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N. 1 MARZO 2007 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Un seul monde Eine Welt Un solo mondo www.dsc.admin.ch Tempi migliori per la regione dei Grandi Laghi? Sierra Leone: diamanti e povertà Kenia: elementi chiave per l’autosufficienza di un progetto

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N. 1MARZO 2007LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

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Tempi migliori per la regione dei Grandi Laghi?Sierra Leone: diamanti e povertàKenia: elementi chiave per l’autosufficienza di un progetto

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Sommario

DOSSIER

DSC

ORIZZONTI

FORUM

Un solo mondo n.1 / Marzo 20072

I GRANDI LAGHI Una regione inizia a sognare un futuro comune Nel cuore dell’Africa, nella regione dei Grandi Laghi, devastata per anni da crisi e guerre, vige finalmente un prudente ottimismo

6Aiuto, sviluppo e promozione della pace Tre strumenti di politica estera svizzera messi in attosimultaneamente nella stessa regione

12Tempo, pazienza e perseveranzaA colloquio con Ibrahima Fall, delegato speciale del segretario generale dell’Onu per la regione dei Grandi Laghi

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SIERRA LEONEDiamanti e tuguri All’indomani dell’indipendenza, la Sierra Leone è affondatanell’instabilità politica cronica e la povertà regna sovrana

16Il coraggio di chiamare le cose con il loro nome Williette John illustra quanto sia difficile fare la giornalista nella Sierra Leone

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Prospettive per il domani – prospettive di vitaWalter Fust, direttore della DSC, sulla gioventù quale target

21Ciad, dividere con i profughi le magre risorse La Svizzera si attiva affinché gli aiuti internazionali per i profughi sudanesi approdati nel Ciad orientale portino un beneficio anche alla popolazione autoctona

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«Elefanti bianchi»? No, grazie!Due progetti di cooperazione in Kenia, autosufficienti da molti anni, illustrano cosa occorre per garantire il successo anche dopo il ritiro dei donatori

26Di chi è il mare? La scrittrice vietnamita Phan Thi Vang Anh riflette sulledifferenze di classe nel suo paese

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Una finestra aperta su altre culture «Visions Sud Est» non sostiene solo finanziariamente i film del Sud e dell’Est, ma garantisce anche laproiezione in Svizzera

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Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cos’è... un messaggio o un credito quadro? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertantonon esprimono sempre il punto di vista della DSC e delle autorità federali.

Raccontare per cambiareIn Nepal, giovanissimi giornalisti pubblicano con successo un loro giornale murale

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CULTURA

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Rimangono otto anni per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo

del Millennio (OSM). Nel 2000, la comunità degli Stati si era

prefissata di dimezzare la povertà entro il 2015. Questo

obiettivo può essere raggiunto solo creando una vasta al-

leanza fra uomini e donne di tutti i continenti, quali che sia-

no la loro età e la loro professione. In seno all’amministra-

zione federale, ad occuparsi degli OSM, sono soprattutto

le collaboratrici e i collaboratori della DSC e della Divisio-

ne cooperazione economica allo sviluppo del SECO. Ma an-

che negli altri sei dipartimenti i dipendenti dello Stato lavo-

rano in questa direzione.

Facendo parte del Dipartimento federale degli affari

esteri, la DSC ha ricevuto dal Parlamento e dal Consiglio

federale, il mandato di coordinare a livello federale gli sfor-

zi compiuti dalla Svizzera ufficiale in materia di cooperazione

allo sviluppo e aiuto umanitario. Noi cerchiamo di assol-

vere bene questo mandato. Ci coordiniamo con altri paesi

donatori e paesi partner, le istanze dell’ONU, le organizza-

zioni non governative svizzere e internazionali, nonché l’am-

ministrazione federale. Svolgendo i nostri compiti possia-

mo certo commettere anche degli errori. Per evitarli sotto-

poniamo le nostre attività ogni cinque anni all’esame di

agenzie partner internazionali. Anche il parlamento verifica

periodicamente le nostre finanze e la nostra gestione. Sono

controlli importanti e necessari. Siamo contenti che la mag-

gior parte delle varie verifiche si concludano per noi con un

esito positivo, certificandoci efficienza, conoscenza della

materia e un’impostazione sostenibile.

A livello internazionale e nazionale si svolgono sempre più

dibattiti pubblici sul senso della cooperazione allo svilup-

po. Si tratta di un’ottima cosa, visto che la globalizzazione

mette a nudo le interrelazioni, le influenze e gli effetti del-

l’agire umano in tutte le parti del pianeta. All’interno del vil-

laggio globale, la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto uma-

nitario della Svizzera si applicano per migliorare la vita

della gente nei quartieri più poveri. Nel contempo, siamo

convinti di contribuire in questo modo anche al futuro be-

nessere della Svizzera.

Per terminare ci preme esprimere un sentito ringraziamen-

to. Gentile lettrice, cortese lettore, speriamo che la lettura

di «Un solo mondo» vi abbia fatto conoscere per sommi capi

la nostra attività e il dibattito internazionale in materia di co-

operazione allo sviluppo. Gli articoli sono scritti principal-

mente dalle giornaliste Gabriela Neuhaus, Maria Roselli e

Jane-Lise Schneeberger, mentre il coordinamento redazio-

nale e la produzione sono assicurati da Beat Felber. Molte

reazioni esterne continuano a confermarci che questi quat-

tro giornalisti stanno svolgendo un ottimo lavoro. Riesco-

no infatti a presentare in modo facilmente comprensibile dei

contenuti oltremodo complessi, garantendo la necessaria

obiettività che noi, collaboratrici e collaboratori della DSC,

non saremmo ovviamente in grado di assicurare per ragio-

ni facilmente intuibili. Al quartetto, nonché alle altre autrici

e agli altri autori esprimiamo per una volta pubblicamente

i nostri sentiti ringraziamenti.

Harry Sivec

Capo Media e comunicazione DSC

(Tradotto dal tedesco)

Mantenere la rotta

Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 3

Editoriale

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Una storia di successo dinome MD2(bf ) Per il Ghana, la coltura del-l’ananas si è tradotta negli ultimianni in una storia di successodella quale profittano segnata-mente anche le frange poveredella popolazione.All’inizio de-gli anni Ottanta, l’esportazionedi ananas verso l’Europa am-montava a appena 2 mila ton-nellate l’anno, nel 2006 si è pas-sati a oltre 50 mila tonnellate.Anni fa, infatti, i supermercatieuropei hanno iniziato a richie-dere la nuova varietà MD2, disapore più dolce e consistenzapiù delicata, che fin allora nonveniva coltivata in Ghana. Il go-verno ghaniano lanciò così unprogramma di 2 milioni di dol-lari statunitensi per coltivare nelpaese la MD2. Nel contempoelaborò una strategia di sviluppoper il settore privato e un pianod’azione che consentì di erogarecrediti ai piccoli contadini affin-ché sostituissero le piante finoad allora coltivate, di migliorarele vie di comunicazione, nonchéle possibilità di stoccaggio. Datoche in Ghana circa l’80 percento della povertà si concentranelle aree rurali, l’ammoderna-mento dell’agricoltura è irri-nunciabile per lo sviluppo delpaese.

Lettere volanti (bf ) In Africa, finora, solo chidisponeva di ottime conoscenze

delle lingue straniere poteva accedere alle nuove tecnologiedell’informazione e della comu-nicazione. Ora, da quando i pro-duttori giudicano il continenteun mercato promettente, svilup-pano anche dei software nellelingue nazionali locali. Nel2004, anno in cui lo swahili èstato scelto dall’Unione africanaquale lingua ufficiale, Google, lapiù famosa interfaccia software,non ha tardato ad offrire una sua versione in questa lingua.I 100 milioni di potenzialiutenti dell’Africa orientale ecentrale hanno così la possibilitàdi leggere termini come «baruapepe» (lettere volanti) per e-mailoppure «panya» per mouse neiprogrammi e supporti on-line.Anche per la Microsoft, leaderdel ramo, l’Africa rappresenta ilmercato dalla crescita più rapida.Lo scorso anno ha firmato con-

tratti di cooperazione con diecigoverni africani per promuoverescuole e centri di formazione.Nel contempo, sta lavorandosulle prossime grandi aree lin-guistiche per offrire i suoi pro-dotti in versione locale: zulù inSudafrica e hausa in Nigeria.

Un emigrato in Europa perdieci in Africa( jls) Le migrazioni interregionalinell’Africa occidentale superanodi dieci volte quelle versol’Europa: per 770 mila emigratiche vivono in Europa se necontano 7,5 milioni che vivonoin altri paesi di quella regioned’Africa. Il fenomeno trova unaspiegazione nella forte crescitadella popolazione, la quale è tri-plicata in 45 anni fino a raggiun-gere i 290 milioni di abitanti.L’esodo rurale ha decuplicato ilnumero degli abitanti delle città.Le zone desertiche del Sahel sisono vuotate a vantaggio delleregioni costiere. Questa grandemobilità delle popolazioni èstata facilitata dalla libera circo-lazione delle persone in seno allaComunità economica degli Statidell’Africa occidentale. I flussimigratori non rallenteranno ve-rosimilmente nel corso dei pros-simi decenni. Solo una piccolis-sima minoranza dei migrantipartirà per l’Europa e l’America.La maggior parte si installerà soprattutto nelle città della re-

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gione, in particolare nelle cittàsecondarie, e nelle aree ruralipoco popolate, segnatamenteladdove l’oncocercosi (cecitàfluviale) è stata debellata di re-cente.

Riso resistente alle inonda-zioni (bf ) Il riso è un alimento di baseper oltre tre miliardi di persone.Molte varietà di riso crescono ameraviglia nelle risaie piened’acqua, tuttavia anche questevarietà non sopravvivrebbero auna vera inondazione per più diqualche giorno. Ogni anno, glialluvioni e le inondazioni sonoin aumento nel mondo, e cau-sano danni alle coltivazioni diriso per circa un miliardo didollari statunitensi.A pagarne le spese sono oltre 70 milioni di contadini, la maggior partedei quali vive nei paesi in via di sviluppo. Ora, ricercatoridell’Istituto internazionale di

ricerca sul riso IRRI di LosBaños presso Manila, nelleFilippine, e dell’Università dellaCalifornia hanno identificato nelcorso di un progetto di ricercacomune un gene che permetteal riso di sopravvivere sott’acquaper un certo periodo di temposenza subire un calo sensibile

della resa. Il gene è quindi statoimpiantato nella varietà di riso«Swarna», coltivata in India e nelBangladesh. I primi esperimentisono promettenti, visto che lepiantine sono sopravissute percirca 15 giorni sott’acqua, man-tenendo la loro elevata resa e leloro caratteristiche qualitative.

Investire nei giovani(bf ) Secondo le più recenti cifre,nei paesi più poveri l’88 percento dei bambini frequentanola scuola elementare, mentre nel1970 erano solo il 50 per cento.E mai prima d’ora, stando alRapporto mondiale sullo svi-luppo 2007 elaborato dallaBanca mondiale e dal Fondomonetario internazionale, lapercentuale dei giovani dai 15 ai24 anni è stata così alta nella po-polazione. Perciò vi sarebberoottime probabilità di strappare i paesi in via di sviluppo alla povertà investendo nella nuova

Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 5

Omnibus

generazione. Secondo i calcoli effettuati per il Kenia, un pro-gramma di formazione realiz-zato sull’arco di 30 anni genere-rebbe un utile economico didue a tre volte superiore ai costi.Gli autori del rapporto spezzanoinoltre una lancia a favore di unaliberalizzazione del commercioe del mercato del lavoro, da rea-lizzare in parallelo, e affermanoinoltre che occorre motivare igiovani e i genitori a investirenel loro proprio futuro. Questapossibilità storica si presentaperò solo per un breve lasso di tempo prima che il numeroda primato dei giovani riprendaa decrescere. I paesi incapaci di cogliere l’occasione che sipresenta in questo periodo,rischiano di veder aumentare infuturo ancor più il loro distaccorispetto allo sviluppo economicomondiale.

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Una regione inizia a sognare

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Si annunciano tempi migliori per la regione dei Grandi Laghi, nel cuore dell’A-frica, devastata da crisi e guerre? Svariati segni lasciano intravedere perlome-no la volontà di risolvere, consensualmente e con un’attitudine transnazionale,i problemi comuni. Questi indizi consentono di sperare che la regione possa usci-re dalle miserie che hanno guastato l’ultimo decennio. Di Peter Baumgartner*.

Ruanda

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Grandi Laghi

un futuro comune

Per lunghi anni, sul fianco di una capanna di la-miera, sul bordo della strada di confine che portadalla capitale del Burundi Bujumbura fino alla cit-tadina congolese di Uvira, si poteva leggere unascritta: «Pas de guerre = paix». La scritta ricorda loslogan con il quale, durante i primi anni ’80, cen-tinaia di migliaia di manifestanti protestavano,nel-

le capitali d’Europa,contro la diffusione delle arminucleari:«Niente guerra non significa ancora pace!»La definizione di un concetto è anche una que-stione di stato d’animo. Nella regione africana deiGrandi Laghi milioni di persone si ritengono for-tunate per il semplice fatto che le armi tacciono.Negli ultimi quindici anni, a causa dei suoi con-flitti, nessun altro territorio di questo continente,ha focalizzato su di sé l’attenzione dell’opinionepubblica mondiale come la regione dei Grandi La-ghi (vedi cartina) – suscitando interventi umanita-ri e dell’Onu,e dando copiosi motivi di critica agli«afropessimisti».Con i suoi laghi, le montagne, le foreste ed il dol-ce paesaggio collinoso, i villaggi e le cittadine im-merse in un clima temperato, questa regione è frale più incantevoli dell’Africa.

Lotta per il predominio regionaleNegli scorsi 15 anni, in questa regione, moltissimepersone sono morte in seguito ad atti di violenzao come conseguenza indiretta di conflitti armati;molte di più di quante hanno trovato la morte intutte le guerre combattute in Africa dai tempi del-l’indipendenza,all’inizio degli anni ’60.Anche conun conteggio prudente, si superano i 5 milioni.Le cause di questa tragedia transnazionale nonsono da vedere unicamente nelle tensioni etnichescaturite, in Ruanda, dal genocidio del 1994 checausò la morte di 800 mila appartenenti alla mi-noranza etnica dei Tutsi, e nemmeno nel desideriodi appropriarsi dei tesori naturali del Congo, tan-to meno nell’incapacità operativa del decadutoStato dello Zaire, come l’attuale Repubblica De-mocratica del Congo si chiamava ai tempi del dit-tatore cleptomane Mobuto Sese Seko. Fu verosi-milmente l’effetto combinato di questi fattori, cosìcome il contrasto tra Ruanda ed Uganda per il pre-dominio regionale, a provocare in questa regione,caratterizzata da una complessa struttura sociale,politica,economica ed etnica, la catastrofe.Ciò cheè successo in questo territorio di confine, ha fini-to per avere inevitabili conseguenze sui confinan-ti;conseguentemente,soluzioni di pace a lungo ter-mine ed il sostegno alla ricostruzione costringonoad un approccio regionale.

Scongiurato l’ampliamento etnico delconflitto Al momento – nonostante le incertezze in meri-to alle reazioni alle elezioni presidenziali in Con-go – non è possibile ignorare i sintomi di disten-sione e stabilizzazione che ci vengono dalla regio-ne dei Grandi Laghi. Un indizio significativo è da

I più celebri suonatori ditamburo dell’AfricaNel loro campo, sono indi-scutibilmente i maestri: iBatimbos, i celebri suona-tori di tamburo del Burundi.Certo, all’ascolto l’orecchione esce discretamente rin-tronato, ma l’abilità ritmicamanuale sulla pelle tesadel tamburo affascina,quasi quanto la perfezionedegli esercizi acrobatici coni quali il suonatore accom-pagna le sue percussioni.Questi tamburi rappresen-tano un’importante ereditàculturale del Burundi, esono fatti con il legno del-l’albero dell’umuvugan-goma, che tradotto lette-ralmente significa: il legnoche dà al tamburo la suarisonanza. In altri tempi, itamburi erano sacri e, conil re, rappresentavano ilsimbolo della fertilità e delbenessere, suscitando ov-vie riflessioni: la pelle per i pannolini del bambino, ipiedi per il petto della ma-dre e le rotondità del tam-buro a richiamare quelledel ventre. Soltanto con la fine della guerra civile, i tamburi hanno preso adessere un simbolo dell’u-nità del Burundi. E quandoi Batimbos si spostano al-l’interno del paese, por-tando come da tradizione i tamburi sul capo, la genteli accoglie sempre con ri-spetto e simpatia: qualiveri e propri ambasciatoridi pace.

