Le Monde Diplomatique Novembre 2013 3

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VENEZUELA, LA MALEDIZIONE DEL PETROLIO alle pagine 6 e 7 Pubblicazione mensile supplemento al numero odierno de il manifesto euro 1,50 in vendita abbinata con il manifesto n. 11, anno XX, novembre 2013 sped. in abb. postale 50% Sommario dettagliato a pagina 2 n n n Recensioni e segnalazioni ALLE PAGINE 22 E 23 n n n n Usa-Ue, un trattato capestro LORI WALLACH n Beirut, il parco per baby lavoratori MONA CHOLLET n Palestina senza Europa LAURENCE BERNARD n Kosovo, nessun ritorno per i rom JJEAN-ARNAULT DÉRENS n Usa, Prigione-Louisiana MAXIME ROBIN n Cile, Aborto e politica MARÍA ISABEL MATAMALA VIVALDI n Cyberspazio senza privacy MARIE BÉNILDE n Come curare gli afghani PIERRE MICHELETTI Mentre le rivelazioni sul sistematico spionaggio dei suoi alleati imbarazzano Washington, Mosca sembra moltipli- care i successi sulla scena internazionale (caso Snowden, questione siriana). Erede di una diplomazia temuta ma affidabile, dal crollo dell’Urss, la Russia ritiene di aver finalmente ritrovato il suo rango di grande potenza. S TACCANDO lo sguardo dai comunicati del sin- dacato tedesco Ver.di – il sindacato unificato dei servizi – affissi nelle bacheche della sala riunioni, Irmgard Schulz si alza di colpo e prende la parola. «In Giappone – racconta, Amazon ha appena assunto delle capre perché bruchino l’erba intorno a un suo centro. Le hanno fornite di un cartellino simile a quello che abbia- mo noi al collo. C’è tutto: nome, foto, codice a barre. » Siamo alla riunione settimanale dei dipendenti di Ama- zon a Bad Hersfeld (Land di Hesse). Con quest’immagi- ne, l’operaia della logistica ha riassunto la filosofia so- ciale della multinazionale delle vendite on-line, la quale propone al consumatore di fare acquisti con pochi clic ricevendo entro quarantottore una scopa, i libri di Mar- cel Proust o una motozappa (1). Centomila persone in tutto il mondo si affaccenda- no in ottantanove centri logistici la cui superficie totale arriva intorno ai sette milioni di metri quadrati. In meno di venti anni, Amazon si è proiettata sul palcoscenico dell’economia digitale, a fianco di Apple, Google e Fa- cebook. Dopo il suo arrivo in Borsa, nel 1997, il suo fat- turato si è moltiplicato per 420, arrivando a 62 miliardi di dollari nel 2012. Il suo fondatore e presidente-direttore generale, Jeffrey Preston («Jeff») Bezos, libertario e biz- zarro, ispira ai giornalisti ritratti ancor più lusinghieri dopo che lo scorso agosto ha investito 250 milioni di euro – l’1% della sua fortuna personale – per comprare il prestigioso quotidiano statunitense The Washington Post. Il tema della riuscita economica eclissa di gran lunga quello delle condizioni di lavoro. Con i suoi proprietari celebrati da Hol- lywood, i suoi schermi nitidi e i colori acidi, l’economia digitale evoca immate- rialità, orizzontalità, creatività. Ma dalle inchieste su Amazon emerge un’altra fac- cia. Quella di fabbriche gigantesche dove umani pilotati da computer lavorano fino alla spossatezza. Il ritorno della Russia continua a pagina 18 dal nostro inviato speciale JEAN-BAPTISTE MALET* di JACQUES LÉVESQUE * UNA DIPLOMAZIA PUGNACE INCHIESTA SUI MAGAZZINI DEL COMMERCIO ELETTRONICO N EL CORSO degli ultimi mesi, il presidente russo Vladimir Putin ha ottenuto due impor- tanti successi sulla scena internazio- nale. Nel mese di agosto ha dato asilo all’informatico statunitense Edward Snowden, autore delle clamorose ri- velazioni sui sistemi di sorveglianza digitale dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (National security agency, Nsa). Ha così potuto vantarsi del fatto che la Russia sia l’unico stato capace di resistere alle richieste di Washington. La Cina stessa si era defilata, seguita da Venezuela, Ecuador e Cuba, ciascu- no con le proprie giustificazioni. Paradossalmente, le pressioni eser- citate dal vicepresidente Joseph Bi- den e dal presidente Barack Obama sui governi tentati di accogliere il giovane statunitense hanno ampia- mente contribuito al successo di Putin. Washington ha agito come se Snowden rappresentasse un rischio per la sicurezza paragonabile a quel- lo incarnato dall’ex capo di al Qaeda, Osama Bin Laden. Ha anche ottenuto che i suoi alleati chiudessero il pro- prio spazio aereo al presidente boli- viano Evo Morales (1), sospettato di trasportare l’informatico. Una simile atmosfera ha contribuito a dare ri- salto all’«audacia» di Putin, sia sulla scena politica russa sia su quella in- ternazionale. A Mosca, molti oppo- sitori hanno applaudito il suo gesto, continua a pagina 12 MARCOS SABOYA E GUALTER PUPO aMAZEme T RENT’ANNi fa i candidati all’esilio, in fuga da un si- stema politico oppressivo, raccoglievano gli elogi dei Paesi ricchi e della stampa. Si usava dire allora che i ri- fugiati avevano «scelto la libertà » – cioè l’Occidente. Un museo a Berlino rende omaggio alla memoria dei cento- trentasei fuggiaschi, periti tra il 1961 e il 1989 nel tentati- vo di scavalcare il muro che tagliava in due la città. Oggi però i siriani, somali, eritrei che a centinaia di migliaia «scelgono la libertà» non sono accolti con lo stesso entusiasmo. A Lampedusa, il 12 ottobre scorso c’è stato bisogno di una gru per caricare su una nave da guerra le spoglie di quasi trecento «boat people». Il muro di Berlino è stato per loro il mare, la Sicilia il cimitero. La cittadinanza italiana è stata loro concessa post mortem. A quanto pare la loro fine ha ispirato alcuni politici eu- ropei. Ad esempio, il 15 ottobre scorso Brice Hortefeux, ex ministro dell’interno francese, ha ritenuto che il caso dei naufraghi di Lampedusa imponesse di rispondere «a una prima emergenza: quella di rendere meno attrat- tive le politiche sociali dei nostri paesi (1)». E ha puntato il dito contro gli eccessi di prodigalità, rei di attirare i profughi verso le rive del Vecchio Continente: «L’assi- stenza sanitaria di Stato consente a chi è entrato nel no- stro territorio senza rispettare le regole [di fruire di cure gratuite], mentre ai francesi si chiede di pagare fino a 50 euro di ticket». La conclusione era quindi scontata: «La prospettiva di beneficiare di una politica sociale costituisce un mo- vente. Non abbiamo più i mezzi per continuare così». Non è dato sapere se per il signor Hortefeux lo stesso ragionamento valga anche altrove: è stata la generosi- tà della politica sociale ad attirare un milione e seicen- tomila profughi afgani in Pakistan, o a richiamare oltre cinquecentomila siriani in Giordania, regno che ha con- cesso loro asilo politico, benché il suo reddito pro capi- te sia appena un settimo di quello francese? Trent’anni fa l’Occidente brandiva la sua prosperità e le sue libertà come punte d’ariete ideologiche contro il sistema che avversava. Invece oggi alcuni suoi leader fanno leva sulla tragedia dei migranti per dare un colpo d’acceleratore allo smantellamento di tutti i sistemi di tutela sociale. Poco importa, per chi strumentalizza in questo modo la disperazione, che nella loro stragrande maggioranza i profughi del pianeta trovino accoglienza in paesi a malapena meno miseri di loro. Quando non ingiunge a questi Stati, già vicini al pun- to di rottura, di «far cessare l’indegno business delle imbarcazioni di fortuna (2)», l’Unione europea vorreb- be obbligarli a fare da baluardo per proteggerla dagli indesiderabili, dando loro la caccia o rinchiudendoli in campi di internamento (3). Ma c’è un aspetto anche più sordido: tutto questo non è destinato a durare. Un gior- no il Vecchio continente tornerà a fare appello ai giovani migranti per arginare il proprio declino demografico. Al- lora sentiremo dire l’esatto contrario, i muri cadranno e si apriranno i mari. (1) RTL, 15 ottobre 2013. (2) Tweet dell’11 ottobre 2013 di Cecilia Malmström, commissario eu- ropeo agli affari interni, rivolto alla Libia e alla Tunisia. (3) Si legga Alain Morice e Claire Rodier, «Come l’Unione europea im- prigiona i suoi vicini», Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2010. Lampedusa di SERGE HALIMI (1) Malgrado le nostre ripetute richieste, Amazon ha deciso di non risponderci. * Giornalista. Autore dell’inchiesta En Amazonie. Infiltré dans le «meilleur des mondes» (Fayard, Parigi, 2013); per condurla ha la- vorato come operaio interinale presso un magazzino francese di Amazon nel novembre 2012. * Dottore in scienze politiche e professore a contratto presso l’università del Quebec a Montréal. Autore del saggio Le Retour de la Russie (Varia, Montréal, 2007). (1) Si legga «Io, presidente della Bolivia, seque- strato in Europa», Le Monde diplomatique-il manifesto, agosto 2013. Amazon, dietro lo schermo

Transcript of Le Monde Diplomatique Novembre 2013 3

  • VENEZUELA, LA MALEDIZIONE DEL PETROLIO alle pagine 6 e 7

    Pubblicazione mensile supplemento al numero odierno de il manifesto

    euro 1,50 in vendita abbinata con il manifesto n. 11, anno XX, novembre 2013 sped. in abb. postale 50%

    Sommario dettagliato a pagina 2

    n n n

    Recensioni e segnalazioniALLE PAGINE 22 E 23

    n n n

    n Usa-Ue, un trattato capestro LORI WALLACH

    n Beirut, il parco per baby lavoratori MONA CHOLLET

    n Palestina senza Europa LAURENCE BERNARD

    n Kosovo, nessun ritorno per i rom JJEAN-ARNAULT DRENS

    n Usa, Prigione-Louisiana MAXIME ROBIN

    n Cile, Aborto e politica MARA ISABEL MATAMALA VIVALDI

    n Cyberspazio senza privacy MARIE BNILDE

    n Come curare gli afghani PIERRE MICHELETTI

    Mentre le rivelazioni sul sistematico spionaggio dei suoi alleati imbarazzano Washington, Mosca sembra moltipli-care i successi sulla scena internazionale (caso Snowden, questione siriana). Erede di una diplomazia temuta ma affidabile, dal crollo dellUrss, la Russia ritiene di aver finalmente ritrovato il suo rango di grande potenza.

    STACCANDO lo sguardo dai comunicati del sin-dacato tedesco Ver.di il sindacato unificato dei servizi affissi nelle bacheche della sala riunioni, Irmgard Schulz si alza di colpo e prende la parola. In Giappone racconta, Amazon ha appena assunto delle capre perch bruchino lerba intorno a un suo centro. Le hanno fornite di un cartellino simile a quello che abbia-mo noi al collo. C tutto: nome, foto, codice a barre. Siamo alla riunione settimanale dei dipendenti di Ama-zon a Bad Hersfeld (Land di Hesse). Con questimmagi-ne, loperaia della logistica ha riassunto la filosofia so-ciale della multinazionale delle vendite on-line, la quale propone al consumatore di fare acquisti con pochi clic ricevendo entro quarantottore una scopa, i libri di Mar-cel Proust o una motozappa (1).

    Centomila persone in tutto il mondo si affaccenda-no in ottantanove centri logistici la cui superficie totale arriva intorno ai sette milioni di metri quadrati. In meno di venti anni, Amazon si proiettata sul palcoscenico delleconomia digitale, a fianco di Apple, Google e Fa-cebook. Dopo il suo arrivo in Borsa, nel 1997, il suo fat-turato si moltiplicato per 420, arrivando a 62 miliardi di dollari nel 2012. Il suo fondatore e presidente-direttore generale, Jeffrey Preston (Jeff) Bezos, libertario e biz-zarro, ispira ai giornalisti ritratti ancor pi lusinghieri dopo che lo scorso agosto ha investito 250 milioni di euro l1% della sua fortuna personale per comprare il prestigioso quotidiano statunitense The Washington Post. Il tema della riuscita economica eclissa di gran lunga quello delle condizioni di lavoro.

    Con i suoi proprietari celebrati da Hol-lywood, i suoi schermi nitidi e i colori acidi, leconomia digitale evoca immate-rialit, orizzontalit, creativit. Ma dalle inchieste su Amazon emerge unaltra fac-cia. Quella di fabbriche gigantesche dove umani pilotati da computer lavorano fino alla spossatezza.

