontagneNoire, un sobborgo diPort-au-Prince, la capitaledi Haiti.

Breve cronaca di una domestica

Una voce da Haiti

Prima di morire, mio marito mi ha costruito unacasa di quattro locali a Montagne Noire, dove latemperatura è più gradevole che nella zona bassadi Port-au-Prince. Con i miei sette figli, ci stava-mo stretti. La sera ci organizzavamo per dormire,schiacciati come sardine. Fortunatamente c’era uncortile dove di giorno i bambini potevano giocare.

Trovare lavoro ad Haiti non è cosa facile. Dopo lamorte di mio marito ho dovuto accettare un im-piego di donna delle pulizie mal retribuito.Quan-do si è una domestica, si ha diritto ad un giorno dicongedo il fine settimana per andare in visita dal-la propria famiglia. Ma durante la settimana non sirientra a casa. In piedi alle cinque di mattina perpreparare la colazione, si lavora fino a cena. Biso-gna occuparsi della cucina, del bucato, delle puli-zie e recarsi al mercato almeno una volta a setti-mana. Ho lavorato sodo per crescere i miei figli.Ho accettato questo impiego presso una signoraabbastanza ricca di Port-au-Prince che mi pagava1000 gourde al mese, l’equivalente di meno di 30dollari al tasso attuale.Come dire tre volte nulla peruna madre che deve nutrire, vestire e dare un’i-struzione a sette figli.Ho conosciuto dei giorni pes-simi. Nessuno mi ha aiutata – eccetto la DivinaProvvidenza.

Ho lavorato da questa signora per due anni. Eramolto severa ed esigente con i suoi dipendenti. Incasa abitava anche suo figlio tossicodipendente.Un giorno la sua fidanzata è venuta a trascorrerela notte con lui. All’alba, portando loro del caffè,ho rinvenuto il corpo esanime della ragazza, al-lungata sul letto con una cravatta attorno al collo.L’aveva strangolata. Ho chiamato la madre, che ha

fatto venire la polizia.Quel giorno, purtroppo, erola sola inserviente presente. Gli altri membri delpersonale (due donne e due custodi) erano in con-gedo. Il giovane uomo ed io siamo stati condottial commissariato per essere interrogati. Sono statarilasciata il giorno stesso, non appena lo sventura-to ha confessato l’omicidio.Ero traumatizzata.Nonavevo mai avuto contatti con la polizia, ed eccomiconfrontata a degli investigatori per un crimine chenon avevo commesso!

Tre mesi dopo, la casa è stata presa di mira da ladria viso coperto armati fino ai denti.Hanno ordina-to a tutti di stendersi a terra sul ventre. Ci hannolegati,picchiati ed hanno chiesto una grossa sommadi denaro per lasciarci salva la vita.La signora è sta-ta costretta a firmare loro un assegno. Ho ricevu-to diversi colpi, ho dovuto seguire una cura tradi-zionale, cioè a base di foglie (infusi, bagni, massag-gi ecc.). Traumatizzata dai rumori e dai colpi dipistola che risuonavano ancora nella mia testa,sono stata costretta a casa durante un anno e mez-zo per essere curata. In quel periodo,degli amici cihanno di tanto in tanto aiutati.La signora se ne in-fischiava di noi.Ci aveva addirittura proibito di an-dare a bussare alla sua porta. Mi sforzavo di dare aimiei figli un pasto al giorno. Ma talvolta passava-no l’intera giornata e la sera senza mangiare nulla.

Nel 2004, dopo essermi completamente ristabili-ta,ho accettato un’altra occupazione di donna del-le pulizie. Mi pagano il doppio di quello che gua-dagnavo dall’altra signora, più 100 gourde supple-mentari per le spese di trasporto.Ho tenuto questolavoro. Continuo ad assolvere i miei doveri di ma-dre. Due dei miei figli sono sposati. Gli altri cin-que, maggiorenni, dipendono ancora da me per-ché non hanno trovato un impiego dopo gli stu-di.Ad Haiti i genitori soffrono quando non hannomezzi economici. E i figli con loro.

Spero di trovare un po’ di sollievo prima di andar-mene da questa terra. «Getta il tuo pane sulle ac-que,perché con il tempo lo ritroverai» dice un pro-verbio in cui confido. Quindi continuo a lottare!Ecco la realtà di molte famiglie haitiane.Talune vi-vono proprio senza grandi speranze. ■

(Tradotto dal francese)

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Molti connazionali,uomini e donne attivi nella po-litica, economisti e gente comune, si dicono entu-siasti della cosiddetta «corsa in solitaria» della Sviz-zera. Questo termine è sorto quasi in contempo-ranea con la scelta dell’approccio della politicasvizzera nei confronti dell’Unione Europea.Da al-lora, la definizione si è trasformata in slogan, gra-dito a qualcuno, ad altri no.

Pur ammettendo che «corsa in solitaria» sia il ter-mine giusto per definire la via svizzera dell’inte-grazione nell’UE, questo termine non può certoessere riferito alla partecipazione della Svizzera al-l’economia mondiale ed alla politica globalizzatache in maniera crescente coinvolge anche il nostropaese. In tale contesto, la Svizzera non è certo insolitaria,bensì al passo con il mondo:un paese con-nesso e globalizzato,che a livello economico pren-de parte con successo alle sfide della concorrenzainternazionale.

Un paese che nemmeno può avere un diverso ap-proccio,perché tramite le sue reti di relazioni eco-nomiche internazionali tutela i suoi interessi e as-sicura uno stato di benessere su lungo termine allanostra società. Le domande sono dunque: corria-mo in solitaria o al passo col mondo quando dob-biamo rendere conto della solidarietà che siamodisposti a offrire ai più bisognosi di questo mon-do? Partecipiamo alla realizzazione della casa glo-bale nel modo in cui si attendono i nostri partner,oppure così come molti nostri concittadini se laimmaginano? Partecipiamo in maniera adeguataalla perequazione sociale nella fornitura di quel so-stegno di cui necessita gran parte della popolazio-ne mondiale? Di quanto prendiamo,ci riesce di re-stituire qualcosa in modo equo? Riusciranno le ge-nerazioni future a capire un giorno il perché noioggi spendiamo nell’aiuto sociale interno quattro

volte più di quanto destiniamo alla cooperazioneinternazionale,considerato poi che la metà del no-stro reddito nazionale lo conseguiamo all’estero?Le risposte che diamo a queste domande sono pro-prio chiare ed inequivocabili?

La ricca Svizzera – così ci definiscono all’estero –è una casa di vetro. Siamo osservati, invidiati, so-spettati. Si dice di noi che siamo gente di succes-so, innovativi, solidi ed affidabili. Siamo rispettati,ma ci sono sempre più persone che, osservando inostri comportamenti, non provano simpatia, ecresce la sensazione che questa Svizzera potrebbefare di più, potrebbe maggiormente condividere ilsuo successo. È bello quando si ha bisogno di noi.Ma è doloroso dover fingere di non vedere pur sa-pendo quanto potremmo fare con un po’ di soli-darietà in più; fa male sapere che sprechiamo piùenergia per rifiutare proposte che non per contri-buire a trovare soluzioni a problemi.

O forse dovremo reinventare il concetto di solida-rietà? Abbiamo forza e volontà per farlo in solita-ria, noi, svizzeri dall’indomita volontà? Penso chefaremmo bene a restare al passo con il mondo, abi-li e di successo. Ma tutto ciò richiede anche la ca-pacità di essere solidali, di fornire supporto e solu-zione a difficili problematiche. Disponiamo di co-noscenze, competenze e mezzi. Si tratta di un gra-tificante investimento nel futuro - al passo con ilmondo. ■

Walter FustDirettore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

La Svizzera al passo con il mondo

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(jls) Aderendo agli Obiettivi di sviluppo del mil-lennio la comunità internazionale si è impegnataa dimezzare,entro il 2015, la percentuale delle per-sone senza accesso all’acqua potabile e ad impian-ti sanitari. Nell’Africa subsahariana, se la progres-sione continuerà al ritmo attuale questi obiettivinon saranno raggiunti. Il 44 per cento circa dellefamiglie non ha ancora la possibilità di rifornirsidi acqua salubre a meno di un chilometro dal pro-prio domicilio. Le donne devono spesso percor-rere lunghe distanze a piedi fino al pozzo più vi-cino. In materia di impianti sanitari, la situazioneè ancora più preoccupante: il 63 per cento degliabitanti vive in case sprovviste delle installazionipiù semplici ed è costretto a fare i propri bisogniin latrine a cielo aperto, in secchi o semplicementenella natura.Queste pratiche favoriscono la diffu-sione di malattie dissenteriche, trasmesse dagliescrementi umani.

