anarchismo 33

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revista anarquista

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    ANARCHISMO

    Anno VI-n 33- 1981 Direttore responsabile: Alfredo M. Bonanno Redattore responsabile: Franco Lombardi Redazione e amministrazione:

    'FRANCO LOMBARD!- C.P. 33-47100 FORL- Tel. (0543) 26273 .Unacopia L. 1.000- Abbonamento annuo ordinario L. 10.000- Abbonamento sostenitore L. 20.000- Estero ordinario L. 15.000.:.. Esteroper via aerea L. 20.000- L'abbonamento puo decorrere da qualsiasi numero. Arre-trati L. 1.500.

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    Autoriz. Trib. di Catania n' 434 dell4.1.1975- Aut. PP. TT. di Massa n 80860:GG del 15; 1 L80- Spc. in abh. PL gruppo 111,70%. Stampato presso La Cooperativa Tipolitografica a.r.l., via S. Piero 13/a, Carrara

    SOMMARIO

    ENTRA TE:

    3 Redazione 4 * * *

    7 * * * JO * * * 12 A.M. Bonanno 15 * * * 19 * * * 20 * * * 24 Gruppo ecologista libertario 26 * * * 27 L.B.MT

    Una situazione scomoda Il sequestra D 'Urso e il fantasma della guerra civile 11 movimento dei prigionieri al bivio Si/enzio stampa: si fa ma non si dice L 'enigma del meridione Tutto il potere al carabiniere Crocenera Petra Kra use: la lotta contro l'isolamento M ontedison: chiudiamo le fabbriche di morte Gianfranco Faina libero, ma lo stato

    lo ha condannato Voci dalla CajENNA

    BILANCIO AL 15/1/81

    :

  • anarchismo

    Redazione

    un a situazione scomoda

    Questo numero della rivista un numero un po' particolare e per questo ci sentiamo quasi ob-bligati a dedicargli qualche paro-la a mo' di presentazione, cosa che non siamo abituati a fare.

    Mai come in questa occasione, forse, abbiamo sentito tutti i limi-ti impostici dalla periodicit mensile e dai mille ostacoli che si frappongono al nostro lavoro. In-calzati da avvenimenti che si sus-seguono di giorno in giorno, ognuno dei quali meriterebbe probabilmente un numero spe-ciab>, assillati dalla diffolt (per non dire impossibilit) di procu-rarci informazioni di prima mano, in una situazione che vede stringersi come non mai il cer-chio del silenzio e della mistifica-zione di stato attorno alle lotte e all'esistenza stessa del movimen-to rivoluzionario, consci che quando queste pagine arriveran-no ai compagni il !oro contenuto sar gi stato in larga parte supe-rato dai corso degli avvenimenti, ci siamo dovuti scontrare dura-mente con l'inadeguatezza dello strumento di cui disponiamo per svolgere la nostra opera di con-troinformazione e per sostenere il nostro impegno di rivoluzionari anarchici. Siamo persino arrivati al punto di interrogarci sulla rea-le utilit, in un momento come questo, di continuare ad usare uno strumento di questo genere e di chiederci quanto di automati-co e di obbligatorio ci sia nel fatto di portare in tipografi que-ste pagine ogni 15 del mese.

    Il fatto che state leggendo que-ste cose significa evidentemente che abbiamo, almeno perora, su-perati questi interrogativi, spinti dalla considerazione che, proprio per le caratteristiche del momen-to politico che attraversiamo, continua ad avere un senso il fat-

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    to di far sentire regolarmente una delle poche voci che continua ad opporsi al coro ormai assordante di chi va sostenendo che la rivo-luzione morta e uno dei po-chissimi fogli che continui ad of-frire spazio, senza prese di distan-za e senza cappelletti introdutti-vi-esorcizzanti, a tutte le com-ponenti del movimento rivolu-zionario e libertario.

    Questo non significa per che non ci rendiamo conto del fatto che quello che stiamo facendo non pu bastare, in una situazio-ne come quella che si sta prepa-rando, e che assolutamente ne-cessario sforzarsi di andare pi in l, di darci nuovi e pi efficaci mezzi di intervento, anche nel campo dell'informazione. E sia-mo ben consci del fatto che le no-stre sole forze, le sole forze dei compagni che si occupano della redazione di questa rivista, sono , assolutamente insufficienti in tai senso.

    Adottando un metodo che non ci affatto usuale, in questo nu-JTiero, che frutto pi di ogni al-tro precedente del lavoro dei compagni della redazione, espri-miamo il nostro parere su nume-rosi fatti sui quali non possedia-mo, purtroppo, informazioni di-rette. Lo facciamo perch ci sem-bra impossibile esimercene, per-ch ci sembrerebbe ridicolo e in-sensato far uscire ora un foglio ri-voluzionario che non dicesse niente su quanto successo a Trani, o sul sequestro D'Urso, o sulla sempre pi evidente presa del potere reale da parte di un settore della classe dominante che usa l'arma dei carabinieri come bandiera e come force de frappe. Lo facciamo, assumen-doci la responsabilit di ogni pos-sibile errore di valutazione, dovu-to al fatto di dover analizzare e scrivere a caldo, mentre ancora la palla in movimento, e di doverci basare quasi esclusiva-mente sulle notizie riportate dai mezzi di mistificazione del regi-me, mai come oggi allineati aUe direttive che giungono dall'alto.

    E lo facciamo consci anche del rischio di venirci a trovare in una situazione che non ci mai pia-ciuta minimamente e dai cui pe-ricoli abbiamo sempre cercato di mettere in guardia tutti i compa-gni, quella cio di dover giocare il ruolo di quelli che piuttosto di un' altra.

    E' questa una situazione che non ci piace affatto e che non in-tendiamo far continuare a lungo. Chiediamo esplicitamente a tutti i compagni che si sentono vicini all'impostazione politica di Anarchismo e che si sentono coinvolti in qualche misura nel suo sviluppo, di far sen tire pi di-rettamente il !oro peso, di farci giungere le !oro opinioni e le !oro proposte per superare i limiti at-tuali, di farci pervenire regolar-mente la !oro collaborazione sen-za assurdi problemi di stile gior-nalistico: quelle che ci servono sono le informazioni e non bril-lanti esercitazioni letterarie; chie-diamo a tutti i compagni che tro-vano Anarchismo di una qualche

    'utilit nel !oro intervento sociale quotidiano, e non solo per riem-pire un vuoto nelle !oro bibliote-che, di sostenere in ogni modo, soprattutto senza dimenticare quello economico (poich, ahi-moi, c'est l'argent qui fait la guerre), il nostro sforzo per ren-derlo pi tempestivo, pi pie-no e per affiancargli nuove ini-ziative; chiediamo a tutti quei compagni che non vogliono dele-gare a nessuno la loro intelligen-za di aiutarci a trovare i modi e gli strumenti per evitare di tra-sformarci da gruppo redazionale in ufficio politico della rivista, perch questa una cosa che, credeteci o no, non ci interessa affatto e perch di giornali e rivi-ste che sono il trastullo di quai-che gruppo di compagni intellet-tuali il movimento anarchico ne ha gi in numero sufficiente.

    L'alternativa a ci che chiedia-mo a tutti i compagni un'altra delle tante riviste di opinione che passano il tempo a comme-morare i padri fondatori e a ri-scrivere gli articoli di attualit dell'Espresso o di Panorama in gergo libertario, ipotesi che non solo non ci interessa, ma ci susci-ta anche un certo ribrezzo. E che, soprattutto, sarebbe demenziale perseguire di fronte alla svolta decisiva che il potere sta tentando di imporre alla situazione sociale del nostro paese.

  • attualit

    il sequestro d'urso e il fantasma della guerra civile

    Il sequestro del giudice Gio-vanni D'Orso e gli eventi che ne sono seguiti hanno riproposto prepotentemente ali 'attenzione di tutti il fantasma della guen:a si-mulata che Stato e Brigate Rosse si sono vicendevolmente dichia-rati, con reciproco vantaggio, e che pareva sul punto di doversi risolvere dopo le recenti, appa-renti vittorie dell'apparato re-pressivo, che sembravano poter mettere fine a tutta la rappresen-tazione: ma, come tutto quanto avviene in questo scenario, anche la vittoria non poteva che essere una vittoria simulata ed ora lo spettro della lotta armata, che gi il potere tentava di esorcizzare una volta per tutte, toma ad oc-cupare le prime pagine dei gior-nali.

    Nel mettere in scena questo nuovo atto dello spettacolo sulla guerra civile che ormai da anni si stanno sforzando di tenere in pie-di, i militanti delle Brigate Rosse avevano senz'altro un problema, correvano cio il rischio di certi registi che, dopo aver azzeccato un film di successo, continuano a ricucinarlo e rivisitarlo in tutte le salse, finendo sempre per far rim-piangere il primo. In questo sen-so, l'affare Moro costituiva certa-mente un precedente assai seo-modo, essendo difficile riuscire a raggiungere gli indici di coinvol-gimento dell'opinione pubblica toccati due anni fa, sequestrando e poi uccidendo uno dei pi si-gnificativi attori della scena poli-

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    tica e uno dei personaggi pub-blici pi noti del paese.

    Se Moro, infatti, era conosciu-to praticamente in tutto il mon-do, dai pi sperduto paesino del meridione fino al palazzo di vetro dell'Onu, D'Urso era, perle gran-di masse, quello che si definisce un perfetto sconosciuto: non un primattore dello spettacolo poli-tico, ma un oscuro (ma non per questo meno utile) funzionario di quella specie di governo ombra che si incarica di far marciare il meccanismo di dominio, restan-do pero anonimamente dietro le quinte.

    Poteva dunque sembrare che questa nuova azione costituisse un passo indietro, nella cosiddet-ta guerra di lunga durata contro lo stato imperialista delle multi-nazionali, una specie di ritorno ai tempi del sequestro Sossi, che avrebbe potuto confermare l'im-pressione di una lotta armata scompaginata dai blitz e dai co-siddetti pentimenti e ormai in via di estinzione, proprio come la dipingeva l'apparato propagandi-stico del potere.

    Invece le Brigate Rosse sono riuscite a superare brillantemente questo ostacolo, grazie ad un ben congegnato colpo di scena che ha fatto nuovamente puntare su di loro tutti i riflettori del palcosce-nico e ha scosso dai torpore un pubblico che rischiava di essersi ormai assuefatto ad una vicenda che si trascinava sempre troppo uguale a se stessa, senza impen-nate o novit. Questo astuto col-po di scena consistito nell'or-mai famosa intervista rialsciata all'Espresso e nella pubblicazione sulla stessa rivista, dei cosiddetti verbali dell'interrogatorio del pri-gioniero. Vogliamo a questo pun-to far presente ai compagni che con un certo disagio che, trattan-do di questa vicenda, si vediamo costretti a ricorrere ad una termi-nologia di tipo para-giudiziario che ci suona completamente sto-nata, considerando ;9:uanto do-vrebbe essere totalmente estranea al campo rivoluzionario, ma que-ste sono purtroppo le regole che i protagonisti hanno scelto per il loro gioco e forse mai come in questa occasione le Brigate Rosse hanno confermato la loro scelta di riproposizione speculare del-l'apparato che vorrebbero di-struggere: prigioni del popolo,

    anarchismo

    tribunale del popolo, sentenza, condanna sospesa, grazia e tutto questo ridicolo bagaglio da po-tere alternativo trabocca da ogni loro comunicato, dando alla vi-cenda una colorazione grottesca che accentuata dalla casuale coincidenza con l'operato di un altro tribunale del popolo, che sta funzionando in questo momento dall'altra parte del globo, in Cina, sempre secondo il macabro ritua-le dello stalinismo pi disgustoso. Ma questo il dato di fatto e que-sto il linguaggio a cui, volenti o nolenti, le Brigc.te Rosse ci vor-rebbero abituare.

