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N. 4 DICEMBRE 2002 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Un seul monde Eine Welt Un solo mondo Ricerca e sviluppo Accademici ed esperti di sviluppo attivi sul campo: un binomio vincente Mali, una storia millenaria al servizio dell’avvenire Difficile cronaca dal Sud

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N. 4DICEMBRE 2002LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

Ricerca e sviluppo Accademici ed esperti di sviluppo

attivi sul campo: un binomio vincente Mali, una storia millenaria

al servizio dell’avvenire

Difficile cronaca dal Sud

Sommario

Editoriale 3Periscopio 4Dietro le quinte della DSC 25Che cosa è... Good Governance? 25Servizio 33Impressum 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenzia dellosviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), èl’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è una pubblicazione ufficialein senso stretto; presenta infatti anche opinioni diverse. Gli articolipertanto non esprimono sempre il punto di vista della DSC e delleautorità federali.

DOSSIER

DSC

ORIZZONTI

FORUM

CULTURA

Un solo mondo n.4 / dicembre 20022

RICERCA Sapere, ricerca e azione per un mondo migliore La scienza e la ricerca possono contribuire in modonotevole a migliorare le condizioni di vita dei poveri. La DSC e il Fondo nazionale percorrono nuove vie

6Antrace e rabbia tra Basilea e N’Djamena Ricercatori svizzeri e dell’Africa occidentale studiano con un nuovo approccio partecipativo la salute di nomadi e popolazione urbana

12Partenariato Nord-Sud: tra choc e beneficio Il ricercatore mauritano Guéladio Cissé ci illustra lecondizioni in cui avviene la ricerca nei paesi del Sud

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MALI Una storia millenaria al servizio dell’avvenire Relegato tra i paesi più poveri del mondo, il Mali fatica a uscire dalla dipendenza nei confronti delle istituzioniinternazionali

16Una vita rubata Touré Fatou Sako, animatrice socioculturale maliana, ci svela l’angosciante segreto di una sua conoscente

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Povertà e terrorismo: un anno dopoWalter Fust, direttore della DSC, ci illustra cosa puòsuccedere quando il monopolio dell’uso della violenza non è più prerogativa dello stato

21Orfani dell’AIDS – una generazione senza genitori Gli orfani dell’AIDS nel mondo sono 13 milioni, la maggiorparte vive in Africa. Una tragedia senza precedenti

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Le strade della pace In Afganistan urge una rete stradale funzionante.La DSC mette a disposizione specialisti del geniocivile

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Cronisti al servizio della democraziaNei paesi in via di sviluppo, la professione di giornalistaè un continuo gioco con la vita. Un reportage dalBangladesh

26«Ntumbuluku»: mille parole per dire ambiente Lo scrittore Mia Couto ci parla delle difficoltà riscontrate nella tutela dell’ambiente in Mozambico

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«Iluminando Vidas» Una mostra fotografica itinerante apre il sipario sulla storia tormentata del Mozambico

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Questa è la singolare domanda che ogni essere umano sipone di tanto in tanto. La stessa domanda si pongonoanche le aziende, le istituzioni. E dunque, chi siamo noi,la DSC? La risposta è: siamo un centro di competenzadella Confederazione per la cooperazione con paesi in viadi sviluppo nel Sud del mondo e paesi in fase di transi-zione nell’Est, per l’aiuto umanitario e multilaterale.Nell’ambito di queste tematiche, coordiniamo gli sforzidella Confederazione e – con tutta la modestia – lo fac-ciamo con successo.

Qualche esempio tratto dall’attualità: a Johannesburg laSvizzera ha sostenuto, nel corso delle trattative, posizio-ni di grande chiarezza, e ha suscitato con la piattaformadi incontro e d’informazione «Sustainable Switzerland»,un notevole successo. Essa ha reso possibile uno scam-bio di esperienze che molti dei 40 mila partecipanti hannosalutato con interesse. Organi d’informazione nazionali enon si sono occupati sia di «Sustainable Switzerland»chedi www.does-it-matter-horn.ch, azione d’arte, ma anchesito Web predisposto in occasione dell’Anno mondialedella montagna. La conferenza annuale di fine agostosulla cooperazione allo sviluppo, incentrata sul tema«Perù: nuove possibilità per i poveri?», ha portato a Zuri-go ben 1'600 partecipanti.I 50 milioni di franchi a favore delle popolazioni colpitedalle inondazioni in Europa ed in Asia sono stati affidatidal Consiglio federale alla DSC per un pronto utilizzo.Dopo appena una settimana, il programma relativo erapronto e approvato dal Governo.

Questo tipo di prestazioni meritano di essere comunica-te, tramite un’autonoma, consapevole e mirata informa-

zione a livello nazionale ed internazionale. Ad esempiocon il nostro nuovo sito web, che appare con la sua tra-dizionale denominazione: www.dsc.admin.ch. Fateci unavisita, entrate in contatto con noi. Abbiamo inoltre uniformato il nostro Corporate Design. Infuturo, vi sarà possibile riconoscere a prima vista i nostriopuscoli. Entrambe queste misure non sono certo pensa-te per scopi autocelebrativi, quanto per rendere conto dicome abbiamo utilizzato i mezzi messi a nostra disposi-zione. Good Governance (che cosa la DSC intende esat-tamente con questo termine lo potrete leggere a pagina25, nell’apposita rubrica) richiede responsabilità, consa-pevolezza e trasparenza: e noi intendiamo procedere inmaniera esemplare.

Del fatto che non temiamo confronti e siamo aperti allevoci del Sud, ne è prova la nostra collaborazione per unanno con l’opinionista e scrittore mozambicano MiaCouto. Una giuria africana ha di recente selezionato ilsuo «Terra Sonâmbula», apparso nel 1992, tra i primi diecidei 100 libri africani degni di nota. Auguri, Mia! A pagina29 di questa edizione Couto si accomiata da «Un solomondo» con un articolo, scritto con il suo inconfondibilestile, sulla tematica dell’ecologia in Mozambico. L’annoprossimo, avremo con noi, per la nostra rubrica, un’altravoce del Sud. E già siamo ansiosi per l’emozione di nuovi,fruttuosi confronti.

Harry SivecCapo Media e Comunicazione DSC

(Tradotto dal tedesco)

Chi sono?

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Editoriale

Gas contro benzina(bf ) A partire dal mese di set-tembre di quest’anno, inBangladesh è vietato utilizzareveicoli con motore a due tempi.Inoltre, il governo ha esortato gliautomobilisti ad effettuare laconversione dei motori da ben-zina a gas. Il governo, con l’in-cremento del consumo di gas –nell’ambito del traffico veicolaree nel settore industriale – inten-de proteggere l’ambiente e pro-muovere l’utilizzazione delleriserve di gas naturale. Per le vet-ture che effettueranno la conver-sione saranno predisposti entrodue anni un centinaio di distri-butori di gas. Si stima che se il50 percento di tutti i veicoli infunzione a Dhaka e Chittagongsarà convertito a gas, il paesepotrà risparmiare annualmentecirca 100 milioni di dollari USAoggi dovuti alle spese di impor-tazione per la benzina. IlBangladesh possiede giacimentidi gas naturale che ammontano acirca 24 trilioni di piedi cubici.

Ricchi piuttosto che ecologi-camente compatibili?(bf ) Che le condizioni ambien-tali non siano in relazione direttacon lo sviluppo di un paese ècosa provata anche da uno studiosulla sostenibilità ecologica ese-guito dalla Columbia University.Nella graduatoria di questaricerca, la Svizzera si trova lode-volmente al quinto posto, mentre

altri paesi industrializzati risulta-no, al confronto con nazioni invia di sviluppo, in posizionemolto meno lusinghiera: gli StatiUniti si trovano al 45° posto,molto al disotto della Bolivia cheè al 21°. Il Perú è 29°, il Gabon36°, l’Inghilterra occupa il 91°rango, mentre il Belgio è addirit-tura 125°.Lo studio (www.ciesin.columbia.edu/indicators/ESI) dimostrache lo sviluppo economico nonè sinonimo di un ambiente eco-logicamente intatto. «Ogni paeseha ancora possibilità di migliora-mento», afferma lo scienziatoMarc Levy, uno degli autoridello studio, «e nessun paese puòpensare di trovarsi già sulla stradache porta ad una sostenibilesituazione ecologica».

Ecoturismo a scapito degliindigeni?(bf ) Il settore dell’ecoturismo è,

all’interno del più grande settoreeconomico del mondo che èl’industria turistica, quello dallacrescita più rapida. Nel corsodegli ultimi venti anni, l’ecotu-rismo ha acquisito una crescentepopolarità nel mondo intero.Secondo gli esperti questa ver-sione di turismo pacifico offreuna più approfondita difesa dellanatura, stimola i guadagni di stra-ti di popolazione poveri e incre-menta lo scambio culturale.Negli ultimi tempi tuttavia l’e-coturismo ha anche delle con-notazioni negative, e si moltipli-cano i casi in cui i lucrosi guada-gni (gli ecoturisti spendono dinorma molto più dei turisti dimassa) vanno a scapito dellepopolazioni indigene.Alcuniesempi dell’anno 2002: nelleFilippine circa cento famiglie dipescatori residenti nella localitàdi Ambulong sono state scacciatedal loro villaggio. In Bangladeshun migliaio di famiglie del Khasie del Garoare hanno dovuto la-sciare una regione abitata damolte generazioni. In entrambi icasi, i territori sono destinati aenormi parchi ecologici. InBrasile, per lo stesso motivo duevillaggi di pescatori abitati da1100 famiglie stanno a loro voltalottando contro la realizzazionedi un parco ecologico di 5 milaettari, e nello Stato federale indi-ano del Karnataka la popolazio-ne indigena è in lotta per affer-mare i diritti sulla propria terra.

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Veri e falsi cittadini(bf ) Sono ormai milioni, i cinesiche negli ultimi anni hannoabbandonato le loro terre percercare un futuro migliore nellecittà. Come afferma uno studiocompiuto dalla Banca asiatica disviluppo il numero dei poveri ècresciuto in tutte le 31 provinciee nelle 35 maggiori città delpaese. Si stimano a oltre 37milioni le persone che vivono al

disotto della soglia di povertà neigrandi agglomerati urbani cinesi.Cifra che corrisponde all’11,9percento dell’intera popolazioneurbana.In considerazione del fatto chenon sono considerati abitanti dicittà, gli immigrati interni nonhanno accesso alle case popolari,ad opere sociali e strutture sani-tarie. Perlopiù svolgono lavorimiseramente pagati e anche

molto pericolosi. Si tratta di unostrato sociale nel quale si registraun tasso di povertà più alto del50 percento rispetto alla popola-zione urbana permanente. Unbarlume di speranza viene preva-lentemente dal settore privato:per vincere la battaglia contro lapovertà degli agglomerati urbanidovrebbero essere creati milionidi posti di lavoro.

L’Africa in rete(jls) L’Africa si mobilita per assi-curare la presenza delle sue lin-gue locali su Internet. Da unincontro di esperti tenutosi nelloscorso mese di maggio aBamako è scaturita una serie diraccomandazioni, concernenti lacodificazione delle lingue africa-ne. Per fare in modo che untesto possa essere trasmesso suInternet, i caratteri devono esserecodificati numericamente.Attualmente, la trascrizione dicerti suoni specifici degli idiomi

africani necessita di carattericompositi, che non sono ancorapresi in considerazione da partedei comitati internazionali distandardizzazione. Lo studiocompiuto a Bamako ha suggeritoagli specialisti africani di realiz-zare un elenco di «caratteri afri-cani prestabiliti» e di depositarlopresso l’Organizzazione interna-zionale della normalizzazione(ISO). In tal modo, questi carat-teri potranno essere aggiunti allenuove norme internazionaliUCS/JUC (Serie universale dicaratteri) entrate in vigore all’i-nizio del 2000. Gli esperti hannoegualmente preconizzato la crea-zione di due fondi: il primo, perfinanziare la realizzazione e lamanutenzione dei siti Internetespressi nelle lingue africane; ilsecondo, per consentire l’istru-zione di esperti di informaticaafricani, chiamati a configuraree gestire i server che ospiterannoi siti in questione.

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Le accademie di ricerca e gli esperti di sviluppo attivi sulcampo non sono sempre bendisposti reciprocamente. Ma lascienza e la ricerca possono contribuire in larga misura amigliorare le condizioni di vita dei più poveri. In Svizzera, laDirezione dello sviluppo e della cooperazione e il Fondo nazio-nale imboccano insieme nuove strade. Di Gabriela Neuhaus.

Cambiamenti climatici, espansione delle regionidesertiche, erosione, mancati raccolti o epidemie:sono temi della cooperazione allo sviluppo e nelcontempo temi studiati nelle università e negli isti-tuti di ricerca di tutto il mondo. Una collaborazio-ne più intensa tra scienza e cooperazione allo svi-luppo mira a rendere più efficienti dal profilo pra-tico le nozioni studiate – un’esigenza spesso diffi-cile da soddisfare.«Le logiche e le velocità con cui si svolgono il lavo-ro di sviluppo e l’attività scientifica sono e restanodifferenti», afferma Manuel Flury, responsabile degliambiti Sapere e Ricerca presso la DSC. Il suo obiet-tivo è avvicinare gli esperti dello sviluppo attivi sulcampo e gli accademici nelle attività scientifiche.Urs Geiser, per anni attivo nel lavoro pratico disviluppo, è oggi lettore presso l’Istituto geograficodell’Università di Zurigo. Per esperienza, Geiserconosce entrambi gli aspetti e ammonisce da unafocalizzazione esagerata della ricerca sulla realizza-zione: «La scienza deve mantenere una distanzacritica dalla pratica. La cooperazione allo sviluppoè sempre anche un lavoro politico. All’ universitàdobbiamo osservare evoluzioni sul lungo termine,non siamo in grado di fornire delle ricette e dob-biamo fare attenzione a non lasciarci strumentaliz-zare. Perciò è importante che la pratica dello svi-luppo e la ricerca sullo sviluppo avviino un dialo-go critico costruttivo».

Cibo per tutti La ricerca che si mette al servizio della coopera-zione allo sviluppo è sempre orientata all’applica-zione. Nel 1971, ad esempio, venne costituito ilConsultative Group on International AgriculturalResearch CGIAR con l’obiettivo dichiarato di pro-muovere la ricerca nel campo dell’agricoltura tro-

picale, al fine di «accrescere la produzione di der-rate alimentari». L’impulso fu dato dalle crisi ali-mentari che minacciavano differenti paesi in via disviluppo. La Svizzera fu una delle 18 nazioni fon-datrici, e ancora oggi partecipa alle attività dei cen-tri di ricerca agraria del CGIAR, sia dal profilofinanziario, sia dal profilo contenutistico.All’inizio l’accento fu posto sulla coltivazione dispecie più produttive. Con il tempo, nella maggiorparte dei centri la ricerca si è vieppiù allargata allasostenibilità e alla lotta contro la povertà. Preten-dendo che i prodotti e le forme di produzione nelSud venissero adeguate alle condizioni di vita loca-li. Il significato di tale adeguamento è però conte-stato e viene esposto in maniera differente a dipen-denza del punto di vista e degli interessi.Un esempio è la tecnologia genetica, tematica af-

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Sapere, ricerca eazione per un mondomigliore

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frontata anche nei centri CGIAR e in parte pro-mossa con fondi per lo sviluppo stanziati dallaDSC. I fautori della tecnologia genetica vi vedono– in piena chiave di lettura della vecchia strategiaCGIAR – una possibilità per aumentare i raccoltie risolvere in futuro il problema della fame. Altriricercatori ammoniscono sia dai rischi ecologici,sia da nuove dipendenze create dall’impiego disementi geneticamente modificate prodotte nellamaggior parte dei casi da multinazionali del Nord.

