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Un seul monde Eine Welt Un solo mondo N. 2 GIUGNO 2000 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE Africa: la sua incredibile varietà costituisce una sfida per la cooperazione allo sviluppo e per il continente intero Il Ciad tra guerre e petrolio Quo vadis Africa? Afro-ottimisti e afro-pessimisti a confronto

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Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

N. 2GIUGNO 2000LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

Africa: la sua incredibile varietà costituisceuna sfida per la cooperazione allosviluppo e per il continente intero

Il Ciad tra guerre e petrolio

Quo vadis Africa? Afro-ottimisti e afro-pessimisti a confronto

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Sommario

Pubblico e privato, insieme contro i parassitiNella lotta contro le malattie tropicali, la DSC sostiene una collaborazione inedita

21Un formaggio degno di creditoUn caseificio russo e il programma della DSCa sostegno delle piccole e medie aziende

22Dietro le quinte della DSC

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«World Music» - quo vadis?Un’analisi critica sulla musica del mondoe sulla coscienza planetaria

28La maschera si incrinaUn documentario sui predatori di cultura

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Editoriale 1Periscopio 2Cos’è la povertà ? 23Servizio 31Agenda 33Colophon e tagliando d’ordinazione 33

Eine Welt Nr.1/ Februar 1998

DOSSIER

FORUM

SVILUPPO E COOPERAZIONE SVIZZERA

EFFICACIALa difficile ricerca dell’efficacia ottimaleUn obiettivo provocatorio: rendere cooperazione e sviluppo superflui

4La famosa goccia, la canna da pesca e l’autonomiaOttiche e prospettive diverse:

VIETNAMUn occhio sfuocatoDuong Phuong Vinh, giornalista vietnamita,parla del suo paese

14Nel vortice del progresso e dello sviluppoIl Vietnam e la spaccatura fra tasso d’incrementoesplosivo e grande povertà

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Solidarietà: oltre il denaroWalter Fust, direttore, esprime ilpunto di vista della DSC sul concetto di solidarietà

19La medicina contro la violenzaL’aiuto umanitario svizzero miglioral’assistenza medica in Afganistan

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Giornalisti per l’Albania Un progetto della DSC promuove la formazione di giornalisti radiofonici

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Africa, l’inizio di un nuovo orgoglioTre esperti d’Africa ci parlano del futuro di questocontinente. Un’intervista con Ndioro Ndiaye, Edgard Gnansounou e Laurent Monnier

26Carta biancaIn viaggio con Charles-Henri Favrod, scrittore e giornalista

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Teatro e realtà a Bamako Una settimana di danze, rullii di tamburi, storie e incontri

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Editoriale 3Periscopio 4L’opinione della DSC 21In memoria diAugust R. Lindt e Hans Keller 25Servizio 33Agenda 35Impressum e tagliando d’ordinazione 35

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione, l’agenzia dello sviluppo inseno al Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) è l’editrice di «Un solomondo». La rivista non è una pubblicazione ufficiale in senso stretto; presentainfatti anche opinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

DOSSIER

SVILUPPO E COOPERAZIONE SVIZZERA

AFRICA La ricchezza sta nella varietà Africa dalle mille sfumature e poche certezze: un continente così variegato da non esistere come unità

6Dalla piantina all’albero? Instabilità politica e carenza di investimenti interni soffocano l’economia africana

10«La Svizzera è molto attiva in Africa...»Un’intervista con il consigliere federale Joseph Deiss, un vero afro-ottimista

12Alberi sacri, strutture tribali e «curandeiros»Apparentemente confrontata con insormontabilicontrasti, l’Africa cerca la propria strada

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CIAD Il Ciad tra guerre e petrolioDa oltre trent’anni il Ciad è scosso da conflittied insicurezza

16Poligamia Una pratica che resiste all’usura del tempo,illustrataci da Mahamat Azarack Mahamat

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Nuova rotta nel MadagascarDopo una cooperazione trentennale con il governo, la Svizzera cambia orientamento al suo sostegno nel Madagascar

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GENTE E PAESI

FORUM

CULTURA

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3Ndioro Ndiaye, Serena Sartori e Axelle Kabou: tre donne,tre voci avvincenti. Una è senegalese e direttrice sosti-tuta dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni(IOM), l’altra è milanese e lavora in Africa come registateatrale con allieve e allievi attori di Bamako, e la terza èuna sociologa camerunese che ha suscitato polemichecon un manifesto contro le élites nere e i loro complicibianchi. Tutte e tre trovano spazio nella presente edizio-ne – il nostro dossier è dedicato al tema annuale dellaDSC – con le loro opinioni critiche ma differenziatesull’Africa.

E non a caso. Infatti, da ben due anni, vogliamo fornirecon «Un solo mondo» informazioni di fondo sullo svilup-po e la cooperazione non solo ponendoci un’ottica elve-tica ma anche dando il più spesso possibile ampio spa-zio alle voci del Sud.

Si pone così subito l’interrogativo se siamo anche ingrado di soddisfare le nostre stesse elevate esigenze ri-guardo a una rivista impostata in modo attraente, infor-mativo e accattivante per chi la legge. Voi, gentili lettri-ci e lettori, avete avuto modo in questi ultimi mesi diesprimere il vostro giudizio critico nell’ambito della no-stra inchiesta rappresentativa. E lo avete fatto espri-mendo molti consensi. Negli ultimi due anni «Un solomondo» è riuscito a conquistare molti nuovi lettori emolte nuove lettrici; in particolare queste ultime hannoregistrato un aumento più che proporzionale. L’indice digradimento è anch’ esso aumentato. L’impostazione gra-fica più moderna ha indubbiamente reso la rivista più at-

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traente. Ma ciò che come editori ci rallegra maggior-mente è il fatto che, in tutte e tre le regioni linguistiche,voi giudichiate la DSC «competente, aperta al mondo,credibile, efficiente, dinamica, munita di spirito critico epoco burocratica».

Maggiori particolari – per esempio sulle motivazioni cheinducono alla lettura o le tematiche che interessano le no-stre lettrici e i nostri lettori – si trovano a pagina 34. Oltreagli innumerevoli consensi abbiamo raccolto anche ap-punti critici, per esempio la sollecitazione a concedereun maggiore spazio nella nostra rivista alle opinioni pro-venienti da altri paesi.

Una rivista non è mai perfetta. Ecco perché ci rallegranosia i consensi che le critiche. I consensi da voi espressici rafforzano nell’intento di percorrere con maggiore de-terminazione la strada imboccata; le critiche ci sprona-no a rendere «Un solo mondo» una rivista ancora più in-teressante, più critica, più accattivante, più degna di es-sere letta. Per esempio compiendo uno sforzo affinchéalle voci di Ndioro Ndiaye, Serena Sartori e Axelle Kaboufacciano seguito tante altre voci.

Harry SivecCapo media e comunicazione DSC

(Dal tedesco)

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battello, che scarrozzano i turistiper le città. Fino a qualchetempo fa, simili mestieri eranoriservati ai soli uomini. Molti diloro sono nel frattempo emigratie cercano fortuna nel Golfo, conil commercio del petrolio,mentre le donne restano a casa.Con i lavori tradizionalmentemaschili le donne guadagnanomolto di più. Ragione in più perquest’avanzata delle donne nei«mestieri da uomo» è il loro altolivello d’istruzione (rispetto allasituazione dell’India), unito adun alto tasso di disoccupazione:nonostante il diploma universi-tario, la ventottenne KamalaKrishma, ad esempio, non èancora riuscita a trovare un im-piego – ecco perché si guadagnada vivere raccogliendo noci dicocco.

Vi ricordate... (bf) ... che nel passato decennioin occasione di conferenzeglobali la Comunità Internazio-nale si è prefissa, fra gli altri, iseguenti obiettivi, per unosviluppo durevole del nostropianeta?Lotta contro la povertà estrema:entro il 2015 nei paesi in via disviluppo il numero delle personeche vivono in condizionid’estrema povertà dovrà esseredimezzato (Copenaghen).Scolarizzazione globale:entro il 2015 in tutto il mondodovrà essere garantita unascolarizzazione di base

Semplici e robusti(bf) Hanno un semplice telaiod’acciaio, due pneumatici, e unasuperficie di carico di legno odi metallo. Sono praticamenteindistruttibili, ma se anchedovessero guastarsi si possonoriparare velocemente e conpochi soldi. Vengono utilizzatisia per immagazzinare i raccolti,sia per il trasporto di merci,uomini o materiale da costru-zione. In poche parole, in Africaoccidentale è ormai impossibileimmaginare la vita di tutti igiorni senza i carretti trainatidagli asini, che perfino i bambinisono in grado di guidare e chepossono sopportare pesi fino a700 chilogrammi. Inoltre, gliasini – di quando in quandoanche cavalli o buoi – sono facilida addestrare ed imparanovelocemente i percorsi battuti.Dopo tanti anni di stagnazione,la ditta produttrice SISMAR –una volta di proprietà dello statoed ora privatizzata – fa nuova-mente registrare vendite record:finora i carretti venduti sono statioltre 150 000.

La raccoglitrice di cocco delKerala(gn) Nello stato del Kerala (Indiadel sud) le donne stannofacendosi avanti. Non si trattasoltanto delle raccoglitrici dicocco che si arrampicano adaltezze da capogiro; ci sonoanche incontri insoliti con autistedi bus o conducenti (donne!) di

(Copenaghen, Bejing).Parità dei sessi: entro il 2005eliminando le disparità fra ragazzie ragazze nella scolarizzazioneprimaria e secondaria s’intendeincrementare la parità dei sessi(Cairo, Copenaghen, Bejing).Mortalità infantile: rispetto allasituazione del 1990, entro il2015 in tutti i paesi in via disviluppo la mortalità infantiledovrà essere ridotta di due terzi(Cairo).Decessi da parto: fra il 1990 eil 2015 i decessi provocati dallanascita di un figlio dovrannoessere ridotti di tre quarti (Cairo,Bejing).Lotta alla fame: a partire daoggi, entro il 2015 il numerodelle persone denutrite dovràessere dimezzato (Roma).Ecologia: entro il 2005 tutti ipaesi dovranno sviluppare unastrategia di sviluppo durevole,affinché entro il 2015 siapossibile bloccare la tendenzaverso la distruzione delle risorseecologiche nazionali e mondiali(Rio de Janeiro)

Grande successo con risoe fagioli(gn) In America del sudl’agricoltura fa registrare grandisuccessi: fra il 1966 ed il 1995 laproduzione di riso ha potutoessere raddoppiata, mentre fra il1983 ed il 1995 i raccolti difagioli sono aumentati in mediadel 25 percento – in certeregioni addirittura del 110 per-

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cento. Secondo i comunicati delCentro internazionale di agri-coltura tropicale (CIAT) dellaColombia, questi enormi successisarebbero da ricondurre soprat-tutto all’evoluzione dellesementi. In questo lasso di temposono state immesse sul mercato300 nuove qualità di riso,40 delle quali sviluppate neilaboratori del CIAT. Secondo ilrapporto del CIAT, nell’ambitodi programmi agricoli nazionaliin America Latina è stato inoltrepossibile sviluppare circa180 nuovi tipi di fagiolo, oggicoltivati quasi nella metà dellepiantagioni di questa leguminosa.Questi sviluppi tornano aprofitto soprattutto dei piccolicontadini che non soltanto sonoriusciti a migliorare il proprioapprovvigionamento, ma che

oggi hanno anche in parte lapossibilità di vendere le ecce-denze sui mercati.

Energia solare ugandese(bf) L’Uganda produce la suaenergia elettrica soprattuttograzie all’acqua. Nonostante ciò,soltanto il 5 percento dellapopolazione, e soprattutto negli

agglomerati urbani, è allacciatoalla rete elettrica. Elaborato intempi lunghi, il programmanazionale d’elettrificazione dellecampagne prevede ora di mettereriparo con un enorme progettodi energia solare, finanziato coni crediti di due banche private.Nei prossimi anni circa 2000economie domestiche di quattrocomuni di campagna verrannoapprovvigionate con energiasolare. Verrà inoltre costruita unafabbrica per la produzione dibatterie per sistemi ad energiasolare.

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L’Africa non è da considerare esclusivamente il continente delletre «c» – conflitti, crisi, catastrofi – e nemmeno quello della pacecampagnola, nel quale pacifiche famiglie se ne stanno in armoniasedute all’ombra di frondosi alberi di mango. L’Africa è così va-riegata che riesce difficile pensarla come unità. Di PeterBaumgartner*.

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Africa : la ricchezza

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nella varietàAfrica dalle mille facce. Africa continente dalle rarecertezze, dove tutto ciò che sembra valido è subitoposto in dubbio. Che cosa hanno in comune ilKenya ed il Togo, il Lesotho e la Mauritania, a parteil fatto che stanno sullo stesso continente ed abita-no salotti differentemente arredati di quest’Africa di-chiarata all’unanimità un ospizio dei poveri? La de-nominazione «Organizzazione per l’unità africana»si riferisce più ad un programma che ad una qual-

siasi realtà. La prevalenza è per ciò che divide, con-trasti e contraddizioni hanno il sopravvento.Nella collocazione geografica ci decidiamo a parlaredell’Africa come di un continente, e tra parentesimettiamo solo, automaticamente, i paesi costieri delnord, quasi fossero corpi estranei. In un certo qualmodo, lo sono; ma tutto ciò non può indurci a con-siderare il resto, quello che noi amiamo normalmentedefinire «Africa», come un territorio omogeneo. Giàsolo un rapido sguardo alla mutevole geografia, daovest a est e da sud a nord, evidenzia le maggiori dif-ferenze, quelle climatiche, lasciando in parte intuireche cosa significhi in Africa essere un agricoltore. Leingegnose tecniche utilizzate dagli appartenenti all’etnia diolo nelle loro risaie nel sud del Senegal, i mi-nuscoli orticelli di cipolle dei dogon nel Mali, i cam-picelli sassosi dell’altopiano etiopico: sono tutte te-stimonianze della maestria con la quale contadini econtadine d’Africa si misurano con i rigori ambien-tali e climatici. Sempre intenti a sottrarsi alla mag-giore delle dipendenze, quella di cui è spesso predail continente agricolo che ha nome Africa: quella diavverse condizioni atmosferiche. E non è la sola di-pendenza. Ciò che l’Africa è in grado di offrire, chesi tratti di prodotti agricoli o di risorse minerali, è pre-valentemente destinato al nord del mondo che fissai prezzi e trae il suo profitto dalla trasformazione edalla commercializzazione. Ma anche se il canale cheporta al Nord è così stretto, esso è comunque per ognisingolo stato africano più importante del largo fiumeche l’unisce al paese vicino; il commercio continen-tale interno ammonta ad uno scarso 8 percento delcommercio estero complessivo dell’Africa.