    Tornando a quanto accaduto nelle ultime settimane, ci sembra che con questa prima uscita uffi-ciale sulla grande stampa di in-formazione le BR siano riuscite ad ottenere quello che senza dubbio uno dei !oro principali obiettivi tattici, cio la legittima-zione, agli occhi della gente, in veste di oppositori ufficiali dello stato, ruolo che del resto lo stesso stato sembra ben lieto di ricono-scere loro.

    Crediamo che in questo mo-mento la situazione di questa guerra simulata sia sufficiente-mente chiara da poter essere bre-vemente esposta in pochi punti: 1) Le Brigate Rosse, rimaste or-mai l'unica Organizzazione Combattente Comunista ancora operante sul piano della lotta armata, dopo che Prima Linea stata praticamente distrutta pi dai suoi errori di fondo che dalla sagacia degli antiterroristi, continuano imperturbabilmente a mimare una guerra civile che non ha pi nessuno spessore rea-le, ma si sviluppa solo come si-mulazione politica di uno scon-'tro sociale al quale ormai del tutto estranea, concretizzandosi solo nelle vicende degli uomini che la combattono, da una parte e dall'altra. 2) Lo stato, a questo punto, ha tutto l'interesse ad accettare que-sto gioco, nel tentativo di subli-mare lo scontro sociale realmente in atto e trasferirlo su questo pia-no puramente spettacolare, dove a combattere (a parte, lo ripetia-mo, le persone fisiche) non sono componenti sociali e interessi di classe concretamente contrappo-sti, ma le loro rappresentazione astratte e fumosi principi ideali. Accettare le Brigate Rosse come

  • anarchismo

    controparte ufficiale (perch que-sto realmente sta facendo, al di l delle roboanti affermazioni di in-crollabile fermezza) significa per lo stato poter distrarre l'attenzio-ne dei suoi sudditi, incentrandola completamente sul piano dello spettacolo politico, dove pu far-la da padrone. 3) Co-me gi stato scritto su que-ste pagine parecchi mesi addie-tro, alle Brigate Rosse a questo punto non rimarrebbe altro da fare che la propria autocritica. Negatesi volontariamente (per la loro scelta strategica marxista-leninista) aU'occasione di inserire la pratica armata in un contesto

    di lotte sociali, alle quali non hanno saputo, nella migliore del-le ipotesi, che affiancarsi (in real-t se ci sono mai stati dei fian-cheggiatori di qualcosa, questi sono stati proprio i sostenitori del partito armato nei confronti dello scontro reale che si stava svolgen-do attorno a loro, e non certo vi-ceversa), questa Organizzazione non rappresenta ormai che la perpetuazione di se stessa. Il suo percorso storico, partito dalla realt del movimento rivouziona-rio, se ne ormai definitivamente allontanato verso un'orbita di non ritorno. 4) Questa situazione di guera si-mulata>> sta attualmente permet-tenda al potere di articolare la propria ristrutturazione, ponendo in pratica un rafforzamento del-l'esecutivo e una militarizzazione del corpo sociale che, giustificata ufficialmente proprio dalle esi-genze di questo fantasma di guer-ra civile, va ad applicarsi in real-t al tentativo di annientare il movimento rivoluzionario reale e di pacificare la situazione sociale attraverso l'uso del pugno di fer-ro.

    Un'altra cosa ci sembra neces-sario dire: non che a questa or-ganizzazione faccia difetto l'intel-ligenza politica. Il fatto di aver indirizzato la propria azione su pedine importanti dell'esecutivo (D'Urso, il generale Galvaligi) ri-vela la sua capacit di cogliere la trasformazione in atto, con la progressiva presa del palazzo da parte di una specie di governo-ombra che gestisce concretamen-te il potere su settori sempre pi ampi della vita sociale. Quello che manca alle Brigate Rosse invece lina prospettiva strategica

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    che le qualifichi come punto di riferimento credibile per il movi-mento rivoluzionario e strumen-to organizzativo accettabile per l'antagonismo sociale proletario.

    L'intervista rilasciata all'E-spresso, in questo senso, non dice niente di sostanzialmente nuovo per chi avesse gi avuto modo di leggere i loro comunicati, le loro risoluzioni strategiche, ma costi-tuisce la loro prima presentazio-ne ufficiale per il grande pubbli-co, una specie di primo proclama al proletariato, lanciato usufruen-do nella penetrazione sociale of-ferta dai mass-media. Per chi eventualmente aspettasse di sape-re finalmente quali sono le idee, i punti di vista, i progetti e le pro-poste di questi nemici irriducibili dello stato borghese, non credia-mo che l'impressione ricevuta sia stata piacevole e crediamo anzi che le Brigate Rosse abbiano sta-volta definitivamente sancito la loro impossibilit di ottenere un

    attualit

    consenso popolare al !oro pro-gramma: fortunatamente, le varie ricette basate sull'ortodossia mar-xista-leninista, specie se insapori-ta con punte di veterostalinismo, non sembrano far pi gola a nes-suno.

    Al di l di queste valutazioni, la vicenda D'U rso ha avuto inve-ce un altro aspetto che ci pare di poter considerare complessiva-mente in modo positivo: essa ha contribuito a destare un interesse mai verificatosi prima sul proble-ma del carcere, in particolare dei carceri speciali.

    La chiusura dell' Asinara, pri-ma, e poi soprattutto la rivolta di Trani, hanno fatto si che si spez-zasse il cordone sanitario di silen-zio e indifferenza con cui lo stato ha sempre cercato di preservare questi suoi gioielli. ln altra parte della rivista ci occupiamo pi ap-profonditamente di questo aspet-to; qui diremo solo brevemente un paio di cose. La prima che se

  • attualit

    la chiusura dell' Asinara non pu venir vista che come un fatto og-gettivamente positivo, essa non in realt consistita in altro che in un'accellerazione imprevista dei tempi di un certo processo di sterilizzazione degli strumenti di annientamento dei prigionieri, seconda una linea che facile ri-cavare dallo stesso interrogato-rio D'Urso e che si dirige nel senso dell'asettico sadismo di Stammheim pi che della sangui-nosa ferocia della sezione Fornel-li. L'altra cosa che non possiamo mancare di rilevare il tentativo posto in atto dalle Brigate Rosse di sfruttare opportunisticamente il momento per ricercare una le-gittimazione dei loro Comitati di Lotta come una specie di sinda-cato unitario dei prigionieri, ope-rando cosi una vistosa forzatura su una realt che vede una com-posizione politica assai articolata e diversificata del movimento di lotta dei detenuti. Un bluff, que-sto, che, pur potendo ancora una volta contare sul dissimulato ap-poggio dello stato, non pensiamo abbia moite probabilit di reggere a lungo.

    Comunque, valutando com-plessivamente questo aspetto del-la vicenda, ci pare che la situa-zione che si venuta a creare for-nisca al movimento rivoluziona-rio un'ottima occasione per rilan-ciare un discorso contra il carcere che, partendo dalla questione della differenziazione, arrivi alla negazione di ogni struttura di de-tenzione, allargando il discorso alle ripercussioni sociali pi vaste della logica carceraria. Ed que-sto un compito col quale le Briga-te Rosse, per quanta abbiamo precedentemente detto, avranno ben poco a che vedere e che la-scia invece grandi opportunit ai militanti rivoluzionari anarchici e libertari, unici portatori di un discorso integralmente coerente sulla distruzione delle galere di tutti i generi.

    Resta ora da valutare la con-clusione di questo episodio: della sopravvivenza personale di un uomo del potere, come D'U rso, a noi interessa come della conser-vazione della verginit della ma-donna. Ci fanno ribrezzo gli ap-pelli all'umanit con cui in simili occasioni si irempie la bocca la banda di criminali sociali che quotidianamente responsabile

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    dell'assassinio, violenta o stri-sciante, di centinaia e migliaia di sfruttati e siamo convinti che mai come in questo caso i politicanti di ogni colore se ne siano alta-mente fregati della vita di un in-dividuo che, per di pi, non fa nemmeno parte della !oro casta e che essi probabilmente conside-rano poco pi di un pezzo da so-stituire nella macchina che am-mmistrano, ormai inservibile come funzionario, ma comodo come martire.

    Da un altro punto di vista, pro-viamo una totale estraneit verso ogni macabro cerimoniale fatto di processi, interrogatori, tribu-nali, giurie, sentenze e condanne, che nulla ha a che fare con la no-stra concezione della necessaria distruzione del vecchio mondo, dal quale le BR mutuano invece il rivoltante apparato di giudizio, cammuffandolo con sembianze alternative. Ci pare infine del tut-ta fuori luogo dissertare tanto a lungo sulla vita o sulla morte di un giudice, in un mondo che ogni giorno assiste all'esecuzione di decine di omicidi ben pi efferati e spesso coperti dalla maschera della legalit. Non ci addentrere-mo dunque in questo livello di valutazione, che del tutto al di fuori dei nostri interessi.

    Ci interessa, invece, un discor-so sulle conseguenze di quanta accaduto. Dire che l'affare D'Ur-sa, o, pi in generale, l'azione delle Brigate Rosse, abbia causato un salto di qualit nell'equilibrio ( o meglio, nel disequilibrio) dei rapporta s.ociali ne! nostro paese, ci sembra un errore di prospetti-va.

    Il potere si trova in un periodo delicato della crisi che lo sta at-traversando da diversi anni: la difficolt di fondo nel trovare una soluzione soddisfacente della questione sociale, unita ai pro-blemi contingenti che lo assilla-no, come i continui scandali e so-prattutto l 'acuirsi11dell 'esplosiva questione meridionale tausato dal terremoto, lo pone nella ne-cessit di trovare a breve termine una via d'uscita stabile e che ri-scuota credibilit pressa quei ceti medi che possono fornirgli la base sociale per un nuovo asse-stamento.

    Considerata l'armai cronica in-capacit dimostrata in tai senso da tutte le forze dello spettacolo

    anarchismo

    politico, comprese quelle che si proponevano come alternativa pulita (il PCI e i sindacati), l'u-nica tendenza emergente con for-za gi da un certo tempo quella di trasferire il controllo della si-tuazione dalle rapaci mani dei politici al pugno di ferro dell'ese-cutivo.