Ritorno segnato dalla frustrazione Quando fu fondato, al CGIAR partecipava ununico paese in via di sviluppo – una situazioneimpensabile nel nostro tempo. Oggi si è ormaiaffermata l’opinione che lo sviluppo sia possibileunicamente se ai progetti e ai programmi parteci-

pano sin dall’inizio anche i diretti interessati. Se sivuole migliorare durevolmente la situazione deipaesi più poveri, le popolazioni locali devono di-sporre di possibilità e mezzi propri che consenta-no loro di analizzare la loro situazione, trovare solu-zioni e tradurre in realtà le ottimizzazioni.In tal senso, la scienza e la ricerca giocano un ruoloessenziale. Le organizzazioni per lo sviluppo comela DSC appoggiano ormai da anni istituti di for-mazione e di ricerca nel Sud, in primo luogo conl’obiettivo di «capacity building»: anche nel Sudoccorre formare esperti che siano presi sul serio alivello internazionale e possano dire la loro.Sempre più spesso accademici provenienti da paesisvantaggiati ottengono borse e posti di studio nelNord. Al termine della formazione molti di loronon fanno ritorno in patria. Hanno maggiori pos-

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Cambiamenti climatici,abbandono delle cam-pagne, progressivadesertificazione. Lascienza è alla continuaricerca di soluzioni, peresempio in Tailandia e in Kenya (pag.6/7), inIndonesia (sopra), nelSudan (pag. 9) o nelSenegal (pag. 10).

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sibilità se restano, mentre il ritorno in patria è spes-so sinonimo di frustrazione.Stephen Ralitsoele, direttore dell’Istituto di ricercaagraria del Lesotho, ricorda il suo ritorno in Africafresco fresco di studi di agronomia in Europa –pieno d’entusiasmo e con il fermo proposito dimettere la sua formazione al servizio dello svilup-po del suo paese. E come dovette imparare dolo-rosamente quanto poco il suo sapere dall’Europaaveva a che fare con la realtà vissuta dai contadinidel Lesotho. Oggi nel suo istituto Ralitsoele cercadi sviluppare ulteriormente esperienze praticheafricane con metodi scientifici. In un Lesothominacciato dalle carestie e dall’erosione le oppor-tunità dell’agricoltura – tal è la sua convinzione –sono strettamente connesse alle condizioni di vitadei contadini.

Collaborazione interdisciplinare Mentre l’attività scientifica classica è attiva sulfronte di singole discipline specialistiche, per laricerca orientata ai problemi la collaborazione traricercatori dei più disparati campi e l’interazionecon i diretti interessati sono ineluttabili. La pover-tà in una città africana, ad esempio, può esserecompresa solo analizzando e mettendo in relazio-ne fra loro differenti aspetti parziali, come lo statodi salute della popolazione, il loro sfruttamentodelle risorse, il clima politico, ecc. I primi passinella direzione di una «ricerca interdisciplinare otransdisciplinare» sono stati fatti negli anni ottanta,

allorché sullo sfondo di crescenti crisi ambientalil’esigenza di una ricerca orientata ai problemi si èfatta sempre più pressante. Sull’onda di questonuovo slancio, il lavoro nel Sud orientato all’appli-cazione in loco ha acquisito un’importanza viep-più crescente anche presso differenti istituti diricerca elvetici.Dall’Olanda e dal Canada, fondi per la ricercaconfluiscono direttamente in progetti scientificiformulati, proposti e realizzati da istituti del Sud. InSvizzera non si arriva a tanto: i progetti di ricerca,anche nell’ambito dello sviluppo, ricevono un so-stegno finanziario unicamente se un partner svizze-ro vi partecipa e ne assume la direzione.Fedele al suo tradizionale impegno a favore dellaricerca e della formazione, nel 1993 la DSC hapartecipato al programma di ricerca «Ambiente»,nell’ambito del quale per la prima volta fondi diricerca nazionali furono messi a disposizione diprogetti Nord-Sud. Mentre il Fondo nazionalefinanziava le spese di ricerca dei partner elvetici, ifondi della DSC confluirono nella formazione enella creazione di istituti scientifici nel Sud. Leesperienze scaturite da questi progetti hanno crea-to le basi del Polo di ricerca nazionale (PRN)Nord-Sud (vedi riquadro a pagina 10) – un pro-getto pionieristico, riconosciuto anche a livellointernazionale, che mira a mete ambiziose.

Un progetto ambizioso «Il progetto presenta diversi aspetti innovativi»,

Gli 11 comandamentidella ricerca Nord-Sud 1. Fissare insieme l’og-

getto della ricerca 2. Costruire la fiducia 3. Informare ed integrare 4. Condividere le respon-

sabilità 5. Creare trasparenza 6. Registrare progressiva-

mente la collaborazione7. Rendere noti i risultati 8. Implementare i risultati 9. Dividere equamente i

ricavi 10. Promuovere le capaci-

tà di ricerca 11. Assicurare i risultati

ottenuti

Questi undici principi fon-damentali per un partena-riato fruttuoso tra ricerca-tori del ricco Nord e donnee uomini di scienza delSud e dell’Est mostranodove possono sorgereproblemi. Il filo conduttore«Partenariati di ricerca conpaesi in via di sviluppo» èstato sviluppato nel 1998dalla Commissione svizze-ra per la collaborazionescientifica con i paesi in viadi sviluppo (KFPE), e alivello internazionale è con-siderato un metro per talipartenariati di ricerca.

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afferma Daniel Maselli, co-organizzatore del PRNNord-Sud. «Per la prima volta, sette differenti isti-tuti di ricerca elvetici collaborano allo stesso pro-gramma di ricerca. Ci occupiamo di un tema scot-tante: quello del mutamento globale. Gettiamo unocchio particolare ai problemi dei paesi in via disviluppo e in transizione, pur coinvolgendo laSvizzera nei nostri lavori di ricerca. Desideriamocollaborare al di là delle frontiere poste dalle diffe-renti discipline scientifiche e coinvolgere nel no-stro progetto di ricerca anche i diretti interessati».Peter Messerli, coordinatore del programma diricerca – cui partecipano oltre 200 ricercatrici ericercatori del Nord e del Sud –, illustra «l’approc-cio della sindrome» alla base dell’intero progetto:«Prevediamo di completare i classici approcci dellaricerca, che si occupano dei problemi di fondo deipaesi in via di sviluppo e in transizione. Da uncanto cerchiamo di capire meglio come convergo-no tali problemi di fondo e se in differenti luoghiè possibile riconoscere modelli d’interazione simi-li. D’altro canto aspiriamo ad una stretta collabora-zione con le persone interessate da tali problemi.In questo modo speriamo di poter sviluppare stra-tegie più efficaci tese a lenire i problemi causati dalmutamento globale».Gli obiettivi del Polo di ricerca nazionale Nord-

Sud sono sono ambiziosi: non solo si vogliono svi-luppare nuovi metodi di analisi delle problemati-che studiate, ma si prevede anche di illustrare pos-sibili strategie di cooperazione allo sviluppo, nelquadro di progetti piloti e naturalmente con ilcoinvolgimento della popolazione interessata.Vi siaggiunge l’esigenza della Direzione per lo svilup-po e la cooperazione che anche i partenariati diricerca contribuiscano a sviluppare il capacity buil-ding nel Sud. Un processo che per i responsabili diricerca elvetici richiede spesso molto tempo.

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I poli di ricerca nazionali Il Fondo nazionale svizze-ro per la ricerca scientificafu fondato nel 1952 alloscopo di «favorire la ricer-ca scientifica». Nel quadrodei «Poli di ricerca nazio-nali» (PRN), con comples-sivi 224 milioni di franchiper i prossimi quattro anniesso promuove 14 diffe-renti «poli di ricerca» – lagamma spazia dalla biolo-gia molecolare alla nanori-cerca, dal PRN Nord-Sudai «partenariati di ricercaper attenuare la sindromeda mutamento globale»(vedi riquadro).

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Dalla teoria alla pratica «Collaboriamo con tre differenti tipi di partner delSud», afferma Ulrike Müller-Böker, professoressadi geografia presso l’Università di Zurigo eresponsabile di progetto. «Con attività scientificheconfermate, integrate a livello internazionale e cheapplicano i nostri stessi standard; con organizzazio-ni non governative – anche in questo caso, si trat-ta di persone esperte; e con istituti che non hannomai formato dottorandi e che lavorano in condi-zioni estremamente difficili, come il CentralDepartment of Geography nepalese».La collaborazione con questi ultimi è particolar-mente importante, seppur onerosa. Per la ricerca-trice una cosa è certa: gli ulteriori ostacoli postidalle differenze culturali e dalle condizioni quadropolitiche non debbono ripercuotersi negativamen-te sulla qualità della ricerca. Il PRN Nord-Sud èin primo luogo un progetto di ricerca, ma tradur-re in realtà i risultati deve essere un’attività piùdiretta di quanto non lo sia stato generalmente inpassato.Accanto a questo grande progetto vi sono tuttaviaanche altre numerose fonti di «sapere», che ManuelFlury desidera vieppiù integrare nella cooperazio-ne allo sviluppo. «La cosa importante è che la DSC

dia il suo contributo anche nella trasmissione deldi sapere. Ciò che scaturisce qui da noi e nei paesipartner grazie al sostegno alla ricerca, a valutazio-ni e a studi dovrà in futuro confluire con maggiorconsapevolezza nelle pianificazioni annuali». ■

(Tradotto dal tedesco)

Il Polo di ricerca nazionale Nord-Sud I «rapporti tra zone di montagna e regioni cir-costanti», le «regioni di transizione semiaridea margine dei deserti» e «città e periferie» inrapida crescita sono le tre tematiche di fondostudiate scientificamente nel quadro del Polodi ricerca Nord-Sud. Il progetto, la cui durataprevista è di dieci anni, è sostenuto nei primiquattro anni (2001-2005) dal Fondo naziona-le svizzero e dalla DSC con 14,5 milioni difranchi cadauno; il budget complessivo diquesta prima fase ammonta a 33 milioni difranchi. In Svizzera partecipano al progettosette differenti istituti di ricerca. La direzione èaffidata al Centro per lo sviluppo e l’ambientedell’Istituto geografico dell’Università diBerna. Al centro del PRN Nord-Sud vi è la collabora-zione partecipativa con istituti e diretti interes-sati nel Sud e nell’Est. L’obiettivo è quello diindividuare le cause e le possibilità di lenirei problemi brucianti come i cambiamenti cli-matici, la penuria d’acqua o le migrazioni. Ilprogramma di ricerca si compone di sette«progetti individuali» (IP), che pur fissandoognuno un tema prioritario lavorano in strettainterconnessione. In nove ambiti di progetto –otto dei quali in paesi in via di sviluppo, unoin Svizzera (vedi cartina) – vengono realizzatistudi di casistica su campo. I risultati dei lavo-ri di ricerca dovranno quindi convergere diret-tamente in progetti pilota elaborati con i diret-ti interessati. L’obiettivo è quello di svilupparein tal modo misure che, in seguito, potrannoconfluire nella cooperazione allo sviluppo. Il sito web con i progetti del Polo di ricercanazionale Nord-Sud è il seguente: www.nccr-north-south.unibe.ch

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(gn) Cammelli, bovini, pecore e capre sono il benepiù importante dei nomadi nel Ciad. E come tale,le bestie vengono curate – e vaccinate. I figli deinomadi, invece, non ricevono nemmeno la vacci-nazione di base consigliata dall’Organizzazionemondiale della sanità (OMS), poiché non hannoaccesso alle stazioni sanitarie della popolazioneresidente. Sulla base di uno studio comune, ricer-catrici e ricercatori del Ciad ed elvetici stanno ela-borando una soluzione al problema: nel quadro diuna «medicina comune» in futuro le campagne divaccinazione presso i nomadi e i loro greggi saran-no realizzate in comune da veterinari e medici.

Malattie di ceti urbani e contadiniLo stato di salute di uomini e animali in Africapreoccupa da anni l’Istituto Tropicale Svizzero diBasilea. Perciò, il «Progetto individuale n. 4» (IP4)del Polo di ricerca nazionale (PNR) Nord-Sudpuò svilupparsi su solide basi. La tematica di fondoè «salute e benessere», la regione di ricerca l’Africa

occidentale, la direzione dell’Istituto TropicaleSvizzero (ITS).I problemi di fondo, come la penuria d’acqua o leepidemie, sono studiate sulla base di esempi con-creti. Le ricercatrici e i ricercatori si concentranosu due differenti gruppi di popolazione. In

Ciò che per molti ricercatori del Nord e del Sud rappresentauna novità – la ricerca partecipativa in loco orientata ai pro-blemi – è ormai una tradizione presso l’Istituto TropicaleSvizzero. Nel quadro del Polo di ricerca nazionale Nord-Sud,ricercatori svizzeri e dell’Africa occidentale studiano la salutedi nomadi e popolazione urbana.

Antrace e rabbia tra Basilea e

La rabbia - una storiadi successi Durante due anni e mezzoUrsula Kajali ha lavoratonel Ciad nel quadro di unaborsa di studio della DSC«Jeunes chercheurs»,dove ha costruito un labo-ratorio di ricerca sulla rab-bia. Nel Ciad prima non viera nessuna possibilità didiagnosticare in laboratorioquesta malattia. In collabo-razione con geografi, èstato possibile individuare icani e i loro padroni in dif-ferenti quartieri della capi-tale N’Djamena e sotto-porre gli animali a un testantirabbia. Sulla base diquest’attività preliminare,in collaborazione con leautorità di quartiere i ricer-catori hanno realizzato unacampagna di vaccinazionedei cani. Il successo èstato eclatante: grazie aquest’azione è stato possi-bile raggiungere una den-sità di vaccinazione supe-riore al 70 percento.Questo lavoro di ricercaconfluisce ora nell’IP4 – laprosecuzione a livello pra-tico del programma anti-rabbia è ora di responsabi-lità del governo ciadiano.

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Mauritania e nel Ciad, dottorandi del Nord e delSud si occupano della salute dei nomadi, e in dif-ferenti città della regione – caratterizzate da fortiimmigrazioni – vengono studiate le condizioni divita e di salute dei più poveri.«I cambiamenti a livello demografico causano cam-biamenti anche a livello epidemiologico», diceMarcel Tanner, direttore dell’ITS, precisando laproblematica dal punto di vista dell’evoluzionedelle città.Malaria, tubercolosi e diarrea sono in primo luogomalattie dei ceti bassi rurali, mentre il ceto mediodelle città è vittima soprattutto di malattie croni-che e dell’AIDS. «Gli immigrati provenienti dalleregioni rurali, i poveri delle città, hanno il peggiodi entrambi i mondi», constata Tanner. Apparten-gono al «gruppo maggiormente vulnerabile». Instretta collaborazione con la rispettiva popolazio-ne, l’ITS e le organizzazioni partner in Africa pre-vedono di realizzare analisi del rischio a livello diquartiere e di illustrare fasi di sviluppo utili amigliorare la situazione.