    Il ritorno della Russia

    continua a pagina 18

    dal nostro inviato speciale JEAN-BAPTISTE MALET*

    di JACQUES LVESQUE *

    UNA DIPLOMAZIA PUGNACEINCHIESTA SUI MAGAZZINI DEL COMMERCIO ELETTRONICO

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    Punto Rosso

    NEL CORSO degli ultimi mesi, il presidente russo Vladimir Putin ha ottenuto due impor-tanti successi sulla scena internazio-nale. Nel mese di agosto ha dato asilo allinformatico statunitense Edward Snowden, autore delle clamorose ri-velazioni sui sistemi di sorveglianza digitale dellAgenzia per la sicurezza nazionale (National security agency, Nsa). Ha cos potuto vantarsi del fatto che la Russia sia lunico stato capace di resistere alle richieste di Washington. La Cina stessa si era defilata, seguita da Venezuela, Ecuador e Cuba, ciascu-no con le proprie giustificazioni.

    Paradossalmente, le pressioni eser-citate dal vicepresidente Joseph Bi-

    den e dal presidente Barack Obama sui governi tentati di accogliere il giovane statunitense hanno ampia-mente contribuito al successo di Putin. Washington ha agito come se Snowden rappresentasse un rischio per la sicurezza paragonabile a quel-lo incarnato dallex capo di al Qaeda, Osama Bin Laden. Ha anche ottenuto che i suoi alleati chiudessero il pro-prio spazio aereo al presidente boli-viano Evo Morales (1), sospettato di trasportare linformatico. Una simile atmosfera ha contribuito a dare ri-salto allaudacia di Putin, sia sulla scena politica russa sia su quella in-ternazionale. A Mosca, molti oppo-sitori hanno applaudito il suo gesto,

    continua a pagina 12

    MARCOS SABOYA E GUALTER PUPO aMAZEme

    TRENTANNi fa i candidati allesilio, in fuga da un si-stema politico oppressivo, raccoglievano gli elogi dei Paesi ricchi e della stampa. Si usava dire allora che i ri-fugiati avevano scelto la libert cio lOccidente. Un museo a Berlino rende omaggio alla memoria dei cento-trentasei fuggiaschi, periti tra il 1961 e il 1989 nel tentati-vo di scavalcare il muro che tagliava in due la citt.

    Oggi per i siriani, somali, eritrei che a centinaia di migliaia scelgono la libert non sono accolti con lo stesso entusiasmo. A Lampedusa, il 12 ottobre scorso c stato bisogno di una gru per caricare su una nave da guerra le spoglie di quasi trecento boat people. Il muro di Berlino stato per loro il mare, la Sicilia il cimitero. La cittadinanza italiana stata loro concessa post mortem.

    A quanto pare la loro fine ha ispirato alcuni politici eu-ropei. Ad esempio, il 15 ottobre scorso Brice Hortefeux, ex ministro dellinterno francese, ha ritenuto che il caso dei naufraghi di Lampedusa imponesse di rispondere a una prima emergenza: quella di rendere meno attrat-tive le politiche sociali dei nostri paesi (1). E ha puntato il dito contro gli eccessi di prodigalit, rei di attirare i profughi verso le rive del Vecchio Continente: Lassi-stenza sanitaria di Stato consente a chi entrato nel no-stro territorio senza rispettare le regole [di fruire di cure gratuite], mentre ai francesi si chiede di pagare fino a 50 euro di ticket.

    La conclusione era quindi scontata: La prospettiva di beneficiare di una politica sociale costituisce un mo-vente. Non abbiamo pi i mezzi per continuare cos. Non dato sapere se per il signor Hortefeux lo stesso ragionamento valga anche altrove: stata la generosi-t della politica sociale ad attirare un milione e seicen-

    tomila profughi afgani in Pakistan, o a richiamare oltre cinquecentomila siriani in Giordania, regno che ha con-cesso loro asilo politico, bench il suo reddito pro capi-te sia appena un settimo di quello francese?

    Trentanni fa lOccidente brandiva la sua prosperit e le sue libert come punte dariete ideologiche contro il sistema che avversava. Invece oggi alcuni suoi leader fanno leva sulla tragedia dei migranti per dare un colpo dacceleratore allo smantellamento di tutti i sistemi di tutela sociale. Poco importa, per chi strumentalizza in questo modo la disperazione, che nella loro stragrande maggioranza i profughi del pianeta trovino accoglienza in paesi a malapena meno miseri di loro.

    Quando non ingiunge a questi Stati, gi vicini al pun-to di rottura, di far cessare lindegno business delle imbarcazioni di fortuna (2), lUnione europea vorreb-be obbligarli a fare da baluardo per proteggerla dagli indesiderabili, dando loro la caccia o rinchiudendoli in campi di internamento (3). Ma c un aspetto anche pi sordido: tutto questo non destinato a durare. Un gior-no il Vecchio continente torner a fare appello ai giovani migranti per arginare il proprio declino demografico. Al-lora sentiremo dire lesatto contrario, i muri cadranno e si apriranno i mari.

    (1) RTL, 15 ottobre 2013.(2) Tweet dell11 ottobre 2013 di Cecilia Malmstrm, commissario eu-

    ropeo agli affari interni, rivolto alla Libia e alla Tunisia.(3) Si legga Alain Morice e Claire Rodier, Come lUnione europea im-

    prigiona i suoi vicini, Le Monde diplomatique/il manifesto, giugno 2010.

    Lampedusadi SERGE HALIMI

    (1) Malgrado le nostre ripetute richieste, Amazon ha deciso di non risponderci.

    * Giornalista. Autore dellinchiesta En Amazonie. Infiltr dans le meilleur des mondes (Fayard, Parigi, 2013); per condurla ha la-vorato come operaio interinale presso un magazzino francese di Amazon nel novembre 2012.

    * Dottore in scienze politiche e professore a contratto presso luniversit del Quebec a Montral. Autore del saggio Le Retour de la Russie (Varia, Montral, 2007).

    (1) Si legga Io, presidente della Bolivia, seque-strato in Europa, Le Monde diplomatique-il manifesto, agosto 2013.

    Amazon, dietro lo schermo

  • In questo numero novembre 2013PAGINA 3

    La Corte dei conti, cerbero dellausterit, di Sbastien Rolland

    PAGINE 4 E 5 Il trattato transatlantico, un uragano che minaccia gli europei, di Lori Wallach

    PAGINE 6 E 7 Venezuela, la maledizione del petrolio, di Gregory Wilpert - Fare la spesa a Caracas, di Anne Vigna

    PAGINA 8 A Beirut, il parco dove i bambini giocano al lavoro, di Mona Chollet

    - Spinneys si rif un'immagine (M. C.).

    PAGINA 9

    Il fallimento dellUnione europea in Palestina, di Laurence Bernard Quando Parigi sonnecchia, di Alain Gresh

    PAGINA 10

    Terrorismo somalo, malessere keniano, di Grard Prunier

    PAGINA 11

    La Corte penale internazionale sotto accusa, di Francesca Maria Benvenuto

    PAGINE 12 E 13

    Il ritorno della Russia sulla scena internazionale, seguito dalla prima dellarticolo di Jacques Lvesque Piazza Smolensk, unlite tra nostalgia e ambizione di Yann Breault

    PAGINA 14

    Fuggiti dalla guerra della Nato in Libia, di Pierre Benetti

    PAGINA 15

    Migranti apolidi, di Jean-Arnault Drens La Louisiana, prigioniera delle sue prigioni, di Maxime Robin

    PAGINA 16

    Il potere perde terreno in Malesia, di Charles Dannaud Un lascito del colonizzatore britannico (C. D.)

    PAGINA 17

    Cile, laborto nello scenario politico, di Mara Isabel Matamala Vivaldi

    PAGINE 18 E 19

    Amazon, dietro lo schermo, seguito dalla prima dellarticolo di Jean-Baptiste Malet Come non si pagano le tasse (J.-B. M.)

    PAGINE 20 E 21

    La caccia metodica allinternauta

    rivoluziona la pubblicit, di Marie

    Bnilde Prismi multipli (M. B.)

    PAGINE 22 E 23

    DIPLOTECA. Brasile. Intervista

    a Jair Meneguelli. Recensioni e

    segnalazioni

    PAGINA 24

    Come curare gli afghani, di Pierre

    Micheletti

    www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/

    A CURA DI Geraldina Colotti, tel. (06) 68719545 [email protected] e-mail: [email protected] via Bargoni 8 00153 Roma

    TRADUZIONI Giuseppe Acconcia, Alice Campetti, Marinella Correggia, Valerio Cuccaroni, Ermanno Gallo, Elisabetta Horvat, Alyosha Matella, Emilio PezzolaRICERCA ICONOGRAFICA Giovanna Massini, Nora Parcu, Anna Salvati ISCRIZIONE al Trib. stampa n.207/94 del 12.5.1994 DIR. RESP. Norma Rangeri

    REALIZZAZIONE EDITORIALE Cristina Povoledo SAGP srl, via Nomentana, 175 00161 RomaPELLICOLE E STAMPA SIGRAF spa, via Redipuglia 77, Treviglio (Bg) PUBBLICIT Concessionaria esclusiva POSTER PUBBLICIT srl Roma 00153, via Bargoni, 8 tel. (06) 68896911 fax 68308332 Milano 20135, via Anfossi, 36 tel. (02) 5400001 fax (02) 55196055 NUMERI ARRETRATI (06) 39745482

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    SITO INTERNET Guillaume Barou IDEAZIONE ARTISTICA E REALIZZAZIONE

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    REDAZIONE 1, avenue Stephen-Pichon, 75013 Paris tel. +33153949601 fax +33153949626 EDITORE SA Le Monde diplomatique

    il nuovo manifesto www.ilmanifesto.it

    DIRETTORE RESP. Norma Rangeri

    CONSIGLIO DAMMINISTRAZIONE Benedetto Vecchi (presidente), Matteo Bartocci, Norma Rangeri, Silvana Silvestri, Luana Sanguigni

    Chiuso in redazione il 7 novembre 2013. Il prossimo numero sar in edicola il 17 dicembre

    VENTIDUE ANNI FA, negli studi della trasmissione Lheu-re de vrit (Antenne 2, 22 dicembre 1991), un esperto, abituale frequentatore dei salotti padronali pi che delle lotte sociali, dichiarava il suo sostegno allapertura domenicale del Virgin Megastore degli Champs-lyses, a Parigi, nonostante uningente sanzione pecuniaria. Io, uscendo, andr a com-prarmi un disco al Virgin Megastore per contribuire al paga-mento della multa si entusiasmava Alain Minc. evidente che la non-apertura domenicale un arcaismo.

    Il primo ottobre 2013 Minc negli studi diTl e il gior-nalista gli domanda: In Germania si lavora la domenica? Perch il grande argomento allordine del giorno in Fran-cia... Dato che i tedeschi quel giorno si riposano, lesperto senza scomporsi spiega subito: Bisogna sempre tener presente che i tedeschi hanno pi mezzi di noi per essere arcaici. La catena Virgin, da parte sua, ha chiuso i battenti nel 2012. Eppure aveva ottenuto lautorizzazione a far lavo-rare i suoi dipendenti il settimo giorno della settimana...

    In due decenni, il dibattito ha preso le sembianze di un mostro marino che sbuca a intervalli regolari sullo scher-mo del telegiornale. Come fa notare Karl Ghazi, segretario generale della Confdration gnrale du travail (Cgt) com-mercio di Parigi, questo periodo stato contrassegnato da un valzer in tre tempi regolarmente e metodicamente mar-tellato dal padronato. E dai media.

    Nel primo tempo del valzer, dei grandi nomi della distribu-zione violano deliberatamente le leggi del lavoro: Printemps, Ikea e Virgin alla fine degli anni 80, Vuitton, Usines Center e il centro commerciale di Plan-de-Campagne (Bouches-du-Rhne) a met degli anni 2000, Castorama e Leroy-Merlin nel settembre 2013.

    Secondo tempo: il fronte giudiziario. Che importa se i cartelli perdono sistematicamente le battaglie che scatenano: si tratta innanzitutto di imporre il dibattito e un certo modo di por-lo nello spazio pubblico e sulla stampa. Poich questultima non desidera particolarmente proteggere il diritto del lavoro, il dibattito simpone senza sforzo. Ingenuo, il presentatore del segmento mattutino dEurope 1, Thomas Sotto, durante la sua rassegna stampa del 30 settembre 2013, nota: Per i negozi di bricolage che ieri hanno deciso di sfidare la legge e di accoglie-re i propri clienti, la trovata promozionale ha avuto successo.