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vedere nella conferma ufficiale del Ruanda che leminacce, un tempo provenienti da bande di com-battenti di etnia hutu presenti nel Kivu del Sud edel Nord, si sono esaurite.All’indomani del genocidio in Ruanda, nell’estatedel ’94, circa 700 mila hutu ruandesi si rifugiaro-no, per timore di rappresaglie, nei territori di con-fine dello Zaire.Fra costoro,si trovavano anche de-cine di migliaia di membri delle famigerate mili-zie Interahamwe, che si erano particolarmentedistinte nel tentato sterminio dei tutsi del Ruan-da, così come vi erano anche ex appartenenti al-l’esercito ruandese. Presto si verficarono attacchicontro i tutsi nella fascia di confine congolese.Cosache trasformò il conflitto etnico ruandese in unaguerra regionale: le bande hutu presero ad attac-care in territorio ugandese e ruandese.Questa latente minaccia rappresentò l’occasione di-retta che portò nel 1996 all’eliminazione del regi-me di Mobutu e, in un certo qual modo,anche allaseconda (fallita) ribellione, nel 1998, contro il suosuccessore Laurent Kabila, entrambe sostenute da

Ruanda ed Uganda. Esse scaturivano dall’interes-se per le risorse minerarie del Congo. Secondo unrapporto Onu, il Ruanda finanziò la guerra e l’oc-cupazione del Kivu con lo sfruttamento illegale delcoltan (un minerale metallico) congolese, mentrei vertici dell’esercito ugandese si arricchirono allagrande con le miniere di oro e diamanti così comecon l’abbattimento di legname prezioso.

La ripresa di Ruanda e BurundiSe misurata sugli avvenimenti del 1994, la ripresadel Ruanda appare davvero notevole, e non solodal punto di vista dello sviluppo economico (2006:+ 5,2 per cento). La nazione è consapevolmenteintenta a rimuovere dalla propria coscienza collet-tiva, una volta per tutte, le dolorose divisioni etni-che del paese in hutu e tutsi. Già il semplice ac-cenno ad una ipotetica appartenenza etnica è tabù,e viene perseguito legalmente in quanto atto di «di-visionismo».Nella vita politica, la legge è tuttavia sempre piùusata quale mezzo di repressione contro i critici del

I gorilla portano denaronei villaggi François fa la guida turi-stica nel Parco NazionaleVolcan in Ruanda e satutto sui gorilla. Quandoparla con loro, con tonigutturali e gorgoglianti, equando essi lo guardano,con i loro occhi scuri esenza perdere per unistante di vista i loro pic-coli, che se ne stanno a giocare fra le canne dibambù, allora si compren-dono appieno le parole di François, quando dice:«Durante la guerra, molti si sono occupati delle per-sone; io, mi sono dedicatoai gorilla». E quando, dopoil genocidio in Ruanda,bande armate si portarononella zona montagnosadella regione di Virunga,nel territorio di confine fraCongo, Uganda e Ruanda,ci si incominciò a preoccu-pare per la vita dei gorilla dimontagna. Fu così che leorganizzazioni internazio-nali di protezione degli ani-mali fornirono il supportonecessario, mentre gli abi-tanti del posto si opposeroai bracconieri. I risultati fu-rono promettenti: oggi il turismo nelle riserve deigorilla – condotto in ma-niera sensibile e con note-voli limitazioni – rappre-senta un’importante fonteeconomica per i villaggi cir-costanti. Particolarmente positivo è il fatto che oggila popolazione di gorilla dimontagna è salita a circa700 esemplari.

I conflitti armati lascianoovunque le loro tracce: orfani di guerra in Ruanda,guerriglieri nella Repub-blica Democratica delCongo e rifugiati hutu sullavia del ritorno dal Ruanda

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 9

Grandi Laghi

regime e i giornalisti. Malgrado il consenso di cuigode il governo,non si può ignorare che siano unamanciata di persone vicine al presidente Paul Ka-game a determinare l’andamento del paese, men-tre le redini dell’economia sono in mano ai tutsirientrati, che celebrano apertamente la loro posi-zione di favore.Eventi analoghi vi furono nel Burundi che comeil Ruanda soffre per la spaccatura etnica (85 percento hutu,14 per cento tutsi).Da marzo del 2006si è ufficialmente conclusa la sanguinosa guerra ci-vile cominciata nel 1993, che ha causato 300 milamorti. La divisione del potere fra le etnie è statafatta sulla base di una raffinata chiave di ripartizio-ne, che rispetta sia la situazione maggioritaria de-gli hutu,sia le esigenze di sicurezza della minoranzatutsi.Una pace fragile, insidiata dai falchi di entrambe leetnie. Ciononostante, da quando le armi tacciono,molti contadini lasciano i campi profughi e, pienidi speranza, tornano ai loro terreni di collina, cer-cando l’inizio di una nuova, normale esistenza.

Molte persone, poca terra Ciò che assilla entrambi gli Stati, ma non è pub-blicamente discusso perché considerato etnica-mente sensibile, è lo sviluppo demografico. IlRuanda è il paese più popolato d’Africa (355 abi-tanti per kmq; Svizzera 182), seguito dal Burundi.In questi due paesi, sulle superfici agricole inten-sivamente coltivate si accalcano fino a 500 perso-ne per chilometro quadrato; un numero conside-revole per paesi che dipendono per il 90 per cen-to dall’agricoltura. Così, lo sguardo si orienta,desideroso, verso il vicino Congo, che con i suoi21 abitanti per chilometro quadrato appare quasidesertico, considerando inoltre che i due Kivu –economicamente e, un po’ anche culturalmente –sono orientati più verso Ruanda e Burundi chenon verso il territorio occidentale del Congo. Si-tuazione pressoché forzata, in quanto durante il do-minio di Mobutu, le strade che portavano ad Ovestsi sono trasformate in giungla.Un viaggio sui 1200chilometri che portano nella capitale Kinshasa puòdurare anche un mese.

RD Congo

Tanzania

Zambia

Uganda

Kampala

Lago Vittoria

Lago Alberto

Lago Edoardo

Lago Kivu

Lago Tanganica

Lago Mweru

Kigali

Bujumbura

Dar es Salaam

Kenia

Ruanda

Burundi

Niente supera il matoke!In Uganda, il migliore risto-rante potrebbe anche ser-vire le più raffinate squisi-tezze internazionali,montagne di patatine fritte,riso e pasta con tanto disalse, ma se la carta noncontempla il matoke, allorasono guai per il ristoratore.Il matoke è la banana dacuocere, il frutto della MusaParadisiaca, ed è un ali-mento di base in Uganda,così popolare come nel vi-cino Kenya è l’ugali, il purèdi mais. Non c’è nemmenouna casa, in Uganda, da-vanti alla quale non cre-scano almeno un paio dipiante di matoke. Poi, lo siserve, al vapore, cucinatocome un purè di patate, arrosto o alla griglia: unpranzo senza matoke inUganda non è un veropranzo. Quest’anno, inUganda saranno raccolte9,4 milioni di tonnellate dimatoke. La leggenda diceche Kintu, il primo abitantedella Terra in assoluto, viaveva portato il matoke.Ovviamente, non soltanto in Uganda: nel vastissimobacino idrografico del fiumeCongo, il frutto è chiamatomakemba e se arriva incasa un ospite inatteso enon si sa cosa offrirgli, simette subito mano al ma-toke: due banane rapida-mente arrostite e l’acco-glienza è pressoché perfetta.

Regione dei GrandiLaghi

Burundi, Bujumbura8,1 milioni di abitanti25650 km2

RD Congo, Kinshasa62,6 milioni di abitanti2267600 km2

Ruanda, Kigali8,6 milioni di abitanti24 948 km2

Tanzania, Dar es Salaam37,4 milioni di abitanti886037 km2

Uganda, Kampala28,2 milioni di abitanti199710 km2

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Già le autorità coloniali belghe avevano stimolatol’immigrazione da Ruanda e Burundi. Nel 1960,nel Kivu del Nord più del 50 per cento degli abi-tanti era di origine ruandese,mentre nel sud lo erail 25. I tre decenni successivi portarono un incre-mento nel flusso di rifugiati da Ruanda e Burun-di, ed anche se soltanto raramente si giunse a con-flitti, l’immigrazione causò pregiudizi nei con-fronti del Ruanda.Quando poi,nel 1998,divampòin Congo la seconda rivolta, e questa volta controLaurent Kabila, e si giunse all’occupazione dei dueKivu, per gli abitanti della regione fu evidente chetutto ciò fosse il tentativo dei tutsi ruandesi di farrisorgere il loro antico regno ed estendere ai dueterritori Kivu il territorio nazionale ruandese.

Partner litigiosiDurante la seconda guerra del Congo (1998-2003),i due Kivu e l’Ituri sprofondarono nell’anarchia. Incerti momenti si giunse a contare più di due doz-zine di differenti gruppi armati in lotta gli uni con-tro gli altri, con conseguenze devastanti per la po-polazione. Era una guerra di tutti contro tutti, peril potere, il prestigio e le risorse minerarie. Qualeulteriore inasprimento della situazione si rivelò larottura dell’alleanza tra Ruanda e Uganda. I dueStati, non solo si affrontarono in armi in territoriocongolese, ma – all’insegna di «Il nemico del mionemico è mio amico» – fornirono anche suppor-to a diversi gruppi di ribelli nel corso di conflittidelegati, mantenendo con questa tattica, fino adoggi attivo lo stato di agitazione nell’Ituri no-

nostante reciproche assicurazioni.Da allora, nulla è cambiato nell’aspra ostilità fra ilpresidente ugandese Yoweri Museveni ed il suoomologo del Ruanda Kagame.Tuttavia,sembra cheMuseveni, ora intento alla soluzione dei suoi pro-blemi, abbia abbandonato i progetti da grande potenza – costantemente contrastati dal presiden-te Kagame – che serbava per la regione dei Gran-di Laghi. Il ritorno dei contadini, che lasciano icampi profughi per rientrare nei loro villaggi nelnord dell’Uganda è un segno di speranza.

Comprare i capi per siglare l’armistizioCon l’avvento della pace e l’assunzione dei poterida parte del governo di transizione del presidenteKabila, nel giugno del 2003, la Repubblica De-mocratica del Congo ha vissuto un inconfondibi-le rilancio, anche se la popolazione non lo avver-te ancora. Lo sviluppo economico (+ 6 per cento)è da attribuire all’incremento delle esportazioni dimaterie prime, cosa che ha portato ad un notevo-le innalzamento delle entrate fiscali.Rispetto al passato, la situazione del Congo orien-tale appare oggi ben più distesa. Lo Stato centraleriprende lentamente piede nei Kivu e, con mino-re efficacia, anche nell’Ituri.Tutto ciò si deve an-che alla presenza stabilizzante delle truppe Onu -anche se ci sono voluti quattro anni prima che ini-ziassero a svolgere in maniera efficace il loro verocompito,che era la protezione dei civili.L’elementopiù efficace per la pacificazione della regione è sta-to comunque quello di concedere ai capi delle

Un monopattino per carichi pesantiSulle strade secondarie delKivu, nel Congo orientale,è spesso dato di incon-trare veicoli singolari, chefarebbero la loro bella fi-gura in ogni museo regio-nale o dei trasporti. Sonotestimonianze di abilità arti-gianale ed esempi di crea-tività umana intesa a ren-dere meno pesante illavoro: primitivi monopat-tini di legno, o «mobylette»,come vengono chiamatenel Kivu, sono i camion a due ruote del piccolouomo di qui, pesanti e fatti unicamente di legno.Portano agevolmente dueo tre sacchi di patate o ra-dici di yam e possono es-sere usati anche là doveantiche strade sono dive-nute, per mancanza di ma-nutenzione, sentieri quasiimpraticabili. Non facili daguidare e lenti, i monopat-tini vengono perlopiùspinti, con grande fatica.Ciò consente agli adole-scenti – quelli che se nestanno appostati primadelle salite e per qualchecentesimo aiutano a spin-gere il «mobylette» – unpiccolo guadagno supple-mentare.

La gente della regione dei Grandi Laghi guarda al futuro con un prudente ottimismo e riprende lentamente le attività che un tempo facevanoparte della vita quotidiana come ricostruire le case, lavare i panni, trasportare le banane o cercare l’oro

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Grandi Laghi

Secondo stime della Banca mondiale, ci vorranno50 anni alla Repubblica Democratica del Congoper raggiungere nuovamente il livello di sviluppodel 1960, anno dell’indipendenza. Le caute spe-ranze che accompagnano oggi la regione dei Gran-di Laghi si basano su tre progetti di cooperazioneregionale: la Conferenza internazionale della Re-gione dei Grandi Laghi, la Commissione triparti-ta (di cui fanno parte Congo, Ruanda ed Uganda)allargata al Burundi, che è orientata alla ricerca dimisure atte a ricreare una situazione di reciprocafiducia, e infine, i trattati sottoscritti dai tre paesicontro lo sfruttamento abusivo delle risorse mi-nerarie. Se la comunità internazionale fornirà ef-fettivamente l’aiuto promesso, se davvero control-lerà seriamente l’utilizzo delle somme previste perla ricostruzione, e se riuscirà a frenare le attitudinidi sostegno alle attività dei belligeranti sino ad oggievidenziate dai consorzi minerari occidentali, al-lora questo affascinante lembo di terra africana pot-rà finalmente riprendersi dalla tragedia dei suoi ultimi 15 anni di storia. ■

* Peter Baumgartner è stato dal 1994 al 2004 corri-spondente dall’Africa del Tages-Anzeiger di Zurigo.Vive a Nairobi e, dall’aprile del 2005, pubblica, indi-rizzato ai piccoli contadini kenioti, il periodico «The Or-ganic Farmer».

truppe ribelli,e ad altri capobanda,funzioni in senoal governo ed ai vertici dell’esercito, e dunque vi-cini alla fonte economica dello Stato. In altre pa-role, sono stati comprati i capi, per comprarsi an-che il sospirato armistizio; il tutto con il pericolodi non aver soddisfatto le brame di certi caporali,che sentendosi trascurati avrebbero potuto forma-re nuove bande, così come avviene oggi nell’Ituri.In Congo,l’attitudine a comprare l’avversario – chesotto Mobutu era divenuto evento normale – èoggi un fatto istituzionalizzato,come quello di con-siderare lo Stato un dominio privato dei funzio-nari amministrativi. Un comportamento che noncambierà nel prossimo futuro. Nel caso del Con-go orientale, si tratta del prezzo da pagare per qual-cosa di simile alla pace. È un prezzo molto alto seconsiderato che alcuni di costoro, giunti ad averepotere, arricchimento personale e posti ammini-strativi, sarebbero, in qualsiasi Stato di diritto nor-male, chiamati a rispondere per i loro crimini diguerra.

Gli sforzi a livello regionaleIn Congo, le ultime votazioni hanno portato uncambiamento. Gli abitanti hanno potuto capireche non solo con le armi si può ottenere qualco-sa, bensì anche con il voto; e se non questa volta,allora fra cinque o dieci anni.I quattro decenni del-la devastante dittatura di Mobutu ed i cinque annidi guerra civile non possono essere cancellati conun semplice colpo di spugna, sia per quanto ri-guarda l’economia che per le istituzioni politiche.