Interrogativi dal Sud All’inizio del PNR Nord-Sud a dominare erano ipartner del Nord – giacché per motivi di tempo eal fine di rispettare le prescrizioni del FondoNazionale non era possibile far intervenire inmodo adeguato i partner del Sud nella progetta-zione. Grazie al pluriennale partenariato tra l’ITSe differenti istituzioni governative e di ricercadell’Africa occidentale, l’IP4 si è trovato in unasituazione di partenza favorevole. Così, tre anni fail governo del Ciad ha incoraggiato una ricercasulla rabbia nelle città. L’antrace è un altro temastudiato più da vicino nel quadro dell’IP4 a causadella richiesta dal Sud.Quest’estate il veterinario e microbiologo AngayaMaho, responsabile del dipartimento di microbio-logia presso il Laboratoire de Recherches Vétérinaires

et Zootechniques de Farcha a N’Djamena, è stato inSvizzera per un soggiorno di formazione. Qui haconosciuto nuovi metodi di diagnostica dell’antra-ce. Le sue possibilità tecniche a N’Djamena risal-gono agli anni cinquanta. Maho spera ora di potermodernizzare progressivamente il suo laboratorionel quadro di questo partenariato.L’obiettivo del suo progetto è determinare i diffe-renti ceppi dell’agente patogeno dell’antrace checolpiscono i greggi dei nomadi e di verificare emigliorare l’efficacia del vaccino prodotto local-mente. I ceppi del vaccino contro l’antrace attual-mente utilizzato in Africa occidentale provengonodalla Gran Bretagna e spesso non mostrano glieffetti sperati. Con lo sviluppo di un vaccino adat-tato alla situazione locale si vuole migliorarne l’ef-ficacia – oltre a fare un passo in direzione dell’in-dipendenza della medicina veterinaria ciadiana.

Centro di ricerca in Africa Il coordinatore del progetto IP4 nel Sud è il ricer-catore mauritano Guéladio Cissé (vedi pagina 14),che ha redatto la propria tesi di dottorato nel qua-dro di un partenariato di ricerca con la Svizzera.Le sue conoscenze del panorama scientifico elveti-co facilitano la cooperazione interculturale.Dei tredici dottorandi del Sud, sette lavorerannopresso il Centre suisse de recherches scientifiques(CSRS) di Abidjan, di cui Cissé è direttore aggiun-to. «Desideriamo promuovere la ricerca multidisci-plinare – questo tipo di ricerca viene effettuata inequipe. Se lavorano uno nel Ciad e l’altro inMauritania, i dottorandi non possono vivere vera-mente l’interdisciplinarità. Qui al CSRS è invecepossibile». Così Cissé spiega la concentrazione nelCentro. Coinvolgendo a fondo il CSRS nel PRNNord-Sud Marcel Tanner spera che grazie al par-tenariato di ricerca l’istituto divenga sempre piùun centro scientifico per l’Africa occidentale. ■

(Tradotto dal tedesco)

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«Per me la medicina veteri-naria è interessante laddo-ve tocca anche l’uomo. Illavoro in un altro ambiente,il confronto con un’altracultura è stato interessantee mi ha arricchita». Ursula Kajali, dottorandaITS

«Sin da bambino pensavoche fossimo privilegiati. Homeno problemi ad integrar-mi in un contesto di svilup-po difficile che praticare quiuna medicina di lusso concani, gatti e cavalli». Jakob Zinsstag, responsa-bile del progetto di medici-na veterinaria, ITS

«In Svizzera, per i ricerca-tori le condizioni quadronon sono nemmeno lonta-namente comparabili aquelle nel Ciad: le possibili-tà in Svizzera, il materialenei laboratori – è incredibi-le!» Angaya Maho, Laboratoirede Recherches Vétérinaireset Zootéchniques deFarcha

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Un solo mondo: Che cosa caratterizza laricerca nei paesi del Sud?

Guéladio Cissé: La ricerca è condannata a fissar-si su problemi concreti e brucianti. Le ragioni sonodue: chiamati a produrre risultati con poche risor-se, i ricercatori sono obbligati ad ottimizzare imezzi messi loro a disposizione. D’altro canto, de-vono giustificare la loro esistenza, provare in modovisibile che il loro lavoro è pertinente e che con-tribuisce allo sviluppo locale. In Africa, la popola-zione e i politici sono ancora scettici nei confron-ti della ricerca.

Una volta terminati gli studi, molti dei ri-cercatori del Sud formati nelle nazioni svi-luppate decidono di rimanere nel Nord.Ve-de una soluzione a quest’esodo di cervelli?In realtà, la maggior parte dei giovani africani chestudiano nel Nord sogna di fare ritorno in Africa e

di assumere una funzione che corrisponda alle lorocompetenze. Ma al ritorno, molti di essi trovanolaboratori smembrati, privati di ogni fondo per laricerca, e ricevono salari da fame in un sistemaimputridito dal nepotismo. Dopo qualche mesecercano altrove una situazione migliore, per moti-vi umani e universali: la volontà di vivere un’esi-stenza decente con la loro famiglia, il bisogno diaffermarsi professionalmente, di sicurezza, eccetera.Per rimediarvi le istituzioni del Nord dovrebberointeressarsi all’avvenire professionale dei ricercato-ri d’alto livello che hanno formato. Potrebberoaiutarli a ideare progetti che permettano loro di farritorno in patria e mettere a profitto le loro capa-cità in laboratori ben equipaggiati. Simili misurerichiedono un riorientamento profondo del siste-ma e non sono sempre applicabili. Ma il loro costosarebbe modesto se confrontato ai milioni donatiper la cooperazione allo sviluppo.

Nei paesi del Sud la ricerca soffre incredibilmente della man-canza di mezzi finanziari. Per il mauritano Guéladio Cissé,direttore aggiunto del Centro svizzero di ricerca scientifica diAbidjan, i partenariati con il Nord consentono ai ricercatori diesercitare la loro professione in condizioni migliori e di raffor-zare le loro capacità. Un’intervista di Jane-Lise Schneeberger.

Partenariato Nord-Sud: tra choc e beneficio

Guéladio Cissé, dottorein scienze tecniche EPFL,è un ottimo conoscitoredei partenariati di ricercatra Nord e Sud. Dopo glistudi di ingegneria civile inAlgeria, questo mauritanosi è specializzato in geniosanitario presso la Scuolapolitecnica federale diLosanna (EPFL) e l’Écoleinter-États d’ingénieurs del’équipement rural (EIER)di Ouagadougou. Dal1986 al 1991 ha diretto ilServizio per l’igiene e ilrisanamento del Ministerodella sanità mauritano. Poiha avviato il terzo ciclo distudi in scienze ambientalipresso l’EPFL. Il suo lavo-ro di master e la sua tesidi dottorato si orientanoall’impatto sanitario dell’u-so di acque inquinate nel-l’agricoltura urbana delSahel. Dal 1992 al 2001,Guéladio Cissé ha coordi-nato queste ricerche nelBurkina Faso e inMauritania, lavorando incollaborazione con l’EPFL,l’Istituto tropicale svizzero,l’OMS e l’EIER. Dal 2001è direttore aggiunto delCentro svizzero di ricercascientifica di Abidjan ecoordinatore regionale delprogetto IP4 (cfr. pagina12).

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Lei stesso ha fatto della ricerca in Africa conistituti svizzeri. Quali sono i vantaggi deipartenariati Nord-Sud?Rispetto alla ricerca classica, offrono un plusvaloremaggiore sul piano sociale ed economico.Permettono di consolidare le istituzioni del Sud edi sviluppare le capacità dei loro ricercatori. Perquesti ultimi i vantaggi sono enormi, segnatamen-te sul piano delle risorse intellettuali – che trovanopresso gli istituti del Nord. Dal canto loro, i ricer-catori dei paesi sviluppati hanno l’occasione dicomprendere meglio le problematiche del Sud.Ciò contribuisce alla mondializzazione dei valori.

Come avviene l’incontro fra questi ricerca-tori di culture differenti?Vi è sempre un certo choc culturale, ma ognunone esce arricchito. La persona del Nord ha lasciatoil proprio paese dove tutto funziona. Nel Sud, siritrova confrontata a panne d’elettricità, mancanzadi carburante o materiale difettoso; ciò che avevaprevisto di fare l’indomani non potrà farlo forse

che tra una settimana. Nella sua valutazione degliavvenimenti integra rapidamente una dimensionepiù umana. La gente del Sud, invece, acquisisce unmaggior rigore nel processo scientifico ed imparaa rispettare le tabelle di marcia.

I mezzi finanziari non sono gli stessi da unae dall’altra parte. Questo disequilibrio vienerisentito a livello del lavoro quotidiano?Il partenariato non è sempre idilliaco. Succede chericercatori del Nord adottino un’attitudine domi-natrice nei confronti di quelli del Sud, credendo diavere più potere per il fatto che il programma èfinanziato dal loro paese. I conflitti possono sorge-re soprattutto quando il partner del Nord, oltre adessere maldestro, non è poi così competente comevuole far credere. Può trovarsi faccia a faccia conun ricercatore africano brillante e serio, che si sen-tirà veramente frustrato. Beh, esiste anche il casoinverso: un ricercatore del Nord pieno di buona

volontà può arrivare in un istituto gestito male,dove i partner sono deboli e poco cooperativi.Affinché un partenariato funzioni bene deve fon-darsi sulla fiducia e il rispetto reciproci. Ognunadelle parti deve portare sull’altro uno sguardo valo-rizzante, la comunicazione deve essere buona e lecompetenze equivalenti.

Visto il loro bisogno di finanziamento, iricercatori del Sud non rischiano d’esseremanipolati, ad esempio producendo lavoriche servono gli interessi dei gruppi indu-striali?Simili abusi esistono. La ricerca è a volte animatada persone poco preoccupate dell’etica, che perse-guono obiettivi puramente commerciali e che uti-lizzano tutti i meccanismi possibili per raggiunge-re il loro scopo. Se il responsabile della ricerca nelpaese interessato non ha buoni consiglieri, accette-rà ogni progetto che gli si presenta sotto angola-zioni ottimistiche, come quello degli effetti econo-mici. La debolezza degli istituti, l’insufficienzadelle capacità umane e la corruzione aprono laporta a questo tipo di manipolazione. ■

(Tradotto dal francese)

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zioni presidenziali del maggio del 2002, Alpha Oumar Konaréamava convocare i suoi griot prediletti a Palazzo di Koulouba,l’Eliseo nero che sovrasta la capitale. Storico di formazione, l’excapo dello Stato rimaneva incantato da questa cultura della cro-naca cantata, dal racconto leggendario che i djéli mandinghi tra-smettono da almeno dieci secoli.

Le armi tacciono La cultura imperiale – quella di Soundjata Keita, fondatore del-

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Bisogna attendere fino a mezzanotte prima che ToumaniDiabaté si presenti con la sua Mercedes cabriolet. Ogni venerdìsera il giovane eroe della kora (un’arpa mandinga di 21 corde)tiene un concerto a Bamako, sul palcoscenico del club Hogon.A pochi passi dalla ferrovia che collega la capitale maliana aKayes e Dakar, il canto dei griot elettrici riunisce i melomaniinveterati e i notabili accompagnati dalle loro amanti.In Mali la musica è un settore sul quale sembrano convergeretutti gli interessi della nazione. Prima di essere sconfitto alle ele-

Relegato tra i paesi più poveri del mondo, il Mali fatica a uscire dalla dipen-denza nei confronti delle istituzioni internazionali. La sua antica cultura, la suarelativa stabilità democratica e alcune personalità pioniere rappresentano tut-tavia altrettante carte vincenti. Di Arnaud Robert*.

Una storia millenaria al serviziodell’avvenire

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l’impero del Mali nel XIII secolo – rimane la mag-giore ricchezza di questo paese senza sbocchi sulmare, nel quale solo il fiume Niger offre una viad’accesso naturale alle regioni limitrofe. Già neglianni Sessanta, il patriarca Modibo Keita, cheinstaurò uno dei primi regimi socialisti d’Africa,esigeva dagli artisti che inventassero una variantemandinga per le musiche pop d’importazione,il rock’n’roll e il rhythm and blues americani.Boubacar Traoré e Ali Farka Touré hanno perciòscritto delle canzoni per chitarra fortemente radi-cate nella tradizione africana. Ed è forse così che si

è creata quella che qui tutti chiamano la «fierezzamaliana».Cantante ritiratosi dagli affari,Ali Farka Touré nonsi preoccupa più di tanto della recente investiturapresidenziale di Amadou Toumani Touré. Egli vi-ve a Niafunké, all’estremo nord del Mali, dove gliuomini portano dei turbanti che nascondono lametà del loro volto. Esattamente come fanno ituareg. Nei pressi di Tombouctou, in quelle cittàlambite dalle sabbie sahariane, la situazione appa-re calma. Le battaglie che opponevano l’armatamaliana ai ribelli nomadi sono dimenticate.Eppure nel 1994, nel vivo della guerra contro ituareg, Jean-Claude Berberat, responsabile dellaDSC in Mali, era stato ritrovato a Niafunké, assas-sinato in circostanze inspiegabili. L’accaduto eragravissimo per questo paese, che nella sua storiapost-indipendenza ha conosciuto poca violenza.Dieci anni fa, il militare Amadou Toumani Touré,chiamato ATT, strappava il potere al dittatoreMoussa Traoré.Assicurando poi una transizione diun anno e abbandonando la presidenza senza nep-pure presentarsi alle elezioni. Un modo di proce-

dere davvero inedito in un continente dove i diri-genti dello Stato tendono a conservare le loro fun-zioni ben oltre i termini ragionevoli. Ecco perchéil Mali è diventato un modello di democrazia.

Squilibri regionali A Bamako, a qualche mese dalle elezioni, i ritrattidi ATT invadono ancora i muri delle miriadi dicase a un piano. Distesa su chilometri, la capitaleconta oltre un milione di abitanti, senza che i cen-simenti riescano veramente a fornire informazionisull’esodo rurale di cui soffre il paese. Uno dei

grandi progetti del governo rimane quello delladecentralizzazione. Sul territorio maliano, grandecome due volte la Francia, gli squilibri sono colos-sali. Fra il Sud (segnatamente la regione di Sikasso,la cui economia si basa su importanti miniered’oro e una natura rigogliosa) e il Nord (di unapovertà assoluta) i bisogni divergono radicalmente.Ex ministra della cultura sotto Alpha OumarKonaré, la scrittrice Aminata Traoré aveva lottatoper un turismo maggiormente integrato. Infatti, ilpaese dei dogon – isola quasi autarchica le cui anti-che tradizioni si insinuano come un’ossessione neicorsi d’etnografia di tutto il mondo – ha cono-sciuto una metamorfosi della sua economia sotto laspinta delle fiumane di pullman colmi di turistieuropei. Questo disastro culturale minaccia l’inte-ro Mali, che diventa la preda dei viaggiatori inter-nazionali. La maggiore sfida che il nuovo presiden-te Amadou Toumani è chiamato ad affrontare staperciò nella razionalizzazione dell’economianazionale. Ancora circondato dall’aureola dei suc-cessi conseguiti in seno alle organizzazioni nongovernative e della sua immagine di ambasciatore

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presso l’ONU,ATT deve far uscire il Mali dalla suatotale dipendenza di fronte ai donatori di fondioccidentali. Ma deve anche impedire che il suobene più prezioso, la storia davvero unica del pae-se, venga depredato. Si tratta invero di una situa-zione paradossale per uno Stato che beneficia diun’immagine impeccabile all’estero, ma che rima-ne una delle nazioni più svantaggiate, le cui risor-se maggiori sono legate a un’agricoltura poco piùche medievale.