    In materia di comunicazione, il settore della grande distribu-zione la sa lunga. Nel 1991, loffensiva padronale fu accompa-gnata da una campagna preparata dal pubblicitario Jacques Sgula: Signor ministro del commercio, se avete delle buo-ne ragioni per impedire ai commercianti di aprire liberamente la domenica, avrete sicuramente delle buone ragioni per im-pedire ai francesi di vivere liberamente la propria domenica. La sua associazione Libert le dimanche, discretamente fi-nanziata da Ikea e Virgin Megastore, benefici allora di unam-pia copertura mediatica.

    Quand che si sveglier questo paese? Quando andremo avanti? Sono trentanni che negli Stati uniti i negozi restano aperti la domenica!, si esasperava Sgula al Tg delle 13 su Antenne 2, il 14 maggio 1991. Nel 2013, unaltra agenzia di comunicazione, Les Ateliers Corporate, rilancia il proposito degli imprenditori del bricolage. Si scopre che i dipendenti di Castorama e Leroy-Merlin, riuniti nel collettivo Bricoleurs du dimanche (I bricoleur della domenica), cos pronti a sostenere la direzione, hanno ricevuto dei corsi di coaching finanziati dai propri datori di lavoro.

    Ricompare cos regolarmente il prototipo dellimpiegato vo-lontario, preso in ostaggio dal diritto del lavoro. Preferibilmen-te una giovane donna per la quale sarebbe impossibile studiare

    senza il suo lavoro integrativo. Nel 1989: Questo lavoro mi ha permesso di continuare i miei studi, e poi io ho due bambini, ci mi permette di crescerli tranquillamente durante la settimana (1). Nel 2007: Ho cominciato il lavoro quando ero studentessa. Avevo lezione tutta la settimana, e poter lavorare nel fine setti-mana, era veramente una libert (2). Nel 2013: Lobiettivo di pagarmi un appartamento vicino alla scuola. Perci il sabato e la domenica lavoro qui. Siamo pagati il doppio (3).

    pi raro che si divulghino le conclusioni di studi come quello di Magali Beffy, Denis Fougre e Arnaud Maurel sullimpatto sco-lastico del lavoro dipendente. In effetti, verremmo a sapere che loccupazione regolare riduce significativamente la probabilit di riuscita negli esami universitari di fine anno. Se non lavorassero, gli studenti lavoratori avrebbero una probabilit maggiore di 43 punti [percentuali] di superare lanno (4). Giustamente, gli stu-denti delle classes prparatoires (corsi pre-universitari di prepara-zione ai test di ammissione, ndt) o delle grandes coles (universit a numero chiuso, paragonabili alla Normale di Pisa e alla Bocconi di Milano, ndt) lavorano raramente nel fine settimana...

    Disponibilit totale a essere intervistati, eloquio calibrato: i lavoratori modello pronti a sacrificare i propri fine settimana piacciono di pi ai divi dei media editorialisti, presentatori, esperti catodici ampiamente conquistati alla causa della de-regolamentazione del diritto del lavoro rispetto a quelli che sono costretti dai propri superiori a restare nel supermercato di domenica. Molte cassiere che spiccicano male il francese hanno paura di rappresaglie se raccontassero le loro condi-zioni di lavoro. Esse non sono dei buoni clienti per i giornalisti, sottolinea Ghazi.

    Fernando Malverde, giornalista di France 3 Ile-de-France, ag-giunge: Il giornalista di base del Tg, oggi, lavora in un contesto sempre pi coercitivo. Non lui, bens sempre pi le agenzie di comunicazione, a scegliere il programma. Egli costretto a una rapidit esecutiva e a un format sempre pi breve. I lavoratori di Castorama e di Leroy-Merlin rispondono perfettamente alle nuove esigenze del mestiere. Lui stesso ne fa le spese, qualche giorno dopo il colpo di mano dei giganti del bricolage e dellarre-damento: La catena Monoprix ha approfittato di questoccasio-ne per annunciare, marted 1 ottobre verso le 8 di sera, che era costretta a chiudere i negozi alle 21 a causa di un ricorso della Cgt. La mattina dopo, ho dovuto preparare un servizio per il Tg di met giornata. Ho avuto una mezzora per girarlo.

    Il quadro di una Francia improbabile, popolata di lavorato-ri felici, si delinea allora come per magia sotto il pennello dei

    media, a dispetto di qualche pasticcio antisindacale volto a rovinare il bel paesaggio.

    30 settembre 2013. Wendy Bouchard, presentatrice di Europe 1, riceve Ghazi, il cui sindacato ha ottenuto pi del 52% di voti tra le rappresentanze di Monoprix. Gli presenta una scarica di tweet. Mickael: Da quando lobiettivo dei sin-dacati impedire alle persone di lavorare? Frdric: Grazie alla Cgt, il lavoro sar ben presto abolito in Francia! Il giorno dopo, la radio di Arnaud Lagardre pubblicher sul suo sito il sondaggio del giorno: Vi sembra normale che un negozio sia costretto da un sindacato a non aprire pi dopo le 21?.

    La storia di Habib Hamdoud non andata in prima pagi-na n sul sito di Europe 1, n sul quotidiano Le Echos (pro-priet di Bernard Arnault, cos come il marchio Sephora, che ha annunciato di voler aprire di notte la sua boutique degli Champs-Elyses). Assunto dopo una cinquantina di contratti a termine in diversi negozi del gruppo, Hamdoud ha lavorato in un Auchan City di Tourcoing, nel Nord. Que-sto supermercato, creato tre anni fa, ha liberato i suoi ottan-tatr dipendenti dal peso di chiedersi come occupare me-glio le proprie serate e le proprie domeniche. Qui, si lavora regolarmente fino alle 21 durante la settimana e dalle 9 alle 13 il giorno del Signore. Senza alcun aumento: Abbiamo una direzione che usa molto il bastone, assai meno la ca-

    rota, precisa Hamdoud, il quale ha dei colleghi che lavorano fino a dieci giorni di filato.

    Un giorno, Hamdoud ne ha avuto abbastanza. Con laiuto della confederazione locale Cgt di Tourcoing, ha messo su una sezione locale, ha resistito ai superiori e ha ottenuto le elezioni che la direzione rifiutava. Nel giugno 2013, il 72% dei suoi colleghi ha votato per la Cgt. Unaltra Francia rispetto a quella tratteggiata dai tweet di Europe 1...

    Infine, il terzo giro di valzer, il pi importante. Si tratta di ot-tenere un sostegno politico sufficiente a smontare la legge e le norme a protezione dei lavoratori. Nel 1993, la mobilitazio-ne del Parlamento sfociata nella legge Girard-Balladur. Nel 2009, nella legge Malli-Sarkozy (5). E nel 2013?

    Per Ghazi, la posta in gioco notevole: Attualmente, il con-tratto collettivo si impone ancora sul contratto individuale. Il lavoro volontario un concetto molto pericoloso. Ha come obiettivo quello di distruggere il contratto collettivo e di ren-dere normale la concorrenza tra i dipendenti. Ma gli ultimi ventanni ci suggeriscono che, in questo campo, la battaglia condotta dai padroni della distribuzione non sempre stata coronata dal successo. Perch sembrerebbe che qualche vol-ta i dipendenti preferiscano essere presi in ostaggio dal diritto del lavoro piuttosto che dal proprio datore di lavoro... Una sor-presa? Stando alleconomista Frdric Lordon, non proprio: Si voluto convertire un corpo sociale a una nuova specie di vita collettiva, a una nuova specie di vita economica e sociale. E questo corpo sociale, fondamentalmente, non voleva, per delle ottime ragioni. perch aveva tutto da perdere. Allora, rispetto alla resistenza prima prevista, poi constatata, si dovuto fare uno sforzo di convinzione o di persuasione della stessa entit (6). In queste condizioni, il lavoro di indottrinamento di Minc sembrerebbe lontano dallessere compiuto...

    (1) Tg delle 20, TF1, 26 febbraio 1989.(2) Mots croiss, France 2, 8 gennaio 2007.(3) Tg delle 13, France Inter, 29 settembre 2013.(4) Limpact du travail salari des tudiants sur la russite et la poursuite des

    tudes universitaires, Economie et statistique, n. 422, Parigi, novembre 2009.

    (5) Michel Giraud era ministro del lavoro nel governo di Edouard Balladur nel 1993; Richard Malli, deputato dellUnion pour un mouvement po-pulaire (Ump) nel 2009, lautore del testo che alla base della legge.

    (6) Les Nouveaux Chiens de garde, JEM Productions, 2012.(Traduzione di V. C.)

    di GILLES BALBASTRE *

    Lavoro domenicale: leterno ritornello

    * Giornalista e coregista con Yannick Kergoat del documentario Les Nouve-aux Chiens de garde (JEMProductions, 2012).

    NOVEMBRE 2013 Le Monde diplomatique il manifesto2

    AMIR ZAINORIN Shop Till U Flop, 2006

  • Le Monde diplomatique il manifesto NOVEMBRE 2013 3

    La Corte dei conti, cerbero dellausteritIL POTERE CRESCENTE DI UNISTITUZIONE BISECOLARE

    ABIEZIONI della caduta del Crdit lyonnais nel 1995, scap-patelle dei responsabili dellAs-sociazione per la ricerca sul cancro (Arc) nel 1996, ecc.: a lungo, la Cor-te dei conti ha puntato il dito. Ora, esige di fare economia. Seguace dellortodossia finanziaria elaborata a Bruxelles o al Fondo monetario in-ternazionale (Fmi), il suo primo presi-dente, Didier Migaud, venerato dai media francesi. Il 27 giugno 2013, la sua presentazione del rapporto sul-la situazione e sulle prospettive delle finanze pubbliche (Rspfp) veniva tra-smessa in diretta dai canali televisivi. La sera stessa, lex deputato socialista (peraltro ex presidente della commis-sione finanze dellAssemblea nazio-nale) concedeva interviste al Monde, La Chane info (Lci), Soir 3, poi, il giorno dopo, a Europe 1 e Bmf Bu-siness. Migaud che ci serve come primo ministro, concludeva Le Figa-ro una settimana pi tardi.

    Si tratterebbe davvero di una pro-mozione? I primi bilanci del governo di Jean-Marc Ayrault sono stati ela-borati sulla base degli inquadramen-ti della Corte: 33 miliardi di euro di risparmio da realizzare nel 2013, 28 miliardi nel 2014 e nel 2015. Non tan-to perch Franois Hollande provenga dai suoi ranghi. Lattuale presidente della Repubblica ha lavorato molto poco in seno a unistituzione che ha persino ridicolizzato pubblicamente. Non sono neanche i talenti partico-lari di Migaud che spiegano il potere dellorganismo che dirige: da interno, il paragone con alcuni suoi predeces-sori Pierre Joxe (primo presidente

    dal 1993 al 2001) o Philippe Sguin (dal 2004 al 2010) lo danneggia. Le riforme condotte dagli anni 90 spie-gano meglio la trasformazione della Corte. Quando Migaud ne prende la direzione, nel 2010, la mutazione gi molto avanzata.

    Egli spesso presentato come il padre della Lolf [legge organica relativa alle leggi finanziarie]. Dal 1998 al 2001, in Parlamento, guida il progetto che declina le preconizza-zioni dellOrganizzazione di coopera-zione e di sviluppo economico (Ocse) per migliorare le performance della spesa pubblica. Ha lappoggio della Corte dei conti, i cui magistrati pi modernizzatori militano da lungo tempo a favore di una revisione della costituzione fiscale. Questa stata difesa nel 1995 da Jean Picq, magi-strato consigliere alla Corte, nella sua relazione Lo Stato in Francia: servire una nazione aperta al mondo. E, nel 1998, il Club Cambon gli ha dedicato un convegno. Questo circolo di rifles-sione, composto da magistrati della Corte e battezzato col nome della stra-da parigina dove ha la sede, si caratte-rizza per lestasi di fronte al modello di valutazione del Government Ac-countability Office (Gao) statunitense. Listituzione accompagna dunque una riforma che la reiventa permettendole di cancellare la sua immagine di arcai-smo (la funzione giurisdizionale che ricopre risale al XIV secolo), di inu-tilit (le sue pubblicazioni formulano generalit senza incidenza concreta) e di improduttivit (i suoi magistrati la frequentano soprattutto come una sor-ta di club).

    LORGANISMO contribuisce alla riflessione parlamentare facendo riferimento al modello del National audit office (Nao). Creato nel 1983 da Margaret Thatcher per passare le spese pubbliche al setaccio del rapporto co-sto/efficacia, il Nao usa metodi vicini a quello degli studi privati. Nel Regno unito, le sue conclusioni alimentano i lavori del comitato dei conti pubblici della Camera dei comuni, che formu-la le raccomandazioni a cui le ammi-nistrazioni devono dar seguito. In un rapporto depositato nel 1999, Migaud spiega di voler ispirarsi a questa di-namica, per tenere sotto controllo la spesa pubblica: il dispositivo ha con-tribuito a farla abbassare di dieci punti di prodotto interno lordo (Pil) durante il secondo mandato della Thatcher.