    Tale processo, che pu essere definito di militarizzazione o con qualsiasi altro termine pi ci ag-gradi, sta andando avanti gi da un paio d'anni (per Jo meno) e trova la sua legittimazione nel-l'efficienza che asserisce di poter dimostrare nel risolvere la que-stione delle lotte antistatali e an-tiistituzionali.

    Il cosiddetto terrorismo lo specchietto per allodole di cui si sono sempre serviti i fautori di questa linea e in questo quadro il sequestra D'U rso non ci sembra costituire che un episodio in pi fra i tanti, che essi cercheranno ovviamente di sfruttare a proprio vantaggio, ma che non puo essere in nessun caso considerato decisi-vo. Tuttalpi si pu dire che esso sia servito a portare allo scoperto questa tendenza agli occhi di moiti. Ma l'esito di questo pro-cessa si gioca con altri protagoni-sti e solo lo sviluppo di una nua-va ondata di lotte autogestite e antistatali potr servire ad affos-sarlo.

    Dall'altro lato della barricata, le Brigate Rosse escono da questo episodio con un'immagine certa-mente meno traballante di quella che davano di se stesse fino ad un mese fa: diciamo che si sono date un discreto restaura alla facciata di efficienza. Ma, come abbiamo detto fin dall'inizio, esse sono or-mai inchiodate ad un ruolo che le estranea sempre pi dalla realt del movimento rivoluzionario: la !oro guerra simulata continua su uno schermo fantastico che di-venta sempre pi intangibile per i suoi spettatori.

    Sapersi rinnovare, superando i propri limiti e riconoscendo i propri errori, una dote di cui i marxisti-leninisti non hanno mai abbondato: cio li condanna, con-trariamente alle loro presuntuose previsioni, a finire nel ripostiglio della storia, tra gli oggetti buffi e un po' incomprensibili del tem-po che fu. La lotta per la libera-zione totale va avanti, perdendo-ne ogni giorno di pi il ricardo.

  • anarchismo

    il movimento dei

    pr1g1on1er al bivio

    Il movimento di lotta dei pri-gionieri sta attraversando un mo-mento molto delicato ed impor-tante del suo sviluppo; i fatti suc-cedutisi nell'ultimo mese o poco pi possono porre pesanti ipote-che sulla sua futura evoluzione, cosi come possono invece segnare un punto di partenza verso livelli pi alti di chiarezza politica e di autonomia rivoluzionaria.

    Con questo intervento inten-diamo aprire un dibattito con tut-ti quei compagni che, all'interno o all'esterno delle galere dello stato, operano nella prospettiva di costruire un movimento che si ponga come fine la distruzione dei carceri di ogni tipo e che adotti come metodologia quella dell'autogestione delle lotte e del-l'autonomia reale dalle gabbie politiche di tutti i generi.

    All'interno di quest'ottica di fondo, crediamo sia importante esaminare i due aspetti della si-tuazione che oggi incidono pi pesantemente sulle possibilit di sviluppo di un tale movimento e che costituiscono i due bracci di una tenaglia nella quale rischia di rimanere schiacciato.

    1 problemi da affrontare deri-vano infatti da una parte dal ten-tativo dello stato di dividere e ter-rorizzare i militanti rivoluzionari che si trovano nelle sue mani, al fine di annientarli politicamente e normalizzare cosi la situazione, e dall'altra dai pericoli insiti nelle pretese egemoniche che le Brigate Rosse, attraverso i loro Comitati di Lotta, cercano di avanzare su tutto il movimento di lotta dei prigionieri.

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    Procedendo per ordine, e af-frontando il primo aspetto, ci sembra sufficientemente chiaro che il potere stato in un certo senso costretto dalle lotte dei de-tenuti e anche dall'azione delle Brigate Rosse, a smantellare nel giro di pochi giorni !a sezione speciale Fornelli del campo del-l' A si nara, ma pur anche vero che questa chiusura rientrava cer-tamente in un suo piano a medio e forse anche a breve termine. L' Asinara era divenuta un simbo-lo; il simbolo del carcere supersi-curo dal quale impossibile eva-dere, il simbolo dello strapotere dell'apparato di annientamento, che sembrava in grado di eserci-tarvi ogni forma di terrore cieco e di attuarvi pienamente le sue vendette nei confronti dei dete- nuti pi irriducibili.

    Ma questa immagine era stata ormai definitivamente compro-messa dalla capacit, espressa dal movimento dei prigionieri, di portare anche dentro Fornelli l'irriducibile volont di lottare e di distruggere tutte le gabbie. Dopo che per due volte la rivolta di massa aveva reso inagibile la sezione di massima sicurezza, questa si era ridotta ad ospitare solo un esiguo numero di prigio-nieri, e non rappresentava ormai altro che uno spauracchio un po' consunto da agi tare di fronte a quei detenuti non ancora classifi-cati come differenziati che da-vano segni di indisciplina e di in-sofferenza: pi n deterrente psi-cologico, che altro.

    Per di pi essa cominciava ad essere uno scomodo biglietto da visita nei confronti di un'opi-nione pubblica alla quale, nono-stante l'imponente cortina di si-lenzio eretta con la complicit di tutt la stampa, arrivavano di tanto in tanto inquietanti notizie di torture, di brutalit, di violen-ze inaudite. A questo punto, an-che se non fosse intervenuto il se-questra D'Urso a far precipitare

    . la situazione, l' Asinara avrebbe costituito comunque una zona d'ombra>> nel progetto di fondo dello stato, che si indirizza su una linea di a:nnientamento pulito, come gi avevano dimostrto la .. chiusura delle sezioni di massima sicurezza della Favigriana. e di Termini Imerese e anche la dsti-tuzione del famigerato boia 'Car-dullo da duce dell'Asinara stes-

    repression&

    sa. Ormai gli specialistl della controguerriglia carceraria so-stengono apertamente che i loro progetti futuri sono indirizzati verso un modello simile a quello di Stammheim, per intenderci, in cui l'annientamento del prigio-niero perseguito attraverso la distruzione della sua identit po-litica, attraverso la sopraffazione psicologica e il pi ferreo isola-mento interno ed esterno.

    Tale progetto, solo apparente-mente meno violento del prece-dente, deve pero gi fare i conti con gli ostacoli che vengono frap-posti alla sua realizzazione dalle lotte che il movimento dei prigio-nieri continua a sviluppare, a di-spetto di tutte le speranze dei suoi guardiani.

    La divisione tra i cosiddetti po-litici e i cosiddetti comuni, anche all'interno del circuito stesso del-la differenziazione, lo sradca-mento del carcerario da ogni tes-suto sociale circostante, l;annien-tamento psicologico del dteriuto e il suo iso lamento da ogni mo- mento di comunicazione coi suoi compagni, e, nel suo punto pi alto di progettualit, l'accettazio-ne e l'autogestione, da parte del prigiortiero, della sua condizione di privazione di ogni libert, sono le tappe principali in cui si arti-cola questo progetto, che non rappresenta in fondo che un aspetto particolare del pi ampio progetto di dominio sociale sem-pre pi totalizzante.

    Ma questo piano puo marciare solo se raccoglie un vasto consen-so, o per lo meno l'indifferenza, dell'opinione pubblica, e in que-sta ottica casi come quello del-l'Asinara, ormai famosa come vero e proprio campi di concen-tramento, o residui medievali com Favignana; sono pi sco-modi che utili. Possono andar bene finch la toro esistenza vie-ne ignorata (come staancora ac-cadenqo per tan ti niin-lager del circuito differenziato femminile), ma una volta che diventano di dominio pubblico cominciano ad avere i giorni contati.

    In questa contraddizione, e in questa continua ricerca del con-senso, noi crediamo che lo stato sar ancora costretto a dibattersi a lungo, offrendo al movimento di lotta dei prigionieri vaste op-portunit per ingaggiare battaglie ii11p?rtanti e forse decisive.

  • repression a

    Un'altra delle vie percorse dai potere per giungere alla realizza-zione dei suoi piani quella del terrore e della divisione interna al movimento rivoluzionario. Gli ordini di cattura per concorso in sequestro di persona emessi con-tro un'ottantina di prigionieri dei campi di Trani e Palmi in rela-zione al sequestro D'Urso sono un esempio lampante di questa tattica, che mira a spezzare il fronte della solidariet all'intemo dei carceri e a trasformare il ne-cessario dibattito tra le varie ten-denze esistenti all'intemo del movimento in un'assurda serie di dichiarazioni di principio. Una tattica che del resto gi stata sperimentata con un certo suc-cesso nei confronti del movimen-to del '77, grazie alla complicit di gruppi pseudo-rivoluzionari. Anche qui si vorrebbe appiattire lo spessore politico del movimen-to ad una falsa altemativa fra adesione cieca alla strategia delle Brigate Rosse e desolidarizzazio-ne totale, tra allineamento alle tesi del partito armato>> e resa. E' questo un tentativo molto sub-dolo e pericoloso, al quale devo-no sapersi assolutamente sottrar-re le componenti autonome e li-

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    bertarie del movimento dei pri-gionieri, pena la loro scomparsa.

    Per di pi, su questa forzatura operata dallo stato, fanno oppor-tunisticamente leva le stesse Sri-gate Rosse, e qui veniamo al ro-vescio della medaglia di cui ci stiamo occupando.

    Tutto lo svolgimento della vi-cenda D'Urso ha dimostrato una volta di pi con esemplare chia-rezza che questa organizzazione mira a legittimarsi come unica rappresentante delle lotte rivolu-zionarie all'intemo del circuito carcerario, per tramite della cin-ghia di trasmissione costituita dai Comitati di Lotta. Se all'in-temo. delle galere questo fatto ampiamente risaputo e trova quotidianamente verifica, all'e-stemo questa pretesa egemonica si era finora manifestata molto pi timidamente, ad esempio at-tra~erso l pubblica:one di testi come il libro Il carcere imperia-lista, che tenta di dare una visio-ne monolitica, e in questo senso trionfalista, del movimento di lotta dei prigionieri.

    Ma nella gestione del sequestro D'Urso e della rivolta di Trani, le BR hanno dto interamente l'e-satta dimeilsione del loro proget-

    anarchismo

    to: le posizioni dei Comitati di Lotta devono apparire come po-sizioni di tutti i prigionieri in lot-ta ed ogni azione deve rientrare in una strategia decisa apriori dai vertici del partito armato. Per realizzare questo fine, ogni mez-zo valido, compreso tutto il ba-gaglio di orrori ereditati dai pi becero stalinismo, come la calun-nia gratuita, la diffamazione si-stematica verso chi non si adegua alla linea, fino ad arrivare, in certi casi, ad un vero e proprio comportamento da cosca mafio-sa. Ci rendiamo conto di dire cose pesanti, ma riteniamo d'al-tra parte che la necessaria solida-riet che deve unire il movimen-to rivoluzionario nel suo scontro col nemico di classe non possa e non debba trasformarsi in condi-scendenza verso i tentativi, posti in atto da chiunque, di usare que-sto stesso movimento come stru-mento per sostenere le proprie analisi politiche.