Un continente dai piccoli spaziGli stati africani sono in eterna competizione: con-correnti nella corsa agli investimenti, ai crediti ed aiprestiti del Nord, che ovviamente persegue il suo in-teresse. Nel momento in cui le società petrolifere in-ternazionali puntarono i loro occhi sui giacimentiangolani di petrolio, la Nigeria decise di abbassarele tasse, con l’intento di incoraggiare le grandi mul-tinazionali ad investire ulteriormente. L’Uganda haricevuto una valanga di prestiti, anche se in quantoa corruzione questo paese è secondo soltanto alKenya, il quale si è visto tagliare ogni credito da partedegli istituti finanziari internazionali; l’Uganda èperò una particella che conta nel concetto ideologi-co-strategico americano riguardante l’Africa. E se leaperture politiche verificatesi all’inizio degli anni 90hanno prodotto - accanto a forme di governo piùdemocratiche - un qualche visibile risultato, alloraquesto sta nel riavvicinamento del continente.Esitante, e soprattutto ricco di parole, a livello po-litico, più concreto in ambito strettamente econo-mico. Oggi, almeno, spedire un pacco da Nairobi

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Dal deserto sconfinatoalla giungla impenetrabile,dalle cime innevate allespiagge incantevoli: ipaesaggi africani sonovariegati quanto lo sonole etnie e le tradizionid’Africa.

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ad Arusha, città tanzaniana di provincia distante150 chilometri, non è più problematico che spedir-lo in Giappone. La cooperazione economica dell’Occidente, dell’Oriente e del sud dell’Africa sonoun indizio molto promettente, per non parlare dell’utile collaborazione degli stati del Sahel.L’Africa, abitata da un numero di etnie stimato a1500, che parlano quasi altrettanti idiomi, è il con-tinente dei piccoli spazi. La famiglia viene per prima;poi sono le etnie a rappresentare una importanteunità sociale, quindi la nazione, lo stato. Le etniesono intrecci di relazioni, reti societarie, «gruppi dipressione» e in caso di necessità eserciti combatten-ti per l’accesso a privilegi economici e politici. Daquesto punto di vista, l’esperto di problemi del terzomondo Franz Nuscheler ha giustamente definito una«prestazione straordinaria» quella che ha portato alformarsi degli stati post-coloniali, nonostante le di-verse spaccature ed il rigetto ideologico.Quasi ogni stato africano, se lo si vede in questomodo, ci appare come un continente a sé. In Tanzaniavivono 120 diverse etnie, in Nigeria 430, e nel pic-colo Benin sono 26. Un kikuyu del Kenya centralesi differenzia da un turkana abitante delle terre semi-aride del nord del paese come uno svedese del nordda un siciliano. Per la gente dell’est, una visita ai paesioccidentali dell’Africa è, per ciò che riguarda il mododi comportarsi delle persone, un viaggio in un altrocontinente. E solo raramente un giornale keniota scri-

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ve qualcosa di un nigeriano senza sentirsi in doveredi aggiungere aggettivi quali «superbo» o «tronfio».

Contrasti tra «fratelli» africaniLa varietà culturale e religiosa, di tradizioni e danze,di favole, canti di eroi e saggezza quotidiana custo-dita nell’intimo di queste 1500 etnie può essere ap-pena intuita. Tra la musica del Sudafrica e quelladell’Etiopia, tra i suoni dell’Africa occidentale ed iritmi del Congo ci sono distanze smisurate. E sonocomunque altrettanto affascinanti le forme di vitadella democrazia primitiva dei diolo, le incisionidegli yoruba o la filosofia della sopravvivenza dei bo-scimani nel sud dell’Africa.Ovviamente, pur con tutti i pericoli che comportala creazione di luoghi comuni, ci sono anche fatto-ri unitari al disopra delle divisioni geografiche (allaminacciosa eguaglianza indotta della CNN non vo-gliamo nemmeno accennare). Essi sono dall’altraparte di quelle tre «c», conflitti, crisi, catastrofi. Esono la tolleranza, la longanimità e l’indistruttibilevoglia di vivere.Per ben due anni e mezzo, tra il Parco Uhuru diNairobi ed il centro della città, c’era uno scavoaperto. Quotidianamente migliaia di cittadini, an-dando al lavoro, erano costretti a saltare l’ostacolo.Una cosa che con il tempo asciutto era agevole,mentre con la pioggia richiedeva una certa abilità.Ognuno di noi, al quale è capitato di passare un

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Dimensioni africaneL’Africa misura 8000 kmdi lunghezza e 7600 dilarghezza. Con unasuperficie di 30 330chilometri quadrati, chesono poi il 22 percentodell’intera superficieterrestre del nostropianeta, è il secondocontinente per gran-dezza. La sua popo-lazione è di circa 675milioni di abitanti cherappresentano il 13percento dell’interapopolazione terrestre.L’Africa è anche ritenutala culla dell’umanità, illuogo in cui, oltre 200mila anni fa, mosse i suoiprimi passi l’Homosapiens.

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Africa

lungo periodo in Africa, sa sin troppo bene di scavidi questo genere, anche in senso figurato. Gli inter-minabili litigi dei politici, le vergognose ruberie deipotenti, l’arroganza della burocrazia statale, telefonimalfunzionanti ed altre avversità giornaliere vengo-no sopportate con la stessa longanimità che si riser-va ai soccorritori che arrivano dal nord e che, a volte,l’unica «qualifica» che portano con sé è la loro pellebianca. Dove altrimenti al mondo i sentimenti di tol-leranza e di ospitalità sono così spiccati come inAfrica, dove anche piccoli paesi, per decenni, hannogarantito il diritto di ospitalità a centinaia di migliaiadi profughi? In Africa la vicinanza non sconcerta, innessun posto. Compassione e brutalità sono «fratel-li» africani quanto lo sono solidarietà e avidità.La longanimità ha molto a che fare con l’accettazionedi ciò che si crede immutabile, e frena anche la di-sposizione al cambiamento. Longanimità, pazienzae tolleranza, così come ci è dato di incontrarle in terrad’Africa, sono divenute l’humus di cui si nutre quel-la voglia di vivere e la capacità di resistere delle qualila gente d’Africa è permeata sino al midollo. È quiche risiede, in un certo qual modo, il futuro di que-sta terra, abitata da tempi ancora più remoti che nongli altri continenti, malgrado le sue siccità, la fame,le guerre.*Peter Baumgartner è corrispondente dall’Africa del Tages-Anzeiger di Zurigo. Risiede a Nairobi.(Dal tedesco)

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«Questo continente ètroppo grande per poteressere descritto. È un vero oceano, unpianeta dotato di una suaautonomia, un variegato,ricchissimo cosmo.»Ryszard Kapuscinski èstato per anni corri-spondente dall’Africaper l’agenzia statale distampa polacca; egli descrive le sueesperienze in un suorecente bestseller, daltitolo «AfrikanischesFieber. Erfahrungen ausvierzig Jahren»,pubblicato in Germaniada Eichborn (Francoforte)nel 1999.

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valutare il problema vero, e cioé che l’Africa sud-sahariana nell’ambito dell’economia mondiale è stataspinta all’emarginazione. Il prodotto nazionale lordo(PNL) dell’intera regione (320 miliardi di dollari) èinferiore a quello dell’Olanda che raggiunge i 360 mi-liardi. Questa emarginazione fa si che in Africa anchei massimi settori dell’economia, quello agrario di sus-sistenza e quello cittadino dell’economia sommersa,non partecipano alle moderne dinamiche del merca-to.

L’imprevedibilità domina il quotidianoPerché la venditrici di un mercato africano che urlapiù forte delle sue compagne non riesce s sbarazzar-si della concorrenza? Forse perché sta pensando adun commerciante il cui magazzino è stato saccheg-giato dai soldati. In un mondo in cui quasi tutto èdominato dall’imprevedibilità – sia essa quella dellemalattie, delle esigenze poste dalla tribù o dalle in-trusioni della politica – la modestia non è una dote,bensì un comportamento saggio: a colui che nien-te possiede, non si può portare vai nulla.Un comportamento economico tradizionale, che simuove all’interno di una rete di diritti e doveri so-ciali, però in netto contrasto con le vie dello sviluppocapitalistico. Sviluppo alla cui desiderabilità anche inAfrica nessuno più si oppone. Prendiamo comeesempio la situazione della proprietà fondiaria.Quando nell’Europa del XVII e XVIII secolo si svi-lupparono le città ed i mercati, i proprietari fondia-ri incassarono i diritti dagli affittuari e li cacciaronodai loro campi. In Africa, il singolo contadino è soloun usufruttuario, e non proprietario dei suoi campi,e dunque non li può né vendere o né caricare di unaipoteca. La via dello sviluppo capitalistico prevedeinvece, quale condizione di base, la concentrazionee la capitalizzazione delle proprietà fondiarie.La conseguenza di questa stabilità sociale (da nonconfondere con quella politica) è la mancanza di unceto medio. Vasta è l’aneddotica al proposito, e diceche in Africa ci sono ricchi e poveri, ed in mezzoquasi niente. Il popolo va a piedi, i capi in macchi-na; di biciclette nemmeno l’ombra... Anche nelmondo della produzione, tra il settore dell’econo-mia sommersa – che si potrebbe, alla buona, defini-re l’economia dell’arrangiarsi – e quello dell’indu-

Il successo nelle cifreDalla metà degli anni 90,l’Africa denota unosviluppo economicoannuale del 4%. Nellostesso periodo il debitomedio di bilancio èdiminuito passando dal10 percento del prodottonazionale lordo ad unoscarso 4%. L’inflazione è scesa dal 40 al 10percento. Gli investimentisono aumentati: tra il1996 ed il 1998 gliinvestimenti stranieri sonoraddoppiati, passando a8 miliardi di dollari.

I numeri dell’economia africana sono incoraggianti,ma ingannevoli (v. a margine). Essi dicono ben pococirca la ripartizione regionale. In Mozambico – checon il suo indice di sviluppo del sei percento è rite-nuto un paese modello –, le cifre di quell’attività eco-nomica parlano soltanto della capitale Maputo. Nellaprovincia, invece, vi sono solo i ruderi del colonia-lismo portoghese, quali stazioni ferroviarie e locan-de, a testimoniare il passaggio di una politica di svi-luppo seppur ben diversamente motivata.300 milioni di africani, e dunque la metà del totale,vivono al disotto del limite di povertà fissato ad undollaro al giorno. Il tanto decantato «Trickle-down-effect», secondo il quale i poveri approfittano sem-pre e comunque in caso di uno sviluppo economi-co, si verifica, in realtà, molto più raramente all’in-terno di società inique. In altre parole: più ampia èla spaccatura tra ricchi e poveri, maggiore dovrà es-sere la crescita economica per consentire un decre-mento nel numero dei poveri. Le condizioni ri-chieste perché ciò avvenga nei paesi africani, che inquanto a diseguaglianze sono superati soltanto dallenazioni dell’America latina, sono troppo elevate perpoter dare adito ad ottimismo. L’economia delSudafrica, ad esempio, dovrebbe crescere per pa-recchi anni al ritmo dell’ 8% prima di consentire unadiminuzione apprezzabile del numero dei poveri.Verosimilmente, la guerra dei numeri ci induce a non

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Quando si tratta di Africa, gli economisti si comportano quasifossero infermieri durante la visita giornaliera: «Va un po’ me-glio, oggi, non è vero?». Anche se molti indicatori testimonia-no una crescita, sono l’instabilità politica ed i carenti investimentiinterni a provocare problemi a questo continente. Di MarkusHaefliger*.

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stria, manca la solida presenza dell’artigianato. Cisono ciabattini che arrangiano rozzi sandali con re-sidui di copertoni e fabbriche della Bata. Per con-tro, un calzolaio che lavori con il cuoio e le formenon c’è speranza di trovarlo.

Inversione di tendenza nell’economiaQuanto detto sta alla base dello scarso livello di in-vestimenti interni. Se questo ad esempio ammontain Malaysia al 40 percento del PNL ed in Cile eMessico al 25 percento, nei paesi africani raggiungesolo il 15 percento. «L’inversione di tendenza eco-nomica resta una gracile piantina, fino a che non riu-sciremo a sostituire con i nostri mezzi gli investi-menti stranieri e l’aiuto allo sviluppo», afferma KwesiBotchwey, già ministro delle finanze del Ghana edesperto dell’IWF, oggi a capo dell’Institute forInternational Development di Harvard.È ancora troppo presto per giudicare se il recentedibattito sul «Rinascimento africano» e sul fatto cheil continente dovrà occuparsi in prima persona dellesue questioni, segnala un salutare ripensamento. Il«Rinascimento» di cui si parla può mostrare di sé sol-tanto due solidi indizi esistenziali, uno negativo, l’al-tro positivo. Il negativo: i paesi africani si immi-schiano sempre di più nelle questioni di stati adia-centi. Mai, dagli anni della decolonizzazione, questocontinente è stato scosso da così tante guerre, e perla prima volta, in gioco sono esclusivamente inte-ressi africani, anche rapaci interessi economici.

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L’indizio positivo: dall’inizio delle aperture alla de-mocrazia, l’industria sudafricana ha iniziato ad in-vestire anche in paesi situati al disopra dell’equato-re, fino in Kenya ed Uganda. Gli investimenti di-retti sudafricani per i paesi dell’Africa sub-saharianasi sono decuplicati, tra il 1996 ed il 1998, passandoa 1,7 miliardi di dollari.*Markus Haefliger è stato, dal 1988 al 1994, corri-spondente dall’Africa, con sede ad Harare, per la RadioSvizzera DRS. Oggi vive e lavora a Berna in qualità dilibero giornalista. (Dal tedesco)

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Un solo mondo: Il suo primo viaggio in vestedi ministro degli esteri l’ha portata in Africa.Perché?Joseph Deiss: Con il mio viaggio in Tanzania,Mozambico e Sudafrica mi ero imposto due scopi. Ilprimo, quello di mostrare quanto per me sia impor-tante la cooperazione allo sviluppo e di mettere in evi-denza l’impegno svizzero in questi tre paesi di con-centrazione. Il secondo, con evidenti obiettivi politi-ci, quello di constatare a che punto sono giunti glisforzi effettuati nell’ambito della soluzione dei conflitti.