«Congo River»Il film sulla regione: unviaggio affascinante, emo-zionante, dalla foce finoalla sorgente del fiumeCongo, il maggiore bacinoidrografico del mondo, èstato realizzato con il filmd’essay «Congo River» dal cineasta belga ThierryMichel. La pellicola andrànei cinema dal prossimomarzo. Conosceremo lamitologia del fiume, viven-done il quotidiano con tuttele sue sfumature ed incon-trando leggendarie figure,quelle che hanno scritto lastoria dell’antico cuoredell’Africa: esploratori qualiDavid Livingstone e SirHenry Morton Stanley; i so-vrani dell’epoca colonialecosì come i capi popoloafricani, quali Lumumba,Mobutu e Kabila. Con lasua opera cinematografica,Thierry Michel intende ac-centuare la sua critica alcolonialismo e relativizzarela percezione che noi ab-biamo del continente afri-cano. Il cineasta indagacon la maggiore profonditàpossibile sul passato e suldestino dell’Africa, se-guendo il serpeggiare diquesto fiume che scorreper ben 4374 chilometri.Il calendario delle proie-zioni: www.trigon-film.org

Giovani donne nella Repubblica Democratica del Congo pescano con l’ausilio di una bottiglia e poi puliscono il pesce sul luogo

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L’Aiuto umanitario della DSC è attivo nella re-gione dei Grandi Laghi dal 1994. Ha soccorso levittime del genocidio ruandese, poi quelle delleguerre in Burundi e nella Repubblica democrati-ca del Congo (RDC). Il suo ufficio di Bujumbu-ra, nel Burundi, gestisce oggi un programma re-gionale che verte sul sostegno alle vittime dei con-flitti, il ritorno dei profughi e dei deportati, lasicurezza alimentare e la ricostruzione.Benché nu-merose popolazioni dipendano ancora dagli aiutiumanitari, il contesto attuale permette di lanciarela dinamica dello sviluppo. Il settore Cooperazio-ne allo sviluppo della DSC, che ha potuto ripren-dere le sue attività in Ruanda già nel 1998, ha de-ciso recentemente di dare una portata regionale aquesto programma imperniato sulla salute, il buon-governo e il sostegno ad iniziative regionali.«Que-sto approccio si impone, poiché i conflitti e le di-namiche di sviluppo superano le frontiere nazio-nali. Ora che la situazione si è placata, potremoconcretizzarlo», spiega Yvan Pasteur, incaricato diprogramma per la regione dei Grandi Laghi.La pri-

ma tappa è realizzata nella provincia di Ngozi, nelBurundi: progetti di sostegno alla sanità di basesono stati avviati nello scorso mese di agosto. Setutto va bene, altre azioni prenderanno avvio nel2007 in una provincia del Congo orientale.

Punire i crimini legati al conflitto La Svizzera agisce anche a livello politico per pro-muovere la pace, i diritti umani e prevenire nuoveesplosioni di violenza.Il mandato compete alla Di-visione politica IV del Dipartimento federale de-gli affari esteri,che consolida la sua azione nella re-gione. Dal settembre scorso Marc George, consu-lente per le questioni di sicurezza umana, èdislocato a Bujumbura con la missione di attuareil programma regionale della Divisione politica IV,momentaneamente incentrato sul Burundi: la Sviz-zera sosterrà in particolare il disarmo delle milizie,la raccolta delle armi leggere detenute da civili ela creazione di una Commissione per la verità e lariconciliazione. «Nessun processo di pace può ri-uscire senza un lavoro sul passato. Contrariamente

Incoraggiata dai segnali di normalizzazione della situazione nel-la regione dei Grandi Laghi, la Svizzera completerà il suo in-tervento umanitario lanciando programmi di sviluppo su scalaregionale ed intensificando parallelamente le sue azioni di pro-mozione della pace. Tre strumenti di politica estera svizzera sa-ranno così attuati simultaneamente in questa regione. Di Jane-Lise Schneeberger.

Aiuto, sviluppo e promozione della pace

L’impegno svizzero nel2006Per il 2006 la Svizzera haassegnato alla regione deiGrandi Laghi aiuti per circa46 milioni di franchi, lametà dei quali sotto formadi contributo della Confede-razione alle missioni inter-nazionali di mantenimentodella pace in Burundi enella Repubblica Democra-tica del Congo (RDC).L’aiuto umanitario ha desti-nato 15,2 milioni di franchialle sue operazioni inBurundi, RDC e Uganda.Circa 9 milioni di franchisono stati assegnati al-l’aiuto allo sviluppo, che siconcentra per il momentosu Ruanda e Burundi. 1,1 milioni di franchi sonoinfine serviti a finanziare lemisure civili di promozionedella pace attuate inBurundi ed RDC per il tra-mite della Divisione politicaIV «Sicurezza umana» delDFAE.

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a quanto fatto in Sudafrica, in Burundi queste ini-ziative non dovrebbero limitarsi al perdono e allariconciliazione. I crimini di guerra, quelli control’umanità e il genocidio dovranno essere puniti»,spiega Marc George. Successivamente la Divisio-ne appoggerà anche la giustizia di transizione nelCongo orientale, regione che è stata teatro di in-numerevoli violazioni dei diritti umani. Non pre-vede invece nessun sostegno per i gacaca, i tribu-

nali popolari tradizionali che giudicano i respon-sabili del genocidio in Ruanda. La DSC ha decisonel 2006 di revocare il suo mandato a favore di que-sto processo.

Un ponte verso lo sviluppo Un «quadro di coordinamento» formulato con-giuntamente nel 2006 permette ai tre operatorisvizzeri di sviluppare sinergie, evitare parallelismie garantire la complementarità delle operazioni. Èpiuttosto raro che questi tre strumenti del DFAEintervengano simultaneamente, in maniera con-certata e coordinata. Per Roland Anhorn, respon-sabile dell’Aiuto umanitario nella regione deiGrandi Laghi, tale configurazione è il solo modoper contribuire efficacemente ad una soluzione du-ratura delle crisi: «L’aiuto umanitario porta aiutoalle vittime ed offre loro degli strumenti per riav-viare un’attività economica. Ma non ha alcun in-flusso sulle persone all’origine della guerra. Se gliambienti politici non hanno la volontà di trovaredelle soluzioni,gli operatori umanitari saranno an-

Triplo sostegno alla radio della pace Durante gli anni dellaguerra, la radio era l’unicomass media disponibile nelCongo orientale. Fra leemittenti, Radio Okapi eraquella che offriva la miglioregaranzia d’imparzialità.Creata dalla Missione delleNazioni Unite nel Congo(MONUC) e gestita dallafondazione svizzeraHirondelle, questa rete diradio copre l’intero territo-rio congolese. Nel corsodegli ultimi mesi si è con-centrata sulle elezioni. LaSvizzera versa a RadioOkapi 1 milione di franchil’anno – contributo suddi-viso fra tre attori del DFAE,il cui sostegno è giustificatodai rispettivi mandati. LaDivisione politica IV so-stiene Radio Okapi poichél’emittente ha per voca-zione la diffusione di infor-mazioni sul processo ditransizione, sul consolida-mento della pace e sullosvolgimento delle elezioni.Per l’Aiuto umanitario dellaDSC è essenziale che levittime di una crisi possanoricevere informazioni sullequestioni legate alla sicu-rezza e agli aiuti. Il settoreCooperazione allo sviluppodella DSC ritiene che un’e-mittente indipendente sianecessaria per garantire ildialogo democratico e so-stiene la perpetuazione diRadio Okapi dopo la par-tenza della MONUC e lasua integrazione nel pano-rama mediatico congolese.

Grandi Laghi

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cora sul posto tra dieci anni». Il ritiro degli aiuti diemergenza si prepara già durante la fase di tran-sizione tra la guerra e la pace.«È tempo di costruireun ponte verso lo sviluppo», aggiunge Anhorn.

Proseguire l’aiuto alle vittime degli stupri Senza essere necessariamente presente nelle stesseregioni dell’aiuto umanitario, la cooperazione la-vorerà su problematiche simili. Riprenderà molte

componenti del programma umanitario lanciatonel 2002 per aiutare le donne e le ragazze stupra-te dai soldati.A Ngozi prevede di consolidare il si-stema sanitario affinché sia in grado di assistere levittime sul piano medico e psicosociale.Le componenti giuridiche del programma umani-tario «Donne e bambini vittime di violenze» sa-ranno di competenza sia della cooperazione chedella Divisione politica IV – in base alle loro pe-culiarità. Si tratta, nel caso specifico, di finanziareconsulenti giuridici che aiutano le vittime a per-seguire penalmente i loro aggressori, ma anche diesercitare pressioni politiche affinché la legislazio-ne riconosca il reato di stupro.Occorre altresì rin-forzare le capacità dei tribunali. «La qualità del-l’apparato giudiziario è un aspetto fondamentale»,sottolinea Yvan Pasteur.«A che pro migliorare l’ac-cesso ad una giustizia inefficace?» ■

(Tradotto dal francese)

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Un Solo Mondo: Gli abitanti della regioneorientale della Repubblica Democratica delCongo e quelli dei paesi confinanti Burun-di,Ruanda ed Uganda, sono stanchi di guerrae sognano tempi migliori.Vi sono speranze?

Ibrahima Fall: Sì. In primo luogo perché la co-munità internazionale è pronta ed intenzionata asostenere la pace. Poi, e ciò mi appare ancora piùimportante, perché tali sforzi sono supportati an-che dai movimenti politici di base, dai tre capi diStato Kabila (Congo), Museveni (Uganda) e Ka-game (Ruanda) e dai paesi confinanti che parteci-pano alle trattative…

...anche se tra i tre capi di Stato coinvolti viè una forte ostilità?Non si lasci ingannare dalle uscite pubbliche, so-vente appesantite da parole forti. Oggi sono pos-sibili cose che cinque anni fa apparivano impensa-bili.Vi è più che mai la volontà politica di colla-

borare a livello transfrontaliero nella regione, emolto dipende dai comportamenti della comuni-tà internazionale.

Che dovrebbe impegnarsi ed esercitare unpo’ di pressione?Pressione è una parola un po’ delicata. È meglioparlare di un’ostinata azione tesa a stabilire una col-laborazione regionale. Collaborazione importantesoprattutto in merito ai gruppi di ribelli armati chesi aggirano ancora nel Congo orientale e rappre-sentano un pericolo.

Alcuni di questi gruppi armati sono stru-mentalizzati proprio da questi tre Stati.La nostra attività regionale non punta soltanto suivertici statali bensì anche su un tipo di collabora-zione transnazionale tra parlamenti, organizzazio-ni della società civile ed etnie, alcune delle qualisono state separate dal tracciato dei confini nazio-nali.Dobbiamo gettare ponti intensificando la co-

Dal luglio 2002, il senegalese Ibrahima Fall opera, in qualità didelegato speciale del segretario generale dell’Onu, nella mar-toriata regione dei Grandi Laghi. Svolgere un’attività di me-diazione tra litigiosi capi di Stato, comandanti di truppe ribel-li e capi di bande armate, cercando di portarli al tavolo delletrattative è un compito delicato, che richiede infinita perseve-ranza. Intervista di Peter Baumgartner.

Tempo, pazienza e perseveranza

Ibrahima Fall, con unpercorso personale come ilsuo, si è quasi predestinatiad assolvere compiti nel-l’ambito della devastata re-gione dei Grandi Laghi. Il64enne senegalese è lau-reato in diritto, con specia-lizzazione nel settore deldiritto internazionale ed inquello dei diritti umani.Dopo l’insegnamentopresso l’Università SheikhAnta Diop di Dakar, fu perlunghi anni ministro degliEsteri del Senegal, pas-sando poi a presiedere, dal1992 al 1997, il Centro peri Diritti Umani di Ginevra edoperando successiva-mente in qualità di rappre-sentante del Segretario generale dell’Onu per leistanze politiche. IbrahimaFall è stato coautore dellaCarta per i diritti umani ecivili dell’Organizzazioneper l’Unità africana, l’at-tuale Unione Africana.

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operazione a livello regionale. Gli abitanti di que-ste regioni devono comprendere che una maggio-re, reciproca vicinanza, ed il tentativo di risolvereinsieme i problemi che sono di tutti, può condur-re ad una qualità di vita migliore, anche economi-camente.Ciò significa che si dovrà rendere più at-trattivo possibile quanto finirà per scaturire dallapace. In questo senso, ognuno dei paesi dovrà farela sua parte.

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pubbliche. Lei, in qualità di esperto di dirit-ti umani, può accettare questa situazione?La soluzione di conflitti così rovinosi come quellidel Congo orientale esige che si cammini sul filodel rasoio che separa la pace dalla ricerca della giu-stizia e di una possibile riappacificazione. È im-portante creare subito le condizioni che consenta-no alle persone coinvolte un’esistenza dignitosa,cosa al momento non ancora realizzata. Più in là,

È anche grazie alla presenza delle truppedell’Onu che nellaRepubblica Democraticadel Congo si creano lebasi che permettono allepersone di vivere in mododignitoso

Grandi Laghi

Hanno le capacità economiche per farlo?Fino ad un certo punto,sì.È la loro regione,e dun-que sono loro a dover agire; noi non possiamo, névogliamo, fare tutto il lavoro.Certo,questi paesi sa-ranno, a certe condizioni, da noi aiutati. Il gruppodegli Amici della Regione dei Grandi Laghi,al qua-le appartiene anche la Svizzera, ha assicurato il suoaiuto; la stessa comunità internazionale è sollecita-ta, e risponderà adeguatamente. È nell’interesse ditutti che in questa vasta regione d’Africa regni lapace.

Ma lei accennava anche al concetto di con-dizionalità… …un attimo: mi lasci dire qualcosa. Esistono duetipi di condizionalità.È comunque sbagliato,sia nelcaso in cui gli stati occidentali assicurano un aiutosolo a condizione che poi si acquisti sui loro mer-cati e che alle loro multinazionali siano assegnatiprivilegi commerciali, sia nel caso in cui gli stessiStati arrivino a dire: se voi non fate ciò che vi di-ciamo, allora non vi diamo aiuti di sorta. Dovre-mo dunque trovare un compromesso tra queste po-sizioni estreme.Non dobbiamo perdere di vista l’o-biettivo: il nostro aiuto dovrà essere strutturato inmodo che vada a tutto vantaggio della popolazio-ne. Tutto ciò richiede evidentemente un tipo dicontrollo che sia in grado di vigilare sul miglioreutilizzo possibile degli aiuti finanziari.

In Congo, quelli che furono un tempo i Si-gnori della guerra – responsabili di atroci cri-mini – arrivano oggi agli onori di cariche

sarà sempre possibile perseguire i reati compiuti.Prendiamo ad esempio l’ex presidente liberianoCharles Taylor: soltanto la concessione di un salva-condotto ed il suo espatrio in Nigeria hanno aper-to le porte alla pace in Liberia. Ora, a distanza diqualche anno,Taylor sarà chiamato a rispondere deisuoi atti.

La pace quale principio primario?Sì. Abbiamo una grande responsabilità verso lagiustizia. Ma dobbiamo concedere alla pace unachance, prima che i malfattori vengano chiamati arendere conto dei loro reati; dovremo dapprimaperseguire una certa stabilità. Penso che la gentedel Congo abbia sofferto abbastanza.

Da questo punto di vista, si imporrebbe lapermanenza delle truppe Onu nel Congoorientale, almeno per qualche anno?Certo. Ma la decisione non spetta a me. Dobbia-mo imparare dagli errori fatti in passato. In sei pae-si su dieci devastati da guerre, il conflitto si è ri-presentato in coincidenza con il prematuro ritirodelle truppe dell’Onu; si pensi solo a Timor Est.Sarebbe certo sbagliato affermare che, visto che inCongo ci sono state le elezioni, il governo dispo-ne della legittimazione da parte del popolo, ed al-lora noi possiamo anche andarcene. La soluzionedi conflitti di tale complessità richiede tempo, pa-zienza e perseveranza. ■

(Tradotto dall’inglese)

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La Sierra Leone è un paese particolare – non soltanto per gliabbondanti giacimenti di diamanti o l’attrattiva turistica, ma an-che per il suo singolare destino. Dopo l’indipendenza, questovecchio porto di schiavi liberati è affondato in un’instabilità po-litica cronica. Dieci anni di guerra civile hanno acuito la pover-tà. Di Ibrahima Cissé*.