Un partenariato quasi trentennale Per aumentare il numero di servizi idrici e sanita-

ri, l’Africa non ha bisogno soltanto di risorse fi-nanziarie,ma anche di professionisti capaci di pro-gettare, costruire e gestire le infrastrutture neces-sarie. In Africa occidentale i migliori specialistiescono da due scuole regionali con sede a Oua-gadougou: la Scuola interstatale degli ingegneridell’attrezzatura rurale (École inter-États d’ingé-nieurs de l’équipement rural EIER) e la Scuola deitecnici superiori dell’idraulica e dell’attrezzaturarurale (École des techniciens supérieurs de l’hy-draulique et de l’équipement rural ETSHER).Create da 14 Stati francofoni nel periodo succes-sivo alle indipendenze,hanno successivamente co-stituito una struttura congiunta.Dal 1980, l’EPFL collabora con l’EIER nella rea-lizzazione di formazioni post universitarie nei set-tori dell’acqua, dell’ambiente e dello sviluppo. Fi-nanziato dalla DSC,questo partenariato mira a mi-gliorare la qualità dell’insegnamento dell’EIER ea sostenere la ricerca sui problemi concreti che af-fliggono l’Africa.Insegnanti dell’EPFL tengono seminari, assistono

Un vivaio di competenze a

Il Politecnico federale di Losanna (EPFL) collabora dal 1980 conuna scuola di ingegneria del Burkina Faso. 450 specialisti in in-gegneria sanitaria e in gestione delle acque sono stati formatigrazie a questo partenariato finanziato dalla DSC. Oggi questigiovani contribuiscono in particolare a migliorare l’accesso al-l’acqua potabile e agli impianti sanitari nell’Africa occidentale.

Gli ex studenti dell’EIERfanno carriera Se posseggono un diplomaconseguito nel quadro dellacollaborazione EIER-EPFL,gli ingegneri e tecnici afri-cani non incontrano alcunadifficoltà di assunzione.Sono immediatamente re-clutati da uno dei numerosienti, pubblici o privati, chesi occupano di acqua e diambiente. Attraverso tuttal’Africa francofona, ex stu-denti dell’EIER occupanoimpieghi di spicco pressoministeri, municipi, uffici diingegneria, imprese edili oistituzioni internazionali.Così, il senegaleseOusseynou Diop è coordi-natore regionale del pro-gramma «acqua e risana-mento» della Bancamondiale in Africa. Il mauri-tano Guéladio Cissé dirige ilCentro svizzero di ricercascientifica di Abidjan eAlassane Baba-Moussa laSocietà nazionale delle ac-que del Benin. Il senegaleseCheikh Touré è direttore diun ufficio internazionale distudio su acqua, rifiuti eambiente con sede a Dakar.

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L’Africa forma la suaélite Il gruppo EIER-ETSHER diOuagadougou si è rinno-vato nel 2006. La fusionedelle due entità ha dato ori-gine all’Istituto internazio-nale dell’ingegneria indu-striale dell’acqua edell’ambiente (2IE), dive-nuto un polo d’eccellenzadell’Istituto africano dellescienze e della tecnologia(IAST), creato lo stessoanno dall’Istituzione NelsonMandela per la promozionedel sapere e lo sviluppodelle scienze e della tecno-logia nell’Africa subsaha-riana. L’IAST intende ga-rantire la formazione, inAfrica e da parte di africani,di imprenditori, dirigenti escienziati capaci di infon-dere nuovo dinamismoeconomico al continente e migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.Conterà quattro città uni-versitarie d’insegnamentosuperiore, collegate a polid’eccellenza, più piccoli ma molto specializzati. La prima città universitariaverrà inaugurata nel 2008ad Abuja, in Nigeria.

Ouagadougou

le capacità locali», sottolinea l’incaricato di pro-gramma Pascal Fellah.

Argomento dimenticato La DSC esercita un’influenza sul contenuto delpartenariato per assicurarsi che le formazioni di-spensate soddisfino le grandi sfide dello sviluppo.Ritiene importante, ad esempio, che i futuri in-gegneri siano in grado di aiutare i loro paesi a rag-giungere gli Obiettivi del millennio. «Sul pianodell’accesso all’acqua, l’Africa ha fatto alcuni pro-gressi, poiché è un settore al quale gli ambienti politici prestano molta attenzione. Ma è molto inritardo per quanto attiene al risanamento delle acque di scarico, che suscita nettamente meno in-teresse.Occorre dunque mettere l’accento su que-sta problematica», osserva François Münger, con-sulente in materia di acqua presso la DSC.L’EIER lavora in particolare sul trattamento deifanghi provenienti dai pozzi settici e dalle latrine.Attualmente vengono semplicemente riversati neifiumi, nei canali di scolo o su terreni inutilizzati.«Occorre urgentemente sviluppare tecnologie diriciclaggio a prezzi accessibili», sottolinea KonéDoulaye. «Purtroppo, pochi scienziati si interessa-no ai fanghi di scarico. Questo argomento ispiraloro una certa ripugnanza, mentre è di importan-za cruciale per la tutela della salute pubblica». ■

(Tradotto dal francese)

agli esami e inquadrano i lavori di ricerca. I mi-gliori studenti dell’EIER hanno la possibilità di se-guire formazioni post universitarie a Losanna.I di-plomi sono riconosciuti dalle due istituzioni. Lacollaborazione ha finora permesso di formare 237specialisti in gestione delle acque e idraulica agri-cola e 209 ingegneri sanitari e ambientali. Dieciricercatori hanno inoltre sostenuto una tesi didottorato all’EPFL sulla base di lavori effettuati aOuagadougou.

Impianti abbandonatiUno di loro è Koné Doulaye, di nazionalità ivo-riana. La sua tesi, sostenuta nel 2002, riguardava ladepurazione delle acque di scarico mediante la-gunaggio, una tecnica che fa intervenire l’energiasolare per avviare il processo di degradazione bio-logica. «È un sistema naturale ed economico, idea-le per i nostri paesi. Ne esistono altri. Il problemain Africa è costituito dai numerosi impianti di de-purazione non più funzionati. Inizialmente, leagenzie di cooperazione investono molto denaronella costruzione di infrastrutture. Poi queste siguastano per la mancanza di personale qualificatoaddetto alla manutenzione.Spesso i donatori sonodisposti ad inviare esperti del Nord per risolvere iproblemi. Ma non è la soluzione appropriata. Èpreferibile formare ingegneri e tecnici sul posto».È in quest’ottica che la DSC finanzia la collabo-razione EPFL-EIER: «Abbiamo scelto di investi-re nelle risorse umane. Questo partenariato, mol-to orientato alla pratica, contribuisce a sviluppare

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(jls) Ginevra, «capitale delle attività umanitarie»,ospita numerosi organismi specializzati nelle mol-teplici attività inerenti all’aiuto alle vittime di cri-si o catastrofi. Finora è tuttavia mancata una strut-tura in cui coloro che operano nel settore possanoconfrontarsi sulle loro esperienze ed incontrare irappresentanti di altre aree, che abbiano a loro vol-ta un preciso ruolo nel campo umanitario: il set-tore privato, i governi, le forze armate, le universi-tà, le think tanks, la società civile ed i media.Il Con-siglio federale ha pertanto deciso di sostenere lacreazione di un Forum umanitario mondiale.Talepiattaforma di dialogo dovrà stabilire dei legami trai differenti gruppi e le discipline. La somma delle singole esperienze servirà a migliorare la risposta internazionale alle nuove sollecitazioni di tipoumanitario.