Sino a che punto può dirsi soddisfatto dal-l’attuale politica «africana» della Svizzera?Al momento attuale la Svizzera è molto attiva inAfrica, in sette paesi di concentrazione e con tre pro-grammi speciali di intervento. Per l’anno in corso,per la cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanita-rio in questi sette paesi abbiamo previsto uno stan-ziamento di circa 200 milioni di franchi. Si tratta diun aiuto necessario in quanto in Africa ci sono an-cora grossi problemi da risolvere. Negli ultimi anniè divenuto sempre più evidente che alla parte pre-

«La Svizzera è molto attiva in Africa...»

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L’immagine che lo svizzero medio ha dell’Africa è a volte deprimente. I dubbi circal’efficacia della cooperazione allo sviluppo con il continente nero sono tutt’altro che rari. È proprio vero che in Africa i progetti di sviluppo e l’aiuto umanita-rio rassomigliano ad una botte senza fondo? Il consigliere federale Joseph Deiss,un vero afro-ottimista, è convinto del contrario. Un’intervista di Maria Roselli.

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valentemente politica della cooperazione allo svilup-po si doveva assegnare un’importanza maggiore ri-spetto al passato. L’incremento dell’impegno svizze-ro nell’ambito della soluzione dei conflitti e della po-litica di pace è pertanto da ritenere molto indicato.Ciò che sappiamo a proposito degli stati di conflittolatente nel sud dell’Africa dovrà sempre più entrarenelle nostre riflessioni di tipo strategico. Casi comequelli del Ruanda non dovranno più ripetersi.

Nel contesto della cooperazione internazionaleallo sviluppo, la Svizzera come singola nazionepuò riuscire a raggiungere qualche obiettivooppure il suo impegno risulterebbe più effica-ce una volta inserita nell’UE e/o nell’ONU?Sono assolutamente convinto che anche ad un pic-colo paese come la Svizzera sia consentito condur-re un’autonoma politica dello sviluppo. Del resto,non è che il nostro paese operi sempre da solo, au-tonomamente, considerato che siamo attivi in moltesotto-organizzazioni dell’ONU. Tuttavia, la nostraadesione all’Organizzazione delle nazioni unite sa-rebbe di grande importanza, considerato che in que-sto caso avremmo pieno accesso alla fase di prede-finizione degli interventi.

Progresso e regresso in Africa spesso appaio-no come fenomeni inseparabili. Per moltepersone la cooperazione internazionale allosviluppo può dunque apparire come una bottesenza fondo...Sono convinto che pure in futuro saranno necessarimolti sforzi, e purtroppo non si potranno evitare gliinsuccessi. Eppure, malgrado tutte le difficoltà, è co-munque riconoscibile una tendenza al miglioramen-to. Uno sviluppo davvero durevole sarà possibile sol-tanto quando saranno risolti anche i problemi poli-tici. Solo nei paesi dove regnano effettive condizionidi stabilità e la società civile funziona adeguatamen-te è consentito all’economia di operare efficace-mente. Se si riuscirà, proprio nell’ambito dell’Orga-nizzazione dell’Unità africana, a produrre una mag-giore stabilità, allora anche il lavoro nel campo dellosviluppo diverrà certamente più efficace.

In altre parole, si fornirà aiuto soltanto a queipaesi che in base agli sforzi fatti verso la de-mocratizzazione consentono di valutare iprogetti di sviluppo in termini di durata edefficacia?Per quanto concerne le condizioni legate alla coo-perazione, l’intento non è solo quello di assicurarel’efficienza della politica di sviluppo. Con questa po-litica si intende prevalentemente escludere che si ar-rivi a fornire sostegno a regimi autoritari, la cui po-litica viola ad esempio i diritti umani.

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Cercando anche di evitare che proprio quel-le persone che hanno maggior bisogno diaiuto, finiscano per esserne escluse a causadella politica condotta dai loro governi.Naturalmente, tutto ciò risulta davvero drammati-co per le popolazioni coinvolte, qualora esse appar-tengano alle genti più povere fra le povere. Ma noinon possiamo permetterci di fornire sostegno a re-gimi che, secondo il nostro modo di vedere le cose,operano contro le loro stesse popolazioni. La poli-tica della «Good-Governance» riguarda però esclu-sivamente la cooperazione tecnica allo sviluppo enon l’aiuto umanitario. Nel caso si tratti invece divero e proprio aiuto umanitario, in caso di catastro-fi ad esempio, aiutiamo senza condizioni di sorta.

Vede il futuro dell’Africa con ottimismo ocon pessimismo?Sono fiducioso nel futuro, anche se so che in Africasi dovrà ancora fare molto. Questa fiducia è basataperlopiù su quei paesi che hanno saputo lentamen-te emergere, sino a raggiungere la loro attuale po-sizione di leader. Penso ad esempio al ruolo chepotrà giocare il Sudafrica. Molti paesi africani si at-tendono dal Sudafrica che eserciti la funzione diguida. Una funzione che il Sudafrica appare in gradodi assumere tranquillamente. Ci sono però altriesempi positivi : e penso qui in particolare alMozambico.

Quale significato ha per lei l’Africa?Per me l’Africa è un continente affascinante; uncontinente che ho avuto modo di conoscere già nelpassato. In questa terra mi sono costantemente im-battuto in persone che, per le loro attitudini ed illoro humor, hanno suscitato in me stima e ammi-razione.

(Dal tedesco)

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Dall’evocazione degli spiriti ad Internet, dalle quotazioni di borsaalla tradizionale economia tribale. Apparentemente confrontatacon quasi insormontabili contrasti, l’Africa cerca la propria stra-da. Di Gabriela Neuhaus.

Lesotho, primi anni 60. Il giovane agronomo StevenRalitsolele è appena tornato, pieno d’entusiasmo, dalperiodo di formazione trascorso in Europa. Ora, cosìpensa il giovane, possiede il sapere che gli permet-terà di aiutare il suo paese ad uscire dalla miseria.Trattori, fertilizzanti e coltivazione del mais in gran-de stile saranno i fattori di una fiorente agricoltura,così come lui ha studiato nel nord del mondo e cheora, grazie al suo posto in seno al ministero, gli saràdato modo di realizzare.Poco meno di 40 anni dopo, l’attuale ministro dell’agricoltura Ralitsolele vede alcune cose in modo di-verso: «In agricoltura, ciò che in Europa è da con-siderare giusto qui si è rivelato sbagliato». Dal mo-mento in cui i raccolti delle monocolture sono di-minuiti, nel Lesotho ci si è ricordati di una vecchia,saggia persona: James Jacob Machobane, che già nelcorso degli anni 50 si era impegnato nello sviluppoe nell’ottimizzazione dei metodi operativi dell’agri-coltura tradizionale. Per lungo tempo i suoi inse-gnamenti furono però banditi, considerati negativoretaggio del passato e contrari ad ogni progresso.Oggi, il ministero dell’agricoltura si serve della con-sulenza di James Machobane. Dalla sua saggezza, diceSteven Ralitsolele, lo stato può apprendere molto.Samba Seck, più giovane di una generazione ed asua volta laureato presso un’università europea, haoperato nel suo paese, la Guinea Bissau, sin dall’ini-zio nel rispetto dei metodi tradizionali. Coordinatoredi un’organizzazione di sviluppo, ha lavorato in vil-laggi in cui la natura è per gli uomini un concen-trato di spiriti, e persino gli alberi sono sacri. Eglistesso si considera come punto di contatto tra le esi-genze degli abitanti di quei villaggi ed uno stato mo-derno. Ad esempio nella disputa riguardante gli al-beri sacri che per i boscaioli della regione significa-no solo profitto. Samba Seck ha spiegato agli abitantidel posto quali sono i loro diritti di proprietà, aiu-tandoli a comprendere tale problematica: «Le esi-genze religiose e tradizionali di questa gente, e cioèla protezione della foresta, si identificano con le no-stre, e contribuiscono ad un durevole sviluppo eco-logico della regione». In questo modo Samba Seck

armonizza gli antichi valori di una popolazione per-corsa da fenomeni animistici con la sua visione delfuturo.

Tra la cultura africana e quella modernaTradizioni locali e moderna globalizzazione sono fe-nomeni contrastanti; in essi ci si imbatte nelle piùsvariate forme ed in molti ambiti esistenziali. La loroimportanza è attualmente oggetto di vivace dibatti-to. E se da un lato esistono ancora persone capaci diimputare la povertà dell’Africa alla «natura tradizio-nalmente pigra dell’africano», dall’altro si profilagente che celebra il «buon selvaggio» e vede la pos-sibile salvezza del continente in un ripensamento, unritorno alle antiche tradizioni. La questione vera è

Alberi sacri, strutture tribali e « curandeiros »

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Una vita da africana...Secondo le statisticheuna donna africana lavoramediamente 17 ore algiorno: «Le donne africa-ne sgobbano, indifferente-mente, nei mercati diBamako, nella rossasabbia del Burkina Faso,sulle strade di Lagos osulle spiagge di Dakar.Vendono: tre noci dicocco, cinque sigarette,dieci zollette di zucchero.Barattano: quindicimango contro una pezzadi stoffa, un po’ di pescesecco contro due pezzidi sapone. Sarchiano,rastrellano, seminano: inun campicello piccolocome due fazzoletti, unapiccola, desolata strisciadi terra da tutti ignorata.»Elisabeth Lequeret,giornalista di RadioFrance Internationale.

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che l’Africa già da molti anni non è più quella cheera; molte tradizionali strutture – di quelle checertamente non erano mai state solo «buone» –neanche esistono più. Inoltre, la globalizzazione nonha certo rispetto dell’Africa, ed un certo tipo di svi-luppo è già da tempo in corso. Rimane la doman-da: quanta tradizione serve, o quanta di essa è sop-portabile, e dove il retaggio del passato è utile allosviluppo oppure si oppone ad esso?L’esperienza ci dice che non esistono facili risposte.Come nella maggior parte delle società africane,anche in Mozambico alla medicina tradizionale vieneattribuito un grande significato: a causa dell’insuffi-cienza delle strutture sanitarie statali e per la scarsafiducia nei confronti dei nuovi presidi sanitari. Unastruttura sanitaria che copre l’intero territorio è pos-sibile solo grazie ai guaritori tradizionali, i cosiddet-ti «curandeiros». Per molte malattie essi dispongo-no di medicine e metodi che sono spesso almeno cosìefficaci quanto la medicina occidentale.

Medicina: una difficile simbiosiL’altra faccia della medaglia: i «curandeiros» prati-cano una medicina in cui il rituale (ad esempio, iltatuaggio, che può provocare contatti ematici) con-tribuisce all’incremento dei casi di Aids. L’obiettivodovrebbe essere quello di una collaborazione tra iguaritori tradizionali e lo stato, afferma ThomasGreminger, coordinatore della DSC a Maputo:

«Tentiamo di realizzare una simbiosi, ma fino ad oggiil sistema sanitario pubblico non è riuscito a trova-re un modus vivendi con i curandeiros».Che una collaborazione sia possibile è dimostrato daalcuni successi a livello locale. In una farmacia sta-tale che opera con il sostegno della DSC i «curan-deiros» offrono anche i loro tradizionali rimedi.Di esperienze simili a quelle compiute nel settore sa-nitario ce ne sono anche in altri ambiti. Strutture tri-bali integre rappresentano, per esempio, una im-portante rete di relazioni sociali, che però da sola nonriesce ad arginare l’emigrazione verso le città.Progetti di decentralizzazione e democratizzazionepossono basarsi sul retaggio di tradizioni che con-templano la discussione e la partecipazione. Esse ven-gono però spesso imposte dalle gerarchie locali.Secondo Thomas Greminger nel definire gli aspet-ti positivi o negativi dei valori tradizionali rispettoalla cooperazione allo sviluppo bisogna essere prag-matici: «Non esistono soluzioni globali, anche per-ché l’influenza delle tradizioni è molto differenzia-ta a livello regionale e locale, al punto che l’equili-brio tra il vecchio ed il nuovo deve essere sempreridefinito».

(Dal tedesco)

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Idriss Deby è giunto nel 1990 al potere con la forza,come d’altronde già il suo predecessore HisseinHabré, sotto il quale era stato capo dello stato mag-giore. Dalle elezioni presidenziali del 1996, da luivinte, Deby tenta di profilarsi assumendo un’imma-gine di democratico, con lo scopo di rassicurare i fi-nanziatori multilaterali, quali il Fondo monetario in-ternazionale o la Banca mondiale. Ma per molti os-servatori diplomatici egli non è ancora riuscito acreare una vera apertura politica. Ecco perché il sudsi sente tuttora marginalizzato dal potere centrale, de-tenuto dai nordisti. In questa parte del paese si tro-

Imbrigliato da oltre trent’anni nei conflitti e nell’insicurezza, il Ciadè tuttora alla ricerca di una stabilità politica indispensabile al suosviluppo economico. Oggi, questo paese, sta conducendo unanuova battaglia: quella del petrolio. I suoi giacimenti attirano l’a-vidità delle grandi compagnie anglo-americane e suscitanol’opposizione degli ambientalisti. Di Marie Joannidis*.

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vano infatti non solo i principali giacimenti di pe-trolio, bensì anche la maggioranza della popolazio-ne e delle ricchezze agricole. I suoi abitanti sono cri-stiani o animisti, mentre quelli del nord sono pre-valentemente musulmani.I due primi presidenti del Ciad, François Tom-balbaye e Félix Malloum, erano originari del sud.A partire dal 1979 la presidenza è sempre stata oc-cupata da uomini del nord, segnatamente da HisseinHabré e Goukouni Oueddeï, i fratelli nemici chehanno condotto una lotta armata per la conquista delpotere. Entrambi erano stati sostenuti dalla Libia, che

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ha a lungo rivendicato e occupato la fascia diAouzou, una zona tampone tra i due paesi.