La Sierra Leone conta circa 25 diverse etnie, cherappresentano quasi il 90 per cento degli abitan-ti. A queste popolazioni africane si aggiungono icreoli, discendenti degli schiavi rientrati dall’A-merica nel XVIII secolo. Il nome di Freetown fudato alla capitale per simboleggiare la libertà ri-trovata. L’appellativo di Sierra Leone è invece daricondurre all’esploratore portoghese Pedro daSintra che nel 1460 scoperse la penisola rocciosasu cui sorgerà Freetown.Riferendosi alla rassomi-glianza con un leone coricato, da Sintra diede allazona il nome di sierra, «montagna» in spagnolo, e

leone,dall’omonima designazione italiana,battez-zando i luoghi Sierra Leone, ovvero «la montagnadel leone».

Un susseguirsi di colpi di Stato Più tardi è la Gran Bretagna a interessarsi alla re-gione che riesce ad acquistare dai capi tribù loca-li. Gli inglesi estendono gradualmente la loro in-fluenza al resto del paese. Prima dell’abolizionedella tratta dei neri, numerosi britannici vi sog-giornano per comperare schiavi.Nel 1808, la Sier-ra Leone diviene ufficialmente una colonia bri-

Diamanti e tuguri

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nese.Alla testa di un centinaio di combattenti,San-koh attacca, nel 1991, due villaggi nell’est dellaSierra Leone, scatenando una lunga e spietataguerra che finirà per ritorcersi contro di lui. Pro-gressivamente ingrandisce il suo esercito, reclu-tando con la forza, i bambini dei villaggi. Indot-trinati, drogati, istruiti alle forme peggiori di cru-deltà umana, questi bambini soldato seminano ilterrore.Non si limitano a uccidere. Mutilano un numeroindeterminato di uomini, donne e bambini. Sot-to la minaccia delle armi ordinano ai civili di sce-gliere il braccio o la gamba da sacrificare comepure il posto in cui l’arto verrà amputato, formu-lando la terribile domanda: «Manica lunga o ma-nica corta?» Le azioni del RUF si moltiplicano. La sorte delpaese vacilla.Terra d’accoglienza per centinaia dimigliaia di profughi liberiani, la Sierra Leone get-ta i propri cittadini sulle strade dell’esilio.Oltre 500mila uomini e donne,di tutte le condizioni sociali,scappano davanti alle razzie, le mutilazioni e gli al-tri numerosi soprusi perpetrati dai ribelli.Le truppe governative sono incaricate di tenere te-sta al RUF. La missione è difficile per soldati sen-za esperienza, insufficientemente equipaggiati,malnutriti, mal pagati e poco numerosi. Nel 1991, icapi militari tentano di spiegare ai dirigenti le con-dizioni difficili in cui opera l’esercito, ma il tenta-tivo fallisce. I militari assumono allora il potere elo conservano fino al maggio del 1996.

tannica. È da Freetown che il governatore di SuaMaestà dirige le altre colonie dell’Africa occiden-tale – il Ghana, la Nigeria e il Gambia.Quando ottiene l’indipendenza, nel 1961, la Sier-ra Leone eredita uno Stato e un’università che fun-zionano sul modello europeo. Ma questo sistemanon sopravvive alle divisioni politiche ed etniche.All’indomani dell’elezione di Siaka Stevens, poli-tico d’opposizione, e capo del Congresso di tuttoil popolo (APC), in meno di un anno, tra il 1967e il 1968, la Sierra Leone è teatro di ben quattrocolpi di Stato successivi. David Bangura è l’auto-re del quarto golpe, che permette allo stesso Ste-vens di accedere finalmente al potere.Bangura ten-ta in un secondo tempo di rovesciare Stevens, mafallisce ed è giustiziato. Successivamente il paeseconosce un periodo di relativa stabilità politica,fino al ritiro spontaneo dello stesso Stevens, nel1985. Il suo successore, Joseph Saïd Momoh, è ro-vesciato nel 1991, e un gruppo militare diretto daun soldato di 27 anni,Valentine Strasser, assume ilpotere del paese. La guerra civile imperversa nelsud-est, lungo la linea di confine con la Liberia.

Le crudeltà dei bambini soldato Nel 1989 Foday Sankoh, ex caporale dell’esercitobritannico, crea il Fronte unito rivoluzionario(RUF) e si allea con Charles Taylor,potente signoredella guerra che imperversa nella vicina Liberia.Obiettivo: occupare le miniere di diamanti e d’o-ro che alimentano le casse dello Stato sierraleo-

Sierra Leone

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L’oggetto della vitaquotidiana La carbonella La guerra civile ha acuito lapovertà in Sierra Leone.Centinaia di migliaia di pro-fughi hanno potuto fare ri-torno ai loro focolari, madevono ora affrontare lalotta quotidiana per la so-pravvivenza. Le donne, inparticolare, dipendono dapiccole attività informali pernutrire la loro famiglia. Moltedi loro trovano una fonte direddito nella vendita di car-bone di legno. A Freetown,donne giovani e meno gio-vani trascorrono la giornatasulle strade trasportandosul capo canestri di carbo-nella. In un paese privatodel gas e dell’elettricità inseguito alla guerra, i ricchicucinano con la carbonellae le famiglie povere utiliz-zano legna secca. Tra l’80 eil 95 per cento delle famigliedella capitale utilizza l’uno ol’altro di questi combustibili.La carbonella è prodotta dacontadini che raccolgono lalegna o abbattono alberimorti per ricavarne del car-bone, poi rivenduto a ricchicommercianti di città.

vono in veri e propri tuguri. Le vie sono attra-versate da un grande canale a cielo aperto per leacque di scarico. È inconcepibile che della gentepossa vivere in questi luoghi sporchi, malsani emale illuminati.Eppure la Sierra Leone abbonda di risorse mine-rarie come l’oro, i diamanti e la bauxite.Le regionicostiere sono ricche di prodotti marittimi. Lespiagge sabbiose attraggono i turisti. L’agricolturaè fiorente. Piove in media 3 mila millimetri al-l’anno. Ciò nonostante, la Sierra Leone è uno deipaesi più poveri al mondo.Secondo l’indice di svi-luppo umano stilato annualmente dal Programmadelle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD), nel2003 la Sierra Leone si collocava al 176° posto su177 paesi – appena davanti al Niger e dietro il Bur-kina Faso. La speranza di vita alla nascita è di 40,8anni. Il prodotto interno lordo pro capite è di 548dollari. Secondo le statistiche, nel 2000 il tasso dianalfabetismo raggiungeva il 64 per cento ed il tasso di mortalità infantile 182 per mille. In com-penso, il 57 per cento della popolazione aveva accesso all’acqua potabile. La lotta contro la cor-ruzione e la disoccupazione dei giovani,con o sen-za diploma, è un’importante sfida per questo pae-se, dove il salario minimo ammonta a 5 dollari al mese. ■

* Ibrahima Cissé è un giornalista senegalese. Residen-te a Dakar, da una ventina d’anni è il corrispondentein Africa dell’Agenzia telegrafica svizzera (ATS) e del-l’Agenzia di stampa internazionale cattolica (APIC)di Friburgo.

Interventi internazionali Frattanto i ribelli fanno piombare il paese nellaguerra, moltiplicando le atrocità. Controllano leminiere di diamanti e d’oro. Grazie al sostegno diCharles Taylor, Foday Sankoh smercia queste ri-sorse all’estero per acquistare armamenti. Diversipaesi africani sono sospettati di fornirgli le armi.Le Nazioni Unite adottano una risoluzione cheproibisce l’esportazione di diamanti dalla Liberia,paese in cui transitano anche i preziosi del RUF,che viene così privato della sua fonte di reddito.È l’inizio dell’implicazione nel conflitto dell’Onu,che nel 1999 organizza la Missione delle Na-zioni Unite in Sierra Leone (UNAMSIL), incari-candola di sorvegliare l’applicazione dell’accordodi pace siglato tra governo e ribelli nel luglio del1999. Con un effettivo di 17 mila uomini, l’U-NAMSIL è la più importante missione di caschiblu nel mondo. Conformemente all’impegno as-sunto, l’Onu decide nel 2000 di creare un tribu-nale internazionale incaricato di giudicare FodaySankoh per crimini di guerra. Sankoh è arrestatoed incarcerato lo stesso anno.Muore nel 2003,pri-ma di essere processato. La Gran Bretagna si im-pegna nel paese accanto alle autorità e invia 600uomini di svariate unità.

Risorse minerarie in abbondanzaDopo un decennio di conflitti (1991-2000), lapace è ritornata in Sierra Leone, le ferite cicatriz-zano lentamente. La maggior parte delle popola-zioni costrette a fuggire precipitosamente ha ri-trovato il proprio focolare. Il paese e la sua eco-nomia si risollevano lentamente. Ma gli stratisociali vulnerabili restano ai margini.Nelle barac-copoli di Freetown la miseria è totale. Nel quar-tiere centrale di Kroobay, oltre 4 mila persone vi-

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(bf) Durante la guerra civile e dopo la cessazionedelle ostilità, nel 2002, la divisione Aiuto umanita-rio e CSA della DSC si è concentrata sugli aiuti urgenti per i profughi interni e i rifugiati, la smili-tarizzazione dei soldati,la reintegrazione di rifugiati,profughi interni ed ex soldati, nonché la riconci-liazione.All’interno di questi gruppi, le attività hanno po-sto un accento particolare sui bambini e sui giova-ni, finanziando progetti e programmi di protezio-ne dell’infanzia, di prevenzione degli abusi sessua-li, di sostegno psicosociale e di reintegrazione.Esperti del CSA sono stati messi a disposizione del-l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i ri-fugiati (ACNUR) quale personale di «assistenza eprotezione» e tecnico.Importanti contributi sono stati assegnati alla«Commissione per la verità e la riconciliazione inSierra Leone» e all’ONG internazionale Search forCommon Ground (SFCG) per la produzione diprogrammi radiofonici equilibrati e informativi.Parallelamente si è contribuito alle attività di orga-

nizzazioni internazionali come il Programma del-le Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD), il Pro-gramma alimentare mondiale (PAM) o il Comita-to internazionale della Croce Rossa (CICR), e disvariate organizzazioni non governative interna-zionali.Il Pool svizzero di esperti per la promozione civiledella pace (PSEP) della Divisione politica IV del Di-partimento federale degli affari esteri (DFAE) hainoltre inviato tre osservatori incaricati di monito-rare le elezioni del maggio 2002. Dal mese di no-vembre 2002, due legali svizzeri sono distaccatipresso il tribunale speciale di Freetown.Con la firma degli accordi di pace in Liberia, vistal’esigenza di rimpatriare i profughi liberiani e di ri-costruire questo paese, dal 2006 l’Aiuto umanita-rio della Confederazione orienta le proprie attivi-tà alla Liberia, con una diminuzione del sostegnoalla Sierra Leone e alla regione in generale:nel 2006gli aiuti umanitari sono stati pari a 1,47 milioni difranchi,ma il budget 2007 è stato ridotto a 0,8 mi-lioni.

Cifre e fatti

NomeRepubblica di Sierra Leone

CapitaleFreetown (1 milione di abitanti ca.)

Superficie71740 km2

Popolazione6,5 milioni di abitanti

Tasso di povertà70 per cento

Bilancio della guerraOltre 20 mila morti, 500 milarifugiati in Guinea e Liberia,300 mila profughi interni,100 mila persone costretteall’esilio, 10 mila bambini re-clutati con la forza dal RUF.

DemografiaCirca 25 etnie differenti, fracui le più importanti sonorappresentate dai mendé(30 per cento) e i themné(30 per cento), seguiti daigruppi limba, kuranko,kono, loko, sherbro, kissi,sussu, maninka ecc. I krio o creoli, discendenti deglischiavi africani liberati, rap-presentano il 10 per centodella popolazione.

LingueInglese (lingua ufficiale); il krio (lingua dei creoli) ècompreso dal 95 per centodella popolazione.

ReligioniMusulmani (60 per cento),animisti (30 per cento), cristiani (10 per cento).

Prodotti principali Diamanti, oro, bauxite, rutilo, caffè, cacao.

La Svizzera e la Sierra Leone In primo luogo sostegno a bambini e giovani

Sierra Leone

Cenni storici 1787 Ex schiavi americani si insediano in SierraLeone per fondarvi una provincia simbolo della li-bertà.

1808 La provincia diviene colonia britannica.1961 Il paese ottiene l’indipendenza,Milton Mar-gai diventa il primo ministro nella storia della na-zione.

1964 Morte di Milton Margai. Suo fratello Albertgli succede.

1967-68 Il Congresso di tutto il popolo (APC) di-retto da Siaka Stevens vince le elezioni legislative,ma alcuni militari organizzano un colpo di Statoper impedire la sua investitura. Il paese subisce al-tri due colpi di Stato.Siaka Stevens riesce infine adassumere la carica di primo ministro, esito di unquarto golpe.

1971 Siaka Stevens proclama la Repubblica e si faeleggere alla sua presidenza.

1985 Il presidente Stevens si ritira spontaneamen-te dalla vita politica e designa Joseph Saïdou Mo-moh alla sua successione.

1989 Foday Sankoh fonda il Fronte unito rivolu-zionario (RUF).

1991 Le prime operazioni militari del RUF se-gnano l’inizio della guerra civile. I paesi dell’Afri-ca occidentale inviano un gruppo di osservatorimilitari (ECOMOG). Joseph Momoh è messo indisparte da un colpo di Stato organizzato da Va-lentine Strasser.

Oceano Atlantico

Costad’Avorio

SierraLeone

Mali

Freetown

Guinea

Liberia

1996 Il generale di brigata Julius Maada Bio rove-scia Valentine Strasser. Organizza elezioni demo-cratiche vinte da Ahmed Tejan Kabbah, che firmaun accordo di pace con il RUF.

1997 Il presidente Kabbah è rovesciato dal mag-giore Johnny Paul Koroma e fugge in esilio in Gui-nea. Foday Sankoh è catturato in Nigeria. Ripre-sa degli scontri armati tra RUF ed ECOMOG.

1998 I ribelli del RUF penetrano a Freetown.Dopo un mese di scontri, l’ECOMOG assume ilcontrollo della capitale. Il presidente Ahmed TejanKabbah fa ritorno nel paese ed assume nuovamentele sue funzioni.

1999 Un accordo di pace è firmato a Lomé, nelTogo. La Missione delle Nazioni Unite in SierraLeone (UNAMSIL) viene incaricata di sorvegliar-ne l’applicazione.

2000 Il RUF tenta di opporsi allo spiegamento deicaschi blu nei pressi delle miniere di diamante.L’e-sercito britannico interviene per rimpatriare i cit-tadini dell’Unione europea e del Commonwealth.Foday Sankoh è nuovamente arrestato ed incarce-rato.

2002 Creazione di un tribunale speciale per i cri-mini di guerra. Foday Sankoh muore in carcerel’anno successivo.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200720

Williette PrincessRansolina OluwakemiJohn dirige, a Freetown, la redazione del settore informazione dell’ABC TV-Africa della Sierra Leone.La ventottenne giornalistasi è laureata presso laFacoltà di Scienze delleComunicazioni dell’Univer-sità Fourah Bay Freetown,presso la quale nel frat-tempo ha anche preso adinsegnare.

Il coraggio di chiamare le cose con il loro nome

Una voce dalla Sierra Leone

Già nel passato i rapporti tra media e pubblico nonerano eccelenti. La fiducia della gente nel «quartopotere» era andata progressivamente affievolendosia causa di certi comportamenti poco rispettosidell’etica professionale e delle leggi sui media dialcuni giornalisti.