Ridurre i rischi Le crisi attuali – siano esse di origine umana o na-turale – si caratterizzano per la loro ampiezza ecomplessità.«Sempre più spesso,tali situazioni sonostrettamente legate al contesto politico, sociale,

economico ed ambientale,e non è possibile affron-tarle solo in un’ottica rigorosamente umanitaria»,afferma Meinrad Studer,direttore del Forum e conun passato nei quadri della DSC.L’approccio mul-tidisciplinare si impone in modo particolare nel-l’ambito della prevenzione, aspetto questo che co-stituirà una delle priorità operative della nuova isti-tuzione. «Il settore umanitario non può sempli-cemente accontentarsi di reagire alle catastrofi.Deveanche valersi di uno sguardo in prospettiva e inve-stire nell’ambito della riduzione dei rischi». Il fo-rum non svolgerà attività operazionali sul terreno,anche se conta di realizzare approcci innovativi,promuovere partenariati pubblico-privati e avvici-nare nuovi operatori alla causa umanitaria.Kofi Annan ha accolto con favore la richiesta del-la Svizzera,decidendo di accettare la presidenza delConsiglio di Fondazione. Sarà lui, dal 2008, a con-vocare ogni anno una riunione ad alto livello, chesarà preparata da esperti nel quadro di seminari te-matici. ■

(Tradotto dal francese)

Personalità di famamondialeIl Consiglio di Fondazione,organo amministrativo,sarà incaricato di definirel’orientamento strategicodel forum e di mettere inopera il relativo piano d’a-zione. L’organismo è com-posto da una ventina dipersonalità di fama mon-diale. Fra costoro, l’ex di-rettore generale dell’FMIMichel Camdessus, l’exAlto Commissario delleNazioni Unite per i dirittiumani Mary Robinson, ilpremio Nobel per l’econo-mia Amartya Sen, il teo-logo cattolico Hans Küng,il segretario generale aggi-unto dell’ONU per gli affariumanitari Jan Egeland, l’ex presidente della Banca mondiale JamesWolfensohn ed il premioNobel per la paceMuhammad Yunus.

L’anello mancante dell’azione umanitaria

Le catastrofi e gli stati di crisi attuali, sempre più complessi, ri-chiedono un approccio multidisciplinare. Il Forum umanitariomondiale, creato a Ginevra nello scorso mese di giugno su ini-ziativa della Svizzera, è volto a riunire operatori dei più diversicampi per affrontare queste nuove sfide. Il Forum è presiedu-to dall’ex segretario generale dell’ONU Kofi Annan.

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Ristrutturazione dellaCooperazione svizzera conl’Est ( jtm) Dalla fine del 2007, laCooperazione svizzera con l’Estsi orienterà sempre più versol’Europa centrale ed il Baltico.Ne è motivo il contributo dellaSvizzera alla riduzione delle di-sparità economiche e socialinell’Unione europea allargata.Nel prossimo decennio, nei dieciStati che hanno aderito all’UEnel 2004, saranno realizzati pro-getti per 1 miliardo di franchi.La gestione operativa spetta allaSezione «Nuovi Stati-membriUE», installata presso la sede cen-trale della DSC e diretta da UeliStürzinger. La nuova Sezione, chedispone di dieci collaboratori, sioccupa delle procedure di con-cessione per i progetti, sorvegliala loro realizzazione e coltiva icontatti con le autorità dei paesi

partner. Il contributo all’amplia-mento verrà seguito sul posto daesperti svizzeri.A questo propo-sito, dall’inizio del 2008, nelleambasciate svizzere di Varsavia,Budapest, Praga e Riga, sarannoaperti quattro nuovi uffici.

Cambio nel personale (ahj) Serge Chappatte, dal 2001vicedirettore della DSC e re-sponsabile nell’ambito della co-operazione multilaterale, andrà inpensione verso fine anno.Giurassiano, Chappatte ha stu-diato economia a Neuchâtel e la-vorato fino al 1972 nel SindacatoInternazionale metalmeccanici aLondra, Francoforte e Ginevra,prima di mettersi al servizio dellaDSC, in qualità di incaricato diprogramma della Sezione Asia ecome coordinatore ad Islamabade Nuova Delhi. Nel 1984 gli fuaffidata la direzione della Sezione

Asia I, nel ’92 il settore Africa eAmerica latina. Cinque anni piùtardi divenne vicedirettore dellaCooperazione bilaterale allo sviluppo. Il suo successore – il ticinese Jörg Frieden – entrerà in carica ad inizio 2008.Coordinatore della DSC aKatmandu sino allo scorso mesedi luglio, Frieden sarà inoltre finoa dicembre consulente nel pro-cesso di pace portato avanti dallamissione dell’ONU in Nepal. Lacarriera di Jörg Frieden, a suavolta economista, ebbe inizio alla DSC nel 1986 e, in qualità dicollaboratore scientifico, operò indiverse funzioni direttive a Berna,nel Mozambico e a Washington,presso la Banca Mondiale. Primadi essere inviato in Nepal dallaDSC, fu quattro anni e mezzopresso l’allora Ufficio federaleper i rifugiati in qualità di vice-direttore per finanze e politica

sociale.Anche nel settore della copera-zione bilaterale allo sviluppo cisarà presto un avvicendamento:Adrian Schläpfer, dal 2003 vice-direttore e responsabile di set-tore, si trasferisce ad inizio 2008a Dar es Salaam, dove svolgerà lefunzioni di ambasciatore svizzeroin Tanzania e di coordinatoredella Cooperazione allo sviluppo.Dopo i suoi incarichi pressol’ONU e la Banca Mondiale,Adrian Schläpfer è, dal 1979,operativo in seno alla DSC. Fral’altro, ha operato dieci anni inAmerica latina.Alla chiusura diredazione, non era ancora noto il nome del suo successore.Il Consiglio federale ha inoltrenominato ambasciatore ancheMarco Rossi, responsabile del-l’Ufficio di coordinamento di La Paz, in Bolivia.

Dietro le quinte della DSC

(bf ) Letteralmente tradotto, Corporate Responsibility significa«Responsabilità imprenditoriale» e descrive il grado di consape-volezza di responsabilità di un imprenditore, qualora le sue atti-vità operative evidenzino effetti sulla società, sui collaboratori,l’ambiente ed il contesto economico. In senso stretto è espres-sione di una filosofia imprenditoriale che pone la trasparenza, ilcomportamento etico ed il rispetto di tutte le parti coinvolte alcentro dell’operato imprenditoriale. In base a ciò, il concetto diCorporate Social Responsibility (CSR) pone la dimensioneecologica e sociale in maggiore rilievo rispetto a quella econo-mica, e proprio perciò viene sovente definito con il termine disostenibilità imprenditoriale (in altre parole, una gestione d’im-presa che tenga in equilibrata considerazione i fattori economi-ci, ecologici e sociali).Per quanto concerne la cooperazione allosviluppo, il concetto di CSR viene utilizzato soprattutto in ri-ferimento al Global Compact. Questa iniziativa dell’ONU miraad influenzare strategie e comportamenti del settore privato, inparticolare quello delle grandi imprese multinazionali.Tutto ciònel senso dell’aperto sostegno di una gestione imprenditorialesensibile e responsabile rispetto ai diritti umani, alle condizionidi lavoro, all’ambiente ed alla lotta contro la corruzione.Fino adoggi, circa 2900 aziende in tutto il mondo hanno sottoscritto ilGlobal Compact. La DSC cerca di appoggiare in maniera com-petente le attività di CSR delle imprese qualora esse coincida-no con il suo ambito operativo. Contemporaneamente, cerca dicontribuire a creare le condizioni quadro che consentono atti-vità di CSR. L’obiettivo è che aziende che mettono in pratica i

Che cos’è… la Corporate Social Responsibility? principi della CSR (come ad esempio quelli del Global Compacto le Guidelines for CSR dell’OCSE) abbiano dei partner privile-giati e possano così, con un alto standard sociale, fare pressioniaffinché si stabiliscano migliori condizioni sociali. In tal modosi realizza una certa protezione delle persone coinvolte che vaoltre gli standard legislativi vigenti, e si spingono altre aziendead uno spontaneo rispetto di tali standard.

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nerale – ABG) sia quelli di singoli ministeri inca-ricati di operare in settori specifici, quali la sanitào l’educazione (aiuto al bilancio settoriale). Incontropartita, i paesi donatori esigono una gestio-ne finanziaria trasparente. I paesi beneficiari si im-pegnano inoltre ad imperniare il proprio bilanciosulla realizzazione di un documento strategico dilotta alla povertà (PRSP), elaborato congiunta-mente dal parlamento e da rappresentanti della so-cietà civile. I donatori si coordinano al fine di ar-monizzare le loro procedure ed esprimersi in ma-niera univoca.Si dovrà stabilire un dialogo politico

Le relazioni tra finanziatori e paesi beneficiarihanno subìto molti cambiamenti nel corso del-l’ultimo decennio. Nuovi approcci sono stati de-finiti nell’intento di migliorare l’efficacia dell’aiu-to. Oggi, non è più concepibile una politica di sviluppo dettata dall’esterno. Sono i paesi poveria dover fissare le loro priorità e piazzarsi al postodel conducente.L’aiuto al bilancio, introdotto nel-la seconda metà degli anni ’90, favorisce questa«appropriazione» nazionale.Questo genere di aiuto si effettua sostenendo siail bilancio globale del paese (aiuto al bilancio ge-

Un dialogo imperfetto, che ha il merito di esistereUna parte crescente dell’aiuto internazionale è investita diret-tamente nel bilancio dei paesi in via di sviluppo. Il sostegno albilancio fornisce agli Stati la possibilità di far fronte ai loro bi-sogni essenziali e di lottare contro la povertà. Ma oltre ai pre-gi, questo strumento relativamente recente nel campo della co-operazione presenta anche qualche difetto. Di Jane-LiseSchneeberger.