Un passato pesanteN’Djamena si presenta oggi come una capitale afri-cana in espansione, nella quale si mescolano quar-tieri europei e africani. A poco a poco cerca di can-cellare le tracce dei violenti combattimenti avvenutinegli anni Ottanta. Non si vedono nemmeno piùcircolare i partigiani di tale o talaltro comandantedelle fazioni in guerra a bordo dei loro furgoni fuo-ristrada Toyota con tanto di Kalachnikov e occhialida sole Ray-Ban.Ciononostante il Ciad si dibatte ancora con le con-seguenze di queste guerre civili che si sono tradot-te in sanguinosi regolamenti di conti e ricatti di ognigenere. Rifugiato a Dakar dalla caduta del suo re-gime nel 1990, l’ex presidente Habré è stato incri-minato all’inizio di quest’anno di complicità in attidi tortura da un giudice senegalese in seguito alleaccuse mosse da organizzazioni di difesa dei dirittidell’uomo. Hissein Habré porta una «responsabilità

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personale e diretta» negli eventi sopraggiunti inCiad tra il 1982 e il 1990, affermano gli accusatori.Secondo la loro inchiesta oltre 40 000 persone sa-rebbero state vittime di esecuzioni sommarie o sa-rebbero morte in detenzione mentre altre 200 000sarebbero state sottoposte a torture. Questa violen-za, che non è una prerogativa esclusiva di HisseinHabré, è stata compiuta in un contesto contrasse-gnato dalla povertà. Gli indici dello sviluppo umanoe sociale del Ciad sono infatti tra i più bassidell’Africa subsahariana: oltre 45 ciadiani su 100 vi-vevano ancora nella povertà assoluta alla fine deglianni Novanta. Il prodotto interno lordo (PIL) perabitante è leggermente migliorato fino a raggiun-gere i 230 dollari nel 1998; ma, in base ai calcolidella Banca mondiale, questa cifra è ancora ampia-mente inferiore ai 500 dollari che rappresentano lamedia dei paesi subsahariani.Lo sviluppo economico è stato ritardato dall’allon-tanamento dai mercati di questo paese enclave, dallefrequenti siccità, dalla mancanza di infrastrutture, edall’instabilità politica. Quasi l’85 percento della

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L’oggettoquotidianoIl coltello da lanciareSia nel Ciad settentrionaleche in quello meridionalegli allevatori e i pastorinomadi hanno un oggettoin comune: il coltello dalanciare. Gli hanno datonomi diversi secondo laregione e la lingua locale.Esso serve sia alla cacciache alla protezione dellemandrie. Si lancia comeun boomerang, con ilmanico in avanti, per farritornare le bestie smar-rite. È anche un’armatemibile contro i ladri dibestiame.Questo utensile caratteri-stico è provvisto di unalama metallica, general-mente di ferro, lunga da70 a 80 cm. Essa èricurva come un quartodell’arco di un cerchio,formando in pratica unangolo retto con il mani-co, anch’esso diritto e diferro. Originariamente ilcoltello da lanciare venivadal sud del paese. Ma ilsuo uso si è a poco apoco diffuso ovunque.Esiste anche una variantein legno presso le popo-lazioni di origine araba.

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popolazione dipende dall’agricoltura, in particolaredall’allevamento. Le zone aride del nord contrasta-no con le terre fertili del sud, ricoperte da foreste.Il cotone coltivato nel sud è il principale prodottod’esportazione. Ma il Ciad è più vulnerabile dellamaggior parte dei paesi africani a cause delle flut-tuazioni dei corsi delle materie prime. Inoltre, habeneficiato ben poco dalla svalutazione del francoCFA nel 1994.

Petrolio nel sudMalgrado l’attuale povertà il Ciad dispone di unasovrabbondanza di risorse naturali : uranio, oro,bauxite e, soprattutto, petrolio. Un consorzio dicompagnie anglo-americane ha scoperto dei giaci-menti petroliferi all’inizio degli anni Settanta nel ba-cino del lago Ciad e nella regione di Doba, situataal sud. L’esplorazione è rimasta sospesa durante diecianni a seguito della guerra civile. Poi si è scopertoun nuovo campo petrolifero nel bacino di Doba.Le riserve sono ormai stimate a quasi un miliardodi barili di petrolio. La produzione potrebbe giun-gere fino a 225 000 barili al giorno per 25-30 anni.Alla fine del 1996 un consorzio composto dallecompagnie Elf, Exxon Mobil e Shell ha firmatoun accordo con il governo del Ciad. Questo docu-mento prevedeva lo sviluppo dei campi di Doba ela costruzione di un oleodotto di 1050 km attraversoil Camerun. Costo totale stimato: tra 3 e 3,5 mi-liardi di dollari. La Banca mondiale si apprestava afinanziare la partecipazione del Ciad e del Camerunnelle società che dovranno costruire e assicurare ilfunzionamento di questo oleodotto. Ma nel 1998una coalizione internazionale di organizzazioni nongovernative ha chiesto l’annullamento del progettoinvocando problemi di carattere ambientale e il ri-spetto dei diritti della persona. La controversia nonè ancora appianata. Nel frattempo, Elf e Shell hannofatto sapere che desideravano ritirarsi dal progetto.Ciò ha ritardato la decisione finale della Banca mon-diale, suscitando le ire di N’Djamena. Entrambe lecompagnie si sono impegnate a trovare dei sostituti.

Frontiere delimitateDopo gli incidenti di frontiera avvenuti in passatoil Camerun, la Nigeria, il Niger e il Ciad hanno tro-vato un accordo sulla delimitazione delle frontierenella regione del Lago Ciad. Questo accordo nonè ancora stato ratificato formalmente.Nel nord il problema della frontiera che ha a lungoopposto il Ciad alla vicina Libia è stato ufficialmenteregolato nel 1994 mediante un decreto della Corteinternazionale di giustizia dell’Aia, la quale ha attri-buito al Ciad la fascia di Aouzou.In seguito le relazioni con Tripoli sono migliorate.N’Djamena ha così accolto quest’anno il secondo

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vertice della Comunità degli Stati sahelo-sahariani,un organismo creato da Mouammar Gheddafi e fi-nanziato al 75 percento dalla Libia.Benché il presidente Deby intrattenga ormai le mi-gliori relazioni con la Libia, egli non è tuttavia an-cora riuscito a ripristinare completamente la pace.Una nuova rivolta è scoppiata nel 1998 nel nord delpaese, nel Tibesti, focolaio di tutti i conflitti sin daglianni Sessanta. Per una volta il colonnello Gheddafinon sembra appoggiare l’insurrezione.Per contro, ha trovato un altro modo di occupare imilitari del Ciad smobilitati: ha finanziato l’invio diun corpo di spedizione ciadiano nella Repubblicademocratica del Congo (RDC) con lo scopo di ap-poggiare le forze di Laurent-Désiré Kabila alle presecon una rivolta sostenuta dall’Uganda e dal Ruanda.Ma i ciadiani si sono rapidamente ritirati dopo aversubito pesanti perdite.

(Dal francese)

*Marie Joannidis collabora con MFI, l’agenzia multi-mediale di Radio France Internationale. Ha lavorato per 25 anni per l’Agence France Presse (AFP), segnata-mente come inviata speciale in varie regioni del mondo e,soprattutto, in Africa.

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Il territorio del Ciad attuale è stato popolato sindal IV secolo avanti Cristo. Piccoli imperi si sonosucceduti in particolare nella regione che circondail Lago Ciad. Il centro e il nord sono statigradualmente islamizzati tra l’ XI e il XIX secolo.Il primo trattato di protettorato è stato conclusotra la Francia e il sultano di Baguirmi nel 1897.Tre anni dopo il Ciad è stato annesso al «Congofrancese», divenuto nel 1910 l’Africa equatorialefrancese.

1935 Trattato franco-italiano con cessione dellafascia di Aouzou all’Italia che alloraoccupava la Libia.

1960 Indipendenza del Ciad. FrançoisTombalbaye, un sara meridionale, diventapresidente.

1966 Creazione del Fronte di liberazionenazionale (Frolinat) che tenta di «liberare»il nord. Sotto la guida di vari capi, tra iquali Goukouni Oueddeï e Hissein Habré,lotterà in seguito per il potere aN’Djamena.

1973 La Libia occupa la fascia di Aouzou cheTombalbaye gli avrebbe venduto.

1975 Tombalbaye viene ucciso dai militarigolpisti. Gli succede un altro sara, ilgenerale Félix Malloum. Egli sarà costrettoa dimettersi nel 1980 sotto la pressionedelle forze di Habré e di Goukouni.

1981 Con l’aiuto della Libia, Goukouni arriva aN’Djamena alla testa del Governo diunione nazionale di transizione (GUNT).

1982 Hissein Habré prende possesso dellacapitale il 7 giugno e diventa presidente il21 ottobre. I combattimenti riprendononel nord. L’anno seguente la Francia lancial’operazione militare Manta, alla qualeseguirà l’operazione Epervier.

1989 Idriss Deby, fedele luogotenente di Habré,è accusato di complotto e fugge. Lancia uncontrattacco partendo dal Sudan, rovesciain seguito Habré, il quale cerca rifugio aDakar nel dicembre 1990.

1996 Le elezioni presidenziali confermano IdrissDeby come capo dello Stato.

La Svizzera e il CiadPriorità alla popolazione rurale

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Fatti e cifreCapitale:N’Djamena (830 000 abitanti)

Superficie:1 284 000 km2

Paesi confinanti:Libia (nord), Sudan (est),Repubblica centrafricana(RCA) e Camerun (sud)Nigeria e Niger (ovest)

Clima:saheliano al nord,tropicale al sud

Popolazione:Numero di abitanti: 7,4 milioniPopolazione urbana: 13% del totaleDensità: 6 abitanti/km2

Crescita demografica: 3,1%Mortalità infantile: 10%Speranza di vita: 49 anniAdulti analfabeti: 52%

Lingue:Lingue ufficiali : francese, araboLingue locali : sara, sangoe oltre 100 altre lingue odialetti

Religioni:Musulmani: 50% (nord e centro)Cristiani: 25% (centro e sud)Animisti : 25% (centro e sud)

PIL per abitante:230 dollari (1998)

Settori di attività:Agricoltura: 39%Industria: 15%Servizi: 46%

Sudan

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Niger

NigeriaN’Djamena

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Doba

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Camerun RepubblicaCentrafricana

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Cenni storici

(bf) La Svizzera è impegnata da circa 30 anni inCiad, uno dei paesi più poveri della Terra. Fino al1993 i progetti si limitavano essenzialmente alsostegno dei settori educativo («scuole pilota») epubblico (sanità e sviluppo rurale) nel sud delpaese. A partire dal 1993 il programma è statoampliato, sia per quanto concerne i partner, sia inriguardo ai progetti e alle regioni.I partner della DSC sono oggi prevalentementeesponenti della società civile (organizzazioni nongovernative, individui, organizzazioni di base,comuni).In termini geografici vengono privilegiate treregioni che, sotto il profilo economico e socio-economico, si completano e svolgono un ruolodeterminante: la zona sudanese nel Sud (agricol-tura e coltivazione di alberi), la regione di Batha/Kanem nella zona centro-settentrionale (alleva-mento) e la regione Ouaddaï/Biltine a nordovest(allevamento e orticoltura). Il fatto che ci si con-centri sulle aree rurali non è affatto casuale poiché

l’85 percento della popolazione del Ciad vivenelle campagne.Nelle tre regioni i progetti si concentrano a lorovolta su tre campi di attività collegati tra loro:- L’economia in area rurale. La priorità è dataa una migliore gestione dell’agricoltura pastorale.- La formazione di base. Prioritaria è la forma-zione degli adulti (donne e uomini) e una scola-rizzazione dei bambini e delle bambine incentratasui bisogni che si manifestano a livello comunale.- La sanità di base. Questa deve essere miglio-rata con maggiori prestazioni di base da parte deicentri pubblici e il coinvolgimento diretto deicomuni nelle decisioni, nell’amministrazione e nelfinanziamento.

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Gli uomini hanno sempre visto la poligamia comeun fenomeno naturale, iscritto nel loro essere bio-logico. Tuttavia, volendo avanzare argomenti distampo naturalistico, sarebbe più opportuno difen-dere la poliandria: infatti, se le capacità sessuali del-l’uomo sono limitate, quelle della donna sono infi-nite. Vi è però anche chi tenta invece di spiegare ilfenomeno poligamico riferendosi all’economia: nellesocietà rurali, un numero maggiore di mogli e di figliequivale ad altrettante braccia in più per lavorare laterra.Lungi dall’essere naturale o puramente economico,il fenomeno della poligamia è culturale ed è per dipiù connotato da aspetti religiosi. Prima della diffu-sione delle religioni monoteiste, la poligamia era unfatto comune nelle società animiste. Gli uomini ne-cessitavano di molte mogli per avere aiuto nei lavo-ri campestri, per allargare la famiglia o il clan, per as-sicurarsi delle alleanze, per garantire la successionedinastica o per altri motivi. Il fatto di avere moltemogli rappresentava un importante capitale. Essodava accesso alle ricchezze, aumentava il peso socialee politico della famiglia o del clan, e fruttava al capodella famiglia o del clan una maggiore considerazio-ne. Situazioni di questo tipo si riscontrano tuttoranelle società animiste del Ciad e altrove.

Dovere di equitàLa poligamia è un fenomeno preislamico largamen-te diffuso nelle società arabe e africane. L’islam si èsforzato di regolamentarlo e di circoscriverlo: in pri-mo luogo, limitando il numero delle mogli legitti-me e, in secondo luogo, decretando delle condizio-ni sociali e materiali severe che il poligamo è chia-mato a rispettare. Così, ogni musulmano con piùmogli deve tassativamente offrire a ognuna di essele stesse condizioni di vita, la stessa attenzione e lostesso affetto. Il Corano sottolinea questo dovere diequità e aggiunge: «ma se temete di non essere equi,prendete una sola moglie».In ogni epoca le donne hanno lottato contro la po-ligamia con tutti i mezzi a loro disposizione e spin-gendosi talvolta fino all’omicidio della rivale. Oggimilitano in seno alle associazioni femminili e la loroazione ha indotto alcuni paesi a decretare misure le-gali per vietare o limitare questo fenomeno. Infatti,la poligamia continua a essere praticata legalmentein forme diverse nella maggior parte dei paesi delMaghreb, del Medio Oriente e d’Africa.

Poligami in cittàCome è per esempio il caso in Ciad. Nelle città ipoligami si trovano soprattutto negli ambienti agia-ti. Solo gli uomini ricchi possono infatti permetter-si il lusso di sovvenire ai bisogni di molte mogli chenon lavorano. Nelle campagne, per contro, anche i

poveri sono frequentemente poligami, e questo per-ché le donne contribuiscono al reddito famigliaremediante il loro lavoro. Inoltre, la poligamia con-sente alle donne di ripartire tra di loro gli innume-revoli lavori agricoli e domestici. Il primo matri-monio è spesso concordato tra le famiglie quando ilragazzo è ancora giovane; avanzando negli anni, eglidesidera sposarsi di nuovo, ma questa volta com-piendo la sua propria scelta.In alcuni paesi del Maghreb che seguono il model-lo occidentale la poligamia è giudicata dalla giova-ne generazione come un anacronismo. Le societàevolvono, il divorzio è legalizzato, le donne inco-minciano ad acquisire la loro indipendenza econo-mica, e i costumi diventano più liberi.Un medico ha svolto nel Niger un’indagine tra uncentinaio di giovani ragazzi e ragazze. Ne emergeche una minoranza è contraria alla poligamia per leragioni seguenti: le rivalità tra le donne rendono in-vivibile la vita in famiglia, la situazione materialesempre più difficile non permette di mantenere di-verse donne, nei ménages poligami è difficile edu-care bene i figli e ciò li espone maggiormente al pe-ricolo della delinquenza.