A quel tempo ero all’università e pregavo di finiregli studi in fretta per potermi dedicare al giornali-smo.Allora pensavo che i giornalisti non avesseroun’effettiva comprensione della legge sui media edella relativa etica professionale e mi chiedevocome potessi io entrare in scena ed esercitare un’in-fluenza significativa su quell’aspetto del lavoro gior-nalistico.Ma può una sola persona cambiare un in-tero sistema? Davvero una bella domanda. La miasola consolazione consisteva nel fatto che se anchenon fossi stata capace di cambiare il sistema, avreicomunque messo in moto qualcosa.Il settore gior-nalistico che più mi interessava era quello dei me-dia stampati, perché avevo la passione di scrivere eamavo molto affrontare compiti di redazione -senza in effetti sapere quanto fosse impegnativo estressante.Ma oggi,posso ancora affermare di ama-re quest’aspetto del mio lavoro?

Nell’era della ricostruzione post-bellica il giorna-lismo è migliorato in maniera considerevole. Sisono verificati dei cambiamenti evidenti nella co-pertura delle notizie, e molte persone che fino adoggi disprezzavano i giornali locali, adesso vi ri-corrono abitualmente per tenersi informati. Lagente sta lentamente recuperando la fiducia per-

ché i giornalisti si sono evoluti,da uno stato di me-diocrità ad uno di professionalità.Il fatto che i giornalisti possano criticare le auto-rità, la dice lunga su quanto i media della SierraLeone siano diventati coraggiosi e determinati,spe-cie considerando la montagna di restrizioni cheviene loro imposta.

Molti giornalisti hanno storie da raccontare inmerito al coraggio dei media della Sierra Leone.Una volta scrissi un articolo particolarmente durosullo stato deplorevole in cui versava l’ufficio delpartito di governo. Quando lo presentai, l’editorenell’esaminarne il contenuto mi chiese se volessiusare uno pseudonimo. Fresca di laurea e piena diardore, pensai che fosse ridicolo e risposi imme-diatamente di no. Ad ogni modo, per farla breve,l’articolo fu pubblicato e le persone delle quali ave-vo scritto, mi catalogarono come appartenente algruppetto dei «giornalisti irriverenti».Ad altre per-sone invece il pezzo piacque, e perfino i colleghilo apprezzarono poiché anche la maggior parte diloro aveva avuto l’intenzione di scrivere qualcosaal riguardo.

In un’altra occasione mi sono infuriata su una que-stione particolare.Avevo mandato un inviato a co-prire un evento al quale partecipava il Presidente.Quando il giornalista arrivò sul posto, le guardiedi sicurezza del Presidente gli negarono l’accesso,nonostante lui avesse mostrato il suo tesserino dagiornalista e l’invito. Pensai che quello fosse unduro colpo per la mia istituzione.Malgrado ciò,du-rante un talk show tenutosi la stessa sera, non per-si tempo a rimetterli in riga su quali fossero i lorocompiti.

Nella Sierra Leone, la parità dei sessi è molto piùpercepibile nel giornalismo che nelle altre profes-sioni.Il numero di donne che praticano questa pro-fessione sta crescendo, ed il loro lavoro è tanto ef-ficace quanto quello degli uomini, se non addirit-tura di più.Le donne hanno conquistato posizionimanageriali in diverse istituzioni mediatiche di ri-lievo,sebbene gli ostacoli siano davvero molti.Nonè un segreto che tali donne attirino l’attenzione diuomini ricchi e belli.Sia che cedano o meno a que-ste tentazioni,qualcuno tra il pubblico tende ad eti-chettare come dissoluta qualsiasi donna che si ven-ga a trovare sotto i riflettori. Perché mai? Solo Diolo sa. ■

(Tradotto dall’inglese)

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 21

Nel mondo vivono circa 3,4 miliardi di individuisotto i 25 anni. Il 54 per cento della popolazionemondiale è dunque costituita da giovani. 2,9 mi-liardi di giovani vivono nei paesi in via di svilup-po. La loro vita è destinata a svolgersi nella pro-spettiva della sopravvivenza – quella immediata, abreve termine, e quella difficilmente pianificabile.L’insicurezza è una constante accompagnatrice; ilcibo e la salute non sono cose scontate; frequenta-re la scuola, accedere alla formazione, trovare unlavoro ed avere un reddito è per molti fuori dallaportata di mano. Il tempo trascorre anche per loroalla stessa velocità come per i nostri giovani, soloche loro lo percepiscono in modo più intenso. Lalotta per la sopravvivenza quotidiana è estenuante,una corsa contro il tempo,spesso senza alcuna pro-spettiva per il domani e il dopodomani.

Che differenza con i giovani nei paesi industria-lizzati! A parte qualche eccezione, qui il periododella gioventù può essere vissuto. I sistemi di for-mazione aprono delle strade e delle opzioni; la pro-spettiva di un lavoro e un reddito rendono piani-ficabile il futuro. Una vita in fasi e capitoli può es-sere gestita e pianificata con la forza della volontà.Ovviamente occorre impegnarsi e dare il megliodi sé, visto che il successo non cade come la man-na dal cielo. Ma qui da noi una vita autodetermi-nata,dignitosa, con doveri e privilegi è quasi scon-tata. Che fortuna, che vantaggio essere nati e po-ter vivere qui dove la vita apre delle prospettive,offre delle opzioni per il futuro, e dove addiritturala scelta del cammino è espressione di libertà.

Ben diversa è la situazione della maggior parte deigiovani nel mondo! Si trovano davanti a muri, siesauriscono nella loro spinta verso il cambiamen-

to,consumano la loro energia per la quotidiana so-pravvivenza.La costante incertezza può predispor-li a cercare soluzioni semplicistiche e a lasciarsi se-durre da idee e atti fondamentalistici. La comuni-tà mondiale deve capire che i giovani senzaprospettive,senza la fiducia che sopraggiungano deimiglioramenti, senza la speranza nel futuro può di-ventare ricettiva per la violenza.

Dare ai giovani una prospettiva è di massima im-portanza per ogni società, sia al Nord che al Sud,sia all’Est che all’Ovest. È un investimento nel fu-turo. Facciamo bene a prendere la gioventù sul se-rio e a puntare su di essa. Ciò vale anche nella co-operazione allo sviluppo. La DSC considera per-ciò la gioventù come un target, nonché come unpartner per impostare il futuro. Con i giovani inSvizzera e nei nostri paesi partner vogliamo son-dare le prospettive, vogliamo mettere a disposizio-ne spazio e tempo.Tutti i giovani del mondo han-no diritto ad avere delle prospettive per il futuro. ■

Walter FustDirettore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

Prospettive per il domani – prospettive di vita

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200722

( jls) Allo scoppio del conflitto nel Darfur, all’ini-zio del 2003, molti civili sudanesi hanno cercatorifugio nel vicino Ciad – taluni portando con séle loro greggi. Con il trascorrere dei mesi questaregione sahariana, abitata da gente estremamentepovera, ha accolto 220 mila profughi – un afflus-so che ha fatto raddoppiare la popolazione loca-le. Le agenzie umanitarie hanno organizzato unimportante dispositivo di assistenza e costruitododici campi profughi lungo la linea di frontiera.Inizialmente gli abitanti dei villaggi hanno datoprova di grande solidarietà nei confronti dei pro-fughi che, come loro, vivono soprattutto di alle-vamento e di agricoltura. Ma gradualmente sonosorte delle tensioni, essendo le due comunità co-strette a condividere risorse molto limitate di ac-qua potabile e legna come pure l’accesso ai raripascoli. Inoltre, gli aiuti internazionali hanno ge-nerato disparità tra profughi ed autoctoni.

Non dimenticare gli autoctoni Le agenzie umanitarie hanno garantito l’approv-vigionamento dei campi e la messa a disposizionedei servizi di base. «Hanno applicato i criteri usua-li, che corrispondono a ciò che un essere umanodeve avere per vivere dignitosamente. Ma benchéminime, queste norme sono pur sempre superio-ri al tenore di vita locale. È inaccettabile che gliaiuti siano fonte di discriminazione», spiega Sé-golène Adam, incaricata di programma presso ladivisione Aiuto umanitario della DSC. La Svizze-ra, che è attiva nella regione sin dal 1997, ha pre-so la difesa delle popolazioni autoctone. «Abbia-mo chiesto agli attori umanitari di adeguare i loroprogrammi affinché gli importanti flussi di aiutidovuti alla crisi contribuiscano anche a ridurre lamiseria dei ciadiani». Sensibili a questo argomen-to, le agenzie hanno deciso di assegnare il 10 percento dei mezzi alle popolazioni indigene. Ciò

Ciad, dividere con i profughi le

Nel Ciad orientale, l’afflusso massiccio di profughi del Darfuraccentua la minaccia che pesa sulle già magre risorse natura-li. Le popolazioni locali temono di vedere il loro futuro definiti-vamente compromesso. La Svizzera si attiva affinché gli aiutiinternazionali portino un beneficio anche agli autoctoni, priva-ti dello stretto necessario al pari delle vittime del conflitto su-danese.

Insicurezza crescenteDalla fine del 2005 l’insicu-rezza e la violenza si stannodiffondendo nel Ciad orien-tale, lungo la frontiera con ilSudan, dove molti gruppi diribelli ciadiani hanno orga-nizzato le loro basi opera-tive. Le loro offensive militaricontro l’esercito governa-tivo causano numerose vit-time fra la popolazione ci-vile. Le milizie di Janjawidarmate dal governo suda-nese moltiplicano le incur-sioni in territorio ciadiano,saccheggiando i villaggi educcidendone gli abitanti. I ribelli sudanesi si introdu-cono nei campi profughiper reclutare con la forzauomini e bambini. Questidisordini hanno spinto giàoltre 50 mila civili ciadianiad abbandonare i loro vil-laggi. La maggior parte vivein campi profughi. Anche il personale umanitario su-bisce furti ed aggressioni.Decine di veicoli sono statirubati, a più riprese, leagenzie umanitarie hannodovuto evacuare tempora-neamente alcune zone difrontiera.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 23

L’impegno della Svizzeranel Ciad Nel 2006 l’aiuto svizzero alCiad è stato di 14,4 milionidi franchi, di cui 3,6 milionidestinati alle operazioni di aiuto umanitario. LaSvizzera sostiene l’azionedell’Alto commissariatodelle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), del Pro-gramma alimentare mon-diale (PAM) e del Comitatointernazionale della CroceRossa (CICR) e mette adisposizione dell’ACNUR svariati esperti. Nel 2006 laDSC ha investito altri 10,8milioni di franchi nelle sueattività di sviluppo ed è lasola agenzia per la coope-razione presente nell’estdel paese. I suoi programmimirano a consolidare e diversificare l’economia rurale. La DSC sostiene anche le scuole comunita-rie e contribuisce a miglio-rare le strutture sanitarie distrettuali.

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negativi. «Ogni crisi è anche un’opportunità perle popolazioni locali. Superata la fase di emergen-za, l’aiuto umanitario finanzia programmi di lun-go respiro che contribuiscono allo sviluppo dellaregione», spiega Ségolène Adam. Le misure attua-te in Ciad per la suddivisione delle risorse natu-rali ne sono la dimostrazione.Esperti svizzeri han-no inventariato le fonti di legname ed acqua e ipascoli disponibili. Quindi hanno sorvegliato laperforazione di pozzi, organizzato la raccolta del-la legna e introdotto nuovi forni meno voraci dicombustibile, mentre gli abitanti dei villaggi han-no esaminato i mezzi migliori per preservare l’am-biente. Ciò li ha portati, ad esempio, a creare vi-vai e a rimboschire alcune zone. «Anche senza iprofughi, il venir meno delle risorse avrebbe rapi-damente minacciato la sopravvivenza degli autoc-toni. La crisi non ha fatto che accelerare la presadi coscienza sulla posta in gioco, costringendo lapopolazione ad adeguare le sue pratiche», spiegaPhilippe Fayet.L’esplosione del fabbisogno di derrate alimentariè un altro aspetto positivo della crisi per gli au-toctoni: i contadini e gli orticoltori, che possonovendere quantità maggiori di merci, hanno vistoaumentare i loro redditi.Alcuni cercano anche didiversificare la produzione,per rifornire sia i cam-pi profughi, sia le centinaia di addetti umanitari cheoperano nella regione. ■

(Tradotto dal francese)

nonostante, le tensione non sono completamentescomparse.

Cure sanitarie e strade rurali I ciadiani non comprendono, ad esempio, perchéi profughi debbano ricevere cure gratuite mentreloro devono pagare le prestazioni dei centri sani-tari. L’esazione dei costi è conforme alla politicadi sanità pubblica del Ciad: «Questa pratica è per-fettamente consona alla logica dello sviluppo.Rende le comunità più autonome, più responsa-bili», sottolinea Philippe Fayet, responsabile delprogramma di sviluppo della DSC nel Ciad.«D’al-tra parte, è normale curare gratuitamente i profu-ghi, che non dispongono di un reddito. Dobbia-mo dunque trovare un meccanismo di regolazio-ne che consenta di attenuare gli squilibri generatidalla coesistenza di questi due sistemi». La DSCprevede di sostenere un processo di consultazioniche permetterà alle agenzie umanitarie ed alle au-torità ciadiane di risolvere questo problema di ac-cesso alle cure.L’utilizzo delle piste rurali costruite con il soste-gno della Svizzera rappresenta un altro pomo del-la discordia. Gli abitanti dei villaggi contribuisco-no alla riparazione di queste strade secondarie.Conformemente alla legislazione ciadiana, gliutenti locali devono inoltre pagare un diritto dipedaggio che serve a finanziare i lavori di manu-tenzione. Dal 2003, i tracciati hanno subito con-siderevoli danni causati dal viavai degli autocarriche trasportano gli aiuti verso i campi profughi.Ma le agenzie umanitarie non sottostanno all’ob-bligo di contribuzione, e i ciadiani lo consideranoun’ingiustizia. La DSC ha avviato negoziati sullaquestione con le agenzie delle Nazioni Unite.

Pratiche in evoluzione Ma la presenza di profughi non ha soltanto risvolti

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Un solo mondo n.1 / Marzo 200724

La quindicenne Ranju vive nella località di Kudar,in prossimità del villaggio di Manthali.A 200 chi-lometri di distanza, la capitale Kathmandu, lonta-na otto ore di macchina. Gli abitanti di questa re-gione rurale del distretto di Ramechhap, vivonosemplicemente, spesso in povertà, ma ciò non im-pedisce loro di sapere cosa succede nel mondo.I giornali, la radio e la televisione forniscono le no-tizie dal Nepal e da tutto il mondo. La popolazio-ne è ben informata, ed in particolare Ranju, cheda tre anni scrive propri articoli nell’ambito delprogetto di Giornalismo per adolescenti sostenu-to dalla DSC. Cinquanta fra ragazzini ed adole-scenti, tra i 10 ed i 15 anni, partecipano al pro-gramma. Poi, in dodici località diverse, i giovanis-simi giornalisti pubblicano,sei volte all’anno,il loroproprio giornale murale, che è molto apprezzatodai 225 mila abitanti del distretto. Infatti, i tempidella censura e del condizionamento dei media du-rante il regime del re Gyanendra sono ancora unospiacevole ricordo.