    Oltretutto, ci sembra che il programma delle Brigate Rosse sul carcere contenga indicazioni non sempre chiare e inclini a vol-te ad una sorta di riformismo massimalista che ben poco ha a che vedere col nostro modo di

  • anarchismo

    concepire la battaglia per la libe-razione da tutte le galere.

    Questo atteggiamento comun-que non ci sorprende, n ci pare che passa essere semplicemente addebitato alle deviazioni menta-li proprie della logica stalinista: in realt esso deriva da una ne-cessit pi squisitamente politica. In una logica marxista-leninista, non si d una situazione di guer-ra civile se le forze di liberazio-ne (o presunte tali) non posseg-gono una lora territorialit, per quanta limitata. Non essendo in nessun modo credibile l'ipotesi di poter liberare una qualsiasi porzione di territorio reale, le Brigate Rosse potrebbero aver ri-piegato sulla tragica mistificazio-ne di considerare il carcere come possibile base territoriale per l'esercito di liberazione comuni-sta. Quale altro senso potrebbe-ro altrimenti avere i discorsi sul potere rosso all'interno dei car-ceri speciali. Non pensiamo di

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    dover sprecare malte parole per analizzare l'assurdit di un pro-getto di questo genere. Quello che importante che quelle componenti del movimento dei prigionieri che non si riconosco-no nelle Brigate Rosse e nei lora Comitati di Lotta, ma che sono portatrici di un progetto di reale autonomia rivoluzionaria di que-sto settore della classe oppressa, riescano a sfuggire a questa du pli-ce stretta mortale che rischia di soffocarne le potenzialit.

    Non vogliamo qui (n sarem-mo in grado di farlo) fornire pre-cise indicazioni politiche per in-dirizzare in un senso o nell'altro lo sviluppo organizzativo di un movimento che puo trovare solo in se stesso la forza per sviluppar-si, ma riteniamo importante che tutti i compagni si impegnino nel dibattito che abbiamo tratteggia-to a grandi linee, approfondendo i modi e i tempi di realizzazione pratica. '

    repressione

    comunicato dei famigliari dei detenuti di trani

    Oggi, 2 gennaio 1981, il Procu-ratore generale di Trani De Mari-ois ha autorizzato un colloquio di 5 minuti in sala vetri ad alcuni dei detenuti i cui familiari erano da giorni davanti al cancello del car-cere.

    Attraverso questi pochi minuti di colloquio i familiari sono riu-sciti a sapere, dalla fonte pi cre-dibile, le condizioni generali degli altri detenuti. E' stato confermato che tutti indistintamente hanno subito pestaggi le cui conseguenze sono state: ferite alla testa, contu-sioni facciali, rotture di arti supe-riori e inferiori, ecc. lnoltre i de-tenuti confermano di aver trascor-so 24 ore all'aperto e di essere te-nuti tutt'ora in regime di isola-mento rinchiusi da un massimo di dieci ad un minimo di due per cel-la.

    1 familiari chiedono l'immedia-to intervento di una commissione medica esterna che tuteli il diritto di accertare le reali conseguenze che i pesanti pestaggi possono aver causato, f\ato che l'assistenza interna non ha certamente dimo-strato la volont di farlo.

    1 familiari durante la sosta da-vanti ai cancelli hanno casual-mente potuto verificare le condi-zioni del detenuto politico AN-GELO MONACO, che veniva trasportato di nuovo in carcere dopo essere stato dimesso dall'o-spedale di Bari. Il detenuto aveva il volto completamente tumefatto e fasciato, a stento stato possi-bile riconoscerlo!

    Inoltre abbiamo saputo che poco prima dell'intervento del GIS i detenuti stavano concluden-do le trattative chiedendo in ulti-mo di poter fare la conferenza stampa gi richiesta e rendendosi quindi disponibili all'immediato rilascio, dopo di questa, delle guardie carcerarie.

  • attualit

    silenzio stampa: si fa, ma non si dice

    Non un buon momento per i giomalisti: Montanelli rimedia una figura di merda degna di lui e perde l'ammirazione di un alto magistrato, a Scialoja e Bultrini, seguendo le orme di Fabio lsman, va un po' peggio e conoscono di-rettamente le gioie delle prigioni dello stato democratico. Ci si po-irebbe aspettare che almeno i loro colleghi dimostrassero ai due un po' di solidariet per l'inci-dente sul lavoro nel quale sono incorsi e invece, niente di tutto questo.

    La cricca dei pennivendoli, preoccupata di perdere i favori della principale agenzia di infor-mazioni del paese, che non l'Ansa, ma l'ufficio stampa del ministero dell'intemo e di Dalla Chiesa, si affretta a fargli sapere che ben gli sta, cosi imparano a dare il buon esempio al paese.

    Come ha detto qualcuno, gli animali del circo imparano a sai-tare quando sentono lo schiocco delle frusta, ma gli animali addo-mesticati sanno gi quando salta-re, senza bisogno di fruste (il cui uso infatti stato da tempo aboli-to in tutte le redazioni di gioma-li).

    Ma c' di pi: di fronte al vile ricatto terrorista che richiede-rebbe di dare pubblicazione ai documenti dei prigionieri delle carceri speciali, Dalla Chiesa e i suoi accoliti si incazzano e fanno circolare l'ordine perentorio: d'o-ra in poi, silenzio stampa su tutto quello che viene da quella parte. Nelle redazioni dei cosiddetti or-gani di informazione tutto un immediato sbattere di tacchi: da-

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    gli editori ai redattori, dai diretto-ri ai cronisti di nera, tutti scatta-no sull'attenti e rispondono all'u-nisono: obbedisco!!.

    Sorpresa e stupore tra le anime candide che credono ancora (o fingono di credere ancora) agli gnomi, alle fate e alla libert di stampa: ma come? si interrogano queste tremebonde verginelle, sono cose che possono succedere in un paese democratico? Rapida consultazione e giro di interviste tra gli esperti di democrazia blin-data: Leo Valiani (insaponando la corda), Eugenio Scalfari, Gior-gio Bocca e Ripa di Meana ci pensano sopra trenta secondi e poi emettono il responso: si, pos-sono accadere, anzi, devono ac-cadere, perch al di sopra di tutte le libert c' la necessit, anzi il dovere, di abolirle per i superiori interessi della difesa dello stato.

    . In compenso, ognuno libero di rielaborare artisticamente come meglio crede le veline del mini-stero degli in terni e, per tenere al-legro il popolo, ci sono Pertini, papawoytila e il mundialito.

    1 compagni capiranno che que-sta storia del cosiddetto silenzio stampa non puo fare a meno di suscitare la nostra ilarit. Tra le tante buffonate con le quali ci circonda il nostro amorevole ap-parato di dominio (la libert di eleggere i propri rappresentanti, la libert di comprare il detersivo che lava pi bianco, la libert vi-gilata, la libert provvisoria, la li-bert condizionata ... ), quella del-la libert di stampa una di quel-le pi esilaranti.

    E' ormai noto a tutti che ogni giomale libero di definire con i pi spregevoli epiteti chiunque venga S!'!gnalato nella lista dei so-spetti per cause di terrorismo, o di farci credere che la rivolta di Trani era capitanata da Toni Ne-gri, ma quando mai sugli stessi giomali abbiamo letto un titolo come Terrificante cappellata dell'Ucigos: tutti in libert gli ar-restati del blitz coytro Ana~c~ismo, oppure Ecco le condtziO-ni di vita e le richieste dei dete-nuti di Badu 'e Carros?

    Da anni, su tutta la stampa uf-ficiale, senza eccezioni, non ci vengono propinate che falsit, idiozie, menzogne e mistificazio-ni su tutto quello che ha a che fare con le lotte rivoluzionarie, con ogni episodio di insub

  • anarchismo

    negli interrogatori erano di cono-scere i compagni che collabora-vano con noi alla pubblicazione di questa rivista, di essere in pos-sesso di lettere e altri documenti provenienti da noti terroristi in-carcerati, di aver fatto, attraver-so la pubblicazione di tale mate-riale, propaganda antistatale e di aver incitato alla sovversione, ad-dirittura di aver compiuto rapine per finanziare le nostre pubblica-zioni (salvo poi essere smentiti da una cinquantina di testimoni). Poi, di fronte alla totale mancan-za di prove, ci hanna rilasciati, quando pensavano che armai non saremmo pi stati in grado di continuare il nostro lavoro di controinformazione rivoluziona-ria (errore, signori!).

    E credete forse che il giorno del nostro arresto i quotidiani intito-lassero Sgominata pericolosa ri-vista anarchica che parlava di carceri e lotte rivoluzionarie? No, i titoli erano tutti sul tipo Sgominata Azione Rivoluziona-ria. Presi 19 terroristi. E per la nostra scarcerazione, trafiletti di poche righe, nascosti tra la crona-ca nera. Abbiamo fatto questo esempio non per megalomania, ma perch lo conosciamo meglio di tanti altri simili.

    Per quanta fin qui detto non possiamo fare a mena di sbelli-carci dalle risate quando assistia-mo a seriosi dibattiti sulla libert di stampa. Per questo non abbia-mo la minima intenzione di la-sciarci coinvolgere in questa buf-fonata, facendo finta di lamentar-ci di questo nuovo attacco agli spazi di libert>> e ci stupiamo quando vediamo dei compagni che si definiscono rivoluzionari che ci cascano.

    1 mass-media, gli organi di in-formazione, i giornali, la radio, la televisione (quella poi!) non han-no che un unico scopo: quello di fornire alla gente un'informazio-ne selezionata, che la spinga ad adeguare il proprio modo di pen-sare e i propri comportamenti a quanta voluto dal potere. L'unico spazio di libert che esiste in que-sto campo quello che consiste nel poter scegliere se leggere le stesse balle raccontate da Mauri-zio Costanzo o dall'Unit.

    Al di fuori di questo esiste sol-tanta l'impegno e lo sforza dei ri-voluzionari volta a portare fati-cosamente alla luce tutti quei fat-

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    ti, quelle notlZle, che il potere non ha interesse a far conoscere, e questo sforza si scontra con le mille difficolt e impedimenti che tutti conosciamo.

    Le polemiche di questi gior-ni possono solo servirci come sti-molo a ricercare strumenti e vie pi efficaci per diffondere la no-stra controinformazione, per ren-derci canto che sarebbe opportu-no che i nostri gi insufficienti mezzi di comunicazione dedicas-sero un po' mena spazio alle dia-tribe interne, alle autocelebrazio-ni, alle contorsioni intellettuali, per lasciarlo invece ai fatti, alle notizie, per concederlo a quei compagni, a quegli sfruttati che non ne potrebbero trovare mai da altre parti, silenzio stampa o men o.

    E il fermo rifiuto opposto dalla quasi totalit degli organi di disinformazione di fronte alla ri-chiesta di pubblicare i comunica-ti provenienti da due carceri spe-ciali, dimostra solo due case.