    Adottata nel 2001, la riforma del bilancio francese mirerebbe cos a incidere nel marmo il principio del declino della spesa pubblica, secon-do le parole di Marie-Claude Beau-deau, senatrice comunista. Piuttosto che in un progresso democratico, il rafforzamento dei legami tra il Parla-mento e la Corte dei conti si traduce innanzitutto in un allineamento sul modello anglosassone: listituzione di controllo interviene come un cane da guardia (watchdog) che verifica, gra-zie ad alcuni indicatori di prestazione, lefficacia dellattuazione del bilan-cio, politica pubblica per politica pub-blica. Un cane cattivo con i funzionari dei ministeri sospettati di essere spen-daccioni e di sprecare, per vocazione o per incompetenza.

    Il dispositivo impone anche nuove norme contabili: il deliberato ricor-so allindebitamento e laumento del finanziamento obbligazionario im-

    plicano il procurare agli investitori le informazioni che questi esigono gi dalle imprese sui loro investimenti o le loro situazioni patrimoniali. Dal 2006, la Corte certifica la fidatezza di questi dati presso i mercati finanziari, come fa un revisore dei conti per gli azionisti. Muove cos mezzi importan-ti per garantire la qualit della firma francese. Le esigenze specifiche della certificazione, e in particolare lappli-cazione delle norme di revisione in-ternazionali, la obbligano a impiegare esperti provenienti da studi di revisione privati: quaranta nel 2012, ossia il 10% dei sui effettivi devoluti ai controlli.

    Quando la legge organica entra in vigore, nel 2006, Sguin dirige la cor-te dei conti da due anni. Lex opposito-re al trattato di Maastricht ha aderito allora alla doxa economica, e dunque alla riforma in corso. Conformemente alle sue intenzioni, ottiene da Jacques Chirac al contempo lautonomia di bi-lancio della Corte rispetto al ministe-ro delleconomia e delle finanze e un potere di controllo sulle modifiche ap-portate dalle amministrazioni alle sue osservazioni.

    Ma riesce soprattutto a fare dellor-ganismo che presiede un riferimento obbligato per tutto ci che concerne le finanze pubbliche. Nel dicembre 2005, Michel Pbereau aveva pubblicato una relazione intitolata Rompere con la facilit del debito pubblico, che ave-va avuto una risonanza considerevo-le, imponendo nel dibattito pubblico limmagine del bambino che nasce con 20.000 euro di debito sulle spal-le (1). Sguin decide, dunque, che dora in poi la relazione pubblicata ogni anno a febbraio si aprir con un capitolo sullo stesso tema. Impone an-che la pubblicazione, a giugno, di un nuovo Rspfp. Aiutata dalla sua par-

    Trasformati in legge sotto Sarkozy, gli sforzi di modernizzazione della Corte sono stati ricompensati politica-mente dal presidente Hollande: a parti-re dal 2012, i suoi magistrati dirigono parecchi gabinetti ministeriali. Jrme Filippini, magistrato consigliere, nominato segretario generale per la modernizzazione dellazione pubblica (Map), versione socialista della revi-sione generale delle politiche pubbli-che (Rgpp). Soprattutto, fin dallinizio

    del quinquennio, listituzione si vede affidare il copilotaggio della politica di bilancio. Il 18 maggio 2012, il primo ministro le ordina una revisione delle finanze pubbliche le cui conclusioni, incluse nel Rspfp 2012, giustifiche-ranno lausterit. Anche gli sforzi supplementari imposti dal bilancio 2014 (3) sono giustificati dalla relazio-ne del 2013: Ci che dice la Corte dei conti vero dichiara cos Ayrault il giorno della sua pubblicazione.

    DAVVERO? Leconomista Henri Sterdyniak obietta tuttavia che i magistrati della Corte dei conti non sono a priori esperti di macroe-conomia (4). Per rimediare a questa lacuna, le relazioni, e in particolare il Rspfp, si basano sistematicamente sulle analisi di altre istituzioni, come l'Fmi quando si tratta di affermare che meglio ridurre le spese che au-mentare le imposte. Alimentano cos la circolazione circolare della perizia liberista. Sotto lapparenza di infor-mazione dei cittadini un obiettivo della Corte dalla revisione del 2008 , contribuiscono alla saturazione del dibattito pubblico: bisogna te-nere sotto controllo la spesa pubbli-ca, ripetono ancora gli evangelisti di Washington, Bruxelles e della rue Cambon.

    Il Rspfp 2013 innova declinando questo messaggio sotto forma di pre-cise preconizzazioni. Tra esse, lau-mento della durata del lavoro dei fun-zionari (p. 169), la diminuzione del loro stipendio (p. 170) e la soppressio-ne di diecimila posti di lavoro nella pubblica amministrazione (p. 172). Nella stessa relazione, la Corte si mo-stra piena di attenzioni nei confronti

    di chi froda: la Corte propone, in ef-fetti, di ridurre il costo di gestione dellimposta con la modernizzazio-ne dei metodi del controllo fiscale (p. 184) (5). I magistrati della Corte forse nutrono simpatia per i debitori dellimposta di solidariet sulla for-tuna (Isf) o dellimposta sul reddito calcolata al tasso marginale: il livello medio di remunerazione di un magi-strato consigliere supera i 7.000 euro netti il mese.

    La nobilt di Stato pu dunque fare a meno dei servizi pubblici di cui pre-conizza lo smantellamento. Essa sa anche come accaparrarsi le posizioni di potere che giustificano la sua esi-stenza e rafforzano la sua influenza. Cos Migaud ha ottenuto da Hollande la presidenza dellAlto consiglio delle finanze pubbliche (Hcfp). Quattro ma-gistrati della Corte dei conti siedono con lui tra gli undici membri di questo organismo creato nel 2013, nel quadro dei trattati europei, per vigilare sulle-secutivo.

    Mentre la Corte deve acconten-tarsi di raccomandazioni, il Hcfp potr, da parte sua, imporre cam-biamenti a un esecutivo che si allon-tanasse dagli obiettivi fissati dalla Commissione europea. Dopo la ge-stione con la performance imposta dalla riforma del 2001 (Lolf), dopo la certificazione e la valutazione, si tratta di un nuovo duro colpo allau-tonomia del potere politico in mate-ria finanziaria.

    (1) Yann Le Lan e Benjamin Lemoine, Les comptes des gnrations. Les valeurs du futur et la transformation de ltat social, Actes de la recherche en sciences sociales, n194, Parigi, aprile 2012.

    (2) Si legga Isabelle Bruno ed Emmanuel Di-dier, Lvasion, arme de destruction, Le Monde diplomatique, maggio 2013.

    (3) Senza precedenti, il bilancio 2014 prevede una riduzione di 9 miliardi di euro delle spe-se statali.

    (4) Haut Conseil des finances publiques: per farla finita con la democrazia, 5 maggio 2013, www.atterres.org

    (5) Si legga Alexis Spire, Dietro gli sportelli dellamministrazione fiscale, Le Monde di-plomatique/il manifesto, febbraio 2013.

    (Traduzione di Em. Pe.)* Giornalista.

    CompitiLA CORTE DEI CONTI fu creata nel 1807 per sorvegliare i registri dei contabili pubblici, la cui responsabilit personale e pecuniaria valeva in caso di negligenza. Poteva essere emesso un dbet (un debito) di un importo uguale alla spesa irregolarmente pagata o allincasso non recu-perato. La Corte conserva questa competenza, ma esamina anche la ge-stione degli organismi pubblici, delle imprese pubbliche, della Previdenza sociale e degli organismi che fanno appello alla generosit nazionale ve-rificando la regolarit delle entrate e delle uscite e assicurandosi contem-poraneamente del corretto impiego dei crediti.

    Le principali osservazioni che la Corte formula nel quadro di questi controlli sono riprese nel rapporto pubblico annuale (Rpa) e nel rappor-to annuale sui conti della Previdenza sociale. Dal 1991, la Corte redige anche delle relazioni tematiche, come, nel luglio 2013, quella intitolato Dexia: un sinistre coteux, des risques persistants [Dexia: un incidente costoso, rischi persistenti]. Sulla base della sua missione costituzionale di consiglio al governo e al Parlamento, si pronuncia, in due altre pubbli-cazioni, sullesecuzione delle leggi finanziarie e sulla situazione e sulle prospettive delle finanze. Pu, peraltro, realizzare inchieste o valutazioni su richiesta del Parlamento. Infine, dal 2006, certifica i conti dello Stato e della Previdenza sociale.

    HONOR DAUMIER Les gens de justice

    A mano a mano che il credito dei neoliberisti che reclama-vano una nuova purga sociale si sgretolava, linfluenza di unistituzione creata dallImpero e giudicata al di sopra delle parti, la Corte dei conti, prendeva il suo posto. Ormai i suoi magistrati prestigiosi e il suo presidente mediatico si adope-rano dunque, non senza successo, per offrire uno smalto di rispettabilit alle politiche di austerit pi rigorose.

    di SBASTIEN ROLLAND *

    lantina da buon cliente mediatico, questa doppia pubblicazione annuale consolida il nuovo ruolo della Corte in materia di finanze pubbliche.

    Il bicentenario dellistituzione, nel 2007, e la revisione costituzionale del 2008 offrono loccasione per celebra-re queste evoluzioni e di proporne di nuove. Il 5 novembre 2007, Nicholas Sarkozy arriva alla rue Cambon per annunciare ai magistrati la trasforma-zione della Corte in un grande or-ganismo di revisione e di valutazione delle politiche pubbliche. Il 23 luglio 2008, il presidente della Repubblica ottiene dal parlamento riunito in con-gresso liscrizione nella Costituzione di un nuovo articolo (47-2) che affida alla Corte questa missione di valu-tazione. Miguad vi si dedica dopo la morte di Sguin nel gennaio 2010.

    La valutazione comporta il ricorso a esperti provenienti da uffici di con-sulenza o da istituti demoscopici. E impone ai funzionari metodi ispirati dalle imprese private (2). Pubblicato dalla corte dei conti nel febbraio 2012, il rapporto di valutazione Le relazio-ni dellamministrazione fiscale con i privati e le imprese preconizza per esempio di concepire, pilotare e at-tuare una strategia di assistenza mul-ticanale che ottimizzi lefficienza glo-bale del dispositivo di informazione, indicazione, assistenza e trattamento delle pratiche amministrative dei con-tribuenti attraverso la segmentazione appropriata dei pubblici di riferimen-to e la razionalizzazione delluso dei diversi vettori, poi di stabilire alcu-ni reali indicatori di produttivit che mettano a confronto levoluzione degli effettivi e dei costi e quella delle pre-stazioni rese, misurate in termini qua-litativi e quantitativi.

    Sotto lapparenza di informazione ai cittadini

    Nobilit di Stato...

  • NOVEMBRE 2013 Le Monde diplomatique il manifesto4

    Il trattato transatlantico, SICUREZZA ALIMENTARE,

    POSSIAMO immaginare del-le multinazionali trascinare in giudizio i governi i cui orienta-menti politici avessero come effetto la diminuzione dei loro profitti? Si pu concepire il fatto che queste possano reclamare e ottenere! una generosa compensazione per il mancato gua-dagno indotto da un diritto del lavoro troppo vincolante o da una legislazione ambientale troppo rigorosa? Per quan-to inverosimile possa apparire, questo scenario non risale a ieri. Esso com-pariva gi a chiare lettere nel progetto di accordo multilaterale sugli investi-menti (Mai) negoziato segretamente tra il 1995 e il 1997 dai ventinove stati membri dellOrganizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) (1). Divulgato in extremis, in particolare da Le Monde diplomatique, il documento sollev unondata di pro-teste senza precedenti, costringendo i suoi promotori ad accantonarlo. Quin-dici anni pi tardi, essa fa il suo ritorno sotto nuove sembianze.

    Laccordo di partenariato transat-lantico (Ttip) negoziato a partire dal luglio 2013 tra Stati uniti e Unione europea una versione modifica-ta del Mai. Esso prevede che le le-gislazioni in vigore sulle due coste dellAtlantico si pieghino alle regole del libero scambio stabilite da e per le grandi aziende europee e statuniten-

    si, sotto pena di sanzioni commerciali per il paese trasgressore, o di una ri-parazione di diversi milioni di euro a favore dei querelanti.