Voglia di apprendere Ranju ha imparato a registrare attentamente quan-to le succede attorno: «Si deve raccontare ciò che

succede, e bisogna sempre cercare di ottenere unqualche risultato». Lei sa bene a cosa si riferisce:infatti, alcuni suoi articoli sono stati premiati nel-l’ambito di un concorso riservato ai giovani gior-nalisti. In un articolo aveva descritto quanto fossepericoloso per gli abitanti del villaggio l’attraversa-mento del vicino corso d’acqua Tamakoshi. L’arti-colo provocò effetti: le autorità del posto fecero,infatti, costruire sul fiume un ponte sospeso.Negli ultimi anni, Ranju ha collaborato con pa-recchi giornali, correggendo articoli e scrivendocommenti.Attualmente trasmette le sue esperienzea giovani colleghi e colleghe per formare i gruppidei prossimi giornalisti - con un ben preciso obiet-tivo: «Ovviamente, desidero diventare giornalista,scrivere per un giornale importante o lavorare peruna radio», dice con un sorriso, aggiungendo poicon decisione: «tutto il Nepal deve sapere ciò chesuccede!» ■

(Tradotto dal tedesco)

* Andreas Stauffer è portavoce della DSC per l’Aiutoumanitario e durante lo scorso anno ha soggiornato inNepal nell’ambito di una missione ufficiale DSC

Dal buongoverno algiornalismo per adole-scenti La DSC, in collaborazionecon la Divisione IV delDFAE, si impegna in Nepalsoprattutto nei seguentisettori di attività: buongo-verno; promozione dellapace; sostegno alla decen-tralizzazione; promozionedella democrazia; rispettodei diritti umani; riduzionee superamento di situa-zioni potenziali di conflittoe sostegno ad ogni generedi attività intesa alla pro-mozione della pace. Il progetto di Giornalismoper adolescenti fa parte delProgramma di costruzionedi strade District RoadSupport Programme(DRSP) creato nel 1999.Esso è pensato per i piùsvantaggiati della popola-zione e consente a circa7500 persone all’anno didisporre, per un brevetempo, di lavoro e reddito.Per molti nepalesi, uominie donne, questo lavoro aggiuntivo si rivela spessodi vitale importanza, vistoche i prodotti agricoli coltivati nei propri campi,spesso di piccola dimen-sione, non bastano ad as-sicurare il fabbisogno perpiù di un mese all’anno.

Raccontare per cambiareIn Nepal, giovanissimi giornalisti pubblicano, con il sostegnosvizzero, un loro giornale murale. La stesura degli articoli nonesige solo buone conoscenze linguistiche, ma produce spessoanche risultati concreti, quali per esempio un ponte sospeso…Di Andreas Stauffer*.

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Il 2007: un anno di messaggi(sia) Nel 2007 il Consiglio fede-rale o il Parlamento dovrannotrattare vari messaggi crucialiper la DSC. Uno di essi riguardala continuazione dell’aiuto uma-nitario della Confederazione perun periodo minimo di quattroanni, dal 2007 al 2010. Questomessaggio, che sarà indirizzato alParlamento nel corso del primosemestre, descriverà le odiernesfide umanitarie e gli impegniprevisti per i prossimi anni. Sisoffermerà sui vari aspetti del-l’aiuto umanitario, nonché suipartenariati dei quali si avvale.Sempre nel 2007, prenderà av-vio la redazione del messaggio«concernente la continuazionedella cooperazione tecnica edell’aiuto finanziario a favore deipaesi in sviluppo 2008-2011».Considerata l’evoluzione delcontesto internazionale, questodocumento dovrà risponderealle sfide seguenti: raggiungere

gli Obiettivi del Millennio perlo Sviluppo (OMS) e ridurre lapovertà, gestire i rischi sistemicidi sicurezza e favorire una mon-dializzazione propizia allo svi-luppo. La politica di svilupposvolge un ruolo essenziale nonsolo nella lotta alla povertà, maanche nella ricerca di soluzionialle problematiche globali, qualile ripercussioni dei cambiamenticlimatici, gli atti terroristici in-ternazionali, la propagazionedelle malattie trasmissibili, ecc.Questo messaggio dovrebbe es-sere trattato dal Consiglio fede-rale verso la fine dell’anno. Invirtù dell’accettazione da partedel popolo della legge federalesulla cooperazione con gli Statidell’Europa dell’Est, la DSC e ilSECO perfezioneranno i mes-saggi concernenti la continua-zione della cooperazione tradi-zionale con i paesi dell’Europaorientale e il contributo svizzeroa favore dei dieci nuovi membri

dell’Unione europea. Il Consi-glio federale trasmetterà questitesti alle Camere federali nelcorso delle sessioni primaverileed estiva. Nel 2007 il SECO si occuperà pure della redazionedel messaggio concernente lemisure di politica economica ecommerciale attuate a titolo dicooperazione allo sviluppo.

La Svizzera esamina l’aiutodel Canada (sia) Il Comitato di aiuto allosviluppo (CAD) dell’Organizza-zione per la cooperazione e losviluppo economico (OCSE)studia periodicamente il sistemad’aiuto allo sviluppo dei proprimembri. Il compito di effettuarequesta analisi è assegnato a duealtri paesi membri e al segreta-riato del CAD. La Svizzera e ilBelgio sono ora stati chiamati aeffettuare l’esame del Canadanel 2007. Serge Chappatte, vice-direttore della DSC, e Anton

Stadler, delegato della Svizzerapresso il CAD, rappresenterannola Svizzera in questo ambito.Gli esaminatori si recheranno aOttawa per studiare e discuterel’orientamento strategico e ilfunzionamento della coopera-zione canadese. Inoltre avrannol’occasione di osservare l’attua-zione concreta dei programmi di sviluppo ad Haiti e nelMozambico. Quindi presente-ranno le loro conclusioni e rac-comandazioni in un rapporto finale che sarà discusso in au-tunno a Parigi presso la sededell’OCSE. Per la DSC, la parte-cipazione a questo «esame effet-tuato dai propri pari» rappre-senta un’opportunità per unconfronto con le sue proprieprassi e quelle di altre agenzie di sviluppo.

Dietro le quinte della DSC

(dbr) Sono in molti a essersi occupati del termine «messaggio».Franz Kafka è uno di loro. Nel racconto intitolato «Un messag-gio imperiale» egli scrive: «L’imperatore, dicono, ha mandato ate, singolarmente a te, miserabile suddito nella lontananza piùremota,proprio a te l’imperatore,dal suo letto di morte,ha man-dato un messaggio».A differenza del messaggio kafkiano, il mes-saggio del Consiglio federale è indirizzato al Parlamento che,con l’aiuto del messaggio appunto, è chiamato a stanziare fondiper l’Amministrazione. Dietro alla bella parola di «messaggio» sicela dunque, ancora una volta, il denaro. Esistono anche mes-saggi senza denaro, ma qui non ci interessano. L’attività dell’am-ministrazione è disciplinata rigidamente.A questa è concesso faresolo ciò che la legge e il Parlamento l’autorizzano a fare. Perquanto riguarda la cooperazione allo sviluppo, il mandato di at-tività è stabilito dalla legge federale sulla cooperazione allo svi-luppo e l’aiuto umanitario internazionali, del 19 marzo 1976, edalle relative ordinanze. Ma con i soli paragrafi alla mano l’am-ministrazione non è ancora in grado di operare. Necessita infat-ti di denaro.Per poter proseguire il suo lavoro, la DSC deve per-ciò chiedere ogni quattro anni al Parlamento un nuovo creditoquadro mediante un decreto federale.Il testo del messaggio spie-ga allora al Parlamento perché la DSC necessita dei mezzi fi-nanziari richiesti e a quale scopo li impiegherà: esso presenta inpratica il programma di lavoro per gli anni seguenti.Tutto ciò ha

Che cos’è… un messaggio, rispettivamente un credito quadro?

un carattere vincolante sul piano politico.Attualmente, la DSCha in corso di realizzazione o di elaborazione vari messaggi con-temporaneamente. A differenza della parabola kafkiana, questimessaggi della DSC non vanno persi nei corridoi di palazzo enelle vie della città, ma si traducono negli sforzi che la Svizzeracompie per ridurre la povertà e incentivare la giustizia.

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Svizzera vi ha realizzato solo alcuni specifici pro-grammi, fino alla chiusura definitiva dell’ufficio di cooperazione della DSC a Nairobi nello scorsodicembre, dopo 36 anni di attività.Ma cosa resta di questa cooperazione? Ha porta-to frutti? Oppure gli aiuti non sono serviti a nul-la, come affermano spesso i critici della coopera-zione allo sviluppo? Al contrario, queste risorsesono servite molto al Kenia, spiega Ines Islamshah,l’ultima vice direttrice dell’ufficio di cooperazio-ne a Nairobi. In mezzo ai tanti progetti conclusicon successo, ne cita due «esemplari», che oggisono autosufficienti e godono per la loro sosteni-bilità di un’eccellente reputazione: il Kenya Uta-

Sole, spiaggia, safari – il Kenia, paese costiero nel-l’Africa orientale, fino a trent’anni fa praticamen-te sconosciuto alle nostre latitudini,è divenuto unadelle mete di vacanza preferite degli svizzeri. Glialberghi e le infrastrutture turistiche godono diuna eccellente reputazione, e la fauna è mozzafia-to. Il rovescio della medaglia: oltre un quarto del-la popolazione vive al di sotto della soglia di po-vertà.Per molti anni, l’ex colonia britannica si è vistaconfrontata con i tipici problemi post-coloniali edè dipesa fortemente dalla cooperazione interna-zionale. Dal 1970 al 1993, è stata un paese priori-tario della DSC. Poi, dalla fine degli anni ’90, la

«Elefanti bianchi»?No, grazie!Il denaro usato per la cooperazione in Africa è sprecato? Dueprogetti nell’ambito della formazione in Kenia, oramai auto-sufficienti da molti anni, illustrano cosa occorre per garantireil successo anche dopo il ritiro dei donatori. Maria Roselli.

Dalla silvicoltura allacostruzione di stradeDopo l’indipendenza, agliinizi degli anni ’60, il Keniadisponeva di pochi quadrie manodopera qualificata,di cui ci sarebbe stato ungrande bsigono non solonell’agricoltura, nella silvi-coltura così come nella sa-nità e nell’insegnamento,ma anche e soprattutto nelturismo, nelle università,negli istituti di ricerca e inaltri settori pubblici (manu-tenzione delle strade, ap-provvigionamento d’ac-qua). L’impegno svizzero siè quindi presto focalizzatosu diversi progetti per laformazione di quadri e ma-nodopera specializzata delturismo, dell’industria del-l’alimentazione e della ma-nutenzione delle stradecampestri. Inoltre sonostati sovvenzionati diversicorsi di diploma e pro-grammi di ricerca (approv-vigionamento d’acquanella regione del MountKenya, malattie tropicalidel bestiame, lotta biolo-gica contro gli insetti nocivi).

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il governo keniano ci chiese di finanziare la co-struzione di una scuola alberghiera, ci è sembratoun’ottima idea», si ricorda François Rohner,ex co-ordinatore della DSC per l’Africa orientale a Nai-robi. Un’idea che non piacque a tutti: soprattuttoil settore turistico locale, espresse allora forti dub-bi sulla capacità della gente locale di ricoprire inpoco tempo posti di rilievo.

Costruire strade per generare lavoroIl KUC è sorto in stretta collaborazione tra la DSCe il ministero del Turismo keniano; e implemen-tato, per conto della DSC, dalla ditta basilese Tou-ristconsult.Nel 1983, la gestione della scuola è pas-sata ai keniani.

lii College (KUC) e il Kisii Training Center(KTC).

Formazione per la gente localePer chi, oggi, in Kenia, vuol lavorare nel turismo,il percorso formativo è ben tracciato: il Kenya Uta-lii College si annovera, a livello internazionale, trale più rinomate scuole alberghiere d’Africa. Dal-l’inaugurazione, nel 1976, oltre 25 mila alunni ealunne vi hanno conseguito un diploma. Attual-mente, il 20 per cento degli impiegati del settore– che si tratti di direttori, cuochi, concierge, ca-merieri o operatori turistici – sono tutti passati peril KUC. Inoltre, dal 1983 al 2001, la DSC ha fi-nanziato delle borse di studio che hanno permes-

Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 27

Fattori di successoEcco gli elementi chiave delsuccesso dei progetti«Kenya Utalii College(KUC)» e «Kisii TrainingCenter (KTC)»: • Pianificazione accurata

in collaborazione con i partner locali

• Attività previste su lunga durata

• Massiccio sviluppo delle capacità delle risorse umane (direzione e corpoinsegnante)

• Stretta collaborazione con le autorità governa-tive competenti

• Coinvolgimento di altri paesi donatori e dell’in-dustria privata

• Cura del progetto anche dopo l’abbandono

so a ben 1300 professionisti di 15 paesi,di frequen-tare questa scuola, contribuendo così in modo notevole all’internazionalizzazione dell’istituzione.Ma come mai la DSC ha costruito una scuola al-berghiera in Kenia?Dopo l’indipendenza, ottenuta nel 1963, l’econo-mia locale è rimasta ancora per molti anni inmano agli europei, così anche il settore turistico.«Ci chiedevamo allora come fosse possibile for-mare la gente locale di modo che potesse accede-re quale personale specializzato ai posti di lavorodi questo promettente settore. A quell’epoca, laSvizzera finanziava già dei corsi di gestione alber-ghiera presso il Kenya Polytechnic. Così, quando

La scuola edile Kisii Training Center (KTC) puòvantarsi di un successo analogo.Fondata nel 1984,la KTC era inizialmente una semplice scuola permastri costruttori e manovali impegnati nella co-struzione stradale con la speciale tecnica dell’im-piego intensivo di manodopera. Nel 2000, la ge-stione del centro è passata ai keniani. Grazie al-l’appoggio costante della DSC,il centro è divenutoun istituto riconosciuto a livello internazionale,spiega Andreas Beusch, un tempo responsabile diquesto progetto eseguito da Helvetas per contodella DSC.Tra il 1984 e il 1999, gli ex corsisti delKTC – da ingegneri a semplici manovali – han-no costruito, con l’utilizzo massiccio di manodo-

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pera locale, più di 4200 chilometri di strade cam-pestri. Da allora viene garantita la manutenzionedi ben 12 mila chilometri di strade rurali. Per ilsolo periodo che va dal 1984 al 1995 queste atti-vità hanno generato 23 milioni di giornate lavo-rative, equivalenti a 10 mila posti di lavoro.Secondo Andreas Beusch,della ditta Intech Beusch& Co., ad assicurare l’esistenza nel tempo e la sostenibilità del centro di formazione sarebberostati soprattutto tre elementi. Fin dall’inizio lascuola sarebbe stata concepita come un’istituzionekeniana e di conseguenza integrata nell’ammini-strazione statale. «Malgrado gli inconvenienti burocratici che ciò possa implicare, al momentodella consegna dell’istituzione in mano kenianasono prevalsi di gran lunga i vantaggi perché il finanziamento e il funzionamento erano già ben regolati», afferma Beusch che individua un ulte-riore fattore di successo nella flessibilità con cui si è concepito il progetto: «Quando abbiamo, peresempio,constatato che il Minor Roads Programm,al quale il KTC è subordinato, presentava delle la-cune a livello amministravo, lo abbiamo potutosovvenzionare per poter così consolidare l’insiemedel progetto», spiega ancora Beusch. Determinantesarebbe inoltre stata l’impostazione del progetto suun lungo periodo.Elemento che secondo l’esper-to ha permesso alla DSC di ritirarsi solo al mo-mento in cui l’autosufficienza era assicurata.