I mendicanti del marabut A Bamako la sfilata dei minibus verdi appare inces-sante. I trasporti pubblici, gestiti da decine di proprietari, conducono i viaggiatori ai quattroangoli della città per un centinaio di franchi CFA(25 centesimi). Essi incarnano ciò che le agenzie di cooperazione chiamano «il settore informale».Quando si fermano agli incroci, questi taxi collet-tivi vengono circondati da bambini che reggonoun barattolo rosso. Sono mendicanti che vivonopresso il marabut o il maestro coranico, e che sonospesso da lui istruiti. In un paese che conta nume-rose etnie, l’islam si presenta come il fermentoprincipale.Un islam quotidiano, sociale, che i rari movimentiintegralisti (legati a finanziamenti libici o sauditi)non riescono a radicalizzare. Un islam antico,impiantato sin dall’epoca imperiale, e del quale lasplendida moschea di Djenné ricorda il radica-mento. Per i maliani essa evoca pure la grandezzadella loro nazione. Malgrado immense difficoltà

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L’oggetto della vitaquotidianaIl tèQui si chiama tè maliano.Da non confondersi con isuoi omologhi senegalesio mauritani. Dall’alba altramonto, nelle stradecolor ocra di Bamako,gruppi di amici condivido-no il tè, standosene sedutia osservare i passanti. Unatradizione? Ben più di que-sto: un’arte di vivere. Glispecialisti conosconobene la dose esatta di tèverde che il recipienteimportato dalla Cina devecontenere. Sanno anchevalutare le quantità dizucchero, che aumentanoprogressivamente nelcorso delle tre fasi neces-sarie alla preparazione. Suun minuscolo fornellomanufatto, il buongustaiofa spumeggiare il liquidobrunastro per ore e ore.Quando vedono questagioventù trascorrere leproprie giornate general-mente inoperosa, sorseg-giando un bicchiere dopol’altro, i vecchi malianiscuotono afflitti la testa.

nei settori sanitario ed educativo, il Mali non di-mentica di occupare una posizione centrale nel-l’Africa occidentale. Esso non ha mai cessato diprodurre figure pioniere per il continente. Dalloscrittore peul Hamadou Hampaté Bâ al fotografobambara Seydou Keita, tutti hanno contribuito adiffondere il nome del Mali nel mondo.Nuove personalità stanno ora emergendo. Fra essilo scultore Abdoulaye Konaté, che ha trascurato unperiodo la sua carriera artistica per dirigere ilPalazzo della cultura di Bamako e organizzarvi l’e-dizione 2002 della Biennale della fotografia africa-na. Oggi è ritornato al suo appassionante lavoro dipittura e installazioni. Nel novero rientra pureAminata Traoré che, con mano ferrea, gestisce isuoi luoghi di divertimento e di creazione (l’hotelDjenné e il ristorante San Toro), promovendo aBamako delle riunioni di intellettuali sul modellodi Porto Alegre. Nelle sue opere denuncia la cor-ruzione generalizzata e le ingerenze della coopera-zione internazionale.Queste donne e questi uomini contribuisconoall’unicità maliana. A quarant’anni dall’indipen-denza essi cercano di costruire il loro paese, dandonuove risposte alle sfide che assillano la nazione. ■

(Tradotto dal francese)

* Arnaud Robert è giornalista culturale presso il quoti-diano Le Temps. Dal 1989 ha effettuato numerosi viag-gi e reportages in Mali. Di recente ha realizzato un filmdocumentario intitolato «Bamako is a miracle».

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(bf ) La cooperazione svizzera con il Mali, paesesenza accesso al mare, ha preso avvio nel 1976 conil finanziamento di silos per i cereali. Sei anni dopoè stato aperto a Bamako un ufficio di coordina-mento. Quando nel 1994 venne assassinato nelnord del paese durante un viaggio di lavoro ilcoordinatore della DSC Jean-Claude Berberat, irapporti fra il Mali e la Svizzera si deteriorarono ela DSC sospese le sue attività nella regione setten-trionale. Da allora la cooperazione si concentrasulla cosiddetta «troisième région», ossia quella diSikasso, nel Sud del paese, dove la povertà è mag-giore. Il programma di sviluppo in Mali è uno diquei programmi nei quali una notevole parte deiprogetti – il budget ammonta quest’anno a circa 12milioni di franchi – viene curata dalle organizza-zioni di sviluppo svizzere (tra le quali Helvetas,Intercooperation, Swisscontact e IUED).I settori d’attività si concentrano sulle seguentipriorità:

Sostegno a una gestione degli affari pubbli-ci adeguata, autonoma e democratica: questoobiettivo viene perseguito in particolare tramite

progetti nel campo della decentralizzazione, dellabuona gestione degli affari pubblici, dell’assistenzanella realizzazione di compiti comunali, nonchédella gestione delle acque.

Riattivazione dell’economia locale: per creareuna base diversificata e sostenibile per un’econo-mia produttiva, nonché promuovere lo scambio tracittà e campagna, sono in corso programmi neiseguenti settori: sostegno all’artigianato, formazio-ne professionale, promozione dei crediti e dellecasse di risparmio, nonché della gestione sostenibi-le delle risorse naturali.

Sviluppo sociale: da parecchio tempo è in corsoun programma di sostegno al sistema sanitariomaliano, incentrato sulla partecipazione dei comu-ni, la copertura dei costi e la disponibilità di medi-cinali. Nel contempo un «programma acque» per-mette non solo di assicurare l’accesso all’acqua, madi incentivare anche la gestione pubblica e privatadelle acque.

Cifre e fatti

Nome Repubblica del Mali

Capitale Bamako (circa 1 milione diabitanti)

Superficie 1'240192 km2

Popolazione11,5 milioni

Speranza di vita Uomini: 48 anniDonne: 52 anni

Gruppi etnici Bambara: 36,5%Peul: 13,9% Senoufo: 9%Soninké:8,8%Dogon: 8%Songhai: 7,2% Malinke: 6,6% Nessuna delle altre etnieprincipali (segnatamentebobo, diola, mauri e tua-reg) supera il 5% dellapopolazione totale.

Religioni Musulmani (sunniti): 89,8% Animisti: 9,2%Cristiani: 1%

LingueFrancese (lingua ufficiale)Le lingue locali vengonoutilizzate ampiamente nellavita quotidiana. Buonaparte dei maliani conosco-no bene il bambara e isuoi derivati.

Prodotto interno lordo 260 dollari US pro capite

Principali prodottid’esportazione Cotone, oro, carne

Unità monetaria Franco CFA (cambio indi-cizzato sul corso dell’euro:1€ = 655 fCFA)

Il Mali e la Svizzera Buon governo, economia e questioni sociali

Mali

Cenni storici

IV secolo Il primo impero istituito nell’ansa del fiume Niger potrebbe essere stato il regnodel Ghana. Le grandi assi commerciali trans-sahariane si costituiscono in questo momento. L’oro e gli schiavi vengono scambiati contro il sale.

XIII secolo Creazione del regno del Mali.Ancora oggii griot mandinghi cantano volentieri le gesta del suo fondatore, Soundjata Keita.Esteso su un vasto territorio, da Gao all’oceano, l’impero coloniale raggiunge l’apogeo sotto il regno di Kankan Moussa(1312-1337), il cui dispendioso pellegri-naggio alla Mecca avrebbe fatto crollare ilcorso dell’oro fino al Cairo. Fino al XIX secolo si succedono nella regione regni divaria importanza, inizialmente islamizzati dai mercanti arabi.

1892 Cacciato dalle truppe francesi, Samory Touré, comandante e partigiano anticolo-nialista, emigra in Costa d’Avorio. È la finedel regno di Sikasso.

1895 Il Mali diventa una colonia francese.Vieneintegrato nell’Africa occidentale francese (AOF), dapprima con il nome di Alto Senegal-Niger, poi come Sudan francese.

1959 Proclamazione della Federazione del Mali,che riunisce i territori del Sudan e del Senegal.

1960 La Federazione ha la vita breve. Il 22 set-tembre il Mali diventa uno stato indipen-dente. Modibo Keita ne è il primo presi-dente. Egli instaura un regime democrati-co e socialista.

1968 Un giovane militare, Moussa Traoré, rove-scia il presidente Keita, abroga la costitu-zione e vieta i partiti politici. La sua gestione autocratica, aggravata dalla siccità,fa piombare il paese in una crisi economi-ca permanente.

1991 Dopo l’ordine dato da Moussa Traoré di sparare sui manifestanti (106 morti, soprat-tutto studenti), il tenente colonnello Amadou Toumani Touré dirige l’arresto del dittatore e istituisce un comitato di transizione incaricato di preparare il ritor-no alla democrazia.

1992 Contrariamente a ogni previsione,Amadou Toumani Touré lascia il potere senza presentarsi alle elezioni.Alpha Oumar Konaré diventa capo dello Stato.Egli sarà rieletto nel 1997.

2002 Al secondo turno delle elezioni presiden-ziali, e dopo aver lasciato l’esercito,Amadou Toumani Touré diventa presiden-te. L’esperienza di dieci anni che ha matu-rato in seno alle organizzazioni non gover-native e alle istituzioni internazionali vienepresentata come una carta vincente.

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Mali

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Senegal

Costa d’Avorio

Mauritania

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Touré Fatou Sako,48 anni, lavora alMuseo nazionale delMali a Bamako comeguida e animatricesocioculturale. È diplo-mata presso l’Istitutonazionale delle arti(sezione musicale).Sposata, madre dicinque figli, dedica iltempo libero ai viaggi,alla lettura e alla musi-ca.

Una vita rubata

Una voce... dal Mali

Era luglio, i bambini trascorrevano le vacanze dainonni. Mi riposavo nella calma di una notte diluna piena. D’un tratto il silenzio fu rotto dallosquillo del telefono. Era mia sorella che mi annun-ciava la morte della vecchia Kany. Lentamenteritornai nella mia camera, richiamando alla memo-ria il volto di Kany. Nei miei ricordi più lontani,quando avevo forse dieci anni, avevo conosciuto eavvicinato questa signora. Riuscii a ricuperare queimomenti nel mio cervello come se si fosse tratta-to di ieri. Oggi la cattiva notizia mi richiama allamente questa donna dall’andatura altera, il cuicharme e la cui eleganza hanno segnato la miainfanzia.Kany, e soprattutto la sua presenza nella famigliapaterna, mi hanno intrigato a lungo. Era circonda-ta da un alone di mistero. Sposata e non divorzia-ta, sempre sola, sempre a margine della vita comu-nitaria malgrado la sua gentilezza e il suo carattereaccondiscendente. Un mistero anche quegli scam-poli di tessuto che asciugavano lontani dagli sguar-di, avvolti nel segreto del suo guardaroba. Li guar-davo senza capire, chiedendomi come mai unadonna della sua età potesse ancora giocare allebambole.A quei tempi le mie domande rimaneva-no senza risposta. E ai miei occhi Kany si tramuta-va in un vero enigma. Bella, gentile, materna, masola, sempre sola.Poi sono cresciuta e mi sono sposata. E quandosono ritornata al villaggio con i miei figli ho avutomodo di sollevare un lembo del velo che celava ilmistero di Kany. Donna escissa e madre. Ho capi-to,Kany.Non c’era un mistero, c’era solo un dram-ma: quello di molte donne nei villaggi sperduti.Aveva solo 16 anni quando, rientrata nella famigliapaterna come d’uso per mettere al mondo il primofiglio, ebbe il suo incidente. Un parto lungo e

penoso dovuto alle carni martoriate dall’escissioneaveva provocato una fistola vescico-vaginale.A 16 anni Kany era diventata incontinente: maipiù un marito, mai più una vita coniugale, mai piùuna vita sociale. Kany perdeva perennemente l’o-rina e io compresi infine il perché della quantità discampoli nel suo guardaroba. Ora che sono madredi famiglia ho capito ciò che era accaduto nellavita di Kany: il dramma delle donne con le fistole.Fra noi Soninké si usa praticare l’escissione e l’in-fibulazione delle fanciulle per preservare la loroverginità.Kany, che avrebbe dovuto rientrare al domicilioconiugale, ha ogni volta abilmente saputo postici-pare la data fissata per il rientro. Si lamentava divari dolori che richiedevano lunghi trattamenti. Inverità, nascondeva il suo dolore e nascondeva la suavergogna: come fare a vivere con le sue co-spose ele sue cognate perdendo l’orina e appestando l’ariacon odori fetidi? Escissione, infibulazione, paroledi moda, pratiche barbariche ampiamente denun-ciate! Alcune tradizione persistono, resistendo altempo e alla sua evoluzione.Originariamente, queste pratiche sanguinose rap-presentavano la porta d’entrata di una lunga inizia-zione. L’escissione aveva per scopo di preparare la giovane al suo futuro ruolo di donna, sposa emadre. Era l’atto che sfociava nella socializzazionedell’individuo.Con la colonizzazione, l’Africa fu proiettata nellamodernità e scoprì in tal modo l’igiene, le cure perpromuovere la salute materna e infantile, la medi-cina moderna.Con lo sviluppo scomparvero nelle società africa-ne le iniziazioni, lasciando solo l’atto sanguinosocome segno di un’identità culturale. Il problemache si pone oggi è questo: come sradicare questepratiche? Le ONG femminili, gli Stati africani, leintellettuali africane si mobilitano talvolta con-giuntamente, talvolta perseguendo obiettivi oppo-sti, raccomandando ora di riciclare le mammaneche praticano l’escissione, ora di medicalizzare l’e-scissione, ora di penalizzarla. Dal canto mio michiedo: negli sperduti villaggi delle campagne,dove non essere escissa significa essere emarginata,che peso possono avere le strategie ideate in cittàdi fronte ai problemi dettati dall’identità culturalee dall’ignoranza?Penso a te Kany, a te che sei l’immagine di migliaiadi anonime donne di campagna: il conformismo,l’ignoranza, i costumi ti hanno rubato la vita. Dor-mi in pace.Tu che hai vissuto senza esistere. ■

(Tradotto dal francese)

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A proposito delle possibili relazioni tra povertà eterrorismo, le opinioni divergono notevolmente. Ipiù poveri tra i poveri non hanno accesso allearmi, perché mancano loro i mezzi per acquistarle.Ma i poveri, addirittura i bambini poveri, vengonoarruolati ed armati; essi diventano strumenti per gliscopi di altre persone e, come mostrano passateesperienze, hanno poi grandi difficoltà a separarsidalle armi. Principalmente perché hanno imparatoad ottenere, con la forza delle armi, tutto ciò chealtrimenti non avrebbero potuto acquistare.

Occorre dunque separare ciò che definiamo vio-lenza privata (atti criminali commessi da singolepersone) e violenza privatizzata (violenza organiz-zata esercitata da gruppi privati per raggiungereprecisi scopi). Entrambe le forme di violenza nonsono certo nuove. Ma l’11 settembre 2001 haimprovvisamente mostrato quanto la nostra socie-tà sia vulnerabile e di che cosa sia capace la vio-lenza privatizzata. La rete di Al-Quaida, una vera epropria organizzazione multilaterale, ha scatenatoil terrore nel mondo. Gli attentatori non proven-gono da situazioni sociali di povertà, e il loromovente non è dettato dalla povertà. Si è trattatodi azioni criminali motivate da esigenze e com-portamenti fondamentalistici.