Bilancio positivoUn gruppo, composto da24 paesi donatori e da 7paesi in via di sviluppo(Burkina Faso, Malawi,Mozambico, Nicaragua,Ruanda, Uganda eVietnam), ha sollecitatouna valutazione dell’aiutoal bilancio generale (ABG).Tale studio è stato realiz-zato dall’Università diBirmingham sotto l’egidadell’OCSE. Le sue conclu-sioni, pubblicate nel 2006,risultano globalmente posi-tive. L’ABG non è certo lapanacea in grado di risol-vere tutti i problemi dellosviluppo; ma può miglio-rare l’efficacia degli stan-ziamenti pubblici, ivi com-presi quelli per l’aiuto. Essasostiene le strategie nazio-nali di riduzione della po-vertà e stimola i governipartner ad incrementare laspesa destinata al settoresociale. È molto arduo provare che i fondi dellacooperazione hanno unimpatto specifico sulla ri-duzione del tasso di po-vertà, in considerazione del fatto che essi si me-scolano, nelle cifre di bilancio, alle altre risorse.«Évaluation d’appui bud-gétaire général»:www.oecd.org/dataoecd/25/44/37426658.pdf

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utilizzato per scopi diversi di quello della riduzionedella povertà, ad esempio per l’acquisto di armi.Un recente studio dell’OCSE ha analizzato la pro-blematica. Gli esperti sono giunti alla conclusio-ne che, in quanto alla corruzione, l’ABG non è piùvulnerabile di altre forme di aiuto. «Sembra addi-rittura confermato che nei paesi in cui è stato in-trapreso un intenso dialogo politico relativo allagestione delle risorse pubbliche, le spese impro-duttive, come per gli armamenti, risultano più ri-dotte e tendono a contrarsi», rileva Ivo Germann.

L’asse donatori-governanti Tuttavia, numerose ONG, in Svizzera ed all’este-ro, si mostrano scettiche riguardo all’aiuto al bi-lancio. «Non abbiamo nulla contro l’appropria-zione nazionale, né contro il coordinamento de-gli Stati donatori. Tutto ciò in teoria è perfetto.

permanente con le autorità locali. In tale ambito,i singoli partner stabiliscono un catalogo di rifor-me, definiscono i risultati che è lecito attendersiogni anno e valutano i progressi fatti.

Rischi calcolatiIl sostegno al bilancio costituisce una parte cre-scente dell’aiuto internazionale.Ciò non toglie chei suoi vantaggi e gli inconvenienti siano aspra-mente discussi nell’ambito dell’aiuto allo svilup-po.Secondo Ivo Germann, capo aggiunto del set-tore «Sostegno macroeconomico» presso la Se-gretaria di Stato dell’economia (SECO), è ancorapresto per provare statisticamente che l’aiuto ge-nerale abbia un impatto diretto sulla riduzione deltasso di povertà.Ma la SECO,che utilizza tale stru-mento dal ’96, ha constatato numerosi effetti po-sitivi.

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Scegliere accuratamenteLa Svizzera accorda unABG a sei paesi poveri:Mozambico, Tanzania,Burkina Faso, Ghana,Nicaragua e Benin, ed incinque di essi è stata capo-fila del gruppo dei paesidonatori. La concessionedi un ABG è per principiocompetenza della SECO,che applica dei criteri di selezione relativamente se-veri: per ottenere un aiuto, i paesi in causa dovrannoevidenziare un’evidente vo-lontà di lottare contro lapovertà, presentare un bi-lancio trasparente ed averapplicato, nel corso degliultimi anni, importanti pro-grammi di riforme macroe-conomiche e strutturali. LaSECO s’impegna di normaper un periodo di tre anni. Il suo aiuto, versato in di-verse rate, ammonta ad unimporto che va da 6,5 a 9milioni di franchi all’anno.La DSC, che privilegia in-vece l’aiuto settoriale al bilancio, sostiene inMozambico, in Tanzania enel Kirghizistan riforme go-vernative nel settore dellasanità ed appoggia lo svi-luppo rurale nel Nicaragua.

Ad esempio, l’ABG migliora l’efficacia dell’aiuto,stabilizzando le condizioni macroeconomiche deipaesi beneficiari e conferendo maggior vigore allagestione delle loro finanze pubbliche. «La nostraesperienza ha indicato che vale la pena di affron-tare certi rischi», afferma Germann.Una delle critiche più ricorrenti contro l’aiuto albilancio concerne i rischi cosiddetti «fiduciari»:considerata l’impossibilità di seguire con precisio-ne le vie che prendono i franchi o gli euro river-sati nei bilanci, il denaro del contribuente potreb-be essere dirottato da funzionari corrotti oppure

Purtroppo, i problemi si presentano nell’applica-zione pratica»,afferma Peter Niggli,direttore di Al-liance Sud. In realtà, secondo Niggli, l’appropria-zione è solo parziale, e i PRSP non sono elabora-ti in maniera effettivamente partecipativa. «Igovernanti si consultano pochissimo, o per nien-te, con la società civile ed il parlamento. D’altraparte, ritengono di dover rendere conto esclusiva-mente ai donatori, e non certo alla loro popola-zione. Questo sistema indebolisce gli attori na-zionali».Sussiste, infatti, il rischio che il governo si con-

La Svizzera concede aiuti ai bilanci sia generali che settoriali. Questi sostegni sono destinati a un numero limitatodi settori e paesi, tra i quali il Benin, il Kirghizistan e il Nicaragua (v. pagina seguente).

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centri sul dialogo politico con i finanziatori, so-prattutto quando costoro finanziano una parteconsistente del suo bilancio, come sottolinea an-che Ivo Germann: «Il meccanismo di controllo ènecessario.Tuttavia, i donatori devono fare atten-zione a che ciò non pregiudichi il funzionamen-to democratico». Nei paesi in cui interviene, laSvizzera favorisce la partecipazione al dibattito siadelle ONG, che del parlamento e del settore pri-vato. «Non è davvero un riflesso condizionato,perquesti governi, aprire un dibattito pubblico sul-l’utilizzo delle risorse nazionali. La maggior partedei politici in passato non ha mai proceduto in talmodo.Uno dei vantaggi dell’aiuto al bilancio è cheha creato nuove possibilità di dialogo.Tutti i pro-blemi possono così liberamente essere posti sul ta-volo».

Il cartello dei donatriLa coordinazione ha contribuito a semplificare leprocedure. Ma c’è anche un rovescio della meda-glia, come evidenziano le organizzazioni umani-tarie. Insieme, i finanziatori hanno un peso con-siderevole, e possono esercitare un vasto control-lo sui paesi partner. «Il governo locale si trova difronte ad un vero e proprio cartello dei paesi do-natori, e ciò gli consente un margine di manovraestremamente ridotto. Se fa qualcosa che a loronon piace, rischia di vedersi sottrarre una parteconsistente del suo bilancio», spiega Niggli.Su basi contrattuali, le agenzie di cooperazione siriservano infatti il diritto di sospendere o ridurreimmediatamente i loro stanziamenti, ad esempionel caso in cui il governo locale violi principi fon-damentali,quali quelli relativi ai diritti umani o al-l’organizzazione di libere elezioni.Per contro,unacattiva prestazione non può essere sanzionata conil blocco degli stanziamenti già iscritti in bilancio.

«L’aiuto al bilancio è legato ai risultati, ma deveessere preventivabile per il governo del paese part-ner. Se certi obiettivi non sono stati raggiunti, sipotrà correggere al ribasso gli stanziamenti soltantoa partire dall’esercizio successivo», precisa JürgBenz, che nel 2005 e 2006 ha diretto il gruppodei donatori in Nicaragua in qualità di capo del-l’ufficio della Cooperazione svizzera.