La «kenianizzazione» come elementochiaveFrançois Rohner evidenzia fattori di successo simili anche per la scuola alberghiera Utalii. In-nanzitutto, rileva l’importanza accordata ad unapianificazione accurata. Nel caso dell’Utalii furo-no, infatti, prese tutte le disposizioni per creareun’istituzione qualitativamente ottima, in grado di

superare rapidamente lo scetticismo del settore turistico locale, fino allora dominato da europei.Come secondo elemento chiave, Rohner men-ziona la cosiddetta «kenianizzazione»: «Fin dall’i-nizio abbiamo puntato a passare appena possibilela gestione dell’Utalii ai keniani. Per questo ab-biamo per esempio spinto alcuni ex allievi a spe-cializzarsi all’estero, di modo che il loro curricoloe le loro esperienze lavorative corrispondessero adun tale impiego».Inoltre, bisognava assicurare il finanziamento -un’impresa delicata,alla quale i responsabili si sonodedicati fin dall’inizio. Infatti, a tale scopo, il go-verno keniano non ha esitato a imporre un’appo-sita tassa sul turismo: la catering levy del due per cento su tutte le fatture degli alberghi e dei risto-ranti in Kenia.Tra i fattori di successo, Ines Islamhah tiene inol-tre a sottolineare, lo stretto rapporto - che pur nonè sempre stato facile - con il settore privato: «Nelconsiglio d’amministrazione dell’istituzione sede-vano diversi rappresentati dell’industria privata, dimodo che si prendessero in considerazione anchei loro specifici bisogni».Ma gli elementi che hanno determinato il successodi questi due progetti sono generalizzabili? Im-portante sembra, innanzitutto, che i progetti na-scano da una collaborazione con i partner locali ecorrispondano ai loro bisogni. Perché se vi è unacosa di cui l’Africa certo non ha bisogno è di «ele-fanti bianchi» nati dalla fantasia dei cooperanti senza la minima consultazione dei partner locali. ■

(Tradotto dal tedesco)

Turismo, settore impor-tanteIl 10 per cento delle entratedello Stato keniano prov-vengono dal turismo.Questo settore che conta500 mila posti di lavoro,rappresenta il 10 per centodel prodotto interno lordo eil 20 per cento delle entratein valuta. L’agricoltura restacomunque il settore dimaggior rilievo: due terzidegli abitanti vivono incampagna e contribui-scono al 25 per cento del prodotto interno lordo.Sebbene il Kenia sia ilpaese più industrializzato di questa regione d’Africa,il settore industriale rappre-senta solo il 17-19 percento del prodotto internolordo. Oltre un quarto dellapopolazione vive al di sottodella soglia di povertà.

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Come impiega il tempo la signora Nuong:

Mattino– cuocere il pastone per i

maiali– mercato– giardinaggio – raccolta di verdure,

preparazione del pranzo– dare il pastone ai maiali

e lavarli

Pomeriggio – siesta– rigovernare la casa,

raccogliere la legna– cucina– pastone per i maiali

Sera – cena– televisione

La signora Nuong vive a Hoi-An in riva al mare. Ma il bagnonon rientra nelle sue occupa-zioni quotidiane. E la stessa cosavale per la maggior parte dellesue vicine. «Che spreco!», deplo-rano gli investitori in visitaesplorativa a Hoi-An. «Spiaggecosì meravigliose sono fatte peril turismo».

Da quando sono passati di lì gliinvestitori tutto è sospeso: nes-suno mette in cantiere unanuova costruzione, nessunopensa di rinnovare la propriacasa.Tutti pensano: gli straniericostruiranno un complesso alberghiero, perciò è meglio attendere. Si sono visti arrivaredegli agrimensori, poi dei geo-metri…. I pescatori si vedrannoattribuire un fazzoletto di terrapiù lontano, all’interno delpaese. Riscuoteranno un’inden-nità. Con questo denaro po-tranno costruire una casa nell’a-rea urbana e iniziare una nuovavita, una vita da gente di città.

E se preferissero rimanere inriva al mare? Persino i bambini

conoscono a memoria la rispo-sta: «Impossibile. Il piano regola-tore è stato definitivamente ap-provato. La costa è riservata alturismo». Hoi-An è in balia auna vera e propria febbre: quelladella corsa a chi pianta il mag-gior numero possibile di man-ghi. Corre infatti voce che le in-dennità saranno calcolate in baseal numero di alberi abbattuti. Eintanto i «ricconi» si riunisconoogni sera per discutere: cosa suc-cederà se noi ci rifiutassimo dipartire? Dovremo rivolgerci aitribunali per difendere i nostridiritti?

Hoi-An è una grande borgatatranquilla. Le vecchie case sonocircondate da risaie, canali e ri-gagnoli. È uno dei siti naturalipiù belli del Vietnam. La gentedi città ha acquistato terreni inriva al mare per costruirvi leproprie case. Sono loro che neivillaggi dei pescatori vengonochiamati i «ricconi». Ma piùnelle discussioni si alza il tono,più questi ultimi sono disgustati.Disgustati perché gli investitori,ancor più ricchi di loro, li costringeranno ad andarsene.Disgustati dalla passività dei pescatori che vivono del mare –senza mai farvi il bagno! – e checiononostante si rassegnanosenza mugugnare ad andare arinchiudersi nelle aree urbane.Disgustati dal governo che pensasolo all’interesse degli investitori.

Si ritiene che abitanti come lasignora Nuong dovranno d’orain poi vivere in case dal pavi-mento ricoperto in piastrellemulticolori, con ghirlande elet-triche ovunque. E nessun maialeda nutrire. Nessun tipo di ver-dura da annaffiare. Saranno condannati a girare i pollici perammazzare il tempo. Di pome-riggio i figli della signora Nuongsono abituati a giocare in spiag-gia; d’ora in poi andranno asperperare denaro nei bar. Le

loro giornate erano ritmate daun impiego del tempo che cre-devano immutabile. Su quellache era la «loro» terra sorge-ranno fra poco alberghi e resi-dence. Questi luoghi rimarrannodeserti durante i lunghi mesi in-vernali nella disperata attesa chearrivi la bella stagione con le sueorde di turisti, i quali sarannopurtroppo solo di passaggio,delusi di non trovare qui né casinò, né prostitute.

E quando non rimarranno chedelle spiagge private, riservate ai clienti degli alberghi, dove andranno mai gli abitanti diHoi-An a fare i bagni? Peggioper loro, poveracci! Dovrannoaccontentarsi delle spiagge pub-bliche. «E noi, allora, che nonsiamo né gli uni né gli altri?»,si chiederanno i «ricconi». In unpaese povero come il Vietnamnon rimarrebbero che due classidi individui: i poveri che si am-massano su un pezzetto di spiag-gia pubblica e i benestanti checontemplano beati il tramontodel sole sotto l’ombrellone del«Palace»? ■

(Tradotto dal vietnamita)

Di chi è il mare?

Carta bianca

Phan Thi Vang Anh, classe1968, nata a Hanoi, è cardio-loga di formazione e lavoraoggi come scrittrice e lettricepresso una casa editrice, non-ché commentatrice per gior-nali e riviste. Inoltre, ha giratoanche alcuni documentari.Vive alternativamente a Hanoie a Ho Chi Minh City. Il suo libro «Quand on est jeunes»(edizioni Picquier) aveva coltonel vivo negli anni 1990 lostato d’animo di un’intera ge-nerazione, diventando unbestseller in Vietnam. In se-guito è stato tradotto in fran-cese e in svedese. La suaopera di maggior successo èstata in questi ultimi anni unaraccolta dei commenti pubbli-cati nella stampa, la quale èper ora uscita solo in vietna-mita.

29Un solo mondo n.1 / Marzo 2007

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nel 2006 il premio del pubblicoal Festival internazionale del filmdi Friburgo. Da allora la pellicolaè stata proiettata ad altri festivale nelle sale.Il sostegno finanziario concessoda Visions Sud Est ammontava a20 mila franchi e ha dovuto es-sere versato direttamente al la-boratorio, affinché la coprodu-zione franco-libano-egiziana dioltre 2 milioni di franchi potesseessere portata a termine. Il labo-ratorio aveva, infatti, sospeso ilavori in attesa che giungessero

ulteriori mezzi finanziari.Un altro film, che ricevette soloall’ultimo momento un contri-buto di produzione dalla fonda-zione Visions Sud Est, è la pelli-cola musicale «Opera Jawa» delregista indonesiano GarinNugroho. La sua versione cine-matografica del racconto epico«Ramayana» è già stata presen-tata a vari festival, segnatamenteanche a quello di Venezia, strap-pando molti consensi alla criticacome «primo film operisticoasiatico». E dire che per poco

In ottobre e in maggio, in viaLimmatauweg a Ennetbaden, inArgovia, si registra solitamenteun viavai di corrieri di DHL,Fedex o TNT. I pacchi e le busteche consegnano, giungono dalontano: dall’America latina,dall’Africa, dall’Asia odall’Europa orientale. Sono diversi quanto a forma, peso easpetto, ma hanno tutti un trattoin comune: ognuno di questipacchi – e sono un’ottantina –contiene un progetto cinemato-grafico con una richiesta di sus-

sidio rivolta a Visions Sud Est.

Sostegno all’ultimo momentoIl film «Dunia» fu una delleprime produzioni a ricevere, nel2005, un contributo da VisionsSud Est. Jocelyne Saab, di ori-gine libanese, affronta in questotanto coraggioso quanto poeticolungometraggio temi quali l’e-scissione e il ruolo della donnanell’odierna Cairo. Contestatoin Egitto e attaccato dagli isla-misti, «Dunia» ha raccolto ampiconsensi in Occidente, vincendo

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Una finestra aperta su altre culture

Nell’ambito del lavoro culturale della DSC, i film occupano da anni una posizio-ne centrale. Tramite l’associazione «Visions Sud Est», la DSC non sostiene solofinanziariamente le opere audiovisive del Sud e dell’Est, ma garantisce loro an-che l’opportunità di essere proiettate in Svizzera nell’ambito dei festival, nellesale cinematografiche o nelle scuole. Di Gabriela Neuhaus.

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Un solo mondo n.1 / Marzo 2007 311

tutto poteva rimanere un sem-plice miraggio! «Per questo filmil nostro contributo ha vera-mente deciso l’esito della par-tita», afferma Walter Ruggle, di-rettore di Visions Sud Est, «solograzie al nostro appoggio ha po-tuto essere portato a terminetempestivamente».

Soddisfare precise condizioniL’associazione Visions Sud Est,fondata nel 2004, è finanziata inampia misura dalla DSC, che nel2006 ha messo a disposizioneper la promozione della cinema-tografia del Sud e dell’Est l’im-porto complessivo di 370 milafranchi.Affinché un progettopossa richiedere contributi diproduzione e di post-produ-zione deve soddisfare precisi

requisiti. Innanzitutto, il regista ola casa di produzione devonoprovenire da un paese del Sud odell’Est, e inoltre, la pellicoladeve durare almeno 70 minuti erispondere ai requisiti che unagiuria svizzera pone a un «filmcinematografico».I film sussidiati da Visions SudEst sono prodotti per un mer-cato internazionale. In Europaper le produzioni libere prove-nienti da paesi in via di sviluppoo dai cosiddetti paesi in transi-zione esistono numerosi festival,sale cinematografiche per filmd’autore e specifiche piatta-forme. Gran parte di questi filmnasce, infatti, anche in collabora-zione con altri donatori occi-dentali e ditte di coproduzione.Inoltre, i registi sono spesso deiveri e propri pendolari fra un

mondo e l’altro, ed è più facileincontrarli a Parigi o Londrache non in Libano o in India.Ciononostante, l’ambizione diVisions Sud Est è principal-mente quella di sostenere, tra-mite progetti di alta qualità, an-che l’industria cinematograficadei paesi del Sud e dell’Est -perlomeno laddove questa esiste.

Professionalità e continuitàDue volte l’anno, a fine ottobree a fine maggio, scade il termineper la presentazione. Dal grannumero di progetti inoltrati nevengono selezionati da quattro asei, che riceveranno un contri-buto dell’importo massimo di50 mila franchi per i lungome-traggi, e di 20 mila per i docu-mentari. I criteri consideratisono molteplici. Essenziale, dice

Walter Ruggle, è che la visioned’insieme sia corretta e che ilprogetto sia promosso da societàdi produzione che promettanoprofessionalità e continuità.«Generalmente non vogliamo finanziare integralmente un film, ma se il nostro contributo è consistente, allora è più facileche consideriamo questo pro-getto piuttosto che quando ab-biamo l’impressione che sia giàpraticamente finanziato da altri– e questo anche se il progettofosse davvero ottimo».Tuttavia, per ogni progetto la si-tuazione è diversa. Nella prima-vera 2006, Olga Nakkas avevasottoposto a Visions Sud Est ilsuo progetto documentaristico«Lebanon Year Zero».Sulla scorta di vari percorsi femminili, il film si prefiggeva di

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32 Un solo mondo n.1 / Marzo 2007

documentare l’allora speranzosaricostruzione in Libano.«Quando abbiamo discusso ilprogetto nell’estate 2006, inLibano regnava di nuovo laguerra e, con la distruzione delpaese, è andata distrutta anche la base di questo film», ricordaWalter Ruggle.La documentarista ha quindi ri-scritto il copione, integrando nelfilm la situazione del momento.«Un progetto davvero avvin-cente, che abbiamo subito soste-nuto», afferma ancora Ruggle,nella speranza che il film vengapresentato in prima visione aNyon, nell’ambito di Visions duRéel 2007.E se a quel momento il film saràpronto, sussistono buone proba-bilità che ciò accada.

Il film, un mezzo di comuni-cazione universale I film sussidiati da Visions SudEst ricevono, oltre al sostegno finanziario, anche la garanzia diuna certa «visibilità» in Svizzera.Di questo aspetto si fanno ga-ranti i tre membri fondatori egiurati, ognuno in rappresen-tanza di un’istituzione il cuicompito è quello di diffonderefilm del Sud e dell’Est: il diret-tore Walter Ruggle, nel con-tempo direttore della Trigon-Film, che da 19 anni assicura inSvizzera e in Europa il noleggiodi film del Sud e dell’Est;Martial Knaebel, che è direttoreartistico del Festival internazio-nale del film di Friburgo, dedi-cato esclusivamente ai film con temi del Sud e dell’Est; eJean Perret, che è direttore del

Festival del film Visions du Réeldi Nyon.Al pari di Visions SudEst, queste tre istituzioni sonosostenute dalla DSC. Le richiestedi sussidio finora sottoposte aVisions Sud Est provengono ingran parte dall’America latina,che da tempo possiede una pro-pria cultura cinematografica.Complessivamente, fino all’au-tunno 2006, dieci lungome-traggi e quattro documentarihanno ricevuto un contributo.I progetti provenivanodall’Argentina, dal Cile, dallaCina, dal Kirghizistan e dalSudafrica e raccontano le storiedella gente di quei paesi.Al momento di giudicare unprogetto non si richiede che sia«idoneo all’Europa», rilevaWalter Ruggle. «Per me il film èun mezzo di comunicazione

universale. Se qualcuno ha qual-cosa da raccontare e sa comefarlo, il film trova un buona ac-coglienza ed è capito ovunque».Dato che i film parlano allagente in modo diretto sul pianovisivo e acustico, agiscono a livello sia emozionale che spiri-tuale, come nessun altro mezzodi comunicazione sa fare. Eccoperché – e di ciò è convinta an-che la DSC – i film si prestanobene per creare ponti, per farscoprire l’umanità delle personee, naturalmente, per stimolare la comprensione per le altre culture. ■

(Tradotto dal tedesco)

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Salsa africana(er) I due produttori BoncanaMaïga (Mali) e Ibrahima Sylla(Costa d’Avorio) avevano creatonel 1992 in uno studio newyor-kese, con musicisti d’Africa oc-cidentale e caraibici, l’afro-latin-combo Africando (che in wolofsignifica Africa unita e in spa-gnolo africanizzare). Nel frat-tempo, la loro musica mette aisalseros di tutte le salsatecas unagran voglia di ballare, mentre nelmondo, grazie ai concerti e a ol-tre 2 milioni di album venduti, èdiventata l’afro-salsa per antono-masia. Si tratta, in effetti, di unamescolanza riafricanizzata di la-tin groove cubano (rumba, son,timba, charanga, conjunto libre…), condita con una presa disalsaswing urbano. Gli ingre-dienti sono i beat pulsanti dellasezione ritmica, i sottili accentidegli strumenti a corda, spumeg-giati passaggi al pianoforte, mo-vimenti dei fiati pieni e sfug-genti – solistici o con cantocorale – sonore voci maschili daltimbro romantico. Questa me-scolanza manda in visibilio icuori e mette le ali ai piedi deisalsaholics e dei loro simili anchenel caso del settimo CD, regi-strato con una band allargata adalcuni nuovi elementi (unomaggio alla loro voce leadGnonnas Pedro, il musicista delBenin deceduto nel 2004).Africando: «Ketukuba»(Syllart/RecRec)