La violenza privatizzata contende allo stato ilmonopolio della violenza quale mezzo per il man-tenimento della sicurezza e dell’ordine. L’obiettivoin questo caso è il potere. Questi gruppi si attri-buiscono il diritto di usare la violenza per rag-giungere obiettivi, che con mezzi pacifici non rag-giungerebbero mai. E se gli stati non riescono agarantire la sicurezza, è ovvio che nessun altro è ingrado di opporsi, di promuovere la pace e lo statodi diritto. La comunità mondiale necessita dinazioni forti, in modo che non sia consentito ilformarsi di spazi di illegalità. In tal senso, è decisi-vo che i poveri possano far valere i propri diritti

fondamentali. La sicurezza non deve diventare un«prodotto» che soltanto i ricchi possono permet-tersi. E quando i poveri sono confrontati, senzaalcuna protezione, con la violenza privatizzata,allora la democrazia svanisce e davanti alla leggenon tutti sono uguali.

Molto è stato intrapreso per lottare contro il terro-rismo. Ma abbiamo mai compreso le cause delfenomeno? Ed inoltre: l’alleanza contro il terroris-mo è abbastanza forte da imporre un freno allaviolenza privatizzata, o da impedire che essa pren-da piede? Lo stato di diritto è la più geniale tra leinvenzioni fatte dall’uomo. Anche se molti loignorano. Non sono certo i poveri quelli che pro-vocano la rovina dello stato, bensì gli individuiassetati di potere, che si pongono al disopra dellalegge e si ergono a soli giudici di sé stessi.Tutto ciònon può essere la conseguenza di quell’11 settem-bre del 2001, come non lo è nemmeno una vio-lenza simmetrica in risposta al terrorismo.

Lev Tolstoj, nella sua monumentale opera «Guerrae pace» scrisse: «Così come non si può soffocare ilfuoco con il fuoco, così non si può ripagare il malecon il male». Il mondo e l’umanità vogliono spe-ranze, dignitose prospettive di vita, pace e sicurez-za. È forse così difficile da comprendere? Uno svi-luppo sostenibile potrebbe rappresentare un mezzoefficace, se tutti lo volessero. Per realizzarlo appie-no, è necessaria una compartecipazione solidale ditutti gli stati e della comunità internazionale. ■

Walter Fust Direttore della DSC

(Tradotto dal tedesco)

Povertà e terrorismo: un anno dopo

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Cala drasticamente l’aspettativa di vitaTra il 2000/2005 otto paesiafricani avranno persoalmeno 17 anni di aspetta-tiva di vita a causa dell’epi-demia dell’AIDS:Botswana, Kenya,Lesotho, Namibia,Sudafrica, Swaziland,Zambia, e Zimbabwe. InBotswana, l’aspettativa divita tra il 1995 e il 2000 ègià scesa di 23 anni rispet-to a quella che si sarebberegistrata senza mortalitàcausata all’AIDS; fino al2005 scenderà di 34 anni.Al di fuori del continenteafricano, tra il 2000/ 2005,i decessi per AIDS abbas-seranno l’aspettativa di vitadi almeno tre anni nelleBahamas, Cambogia,Repubblica Dominicana,Guyana, Haiti e Myanmar.(Fonte: Nazioni Untie –UNAIDS)

(mr) «Dobbiamo comportarci come degli adultiperché nessuno ci tratta come dei bambini e dob-biamo fare le cose che fanno gli adulti. Mi alzo allequattro del mattino, metto a posto casa, cucino,faccio il bagno ai più piccoli, poi faccio cinquechilometri a piedi per arrivare a scuola. La scuolaè il momento più bello della giornata perché cidimentichiamo tutti i nostri problemi. Voglioandare a scuola fino all’ultima classe e poi avere unbel lavoro. Mi occuperò dei miei figli, e gli daròciò che a me è mancato». Sarah ha sedici anni ed èuna dei tanti ragazzi e bambini in Tanzania orfania causa dell’AIDS.In Tanzania su una popolazione di 31 milioni diabitanti oltre un milione di bambini sono divenu-ti orfani per via dell’AIDS. In alcuni paesidell’Africa meridionale e orientale oltre il 20 per-cento dei bambini cresce senza genitori. Ci trovia-mo di fronte ad un fenomeno sociale esplosivo,

mai vissuto prima, di cui non si conoscono le con-seguenza. «In questi paesi sta crescendo un’interagenerazione senza il conforto e l’amore dei genitori»,ci dice Irene Bush di terre des hommes svizzera.In Tanzania la situazione è particolarmente diffici-le in quanto il settanta percento della popolazionevive in campagna. Le famiglie contadine provve-dono solo ai bisogni immediati e dunque al mo-mento in cui qualcuno in famiglia si ammala, nonci sono più né risorse alimentari né tantomenorisorse finanziarie. «Quando entrambi i genitorimuoiono i bambini restano soli e i più grandi debbono accudire i più piccoli. Quasi sempre sitrovano inoltre a dover lavorare la terra senza alcu-na esperienza», dice l’esperta di terre des hommes.

Rafforzare i bambini e sensibilizzare gliinsegnantiSpesso gli unici contatti con persone adulte avven-

Oltre 40 milioni di persone in tutto il mondo convivono conl’AIDS. Ben due terzi di loro vivono nell’Africa sub sahariana.In alcuni paesi africani l’aspettativa di vita si è abbassata dra-sticamente. Mentre i genitori muoiono a causa dell’AIDS, i figlisi trovano orfani e soli nell’affrontare un futuro incerto. Nelmondo sono oltre 13 milioni gli orfani dell’AIDS.

Orfani dell’AIDS – una generazione senza genitori

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insegnanti, gli orfani hanno preso coscienza chel’educazione è un loro diritto.

Coordinare il sostegno«Humuliza» è solo uno dei progetti tesi a lenire iproblemi psicosociali degli orfani dell’AIDS. Dalloscorso maggio la DSC sostiene ora un’appositainiziativa su scala regionale denominata REPSSI(Regional Psychosocial Support InitiativeHIV/AIDS). «Con progetti tipo Humuliza abbia-mo fatto delle ottime esperienze è dunque impor-tante che le varie organizzazione che operano inquesto settore si coordinino tra loro e trasmettanole loro esperienze», spiega Irene Bush. Con REPS-SI le organizzazioni umanitarie che operano inloco puntano a coordinare i programmi di assi-stenza psicosociale già esistenti nelle varie regionie a aumentare le attività di supporto per i bambi-ni. Altro aspetto fondamentale del progetto consi-

ste nell’incentivare la prevenzione, impresa moltodifficile in paesi in cui la sessualità e la morte sonodei veri e propri tabù.Attualmente 35 organizzazioni operano nell’ambi-to di REPSSI, offrendo supporto psicosociale agliorfani in Malawi, Mozambico, Namibia,Tanzania,Uganda, Zambia, Sudafrica e Zimbabwe. Il proget-to raggiunge ad oggi 10'000 bambini, puntando asostenerne 250'000 entro il 2007. ■

AIDS: Nuova politicadella DSCNella lotta contro il virusdell’AIDS la DSC sostieneorganizzazioni qualil’UNAIDS e la «GlobalFund to fight AIDS,Tuberculosis and Malaria»(GFATM). Nell’ambito dellacooperazione bilaterale,per esempio in Nepal e nelMali, furono effettuate giàdieci anni fa vaste campa-gne di prevenzione. Inoccasione della giornatamondiale contro l’AIDS delprossimo 1° dicembre, laDSC presente la suanuova politica rispettoall’AIDS. Le strategie prin-cipali sono le seguenti:«rafforzare le competenzee le capacità nell’ambitodell’AIDS, promuovere lesinergie dei programmi,approccio multisettoriale,integrare la prevenzionecontro l’AIDS in molti pro-grammi e progetti dellaDSC, approccio sistemico,promuovere la ricercaapplicata». Le misure sirivolgono agli strati dipopolazione più poveri evulnerabili.L’opuscolo sulla nuovapolitica dell’AIDS dellaDSC è ottenibile presso:DSC, 031 322 44 12, e-mail: [email protected]

gono a scuola con gli insegnanti. Un correttocomportamento da parte di maestre e maestri èquindi indispensabile. Il progetto «Humuliza» rea-lizzato da terre des hommes svizzera in Tanzaniacon il sostegno della DSC punta al sostegno psico-sociale degli orfani attraverso la sensibilizzazionedegli insegnanti e più in generale della gente dellacomunità.Un terzo dei 685 bambini che frequentano lascuola elementare di Ganyamukanda, nel distrettodi Muleba, sono orfani. All’inizio dell’epidemia,molti dei 16 insegnanti della scuola pensavano chel’AIDS fosse un castigo di Dio e che a occuparsidegli orfani doveva essere la famiglia. Oggi, a causadel tragico numero di allievi orfani, si sono resiconto che il virus può colpire chiunque. (Vedi imanifesti della campagna di prevenzione, sotto).In una prima fase del progetto, i bambini hanno espresso i loro bisogni e problemi, indicando come

prioritari un maggiore appoggio, più protezione eil pagamento delle rette scolastiche. I responsabilidel progetto hanno dunque deciso di assumere lespese delle rette scolastiche e di seguire in modoprioritario i bisogni psicosociali dei bambini, of-frendo da un lato sostegno psicosociale diretto eformando gli insegnanti e i membri di altre ONGsull’importanza della comunicazione con gli orfa-ni.Grazie a «Humuliza», gli insegnanti hanno capitol’importanza del sostegno psicosociale per i loroallievi e hanno imparato a interpretare taluni com-portamenti che prima non riuscivano a capire. Peresempio che talvolta un bambino può essere di-stratto per il semplice motivo di avere fame o nonvuole andare a scuola perché i suoi vestiti sonosporchi e non ha sapone per lavarli.Nella scuola di Ganyamukanda la frequenza èaumentata da quando, grazie all’appoggio degli

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(mr) L’apparecchio GPS sulle ginocchia, il dittafo-no in mano. L’ingegnere edile elvetico HansStämpfli è in viaggio con una fuori strada in unconvoglio dell’ONU da Kabul a Bamyan. Il siste-ma di navigazione satellitare GPS registra ogni die-ci secondi la posizione del veicolo, permettendo ditracciare sulla cartina geografica l’esatto percorsodella strada. Di tanto in tanto, l’esperto svizzeroche la DSC ha messo a disposizione del Comitatodi collegamento comune dell’ONU (UNJLC), fafermare l’intero convoglio, scende dalla vettura,controlla lo stato delle rive fluviali, le condizionidella strada, nonché la stabilità e la portata deiponti. L’inventario della rete stradale afgana realiz-zato la scorsa primavera da Hans Stämpfli perconto dell’UNO è disponibile sul sito internet delComitato di collegamento comune (www.unjlc.org). Grazie a queste preziose informazioni i tra-sporti degli sfollati e i convogli degli aiuti umani-tari, che dalla fine della guerra si occupano delladistribuzione di generi elementari, arrivano primaa disposizione.

Trasmettere il sapereDa marzo a maggio l’esperto del Corpo svizzero

di aiuto umanitario (CSA) ha percorso ben 3000chilometri per realizzare l’inventario. Passandoaccanto a ponti distrutti dalle bombe, a carcasseabbandonate di panzer russi, a giovani armati dikalashnikov. Delle strade non si intuivano chevaghe tracce. Centinaia di chilometri percorsi neiletti dei fiumi.Fiumi in piena hanno portato via intere strade.«L’Afganistan è il quarto paese più povero almondo. La rete stradale deve essere stata da semprepessima, ma ora, dopo ventidue anni di guerra, ècatastrofica», dice Hans Stämpfli. Inoltre, le cono-scenze pratiche sono andate perse, al punto chenella costruzione delle strade non si rispettanonemmeno le regole fondamentali. Proprio per col-mare queste lacune Hans Stämpfli ha consigliato alComitato di collegamento comune dell’ONU dipuntare sulla trasmissione del sapere nell’ediliziafluviale, settore finora più trascurato. L’ingegnereedile ha inoltre elaborato per il sito internetdell’UNJLC delle guide tecniche accompagnateda istruzioni pratiche per l’edilizia stradale e flu-viale. ■

(Tradotto dal tedesco)

Scosso da ventidue anni di guerra, l’Afganistan è uno dei paesipiù poveri al mondo. Dalla fine della guerra tante nuove agen-zie umanitarie sono giunte in luogo, ma per prestare aiutobisogna riuscire a raggiungere paesi sperduti nel nulla. Urge,dunque, una rete stradale funzionante.

L’impegno della DSC inAfganistanL’aiuto umanitario dellaConfederazione sostiene lapopolazione afgana dadue decenni. Nel corsodegli anni gli aiuti dellaDSC sono stati aumentatida 5 milioni di franchi nel1998 a 21 milioni nel2002. Ben due terzi di taleammontare sono stati utiliz-zati per attività nell’ambitomultilaterale (CRI, UNHCR,WFP). Oltre a contributifinanziari per i programmidi organizzazioni multilate-rali, la DSC ha messo adisposizione esperti delCorpo svizzero di aiutoumanitario (CSA). Inge-gneri, pianificatori, espertid’acqua potabile, espertidi logistica e medicisostengono i compiti dipianificazione, gestione ecoordinamento dei pro-grammi dell’ONU e dellaCroce rossa internaziona-le. I rifugiati interni, glisfollati e la popolazionecolpita dalla siccità sonostati sostenuti attraversoappositi progetti agricoli econ aiuti alimentari. Inoltre,l’aiuto umanitario svizzeroha cofinanziato assieme adiverse ONG programmisanitari di base nel nord enel nord est dell’Afganistan.

Le strade della pace

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Pensionamento di un vicedirettore (gjs) Rudolf Dannecker, vicedi-rettore della DSC, andrà in pen-sione alla fine dell’anno.Conclusi i suoi studi di letteratu-ra presso l’Università di Basilea,Dannecker ha lavorato per dueanni in seno all’ufficio pubblicherelazioni della Sandoz. Dal ‘67-‘68, ha vissuto a Bruxelles, doveha compiuto studi sull’integra-zione europea, lavorando poi peril Fondo europeo di sviluppo.Entrato alla DSC nel 1969, vi hacondotto una carriera particolar-mente ricca e variata. È stato, insuccessione, coordinatore inKenya, capo della Sezione Africaorientale e coordinatore in India.Nel 1982 ha fondato

Intercooperation, un’organizza-zione di sviluppo che ha direttofino al 1988.Tornato in ambitoDSC nel 1989, è stato nominatovicedirettore. Esercita la funzionedi Capo Divisione dei servizicentrali, del personale e dellevalutazioni.A partire dal 1992 èa capo della Divisione della co-operazione bilaterale allo svilup-po. L’impegno di RudolfDannecker ha dato un’improntadurevole alla politica ed alle atti-vità della cooperazione svizzera.