Mantenere i progetti La tendenza a concentrare le risorse sullo Stato su-scita anche inquietudine.Attualmente, i paesi do-natori realizzano ancora innumerevoli progetti inpartenariato con ONG del Sud.Queste ultime te-mono di essere emarginate se un giorno tuttol’aiuto dovesse andare al bilancio nazionale. In talcaso non sarebbero più che semplici esecutrici distrategie di governo. «Un’aberrazione! La societàcivile non può giocare il suo ruolo di contropo-tere se contemporaneamente è finanziata dalloStato», commenta Peter Niggli. «ed è per questeragioni che chiediamo che le agenzie ufficiali del-la cooperazione continuino ad accordare un lorosostegno diretto agli operatori non governativi».La cooperazione svizzera non prevede di aumen-tare in maniera sensibile gli importi consacrati all’aiuto al bilancio, e ancora meno di rinunciareall’approccio tradizionale tramite progetti.Al con-trario, essa ritiene che le differenti modalità del-l’aiuto siano complementari. Si tratta solo di ap-plicarle simultaneamente e di sfruttarne le sinergie.Del resto, i donatori hanno bisogno di conoscerebene la realtà sul terreno per alimentare il dialo-go politico a livello nazionale. È nell’ambito deiprogetti che è loro consentito di raccogliere i datinecessari. ■

(Tradotto dal francese)

Aumenti in vista In un decennio, il sostegnoal bilancio ha fatto segnareun incremento, a scapitodelle altre modalità di co-operazione. Ogni anno,circa 5 miliardi di dollarisono dislocati con tale mo-dalità. Ciò è appena il 5 percento del totale dell’aiutopubblico allo sviluppo, mala tendenza è al rialzo. LaDichiarazione di Parigi,adottata nel 2005, ha fis-sato ai finanziatori un obiet-tivo ambizioso: il 66 percento degli stanziamenti di aiuto sarà fornito, entro il 2010, nell’ambito di unapproccio di bilancio. LaBanca Mondiale, l’Inghil-terra, la Commissione euro-pea, la Norvegia e la Sveziapuntano apertamente suquesto strumento. Altripaesi donatori, quali gliStati Uniti e il Giappone, si mostrano più diffidentiverso il sostegno diretto ai governi. In Svizzera, laquota parte ABG si situa,da parecchi anni, attorno al 3 per cento. Se ad essasi aggiungono i programmisettoriali, il sostegno al bi-lancio giunge ad un totaledel 5 per cento dell’interoportafoglio della coopera-zione svizzera.

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Una quindicina di anni fa, la te-levisione vietnamita ha diffuso laserie giapponese «Oshin», dalnome di una serva divenuta pro-prietaria di una catena di iper-mercati. Per ammirazione perquesta donna dalla devozione ela volontà esemplari, le signorevietnamite hanno allora dato ailoro aiuti domestici il nome dioshin.

La maggior parte delle domesti-che viene dalla campagna. Unavolta in città, sono alloggiatepresso il datore di lavoro.Dormono generalmente in unletto collocato accanto all’an-golo cucina. Bisogna dire che leesigenze delle «padrone» sonomolte: dalle oshin esigono chesiano allo stesso tempo lavoratrici,perfettamente formate, buonecuoche, ragionevoli, oneste,poco loquaci, affezionate aibambini, rispettose delle personeanziane, che mangino poco, chedormano ancor meno, che nonfrequentino i vicini, che nonguardino la televisione e chenon chiedano praticamente maicongedi… Qualità di cui anchela migliore delle spose è sprovvi-sta. Risultato: quando una oshinsoddisfa alcuni di questi criteri, èoggetto di tutte le attenzioni daparte dei datori di lavoro e tienepraticamente in mano il destinodi tutta la famiglia.Tanto più sein quest’ultima vi sono dellepersone anziane, dei malati o deibambini. Soprattutto dei bambini.

Le madri adorano coccolare laloro progenie i primissimigiorni, ma appena qualcunoprende il bebé tra le braccia e sene occupa, sono pronte a scari-carsene. Bambino ed oshin di-ventano allora inseparabili. Ilprimo impara a parlare con l’ac-cento della seconda, adotta lesue distrazioni, in particolare inmateria di televisione.

I poveri ricorrono ad ogni sortadi rimedio a costo praticamentenullo; quando la loro situazioneeconomica migliora, si affrettanoa cambiare costume.Paradossalmente, le famiglie ric-che provano un rinnovato inte-resse per queste pratiche tradi-zionali. In estate il bambinodeve ad esempio fare un bagnoal tè verde o alla zucca amara –un’eccellente prevenzione con-tro l’eritema solare. In inverno,nulla vale più delle fave arrostiteper liberare i bronchi. Dopo ilbagnetto, sull’ombelico del bebési colloca un sacchetto di cipol-lotto salato. Quanto alla mamma,uno strato di curcuma giallospennellato su tutto il corpo so-stituirà bagni e docce duranteun intero mese… Della propriaoshin ci si può fidare: per lei,nessun rimedio ha segreti. Incompenso, per sé stessa la dome-stica apprezza soltanto i prodottiproposti dagli spot pubblicitari evenduti nei supermercati.

Con una oshin, il pasto dei bam-

bini può durare delle ore. Bastarecarsi nel parco giochi di ungrande complesso abitativo: vivedrete delle oshin con i loropasseggini; ognuna brandisce ungiocattolo a sonaglio o una pi-stola elettrica, supplicando ilpiccolo tesoro di inghiottire an-cora una cucchiaiata. Guardatetutti questi bambini che fannogli stessi capricci, che costrin-gono la loro povera oshin a fareil somarello! Conoscete la citta-della storica di Hué? Una dellemie amiche deve chiamare ognipomeriggio un risciò per farneil giro: è soltanto durante questapasseggiata, in compagnia dellagovernante, che il bambino ac-cetta di mangiare la sua ciotoladi pappa.

Ogni giorno sono soprattuttodelle donne a lasciare la campa-gna. In città guadagnano più fa-cilmente il denaro che inviano al villaggio per nutrire i loro figli. Più l’esercito delle oshincresce, più i bambini di cittàsono viziati. E quando una oshinfa ritorno a casa, per i genitori èuna vera catastrofe. Due mieiamici avevano interamente affi-dato il loro bambino ad una oshin fin dalla nascita. PerCapodanno, questa è rientrata al suo villaggio. Il bambino harifiutato di mangiare e dormire.I genitori hanno supplicato laoshin di ritornare, ma ella ha ri-fiutato. La vigilia del Têt, hannoaffittato un’automobile edhanno riservato una camerad’albergo vicino al villaggiodella governante. Così, è un sor-riso di bambino che ha annun-ciato loro felicità per l’annonuovo. ■

(Tradotto dal vietnamita)

Piccoli vietnamiti viziati

Carta bianca

Phan Thi Vang Anh, classe1968, nata a Hanoi, è cardio-loga di formazione e lavoraoggi come scrittrice e lettricepresso una casa editrice, non-ché commentatrice per gior-nali e riviste. Inoltre, ha giratoanche alcuni documentari.Vive alternativamente a Hanoie a Ho Chi Minh City. Il suo libro «Quand on est jeunes»(edizioni Picquier) aveva coltonel vivo negli anni 1990 lostato d’animo di un’intera ge-nerazione, diventando unbestseller in Vietnam. In se-guito è stato tradotto in fran-cese e in svedese. La suaopera di maggior successo èstata in questi ultimi anni unaraccolta dei commenti pubbli-cati nella stampa, la quale èper ora uscita solo in vietna-mita.

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borgo rurale in cui viveva allora.Marianne si esprime in un vi-vace creolo. E il suo francese hal’aroma del caffè macinato difresco.