    La prima che tutti questi av-voltai che si cibano del cadavere

    attualit

    dell'umanit, hanno tanta poco a cuore la sorte di un ioro simiie da non valutarla nemmeno quanta due pezzi di carta che, per di pi, seconda !oro, dovrebbero contenere tali e tante deliranti ef-feratezze da non presentare certo alcun rischio di contaminazio-ne rispetto alle coscienze di sin-ceri democratici e di cittadini esemplari dei !oro lettori.

    La seconda che il potere ha paura, ha una tremenda paura di far conoscere ci che realmente accade nelle sue prigioni. di far conoscere le posizioni, le idee e le richieste di chi lotta contra di lui, perch tutto il castello di menzo-gne su cui basa la sua sopravvi-venza non ammette la contempo-ranea esistenza di qualsiasi liber-t, ora e subito. E proprio questa paura deve insegnarci la necessit di intensificare il nostro impegno a far conoscere sempre pi diffu-samente l'esistenza di qualcosa, di qualcuno che altro dai pote-re, perch lo nega, lo rifiuta, Jo combatte.

  • interventi

    A.M. Bonanno

    L'enigma del meridione

    Affidandosi ai risultati di un 'a-nalisi esclusivamente economica la situazione del meridione italia-no presenta alcuni elemen in-spiegabili che fanno restare per-plessi e costituiscono ostacolo ad ogni strategia d'intervento per quelle organizzazioni che adotta-no l'analisi in questione.

    Il meridione italiano, isole in primo luogo, si colloca per intero nell'area del sottosviluppo del nostro paese e, per conseguenza, presenta quelle caratteristiche di massima che si riassumono in un drenaggio di capitali, in un flusso di emigrazione verso il Nord, in una colonizzazione dei mercati del Sud ad opera delle grandi or-ganizzazioni industriali nazionali e multinazionali.

    Ma questo quadro risulta insuf-ficiente per capire la reale strut-tura del meridione. Esso , di gi, inadatto a spiegare il tipo di bu-rocratizzazione che qui dilagan-te. Le maglie stesse della struttura statale sono qui completamente coperte da una rigogliosa fioritu-ra di cariche e incarichi inutili e puramente fittizi ma sufficienti a garantire la persistenza di una rete di intrighi politici di piccolo cabotaggio a livello locale e pro-vinciale. Non sarebbe esatto dire che questa burocratizzazione ap-pesantisca l'attivit pubblica: semplicemente costituisce un'in-dustria collaterale che produce come merce voti elettorali e ade-sione alle forme della clientela. Se l'ufficio anagrafe di un cornu-ne piccolo del Piemonte funziona con un segretario e due applicati, ne! meridione funziona lo stesso (pi o meno bene) con un segre-

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    tario e due applicati; ma presenta un organico di almeno una deci-na di persane che si affaccendano (sempre pi o meno) intorno a compiti stranissimi e mal precisa-ti ma aventi tutti una !oro qualifi-ca e una !oro precisa retribuzio-ne. Su dieci certificati di nascita rilasciati dai suddetto piccolo co-mune, solo due o tre saranno quelli che seguiranno la via nor-male; i restanti sei o sette usciran-no attraverso l'interessamento di una o pi di queste persone col-laterali che svolgono funzioni di usciere, messo comunale, partie-re di camposanto, addetto alle pompe funebri, guardia capestre, vigile urbano, ecc. senza, per al-tro, adempiere in modo specifico alla qualifica che rivestono.

    La giungla si fa pi intricata nelle citt pi grandi e diventa fo-resta vergine impenetrabile a Na-poli o a Palermo. Qui l'entit de-gli interessi, il numero delle per-sone impiegate in fatiscenti strut-ture burocratiche statali, parasta-tali, regionali, provinciali, comu-nali ecc. rasenta l'incredibile. E questo esercito in mezze maniche disponibile in qualsiasi momen-to a schierarsi in perfetta regola, secondo gli ordini del proprio ca-pobanda locale, si tratti di reperi-re voti, di tacitare facinorosi, di sgomentare idealisti, di evitare modifiche troppo violente alla si-tuazione di fatto.

    Ma non si deve credere che questo fenomeno particolare di burocratizzazione sia esclusivo delle strutture dello Stato. Il set-tore privato dell'economia non ne esente. La maggior parte del-le imprese private fanno le assun-zioni di personale sulla base di segnalazioni di amici e su scelte che intendono garantire equilibri politici al proprio interna. La so-luzione del problema tecnico del-l'imprenditore, cio di come or-ganizzare la produzione nel mi-glior modo possibile, decisa-mente secondaria. Que llo che conta garantirse da un lato con-tro le estorsioni (pagando quanto dovuto ed assumendo chi segna-lato), dall'altra contro le ritorsio-ni di uomini politici che vogliono sapere con esattezza quanti voti possono ottenere e quindi quanti loro uomini possono impiegare. Le commissioni sindacali che do-vrebbero presiedere alle assun-zioni numeriche sono truccate

    anarchismo

    peggio di un vecchio mazzo di carte.

    Le stesse grandi operazioni fa-raoniche di costruire le famose cattedrali nel deserta, quei centri di industrializzazione che avreb-bero dovuto costituire i poli di at-trazione per uno svilupo del me-ridione, non sono andati esenti da questo poderoso abbarbicarsi. Il reclutamento della mano d'o-pera era partita con quelle inten-zioni grottesche e eroicomiche che contrassegnano l'atteggia-mento di uomini politici, sinda-calisti, poliziotti e preti quando dai Nord sbarcano al Sud e vedo-no le cose con l'occhio dell'effi-cientismo politico del capitali-smo avanzato. Lo sradicamento in massa di vaste popolazioni contadine perch venissero tra-sformate in popolazioni operaie (bieca operazione di colonizza-zione che trovava il plauso del PCI in armonia con le vecchie coglionate marxiste sulla forza del proletariato di fabbrica, ecc. ecc.) non fu che l'inizio di un eso-do fallimentare. Le vecchie zone vennero abbandonate solo par-zialmente (in sostanza si ebbero quasi dovunque dei pendolari) e non poterono essere adibite ad una agricoltura razionale. La gente non solo resistette ad ab-bandonare le zone di origine, ma and in fabbrica organizzandosi per continuare la coltivazione del proprio pezzo di terreno dietro la casa. Nello stesso tempo, per consentiva a irreggimentarsi in gruppi di potere locale che clap-prima timidamente, poi sempre pi largamente, finirono per con-quistare il predominio in fabbri-ca, rimpolpando in modo increi-dbile gli strati operai e impiegati-zi intermedi (segnatempi, capetti, capisquadra, capicantiere, ragio-nieri, applicati, dattilografi ecc.). Man mano che si andava dise-gnando nei suoi tratti caratteristi-ci il fallimento del piano egemo-nico, pi chiaro e pi dettagliato si faceva il piano di penetrazione di questa gramigna cliente lare. La sofferenza della struttura produt-tiva era nuova linfa vitale per sempre maggiori ruoli fittizi e sempre pi ampie presenze poli-tiche e mafiose.

    Per chi avesse ancora dei dubbi su questa universale capacit del-le gramigna di attecchire dapper-tutto, facciamo l'esempio dei co-

  • anarchismo

    siddetti partiti di stmstra, per esempio a Catania. La forma che le federazioni assumono non ha nulla che ricordi le federazioni del Nord. Per il PSI la stessa ri-partizione delle correnti, che tan-to significato ha altrove, qui si-gnifica solo una divisione frater-na dei seggi per entrare nel comi-tato e nessuna coloritura o sfu-matura politica. Spesse volte commissari del partito vengono inviati da Roma ma non si hanno modifiche notevoli. Ogni uomo politico socialista gestisce la sua fetta di potere con tecnica mafio-sa, e quando le cose non vanno come devono andare si provvede a sparare alle gambe di qualcuno, come avvenuto un paio di anni addietro con il segretario della fe-derazione di Catania (che anche l'agente dell'INA per la provin-cia). Niente di diverso per il PCI.

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    La mafia di un vecchio personag-gio come Rindone domina sulle altre e spesso lotte di palazzo ri-chiedono chiarificazioni non sempre pulite e defenestrazioni inaspettate. Ma quello che qui in-teressa, sia per il PSI che il PCI non il modo di gestire il partito - che pure caratteristico di una certa mentalit - ma il modo di mettere gente dentro il partito. Il fattore ideologico non ha il mini-mo significato, nemmeno la si-tuazione di classe o il proprio passato fascista o democristiano: quello che conta il numero dei voti e gli spostamenti delle dien-tele. Nessuna modificazione av-viene considerando le cose all'in-temo della DC o degli altri parti-ti.

    L'insieme di queste situazioni generalizza il modello mafioso di gestione del potere. Chiariamo il

    interventi

    problema. Precisiamo subito che la distin-

    zione tra mafia e politica non facile a farsi, spesso non nem-meno possibile e qualche volta non neanche utile.

    L'elemento di fondo, che emer-ge con incredibile persistenza nella storia del meridione italia-no, la sfiducia verso lo Stato. Sia per le vicende delle varie oc-cupazioni, sia per le caratteristi-che stesse del modo di vedere e sentire le cose latino-mediter-raneo, Jo Stato pi o meno con-siderato da sempre come lo sfrut-tatore lontano e inaccessibile che si presenta sempre sotto le vesti dello sbirro o dell'esattore. Spera-re di ottenere giustizia un'illu-sione, quindi occorre fare ricorso ad altre forme organizzative che questa giustizia la realizzano, an-che se con modalit e con prezzi

  • interventi

    spesso discutibili. Da qui non solo la nascita, ma la giustifica-zione storica e morale della ma-fia.

    E da qui la nascita anche di un modo di vedere le cose mafio-so, che non il modo violenta o prevaricatore o opportunista, ma semplicemente un modo di-storto o indiretto. Ne! Sud quan-do si ha bisogno di una cosa, an-che della pi semplice e della pi sacrosanta cosa di cui un indivi-duo possa avere bisogno, ad esempio di un lavoro, a nessuno viene in mente che esiste un uffi-cio di collocamento o esistono ditte che potrebbero avere biso-gno di mano d'opera, ma subito tutti pensano a .

    Spesse volte la distinzione tra clientela politica e clientela ma-fiosa non facile. Prima perch moiti politici sono essi stessi, in prima persona, mafiosi. Seconda perch ' metodi impiegati sono quasi sempre uguali. Terzo per-ch allo stesso modo partiti poli-tici e organizzazioni mafiose usa-no la propria clientela per ottene-re identici risultati: cio indebiti arricchimenti per poter continua-re, con quegli introiti, sia a man-tenersi in quanto struttura politi-co-mafiosa, sia a garantire quanto dovuto alla clientela stessa.