    Secondo il calendario ufficiale, i negoziati non dovrebbero concludersi che entro due anni. Il Ttip unisce ag-gravandoli gli elementi pi nefasti de-gli accordi conclusi in passato. Se do-vesse entrare in vigore, i privilegi delle multinazionali avrebbero forza di leg-ge e legherebbero completamente le mani dei governanti. Impermeabile alle alternanze politiche e alle mobili-tazioni popolari, esso si applicherebbe per amore o per forza poich le sue disposizioni potrebbero essere emen-date solo con il consenso unanime di tutti i paesi firmatari. Ci riprodurreb-be in Europa lo spirito e le modalit del suo modello asiatico, lAccordo di partenariato transpacifico (Trans-pacific partnership, Tpp), attualmente in corso di adozione in dodici paesi dopo essere stato fortemente promos-so dagli ambienti daffari. Insieme, il Ttip e il Tpp formerebbero un impero economico capace di dettare le proprie condizioni al di fuori delle sue frontie-re: qualunque paese cercasse di tesse-re relazioni commerciali con gli Stati uniti e lUnione europea si troverebbe costretto ad adottare tali e quali le re-gole vigenti allinterno del loro merca-to comune.

    DATO CHE MIRANO a liquidare interi compartimenti del settore non mercantile, i negoziati intorno al Ttip e al Tpp si svolgono a porte chiu-se. Le delegazioni statunitensi contano pi di seicento consulenti delegati dalle multinazionali, che dispongono di un accesso illimitato ai documenti prepa-ratori e ai rappresentanti dellammini-strazione. Nulla deve sfuggire. Sono state date istruzioni di lasciare giornali-sti e cittadini ai margini delle discussio-ni: essi saranno informati in tempo uti-le, alla firma del trattato, quando sar troppo tardi per reagire.

    In uno slancio di candore, lex mi-nistro del commercio statunitense Ronald (Ron) Kirk ha fatto valere linteresse pratico di mantene-re un certo grado di discrezione di confidenzialit (2). Ha sottolineato che lultima volta che la bozza di un accordo in corso di formalizzazione stata resa pubblica, i negoziati sono falliti unallusione alla Zona di li-bero scambio delle Americhe (Ftaa), versione estesa dellAccordo di libe-ro scambio nordamericano (Nafta). Il progetto, difeso accanitamente da George W. Bush, fu svelato sul sito in-ternet dellamministrazione nel 2001. A Kirk, la senatrice Elizabeth Warren ribatte che un accordo negoziato senza alcun esame democratico non dovreb-be mai essere firmato (3).

    Limperiosa volont di sottrarre il cantiere del trattato statunitense-euro-peo allattenzione del pubblico si com-prende facilmente. Meglio prendere tempo prima di annunciare al paese gli effetti che esso produrr a tutti i livel-li: dal vertice dello Stato federale fino ai consigli municipali passando per i governatorati e le assemblee locali, gli eletti dovranno ridefinire da cima a fondo le loro politiche pubbliche per soddisfare gli appetiti del privato nei settori che in parte gli sfuggono an-

    cora. Sicurezza degli alimenti, norme sulla tossicit, assicurazione sanitaria, prezzo dei medicinali, libert della rete, protezione della privacy, energia, cultura, diritti dautore, risorse natu-rali, formazione professionale, strut-ture pubbliche, immigrazione: non c una sfera di interesse generale che non passer sotto le forche caudine del libero scambio istituzionalizzato. La-zione politica degli eletti si limiter a negoziare presso le aziende o i loro mandatari locali le briciole di sovrani-t che questi vorranno concedere loro.

    gi stipulato che i paesi firmatari assicureranno la messa in conformit delle loro leggi, dei loro regolamenti e delle loro procedure con le dispo-sizioni del trattato. Non vi dubbio che essi vigileranno scrupolosamen-te per onorare tale impegno. In caso contrario, potranno essere loggetto di denunce davanti a uno dei tribuna-li appositamente creati per arbitrare i litigi tra investitori e Stati, e dotati del potere di emettere sanzioni commer-ciali contro questi ultimi.

    Lidea pu sembrare inverosimi-le: si inscrive tuttavia nella filosofia dei trattati commerciali gi in vigo-re. Lo scorso anno, lOrganizzazione mondiale del commercio (Wto), ha condannato gli Stati uniti per le loro scatole di tonno etichettate senza pericolo per i delfini, per lindica-zione del paese dorigine sulle carni importate, e ancora per il divieto del tabacco aromatizzato alla caramella, dal momento che tali misure di tutela sono state considerate degli ostacoli al libero scambio. Il Wto ha inflitto an-che allUnione europea delle penalit di diverse centinaia di milioni di euro per il suo rifiuto di importare organi-smi geneticamente modificati (Ogm). La novit introdotta dal Ttip e dal Tpp consiste nel permettere alle multina-zionali di denunciare a loro nome un paese firmatario la cui politica avreb-be un effetto restrittivo sulla loro vita-lit commerciale.

    commercio transatlantico. Sul suolo sta-tunitense sono presenti tremilatrecento aziende europee con ventiquattromila filiali, ciascuna delle quali pu ritenere di avere buone ragioni per chiedere, un giorno o laltro, riparazione per un pre-giudizio commerciale. Un tale effetto a cascata supererebbe di gran lunga i costi causati dai trattati precedenti. Dal canto loro, i paesi membri dellUnione europea si vedrebbero esposti a un ri-schio finanziario ancora pi grande, sapendo che 14.400 compagnie statuni-tensi dispongono in Europa di una rete di 50.800 filiali. In totale, sono 75.000 le societ che potrebbero gettarsi nella caccia ai tesori pubblici.

    Ufficialmente, questo regime do-veva servire inizialmente a consoli-dare la posizione degli investitori nei paesi in via di sviluppo sprovvisti di un sistema giuridico affidabile; esso avrebbe permesso di fare valere i loro diritti in caso di esproprio. Ma lUnio-ne europea e gli Stati uniti non sono esattamente delle zone di non-diritto; al contrario, dispongono di una giusti-zia funzionale e pienamente rispettosa del diritto di propriet. Ponendoli mal-grado tutto sotto la tutela di tribuna-li speciali, il Ttip dimostra che il suo obiettivo non quello di proteggere gli investitori ma di aumentare il potere delle multinazionali.

    OVVIAMENTE gli avvocati che compongono questi tribunali non devono rendere conto a nessun elettorato. Invertendo allegramente i ruoli, possono sia fungere da giudici che perorare la causa dei loro potenti clienti (5). Quello dei giuristi degli in-vestimenti internazionali un piccolo mondo: sono solo quindici a dividersi il 55% delle questioni trattate fino a oggi. Evidentemente, le loro decisioni sono inappellabili.

    I diritti che essi hanno il compito di proteggere sono formulati in modo deliberatamente approssimativo, e la loro interpretazione raramente tu-tela gli interessi della maggioranza. Come quello accordato allinvestitore di beneficiare di un quadro normativo

    conforme alle sue previsioni per il quale va inteso che il governo si viete-r di modificare la propria politica una volta che linvestimento ha avuto luo-go. Quanto al diritto di ottenere una compensazione in caso di espropria-zione indiretta, ci significa che i po-teri pubblici dovranno mettere mano al portafoglio se la loro legislazione ha per effetto la riduzione del valore di un investimento, anche quando que-sta stessa legislazione si applica alle aziende locali. I tribunali riconoscono anche il diritto del capitale ad acqui-stare sempre pi terre, risorse natura-li, strutture, fabbriche, ecc. Non vi nessuna contropartita da parte delle multinazionali: queste non hanno al-cun obbligo verso gli Stati e possono avviare delle cause dove e quando pre-feriscono.

    Alcuni investitori hanno una con-cezione molto estesa dei loro diritti inalienabili. Si potuto recentemente vedere societ europee avviare cause contro laumento del salario minimo in Egitto o contro la limitazioni delle emissioni tossiche in Per, dato che il Nafta serve in questultimo caso a proteggere il diritto a inquinare del gruppo statunitense Renco (6). Un al-tro esempio: il gigante delle sigarette Philip Morris, contrariato dalla legi-slazione antitabacco dellUruguay e dellAustralia, ha portato i due paesi davanti a un tribunale speciale. Il gruppo farmaceutico americano Eli Lilly intende farsi giustizia contro il Canada, colpevole di avere posto in essere un sistema di brevetti che ren-de alcuni medicinali pi accessibili. Il fornitore svedese di elettricit Vatten-fall esige diversi miliardi di euro dalla

    Avviati nel 2008, i negoziati sullaccordo di libero scambio tra Canada e Unione europea sono terminati il 18 ottobre. Un buon segnale per il governo statunitense, che spera di concludere con il Vecchio continente una partnership di questo tipo. Negoziato in segreto, tale progetto forte-mente sostenuto dalle multinazionali permetterebbe loro di citare in giudizio gli stati che non si piegano alle leggi del liberismo.

    di LORI WALLACH *

    * Direttrice del Public Citizens Global Trade Watch, Washington, DC, www.citizen.org.

    IDELLE WEBER Hollis Taggart

    IDELLE WEBER Did Ruby Have a Hat?, 1964

    Tribunali appositamente creati

    Processo per aumento del salario minimo

    Sotto un tale regime, le aziende sa-rebbero in grado di opporsi alle poli-tiche sanitarie, di protezione dellam-biente e di regolamentazione della finanza attivate in questo o quel paese reclamando danni e interessi davanti a tribunali extragiudiziari. Composte da tre avvocati daffari, queste cor-ti speciali rispondenti alle leggi della Banca mondiale e dellOrganizzazio-ne delle Nazioni unite (Onu) sarebbero abilitate a condannare il contribuente a pesanti riparazioni qualora la sua le-gislazione riducesse i futuri profitti sperati di una societ.

    Questo sistema investitore contro stato, che sembrava essere stato can-cellato dopo labbandono del Mai nel 1998, stato restaurato di soppiatto nel corso degli anni. In virt di nu-merosi accordi commerciali firmati da Washington, 400 milioni di dollari sono passati dalle tasche del contri-buente a quelle delle multinazionali a causa del divieto di prodotti tossici, delle normative sullutilizzo dellac-qua, del suolo o del legname ecc. (4). Sotto legida di questi stessi trattati, le procedure attualmente in corso nelle questioni di interesse generale come i brevetti medici, la lotta allinquina-mento e le leggi sul clima e sulle ener-gie fossili fanno schizzare le richie-ste di danni e interessi a 14 miliardi di dollari.

    Il Ttip aggraverebbe ulteriormente il peso di questa estorsione legalizzata, tenuto conto degli interessi in gioco nel

    (1) Si legga Il nuovo manifesto del capitalismo mondiale , Le Monde diplomatique/il mani-festo, febbraio 1998.

    (2) Some secrecy needed in trade talks : Ron Kirk, Reuters, 13 maggio 2012.

    (3) Zach Carter, Elizabeth Warren opposing Obama trade nominee Michael Froman, 19 giugno 2013, Huffingtonpost.com

    (4) Table of foreign investor-state cases and claims under Nafta and other Us trade deals, Public Citizen, agosto 2013, www.citizen.org

    (5) Andrew Martin, Treaty disputes roiled by bias charges, 10 luglio 2013, Bloomberg.com

    (6) Renco uses Us-Peru Fta to evade justice for La Oroya pollution, Public Citizen, 28 novembre 2012.

  • Le Monde diplomatique il manifesto NOVEMBRE 2013 5

    un uragano che minaccia gli europeiDIRITTI SOCIALI, ECOLOGIA

    questo tipo di etichettatura. LAssocia-zione nazionale dei confettieri non usa mezzi termini: Lindustria statuni-tense vorrebbe che il Ttip progredisse su tale questione sopprimendo leti-chettatura Ogm e le norme relative alla tracciabilit.

    Linfluente Associazione dellin-dustria biotecnologica (Biotechno-logy industry organization, Bio), di cui fa parte il colosso Monsanto, dal canto suo si indigna perch alcuni prodotti contenenti Ogm e venduti

    negli Stati uniti possano subire un rifiuto sul mercato europeo. Essa desidera di conseguenza che il ba-ratro che si scavato tra la derego-lamentazione dei nuovi prodotti bio-tecnologici negli Stati uniti e la loro accoglienza in Europa sia presto colmato (8). Monsanto e i suoi amici non nascondono la speranza che la zona di libero scambio transatlanti-co permetta di imporre agli europei il loro catalogo ricco di prodotti Ogm in attesa di approvazione e di utilizzo (9).

    LOFFENSIVA non meno vi-gorosa sul fronte della privacy. La Coalizione del commercio digi-tale (Digital Trade Coalition, Dtc), che raggruppa industriali del Net e del hi-tech, preme sui negoziatori del Ttip per togliere le barriere che im-pediscono ai flussi di dati personali di riversarsi liberamente dallEuropa verso gli Stati uniti (si legga larticolo a pagina 20). I lobbisti si spazientisco-no: Lattuale punto di vista dellU-nione, secondo cui gli Stati uniti non forniscono una protezione adegua-ta della privacy, non ragionevole. Alla luce delle rivelazioni di Edward Snowden sul sistema di spionaggio dellAgenzia nazionale di sicurezza (National security agency, Nsa), tale opinione risoluta certo interessante. Tuttavia, non eguaglia la dichiarazio-ne dellUs council for international business (Uscib), un gruppo di societ che, seguendo lesempio di Verizon, ha massicciamente rifornito la Nsa di

    dati personali: Laccordo dovrebbe cercare di circoscrivere le eccezioni, come la sicurezza e la privacy, al fine di assicurarsi che esse non siano osta-coli cammuffati al commercio.