Aiuto umanitario: più spazioed un nuovo, antico partner(bf ) A causa della carenza di spa-zio venutasi a creare nella sedeprincipale della DSC, nellaFreiburgstr. 130 di Berna, il set-tore Aiuto umanitario DSC tras-locherà all’inizio del 2003. Inuovi uffici saranno situati allaSägestrasse 77 di Köniz. In questa nuova sede – in passatoedificio industriale – sarannoricavati 111 posti di lavoro.Già da diversi mesi, la direzioneamministrativa di Swiss Interna-tional Air Lines (Swiss) ha decisodi partecipare alle operazionidella Catena svizzera di salvatag-gio, succedendo così a tutti glieffetti alla Swissair, rispettiva-mente SAir Group. È quanto

scaturito da un incontro con ladirezione dell’Aiuto umanitariodella Confederazione. La Catenasvizzera di salvataggio interviene,soprattutto dopo terremoti, inpaesi stranieri. Con la compagniadi bandiera, sono altri sette ipartner inseriti nella Catena sviz-zera di salvataggio, che è gestitae finanziata dalla DSC.

Dietro le quinte della DSC

(bf ) Il concetto di Governance (gestione del governo) è apparsoper la prima volta, nella politica dello sviluppo, in parallelo allacaduta del muro di Berlino ed alla fine della guerra fredda, all’i-nizio degli anni 90. Fu allora che si comprese che la coopera-zione allo sviluppo è veramente efficace solo se i governi, inclu-se le relative istituzioni, agiscono in maniera trasparente e affida-bile. Fu la Banca mondiale a coniare per prima il termine di«Good Governance», con l’intenzione di incrementare l’efficacianell’utilizzazione di mezzi pubblici. Considerato che nella linguainglese il concetto comprende non soltanto la gestione ammini-strativa bensì anche la gestione in generale, sia di istituzioni pub-bliche che di altre non statali, la DSC preferisce l’uso del termi-ne inglese Good Governance rispetto a quello italiano di «buongoverno».La Good Governance è effettiva nel momento in cui le correla-zioni e le attribuzioni di ruoli tra Stato, società civile ed econo-mia privata sono basati su alcuni importanti principi: partecipa-zione, trasparenza, efficacia ed affidabilità degli affari pubblici.Ciò che deve assolutamente essere garantito ai cittadini ed allecittadine di ogni paese – siano essi singole persone o comunità– è di poter dare autonomamente forma al proprio sviluppo, nelpieno rispetto dei propri diritti e doveri.Tutto ciò può funzio-nare soltanto nel caso in cui siano rispettati i principi dello statodi diritto – in particolar modo i diritti umani e la divisione deipoteri – che nella ricerca di soluzioni ai conflitti punta decisa-mente sulla rinuncia alla violenza basandosi su un tipo di respon-sabilità suddivisa tra Stato, società civile ed economia privata.Ognuna di queste istanze, a seconda del proprio specifico ruolo,è chiamata a promuovere uno sviluppo umano durevole.

Che cos’è la... Good Governance?

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In Bangladesh, paese in via di sviluppo, la professione di gior-nalista è un gioco con la vita. La miseria, ordinaria ammini-strazione. Ciononostante, una giornalista svizzera, nel paeseper un impegno lavorativo di quattro settimane presso laredazione del quotidiano «Daily Star» , ha incontrato non certocinici giornalisti, bensì instancabili cronisti al servizio dellademocrazia. Un reportage di Claudia Laubscher*.

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Nell’enorme agglomerato urbano di Dhaka, 12milioni di abitanti, la tessera di giornalista non aprealcuna porta, questo lo sapevo. Non avevo peròprevisto l’atteggiamento del portiere del mio alber-go, quando espressi l’intenzione di andare a piedi inredazione. «Le ordino un taxi, lei non può andareda sola in strada», mi disse. Ma no, non esiste! Unagiornalista svizzera, non permette che le sia pre-scritto come percorrere, di giorno, i 500 metri che

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la separano dal posto di lavoro. «Grazie, non miserve alcun taxi», dissi, e mi incamminai.Non avevo fatto nemmeno dieci passi, che capii ilmotivo dell’avvertimento. La strada che mi avrebbeportato alla sede del migliore giornale inglese delBangladesh, nel quartiere commerciale KawranBazar, sembra un concentrato dei più diffusi stereo-tipi da Terzo mondo.Ai bordi della strada, cenciosefigure rovistano nei mucchi di rifiuti; bambini nu-

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«Qui sono tutti corrotti»In qualità di straniera, non sono certo indicata peruna missione all’interno del paese, e dunqueaccompagno Rheza, il commentatore politico, aduna conferenza stampa nel quartiere signorile diGulshan, dove il partito che ha perso le elezioniorienta i giornalisti sugli attentati. È un taxi che ciconduce alla residenza – circondata dalla polizia –di uno dei ministri uscenti. Nell’elegante soggior-no della sua casa, ci elenca gli orrori che hannosubìto i sostenitori del suo partito. Una schiera digiornalisti prende appunti. Alle spalle del ministro,almeno una cinquantina di uomini, scalzi e vestitisemplicemente, seguono ogni sua parola. Sono inattesa di recitare il loro ruolo di testimoni o vitti-me. Dopo le parole del ministro, uno dopo l’altro

raccontano degli avvenimenti, e qualcuno scoppiain lacrime e deve essere confortato. Non capisconulla, ma le ferite che queste persone hanno sulcorpo parlano da sole. Per Rheza, questo genere diconferenze non sono l’eccezione. L’unico suocommento è: «Qui sono tutti corrotti». È questa, lamotivazione standard di tutti i mali. Poi, come perprassi, Rheza sollecita una presa di posizione dellacontroparte, una versione dei fatti che decide peròdi usare solo se confermata da tre diverse fonti.Il giorno seguente, mi trovo alle prese con altre vit-time. Questa volta è stato il redattore culturale adinviarmi, da sola, ad una conferenza stampa in vistadi una esposizione nella sede dell’Alliance Fran-çaise. In primo piano stanno le foto che mostranogiovani donne dai lineamenti corrosi: vittime del-l’acido. La maggior parte di esse è stata, per vendet-ta, spruzzata con acido di batterie da qualcheuomo. Le immagini sono di Shafiqul Alam Kiron,fotografo di fama internazionale. Il mio testo, cosìcome il lavoro del fotografo, dovrebbe contribuiread eliminare in futuro qualsiasi forma di accettazio-ne sociale per questi atti criminali, questo il compi-to affidatomi. Per me, l’ovvietà con la quale il«Daily Star» ha deciso di accordare spazio a certi

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di chiedono l’elemosina; e la strada è piena di vei-coli, che con i loro fumosi gas di scarico aggiungo-no puzzo ad un’aria di per sé umida e attaccaticcia.

Cerco in qualche modo di ignorare la puzza, la pol-vere ed il caldo, e di concentrarmi sull’unico colpod’occhio avvincente, i coloratissimi baby-taxi.

La tiratura non contaDavanti all’ingresso della redazione mi imbatto inbambini addormentati. Decine di donne e uominimi guardano con gli occhi sbarrati. Che cosa mai cifaccio qui? Una domanda che mi pongono, a ripe-tizione, gli stessi giornalisti del «Daily Star1». Primadi immergermi nel lavoro, incontro il loro capoMahfuz Anam che mi promette libero accesso nel-l’ambito del suo team, per consentirmi di conosce-re meglio il paese. Un paese di 137 milioni di abi-tanti, nel quale molto raramente arrivano giornali-sti dall’Occidente.La miseria esiste soltanto se di essa si parla. E solocosì si può sperare di cambiare qualcosa. Una veri-tà lapalissiana, ma è proprio qui che ha inizio lasfida per un giornalista. Nella prima settimana delmio stage, i redattori del «Daily Star» si sono occu-pati soprattutto del successo elettorale del partitod’opposizione BNP, e dei conseguenti attentati neiconfronti di elettori del partito sino a ieri al pote-re, l’Awami-Liga. Si parla di centinaia di casi, intutto il paese. Le autorità non danno né cifre néconferme. Il caporedattore spedisce i suoi nelleregioni con il maggior numero di morti e feriti,gente che nella maggior parte dei casi non sipotrebbe permettere di spendere 7 taka (20 cente-simi) per acquistare il «Daily Star» e che comunquenon sa né leggere né scrivere. Di norma abbastan-za rilassato,Anam è ora sconvolto. Sembra che l’in-cremento della tiratura non lo interessi; e nemme-no i maggiori costi per i reportage sul posto.Piuttosto, incita i suoi giornalisti: «Noi per primidobbiamo farci un’immagine dell’accaduto».

Stage giornalistici nelpaesi del Sud delmondoIl Centro di formazionemediatica MAZ (Medien-ausbildungszentrum,Lucerna), con il sostegnodella DSC, offre a giornali-sti e giornaliste la possibi-lità di lavorare in paesi delSud del mondo in qualitàdi stagisti presso impresemediatiche: un’esperienzacertamente importante siadal punto di vista profes-sionale che personale. Ilsoggiorno all’estero hauna durata minima diquattro settimane.

Possibili destinazioni:Mali (lingua di norma utiliz-zata: francese); Ecuador(spagnolo); Bangladesh(inglese); Nicaragua (spa-gnolo).

Chi può partecipare?Giornalisti e giornaliste inpossesso delle seguenticaratteristiche: Partecipazione a corsiMAZ – effettuata entro ilgiorno di partenza – sulletematiche delle corrispon-denze dall’estero e globaliz-zazione. Interesse alle attività inter-nazionali dello sviluppo edella cooperazione. Conoscenze linguisticheeccellenti della lingua dinorma utilizzata sul posto.

FinanziamentoIl 50 percento dei costi diviaggio è offerto (bigliettoaereo in Economy Class)così come i costi disostentamento sul posto. Gli stagisti si assumono il50 percento dei costi diviaggio, così come lespese di visto, vaccinazio-ni, altre incombenze pre-paratorie e assicurazioniper l’estero.

Per informazioni, rivolgersia: Rolf Wespe, Medien-ausbildungszentrum MAZ,Villa Krämerstein, 6047Kastanienbaum;[email protected]

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temi è davvero impressionante. In effetti, Anam vadavvero per la sua strada, anche se rischia di susci-tare l’irritazione dell’editore o dei lettori: «I pro-prietari del Daily Star non mi impongono alcunadirettiva. Del resto, il giorno in cui ciò avvenisse,darei immediatamente le dimissioni».

Black-out, telefoni fuori uso e tangentiIn redazione, l’atmosfera è rilassata. Sovente ci capi-ta di sedere al buio, dopo un Black-out, in attesache si avvii il generatore d’emergenza. Solo inun’occasione non ci è riuscito di affrontare la diffi-cile realtà professionale con quello che si definisceil cinico umorismo dei giornalisti: un collega di ungiornale concorrente era stato assassinato nel corsodi ricerche per un suo reportage. Per i giornalisti, aDhaka, occuparsi in maniera critica di ciò chefanno i potenti non è soltanto una deformazioneprofessionale. Considerando che proprio costoro,giorno dopo giorno tentano di intralciare il lorolavoro. Succede ad esempio che i telefoni venganostaccati, fino a quando il giornalista non paga la suabrava tangente. Secondo Mahfuz Anam, lui ed isuoi redattori sono giorno per giorno costretti,come tutti i giornalisti dei paesi in via di sviluppo,a condurre una dura lotta per la libertà di stampa econtro i nemici della democrazia. «In occidentenon vi tocca lottare ogni giorno per certe cose»,dice, con una vena di scoramento.

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Ogni giornale che esce in questa città, mi sembraun piccolo miracolo. Una volta tornata in Svizzera,mi si è posto il quesito di come avrei potuto scri-vere del Bangladesh su qualche nostro giornale.Anche importanti avvenimenti come le votazioni,ad esempio, sono scarsamente importanti per inostri media. Articoli sulla miseria, sono ancorameno richiesti, come i lunghi reportage, che ogginon sembrano interessare nessuno; I fatti più ri-chiesti, sono quelli che parlano di catastrofi, ed a meè successo di farmi un’idea in materia: se un gior-nale non ha una sua strategia in merito al TerzoMondo, allora può aiutare soltanto una cocciutainsistenza per una proposta giornalistica. La lottacontro l’indifferenza del capo è quella dei giornali-sti occidentali. ■

(Tradotto dal tedesco)

* Claudia Laubscher, nell’ambito di uno stage dellaDSC, ha passato il mese di ottobre 2001 presso la reda-zione del «Daily Star», nella capitale del Bangladesh,Dhaka. Attualmente, Claudia Laubscher lavora pressol’ATS di Zurigo quale redattrice economica.

1Il «Daily Star» è stato fondato nel 1991, l’anno della restaura-

zione della democrazia in Bangladesh, dal Mediaworld Group. Il

giornale appartiene a gente d’affari che nutre un grande rispet-

to per l’indipendenza dei media e delle istituzioni.

Un solo mondo n.4 / dicembre 200228

Lavoro pericoloso Secondo l’organizzazioneinternazionale Reportersenza confini, nel 2001sono stati uccisi almeno31 tra giornaliste e giorna-listi. Sono invece 716 ireporter direttamenteminacciati, assaliti osequestrati a causa deiloro reportage. Almeno489 operatori mediaticisono stati fermati, interro-gati o temporaneamentearrestati. Un terzo dellapopolazione mondiale vivein paesi che non hannolibertà di stampa.Dall’inizio dell’interventomilitare americano inAfganistan, questo paeseè tra quelli più a rischioper i giornalisti. Soltantonel mese di novembre2001 sono stati uccisi inAfganistan otto reporter. In Colombia tre giornalistisono stati uccisi con lapartecipazione di truppeparamilitari. In totale,erano 110 i giornalistiimprigionati alla fine del2001. Di questi, oltre lametà si trovano nelle pri-gioni di cinque paesi:Birmania (18), Iran (18),Cina (12), Eritrea (9) eNepal (7). Le condizionicarcerarie sono in quasitutti i paesi molto degra-date.