Un marito di legnoAlcune donne vedono nella poligamia una garanziacontro i pericoli e le aggressioni della vita quotidia-na. Esse ritengono che solo un marito, anche se po-ligamo, possa assicurare alla donna la protezione dicui necessita. Come testimonia questo proverbio:«meglio un marito di legno che nessun marito». Altrifautori della poligamia pretendono invece che que-sto modello di convivenza assicuri una vita sessualepiù inquadrata, più ordinata, più legittima sul pianoreligioso. Un argomento che nell’era dell’AIDS riac-quista attualità.In Africa la poligamia cela spesso delle situazioni disfruttamento nei confronti delle donne. Poco istrui-te, assenti dalle grandi decisioni del paese, esse fati-cano a concepire la loro vita in un altro modo. Solooptando per una politica di promozione sociale edeconomica delle donne, esse potranno assumere ap-pieno il loro ruolo sia nella sfera famigliare che nellavita pubblica. Questa promozione passa per la sco-larizzazione delle ragazze e la formazione.

(Dal francese)

Mahamat AzarackMahamat è nato nel1971 a N’Djamena doveha trascorso la suagioventù. È laureato inmanagement eattualmente frequentail quarto semestre dieconomia pressol’Università di N’Djamena.

La poligamia resiste all’usura del tempo

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L’opinione della DSC

A fine giugno Ginevra ospiterà una sessione specia-le dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con-sacrata all’analisi della situazione sociale nel mondocinque anni dopo il vertice sociale di Copenaghen.Dall’incontro, che avrà luogo a Ginevra su iniziati-va del nostro paese, si aspettano nuovi impulsi percancellare la povertà estrema e diminuire la disoc-cupazione.

La situazione è nota ed inaccettabile: benché la mag-gior parte degli abitanti del pianeta abbia approfit-tato dei progressi fatti da una quarantina d’anni aquesta parte, il divario fra ricchi e poveri non cessadi aumentare; a tutt’oggi, un quarto circa della po-polazione mondiale non può soddisfare le più fon-damentali esigenze di nutrimento, acqua potabile, as-sistenza sanitaria e educazione, e si vede nell’impos-sibilità di accedere a quel minimo che garantisce ladignità umana.

Il vertice sociale del 1995 aveva espresso la volontàdi correggere il tiro di uno sviluppo che privilegiale dimensioni economiche e finanziarie. Aveva per-messo di capire meglio che la povertà è soprattuttoconseguenza di una mancanza di potere, che essa im-pedisce l’accesso alle risorse produttive quali l’acqua,la terra, i crediti, i servizi governativi e le conoscenze.Queste risorse sono accaparrate da gruppi meglio or-ganizzati, meglio protetti, più forti. Una simile ana-lisi spiega anche perché sono le donne e le ragazzea soffrire maggiormente della povertà estrema.

Fedele agli obiettivi della sua legge sulla coopera-zione allo sviluppo, la Svizzera si è impegnata a fondoa Copenaghen, e ha fatto anche molto per la riu-nione di giugno. È stato il nostro paese a prenderel’iniziativa di accogliere questa riunione a Ginevra,con l’obiettivo di facilitare la partecipazione di tuttigli attori: economia privata, governi, società civile,ricercatori, sindacati.

Attendiamo quest’incontro con molta impazienza.Si tratta, per prima cosa, di potenziare l’impegno ditutti i partecipanti, affinché si dia una continuità e sirafforzino gli sforzi profusi a partire dal 1995.Copenaghen ha provocato un riesame delle politi-che di sviluppo, affinché siano più precise ed effica-ci nel loro sostegno ai più poveri. Ma ciò non è an-cora sufficiente.

Attendiamo anche un approfondimento della rifles-sione e degli scambi in materia di creazione di postidi lavori. La disoccupazione di centinaia di milionidi persone nel mondo, soprattutto giovani con unaformazione, è un enorme spreco economico. Piùgrave ancora, è un attacco alla dignità della personache può avere conseguenze psicologiche e socialimolto negative. Da tutte le parti sono stati fatti moltisforzi per creare posti di lavoro, per esempio dallacooperazione svizzera, ma senza una vera strategiainternazionale che tragga degli insegnamenti dalleesperienze fatte. La riunione di Ginevra dovrebbeporre le basi di un’azione comune più efficace inquest’ambito.

Jean-François GiovanniniDirettore supplente della DSC(Dal francese)

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Vertice sociale di GinevraAndare oltre Copenaghen

Il terzo volume dellacollana di scritti sullapolitica di sviluppo, editodalla DSC e appenaapparso, è dedicato allapolitica della DSC per unosviluppo sociale. Il volumeospita contributi di diversiautori e autrici «Von derSchwierigkeit, die Armutin der Welt zu beseitigen»è ottenibile in tedesco,francese, inglese espagnolo. Il volume puòessere ordinato conl’apposito tagliando chetrovate sul retro di coper-tina.

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La Svizzera orienta in modo nuovo il suo sostegno alMadagascar. Dopo una collaborazione trentennale con il go-verno, lavorerà ormai soltanto con gli attori della società civile,nell’ambito di un Programma di sviluppo rurale (PSR) che pren-derà il via il 1o gennaio del 2001.

(jls) Questo cambiamento di rotta era già stato anti-cipato nel 1995, al termine di una valutazione chefece emergere un bilancio mitigato della collabora-zione con le strutture statali. Da allora la DSC ha pri-vilegiato i partner non governativi. Fino al 1997 hatuttavia mantenuto un partenariato con il Ministerodei lavori pubblici per la ricostruzione di diverse stra-de. Ma questo programma è stato interrotto in se-guito all’assassinio del suo responsabile, l’ingegnereurano Walter Arnold.Nonostante i molteplici interventi della Svizzera, lagiustizia malgascia non è mai stata in grado di far lucesu questo crimine. «La mancanza di trasparenza cheha caratterizzato l’inchiesta ha accelerato il proces-so di riflessione concernente il cambiamento di rottadegli aiuti», indica Gerhard Siegfried, incaricato deiprogrammi in seno alla DSC. Un altro elemento haalimentato la riflessione: «Fino ad oggi il governomalgascio non ha dimostrato una vera volontà di mi-gliorare la sorte delle popolazioni. Inoltre ha moltedifficoltà a mettere in atto delle strategie convincentidi lotta alla povertà che affligge i tre quarti della po-polazione.»Il verdetto è stato pronunciato il 18 settembre 1998:la direzione della DSC ha deciso di chiudere nel2000 il suo ufficio di coordinamento d’Antanana-rivo, di stralciare il Madagascar dalla lista dei cosid-detti paesi di concentrazione e di mettere in atto, apartire dal 2001, un programma ridotto orientato alla lotta contro la povertà nelle zone rurali. Dotatodi 7 milioni di franchi l’anno, il programma disviluppo sarà gestito dalla fondazione svizzera Inter-cooperation, e si concentrerà sulle regioni dell’ Ime-rina, del Betsileo e del Menabe.

Un sostegno alle dinamiche localiNel Madagascar la povertà non fa che aumentare.La frode fiscale e la corruzione hanno effetti deva-stanti sulle entrate pubbliche. In mancanza dei mezzinecessari, lo Stato non è praticamente più in gradodi garantire alla popolazione i servizi di base, comela sicurezza, l’educazione, le cure mediche o i tra-sporti. Quest’inerzia dell’apparato statale ha co-munque avuto almeno un aspetto positivo: «Un po’dappertutto nelle campagne sono sorte dinamiche

locali. Le persone hanno iniziato a prendere il de-stino nelle proprie mani, con sorprendente deter-minazione», costata Gerhard Siegfried.Il PSR intende offrire un sostegno a questi movi-menti nei settori tradizionalmente coperti dalla DSCnel Madagascar: l’acqua potabile, la sanità, la gestionedelle risorse naturali, la produzione agricola e la co-municazione rurale.Ma il programma di sviluppo rurale interverrà sol-tanto come risposta alle richieste pervenute dallabase. Dei comitati regionali esamineranno le richie-ste di aiuti formulati dagli attori locali, verificheran-no se corrispondono agli obiettivi strategici del pro-gramma e decideranno se entrare in materia oppu-re no.Il filtraggio sarà piuttosto severo, giacché il PSR haambizioni che vanno ben al di là del semplice fi-nanziamento di piccoli progetti: «Non vogliamo ri-pristinare un dispensario qui, scavare un pozzo là…Il programma finirebbe per essere atomizzato incentinaia di microattività sconclusionate. Al contra-rio, il PSR deve avere un impatto sullo sviluppo ru-rale di tutta la regione. Il suo obiettivo è quello diconsolidare la società civile, in modo da offrire allepopolazioni rurali la possibilità di assumere il con-trollo del loro sviluppo economico e sociale.»Per ottenere un finanziamento, i contadini dovran-no tenere conto dei principî al centro del PSR.Qualche esempio: l’azione appoggiata dovrà avereun impatto positivo sull’ambiente, includere i grup-pi più deboli (segnatamente le donne), essere su-scettibile di sviluppo e offrire una garanzia per le ge-nerazioni future. D’altro canto, il PSR non pren-derà in considerazione che le richieste che sarannostate oggetto di una lunga consultazione locale fratutti gli interessati, dai contadini al sindaco. Infine,i contadini saranno tenuti a partecipare ai costi delprogetto – maniera, questa, di manifestare il loro im-pegno. Il contributo potrà essere versato in contan-ti, in natura o in lavoro.

Responsabilità da assumereUna volta accettata la richiesta, il PSR metterà i con-tadini in contatto con i prestatori di servizi. Può trat-tarsi di artigiani, o di piccoli imprenditori locali se il

Nuova rotta nel Madagascar

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Povertà allarmanteNonostante una leggeraripresa economica fattaregistrare dal 1994, nelMadagascar la situazionesociale continua adegradarsi. Fra il 1960 ed il 1998, la povertà è progredita del 35percento. In vent’anni iltasso d’accesso ai servizisanitari è regredito dal 65al 35 percento, e durantegli ultimi quindici anni leentrate delle economiedomestiche sonodiminuite di quasi la metà.

Programma di svilupporurale (PSR)Il PSR è dotato di unastruttura decentralizzata.In ogni regione, uncoordinamento regionalegestisce il programma, un comitato d’attribuzionestatuisce sulle richiested’aiuto, e un comitatotecnico si esprime sullaloro fattibilità. Ad Antananarivo, il comi-tato di pilotaggio definiscei maggiori orientamentistrategici, e il coordina-mento nazionale è acapo dell’insieme delprogramma.

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progetto è di natura tecnica. Al contrario, ci si ap-pellerà ad organizzazioni non governative (ONG)se l’azione è di carattere sociale. Il PSR cercherà dimettere in concorrenza i differenti prestatori. Potràaltresì fornire loro un sostegno volto a migliorare laloro offerta.Il PSR darà anche molta importanza al principiodell’empowerment. Di conseguenza i contadini sa-ranno i coordinatori, e si assumeranno l’intera re-sponsabilità, del progetto. Dovranno conferire imandati ai prestatori, controllare l’esecuzione dei la-vori e pagare infine le fatture con il denaro che

avranno ricevuto direttamente dal PSR. In unprimo tempo questo schema rischia di essere di dif-ficile attuazione. «Nei villaggi, le persone sufficien-temente formate per tenere una contabilità, gestiredei contratti ed effettuare transazioni finanziare sonorare. Ecco perché prevediamo di accompagnarle fintanto che non avranno acquisito le competenze ne-cessarie», aggiunge Gerhard Siegfried.

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G i o r n a l i s t i p e r l ’ A l b a n i aI media elettronici sono di moda: in Albania vi sono oggi 41 sta-zioni radio locali che rappresentano il maggior veicolo d’infor-mazione per una grossa fetta della popolazione. Un progettodella DSC promuove la formazione di giornalisti.

(gn) La maggior parte di loro è giovane, piena d’en-tusiasmo e di voglia di fare. Vive a Tirana, in cittàdi provincia e in piccoli paesini. E fa della radio.Attraverso i nuovi media, giovani giornaliste e gior-nalisti, il più delle volte senza esperienza né forma-zione adeguata, cercano di dare un volto alla nuovalibertà.È da qui che parte un progetto avviato dalla Svizzeranel 1999 in collaborazione con l’Istituto albanese peri media: in occasione di tre corsi semestrali vengonoformati 45 giornalisti radiofonici provenienti da ogniangolo dell’Albania. La preparazione è consapevol-mente orientata alla pratica, e trasmette sia cognizio-ni di base di giornalismo che know-how per la crea-zione di produzioni specificatamente radiofoniche(tecniche d’intervista, preparazione di reportage).

Il sapere trasmesso si diffondeDurante la formazione ci si esercita nello studio ra-diofonico di Tirana, equipaggiato con strumenta-zione digitale. Gli studenti imparano però anche ilclassico montaggio analogico che prevale tutt’ogginegli studi radiofonici locali. «Spesso nelle loro sta-

zioni radiofoniche i giornalisti devono lavorare conapparecchiature semplici e non professionali. Perciò,durante la formazione imparano anche come pro-durre il massimo lavorando in simili condizioni», af-ferma Paolo Bertossa, giornalista televisivo ticinesee direttore del progetto. Davanti ad uno sviluppocosì rapido e ai prezzi relativamente bassi degli equi-paggiamenti radiofonici digitali, Paolo Bertossa siaspetta che in poco tempo molte stazioni radio la-voreranno con il digitale e disporranno di un allac-ciamento ad Internet. L’uso di Internet è perciò parteintegrante della formazione.All’inizio di febbraio è terminato il secondo corso.In aprile è iniziato l’ultimo corso nell’ambito di que-sto progetto. Nel frattempo, i diplomati del primocorso hanno già potuto mettere in pratica quanto im-parato, e – come rivelano alcuni sondaggi – hannoanche trasmesso ai colleghi le loro nuove nozioni.Affinché in Albania la formazione di giornalisti abbiaun futuro, nell’ambito di questo progetto parallela-mente alla formazione di base otto giornalisti alba-nesi con una certa esperienza ricevono anche unaformazione come tutori.