    L'interiorizzazione molto ge-neralizzata del modello mafioso costituisce, purtroppo, un paten-te elemento di delega e quindi di freno e deve essere tenuto presen-te. accanto alle altre cause di ca-rattere pi specificamente econo-mico, per comprendere le con-traddittoriet del comportamento degli sfruttati meridionali. Anche dai !oro discorsi, spesso, emerge una carica di antistatalit che fa subito luccicare gli occhi agli anarchici, aprendo il !oro cuore a chiss quali sogni di insurrezioni e ri volte. Ma occorre vedere criti-camente quegli atteggiamenti, ascoltare bene quelle parole di condanna .dello Stato e del gaver-no. Dietro di esse emerge quasi sempre il rispetto per una fonte di potere di versa ma non per que-sto meno dannosa: la fonte del potere mafioso. Ben difficilmente la stess3 differenziazione ideolo-gica sfuggc al p> in queste zone,

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    ma comunisti seguaci di quella tale persona>>. Lo stesso dicasi per gli altri partiti. Il carisma del capo sopravvanza la scelta politi-ca sulla base di una qualsivoglia maturit di coscienza. Il proprio interesse personale stesso viene fatto quasi sempre coincidere con quello del capo della clientela di cui ci si sente parte.

    Ne! recente terremoto in Cam-pania e Basilicata, per ogni futuro tentativo di organizzare la lotta, occorrer fare i conti con questo ostacolo. La quasi totalit della gente non si aspetta granch dallo Stato, mentre si aspetta tutto, o quasi tutto, dai capomafia locale o dai capo politico locale o pro- . vinciale (che poi non fa differen-za). Tutti saranno disponibili alla lotta ma con grosse riserve men-tali e con una potentissima riser-va oggettiva: non bisogner dan-neggiare in nessun modo la rete di interessi che la mafia e la poli-tica locale stanno costruendo. Al limite sempre meglio vivere in una baracca che non vivere affat-to, ognuno fa questa considera-zione e non , spesso, capace di uscirne fuori.

    Riflettere su queste stranezze>> rende pi chiari alcuni compor-tamenti che sembrano paradossa-li. Ad esempio sono stati proprio i proprietari delle seconde case ad organizzare la prima vera e pro-pria rivolta o resistenza colletti-va, quando si ventilata l'ipotesi della requisizione. E ci perch questa gente ha una maggiore au-tonomia nei confronti delle orga-nizzazioni partitico-mafiose di quanta non ne possegga la pavera gente veramente bisognosa. La paura di quest'ultima sempre quella di trovarsi non solo contro lo Stato (cosa cui abituata da se-coli e che non la preoccupa per nulla) ma contro le strutture di potere che si sovrappongono allo Stato e dalle quali staccarsi dif-ficile.

    In definitiva abbiamo quindi un potenziale enqr;me di carica antistatale. Su queMa base il lavo-ro politico da svolgersi ne! meri-dione molto facilitato, in quan-to non s'incontrano quelle strut-ture mentali tipiche del Nord che sono state cosi ben utilizzate dai partiti della sinistra ufficiale e meno ufficiale. Qui la gente ha la tessera di un partito per lo stesso motivo per cui porta in tasca

    anarchismo

    l'immagine della madonna o il corno rosso contro il malocchio. Sono assicurazioni diverse contro le contrariet della vita e motivi che si sostengono a vicenda per non trovarsi mai impreparati da-vanti a quello che pu accadere. Il guaio che l'abitudine alla ri-serva mentale se scaltrisce verso i giochi del potere, rende incapaci di fermezza e di coraggio davanti al nemico. Scendere a patti di-venta un modo di sopravvivere e una divisa mentale, il proprio pane quotidiano e la moneta con cui si pensa di pagare qualsiasi conto.

    La carica di ribellione si accu-mula, spesso in maniera impen-sata e in forme multiformi. Oc-corre spezzare il secondo ostaco-lo: l'esistenza di una fiducia ne! potere che si sostituisce allo Sta-to, nel potere politico-mafioso. Ma, per far ci, per distruggere il vero e proprio ostacolo per il mi-glioramento della situazione del meridione e per la preparazione delle condizioni rivoluzionarie che renderanno sostanzialmente esplosiva una situazione che allo stato attuale delle case solo po-tenziale, occorre sapersi presen-tare bene, coerentemente, in modo corretto, e senza inutili pietismi.

    La nostra gente perdente da secoli e non ama i perdenti. Se volete un'altro aspetto del mito del potere. La vittoria dei forti. Guai a presentarsi nelle vesti dei perseguitati. Si compatiti, an-che considerati facenti parte delle fraternit degli sfruttati; ma tutto quello che ci si guadagna un suggerimento ad entrare in una qualsiasi clientela per farsi pagare il torto ricevuto.

    Occorre quindi presentare un modello certamente non autorita-rio, un modello organizzativo che parta dalla base ma che non dia l'impressione di essere esclusiva-mente spontaneista. Che presenti una dura critica del modello ma-fioso ma che non lasci intravve-dere il vuoto dietro le parole ro-boanti. Occorre insomma sugge-rire l'organizzazione di una lotta di liberazione che diventi, par-tenda dai basso, qualcosa capace di soppiantare Jo strumento poli-tico-mafioso nella resistenza se-colare in corso contro Jo Stato.

    E in questa direzione occorrer lavorare ancora molto.

  • anarchismo

    tutto il potere al carabiniere

    Noi anarchici non siamo certo tra coloro che coltivano illusioni di qualsiasi sorta circa lo stato. Sappiamo bene che sotto qualsia-si forma esso si presenti, la sua essenza non muta e che esso pronto ad usare qualsiasi mezzo per perpetuare il suo dominio ba-sato sull'oppressione, l'asservi-mento e l'instupidimento totale dei suoi sudditi. Ma non per que-sto ci accontentiamo di basarci su delle analisi generiche o fumose che, limitandosi a ripetere fino alla nausea il presupposto che tanto lo stato sempre uguale a se stesso non servono ad altro che a lasciarci confusi e disarmati di fronte alle necessit contingen-ti della lotta rivoluzionaria. Pro-prio perch vogliamo combattere per la distruzione dello stato in tutte le sue forme ci sentiamo im-pegnati a compiere analisi pun-tuali e approfondite che ci indi-chino con la massima chiarezza possibile il tipo di evoluzione at-traversata in quel momento dal-l'organizzazione sociale del do-minio e i punti su cui impor-tante indirizzare, in una data si-tuazione, il nostro attacco, affin-ch sia pi produttivo.

    E' in questo spirito che voglia-mo qui affrontare l'analisi di quella tendenza che ci pare emer-gere oggi con una certa chiarezza nel nostro paese e che, se la si vuole etichettare in qualche ma-niera, potrebbe essere definita come militarizzazione dell'appa-rato di dominio. Il ch non signi-fica certo che in precedenza lo stato non fosse militarista, ma semplicemente che una partico-lare componente della classe al

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    potere sembra oggi acquistare una certa supremazia sulle altre.

    Non c' dubbio che in tutto il progredire delle vicende della lot-ta per la libert si articolino sem-pre parallelamente due opposti ordini di conseguenze degli epi-sodi di conflitto sociale: una che agisce ne! senso del superamento dei limiti del passato, di distru-zione dello stato di cose esistente nella sua soffocante realt e che possiamo definire la tendenza alla liberazione; un'altra, che in-vece lavora al mantenimento del-lo status quo e a rafforzame le strutture di difesa, che chiamere-mo brevemente tendenza alla re-staurazione.

    A nostro modo di vedere, non esistono fatti che abbiano conse-guenze solamente in uno di que-sti due sensi, il cui risultato vada esclusivamente ne! senso della li-berazione o, al contrario, in quel-Jo della restaurazione, ma pensia-mo piuttosto che spetti all'inter-vento diretto di qualcuna delle parti in causa (il movimento rivo-luzionario, ad esempio, oppure qualche componente della classe dominante) far prevalere l'una o l'altra delle due tendenze. Pro-prio per poter meglio indirizzare questo nostro intervento di rivo-Iuzionari anarchici ci interessa in questo momento capire quali strade stia percorrendo, oggi in ltalia, il progetto di restaurazio-ne.

    Il processo che cercheremo di descrivere si potrebbe facilmente riassumere in uno slogan: tutto il potere al carabiniere, ma poi-ch non ci piace affidarci al facile fascino di formulette di questo tipo, cerchiamo di vedere meglio cosa sta succedendo. Quello da cui siamo dominati uno stato frequentemente sconvolto da ri-volgimenti intemi: crisi di gover-no, elezioni anticipate e altre buf-fonate del genere si susseguono a un ritmo che non ha eguali in nessuna altra nazione del cosid-detto blocco occidentale e que-sto per un motivo fondamentale: tentare di adattare le strutture e gli uomini dell'apparato di potere ai sempre diversi problemi che gli vengono posti davanti dai continuo svilupparsi di nuove forme di opposizione e di antago-nismo pi o meno cosciente, dai riproporsi incessante della lotta

    dibattito

    antiistituzionale e antistatale, che ha finora fatto fallire tutti i pi recenti tentativi di soluzione defi-nitiva messi in atto dallo stato.

    Tutte le volte che la classe do-minante si illude di aver final-mente trovato il bandolo della matassa e di poter dormire, aime-no per qualche tempo, sonni tranquilli, essa costretta ad ac-corgersi di aver fatto male i suoi conti, perch la volont di ribel-lione pi profonda e diffusa di quanto non avesse pensato e tor-na alla luce in nuove forme e in nuove situazioni: cosi capitato ne! '68 e ne! '77 (per non fare che gli esempi pi recenti e pi ecla-tanti) e cosi le sta nuovamente succedendo oggi, quando si illu-deva di aver risolto, a forza di bli-tz e di pentimenti, il problema del cosiddetto terrorismo e, assie-me ad esso, ogni problema di controllo sulla realt sociale.

    Prorio mentre era sul punto di cantare vittoria e gi cominciava a permettersi il lusso di dire che in fondo non era successo niente, Jo stato ha dovuto accorgersi non solo che i gruppi clandestini che presumeva di avere ormai sgomi-nato sono pi vitali di quanto si potesse supporre e sono ancora in grado di aprire profonde contrad-dizioni nel suo meccanismo di comando, ma anche (cosa ben pi grave) che il suo tentativo di rinchiudere alcuni anni di lotte rivoluzionarie sotto l'etichetta prefabbricata del terrorismo, riducendo il tutto ad uno scontro tra opposti apparati politico-militari da poter liquidare sbriga-tivamente, non era altro che un bluff, una manovra propagandi-stica che sta riscuotendo meno successo del previsto. Se tremila (e forse pi) arresti non sono ba-stati a sgominare quel cosiddetto pugno di esaltati e delinquenti che minacciano la democrazia, se un'ondata di leggi speciali re-pressive che trova precedenti solo nel ventennio fascista non ba-stata a riportare l'ordine nel paese, se una smisurata militariz-zazione del territoro non servi-ta a normalizzare la situazione, anche il potere comincia ad esse-re costretto ad ammettere che .le cose non stanno poi esattamente come ce le vorrebbe dipingere.