Al momento di rendere nella sualingua il termine «ambiente», iltraduttore iniziò a farfugliare.Dopo qualche esitazione, scelsela parola ntumbuluku. La parola,in lingua ronga (idioma locale nelmeridione del Mozambico), hadiversi, quanto mai articolatisignificati; ad esempio, «il passa-to», «all’origine del mondo»,«una società» o anche «l’univer-so». Concetti che non esprimonocon esattezza ciò che nelle lin-gue europee, definiamo con«ambiente». Per la gente delMozambico non c’è una eviden-te differenza tra natura e cultura.Entrambe si mescolano, si fondo-no.All’inizio dell’attuale decennio,agli alfieri dello sviluppo globalesi è presentata la difficile questio-ne riguardante i limiti ecologicidell’espansione del modello eco-nomico nato in Europa.All’improvviso, questi teoricidello sviluppo sono sottoposti aun problema insolubile. Da unaparte, per porre fine alla miseriacosì capillarmente diffusa, unamiseria che a sua volta è respon-sabile per gli squilibri ecologiciche mettono in pericolo la vitadell’intero pianeta, si promuovela modernizzazione del TerzoMondo.Dall’altra, il giorno in cui lepopolazioni del Terzo Mondoarriveranno a godere di unostandard di vita come quello delPrimo Mondo, si giungerà vero-similmente ad un rapido esaurirsidelle risorse planetarie.Globalizzazione è un termineche ha ben più significati di«ntumbuluku». Lo si potrà ripeterefino all’infinito, ma può essereutilizzato solo nel modo in cuilo concepiscono i globalizzatori.Tuttavia, non è possibile univer-salizzare i modelli di consumoimperanti, a meno che non sivoglia correre il rischio di esau-rire le sorgenti di vita dellaTerra.Il dilemma è: tutti devono avere

qualcosa, per potere almenoandare avanti. Ma se tutti hannotutto, nessuno ha niente. O,espresso con le parole di qualcu-no del Primo Mondo: «Nonpossono seguitare ad essere cosìpoveri, altrimenti andremo tuttiin rovina. Ma anche se fosseroricchi come noi, alla fine tuttidovremmo morire».Alla gente del Mozambico nonservono ecologisti con tanto dilaurea per dare il via, con prati-che sostenibili, all’utilizzazionedelle risorse. Le conoscenzeempiriche non sono sufficientiper confrontarsi con le attualisfide, anche se esse rappresentanoun’esperienza tramandata neisecoli. È però necessario consi-derarle, provarle, interconnetterlecon i più svariati sistemi discienza e conoscenza. Le istanzedella cooperazione ed il governomozambicano considerano leproblematiche ambientali fuorida un contesto storico e sociale.La creazione di uno specialeministero è stato un importantepasso e la conseguenza deglisforzi di molti, coraggiosiambientalisti mozambicani. Maora, anche il ministero corre unulteriore pericolo, quello di nonvedere i problemi nel loro con-testo, di osservarli solo «cometali». Nel caso del Mozambico,l’erosione del suolo è un sinto-mo che indica altre e più pesanti

erosioni: quelle che riguardano imodi di vivere e la qualità dellavita nelle regioni contadine.L’educazione ambientale e letecniche ecologiche devono dia-logare con le comunità contadi-ne e la loro cultura. Se il conta-dino saccheggia l’ambiente, nonlo fa certo perché non vuolericonoscere i principi di un’e-quilibrata convivenza. Invece dicontrollare i tradizionali metodiagricoli, la politica ambientalistadovrebbe stimolare altre praticheproduttive. Invece di amministra-re l’esistente, sarebbe necessariocreare nuove realtà.Anche sequeste nuove realtà scaturisseroda valide pratiche tradizionali. Laricerca dovrebbe avere una prio-rità: la ricerca applicata – a parti-re dal potenziale cognitivo dellefamiglie contadine dell’interopaese – deve essere in grado dirispondere ai problemi pratici.Un tipo di ricerca che mostricome la protezione dell’ambien-te non significhi solo controllo,bensì un modo produttivo diavvicinarsi alla natura in gradodi produrre ricchezza. ■

(Tradotto dal portoghese)

«Ntumbuluku»: mille parole per dire ambiente

Carta bianca

Mia Couto nato nel 1955 aBeira, la seconda città delMozambico, è figlio di immi-grati portoghesi. Della suainfanzia dice: «A casa nostravivevamo il Portogallo el’Europa, per le strade dellacittà vivevamo l’Africa». MiaCouto, fervido sostenitoredella lotta per la liberazione,nel 1975, dopo l’indipenden-za, è stato direttore dell’agen-zia di stampa statale, ed inseguito caporedattore del settimanale Tempo. Dopo isuoi studi in biologia, a metàdegli anni Ottanta, si è impe-gnato nel settore della salva-guardia dell’ambiente e dell’a-gricoltura ecologica. MiaCouto è considerato uno deimaggiori scrittori contempora-nei di lingua portoghese.Couto vive a Maputo.

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«Iluminando Vidas» Scatti di una storia tormentataNel corso degli ultimi cinquant’anni i fotografi mozambicani hanno sviluppatoil loro proprio stile seguendo le tracce di Ricardo Rangel, un pioniere del foto-giornalismo africano. I lavori di questo decano, ormai settantottenne, e diquattordici rappresentanti della nuova generazione sono stati riuniti per l’e-sposizione itinerante «Iluminando Vidas», sostenuta dalla DSC. Di Jane-LiseSchneeberger.

Sono circa 125 le fotografiein bianco e nero riunite perquesto evento culturale che,prima di approdare a Basileanel dicembre prossimo, hafatto tappa a Bienne eLugano. Raccontano la storiadel Mozambico attraverso igesti e le attività quotidianedei suoi abitanti duramenteprovati dalla sorte. I mozam-

bicani subirono la brutalitàdel colonialismo portoghesefino al 1975. Nemmeno iltempo di gustare l’indipen-denza, piombarono in unaterribile guerra civile che siconcluse solo nel 1992, dopoaver mietuto quasi un milio-ne di morti. E come se ciònon bastasse, anche la naturasi accanisce contro il paese,

to e critico, si iscrive nellatradizione della prestigiosaagenzia Magnum.Attraversoimmagini forti e di grandesensibilità, stigmatizzano ilcolonialismo, le ingiustiziesociali o le condizioni di vitadegradanti. È così che unprimo piano sulle gambe esilied escoriate di un ragazzoaddormentato, protetto solo

infliggendogli siccità e deva-stanti cicloni o inondazioni,come avvenne nel 2000 e nel2001.Ricardo Rangel e i suoi«allievi» forniscono delletestimonianze di queste varieepoche. Praticano una foto-grafia documentaria incentra-ta sulla persona umana. Il loromodo di procedere, impegna-

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da un sacco di juta, la dicelunga sulla miseria dei bam-bini della strada di Maputo, lacapitale.Nessuna di queste immaginiè stata scattata in studio.I fotografi hanno percorso iporti, i mercati, le campagne.Essi non ricorrono a nessunartificio tecnico, ma sannosfruttare con maestria il giocodelle luci e delle ombre.Inoltre prestano una partico-lare attenzione alla composi-zione formale delle loroinquadrature.

La fotografia diventa un’arma Queste «immagini del reale»caratterizzano la scuola mo-zambicana che si è costituitaattorno a Ricardo Rangel.Questo meticcio d’originegreca, cinese e africana fu nel

1952 il primo non bianco alavorare come fotoreporterper un giornale mozambica-no. Durante la sua carriera fual servizio di vari altri media,segnatamente in quanto capodella fotografia o direttore.Durante la guerra di libera-zione fece del fotogiornali-smo uno strumento di conte-stazione politica. Numerosesue immagini furono vietatedalla censura. Nel 1970 par-tecipò alla fondazione del set-timanale Tempo, la prima rivi-sta a colori del paese. Dal1983 dirige il Centro didocumentazione e di forma-zione fotografica (CDFF). Lamaggior parte dei fotografipiù giovani ha imparato ilmestiere frequentando i corsidel CDFF o collaborandocon Ricardo Rangel per ungiornale.

Le lucciole di via Araújo Un quinto delle opere espo-ste nell’ambito di «Iluminan-do Vidas» sono dell’anzianomaestro. Realizzate negli anniCinquanta, Sessanta e Settan-ta, raffigurano gli orrori del-l’epoca coloniale. Gli africanisono trasformati in lacchè daicostumi grotteschi oppureportano a passeggio i cani dilusso nei bei quartieri. Dirimando, altre fotografie pale-sano l’estrema povertà degliindigeni, incarnata da unoperaio cencioso appostatodietro la sua betoniera oppuredallo sguardo frustrato di due ragazzi davanti un’inac-cessibile bancarella di giocat-toli natalizi. Questa selezionecomprende anche alcuneimmagini tratte da una seriecult sulle prostitute di RuaAraújo, nel quartiere portuale

della capitale. Con la loro arianoncurante, queste giovanibellezze che scherzano in unbar attendendo i marinaihanno contribuito a fondarela reputazione internazionaledi Ricarco Rangel. Ma poi sicambia epoca e ambiente perentrare nella sezione dell’e-sposizione riservata a KokNam, sessantatreenne figlio diemigrati cinesi. Qui, sedicifotografie parlano della guer-ra civile o, più precisamente,degli uomini che l’hannocombattuta. L’autore non siinteressa agli scontri militari.Rimane nelle retrovie, foto-grafando soldati che bivacca-no nella foresta sdraiati su unpezzo di cartone, che vuota-no la gamella con le dita, oche si lavano in un fiume.

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Mozambico: l’educazione,l’alfabetizzazione degli adul-ti, la lotta contro l’AIDS ecc.Alcuni si rivolgono alle ric-che tradizioni di un paesemulticulturale, fotografandole donne che si coprono ilvolto di msiro, un impastobianco preparato con la radi-ce di un albero.La povertà non inibisce lacivetteria: alcune donne sitruccano tenendo in manodegli specchi malridotti, altresi laccano le unghie deipiedi. Un po’ più in là alcunibambini giocano sotto ladoccia. Molte immaginiesprimono la dignità deimozambicani e la loro capa-cità di essere felici malgradotutte le calamità. Lasciandol’esposizione ci si porta consé la risata squillante di quelcontadino che mostra unazucca: il primo raccoltodopo ben sedici anni diguerra civile. ■

(Tradotto dal francese)

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Come un vuoto lasciato dallaguerra Alle opere di questi due pio-nieri fanno seguito quelle ditredici fotografi più giovani,fra i quali Sérgio Santimano.Questi si è dedicato al foto-giornalismo vent’anni fa,lavorando per il settimanaleDomingo, all’epoca diretto daRicardo Rangel. Nel 1988 siè trasferito in Svezia, dove haseguito corsi di fotografiadocumentaria. Rientrato inMozambico dopo gli accordidi pace ha realizzato unreportage sulle conseguenzedella guerra, mostrando lavita quotidiana di Luisa, unagiovane donna mutilata dauna mina. Nelle sequenzeesposte essa si dirige verso unpunto di erogazione dell’ac-qua, lava i capelli servendosidi una piccola zucca svuotatae riparte, appoggiandosi allesue stampelle arrugginite.Abituati a documentare ilconflitto, una volta ritornatala pace i fotografi hannodovuto esplorare altri temi.«Alcuni hanno allora sentitol’angoscia del vuoto, accen-tuata dal fatto che la stampainternazionale non si interes-sava più alle foto delMozambico», ricordaSantimano. «Per quanto miriguarda, al momento deimiei studi in Svezia avevorealizzato che la fotografia

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consentiva di raccontareanche storie che non fosserosolo quella della guerra. Oggimi preme di mostrare che imozambicani sono belli evivono normalmente, comegli altri popoli.A parte ilfatto che i loro mezzi sonodiversi». È infatti questa l’im-pressione che suscita un’im-magine scattata nel 1997:alcuni allievi sono seduti perterra composti, in una scuolasenza tetto, né banchi, né cat-tedra.

La pace sotto tutti i punti divista La miseria e la povertà sonospesso presenti nelle fotorecenti. Come pure la violen-za che ne può derivare: qui lafolla lincia un ladro di anatre,là si spara su un uomo che hatentato di svaligiare un nego-zio. Il visitatore realizza glisforzi che i mozambicanidevono fare per sopravvivere.Una contadina che camminadi fianco all’asino sulla stradapolverosa traduce i rigoridella stagione secca.Numerose immagini descri-vono, spesso con poesia, ilpenoso lavoro dei pescatori.Uno di essi porta una massaspaventosa di cordami e sem-bra fondersi in questo magmadi nodi. La nuova generazio-ne di fotografi tratta anche lesfide che si pongono al

Basilea, ultima sosta inSvizzeraDalla fine della guerra civile nessun paese del Nord avevaancora avuto l’occasione divedere riunite in un’unica espo-sizione i lavori dei migliori foto-grafi contemporanei delMozambico. «Iluminando Vidas»ha iniziato la sua tournée alPhotoforum PasquArt di Biennela primavera scorsa. Durantel’estate si è installata al Museocantonale d’arte a Lugano.Ultima tappa in Svizzera, sarà laSchule für Gestaltung di Basileache l’accoglierà per due setti-mane a partire dal 30 novem-bre. Nel 2003 l’esposizione faràscalo in Portogallo: dal 28marzo al 4 maggio al Museodell’Immagine di Braga.Dopodiché ripartirà per ilMozambico, dove sarà presen-tata nella galleria dell’Associa-zione mozambicana di fotogra-fia (AMF). «Iluminando Vidas», dal 30novembre al 15 dicembre,Schule für Gestaltung, salad’esposizione Auf der Lyss,Spalenvorstadt 2, Basilea, tel. 061 261 30 06; orario d’a-pertura: dal martedì al venerdìdalle 12 alle 18, sabato edomenica dalle 12 alle 17.

Progetto multimedialeIntitolata «Iluminando Vidas –Fotografia mozambicana 1950-2001 – Ricardo Rangel e lanuova generazione», l’esposizio-ne costituisce l’elemento por-tante di un progetto multimedia-le. Ai visitatori è data anche lapossibilità di visionare un videodi otto minuti girato a Maputodal fotografo statunitense GrantLee Neuenburg, co-curatoredell’esposizione insieme allozurighese Bruno Z’Graggen.Inoltre, è stato aperto in internetun sito all’indirizzo: www.ilumi-nandovidas.org. Al termine dellatournée in Europa, esso saràripreso dall’Associazionemozambicana di fotografia(AMF). Infine, nell’aprile 2002 èuscito per i tipi dell’editoreChristoph Merian un catalogobilingue. Esiste in versione tede-sco-francese e inglese-porto-ghese. Oltre a quasi tutte leopere presentate nell’esposizio-ne, vi si trovano molte informa-zioni su questo collettivo di foto-grafi che incarnano la scuolamozambicana. B. Z’Graggen e G.L.Neuenburg: «Iluminando Vidas –Ricardo Rangel et la photogra-phie mozambicaine», edizioniChristoph Merian, Basilea, CHF 58.–

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Made in India Nello stato indiano del Gujaratle donne hanno sviluppato unnuovo modello di sindacato,dandogli il nome di SEWA (SelfEmployed Women Association).Nel 1998 questa organizzazionecontava nell’intera India 217'000membri. Essa si compone esclu-sivamente di donne attive nelcosiddetto «settore informale» eappartenenti a varie caste e reli-gioni. SEWA persegue l’obietti-vo di aiutare queste donne auscire dalla miseria economica.Il sindacato si occupa delle lorocondizioni di lavoro, della lorosalute e della loro formazione. Ilfilm die Patrizia Plattner si chinasullo spirito d’inventiva e laricchezza delle idee dell’organiz-zazione, e descrive il modo dilavorare di SEWA attraverso lavoce delle donne coinvolte.Patricia Plattner, Svizzera, 1999,documentario, video VHS, 52 minuti(versione ridotta), in francese o tede-sco, dai 16 anniDistribuzione e vendita: Cinédia,tel. 026 426 34 30, [email protected]; informazioni: Films pour unseul monde, tel. 031 398 20 88,[email protected], www.filmeei-newelt.ch

Storie maghrebine (bf ) Quest’inverno nelle salecinematografiche svizzere si pot-ranno vedere ben cinque interes-santi film del Maghreb accompa-gnati da un programma specialee una rivista del distributorecinematografico Trigon, specializ-zato in film dell’Africa, dell’Asiae dell’America latina. Inaugura-no la serie due meravigliose sto-rie di donne – «Satin Rouge» e«Fatma» – ambientate entrambein Tunisia. Dal Marocco giunge

un road movie estroso, «Le che-val du vent», che descrive un’a-micizia fra uomini. MerzakAlouache è uno dei pochi cinea-sti che in Algeria hanno ancora ilcoraggio di continuare a girare.In «L’autre monde» mostra unapellicola dal carattere forte suuna giovane donna alla ricercadell’amante perduto. «En atten-dant le bonheur», infine, vienedalla Mauritania e descrive l’ulti-ma visita che un giovanotto fa asua madre prima di emigrare.Film del Maghreb di Trigon: per ledate si rimanda ai programmi dellesale cinematografiche locali