Un curaçao-timbre cristallino(er) Curaçao è un crogiuolo diculture: africana, europea, carai-bica. Esse connotano la musica –

a malapena conosciuta alle no-stre latitudini – di una piccolaisola delle Antille olandesi situatadavanti alla costa del Venezuela.Qui affondano le radici diIzaline Calister. La cantante (che ora vive nei Paesi Bassi) èsoprattutto l’erede di AngéliqueKidjo nella band Pili Pili ed èdiventata famosa come elementodel gruppo cult Dissidenten. Lei,la sua band e alcuni musicistiguest ci consentono di captarequalche sonorità dell’«isola soprail vento». Salsa antiyana, tumba,zouk, merengue, calypso carna-scialesco, valzer antillano o bal-late vengono presentate talvoltacon un virtuosismo da sballo, ta-laltra con magistrale dolcezza.Che si tratti di vibes per mo-menti gai o malinconici, su tuttosi dipana il timbro cristallinodifferenziato di una voce fem-minile ricca di sfaccettature,tutto tonda – e il «Kanta… hé-lele» (canta con me, rallegrati…)esce leggero dalle labbra diIzaline.Izaline Calister:«Kanta Hélele»(Network/Musikvertrieb)

Magia sonora anarchica (er) I colori sono politonali.Sentirli per la prima volta colpi-sce l’orecchio addestrato alle armonie equilibrate al punto dainnervosirlo per la loro stra-nezza. Eppure affascinano, questicolpi di tamburo cupi e smor-zati, che si rincorrono al trotto,dapprima gonfiandosi e poi ca-lando. I suoni caldi del flauto dibambù o i passaggi acuti e vi-branti degli strumenti a fiato in

legno si intrecciano con cambidi misura e finali ritardati. Èquesta la magia sonora anarchicae musica da trance di un villag-gio di 500 anime situato nellemontagne del Rif settentrionalemarocchino.The MasterMusicians of Joujouka non sonotuttavia musicanti di paese, mafanno parte dell’élite dei musici-sti che accompagnano i rituali.I loro antenati giunsero nel IX e nel X secolo dalla Persia e, inquanto musicisti di corte, suona-vano per il sultano del Marocco.L’ipnotica attrattiva della lorovariante di misticismo sufi hafatto presa su molti letterati esperimentatori di sound, p. es.William S. Burroughs, BrianJones o Ornette Coleman.Forse vi ha contribuito anche il paganesimo.Ad ogni modo,l’attuale formazione dei MasterMusicians è in balia del mitodella fertilità del dio delle pe-core Boujeloud (il Pan dell’anti-chità!).The Master Musicians of Joujouka:«Boujeloud» (Sub Rosa/RecRec)

Film per le scuoleLa fondazione Trigon-Film nonsolo distribuisce eccellenti filmdel Sud e dell’Est alle sale cine-matografiche e su DVD. Ora, atitolo sperimentale, ha abbinatoa tre lungometraggi del mate-riale pedagogico, approntando iltutto su DVD. Con ciò agevolail compito in classe degli inse-gnanti, stimolandoli ad allargare la prospettiva anche per quantoriguarda il cinema. «BeijingBicycle» del cinese WangXiaoshuai, «Una casa con vista al mar» del venezuelano AlbertoArvelo e «Dôlè» del gabuneseImunga Ivanga sono i primi tretitoli ottenibili con del riccomateriale di lavoro. I tre film of-frono la possibilità di avvicinarsiin modo allettante alla Cina ealla città olimpica 2008 dalpunto di vista di due giovani, dicompiere un viaggio nelle Ande

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venezuelane per conoscere lequestioni legate al latifondismoe alla vita di campagna, oppuredi fare una scappata decisamenteavvincente nella vita urbana per scoprire le avventure di alcuni ragazzi di Libreville: trepellicole che alcuni insegnantihanno scelto nella collezionedella Trigon-Film e che una pedagogista ha corredato di unadocumentazione per le classiscolastiche.Ordinazioni e informazioni:tel. 056 430 12 30 o www.trigon-film.org

Pensare globalmente e agire con coraggio (dg) Le Giornate del filmnord/sud si terranno nel 2007già per la 15a volta. Si svolge-ranno da fine febbraio aLucerna, Basilea, Zurigo, Berna,

sveglia, mostra in modo esem-plare che, per le ragazze, le pariopportunità rappresentano unavera e propria chiave nella lottacontro la povertà e per uno svi-luppo sostenibile.Località della manifestazione e pro-gramma: www.filmeeinewelt.ch

Il giro del mondo di una T-shirt(bf ) Quale cammino compieuna T-shirt prima di essere ven-duta in un negozio e dove fini-sce dopo essere stata gettata nelcassonetto degli abiti usati? Laprofessoressa di economia PietraRivoli si è recata con la sua T-shirt dai campi di cotone delTexas alle fabbriche tessili diShanghai, per spingersi in se-guito fino ai mercati dell’usatoin Tanzania. Il suo avvincentereportage delinea le complessestrutture del commercio mon-diale e descrive come i coltiva-tori statunitensi di cotone si di-fendono dalle massicceimportazioni cinesi, come le T-shirt di Shanghai giungono mal-grado tutto nei porti americani,e a quali condizioni ma ancheper quali libertà lavorano ledonne nelle fabbriche tessili ci-nesi. L’autrice promette nell’in-troduzione del libro di riuscire a spiegare l’economia mondialesulla scorta di un prodotto d’usoquotidiano del tutto corrente –e mantiene la parola. Questoviaggio di una T-shirt è avvin-cente: sia per la vicinanza allepersone coinvolte, sia per le in-formazioni sull’economia mon-diale e la globalizzazione divul-gate in modo facile.«I viaggi di una T-shirt nell’econo-mia globale» di Pietra Rivoli,Apogeo Saggi, 2006

Il sogno della vita(gn) John Ampan ha viaggiatoper cinque anni prima di rag-giungere dal Ghana, suo luogonatale, l’Europa. È stato depor-tato, derubato, abbandonato nel

deserto e incarcerato.Tutto ciòavveniva negli anni ’90. Oggi, ilviaggio dei migranti si è fattoancor più pericoloso e difficile.Ciononostante, migliaia di afri-cane e africani tentano di arri-vare in Europa. Cosa li spinge afarlo? Cosa si lasciano alle spalle?E cosa li attende? Nel libro «DerTraum vom Leben» (non è dispo-nibile in italiano) il giornalistatedesco Klaus Brinkbäumer ap-profondisce questi interrogativi.Con un fotografo accompagnaJohn Ampan sulla via del ritornoad Accra, dove questi rivede perla prima volta dopo 14 anni lamoglie e i tre figli. Dopo questobreve e toccante incontro, i treuomini seguono il camminoprincipale dei profughi che sispingono verso Nord attraver-sando setti Stati africani.Brinkbäumer descrive circo-stanze e destini che non man-cano di toccarci e interpellarci.Il resoconto del viaggio, scrittoin modo vivace e di avvincentelettura, parla delle speranze e an-che della disperazione, e ci con-sente di conoscere da vicino lamentalità africana, nonché lapolitica europea.«Der Traum vom Leben. Eine afrikanische Odyssee» di KlausBrinkbäumer, S. Fischer VerlagGmbH, Francoforte sul Meno, 2006

Un eccellente romanzo d’e-sordio (bf ) Si tende troppo spesso a

dimenticare che in Africa non ci sono solo carestie, povertà eguerre, ma anche una vita deltutto normale. Proprio di questaquotidianità che esula dalle noti-zie dell’orrore, che comportaamicizie, formazione, amore ecc. parla il fumetto «Aya» diMarguerite Abouet. La storia sisvolge alla fine degli anni 1970in Costa d’Avorio. Un paese diragazze che traboccano di vogliadi vivere, che amano uscire lasera, un paese di contrasti fra poveri e ricchi, e un paese nelquale ragazze come Aya, chevive nel quartiere Yopougon adAbidjan sognando di diventaremedico, non hanno molte possi-bilità di realizzare i propri sogni.La vicenda, raccontata in unostile per nulla pretenzioso, concomicità e spensieratezza dal-l’autrice Marguerite Abouet, an-ch’ella originaria della Costad’Avorio, è illustrata dal vignet-tista francese Clément Oubrerieed è stata insignita del premioper il miglior esordio al ComicFestival 2006, tenutosi nella cittàfrancese di Angoulême.«Aya de Yopougon» di MargueriteAbouet e Clément Oubrerie,Editions Gallimard, 2005 (non èdisponibile in italiano)

Voci dalla Cecenia(bf ) La Cecenia è in guerra dadodici anni e nessuno vuol oc-cuparsene. È così che le autrici e gli autori ceceni e russi avver-tono la situazione di questaguerra rimossa che descrivononell’antologia «Erzählungen ausTschetschenien» (non è disponi-bile in italiano). Sono voci cheparlano in vario modo della vio-lenza di questa indicibile guerra:assedio di interi villaggi, deca-denza morale, affari loschi, in-combente annientamento di unpopolo, stupri, saccheggi. Il ven-taglio delle tematiche spaziadalla sofferenza collettiva, che rimette in questione i rapporticon i russi e la Russia, ai mo-

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Nyon e Thusis. Il servizio «Filmper un solo mondo» presenta inciascuna località dieci nuovi filmdocumentari e lungometraggiconsigliati per l’insegnamento: ifilm favoriscono una prospettivaglobale e un modo di agire co-raggioso. I temi trattati sonol’integrazione in Svizzera, il suc-cesso grazie a un microcreditoin Bangladesh, la lotta per il la-voro minorile legale in Perù, ola vita quotidiana ad Haiti e inCambogia. Con «O grandeBazar» e «Nima» vi sono dueprime in programma. Il primo èuno spensierato film per ragazzi,fa conoscere la vita di ognigiorno in Mozambico e stupisceper la creatività dimostrata daidue ragazzi al centro della vi-cenda. La pellicola con Nima,una giovane somala decisamente

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menti di intimità dove, nel belmezzo dell’onnipresente vio-lenza, sbocciano sentimenti disimpatia e amore. Il libro dàvoce agli autori, spiana loro unastrada affinché escano dall’ombradel conflitto, e lancia un segnocoraggioso. Infatti, i testi mo-strano anche che fra russi e ce-ceni non sussiste solo una con-trapposizione, ma è possibileanche la concordia.«Erzählungen aus Tschetschenien.Schreiben im Krieg – Schreibenüber den Krieg», a cura diMarianne Herold, Kitab-VerlagKlagenfurt/Vienna, 2006«Des nouvelles de Tchétchénie»,Editions Paris-Méditerranée, 2005

Lavoro femminile(bf ) Sia come portatrici di legnain Tailandia, ceramiste in India o commercianti al mercato inGhana, nei paesi in via di svi-luppo le donne non solo sifanno spesso carico della re-sponsabilità per la casa, i contattisociali ed l’educazione dei figli,ma lavorano ogni giorno neicampi, al mercato e in fabbrica.A tutte queste donne RobertSchmid dedica ora il suo librofotografico «Frauenarbeit in derDritten Welt» (Lavoro femminilenel Terzo Mondo). Come ex esperto della DSC in Nepal enelle Filippine, nonché comegeografo economico, insegnantedi liceo e fotografo, RobertSchmid si è occupato intensa-mente della tematica del lavoronei paesi in via di sviluppo. Nellibro, edito da lui stesso, illustracon 195 fotografie a colori la

vita quotidiana delle donne allavoro, commentando con 19storie alcuni destini particolaridi queste donne.«Frauenarbeit in der Dritten Welt»di Robert Schmid. Ordinazioni:3wimage edition, Erzbergweg 13,5018 Erlinsbach,tel. 062 844 33 67, e-mail:[email protected]

La piena ( jls) Mentre degli operai cinesi sidavano giorno e notte il cambioper erigere un gigantesco muroin calcestruzzo sul fiumeYangtse, altri demolivano mi-gliaia di edifici situati a monte.Fra il 2003 e il 2006 il fotografogiurassiano Pierre Montavon havisitato il cantiere dello sbarra-mento delle Tre Gole e le loca-lità destinate a essere sommerse.Il suo reportage è fresco distampa e si intitola «Le fleuvemuré». La prima parte del libroillustra la presenza massiccia diquesta gigantesca opera idrau-lica. Una seconda serie di scattitestimonia gli stravolgimentiumani e sociali provocati dal ri-empimento del bacino: la demo-lizione di tutti gli edifici situatial disotto del livello futuro del-

l’acqua e lo sfollamento di 2 mi-lioni di persone, molte dellequali saranno costrette all’esilio.Altre immagini mostrano lenuove città, costruite in brevetempo per offrire nuovi alloggi auna parte della popolazione. Lefotografie sono accompagnateda testi scritti dal giornalistaFrédéric Koller, il quale affrontala questione dal punto di vistastorico, politico, sociale ed eco-logico.Pierre Montavon e Frédéric Koller:«Le fleuve muré», Cadrat Éditions,Ginevra, 2006

La rivoluzione industriale cinese (bf ) Attualmente la Cina è ilmercato in espansione per eccel-lenza. Il paese si propone comela nuova superpotenza: uno svi-luppo le cui ripercussioni sull’e-conomia mondiale e le struttureecologiche sono difficilmentevalutabili. Edward Burtynsky, unfotografo canadese di originiucraina, presenta nel suo librointitolato «China» (non è dispo-nibile in italiano) immagini im-pressionanti dei luoghi doveprese avvio la ripresa economicae oggi prolifera la produzioneper il mercato mondiale. I suoiscatti hanno un effetto che, nelcontempo, sorprende e intimo-risce. Ci fanno conoscere unprocesso di cambiamento dram-matico e di proporzioni gigantes-che. Burtynsky, le cui fotografiesi trovano in numerosi musei eimportanti collezioni, ha foto-grafato il più grande cantiere delmondo – la diga delle Tre Gole –,

località che vivono del riciclag-gio di rottami elettronici, pla-stica e metalli usati, nonché ipressoché interminabili capan-noni di produzione dove decinedi migliaia di lavoratori produ-cono ferramenta e scarpe dasport oppure lavorano il pol-lame.«China» von Edward Burtynsky,Verlag Steidl, 2006

Specialisti del DFAE a vostradisposizioneVolete informarvi di primamano sulla politica estera dellaSvizzera? Le relatrici e i relatoridel Dipartimento federale degliaffari esteri (DFAE) sono a di-sposizione di scolaresche, asso-ciazioni e istituzioni per confe-renze e dibattiti su numerositemi di politica estera. Il Serviziodelle conferenze del DFAE ègratuito, può tuttavia offrire le proprie prestazioni solo inSvizzera e chiede che agli incontri partecipino almeno 30 persone.Ulteriori informazioni: Serviziodelle conferenze DFAE,Informazione, Palazzo federaleOvest, 3003 Berna;tel. 031 322 31 53 o 322 35 80;fax 031 324 90 47/48;e-mail: [email protected]

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Joachim Ahrens (ahj) Antonella Simonetti (sia)Jean Philippe Jutzi (juj)

Thomas Jenatsch (jtm)Beat Felber (bf)Andreas Stauffer (sfx)

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: Mermod SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione della redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DSC, Media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031322 44 12Fax 031324 13 48E-mail: [email protected]

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 55500

Copertina: Kinshasa, RD Congo;Torfinn / laif

ISSN 1661-1683

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Nella prossima edizione:

Sviluppo e cultura: due settori così tanto interdipendenti quanto molteplici e imprevedibili. Il nostro dossier illustra il ruolo della cultura, intesa in senso lato, nelle attività di cooperazione allo sviluppo - dalla lotta all’Aids, tramite l’ausilio di recite teatrali, alla promozione di culture indipendenti e al dialogo interculturale.