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Il Dr. Hans Keller, ambasciatore, è morto il 14 di-cembre 1999 all’età di 91 anni. Fu lui il primo diret-tore dei «Servizi tecnici», creati 39 anni fa nell’ambi-to del Dipartimento politico federale; tale servizio èda considerare all’origine dell’attuale Direzione dellosviluppo e della cooperazione (DSC), in seno al DFAE.Sino a pochi giorni prima della sua morte, Hans Kellerha attivamente partecipato al processo evolutivo dellaDSC. Amava ricordare, con orgoglio, i giorni in cuiaveva iniziato, con a fianco due soli collaboratori, ilsuo lavoro. Un impegno che aveva affrontato con pas-sione, restandone poi per sempre appagato.Hans Keller percorse un cammino professionale par-ticolarmente variato in qualità di giornalista e rappre-sentante della Centrale svizzera per il promuovimen-to del commercio nella Slovacchia, dove ebbe mododi organizzare l’esportazione di legname in Svizzera edove, durante la seconda guerra mondiale, si impegnòin difesa dei profughi ebrei. Successivamente, fu a dis-posizione della Divisione di Commercio (in seguitodenominata UFEE) per poi entrare in diplomazia, fral’altro quale direttore dei succitati «Servizi tecnici».Ambasciatore in Cina, dove fu amico personale diChou En-lai, ed in Iugoslavia, seppe tutelare in ma-niera intensa gli interessi del nostro Paese. Anche dopoil suo pensionamento, Keller si impegnò per la realiz-zazione di relazioni bilaterali, come solo un pragma-tico con il senso del fattibile sa fare, ed in qualità dicreativo promotore di molte iniziative.I suoi racconti restano indimenticabili, così come il suooperare. La sua passione per la caccia, quale partnerpreferito del presidente Tito, il suo interesse per i paesie per i popoli e la sua modestia restano edificante ri-cordo. Per le sue visite e soprattutto per i consigli cheHans Keller mi ha generosamente dato, gli sarò persempre riconoscente.

Il Dr. August Lindt, ambasciatore, ci ha lasciati il 14aprile 2000, all’età di 95 anni. Alla sua vita ed alle sueattività molti giornali hanno di recente dedicato ono-revoli commenti. Il suo ricordo resta indelebile in tuttinoi, non soltanto in qualità di delegato del CICR, diAlto commissario dell’ONU per i rifugiati e di am-basciatore a Nuova Delhi, Mosca e Washington, bensìanche quale primo Delegato del Consiglio federale perla cooperazione tecnica.Il Dr. August Lindt ha dato continuità all’opera delDr. Hans Keller. Durante questo periodo hanno sos-tanzialmente avuto luogo le realizzazioni che hannoportato la DSC ad essere quella che è oggi. AugustLindt ha concretizzato con la sua inesauribile energiacreativa l’aiuto svizzero all’estero dando vita alla tra-dizione umanitaria e di solidarietà svizzera. Anch’egli,ha sempre mostrato vivace interesse al divenire dellaDSC, fornendoci, durante discussioni indimenticabi-li, motivazioni per gli impegni futuri. Molti fra i nos-tri collaboratori e collaboratrici, ancora attivi o in pen-sione, ricorderanno il suo impegno e la sua persona-lità con grande riconoscenza.Il nostro Paese, nel breve volgere di pochi mesi, haperduto due dei sei direttori che fino ad oggi hannopilotato la Cooperazione svizzera allo sviluppo. Manon andranno perse le loro opere. Entrambi furonopionieri nel significato più vero della parola e per ques-to saremo loro eternamente grati. Il loro lavoro è statoil fondamento di quella che è oggi la nostra Coopera-zione a livello internazionale che, accanto alla Coope-razione allo sviluppo contempla anche l’Aiuto uma-nitario e la Cooperazione con l’Europa dell’Est.

Walter Fustdirettore della DSC(Dal tedesco)

In memoria del Dr. Hans Keller e del Dr. August Lindt

Due pionieri della cooperazione svizzera allo sviluppo

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Gli afro-pessimisti parlano di un continente in via di perdizione,esposto ad ogni genere di catastrofi. Gli afro-ottimisti sonoinvece convinti che l’Africa rinascerà grazie alle sue innegabilicapacità. Tre esperti d’Africa ci parleranno del futuro di questocontinente: Ndioro Ndiaye, senegalese e direttrice generaleaggiunta dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni(OIM), Laurent Monnier, svizzero, incaricato di corsi pressol’Istituto universitario di studi per lo sviluppo (IUED), ed EdgardGnansounou, del Benin presidente di «Imaginer et Construirel’Afrique de Demain» (ICAD). Il dibattito è stato moderato daJane-Lise Schneeberger.

Un solo mondo: Qual è il futuro dell’Africa?

Edgard Gnansounou: Sono decisamente ottimista.Uno dei principali jolly dell’Africa è costituito dallagiovinezza della sua popolazione. La situazione attualenon può che migliorare. Inoltre, l’Africa si giova diuna situazione tecnologica che tende irresistibilmen-te verso la decentralizzazione. Internet, la telefoniamobile, le radio... Tutto ciò rappresenta una rivolu-zione culturale che faciliterà la definitiva uscita delcontinente dal suo isolamento.

Laurent Monnier: Per poter stilare accettabili pro-nostici sul futuro è necessario tener conto della sto-ria dell’Africa. Questo continente ha subìto, in spie-tata cadenza, gli anni dello schiavismo, della coloniz-zazione e della guerra fredda. La sua vera liberazioneè giunta appena a metà degli anni 90, con l’abroga-zione dell’apartheid. Al momento attuale, è in corsouna specie di risistemazione generalizzata. L’Africa stain un certo qual modo digerendo il dominio che ve-niva da fuori, e ciò porta a volte a violenze estreme.Una cosa appare sicura: l’equilibrio che essa finirà pertrovare non sarà certo dettato dall’esterno.

Ndioro Ndiaye: In quanto africana, non posso certopermettermi di non essere ottimista. L’Africa può di-venire, su tempi lunghi, un polo d’interesse mondia-le. Malgrado le devastazioni dell’aids, questo conti-

nente abbonda di risorse umane giovani, istruite,creative e capaci di dare un grande impulso allo svi-luppo. Il sottosuolo è ricchissimo, la terra fertile. Ciònonostante, lo sviluppo è impedito da guerre fratri-cide, dal settarismo, dall’autoritarismo, dal cattivo go-verno e dagli interessi personali dei dirigenti.

Gnansounou: Il libero sviluppo della creatività deipopoli è stato troppo a lungo imbrigliato dall’affermarsidi poteri autoritari. I modelli economici imposti dall’esterno hanno frenato l’elaborazione di proprie idee.Politicamente l’Africa non è ancora del tutto libera.Si dovrà dare alla democrazia un contenuto che sia piùvicino alla gente. Accontentarsi di eleggere un presi-dente e dei deputati che legiferano nella capitale, si-gnifica accettare un tipo di democrazia molto limita-to. Una democrazia adattata alla cultura africana dovrànecessariamente essere molto decentralizzata e realiz-zata maggiormente a livello locale, per la ricerca delconsenso, l’intesa e la tolleranza. I paesi africani do-vranno sviluppare un loro proprio progetto di società,sfruttando al massimo il retaggio delle loro culture.

Un solo mondo: Certi valori culturali ritenuti im-permeabili agli attacchi del modernismo potrebberocostituire un impedimento allo sviluppo?

Gnansounou: La cultura può anche rivelarsi un im-pedimento, qualora lo sviluppo sia percepito come un

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Africa, l’inizio di un nuovo orgoglio

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fattore proveniente dall’esterno, in quanto si puòsupporre che la cultura debba adattarsi al modello. Mase lo sviluppo è teso alla ricerca della vera realizza-zione dei popoli, allora si dovrà piuttosto adattare ilmodello ai valori culturali esistenti.

Monnier: Le culture africane sono molto forti, mahanno comunque la capacità di integrare tutto ciò cheesse considerano interessante. Lo scrittore congoleseTchicaya U Tam’Si ha definito questa forza cultura-le nel paragone tra l’Africa ed una canna. Sottopostaalla violenza di tempeste quali lo schiavismo e la co-lonizzazione, la canna-africa si è piegata. Passato ilvento, ha saputo raddrizzarsi. Lo stesso sta succeden-do in questi anni. Il 1994 ha posto fine all’ultima fasedella colonizzazione. L’Africa non è più piegata: edè l’inizio di un nuovo orgoglio.

Ndiaye: La ricchezza culturale dell’Africa dovrebbeessere considerata un fattore estremamente positivo.Tuttavia, è proprio di essa – quando si esprime nelledifferenze etniche, razziali o religiose – che politicisenza scrupoli abusano di frequente per mantenersi alpotere. Non importa che la cultura sia un bene in-trinseco, comune a tutti gli africani, siano essi Peuls,Bambaras o Wolofs. Su questa base vanno ad inne-starsi certi punti di vantaggio quali l’istruzione, che èanche molto importante. Se la gente non è in gradodi decodificare i messaggi che vengono da chi li am-

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ministra, essa non potrà fornire una corretta parteci-pazione.

Un solo mondo: Una volta raggiunto un certo gradod’istruzione, molti sono gli africani che abbandonanoi loro paesi per stabilirsi in Europa o negli Stati Uniti.È possibile porre un freno a questa fuga di cervelli?

Ndiaye: Le migrazioni contribuiscono a produttiviscambi tra popoli differenti e ad un arricchimento re-ciproco. Esse sono però solo benefiche quando è pos-sibile invertire la tendenza della cosiddetta fuga di cer-velli. A nessun paese è consentito un vero sviluppose il 35 percento delle sue menti pensanti si trova all’estero. L’Organizzazione mondiale per le migrazio-ni incoraggia il ritorno volontario in patria degli afri-cani, siano essi istruiti o meno. L’intento è quello difar beneficiare i singoli paesi d’origine delle cono-scenze e competenze acquisite all’estero. Purtroppo,i paesi africani non si preoccupano di creare possibi-lità di lavoro, ed il rischio è che coloro che hannofatto ritorno prendano di nuovo, dopo pochi mesi, lavia dell’emigrazione.

Gnansounou: Credo sia ora di finirla con la demo-nizzazione dell’emigrazione. Nell’epoca della mon-dializzazione, non si può certo rimproverare un afri-cano, che vive male nel suo paese, per il suo deside-rio di andarsene. Ci sono paesi, come gli Stati uniti,

L’élite nera ed ilsoccorritore biancoLa sociologa cameruneseAxelle Kabou ha suscitatogrande scalpore con ilsuo «Et si l’Afriquerefusait le développe-ment?» (edito anche intedesco, con il titolo:«Weder arm noch ohn-mächtig: eine Streitschriftgegen schwarze Elitenund weisse Helfer», LenosVerlag, 1995), un libro cheha infranto un tabù. Inesso l’autrice critica gliafricani: sarebbero lorostessi i colpevoli delmancato progresso deiloro paesi, in quantoconsiderano la tecnicacome qualcosa di estra-neo e minaccioso. Lareazione degli intellettualid’Africa: valanghe diinsulti ad Axelle Kabou.Per contro, le tesi dellasociologa non sononemmeno state recepitenei paesi anglofonidell’Africa.

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che sono divenuti tali grazie all’immigrazione. Credosia più appropriato pensare a tale fenomeno come adun vettore di scambi culturali ed economici favorevoliall’Africa. Tutto ciò mi sembra ben più importante cheil volere a tutti i costi il ritorno dei «cervelli».

Un solo mondo: L’Africa ha tratto largo beneficiodall’aiuto dei paesi del Nord del mondo, restando peròmolto povera. La politica di cooperazione allo svi-luppo è fallita?

Monnier: È sbagliato pensare che sia la cooperazio-ne allo sviluppo a determinare lo sviluppo. Gli euro-pei non cambieranno nulla nel futuro dell’Africa. Misembra esserci una specie di tranello nel termine «svi-luppo». Cosa si intende per sviluppo? Civilizzazio-ne? L’Africa sa bene ciò che vuole. Che la si lasci inpace! Per troppo tempo si è cercato di spiegarle ciòche doveva fare.

Ndiaye: Anche se l’ideologia della cooperazione tro-vasse adeguata giustificazione, gli apporti di cui l’Africaha beneficiato, senza grandi successi, non sarebberoche temporanei. Questo continente dovrà affidarsi allesue capacità. D’altra parte, quel tipo d’aiuto non è dicerto ingenuo. A beneficiarne non sono solo i dona-ti, ma anche i donatori, visto che il denaro finisce pertornare al suo luogo d’origine. Bisogna smetterla diconsiderare gli africani come dei bambini eterna-mente bisognosi e trattarli finalmente come veri e pro-pri partner. È ormai cosa nota che l’Africa ha saputoprodurre imprenditori di grande valore, gente capa-ce di comprendere gli idiomi dell’economia.

Gnansounou: L’Africa ha bisogno d’aiuto. Si do-vranno effettuare investimenti nei settori della for-mazione, della sanità e delle infrastrutture. Qualoragli africani dovessero contare soltanto sulle loro risorseinterne, tutto ciò richiederebbe troppo tempo.Approvo dunque quanto si potrà fare per incremen-tare le potenzialità e le capacità africane. Si può ad

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esempio pensare ad una forma di sovvenzione deicosti di trasporto, intesa a facilitare le esportazioni diprodotti africani verso paesi più ricchi. È noto adesempio che tali costi, nel caso dell’ananas della Costad’Avorio, ammontano ad oltre la metà del prezzo cheil prodotto ha sul mercato all’ingrosso svizzero.

(Dal francese)

«Le immagini che glieuropei si fanno delcontinente nero contra-stano tra di loro in manieramolto significativa.L’Africa, come ogni mon-do a noi estraneo, ha unsenso che appartiene soloa lei. Un senso che saràsempre incomprensibilese misurato con il metroeuropeo. E forse èdavvero bene che siacosì.»Wolfgang Kunath, permolti anni corrispondenteda Nairobi.

«Il problema è che ibianchi si approccianoagli africani con unaquantità di aspettativee di richieste, e noi nonsappiamo mai di quantosiano disposti ad incari-carsi loro (...)Fortunatamente l’Africaè refrattaria a tutte questebelle cose che noi abbia-mo saputo imporle.Forse esiste addirittura lapossibilità che ci riesca,grazie alle esperienze fattein questo conti-nente, dicambiare opinione. Che anoi riesca di prendere ciòcome uno stimolo perarrivare a domandarcicome mai il nostrosistema in Africa nonfunziona.»Dominik Langenbacher,ex coordinatore-ONU perla Somalia; vive a Nairobi.