Una religione venutadall’AfricaHa abbandonato la grande casaai suoi pezzi. E quasi l’interavilletta in cui alloggia, di fronteal suo museo personale, è colo-nizzata da una decina di gatti.Prima di aprire le porte dellasua collezione insiste per ritrac-ciare la storia di Haiti. Con gli

anni Marianne Lehmann si èresa conto che il viaggiatore arrivava a casa sua con un’ideapreconcetta del vudù: immaginidi stregoneria e di zombie, o unfascino leggermente morboso.Racconta allora delle catene dischiavi, dei maroon fuggiti nellemontagne attorno alle pianta-gioni, la religione necessaria-mente segnata dai sedimentidella rivolta. Questa religionepartita dal Benin, che ha preso il mare e non è giunta intatta ad Haiti. Secondo MarianneLehmann, il vudù è inestricabil-

Vive accanto ad una chiesa chenon frequenta. La domenica, ilgregge in cravatta o in sottanasfila davanti a casa sua, spettego-lando su ciò che vi si tramasenza averlo mai visto. Sannosoltanto che una donna biancadalla florida chioma bionda viabita da decenni, e che dall’altraparte del marciapiede riceve talvolta dei sacerdoti vudù chestringono nella mano oggettiimpacchettati. MarianneLehmann è una bizzarria nellasua dimora, Pétionville, sulle alture di Port-au-Prince. Una

bernese sbarcata ad Haiti nel1957 con un bebé in braccio.Da poco maritata al figlio diun’eccellente famiglia haitianache aveva incontrato quando lavorava in un laboratorio aLosanna. Questa straniera natu-ralizzata non si è mai decisa alasciare la sua isola nonostantel’arrivo di François Duvalierqualche mese dopo il suo trasfe-rimento, nonostante Duvalierfiglio, nonostante la sovranitàdei generali,Aristide e la suasconfitta. Benché oggi non ri-conosca più il delizioso sob-

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Il vudù, un segmento delDNA haitianoMarianne Lehmann, di origini bernesi ma residente ad Haiti da oramaicinquant’anni, ha costituito una delle maggiori collezioni di arte vudù almondo, riabilitando tra gatti e guerrieri la memoria di una religioneappassionante. Attualmente immagazzinati in una casa di Port-au-Prince,questi oggetti saranno presto presentati al pubblico. Di Arnaud Robert*.

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mente legato all’epopea hai-tiana. La rinsalda. Le originiafricane non sono che un ele-mento del decoro mistico. Cisono i taino, indio che gli occu-panti successivi hanno decimato- genocidio di un popolo piùche di una cultura, poiché le suetracce sono visibili in ogni ri-tuale del vudù haitiano. E il cat-tolicesimo, disseminato in formesottili. Il suo vudù, Marianne lovede come un elemento fonda-mentale del suo paese d’adozione.Ha poco più di settant’anni, mane dimostra quindici in meno.

Eserciti di statuineNata in una famiglia di agricol-tori protestanti, non avrebbemai immaginato di ritrovarsi un giorno dall’altro capo delmondo, in questa anti-Svizzerache non ha conosciuto che ri-volgimenti politici e il crollodell’economia, in queste ceri-monie dove, negli angoli più reconditi della città, vecchiedonne assumono improvvisa-mente la voce felina di ErzulieFreda, divinità dell’amore. Ungiorno di vent’anni fa, un ra-gazzo le apre un sacco sotto

gli occhi. Contiene una statuinadi cemento. Marianne non lavuole. Ignora quasi tutto sulvudù, ma capisce che il posto incui stanno queste sculture è untempio, un houmfort. Il mer-cante insiste. Fa credere di vo-lerla vendere ad un turista ame-ricano. Marianne si decide adacquistarla. Prende così avviouna delle maggiori collezioni di arte vudù al mondo, con lapreoccupazione di non vedereinteri lembi del patrimonio na-zionale trasmigrati da Haiti. Glihoungan (sacerdoti) nel bisogno

si passano la parola. La voce sidiffonde.Laggiù, da questa donna, c’è posto per oggetti di qualità.

Una crociata contro il vudùMarianne Lehmann è interessataai pezzi più rari, quelli che nonsi vedono mai al di fuori dellesocietà segrete.A quell’epoca lavora presso il consolato sviz-zero. L’intero salario è spesonelle statuine della società se-greta Bizango. Le meno visibili.Le più marziali.Assomigliano ad eserciti di stoffa imbottita,

1 Rèn Bizango/Regina BizangoFigura femminile

2 Mal Pa Dous (Bizango) / Il malenon è mai piacevole (Bizango) Pacchetto Bizango

3 Malè Bizango / Il male Bizango Figura

4 Gad Zazi Maza Wangòl / Guardia Zazi Maza Wangòl Figura ornata di paillette con teschio

5 Renn Mari-Lwiz / Regina Marie-Louise Figura femminile seduta su poltrona con un bambino in grembo

6 Magicien / Mago

7 Boutèy Bosou ak de Kòn / Borraccia Bossou a due corna

8 Boutèy gwo vant (twal wouj, tètmò sèvi kòm bouchon) / Borraccia panciuta (telo rosso, un teschio fa da tappo)

9 Krich / Brocca con tre aperture e quattro cuori ornati da figure

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catene, specchi ed armi.Marianne Lehmann crea dellepiccole collezioni. Di bandiere apaillette, di archeologia taino, dipoltrone di houngan, di armadidei misteri, di enormi specchiappartenuti ad anziane famigliedi presidenti. Centinaia, poi mi-gliaia di oggetti occupano ipiani. Forse ci voleva propriouna straniera per riunire, contale costanza, un simile tesoro.Ad Haiti il vudù è un’entità fra-gile.Ad ogni rivolgimento poli-tico, i peristili che ospitano lecerimonie vengono attaccati.Quando Aristide abbandonò l’isola, il suo museo bardato diesemplari vudù fu saccheggiatoda una truppa collocata sotto latutela di un piccolo prete cri-stiano. Il cattolicesimo non è riu-scito a sfiancare il vudù. Oggi,sono le orde di evangelizzatoriamericani con i sandali a termi-nare il lavoro. E poi, i governiche si sono succeduti hanno si-stematicamente sfruttato questaforza popolare, ma non hannomai desiderato difenderla. Ilvudù, questa terra di malocchigettati e di superstizioni, nonsoddisfa la loro visione di Statomoderno. Marianne Lehmann siè ostinata. Ha riunito attorno asé degli houngan, delle sacerdo-tesse mambo istruite e degli

amanti del vudù. Ha creato unafondazione. Perché un giornosulle alture di Port-au-Princesorga un museo in grado di ri-cordare, finalmente, che questareligione è un segmento chiavedel DNA haitiano.

La ricetta della polvere dizombie Marianne Lehmann volge unosguardo colmo di tristezza e diammirazione ad Haiti, al suopopolo che ha conquistato lapropria indipendenza, a questatradizione che elabora istantedopo istante le forme più inso-spettabili.Vive circondata dasculture folli, da corpi di legnodifformi, da diavoli di cementooblunghi. Fiuta la reazione delvisitatore, dapprima timoroso,poi conquistato ed affascinato.Non ha paura. Spazza via i de-cotti che, talvolta, stregonibuontemponi gettano davanti alsuo portone. Quando la NASAè venuta a chiederle, qualcheanno fa, la ricetta della polveredi zombie, ha affermato con unsorriso di ignorarne totalmentela composizione. Per lei, conl’occulto non si scherza. Ma im-magina una nuova missione perqueste sculture bizango che, inpassato, avevano il compito diassicurare ai guerrieri anti-colo-

nialisti il successo delle loro bat-taglie: viaggiare per essere am-mirate. Per mostrare, una voltaper tutte, che il vudù haitianonon è quella cosa tenebrosa eterrificante dipinta dai filmhollywoodiani, bensì una reli-gione complessa, sistematica emutevole, nata nell’oppressioneschiavista. Un modo per soprav-vivere dapprima, un’arte di vi-vere poi. ■

(Tradotto dal francese)

*Arnaud Robert, giornalista per ilquotidiano «Le Temps» e collabora-tore scientifico dell’esposizione «Levaudou, un art de vivre» al Museoetnografico di Ginevra.

Prima mondiale a GinevraLe centinaia di oggetti vudù rac-colti da Marianne Lehmann nonerano finora accessibili al pub-blico. La gestione e l’esposizionedi questo magnifico patrimoniosono state affidate alla Fondazioneper la conservazione, la valorizza-zione e la produzione di opere cul-turali haitiane (FPVPOCH), creatadi recente su iniziativa dellaLehmann. Con il sostegno dellaDSC, la Fondazione ha avviato ilavori per creare un museo perma-nente a Port-au-Prince. Nell’attesache esso venga inaugurato, sarà il pubblico europeo a poter ammi-rare per primo la collezioneLehmann. Da dicembre il Museoetnografico di Ginevra esporrà oltre 300 pezzi. Nell’autunno del2008 l’esposizione proseguirà iltour europeo, con tappa adAmsterdam e Berlino.Esposizione «Le vaudou, un art devivre»: dal 5 dicembre 2007 al 31agosto 2008, Museo etnograficodi Ginevra, aperto tutti i giornidalle 10 alle 17, salvo il lunedì, entrata libera. Per informazioni:www.ville-ge.ch/meg