Manifesto contro l’oblio(bf ) Oltre tre milioni di personesoffrono ancora oggi delle con-seguenze dell’esplosione del reat-tore nel Blocco 4, avvenuta il26 aprile 1986 nella centralenucleare di Cernobyl. LaSvizzera, con la DSC in quantopromotrice, ha perciò attivatoall’indirizzo www.cernobyl.infouna piattaforma di comunicazio-ne che vuole non solo essere unmanifesto contro l’oblio, maanche sostenere l’obiettivodell’ONU di riattivare l’aiutoumanitario e lo sviluppo sosteni-bile delle aree dell’ex Unionesovietica interessate. L’Ufficiodell’ONU per il coordinamentodegli affari umanitari OCHA had’altronde assunto il patrociniodel sito. Questo sito web interat-tivo serve sia alle organizzazionie alle persone interessate che«all’informazione attendibile eindipendente» dei detentori delpotere decisionale chiamati avalutare progetti di sviluppo perla regione di Cernobyl.www.cernobyl.info è un sito trilin-gue (inglese, tedesco, russo)

Saperi di donne nel Cornod’Africa (bf ) Il sito del Network deisaperi femminili del Cornod’Africa (Hawknet) è da pocoin rete. Il progetto del Fondo di

sviluppo dell’ONU per la donna(UNIFEM) si prefigge di darealle donne la possibilità di parte-cipare al dibattito globale.L’offerta in internet vuole diven-tare un portale regionale cheinforma sugli interessi e le atti-vità specificamente femminili.Una priorità è rappresentatadall’impiego delle moderne tec-nologie della comunicazione edell’informazione.www.acwict.or.ke/Hawknet/

OneWorld TV (bf ) Il network per i dirittiumani e lo sviluppo sostenibileOneWorld lancia un sito webinterattivo che affronta temi glo-bali. Il portale è sostenuto inparticolare da Unicef,AmnestyInternational, Save the Children,nonché da cineaste e cineasti ditutto il mondo. OneWorld TV èstato messo a punto con l’obiet-tivo di rendere accessibili a unvasto pubblico, tramite contributivideo in internet, le questioniinerenti ai diritti umani e allosviluppo sostenibile.Contrariamente ai normali pro-grammi televisivi, OneWorld TVsi basa sull’approccio del «docu-mentario aperto». I contributisono composti da viedoclipinterconnessi della durata di 60secondi.A dipendenza degliinteressi, l’utenza decide auto-nomamente quale filone del rac-conto interattivo seguire, oppurepuò addirittura contribuire conpropri clip, prospettive e nuovimateriali.www.oneworld.net/tv

Partire? La scheda pedagogica «Partir?»destinata alle allieve e agli allievidalla IV classe in poi (fino a 12anni), vuole motivare a rifletteresul tema della migrazione e dellafuga. È stata realizzata dallaComunità di lavoro degli enti dicooperazione allo sviluppo edall’Organizzazione svizzera diaiuto ai rifugiati, in collaborazio-

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ne con la Fondazione Educa-zione e sviluppo. Essa tratta inparticolare i vari aspetti legatialla partenza da un paese e all’ar-rivo nel paese di destinazione.Spesso è difficile, se non impossi-bile, distinguere in modo chiarochi debba essere considerato unimmigrato e chi un rifugiato.Sempre più spesso la persecuzio-ne politica, la miseria economicae la distruzione delle risorsenaturali si fondono in un insie-me di cause complesse. La schedaconsente agli allievi di capiremeglio il fenomeno e di svilup-pare un atteggiamento rispettosoe aperto nei confronti deimigranti.La scheda «Partir?» si compone di 8pagine; il retro è un poster a colori.Disponibile in tedesco e francese perCHF 1.–/es. presso: FondationÉducation et Développement,Avenue de Cour 1, 1007 Losanna.Il commento pedagogico per gli insegnanti si trova all’indirizzowww.globaleducation.ch.

Corsi postdiplomaIl NADEL (corso postdiplomaper i paesi in via di sviluppo)presso il Politecnico di Zurigopropone per i prossimi mesi iseguenti corsi:31.3 – 4.4. Introduzione alla pia-nificazione di progetti e pro-grammi

14.4 – 17.4.Alla ricerca di modidi vivere sostenibili: approcci estrategie 22.4 – 25.4. Prevenzione deiconflitti e mantenimento dellapace 5.5 – 9.5.Valutare processi erisultati di progetti e programmi19.5 – 23.5. Sviluppo organizza-tivo nei progetti e programmidella cooperazione allo sviluppo(II corso)29.5 – 31.5. Seminario di conso-lidamento per candidati post-diploma in cooperazione allosviluppo3.6 – 6.6. Corruzione e control-lo della corruzione nei paesi invia di sviluppo16.6 – 20.6. Consulenza nellacooperazione allo sviluppo 24.6 – 27.6. Micro- e macropro-spettive nella lotta contro lapovertà;Chiusura delle iscrizioni: Unmese prima dell’inizio del relati-vo corso.Informazioni e documentazioned’iscrizione: NADEL-Sekretariat,ETH Zentrum, 8092 Zurigo,tel. 01 632 42 40,www.nadel.ethz.ch, e-mail:[email protected]

Giro del mondo del piaceresonoro(er) Con grande passione i fon-datori dell’etichetta franceseInédit documentano e promuo-vono dal 1985 le tradizionimusicali misconosciute e in viadi estinzione.A questo scopo, glietnomusicologi della Maison desCultures du Monde raccolgonoe pubblicano documenti audiofilidi tutto il mondo. Inoltre, rema-sterizzando voci di grandi starnel frattempo spesso cadutenell’oblio, consentono di scopri-re inauditi piaceri musicali.Queste voci sono state conside-rate anche nella selezione deimigliori brani di Inédit e regi-strate nella compilation di «Unefenêtre sur le monde», un boxcon 4 cd venduto a prezzo con-

veniente. Moltissimi brani – frai quali quelli in cui risuonano lecorde del maestro irakeno di oudMunir Bachir o le melodie delvirtuoso armeno di flauto dudukZaven Azibekian – seducono l’u-dito per quasi cinque ore duran-te questo affascinante viaggio nelmondo della musica, un viaggioche consente di accedere allaricchezza delle tradizioni musi-cali nell’epoca moderna.«Une fenêtre sur le monde» (Inédit / Musikvertrieb)

Ballate creoli per deliziarel’udito(er) Una voce femminile suaden-te avanza armoniosa nei paesaggicreati dai suoni frizzanti dellachitarra, dalle linee jazzistiche delsassofono, e dal groove deglischemi percussionistici della tra-dizione musicale caraibica che sifondono dolcemente con i ritmiafricani. È questa la musica dellacantante haitiana MarleneDorcena, che vive in Belgio. Infrancese e creolo, talvolta malin-conica talaltra con la risata pron-ta, carica di preoccupazioni enondimeno fiduciosa, raccontanelle sue melodiose ballate storiedi quotidiana ordinarietà, testi-monia le sofferenze dell’epocadella schiavitù e ringrazia il buonDio per l’ottimo raccolto con unmerci, o meglio un mèsy, estesoanche al primo album in cuicompare da sola. In questa regi-strazione le canzoni di MarleneDorcena sono caratterizzate daun arrangiamento discreto, quasiscarno. Ma proprio per questoinvitano a sognare. E a occhichiusi la soleggiata brezza della

cordialità creola diventa per-cettibile a livello epidermico.Marlene Dorcena: «Mèsy» (Contre-Jour / RecRec)

Emozioni latinoamericane (er) Con 32 album e oltre duemilioni di dischi venduti è, inpatria e in America latina, unadelle grandi voci. Ha calcatotutti i palcoscenici del mondocome sidewoman di CesariaEvora. Quest’ultima e altri musi-cisti africani – come Soda MamaFall, Ousmane Touré, RégisGizavo – sostengono TaniaLibertad sul primo CD vendutonel nostro paese. La cantante,che vive in Messico con il titoloonorifico di «Singer of Peace»attribuitole dall’UNESCO, cipropone un affascinante indaginesulle proprie radici musicali, cheaffondano nella schiavitù afrope-ruviana della «Costa Negra»: ilsuo canto caleidoscopicamenteardente, fa vibrare tutte le emo-zioni, non mancando di quelpizzico di ironia che gli consentedi gettare un ponte verso l’epocamoderna. Il mondo musicale diTania Libertad ha d’altronde ent-usiasmato anche a Zurigo le par-tecipanti e i partecipanti allaConferenza annuale della coope-razione allo sviluppo 2002.Tania Libertad: «Costa Negra»(Lusafrica / Musikvertrieb)

A ciascuno il suo (bf ) Come sarebbe il mondo seogni persona avesse le stesse pre-messe? La grafica ManuelaPfrunder scioglie l’interrogativoin «Neotopia», un «atlante sullaripartizione equa del mondo»con il quale questa lucernesepresenta un immaginario nuovoordine mondiale. «Neotopia»mostra la visione di un mondonel quale, a mo’ di giustizia radi-cale, tutto risulta ripartito diver-samente; nel quale ogni personaha gli stessi diritti e, pertanto, lostesso diritto a tutte le risorse.Fondandosi sulle statistiche

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (vuc) Barbara Affolter (abb)Joachim Ahrens (ahj) Fabrice Fretz (fzf)

Maud Gerber (gee) Sarah Grosjean (gjs) Barbara Hofmann (hba) Beat Felber (bf)

Collaborazione redazionale:Beat Felber (bf – Produzione)Gabriela Neuhaus (gn) Maria Roselli (mr)Jane-Lise Schneeberger (jls) Ernst Rieben (er)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: City Comp SA, Losanna

Stampa: Vogt-Schild / Habegger AG,Solothurn

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentitaprevia consultazione con la redazione ecitazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente presso:DSC, Sezione media e comunicazione, 3003 Berna,Tel. 031 322 44 12Fax 031 324 13 48E-mail: [email protected]

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Stampato su carta sbiancata senza cloro per laprotezione dell’ambiente

Tiratura totale: 55’000

Copertina: Peter Stäger

Internet:www.dsc.admin.ch

dell’attuale situazione, regola irapporti di proprietà in modo daconcedere a ogni persona lastessa quota di ogni cosa. Checosa possiede allora ciascuno?Quale parte dell’isola? Quantoghiaccio? Per quanto vivremonel lusso? Per quanto dovremopatire la fame? «Neotopia» attribuisce a ognunoun paese di 291,5 per 291,5metri, che include isola, acqua,terreno coltivabile, deserto, unapercentuale della produzione diriso, di automobili e di sapone,nonché di libertà di gestire apiacimento le proprie risorse.

Un’idea osé e sorprendentequanto il libro informativo,avvincente e dalla grafica moltocurata. Per ora esiste solo il libro,ma tra poco sarà attivato anche ilsito www.neotopia.ch.«Neotopia» di Manuela Pfrunder(in tedesco e inglese), edizioniLimmat, Zurigo

Nel cuore dell’Algeria (bf ) Dieci anni fa veniva dichia-rato in Algeria lo stato d’emer-genza, e da allora il paese è dila-niato da una guerra senza nome.Con il titolo «Im HerzenAlgeriens» esce ora una raccoltadi testi che tratta temi attualicome la storia dell’Algeria dallaguerra d’indipendenza, la donnatra islam e modernità, il femmi-nismo algerino oppure la libertàdi stampa fra pressioni statali eterrore islamico. L’opera è illu-strata da un dossier a colori delfotografo bernese Michael vonGraffenied – che ha giàpubblicato l’albo di fotografie«Algerien, der unheimlicheKrieg» – e immagini tratte daldocumentario «Guerre sans images» del cineasta algerinoMohammed Soudani.«Im Herzen Algeriens» di Michaelvon Graffenried e Sid AhmedHammouche, nonché «Algerien, derunheimliche Krieg» di M. vonGraffenried, edizioni Benteli, Berna

Consiglio d'Europa «Svizzera oltre», la rivista delDipartimento federale degli affariesteri (DFAE), presenta temid’attualità della politica esteradella Svizzera. Esce quattro volteall'anno in italiano, tedesco e

francese. Il dossier dell'edizione1/2003 di metà gennaio èdedicato al Consiglio d'Europa.Che compiti ha quest'istituzione? Che ruolo svolge la Svizzera nelConsiglio d’Europa? Come agi-sce il Consiglio d'Europa rispettoad altre organizzazioni europee,quali sono le sue prospettive?L'ultima edizione di «Svizzeraoltre» di quest‘anno, uscita inottobre, è stata dedicataall'impegno svizzero per lapromozione della pace e deidiritti dell'uomo.L'abbonamento è gratuito e puòessere ordinato presso:«Svizzeraoltre» c/o Schaer Thun AGIndustriestrasse 12 3661 Uetendorfoppure tramite E-Mail:[email protected].

Inondazioni devastanti (bf ) Le devastanti inondazione diagosto di quest’anno in Europa ein Asia hanno suscitato anche inSvizzera grande impressione esolidarietà. Nel libro «Am Tagdanach» vari autori si occupanodel tema della gestione dellecatastrofi naturali in Svizzera frail 1500 e il 2000. Inondazioni evalanghe, frane, incendi nei vil-laggi e nelle città vengono trattatinon sotto il profilo delle lorocause, bensì sotto quello delleloro ricadute sulla cultura e lasocietà. Come hanno interpretatoi fatti le persone colpite? Qualimisure di ripristino e diprevenzione hanno preso inseguito allo choc provocato dauna catastrofe? Sulla scorta degliesempi svizzeri alcuni contributitrattano anche un altro aspettodella sventura collettiva: il senti-

mento di appartenere a un’unicacomunità (noi), la solidarietà chedopo un simile evento può unirevari strati della popolazione evarie regioni del paese, e che puòindurre a prestare aiuto ancheoltre le frontiere nazionali.«Le jour d’après» – Surmonter lescatastrophes naturelles: le cas de laSuisse entre 1500 et 2000, a curadi Christian Pfister, disponibile infrancese e tedesco, edizioni PaulHaupt, Berna

Una nuova rivista francofona(jls) Il mondo romando deimedia si arricchisce di un nuovotitolo: «La revue durable».Questo bimestrale francofono èpubblicato dal Centro di studisulla ricerca e l’innovazione(CERIN) di Friburgo.Vuoleessere «un luogo editoriale dovesi delineano i contorni di ciò chepotrebbe essere lo svilupposostenibile», come scrivono iredattori responsabili SusanaJourdan e Jacques Mirenowicz,che sono pure i fondatori delCentro. Scritti in modo accessi-bile, gli articoli presentano ricer-che scientifiche, iniziative istitu-zionali o politiche pubbliche attea rendere sostenibile lo svilupposia al Nord che al Sud. In ogninumero comprende un dossierche presenta delle soluzioni pra-tiche e realistiche su un temaparticolare. I due primi numeri,usciti a fine agosto e inizionovembre, erano dedicati all’e-lettricità e al suolo.«La revue durable» CERIN, tel.026 321 37 10, è disponibile all’e-dicola; e-mail:[email protected];

Nella prossima edizione:

Sicurezza e sviluppo: garantire sicurezzaattraverso lo sviluppo, un’impresa difficile econtroversa - le implicazioni di politicainterna ed estera della sicurezza

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