    Anche le norme sulla qualit nella-limentazione sono prese di mira. Lin-dustria statunitense della carne vuole ottenere la soppressione della regola eu-ropea che vieta i polli disinfettati al clo-ro. Allavanguardia di questa battaglia, il gruppo Yum!, proprietario della cate-na di fast food Kentucky fried chicken (Kfc), pu contare sulla forza durto del-le organizzazioni imprenditoriali. LAs-sociazione nordamericana della carne protesta: LUnione autorizza soltanto luso di acqua e vapore sulle carcasse. Un altro gruppo di pressione, lIstituto americano della carne, deplora il rifiu-to ingiustificato [da parte di Bruxelles] delle carni addizionate di beta-agonisti, come il cloridrato di ractopamina.

    La ractopamina un medicinale uti-lizzato per gonfiare il tasso di carne magra di suini e bovini. A causa dei rischi per la salute degli animali e dei consumatori, stata bandita in cento-sessanta paesi, tra cui gli stati membri dellUnione, la Russia e la Cina. Per la filiera statunitense del suino, tale mi-sura di protezione costituisce una di-storsione della libera concorrenza a cui il Ttip deve urgentemente porre fine.

    Il Consiglio nazionale dei produtto-ri di suino (National pork producers

    council, Nppc) minaccia: I produtto-ri americani di carne di suino non ac-cetteranno altro risultato che non sia la rimozione del divieto europeo della ractopamina. Nel frattempo, dallal-tra parte dellAtlantico, gli industriali raggruppati in BusinessEurope, de-nunciano le barriere che colpiscono le esportazioni europee verso gli Stati uniti, come la legge americana sulla sicurezza alimentare. Dal 2011, essa autorizza infatti i servizi di controllo a ritirare dal mercato i prodotti dimpor-tazione contaminati. Anche in questo caso, i negoziatori del Ttip sono prega-ti di fare tabula rasa.

    Si ripete lo stesso con i gas a effet-to serra. Lorganizzazione Airlines for America (A4A), braccio armato dei trasportatori aerei statunitensi, ha ste-so una lista di regolamenti inutili che portano un pregiudizio considerevole alla [loro] industria e che il Ttip, ov-viamente, ha la missione di cancellare.

    Al primo posto di questa lista compare il sistema europeo di scambio di quote di emissioni, che obbliga le compagnie aeree a pagare per il loro inquinamen-to a carbone. Bruxelles ha provviso-riamente sospeso questo programma; A4A esige la sua soppressione defini-tiva in nome del progresso.

    Ma nel settore della finanza che la crociata dei mercati pi virulenta, Cinque anni dopo lesplosione della crisi dei subprime, i negoziatori ame-ricani ed europei si sono trovati dac-cordo sul fatto che le velleit di regola-mentazione dellindustria finanziaria avevano fatto il loro tempo. Il quadro che essi vogliono delineare prevede di levare tutti i paletti in materia di investimenti a rischio e di impedire ai governi di controllare il volume, la na-tura e lorigine dei prodotti finanziari messi sul mercato. Insomma si tratta puramente e semplicemente di cancel-lare la parola regolamentazione.

    Da dove viene questo stravagante ritorno alle vecchie idee thatcheriane? Esso risponde in particolare ai desideri dellAssociazione delle banche tede-sche, che non manca di esprimere le sue inquietudini a proposito della tutta-via timida riforma di Wall street adot-tata allindomani della crisi del 2008. Uno dei suoi membri pi intraprenden-ti sul tema la Deutsche bank, che ha tuttavia ricevuto nel 2009 centinaia di miliardi di dollari dalla Federal reserve statunitense in cambio di titoli addossa-

    ti a crediti ipotecari (10). Il mastodonte tedesco vuole farla finita con la rego-lamentazione Volcker, chiave di volta della riforma di Wall street, che a suo avviso sovraccarica un peso troppo grave sulle banche non statunitensi. Insurance Europe, punta di lancia delle societ assicurative europee, dal canto suo auspica che il Ttip sopprima le garanzie collaterali che dissuadono il settore dallavventurarsi negli investi-menti ad alto rischio.

    Quanto al Forum dei servizi europei (lorganizzazione padronale di cui fa parte la Deutsche bank), questi si agita dietro le quinte delle trattative transat-lantiche affinch le autorit di controllo statunitensi cessino di ficcare il naso negli affari delle grandi banche stranie-re operanti sul loro territorio. Da parte degli Usa, si spera soprattutto che il Ttip affossi davvero il progetto europeo di tassare le transazioni finanziarie. La questione pare essere gi intesa, dal momento che la stessa Commissio-ne europea ha giudicato tale tassa non conforme alle regole del Wto (11). Nella misura in cui la zona di libero scambio transatlantica promette un liberismo ancora pi sfrenato di quello del Wto, e dato che il Fondo monetario interna-zionale (Fmi) si oppone a qualunque forma di controllo sui movimenti di ca-pitali, negli Stati uniti la debole Tobin tax non preoccupa pi nessuno.

    Ma le sirene della deregolamentazio-ne non si fanno ascoltare solo nellin-dustria finanziaria. Il Ttip intende aprire alla concorrenza tutti i settori invisibili e di interesse generale. Gli

    stati firmatari si vedranno costretti non soltanto a sottomettere i loro servizi pubblici alla logica del mercato, ma an-che a rinunciare a qualunque interven-to sui fornitori stranieri di servizi che ambiscono ai loro mercati. I margini politici di manovra in materia di sanit, energia, educazione, acqua e traspor-ti si ridurrebbero progressivamente. La febbre commerciale non risparmia nemmeno limmigrazione, poich gli istigatori del Ttip si arrogano il potere di stabilire una politica comune alle frontiere senza dubbio per facilitare lingresso di un bene o un servizio da vendere, a svantaggio degli altri.

    Da qualche mese si intensificato il ritmo dei negoziati. A Washington, si hanno buone ragioni di credere che i dirigenti europei siano pronti a qua-lunque cosa per ravvivare una crescita economica moribonda, anche a co-sto di rinnegare il loro patto sociale. Largomento dei promotori del Ttip, secondo cui il libero scambio derego-lamentato faciliterebbe i commerci e sarebbe dunque creatore di impieghi, apparentemente ha maggior peso del timore di uno scisma sociale. Le bar-riere doganali che sussistono ancora tra lEuropa e gli Stati uniti sono tutta-via gi abbastanza basse, come rico-nosce il rappresentante statunitense al commercio (12). I fautori del Ttip am-mettono che il loro principale obiettivo non quello di alleggerire i vincoli do-ganali, comunque insignificanti, ma di imporre leliminazione, la riduzione

    e la prevenzione di politiche nazionali superflue (13), dal momento che vie-ne considerato superfluo tutto ci che rallenta la circolazione delle mer-ci, come la regolazione della finanza, la lotta contro il riscaldamento clima-tico o lesercizio della democrazia.

    In realt i rari studi dedicati alle conseguenze del Ttip non si attarda-no per nulla sulle sue ricadute sociali ed economiche. Un rapporto fre-quentemente citato, proveniente dal Centro europeo di economia politica internazionale (European centre for international political economy, Eci-pe), afferma con lautorevolezza di un Nostradamus da scuola commerciale che il Ttip dar alla popolazione del mercato transatlantico un aumento di ricchezza di 3 centesimi pro-capite al giorno a partire dal 2029 (14).

    A dispetto del suo ottimismo, lo stes-so studio valuta ad appena 0,06% lau-mento del prodotto interno lordo (Pil) in Europa e negli Stati uniti in seguito allentrata in vigore del Ttip. Ancora, un tale impatto decisamente non realistico dato che i suoi autori postula-no che il libero scambio dinamizza la crescita economica: una teoria regolar-mente confutata dai fatti. Un aumento cos infinitesimale sarebbe daltronde impercettibile. A titolo di paragone, la quinta versione delliPhone di Apple ha generato negli Stati uniti una crescita del Pil otto volte pi importante.

    Pressoch tutti gli studi sul Ttip sono stati finanziati da istituzioni fa-vorevoli al libero scambio o da orga-

    nizzazioni imprenditoriali, ragione per cui i costi sociali del trattato non appaiono mai, cos come le sue vitti-me dirette, che potrebbero tuttavia ammontare a centinaia di milioni. Ma i giochi non sono ancora conclusi. Come hanno mostrato le disavventure del Mai, del Ftaa e alcuni cicli di ne-goziati del Wto, lutilizzo del com-mercio come cavallo di Troia per smantellare le protezioni sociali e in-staurare una giunta di incaricati daf-fari in passato ha fallito a pi riprese. Nulla ci dice che non possa succedere la stessa cosa anche questa volta.

    LORI WALLACH(7) Ecuador to fight oil dispute fine, Agence

    France-Presse, 13 ottobre 2012.(8) Commenti allaccordo di partenariato tran-

    satlantico, documento del Bio, Washington, DC, mai 2013.

    (9) Eu-Us high level working group on jobs and growth. Response to consultation by EuropaBio and Bio, http://ec.europa.eu.

    (10) Shahien Nasiripour, Fed opens books, re-vealing European megabanks were biggest beneficiaries, 10 gennaio 2012, Huffing-tonpost.com.

    (11) Europe admits speculation taxes a Wto problem, Public Citizen, 30 aprile 2010.

    (12) Messaggio di Demetrios Marantis, rappre-sentante americano al commercio, a John Boehner, portavoce repubblicano alla Ca-mera dei rappresentanti, Washington, DC, 20 marzo 2013, http://ec.europa.eu.

    (13) Final report. High level working group on jobs and growth, 11 febbraio 2013, http://ec.europa.eu.

    (14) Taftas trade benefit: A candy bar, Public Citizen, 11 luglio 2013.

    (Traduzione di Al. Ma.)

    IDELLE WEBER Munchkins I, II & III, 1964

    Le rivelazioni sul Datagate

    Germania per la sua svolta energe-tica, che norma pi severamente le centrali a carbone e promette unuscita dal nucleare.

    Non ci sono limiti alle pene che un tribunale pu infliggere a uno Stato a beneficio di una multinazionale. Un anno fa, lEcuador si visto condan-nato a versare la somma record di 2 miliardi di euro a una compagnia pe-trolifera (7). Anche quando i governi vincono il processo, essi devono farsi carico delle spese giudiziarie e di varie commissioni che ammontano media-mente a 8 milioni di dollari per caso, dilapidati a discapito del cittadino. Calcolando ci, i poteri pubblici prefe-riscono spesso negoziare con il quere-lante piuttosto che perorare la propria causa davanti al tribunale. Lo stato canadese si cos risparmiato una convocazione alla sbarra abrogando velocemente il divieto di un additivo tossico utilizzato dallindustria petro-lifera.

    Eppure, i reclami continuano a cre-scere. Secondo la Conferenza delle Na-zioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), a partire dal 2000 il nume-ro di questioni sottoposte ai tribunali speciali decuplicato. Se il sistema di arbitraggio commerciale stato conce-pito negli anni 50, non ha mai servito gli interessi privati quanto a partire dal 2012, anno eccezionale in termini di depositi di pratiche. Questo boom ha creato un fiorente vivaio di consulenti finanziari e avvocati daffari.

    Il progetto di un grande mercato americano-europeo sostenuto da lungo tempo da Dialogo economico transatlantico (Trans-atlantic business dialogue, Tabd), una lobby meglio co-nosciuta con il nome di Trans-atlantic business council (Tabc). Creata nel 1995 con il patrocinio della Com-missione europea e del ministero del commercio americano, questo rag-gruppamento di ricchi imprenditori impegnato per un dialogo altamente costruttivo tra le lite economiche dei due continenti, lamministrazione di Washington e i commissari di Bru-xelles. Il Tabc un forum permanente che permette alle multinazionali di co-ordinare i loro attacchi contro le poli-tiche di interesse generale che restano ancora in piedi sulle due coste dellAt-lantico.

    Il suo obiettivo, pubblicamente di-chiarato, di eliminare quelle che de-finisce come discordie commerciali (trade irritants), vale a dire di operare sui due continenti secondo le stesse re-gole e senza interferenze da parte dei poteri pubblici. Convergenza rego-lativa e riconoscimento reciproco fanno parte dei quadri semantici che Tabc brandisce per incitare i governi ad autorizzare i prodotti e i servizi che trasgrediscono le legislazioni locali.