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Charles-Henri Favrod,giornalista e scrittore, haviaggiato a lungo in Africa,anche durante il passatocoloniale del continente.Autore di diversi libri, fra iquali «Le poids del’Afrique» (1958),«L’Afrique seule» (1961) e«La révolution algérienne»(1959), è anche statoall’origine della collana«L’Atlas des Voyages»(Rencontre) e di«L’Encyclopédie dumonde actuel» (Hachette).Inoltre, nei film che haprodotto per il cinema e latelevisione, si èfrequentemente occupatodella nuova Africaindipendente. Esperto instoria della fotografia,Charles-Henri Favrod hadiretto il Musée del’Élysée di Losanna dal1985 al 1995. Favrod simostra preoccupato dalmodo in cui è statafotografata l’Africa.«Prima ancora che essaabbia iniziato afotografarsi di propriainiziativa, così come essafa oggi, in manierasuperba», puntualizzal’esperto.

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Carta bianca

Da Dakar a G i b u t iAll’inizio degli anni 50, due decennidopo l’etnologo francese MarcelGriaule, ho ripercorso – sulle traccedi quella sua spedizione, e con nellemani il diario di viaggio scritto daMichel Leiris – il cammino che daDakar porta a Gibuti. Il titolo di queldiario, L’Afrique fantôme, sintetizza inmodo adeguato la sconcertantestranezza di un continente che sisottrae proprio nel momento in cuiappare più pronto a donare sé stesso.Ciò che inizialmente si accetta comeevidente, ben presto si dimostracomplesso e poi incomprensibile. Cisi dovrà accontentare dell’enigma ecercare interpretazioni checonsentano di ritrovare il verosimile,per ricominciare tuttavia a dubitaredi ciò che avevamo creduto di avercapito.

Entrati da un capo della nassaafricana, si è costretti a marciare peruscirne dall’altro. Quanti chilometrifossero, non sono mai stato capace dicalcolarlo con accettabile precisione.Non più di qualche giorno, e ditanto in tanto, l’aereo riprendevaslancio e, così come il colpo ditallone del nuotatore immersonell’acqua, consentiva di venire insuperficie e di fare un bilancio.L’aereo locale saltellava da un postoall’altro. Non si trattava certo di unodi quei giganti alati delle lunghedistanze che lasciano l’Africa dicolpo, filando verso l’Europa degliaffari, delle vacanze, delle famiglie.

Del resto, viaggiavo quasi sempre incamion: le mattine umide e brumose,le tortore, il calore ballerino delmezzogiorno di fuoco, gli insettidella sera. Il sedile sfondato spaccava

le reni, i sobbalzi innescavano gli urtidel tetto della cabina, ed il motorerovente ti arrostiva i piedi, leginocchia, il viso. La mercanzia checi portavamo dietro aveva il peso ditutto questo continente. Carichi dimais, di palmisti, di cotone, di fibre.Quelle lunghe matasse gialle di juta,raccolte nei mercati paesani accantoalle bilance, in prossimità deirappresentanti dell’amministrazione.Attorno alla cotonina variopinta, chesi vendeva facile a pezze lunghe trebraccia, o accanto a quella carneaffumicata, pelle e ossa annerite.A quei tempi si trovavano ancorabiglietti da cinque franchi con lascritta «Afrique française libre».

Durante le soste gli autisti facevanoscaldare l’atanga, una specie diprugne amare il cui infuso eraottenuto con l’immersione di unabacchetta nell’acqua del radiatore; avolte il listello cadeva, provocandodanni e avarie. Ma c’erano ancheuova in offerta, spesso di dubbiaqualità, perché le galline che ledeponevano ai bordi delle scarpatenon ci stampigliavano sopra la data.E c’erano pesci, tutta lisca, i celacantidi fiume, le banane verdi e lamanioca, l’acido prussico.

La strada si avvolge attorno aitronchi. L’ombra crea saponosepozzanghere di fango, ma nonappena il sole riesce a filtrare, allorainizia a turbinare la rossa polvere dilaterite, che dà a tutti un colore daMohicani. Riempire un buco dellastrada non dà mai garanzia perenne;come potrebbe altrimenti trarre ilsuo profitto l’improvvisato soccorsostradale del più vicino villaggio?

Quel villaggio dove poi si finì perdormire, perché il tornado cisbarrava il passaggio, con la sualiquida coltre di pioggia, o labatteria, esausta, non riusciva che adare luce intermittente ai fari.Stavamo per crollare dalla fatica, madovevamo ancora far fronte alrituale dell’accoglienza, la fraternità,la conversazione, lo scambio dinotizie. Per tutta l’Africa, ad ognisua latitudine, sul filo dei suoi corsid’acqua o nella polvere delle suepiste, sulle vaste spiagge e sull’ondadelle sue colline, nel profondo dellaforesta o nelle savane, una cavalcatadi visi che finivano per farci credereche questo mondo tanto vuotofosse anche troppo popolato. E lechiacchiere. Non dimenticherò maiquell’uomo tradito dalla moglie: sene stava davanti al suo capo, lamoglie piangente alle sue spalle, elui con in mano un biglietto sulquale erano annotate le ingiurie alsuo onore coniugale. Vi ho letto tral’altro: «Un gallo, da me acquistatoe venduto da mia moglie al suoamante, 400 franchi.»

Un continente in cui la curiositànon si attenua mai. In questo senso,nulla è cambiato. L’Africa haconservato la sua attitudine asorprendere, iniziando proprio dallasua capacità d’espressione e, adispetto delle disgrazie cheseguitano a colpirla, dalla suamusica, un campo nel quale eccelle,se è vero che tutto il mondo non faormai che danzare sulla traccia diritmi che vengono dall’Africa.

(Dal francese)

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«Con il nostro festival vorremmocreare dei momenti d’incontroper tutti i gruppi sociali e nonuna manifestazione per la genteistruita e facoltosa di Bamako.Qui da noi la persona qualificataè seduta accanto alla persona nonqualificata, priva di formazionescolastica e senza conoscenze delfrancese. Ciò che conta è ilvissuto comune. L’effetto disimili comunanze potrebbeanche perdurare oltre la seratapassata a teatro», dice AdamaTraore, direttore del «4e Festivaldu Théâtre des Réalités».In Mali il teatro vanta una lungatradizione se si considera pure ilteatro popolare Koteba. Dasecoli il teatro-danza vieneutilizzato sia per intrattenere siaper istruire, e oggi è anche alservizio delle agenzie e delle ideedi sviluppo. «Già i re del passatolo sapevano: sentire è una bellacosa, ma se la gente sente e vede,allora il messaggio entra nellementi», spiega Adama Traore.Ma questo festival era dunque

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Per la quarta volta si è tenuto alla fine del 1999 a Bamako, in Mali, il «Festival duThéâtre des Réalités». La Svizzera ha sostenuto questo progetto di scambio desti-nato a trasmettere nuovi impulsi al teatro nel Sahel. Esso si è svolto all’insegnadi un motto dal doppio significato: «De l’oral aux cris», grida che possono es-sere intese come grida di gioia, ma anche come grida di aiuto. Jodok W. Kobelt*ha vissuto da vicino una settimana di danze, rullii di tamburi, storie e incontri.

dedicato alla cultura teatraletradizionale? Sì e no. Oltre aigruppi teatrali e di teatro-danzaprovenienti da alcune regioni delMali vi hanno partecipato ottogruppi teatrali del Senegal,d’Italia, di Francia, del BurkinaFaso e del Canada.La lingua usata sul palcoscenico èprevalentemente il francese. Maha un senso, questo, in un paesenel quale vive ufficialmente un80 percento di analfabeti? «Lacifra non va interpretata così»,spiega il giornalista e registaBoubacar Belco Diallo, «puòdarsi che le persone nonsappiano leggere la lettera latinaA, ma molte di esse sono forsestate alfabetizzate alla scuolacoranica – e perché questepersone non compaiono mainelle statistiche?». MarieFrançoise Balavoine, capostampadel festival, risponde con unadomanda: «Perché mai dellepersone che quotidianamenteseguono le telenovelas francesicapendo a malapena la lingua

non dovrebbero provare piaceredurante una serata teatrale?».Balavoine conosce l’Africa daanni: «In passato vendevopompe di calore per il Mali o il Senegal, ma mi accorgevo chela gente ha bisogno di altro chesolo di assicurare l’esistenza. Ha bisogno anche di intrat-tenimento. Ecco perché con leproduzioni ci spingiamo anchein quartieri abitati da personeche non possono permettersi il lusso di recarsi in città».

Raccontare vecchie storie in modo nuovoCortili scolastici e spazi per igiochi sono i palcoscenici diquartiere. Teloni da tenda alsuolo ne marcano il perimetro,impedendo che altre particelledell’onnipresente polvere rossadella terra del Mali salga nell’aria.Davanti a esse sono stese dellestuoie di paglia sulle quali unfolto gruppo di ragazzini eragazzine attendono con il lorocicaleccio l’entrata in scena degli

attori; dietro di loro si trovanogli adulti. Da quattro a sei vecchiriflettori illuminano sommaria-mente la scena. Qui qualcunosistema ancora rapidamente unapellicola colorata su un riflettore,mentre là si cheta la baruffa insor-ta in un gruppo di adolescenti.Lo spettacolo può incominciare.Per gli attori il lavoro è duro,soprattutto quando nelle pièces siintrecciano anche toni fini, piùdialogo che azione. «La gente siattende degli sketch rapidi, bur-leschi, come quelli che conosceper averli visti interpretati dagruppi teatrali che lavoranonell’ambito di una campagnaeducativa o di informazionerealizzata su mandato dello Stato.Ciò che noi offriamo è nuovoper queste persone», spiegaIldevert Meda del Burkina Faso,autore e regista di «L’amourd’une mère».I suoi attori devono parlaremolto forte, interpretare con lamassima intensità la loro parteper poter catturare l’attenzione

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della gente. «È più semplice segli spettatori scoprono nellanostra pièce delle storie che giàconoscono forse attraverso iracconti della loro nonna», diceMeda, «ecco perché noilavoriamo con queste storieallegoriche, i miti e le fiabe. Se lastoria appare nota, gli spettatorinon vogliono perdere il filoanche se non capiscono tutto.»Non tutti i pezzi vengonopresentati nei quartieri periferici.La produzione di «Les indépendan-tristes» della troupesenegalese «Les 7 Koûss» eratroppo carica di parole. L’azioneera incentrata sulla fuga di frontealla guerra civile, fuga che faincontrare sette personaggi inuna stazione. I binari sonoscomparsi. «Niente binari?Nessun problema! Il treno è la cosa più importante!» Perintrattenersi durante l’attesa essisi raccontano a vicenda dellestorie che, alla fine, culminano inaltrettante assurdità: «la fabbricadi candele non poteva piùprodurre, facendo rimanere tuttisenza corrente», oppure «l’eroe èstato così applaudito che tutti glianimali spaventati dal rumorehanno dovuto abbandonare il

paese». La guerra civile strappa ipasseggeri in attesa dalla lorodilettevole occupazione ed essimuoiono sotto una grandinata dipallottole. «Io sono africano – somorire», è stato messo in scenadal belga Jean-Claude Idee e,con le sue assurdità beckettiane e il peso assunto dal parlato, non sarebbe probabilmente statocapito in periferia.

Il «ben-avere»Tutt’altra forma è quellaelaborata dalla troupe italiana«Koron Tlé» di Milano con delleallieve e degli allievi della scuoladi teatro di Bamako: una misceladi spezzoni di frasi tolti dalla vitaquotidiana e raccontati in italia-no, francese e bambara. Quandola bionda italiana pronuncia inbambara la traduzione della frase«io ti amo» oppure «piantala dirompere!» la risata viene sponta-nea, e quando il vivace studentedi Bamako dice «io ti amo» tuttilo capiscono e applaudiscono.Dietro l’impegno culturale delgruppo teatrale si cela la registaSerena Sartori. Essa giudicaarrogante la tendenza che moltieuropei hanno di degradare lacultura africana a folclore: «Io

risposta che ritengo più validaè quella fornita da DanyKouyate, un regista del BurkinaFaso, il quale mi disse: voi ciavete inculcato questi complessidi fronte alla nostra stessa cultura.Ora aiutateci anche adabbatterli.»

* Jodok W. Kobelt è giornalistafreelance e lavora per Radio DRS e altri mass media.

(Dal tedesco)

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voglio contrastare quella perce-zione che noi abbiamo dell’Africa come terra di fame, guerree povertà. Chi collabora condegli artisti trova un’immensaricchezza, un orgoglio che vieneucciso con il presuntuososentimento della compassione.Un amico africano mi disse unavolta: voi possedete il ben-averema non il ben-essere, voi euro-pei capirete forse noi africanisolo quando capirete che lenostre anime sono più affamatedei nostri corpi. In questomomento gli europei vivono a tutti i livelli in un vuotoesistenziale. Perciò non abbiamoil diritto di giudicare gli altri, dimisurare la loro cultura con inostri parametri.»E così si pone la domanda disapere se abbia un senso chel’Europa promuova sul pianoartistico e finanziario un festivalteatrale a Bamako. Non sussisteforse il pericolo che i buoniintenti di questo impegno sitraducano in una nuova forma di colonialismo culturale? SerenaSartori scrolla vivacemente ilcapo: «Questa domanda l’abbia-mo discussa anche noi con moltiartisti e intellettuali africani. La

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L’Africa è diversa......da quanto ci vogliono farcredere i notiziari. La vita inAfrica è anche gioia, orgoglio,colore. Mercati attivi, famigliesolidali, arti innovative. La DSCvuole attirare maggiormentel’attenzione su queste realtà.Essa sostiene perciòquest’anno varie manifestazioniculturali che contribuiscano adare risalto a questa altraAfrica. Per i particolari sirimanda alla rubrica «agenda»riportata sull’ultima pagina diquesto numero.

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Burundi intona a cappella illamento «Mana Yabjye» (Dovesei, mio Dio?) suscita emozionida far venire la pelle d’oca.«Donna Africa» (PeregrinaMusic/Musikvertrieb).