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Poesia della voce (er) Ti entra sotto la pelle, tiprende e si apre a te con i suoitintinnii: la sussurrata, bisbigliata,implorante ed urlante voce diChavela Vargas, 87 anni di età.Il suo timbro vocale è accompa-gnato dai suntuosi suoni di stru-menti indiani (sonagli, tamburi,conchiglie, flauti) e dalle filigraneche escono dalle corde di chi-tarre spagnole da concerto. Cosìha origine una poesia piena didolore e amore, nella quale si ri-specchia la disgraziata vita dellacantante. Seppure nata nel CostaRica, è il Messico la sua patria. Èqui che ha vissuto gli alti e bassidella sua vita, qui ha festeggiatosuccessi ed ha vissuto accanto alla

verso il Nordafrica trova docu-mentazione in una compilationamorevolmente realizzata: suoniinebrianti e parole piene di signi-ficato sono imprigionate su 13tracks. Le canzoni della Cabilia el’Oriental-Folk, il blues dei no-madi ed il Berber-Rock, Gnawa-Trance ed Ethno-Elektro-Fusiondi artisti e gruppi quali RachidTaha, Idir,Tinariwen o Tartit, tientrano nell’orecchio come unaleggiadra, ammaliante delizia.Ribellione, franchezza e tolle-ranza esprimono anche l’artedelle altre cantanti: NatachaAtlas, Djura (algerina, autrice di«Il velo del silenzio. Condannataa morte dalla propria famiglia») e Malouma, che con il suo piùrecente CD celebra uno straordi-nario matrimonio tra i ritmidella pop-music ed il sobrioblues del deserto. Nata da una famiglia Griot della Mauritania,a Malouma non fu permesso esi-birsi nella sua patria fino al 2005.Paléo Festival Nyon,Village duMonde 2007,Various: «North Africa – Du Fleuve Sénégal au Nil»(Disques Office); Malouma: «Nour»(Manabi/Disques Office)

Grandioso collage di suoni(er) Con un turbolento estrambo umore si presentano, conil loro CD d’esordio, un globalecollage di suoni, irripetibile edorecchiabile: otto musicisti, dalcrogiolo culturale nuovayorkesefertilizzano le radici del soundUSA con un substrato diWorldmusic, blues, country,swing, soul e pop dagli anni 20 ai60 con Brass dei Balcani, Gypsy,Klezmer e Rocksteady! Si tratta

di grandiosi e fecondi suoni eritmi, estratti da una serie di stru-menti poco ortodossi: a due ar-moniche si aggiungono batteria,tuba, tromba, flauti e sassofoni,banjitar-banjo, chitarra hawaiana,cetra cimbalon, claviola, armo-nica a bocca Sheng…All’originalità strumentale si accompagna la qualità vocale, chesi esprime con accenti scabrosicome quelli rauchi del blues, e a volte con un timbro in falsetto,che riporta alla mente Tom Waitso Screamin’ Jay Hawkins. Equando poi in qualità di ospiti, apartecipare sono gli artisti mon-goli del complesso Huun-Huur-Tu, specializzati nei suoni armo-nici (e con tanto di galoppo diviolini) i piedi vanno inevitabil-mente in fibrillazione.Hazmat Modine: «Bahamut» (JaroMedien / Karbon Distribution)

Processo a BamakoSemplicemente «Bamako»,questo il titolo del film diAbderrahmane Sissako che un anno fa suscitò clamore e fece incetta di premi. Nato inMauritania, Sissako riesce a descrivere, in maniera intelligentee piacevole, i problemi che con-dizionano i rapporti fra Nord e Sud. Nel cortile della casa pa-terna, in quel di Bamako, capitaledel Mali, viene installato un tri-bunale. Rappresentanti delle po-polazioni africane pongono sottoaccusa il FMI e la Banca Mon-diale, accusandoli di tutto ciò chenel continente africano è andatostorto. Il cortile diventa tribunale,e mentre accusatori, testimoni edifensori esprimono i loro pareri,

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pittrice Frida Kahlo, per finirepoi alcolizzata nei bassifondidella città e riemergere da quelfango. Un anno fa, a Città delMessico, Chavela concluse la suavita d’artista durata oltre 50 anni.Ed è in Messico che è stato oraprodotto un eccellente CD(compreso di DVD sul making-of ). Dopo oltre 80 incisioni,questa leggendaria sciamana dellamusica ci porge un’eredità, la cui energia emozionale e misticatocca la nostra anima nel piùprofondo.Chavela Vargas: «Cupaima»(Tropical Music GmbH/Edizionimusicali)

Viaggio musicale inNordafrica(er) In estate, al Paléo Festival diNyon, si sono di nuovo sentiti i«Suoni di altrove». E di nuovo,questo viaggio musicale attra-

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solo mondo», tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

Post-diplomaIl Nadel (Studio post-diplomaper paesi in via di sviluppo)dell’ETH di Zurigo organizza,fino a maggio del 2008,i seguenti corsi di formazionecontinua:18.2.-22.2. Progettazione I:introduzione alla pianificazionedi progetti e programmi 25.2.-29.2. Promozione dellapace nell’ambito della coopera-zione internazionale 4.3.-7.3. Urbanizzazione: il rap-porto tra lo sviluppo socio-eco-nomico e risorse ambientali 10.3.-14.3. Promoting moreSustainable Livelihood:Approaches and Practices31.3.-4.4. Promozione del settoreprivato 7.4.-11.4. Monitoring I: gestionedi progetti e programmi nell’am-bito della cooperazione allo svi-luppo 15.4.-18.4. Cultura e sviluppo 21.4.-25.4.Valutazione di risultatie processi originati da progetti eprogrammi 28.4.-30.4. Sviluppo industrialeed ambiente 5.5.-9.5.Training per moderatricie moderatori 13.5.-16.5. Introduzione al ma-nagement finanziario di progettidi sviluppo 19.5.-23.5. OE I: Sviluppo organizzativo nell’ambito dellacooperazione allo sviluppo26.5.-30.5. Monitoring II:Gestione mirata al risultato a livello di programmi settoriali e nazionali.Termine d’iscrizione: 1 meseprima dell’inizio dello specificocorso.Informazioni e formulari d’iscri-zione: Politecnico Zurigo,Segretariato Nadel,VOB B 12,8092 Zurigo,tel. 044 632 42 40;www.nadel.ethz.ch;Mail:[email protected]

I Balcani al centro di 19 inter-viste(bf ) Che cosa è successo dopo ladisgregazione dello Stato mul-tietnico che era un tempo laIugoslavia? Che cosa pensano gliintellettuali del loro paese, dellaregione, della guerra? Cosa offreil futuro? Il libro «Dieses Schicksalunterschreibe ich nicht», di RenéHolenstein, capo della SezioneGouvernance della DSC, gettaun molteplice sguardo su passato,presente e futuro della regionebalcanica. L’impegno fornito dai19 intervistati – giornalisti, scrit-tori, gente di teatro, avvocatesse eteologhi, filosofi e sociologi ori-ginari di Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo – è dedi-cato a contesti quali i dirittiumani e la democrazia, la storia e la condizione della donna, oltrea cultura, religione, identità na-zionale e globalizzazione. I riferi-menti trasversali tra i singoli colloqui permettono di capire,come gli intellettuali cooperas-sero ai tempi dell’ex Iugoslavia.René Holenstein ha condotto lamaggior parte dei colloqui fra il2005 ed il 2006. Il libro contieneuna postfazione di Carla DelPonte, già procuratrice capo delTribunale Penale Internazionaledelle Nazioni Unite dell’Aia, im-pegnata nei processi per criminidi guerra nell’ex Iugoslavia.«Dieses Schicksal unterschreibe ichnicht» di René Holenstein, EdizioniChronos, 2007(non è disponibile initaliano)

Disparità ed emarginazione(bf ) In molti paesi, siano essi invia di sviluppo o industrializzati,tensioni sociali e spaccature,emarginazione e tendenze xeno-fobe devastano in maniera cre-scente ogni senso civico e raffor-zano gli interessi di parte. Conuno sfondo di tal fatta, gli attualidibattiti su una «Nuova societàclassista», un «Nuovo ceto basso»o sulla «Paura del ceto medio»non sono certo sorprendenti. Essi

aprono a quesiti sulle disparità el’emarginazione, richiedonoun’analisi critica della società estimolano un nuovo concetto diclasse e di disparità dei sessi. Il se-mestrale svizzero «Widerspruch»affronta nella sua pubblicazionepiù recente, intitolata «Disparità,emarginazione e giustizia so-ciale», proprio questi temi. Ecome di consueto «Widerspruch»lo fa con vigore ed impegno pre-sentando molteplici testi di cele-bri autori.«Widerspruch 52: Ungleichheit,Ausgrenzung und sozialeGerechtigkeit», in libreria o presso:Widerspruch, casella postale, Zurigo;tel./fax. 044 273 03 02;www.widerspruch.ch