    Ma invece di auspicare un semplice ammorbidimento delle leggi esistenti, gli attivisti del mercato transatlantico si propongono senza mezzi termini di riscriverle loro stessi. La Camera ame-ricana di commercio e BusinessEuro-pe, due tra le pi grandi organizzazioni imprenditoriali del pianeta, hanno ri-chiesto ai negoziatori del Ttip di riunire attorno a un tavolo di lavoro un cam-pionario di grossi azionisti e di respon-sabili politici affinch questi redigano insieme i testi di regolamentazione che avranno successivamente forza di legge negli Stati uniti e in Unione eu-ropea. C da chiedersi, del resto, se la presenza dei politici in questo labora-torio di scrittura commerciale sia vera-mente indispensabile

    Di fatto, le multinazionali mostrano una notevole franchezza nellespor-re le loro intenzioni. Sulla questione degli Ogm, ad esempio. Mentre negli Stati uniti uno stato su due pensa di rendere obbligatoria unetichetta indi-cante la presenza di organismi gene-ticamente modificati in un alimento misura auspicata dall80% dei con-sumatori del paese , gli industriali del settore agroalimentare, l come in Europa, spingono per linterdizione di

  • NOVEMBRE 2013 Le Monde diplomatique il manifesto6

    Venezuela, la maledizione INFLAZIONE

    EVIDENTEMENTE qualcosa non va. File interminabili ai ne-gozi per procurarsi prodotti di prima necessit come pane, latte, fa-rina, olio e carta igienica; sviluppo di uneconomia parallela nella quale ven-ditori di strada propongono quegli stes-si beni a prezzi proibitivi. I venezuelani soffrono di penurie settoriali da molto tempo, ma laggravarsi del problema dallinizio di questanno ha preso tutti alla sprovvista. I disagi per la popola-zione si sommano a quelli derivanti dai problemi infrastrutturali che portano a interruzioni nella fornitura di acqua e di energia elettrica. Chi pu si fa delle riserve riempiendo vasche da bagno, e tutti pregano di non dover gettare via il contenuto del congelatore

    In queste ultime settimane, quasi ogni giorno il governo ha annunciato nuovi provvedimenti, promettendo di contrastare linflazione e le scarsi-t. Le cause di questa crisi e le relati-ve risposte sono al centro di accanite discussioni. Il regime bolivariano denuncia un sabotaggio economico perpetrato in modo congiunto dallop-posizione, dal mondo delle imprese e dallamministrazione statunitense, la destra accusa la negligenza del presi-dente Maduro e della sua quipe. Ma la polemica sfiora appena il cuore del problema, ovvero: il Venezuela, uno dei principali produttori di petrolio al mondo, come dovrebbe gestire i pro-venti delle proprie risorse naturali?

    Prima che Hugo Chvez arrivasse alla presidenza nel 1999, dei colossa-li introiti delloro nero beneficiavano esclusivamente le compagnie petro-lifere. Appena eletto, Chvez rivo-luzion questa politica, da una parte insistendo energicamente, in seno

    allOrganizzazione dei paesi espor-tatori di petrolio (Opec), per un au-mento dei prezzi del barile, dallaltra parte costringendo le imprese petro-lifere private a pagare il dovuto alla collettivit. In precedenza, lindustria venezuelana degli idrocarburi versa-va allerario pubblico solo il 30% dei profitti; in pochi anni il tasso dimpo-sizione arrivato al 70%.

    Quando le casse dello Stato inizia-rono a riempirsi di petrodollari, e dopo il fallimento, nel 2003, del tentativo da parte dellopposizione di bloccare lestrazione petrolifera per rovesciare Chvez, la questione centrale per il futuro della rivoluzione bolivariana divent come utilizzare tutto quel de-naro e quale politica monetaria adotta-re. Conveniva accantonare fondi per i tempi duri, come fa la Norvegia, inve-

    stirli in opulente megaopere come fa il Qatar, o destinarli a programmi so-ciali e alla lotta contro la povert? La giovane Repubblica bolivariana scelse la terza soluzione, abbinandola a una politica di controllo dei tassi di cambio per frenare la fuga dei capitali, che era diventata un problema di primo piano per il governo dopo il fallito tentativo di colpo di stato nel 2002.

    Questa politica, unita alla crescita demografica ha fatto s che i venezue-lani consumino adesso il 50% di calo-rie in pi rispetto al 1998, e ha ridotto le diseguaglianze sociali molto pi ve-locemente rispetto agli altri paesi della regione. Ma ovviamente la redistribu-zione della rendita petrolifera ai poveri presentava un rischio di inflazione,

    perch incoraggiando il consumo in-terno pi in fretta di quanto non cresca la produzione, si provoca meccanica-mente un aumento dei prezzi.

    Il Venezuela soffriva di inflazione gi da venti anni, dal venerd nero del 18 febbraio 1983, quando il paese svalut bruscamente la moneta. Durante il de-cennio delle due presidenze che prece-dettero quella di Chvez, in media il tas-so dinflazione arrivava al 52% allanno. Uno dei primi compiti del presidente bolivariano fu gestire questinstabilit. Con la riduzione dellinflazione a un tasso annuo medio del 22% fra il 1999 e il 2012, lobiettivo fu parzialmente rag-giunto. Ma dopo la morte di Chvez, lo scorso marzo, linflazione ha ripreso a crescere arrivando in settembre al 49%.

    LA SECONDA sfida economica il fenomeno demoralizzante del-la rottura degli stock; la stessa Banca centrale del Venezuela (Bcv) registra il raddoppio del problema in appena un anno. Secondo il governo socia-lista, lalta borghesia locale starebbe orchestrando il sabotaggio delle cate-ne di approvvigionamento e la specu-lazione sul mercato nero per mettere sotto scacco la politica governativa. Il presidente Maduro ha ripetuto queste accuse l8 ottobre, in un discorso da-

    vanti allAssemblea nazionale: Le-conomia venezuelana attraversa una congiuntura particolare nella quale lapparato produttivo del paese subi-sce in pieno loffensiva della specula-zione, dellaccaparramento, del con-trabbando e del mercato nero delle valute (1).

    Il capo di Stato paragona le attuali difficolt del Venezuela a quelle che il Cile dovette subire prima del colpo di Stato di Augusto Pinochet, quando

    STAZIONE della metropolitana Altamira, quartiere chic nellarea orientale di Ca-racas. Alejandra entra nel quarto super-mercato in una giornata. Sua madre lha appe-na chiamata per confermarle che l, di sicuro, trover della carta igienica! Non senza aggiun-gere: Se trovi della farina di mais, prendine il pi possibile. Ecco in effetti la pila di rotoli di carta igienica, posta come un trofeo al centro della prima corsia. Finalmente!, si rallegra Alejandra, mandando subito un sms vittorioso alla madre. Il prezzo quattro volte pi elevato di quello che un cliente dovrebbe normalmente pagare per questo prodotto la cui commercia-lizzazione regolamentata dallo Stato. Il super-mercato si sta comportando in modo illegale, ma ad Alessandra non importa nulla. Riempie un carrello di pacchi di dodici rotoli, getta unoc-chiata rapida allo scaffale vuoto dove dovrebbe trovarsi la farina e si dirige verso la cassa.

    L si trovano gi altri clienti che fanno tutti le stesse analisi: inflazione, razionamento, disonest.

    Quando finisce questinflazione?, grida uno (secondo la Banca centrale del paese, laumen-to dei prezzi ha superato il 20% nel 2012). (1)

    Quando cambia questo governo?, lo rin-tuzza la vicina.

    Dovr per forza cambiare quando non ci sar pi niente nei negozi. E non ci vorr molto tempo! , esclama una terza.

    A queste parole, i volti degli astanti si apro-no al sorriso. Qui, nessuno d il minimo credito alla tesi del governo secondo cui il padronato, che controlla la catena di approvvigionamento dei beni di largo consumo (praticamente tutti importati), organizza la penuria per attizzare la collera popolare. No: i clienti che stanno par-lando con Alejandra aspettano il momento in cui, dopo quindici anni di chavismo, lopposi-zione riprender il potere. La cassiera, silen-ziosa, fa passare i prodotti, fra i quali alcune bottiglie di whisky o champagne (3.600 boli-var, ovvero 412 euro [2], lequivalente del suo salario).

    Stazione della metro Plaza Venezuela, al centro di Caracas, un quartiere abitato dalla classe media. Il Bicentenario, di propriet dello Stato dal 2011, identico a un classico iper-mercato della periferia parigina. Vi si trova di tutto, o quasi: niente champagne.

    Durante la nostra visita, nel giugno 2013, gli scaffali sono pieni di carta igienica e i cartellini dei prezzi non superano nemmeno di un cente-simo il prezzo fissato dallo Stato: 51,56 bolivar per dodici rotoli, insomma 6 euro. I clienti ac-quistano al massimo due confezioni; nessuno ne riempie il carrello

    Cerchiamo di chiedere a un cliente perch non ne ha presi di pi. Si arrabbia: Una volta, quando non cera niente da mangiare, nessuno si preoccupava per noi. Adesso, lintero piane-ta si rammarica per una pretesa mancanza di carta igienica! In effetti, sulla stampa interna-zionale sono pochi gli articoli sul Venezuela che non parlino dellargomento.

    Come va? Hai i soldi per pagare?

    STAZIONE AGUA SALUD, una zona pove-ra nellarea ovest di Caracas, sotto il 23 de Enero, uno dei grandi quartieri popolari della capitale. Si scende nella piramide sociale man mano che si salgono gli scalini irregolari di que-sta citt nella citt, cresciuta sui fianchi della collina. Una lunga fila aspetta davanti a un su-permercato della rete Mercal, creata dallo Stato nel 2003; l i prezzi dei prodotti sono sussidiati. Come ogni mese, c una distribuzione a prezzi che sfidano qualunque concorrenza. In tutto il paese sono diffusi Mercal di diverse dimensio-ni, dal semplice negozio di ortofrutta fino al su-

    permercato di media dimensione. I negozi non hanno pubblicit n fanno svendite. Non sono cos ben forniti quanto i supermercati classici: niente alcol, poche marche. Ma vi si trovano tut-ti i beni di prima necessit i cui prezzi sono re-golamentati, tanto nel campo dellalimentazio-ne (cereali, carne, latticini, caff) che delligiene (dentifricio, shampoo, pannolini per neonati, sapone).

    Nel Mercal del 23 Enero, per 200 bolivar (23 euro), alcune donne gli uomini sono pochi riempiono le sporte di pollo, riso, olio, latte e sei rotoli di carta igienica. Vengono a fare la spesa qui in genere una volta al mese, tal-volta due. Miriam Maura, operatrice nel campo della salute nel quartiere, passa vicino alla fila per individuare le famiglie in difficolt. Con di-screzione si avvicina ad alcuni clienti: anziani ma anche giovani con bambini. Come va? Hai i soldi per pagare? Dillo pure, non c proble-ma, fa loro sapere. Alcune giovani mamme pagano con buoni spesa che, in Venezuela, completano salari e pensioni e sono accettati in tutti i supermercati.

    Dunque lavorano, queste donne, o comun-que lavorano i loro compagni. impossibile morire di fame oggi. Anche se non si ha dena-ro, si pu mangiare, spiega Maura. Ci sono

    Fare la spesa a Caracas

    Il mese scorso Caracas ha pagato con buoni del Tesoro una parte significativa delle importazioni di cibo; il segno allarmante che il paese scarseggia di valute. Certamen-te il governo ha compiuto diversi errori di gestione. Ma il Venezuela, che ha le riserve di petrolio pi importanti al mondo, soffre anche a causa della sua ricchezza: una rendita che fugge dal paese senza irrorarne leconomia.

    di GREGORY WILPERT*

    * Sociologo. Autore di Changing Venezuela by Taking Power: The History and Policies of the Chvez Government, Verso Press, Londra, 2007.

    In Venezuela, curiosamente, pi aumenta la classe sociale pi gli scaffali dei supermercati scarseggiano di beni di prima necessit

    dalla nostra inviata speciale ANNE VIGNA*

    *Giornalista.

    MORICHAL, VENEZUELA, LUGLIO 2011 Un addetto davanti a un impianto petrolifero dell'azienda statale Pdvsa

    (1) Inflacin en Venezuela cerr 2012 en 20,1%, Ultimas Noticias, Caracas, 11 gennaio 2013.

    (2) Tutte le conversioni si basano sul tasso di cambio uf-ficiale.

    (1) El Universal, Caracas, 10 ottobre 2013.

    Contrabbando e fuga di capitali

    il settore privato, aiutato dalla Central Intelligence Agency (Cia), fomentava le penurie per indebolire il presiden-te Salvador Allende. Dal canto suo, lopposizione imputa le difficolt alla cattiva gestione governativa. Hanno probabilmente ragione gli uni e gli al-tri In effetti, il governo ha lasciato il mondo degli affari libero di mettere in atto i vari raggiri dei quali adesso accusato; e se i traffici, il contrabban-do, la fuga dei capitali si rivelano pi vantaggiosi e semplici degli investi-menti legali nella produzione e nella distribuzione, significa che da qualche parte la politica pubblica ha fallito.