    A forza di sbatterci il muso, anche nei centri di gestione del potere comincia a questo punto a

  • dibattito

    farsi strada una constatazione: una classe politica corrotta, ma-fiosa, ladra, presuntuosa, arruffo-na e sputtanata come quella che

    - ci governa non puo essere capace di trovare i mezzi per uscire da una situazione che essa stessa contribuisce a creare con la sua arroganza. E questo vale non solo per quelle sue componenti che hanno finora gestito pi diretta-mente le leve del governo, come la OC, ma anche per quelle che dovrebbero rappresentarne l'al-ternativa istituzionale (i partiti di sinistra e i sindacati), che non fanno altro che condividerne i di-fetti, con l'aggiunta di un'insop-portabile presunzione che gli de-riva dai fatto di essersi autodefi-niti rappresentanti dei lavoratori, presunzione che si comunque andata sgonfiando negli ultimi anni, dopo che questi hanno dato prova non solo di non essere poi tanto pi puliti dei !oro rivali, ma di non. essere neppure in gra-do di esercitare questo tanto van-tato controllo sulle masse proie-tarie.

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    E' di fronte a questa constata-zione che ha cominciato a farsi strada la candidatura di un nuovo gruppo di potere, del quale non ancora facile individuare con as-soluta precisione l'articolazione e i sostenitori, ma la cui linea poli-tica si fa di giorno in giorno pi evidente agli occhi di tutti e che ha trovato immediatamente il suo uomo del destino ne! gene-rale, anzi, ne! generalissimo Car-lo Alberto Dalla Chiesa. E' natu-rale che anche questo nuovo duce non rappresenta molto di pi di uno specchietto per le allo-dole, una testa di legno gettata in pasto al pubblico (e pronta ad essere gettata alle ortiche se qual-cosa dovesse andare male, ovvia-mente), ma alle sue spalle si muove tutta una serie di perso-naggi che preferiscono restare nell'ombra e un apparato di spe-cialisti che comincia ad impadro-nirsi dei pi importanti centri ne-vralgici del potere esecutivo.

    Uno di costoro (che pero non potr pi godere i frutti del suo oscuro lavoro) era senza dubbio il

    anarchismo

    generale Galvaligi, che ora tutti si affannano a descrivere come un sincero democratico, che era addirittura contrario alle carceri speciali: peccato che il suo com-pito consistesse esattamente nel-l'organizzare e garantire la sicu-rezza di quelle stesse carceri ...

    E se Pertini (i cui rapporti con questo progetto sono del resto al-tamente ambigui) ha i corazzieri, costoro portano come fiore al-l'occhiello i G.I.S., quelle famose teste di cuoio tanto eroiche da riuscire, armati di tutto punto con mitra, plastico, e bombe chi-miche, a sopraffare dei prigionie-ri che combattono a mani nude o quegli altri intrepiditutori del-l'ordine che la televisione ci mostra sempre pi spesso accan-to ai !oro trofei, compagni pe-stati a sangue dopo la cattura, quando sono gi ammanettati, in dieci contro uno: tutti quei racca-priccianti primi piani sui volti tu-mefatti dei presunti terroristi servono anche questi a farci abi-tuare alla sopraffazione quotidia-

  • anarchismo

    na, alla crudelt gratuita del po-tere.

    Quello a cui stiamo in sostanza assistendo un vero e proprio golpe strisciante, che usai carabi-nieri come truppa d'assalto, ma che guidato da cervelli trop-po raffinati per ripercorrere le classiche tappe dei golpe fascisti o anche solo per mostrare troppo scopertamente i suai veri scopi.

    L'ltalia non un paese sud-americano e non neanche piena di imbecilli come Almirante, che vorrebbe che le istituzioni de-mocratiche nate dalla resistenza>> si sputtanassero e gettassero. la maschera a tai punta da rimettere in vigore per legge la pena di morte. Niente di tutto questo, perch sarebbe troppo pericoloso e gravido di conseguenze impre-vedibili, e poi non c' n' nem-meno bisogno: la pena di morte, il governo-ombra di Dalla Chiesa la applica nei fatti, senza proble-mi e senza oisogno di dover per-der tempo con tanti inutili orpelli legalitari.

    Lora i terroristi li fucilano gi sulle pubbliche piazze (ultimo esempio: Roberto Serafini e Wal-ter Pezzoli, crivellati di colpi in una strada di Milano, dopa essere stati a lunga pedinati in attesa del momento e del luogo adatto per eseguire la tacita sentenza emessa dai nuclei antiterrorismo), senza dover aspettare il giudizio di nes-sun tribunale e riscuotendo il plauso incondizionato di tutti i cosiddetti difensori della demo-crazia>>, pronti a perdonar lora anche gli incidenti sul lavoro>> che agni tanta gli fanno sbagliare bersaglio e accoppare gente che non c'entrava niente.

    Lora il problema della libert di stampa lo hanna gi risolto, at-tuando la censura pi totale e im-penetrabile su tutto quanta per lora conveniente e operando di-rettamente alla fonte: quanti gior-ni bisogna armai attendere per venire a conoscenza delle bril-lanti operazioni antiterrorismo>> e quante settimane per conoscere i nomi degli arrestati e dei ferma-ti? Certe notizie, certe informa-zioni basta non darle e cosi non c' poi il problema di doverle di-storcere, tagliare, adattare, mani-polare. E se qualche giornalista mostra di non aver ancora capito che aria tira e certe notizie se le

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    vuole procurare direttamente, molto semplicemente lo si caccia in galera, come Isman, come Scialoja, come Bultrini: dopa ci penseranno i paladini dello stato di diritto a spiegare che cosl era giusto fare nel superiore interesse della solidariet nazionab>.

    Lora non hanna bisogno di cercare prova e neanche di ese-guire indagini: assoldano qualche spione schifoso, promettono ana-ri, gloria e impunit a qualche coglione pronto a vendere la sua dignit di uomo per trasformarsi in un delatore, pronto a vendere padre, madre, compagni e tutta la famiglia e a firmare qualsiasi ver-bale passa scaturire dalla fantasia di un giudice o di un carabiniere. Poi ci penseranno lora a togliersi dai piedi i personaggi scomodi, con un passaporto falso o con un colpo alla nuca.

    Lora non hanna bisogno di proporre, discutere e far passare imbarazzanti progetti di legge sempre pi liberticidi, non hanna bisogno di sottostare alle seccanti formalit della democrazia, perch vanna dritti alla sostanza del potere: emanano comunica-zioni di servizio, fanno circolare veline, impartiscono ordini, ese-guono sentenze mai pronunciate ufficialmente. Il parlamento, la magistratura, la circolazione del-le informazioni, la divisione dei poteri, tutte queste stupide pa-gliacciate che servono ad incanta-re i creduloni e a mascherare il vero volta dello stato democrati-co, !oro non sono tanta inco-scienti da abolirli, provocando scompiglio e incertezza negli sciocchi che ancora ci credono: conoscendone la sostanza di utili paraventi, possono semplicemen-te infischiarsene, saltarli a piedi pari, per mettere in pratica diret-tamente e senza tante perdite di tempo illoro progetto di dominio sociale.

    A questa proposta politica, che si presenta oggi come l'unica an-cora di salvezza per i sostenitori dello stato efficiente, si sono gi dovuti accodare tutti quei perso-naggi che ambiscono a succedere a un trentennio di gestione demo-cristiana del potere politico: dagli eurocomunisti del PCI, armai co-stretti a ricercare fuori dai lora campo l'opportunit per mettere in atto la famosa svolta, ai tecno-

    dibattito

    crati del PRI, fino ai paladini del-la reazione pi becera, dai Napo-litano ai Visentini, dai Leo valia-ni ai democristiani puliti di Zaccagnini, un vasto ventaglio di politicanti offre la propria candi-datura per offrire la copertura istituzionale alla militarizzazione dello stato e di tutta la societ.

    Con le galere piene di migliaia di prigionien politici e di ribelli, con milioni di persane che conti-nuano a vivere ai margini o espli-citamente al di fuori della legalit istituzionale, con situazioni esplosive come quella dei terre-motati del meridione, l'unico set-tore che puo proporsi alla guida dello stato con qualche garanzia di efficacia la casta militare, fi-nora tenutasi sufficientemente al di fuori dei maneggi e degli scan-dali che hanna invece sconvolto la classe politica ed economica, senz'altro ordibile per gestire una politica di pugno di ferro nella quale hanna fino ad adesso mise-rameute fallito tutti i partiti poli-tici, dalla DC al PCI, guardata con ammirazione e speranza da quel ceto media fatto di bottegai, impiegatucoli, funzionari e pa-droncini arricchiti dai lavoro nera e dalle ruberie, che invoca disperatamente ordine e legali-t.

    Ma quello che pi pericoloso, in questa evoluzione dello stato che stiamo descrivendo, non tanta il fatto in s che le divise si stiano sostituendo ai doppipetti, quanta il progetto sociale che esso comporta.

    Un progetto sociale che stato fin qui sperimentato, come ab-biamo gi detto, nella repressione dei movimenti rivoluzionari, pi o mena clandestini, ma che ci si prepara ad estendere a tutta la so-ciet. E' infatti evidente che gli stessi sistemi e gli stessi mezzi fin qui usati per reprimere il feno-mena della lotta armata, sono or-mai pronti per essere usati in agni campo in cui si manifesti una volont di ribellione all'ordi-

    . ne vigente, in cui si sviluppi un antagonismo o anche semplice-mente un'estraneit al modello di vita che ci si vorrebbe imporre.

    Ed chiara che dopa i movi-menti rivoluzionari, a fare i conti con Dalla Chiesa e il sua gaver-no-ombra, dovranno essere i di-soccupati, i terremotati, i lavora-tori, gli emarginati, i drogati, i

  • ( l ' t

    ! dibattito

    giovani e, in definitiva, tutti i di-versi e i non integrati.

    I segnali di questa diffusione del metodo Dalla Chiesa sono gi ben visibili a chiunque presti un po' di attenzione: dai terremo-tati costretti militarmente a ab-bandonare le scuole e le case oc-cupate, all'allontanamento con foglio di via, dalle zone del sisma, dei volontari non graditi; dalla preparazione di leggi speciali an-tisciopero contro le lotte autono-me ed extrasindacali, alla solu-zione poliziesca e giudiziaria del problema delle tossicodipenden-ze; dai tentativo di fare della de-lazione un comportamento socia-le capillarmente diffuso in ogni posto di lavoro, in ogni paese, in ogni quartiere, alla fucilazione immediata degli scippatori o dei topi d'automobile (o presunti tali) sorpresi sul fatto; dalla li-cenza di uccidere tacitamente concessa ai bottegai, ai gioiellieri, ai padroncini, fino alla creazione e al potenziamento di un numero sempre maggiore di corpi di poli-zie parallele, di vigilantes e sce-riffi di ogni genere.

    Di questo brillante sviluppo della repubblica-nata-dalla-resi-stenza portano una buona parte di corresponsabilit anche tutti quegli sfruttati, quei lavoratori, che, illudendosi di ricavarne chis-s quali vantaggi, hanno accetta-to di farsi statm>, accorrendo agli accorati appelli dei !oro cosiddet-ti rappresentanti.