Globalizzazione e resistenzaUna volta ancora la collana«Widerspruch» presenta una qua-derno che non potrebbe essere dimaggiore attualità. In«Globalisierung und Widerstand»autrici e autori specializzatitrattano in modo talvolta contrad-dittorio, talvolta stimolante temiscottanti come: il libero mercato,i mercati finanziari e la tassaTobin, la migrazione alfemminile, il nazionalismo dellalocalizzazione economica, l’indu-stria farmaceutica e i sindacati,oppure le multinazionali agrarie ei brevetti sulla vita.«Globalisierung und Widerstand»costa 21 franchi, esce in tedesco e può essere ordinato presso:«Widerspruch», tel. 01 273 03 01,www.widerspruch.ch

L’altra Africa(gnt) La reporter di viaggi belgaLieve Joris descrive in modotanto minuzioso quantosoggettivo il suo incontro con ilSahel. L’inospitalità di questaregione dell’Africa è in nettocontrasto con la cordialità dellesue abitanti e dei suoi abitanti,mentre l’avarizia dei mezzi disussistenza lo è con lo splendoredelle capacità sociali della suagente. Traspaiono tuttavia anchele depravazioni e i lati oscurinonché le cause e le conseguenzedella leggendaria lentezzadell’Africa.

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La testa tra le nuvoleA Yaounde, capitale delCamerun, le condizioni sociali edeconomiche stanno degradanosempre più. Molta gente,comprese le persone istruite,sono costrette a guadagnarsi davivere con piccoli lavori saltuari.Il film «La tête dans les nuages»ci introduce al mondo delcosiddetto settore informale.Jean-Marie Téno dipinge unnitido ritratto delle condizioni divita, della volontà di sopravviveree della creatività della gente diYaounde. E lotta filmandocontro l’apatia, il cinismo e ildisprezzo per la vita che stannodiffondendosi nel suo paese.Jean-Marie Téno, Camerun, 1994,filmato documentario, 35 minuti.Versione francese: «La tête dans les nuages», Cinédia,tel. 026 426 34 30,[email protected] tedesca: «Mit dem Kopf inden Wolken» Fachstelle «Filme füreine Welt», tel. 031 398 20 88,www.filmeeinewelt.ch

L’Africa delle donne(er) Voci accattivanti,strumentaliste e compositricid’eccezione, frontaliere fratradizione e modernità chepresentano «una nuova Africa,l’Africa delle donne», e tuttoquesto condensato sul sampler«Donna Africa». La musicistatunisina Mouna Amari combinail liuto arabo oud con ilcontrabbasso europeo. Lanigeriana Yinka Davies collegacanti tradizionali arabo-tunisini emelodie yoruba con i ritmiindiani prodotti dalla tabla. Equando la principessa ruandeseFlorida Uwera esiliata in

Versione francese: Lieve Joris: «Mali blues et autres histoires» Actes Sud, 1999.Versione tedesca: Lieve Joris: «Mali Blues, ein afrikanischesTagebuch», Monaco di Baviera,Malik, 1998.

Lettera allaredazioneForni solari comealternativa(Cuochi indiani e fornelliPrimus in Sudafrica nelnumero 1/2000)L’alternativa ai fornellitradizionali, costruiti in mattonidi cotto e riscaldati a legna,non è rappresentata solo daifornelli elettrici o a gasolio,bensì anche dai forni solari.Questi permettono di cuocereal forno (e di cucinare) senzaspendere nulla per l’energia esenza inquinare l’aria. I modellipiccoli, destinati alla cucinafamigliare, possono addiritturaessere costruiti da sé. Lacucina solare più grande almondo è entrata in servizioalla fine del 1998 nell’ashramdi Brahmakumari a Mount Abunel Rajasthan, uno statodell’India settentrionale. Essapermette di cucinare ecuocere al forno con la solaenergia solare da due a trepasti caldi al giorno per oltre10 000 persone.Ulrich Oehler, ingegnerespecializzato in sviluppo,gruppo ULOG, Basilea

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NR. 1MÄRZ 2000DAS DEZA-MAGAZINFÜR ENTWICKLUNG UND ZUSAMMENARBEIT

Un seul mondeUn solo mondoEine Welt

Wasser – ohne internationaleZusammenarbeit und globalesManagement läuft nichts

Südafrika zwischen Widerspruchund Anspruch

Armutsbekämpfung in der Sackgasse

NO 3SEPTEMBRE 1999LE MAGAZINE DE LA DDCSUR LE DÉVELOPPEMENTET LA COOPÉRATION

Eine WeltUn solo mondoUn seul monde

Dix ans après la chute du Mur Nouvelle Europe – nouvelle

politique de développementUne analyse de la situation,

l’engagement suisse,une interview et une comparaison

NicaraguaRégulièrement frappé par des catastrophes, le pays ne se laisse pas abattre. Un portrait

Le troisième âge négligé ?Débat sur la vieillesse et

la coopération au développement

Dal 1998 la rivista della DSC è edita con una nuova imposta-zione di fondo ed una diversa veste grafica. Un sondaggiocondotto di recente dall’ufficio di consulenza per i mediaPublicom dimostra ora che «Eine Welt – Un seul monde – Unsolo mondo» ha raggiunto i principali obiettivi associati allanuova concezione: si sono trovati nuovi lettori e nuove lettrici,l’indice di gradimento è aumentato e la veste grafica modernaha reso la rivista più accattivante. Di René Grossenbacher*

Due anni fa la rivista della DSC «E+D» ha cambia-to nome diventando «Un solo mondo». Oltre alnome sono cambiate anche la veste grafica e la scel-ta dei temi. Inoltre la rivista esce ora quattro voltel’anno, anziché tre come in passato. La dittaPublicom, specializzata in consulenze per i media, hapertanto analizzato il giudizio che le lettrici e i let-tori danno oggi di «Un solo mondo». Il confrontoviene fatto con i risultati di uno studio svolto nel 1996per «E+D». Sono stati intervistati 600 abbonati e ab-bonate, scelti secondo criteri di rappresentatività nelletre regioni linguistiche. I risultati sono convincenti:la maggior parte delle innovazioni sono ritenute deimiglioramenti dalle persone intervistate.

Interessante e competente«Un solo mondo affronta temi interessanti, è di fa-cile comprensione e appare competente.» È questoil giudizio oltremodo positivo condiviso quasi all’unanimità dalle abbonate e dagli abbonati nelle treregioni linguistiche. Benché in generale si registri uninteresse abbastanza omogeneo per la maggior partedegli argomenti trattati dalla pubblicazione, alcunearee tematiche sono particolarmente apprezzate. Intesta alla classifica figurano gli argomenti di caratte-re generale inerenti all’economia, alla formazione,all’ambiente e al sistema politico, nonché ai proget-ti svizzeri di sviluppo. Nove persone intervistate sudieci si interessano sia alle tematiche legate alla po-litica di sviluppo sia alle altre culture. Stando aPublicom, questo fatto potrebbe essere il motivoprincipale che induce a sottoscrivere l’abbonamento.

L’attraente veste grafica piaceIl giudizio dato sull’impostazione grafica è decisa-mente migliorato rispetto al 1996. La rivista si pre-senta in modo più invitante, e le lettrici e i lettori siorientano più facilmente riguardo ai contenuti. Lamaggior parte delle persone intervistate motivanoaddirittura la loro predilezione per «Un solo mondo»rispetto alla rivista «E+D» proprio con la miglioreimpostazione grafica.

Più in generale «Un solo mondo» può contare suun numero di lettori e lettrici ancora più soddisfat-to di quello che aveva la precedente rivista «E+D».Anche la maggioranza delle lettrici e dei lettori dilunga data prediligono la nuova edizione rispetto allapassata. Questo giudizio positivo si riscontra in tuttee tre le regioni linguistiche. Oltre ai consensi le let-trici e i lettori avanzano tuttavia anche delle propo-ste di miglioramento e forniscono indicazioni utiliall’ulteriore sviluppo della rivista. Alcuni di essi au-spicano «maggiore varietà di opinioni», altri un mag-giore coinvolgimento di giornalisti del TerzoMondo, oppure una maggiore considerazione delleopinioni delle ONG. Continua a permanere un for-te legame con la rivista. Sette lettrici e lettori su diecidell’edizione tedesca dicono che, se dovessero ri-nunciare al quaderno, ne sentirebbero alquanto o ad-dirittura molto la mancanza. In Ticino questo lega-me appare ancora più stretto, nonostante il fatto chela versione italiana sia disponibile solo da due anni.

Contributo positivo per l’immagine dellaDSC«Un solo mondo dà spazio alle opinioni indipendentie non è un mero organo di PR dell’amministrazio-ne federale.» Aderendo a questa affermazione oltrei due terzi delle lettrici e dei lettori esprimono lagrande fiducia che ripongono nella pubblicazione.Quasi tutte le persone intervistate accettano il fattoche una simile rivista venga pubblicata da un serviziodell’amministrazione pubblica, poiché la DSC è con-siderata «competente, aperta al mondo e credibile,abbastanza efficiente, giovane, consapevole dei costi,dinamica, munita di spirito critico e poco burocrati-ca». Una simile immagine rappresenta un risultato no-tevole per un ente federale. È dunque lecito presu-mere che «Un solo mondo» fornisca un contributoessenziale alla costruzione dell’immagine lusinghieradi cui la DSC gode presso le lettrici e i lettori. *Dott. René Grossenbacher è direttore della Publicom AG,la ditta incaricata ad effettuare il sondaggio.(Dal tedesco)

Un solo mondo – tanti consensi

Un solo mondo n.2/giugno 2000

N.1FEBBRAIO 1999LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONE

L e N u o v eT e c n ol ogie d el l inf o r m a z i on eOpportunità, rischi e limiti nei paesi in via di sviluppo e nella cooperazione allo sviluppo

Ritratto del KirghistanL’ex repubblica sovietica dal kolchoz all’economia di mercato

Latticini svizzeri nelle zone sinistrateUn’esportazione sensata? Un dibattito

Un seul mondeEine WeltUn solo mondo

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Un solo mondo n.2/giugno 2000

«Un solo mondo»

Tagliando di ordinazione e di cambiamento d’indirizzo

• Desidero abbonare «Un solo mondo». La rivista della DSC esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco,francese ed è gratuita. Desidero riceverne ... copia(e) in italiano, ... copia(e) in tedesco, ... copia(e) in francese.

• Desidero ricevere gratuitamente delle copie supplementari del numero 2/2000 di «Un solo mondo»:... copia(e) in italiano, ... copia(e) in tedesco, ... copia(e) in francese.

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Cognome e nome:(p.f. in stampatello maiuscolo)

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In caso di cambiamento di indirizzo, vogliate p.f. allegare l’etichetta di spedizione con il vecchio indirizzo.

Spedire il tagliando a: DSC/DFAE, Sezione media e comunicazione, 3003 Berna.

Impressum«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano,tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) delDipartimento federale degli affari esteri (DFAE)

Comitato di redazione:Harry Sivec (responsabile) Catherine Vuffray (vuc)Sarah Grosjean (gjs) Andreas Stuber (sbs) Reinhard Voegele (vor) Joachim Ahrens (ahj) Beat Felber (bf) Gabriella Spirli (sgb)

Collaborazione redazionale:Beat Felber (bf – Produzione) Maria Roselli (mr)Gabriela Neuhaus (gn) Jane-Lise Schneeberger (jls)

Progetto grafico:Laurent Cocchi, Losanna

Litografia: City Comp SA, Morges

Stampa: Vogt-Schild / Habegger AG, Solothurn

Riproduzione:La riproduzione parziale o integrale dei testi èconsentita purché si menzioni la fonte. Si sollecital’invio di un esemplare all’editore.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente presso: DSC,Sezione media e comunicazione, 3003 Berna, Tel. 031 322 34 40. Fax 031 324 13 48E-mail: [email protected]

26139Stampato su carta sbiancata senza cloro per laprotezione dell’ambienteTiratura totale: 50000Copertina: Denis Darjacq / Vu

Internet: www.dsc.admin.ch

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«Svizzera oltre», la rivista delDipartimento federale degli affari esteri(DFAE), presenta temi d’attualità dellapolitica estera elvetica.Esce cinque volte all’anno in italiano,francese e tedesco.

Il numero di giugno è dedicato al temadella ricerca internazionale e del ruolosvizzero. L’edizione di aprile era invecededicata alla promozione della pace nellasocietà civile.

Abbonamenti gratuiti possono essereordinati presso:«Svizzera oltre»c/o Schaer Thun AGIndustriestrasse 123661 Uetendorf

L’altra AfricaSouth meets WestLa sorprendente arte contemporaneaafricana sarà ospite della «Kunsthalle»del Museo di storia di Berna.Per informazioni:http://www.kunsthallebern.chFino al 25 giugno a Berna

Boubou – c’est chic! Il Museo delle culture di Basileapresenterà un’esposizione specialeriservata al tema dei tessili.Dal 26 maggio a fine anno a Basilea

Afropfingsten: WelcomeAfrikaUn mercato africano, ateliers, filmati,tavole rotonde e lettura di testiletterari, nonché gruppi musicali siagiovani che affermati infonderannovita africana a Winterthur. La DSCha assunto il patrocinio di questoparticolare festival, che si svolgeràpresso la Sulzer nel blocco 37, epresenterà la mostra «Speranza perl’Africa», nonché una mostra sulfurto di beni culturali. Per ulterioriinformazioni: www.afropfingsten.ch.Sulzer-Areal, blocco 37 Dal 6 al 12 giugno a Winterthur

EyuphuroIl famoso gruppo Eyuphuro farà una

tournée in Svizzera con Zeena Bacar.Consultate i programmi culturalidella vostra regione oppure il sitohttp://www.coordinarte.chTournée svizzera durante tutto il mesedi giugno

Paléo-FestivalAl Paléo di Nyon grazie alla presenzadi artiste e artisti africani quest’annosi vivrà una notte indimenticabile: la«Nuit africaine» 30 luglio a Nyon

WorldMusic FestivAlpe Cinque continenti si incontreranno aChateau d’Oex sul campo del festivalattrezzato per l’occasione con tendo-ni da concerto a prova di maltempo. Dal 4 al 6 agosto a Chateau d’Oex

Conferenza annualeLa Conferenza annuale dellacooperazione allo sviluppo saràdedicata quest’anno al Mozambicoe si svolgerà dalle ore 14 alle 22circa. La sera sarà arricchita da unprogramma culturale, durante ilquale è previsto il lancio di un CD.Per il programma dettagliato sirimanda al prossimo numero di«Un solo mondo» oppure al sitowww.deza.admin.ch.31 agosto nel palazzo dei congressi,Biel

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Page 36: Un seul monde - eda.admin.ch · Cos’è la povertà? 23 Servizio 31 Agenda 33 Colophon e tagliando d’ordinazione 33 Eine Welt Nr.1/Februar 1998 DOSSIER FORUM ... continente. Un’intervista