    La scommessa di costruire il socia-lismo in un solo paese, mentre il capi-talismo governa nel resto del mondo, non favorisce i disegni del governo bolivariano. Il Cile allinizio degli anni 70 e il Nicaragua degli anni 80 dovet-tero scontrarsi con lo stesso ostacolo. In quei due paesi, come ora in Vene-zuela, la volont politica di affrancarsi dalle leggi del capitalismo determin una massiccia fuga di capitali, crean-do uninstabilit di fronte alla quale i governi si ritrovarono impotenti. Cer-to il controllo dei prezzi e dei tassi di cambio permette, entro alcuni limiti, di porre rimedio alla controffensiva, ma sta creando altri problemi di grande ampiezza, come le penurie.

    A lungo il Venezuela riuscito a contenere i danni, perch la sua for-za durto petrolifera gli conferisce un vantaggio commerciale e monetario importante. Ma nemmeno questa ba-sta a garantire la stabilit della moneta, dal momento che il settore privato, che rimane molto influente nelleconomia del paese (con il 66% circa del prodot-to interno lordo [Pil]), concentra nelle proprie mani una parte importante della manna petrolifera. Esso dispone anche di enormi masse di capitali che aspettano solo di lasciare il paese non appena trovino altrove collocazioni pi remunerative.

    Con Maduro come con Chvez, il principale meccanismo di protezio-ne della moneta nazionale rimane la Commissione di amministrazione del-la moneta (Cadivi), la quale stabilisce a quali condizioni i venezuelani posso-no cambiare, al tasso ufficiale, bolivar contro dollari. Loperazione autoriz-

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  • Le Monde diplomatique il manifesto NOVEMBRE 2013 7

    del petrolioFUORI CONTROLLO

    allestero. Queste tre motivazioni rap-presentano quasi il 20% degli acquisti in valuta effettuati nel 2012 nel quadro della Cadivi, pari a 5,8 miliardi di dol-lari. Questo significa che il Venezuela ormai lunico paese dellAmerica la-tina nel quale i flussi di denaro vanno da Sud a Nord, invece del contrario. Fra il 2011 e il 2013 raddoppiato il nume-ro di venezuelani recatisi allestero. Ma la maggior parte di loro tornano senza aver speso la gran parte dei loro dollari: li conservano per poterli poi scambiare contro bolivar sul mercato nero

    Il governo si sforza di combattere questo fenomeno, finora con scarso successo. In linea di principio, non possibile compiere bonifici bancari allestero senza autorizzazione. Ma superare lostacolo un gioco da bam-bini: basta rivolgersi a un intermedia-rio che ha un conto dentro e uno fuori. Una volta incassato il denaro sul suo conto venezuelano, egli sbloccher la cifra corrispondente sul suo conto negli Stati uniti, meno la provvigione e gli introiti legati tasso di cambio sul mercato nero. Per lo Stato difficile contrastare un traffico cos fluido.

    Gli effetti perversi del controllo dei cambi si sono ulteriormente acuiti da-gli inizi del 2013. Verosimilmente, la prima causa stata lazione di quegli

    ambienti degli affari favorevoli allop-posizione, per esacerbare le difficolt economiche del paese approfittando delle opportunit aperte dallassenza di Hugo Chvez durante la sua malat-tia, e poi dalla sua morte. Nel corso dellultimo anno, pi volte le autori-t hanno scoperto hangar pieni fino allorlo di bidoni di olio alimentare e di altre derrate di base, evidentemente sottratte al circuito delle vendite per aggravare la penuria.

    A QUESTO VANNO aggiunte mano-vre maldestre da parte del governo: nel momento in cui abbassava del 32% il tasso di cambio ufficiale del bolivar, nel febbraio 2013, lo Stato sopprimeva anche il sistema di cambio secondario, chiama-to Sistema di transazioni per i fondi in valute estere (Sitme). La concomitanza di queste due misure, annunciate un mese prima della morte di Chvez, ha avuto un impatto devastante sulleconomia, galva-nizzando linflazione, salita del 2,8% gi nel mese seguente.

    Man mano, i venezuelani hanno im-parato a convivere, bene o male, con questo flagello. Chi vuole proteggere i risparmi contro la costante svalutazio-ne della moneta investe in modo ocula-to. In ordine decrescente, i pi abbienti puntano sugli immobili, le automobili e la Borsa (che ha le migliori perfor-mance del mondo, con un aumento del 165% fra gennaio e ottobre 2013): ecco perch questi tre mercati, dopo lintroduzione del controllo dei cambi

    nel 2003, sono esplosi a un ritmo ben superiore a quello dellinflazione.

    Ma il dollaro mantiene il ruolo di valore rifugio. Quando linflazione si impennata, allinizio dellanno, fino ad arrivare al 6,1% in maggio, molti vene-zuelani si sono precipitati sul biglietto verde al mercato nero, provocando un nuovo aumento del tasso di cambio clandestino. Dal momento che il dol-laro serve come base per calcolare i prezzi della maggior parte dei prodotti disponibili in commercio, questa feb-bre delloro verde ha spinto in su lin-flazione, il che a sua volta ha provocato unulteriore corsa al dollaro. Lecono-mia venezuelana intrappolata in in circolo vizioso di devastante potenza.

    Lo scarto sempre pi ampio fra il tasso di cambio ufficiale e quello sul campo causa di grandi guasti sociali. Non raro che i prodotti sovvenzionati dallo Stato in particolare le derrate alimentari siano contrabbandati nei

    paesi vicini. Gli abitanti delle zone di frontiera vedono passare con regolarit camion pieni di latte, olio o riso diretti in Colombia, Brasile o Guyana. I doga-nieri chiudono gli occhi. Fra i prezzi di questi alimenti in Venezuela e i prezzi che si possono negoziare oltre frontiera c un margine interessante, che per-mette ai trafficanti di comprare anche la benevolenza dei funzionari. Tanto peggio se dentro il paese le scarsit au-mentano.

    Insomma, il sistema di controllo dei cambi, strumento di una politica sovrana e anticapitalista, finisce per avvantaggiare i venezuelani pi ric-chi. I privilegiati che hanno accesso al mercato ufficiale dei cambi intascano benefici esorbitanti comprando merci al tasso legale e rivendendole ai prezzi vertiginosi del mercato nero. Nella re-pubblica bolivariana, tassi di profitto del 100-500% sono diventati la norma.

    Il governo ha capito che non poteva rimanere inattivo. L8 ottobre, il presi-dente Maduro ha chiesto allAssemblea nazionale lautorizzazione a governare per decreti, non solo per lottare contro la corruzione, ma anche per rimettere in sesto leconomia. Poco dopo, Rafael Ramrez, presidente della compagnia petrolifera statale Petrleos de Vene-zuela Sa (Pdvsa) e vicepresidente della Repubblica incaricato degli affari eco-nomici, annunciava il varo di un nuovo sistema di cambio allasta che avreb-be permesso laccesso a 100 milioni di dollari ogni settimana. Destinato a so-stituire il vecchio Sitme, questo regime

    gi criticato da diversi economisti, che lo ritengono troppo timido per sod-disfare la domanda e farla finita con il mercato nero.

    Lunica soluzione per bloccare le-vaporazione dei capitali consistereb-be indubbiamente nel riaffermare il controllo dello Stato sulleconomia, ad esempio con una nazionalizzazio-ne totale del settore bancario e un pi rigoroso controllo delle importazioni. Un orientamento caldeggiato da mol-ti, fra i quali alcuni politici che erano vicini a Chvez, come gli ex ministri delleconomia Victor Alvarez e Feli-pe Perez e anche il Partito comunista del Venezuela. Ma il governo Maduro sembra essersi incamminato per una via pi tortuosa. (I principali dirigenti dellesercito non si sono espressi pub-blicamente in materia).

    La condizione eccezionalmente dif-ficile del Venezuela deriva al tempo stesso dal suo status di grande produt-tore di petrolio e dal suo impegno volto a costruire un sistema non capitalista. I proventi del petrolio non possono impedire che la realizzazione di uni-sola socialista in un oceano liberista provochi in modo diretto unepidemia di capitali in fuga. La manna petroli-fera abbandona il paese velocemente lasciando dietro di s una popolazione sfinita dallinflazione, dalle penurie e dallinstabilit.

    GREGORY WILPERT (Traduzione di M.C.)

    delle borse pronte per chi non pu pagare. Sono gratuite, e vengono consegnate dopo un colloquio con assistenti sociali.

    Salendo sul fuoristrada, il cofano pieno di carta igienica, Alejandra continua a lamentarsi. Adesso la faccenda del teatro ad angustiarla. Dallarrivo di Chvez, spiega, il Festival di te-atro di Caracas scomparso, la scena artistica e culturale si degradata, e non si riesce nem-meno pi a trovare libri esteri. Come a Cuba, conclude amaramente.

    Ne ho abbastanza di questo socialismo!

    STRANO, perch a pochi metri dal caff Ve-nezuela, ben visibile la Libreria del Sud, che fa parte della rete di librerie create dallo Stato. Vi si trovano i grandi classici della lette-ratura latinoamericana, della poesia, del teatro, e saggi politici Opere disponibili per pochi bolivar, lequivalente del prezzo di un caff. Di-cono sempre che qua c la benzina pi a buon mercato del mondo, ma non dicono che anche i libri qui sono i meno cari al mondo, fa notare uno dei venditori. S, ma i libri esteri? S, vero, quelli costano, e dunque sono difficili da trova-re. Quanto alle attivit culturali, teatro, cinema e concerti, costano quanto due caff, e i mu-sei sono tutti gratuiti. E il festival del teatro, che sarebbe stato censurato? Ci informiamo. Lo spazio che lo organizzava stato espropriato

    per crearvi lUniversita sperimentale delle arti. Il festival ricomparso grazie a una fondazione privata e continua a praticare prezzi elitari.

    I miei genitori non capiscono, ma io non ne posso pi di questo socialismo! esclama ar-rabbiato il ventitreenne Luis. In questo paese non ci si pu concedere nulla, ci sono troppe restrizioni, tutto troppo caro. del tutto evi-dente che la situazione non va bene a tutti. Fra i giovani, il 95% dei quali ha un cellulare (3), la libert di consumare spesso considerata una priorit, soprattutto nella classe media.

    Di recente Luis, con i suoi amici, ha fregato il governo, come dichiara con fierezza. Con il pretesto di fare un viaggio a Panama, hanno comprato valuta estera allo Stato 3.000 dol-lari, un bel gruzzolo e di Panama hanno visto solo i centri commerciali, dove hanno fatto il pieno di materiale elettronico: Possiamo avere dollari solo una volta allanno. Lo rifaremo lan-no prossimo, stato un ottimo affare.

    Ormai viaggia anche la classe media, non solo quella alta. Prima non si poteva osserva Antonio, che ha vissuto in Francia e ha due figli

    con una cittadina francese. La vita qui molto diversa dallimmagine che del paese si d alle-stero. Lui giornalista, lei insegna alluniversi-t e malgrado i loro stipendi ridotti, per loro qui la vita pi facile che in Francia. Guadagno 6.000 bolivar [700 euro], ma poi ho oltre 1.000 bolivar per la salute e 1.200 per lalimentazio-ne, unassicurazione privata e un aiuto per pa-gare il nido dinfanzia. Mia moglie guadagna 4.000 bolivar [468 euro], poi 500 per ogni figlio e diversi sostegni sociali. Non abbiamo pagato niente per i bambini, n per il parto, n per la scuola o la salute

    Il salario minimo rimane basso in Venezue-la: 2.700 bolivar (316 euro) pi 1.600 bolivar in buoni spesa alimentari. Gli affitti medi a Cara-cas sono fra i 1.500 e i 2.000 bolivar. Compresi i buoni alimentari, un operaio specializzato gua-dagna circa 6.000 bolivar, un insegnante 5.200. Gli abitanti dei quartieri popolari non esitano a dichiarare il proprio reddito. Invece quelli del quartiere di Alejandra rifiutano di farlo. Ma il salario non la cosa pi importante osserva un operaio della societ Kraft Food. Lacces-so alla salute e allistruzione, il fatto di potersi organizzare in fabbrica o nel quartiere per mi-gliorare il nostro quotidiano, tutte queste cose fanno s che in questo paese stiamo bene.

    ANNE VIGNA

    (3) Xavier Bringu, Charo Sdaba e Jorge Tols, La Gene-racin Interactiva en Iberoamrica 2010. Nios y adole-scentes ante las pantallas, Fundacin Telefnica, c