Racconti di bambine indianesfuggite alla morte(bf ) Da oltre due decenni, il fotografo Fazal Sheikh – nato a New York nel 1965 – docu-menta, con eccezionali foto e reportage il destino dei profughinell’Africa orientale, in Sud-america ed in Asia. Per il suo im-pegno a favore dei diritti umani,Fazal Sheikh ha ricevuto diversiriconoscimenti internazionali edimportanti premi. Fra l’altro, haricevuto nel 2005 uno dei piùambiti riconoscimenti destinati a fotografi, il Premio Henri-Cartier-Bresson. Nel suo libropiù recente, «Ladli» («Amata fi-glia» in hindi), il figlio di padrekeniano e di madre americanaporta avanti le sue ricerche sullacondizione delle donne e delle

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la vita intorno continua tran-quilla, come se niente fosse. Così,in questo appassionante film si finisce per dibattere, in modo genuino, su come il Nord delmondo si comporta con il suoSud. Una sottile opera didatticache non si riferisce solo all’Africa.Il DVD è accompagnato da uninserto speciale e da un lungocolloquio.Ordinazioni ed informazioni:056 430 12 30 oppure:www.trigon-film.org (bambara/fran-cese, sottotitoli in tedesco e francese)

Risparmiare a Dakar È con la realizzazione di comu-nità di risparmio – le cosiddettetontine – che le donne senegalesihanno reagito alla vigente crisieconomica. Il sistema di rispar-mio, che prevede che ogni socioversi regolarmente piccolesomme, consente ai partecipantidi poter disporre, di tempo intempo, di importi consistenti. Permezzo di questo vincente stru-mento di microfinanza, utilizzatoanche in altri paesi in via di svi-luppo, molte donne si sono ga-rantite nuove fonti di guadagnoo hanno fondato piccole imprese.Nello stesso tempo, contribui-scono notevolmente al sostenta-mento della famiglia. Il filmspiega il funzionamento delle co-munità di risparmio, dà la parolaalle partecipanti e illustra la vitaquotidiana delle donne nella ca-pitale del Senagal Dakar.Tontine femminili a Dakar; docu-mentario di Elisa Mereghetti,Senegal 2000, DVD, 19’, a partireda 16 anni. Distribuzione / Vendita:tel.: +41 (0)91 966 14 06,[email protected];Informazioni: Servizio «Film per un

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ragazze in India. Le storie rac-contate sono scioccanti: ancoraoggi, in India, vengono effettuatimigliaia di aborti soltanto perchéil feto è di sesso femminile; mi-gliaia di ragazze vengono violen-tate o spinte alla prostituzione.Una campagna attualmente incorso in India stima a oltre 50milioni il numero di ragazze uccise… Fazal Sheikh – che vivea Zurigo, New York ed in Kenya– racconta con eccezionali foto etesti commoventi i destini dellesopravvissute a questa catastrofe:piccole ragazze negli orfanotrofiindiani.«Ladli» di Fazal Sheikh; Steidl,Göttingen 2007 (disponibile solo ininglese)

La malattia dell’islam(bf ) «Fa parte dei doveri delloscrittore indicare alla propriagente gli errori che commette.Desidero cosi tornare alle mieorigini», afferma AbdelwahabMeddeb, nato a Tunisi nel 1946,non è soltanto uno dei massimirappresentanti della letteraturafrancese di origine araba, bensìanche uno dei maggiori conosci-tori dell’islam. Con il suo libro«La malattia dell’islam» si mettealla ricerca delle cause che hannoportato il fondamentalismo nell’islam.Anche se il libro è apparso già nel 2002 in francese,non ha perso niente della sua at-tualità. Con grande competenzamette a nudo l’antica tradizionedella tolleranza islamica ed ana-lizza gli attuali problemi delmondo musulmano. Nella suacoraggiosa ed appassionata difesa,

che si oppone all’autodistruzionedella civiltà musulmana ed all’e-marginazione da parte dell’occi-dente, Meddeb punta molto suun islam tollerante, che di certosaprà confrontarsi con la sfidaposta dalla ricerca di chiarezza.«La malattia dell’islam», diAbdelwahab Meddeb, BollatiBoringhieri editore, 2003

La lunga lotta delle donne ( jls) È da qualche decennio che le donne di tutto il mondohanno preso a tessere legami,organizzare scambi e dare allaloro lotta una struttura coerente.Il movimento mondiale delledonne è una realtà, affermaPeggy Antrobus, economista natain Giamaica. La scuola di pen-siero si è organizzata a partire da-gli anni ’70, in gran parte sotto lespinte delle femministe del Sud edelle donne di colore americane.Oggi è in grado di evidenziarenuovi punti di vista orientati allelotte per la pace e la giustizia so-ciale in corso in varie parti delmondo. In un suo recente libro,Peggy Antrobus rintraccia le ori-gini di un movimento in seno alquale lei fu una delle pioniere;ne descrive l’estrema diversità, gli

obiettivi e le strategie, così comele contraddizioni e le lacune. Unmovimento che si è nutrito deldecennio che l’ONU ha dedi-cato alla donna (1975-1985), cheha permesso di riunire militantidelle più disparate origini ed hapreso vigore nel corso dellegrandi conferenze dell’ONU durante gli anni ’90.Peggy Antrobus: «Le mouvementmondial des femmes», coll. EnjeuxPlanète, Éditions d’en bas, Losanna,2007, (non è disponibile in italiano)

Un pianeta in degrado(bf ) Professore di storia e socio-logo Mike Davis è conosciutonella sua terra nel sud dellaCalifornia, per le sue ricerchesulle strutture sociali e lo svi-luppo urbano. Mike Davis è rite-nuto uno dei più acuti intellet-tuali degli Stati Uniti. Nel suopiù recente, ambizioso e sconvol-gente libro, «Il pianeta deglislum», prende in esame la storiadegli insediamenti umani, par-tendo dalla constatazione cheoggi nel mondo, per la primavolta, vivono più persone nelle

città che non nelle campagne, eun cittadino su sei vive in unabidonville. I crescenti quartieripoveri sono, secondo Davis, lecosiddette «Failed Cities» delterzo mondo e, conformementea ciò, anche i campi di battagliadel XXI secolo. È in queste«Failed Cities» – dalla traboc-cante Barricadas di Lima fino allediscariche abusive di Manila –che Mike Davis getta lo sguardo.Ma non c’è solo questo: provoca-torio ed ispirato, come l’intero libro, l’autore collega quei luoghisconvolgenti alle cosiddette gatedcommunities, i quartieri blindatidei ricchi, che di recente sono ad esempio stati realizzati anche a Londra.«Il pianeta degli slum», di MikeDavis; Serie Bianca Feltrinelli

Gli specialisti del DFAE avostra disposizione Desiderate avere informazioni di prima mano sulla la politicaestera svizzera? Esperti ed espertedel Dipartimento federale degliaffari esteri (DFAE) si mettono adisposizione di classi scolastiche,associazioni ed istituzioni conconferenze e dibattiti riguardantinumerosi temi di politica estera.Tale servizio è gratis, tuttavia puòoffrire le sue prestazioni soltantoin Svizzera e con un minimo di30 persone presenti all’evento.Ulteriori informazioni:Vortragsservice DFAE, Servizio in-formazioni, Bundeshaus West,3003 Berna; tel. 031 322 31 53 o 031 322 35 80;fax 031 324 90 47/48;e-mail: [email protected]

Un solo mondo n.4 / Dicembre 2007 35

Servizio

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Joachim Ahrens (ahj) Antonella Simonetti (sia)Jean Philippe Jutzi (juj)

Barbara Fournier (for)Thomas Jenatsch (jtm)Beat Felber (bf)Andreas Stauffer (sfx)

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: Mermod SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione della redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DSC, Media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031322 44 12Fax 031324 13 48E-mail: [email protected]

860167653

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 56’500

Copertina: Varsavia: Edgar Rodtmann/laif

ISSN 1661-1683

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Nella prossima edizione:

Migrazione e sviluppo: mentre un tempo si tentava di impedire i flussi migratori a qualsiasi costo, oggi ci si interessa soprattutto degli aspetti positivi delle migrazioni. Il tema suscita ancora intensi dibattiti internazionali, ma le prospettive sono radicalmente cambiate. Un dossier sui potenziali di questo fenomeno globale.

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