    Ma di fronte a quello che sta accadendo non sufficiente ac-corgersi di essersi sbagliati: ne-cessario agire. E' necessario rifiu-tarsi di sottostare ad una discipli-na sociale che mira a trasformarci in un esercito di automi pronti ad accettare un lavoro, dei consumi, dei passatempi, delle mode e del-le idee accuratamente program-mati dall'alto; necessario risco-prire la propria autonomia di in-dividui, di soggetti la cui vita e i cui interessi sono in aperto e tota-le contrasta coi piani del potere.

    Ed necessario che i rivoluzio-nari la smettano di piangersi ad-dosso e di lamentarsi che non si puo pi far niente, dando sem-pre la colpa a qualcun altro: allo stato che cattivo, alle Brigate Rosse che sono staliniste, all'oro-scopo che sfavorevole o alle masse che non sono mai disponi-bili.

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    E' tempo che i compagni tomi-no ad impegnarsi nelloro compi-to di detonatori del malcontento diffuso, facendo tesoro di cio che l'esperienza di questi ultimi anni dovrebbe. averci insegnato e cio che non c' pi spazio per tra-stullarsi con i giochetti ideologici, con i partitini e le chiesuole, che non ci sono pi idoli o modelli da adorare o da proporre alla vene-razione delle masse.

    Che l'unica strada che possi-bile seguire per costruire sin da oggi la nostra liberazione quella

    anarchismo

    dell'autogestione delle lotte, del-l 'autonomia da ogni settarismo politico, della distruzione imme-diata di cio che ci opprime e del-l'organizzazione libertaria della volont di ribellione.

    E che infine non pi possibile delegare nulla n a qualche spe-cialista n ad un futuro sempre di l da venire: chi deve essere libe-rato siamo noi stessi e subito, chi deve lottare siamo noi e ora.

    Distruggiamo cio che ci di-strugge!

    DALlE GALER[ Dl PINOCHIT A QUflL[ Dl PERTINI '''

    QUIITII WTI: Il. tMNMIO JUAN MMU lllSU/11 AIIIUTATtJ 11111 Ill INCIIJUI1I Il& U/1110 {ltl/ltJ)III UlltA11111111111U. llr tlllllfiiiiiZA Vllllll _,Al--- . QIMIIIIIttJ AL fiiUII UIIIT/10 1 fU 111 AM/tAti 1111 tl/1111 tlll1fiiiUi IV J' UTJ CfJUZ/1111. Il. INJ6D TRATTAMIII7D 1111/trATDIU ltl1'tl U ama liA P11tWA1D U 1/V SfAMIN7D IJIJ. CIIIIID JIJ.U SI/A IEK ID 4 /llltlfiiJMWJIIII

  • anarchismo

    crocenera

    Quasi contemporaneamente a questo numero di Anarchismo, appare anche il primo numero del bollettino Crocenera, un 'i-niziativa alla cui realizzazione stiamo concorrendo per quanta ci possibile. Pubblichiamo qui di seguito l'editoriale del n 1 di Crocenera, ricordando a tutti i compagni che fossero interessati a ricevere il bollettino o comun-que a sostenere questa iniziativa, che /'indirizzo a cui fare riferi-mento : Libera Espressione, C.P. 13-10042 Nichelino (TO).

    Basterebbe il nome che abbia-mo voluto dare a questo bolletti-no per far capire, soprattutto a quei compagni che con maggiore continuit si sono interessati ai problemi connessi -alla repressio-ne, l'ambito nel quale intendia-mo muoverci; vale a dire la difesa politica e la solidariet per quan-ti, anarchici e libertari, sono col-piti dalla repressione. Entrambi questi aspetti sono parte inte-grante della coscienza di ogni ri-voluzionario e - giova sottoli-nearlo di questi tempi- aspetti ir-rinunciabili delle lotte per l'e-mancipazione.

    La repressione, sia chiaro, non colpisce il singolo o gruppi di compagni rei di aver violato le leggi imposte dallo Stato, ma opera a livello sociale come pre-venzione contro lo sviluppo del processo rivoluzionario. E' in questo senso che essa incide sulla capacit e volont del movimen-to rivoluzionario di agire; ed per questa ragione che essa tocca direttamente ogni singolo compa-gno che non intenda liquidarsi come rivoluzionario. La repres-sione un'inevitabile costante delle lotte sociali e l'esperienza insegna che essa si estende quan-do ci si rassegna alle condizioni di sfruttamento o quando ci si adagia sulle conquiste fatte nelle lotte precedenti.

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    E' necessario a nostro avviso cercare di inserire i fatti repres-sivi al'interno delle lotte sociali, non per generiche campagne di opinione, ma come armi, da uti-lizzare insieme a tutte le altre, per esprimere pi pienamente l'antagonismo sociale contro tut-to cio che ci domina. Ma senza cadere nella specializzazione}) dell'intervento o peggio nella de-lega ad organismi che si autopro-pongono come strumenti di lotta contro la repressione. Questi ulti-mi, e anche questo bollettino, possono essere utili ed utilizzati, ma mai essere sostitutivi dell'in-tervento e dell'iniziativa diretta di tutti i rivoluzionari. Perch se giusto difendersi o difendere singoli compagni dalla repressio-ne, non lo diventa pi se questa l'unica base aggregativa dell'in-tervento rivoluzionario, se risulta staccata e avulsa dall'intervento quotidiano, se rimuovendo il problema esso viene demandato a chicchessia.

    La repressione ci investe tutti e sempre direttamente: combatter-la significa prima di tutto svilup-pare ed estendere l'iniziativa ri-voluzionaria e con essa - aura-verso essa - la solidariet con i compagni e le migliaia di proleta-ri colpiti dalla repressione o pri-

    repressione

    gwmen. Quello che CI mteressa fare

    primariamente cercare di ricosti-tuire il tessuto di solidariet, in-trecciarlo il pi fittamente possi-bile, e quindi - intanto - creare una cassa di solidariet (di cui da-remo canto ogni mese) da utiliz-zare esclusivamente per i compa-gni in galera e poi contribuire alla pratica di una controinfor-mazione allargata e continua dif-fondendo il maggior numero pos-sibile di notizie sui compagni vit-time anche dei pi piccoli atti di repressione, su quelli incarcerati, sulle iniziative politiche che il movimento porta avanti nell'am-bito specifico della lotta contra la repressione, sulle lotte nelle gale-re, i processi, ecc. a livello nazio-nale e anche internazionale.

    Per fare questo non possiamo che contare sul senso di maturit e solidariet di tutti i compagni. E a tutti chiediamo una collabo-razione fattiva sia per la distribu-zione del bollettino, sia per la sua redazione.

    Il bollettino sar quindicinale; la distribuzione sar fatta unica-mente tramite i compagni che ce lo richiederanno; saltuariamente usciranno dei supplementi di do-cumenti o dei dossiers su casi specifici.

  • repressione

    petra kra use: la lotta contro l'isolamento

    L 'intervista che riportiamo di se-guito stata fatta alla compagna Petra Krause, prima della sua s'comparsa da Napoli, che pre-senta moiti punti oscuri e desta perci gravi preoccupazioni sulla sua sorte. La sua testimonianza vuole essere uno strumento di ri-flessione sullo stato in cui si tro-vano o si sono trovati o (ancor pi probabilmente) potranno trovarsi in futuro, moiti compagni che sono stati rinchiusi nei labora-tori di confessioni delle galere.

    O.- Facciamo una cronistoria degli eventi. Di che cosa ti accu-sana e dove ti hanno arrestata? R. - lo sono stata presa a Zurigo i 1 20 marzo 19 7 5, per strada. Mi stavo incontrando con una arnica e improvvisamente sono stata cir-condata da un'enorme quantit di uomini in borghese che mi hanno bloccata, mi hanno strap-pata via la borsetta e giacca e di-cevano: Siamo della polizia, sia-mo della polizia, lei la signora Krause e cominciavano a sonda-re su di me, come se avessi delle armi, che non avevo. La stessa cosa succedeva alla mia arnica e dopo pochi minuti, mi hanno tra-scinata in una macchina, non una macchina di polizia, e per una ventina di minuti andavano su e gi per la citt finch siamo finiti in un garage sotterraneo. Succes-sivamente ho capito che era la questura di Zurigo e mi hanno portata in un ufficio dove sono stata interrogata da diversi poli-ziotti sempre in borghese che mi dicevano: Noi sappiamo che lei la Signora Krause, la conoscia-mo da tanto tempo, lei accusata di diverse cose - non hanno spe-

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    cificato di che cosa - e si spogli perch dobbiamo controllare tut-ti gli effetti che lei ha addosso. 1 poliziotti sono usciti, sono entrati due poliziotti/donne che mi han-no strappato letteralmente i vesti-ti dai corpo e li hanno controllati pezzo per pezzo e mentre faceva-no questo dicevano fra di !oro: L'altra ha un sacco di soldi ad-dosso, non dice il suo nome, non parla con noi, molto arrogante e questa qui peggio ancora. Poi sono uscite lasciandomi sem-plicemente le calze, un paio di pantaloni, il pullover, una giacca e mi avevano tolto tutti gli indu-menti intimi. Sono rientrati i po-liziotti e hanno fatto un elenco di tutto quello che avevano trovato nella borsa, cio chiavi, fazzoletti tempo, biglietti del trame cose simili e dicevano che dovevano farmi un interrogatorio al che ri-spol1do che non avevo niente da dire tranne che mi chiamavo Pe-tra Krause, che ero nata il giorno x e che la mia residenza era in ltalia.

    Dopo questo sono stata portata in una cella sotterranea buia ed erano circa le 10 di sera, in mar-zo, mi diedero un paio di lenzuo-la di carta e mi trovai in un buco molto piccolo, molto freddo.

    Cosi insomma avvenuto l'ar-resto materialmente. Volevo dire che se questo arresto fosse succes-so in un altro paese al di fuori della Svizzera, dove sapevo che non c'erano organizzazioni fasci-ste, io ne! mmento dell'arresto sarei stata sicurissima che si trat-tasse di un assalto di fascisti, cio per esempio se fossi stata in quel momento in Francia, in Jtalia, in Spagna o in Portogallo, proprio per il modo come il tutto avve-nuto e perch erano senza divise e anche senza farmi capire che erano proprio poliziotti e am-messo che sarei stata quella che essi sostenevano, una sanguinaria terrorista, quindi sarei stata an-che armata, sicuramente avrei sparato. . . D.- Praticamente 1(u sei stata messa dentro senza neanche sa-perne i motivi? R. - Ora su questo fatto non mi voglio molto dilungare, perch io ho fatto un diario nei primi sette giorni del mio arresto, sulle mie riflessioni, sulle mie difese, poi pero soprattutto su come il me-todo dell'interrogatorio e anche

    anarchismo

    come, specialmente nei pnm1 momenti, nei primi giorni, uno totalmente espropriato del tem-po, dello spazio, un vero e pro-prio choc; almeno io devo am-mettere di averlo avuto e devo anche dire che il mio interesse di questa intervista quello di far capire quel che io ho vissuto e vorrei anche sapere cosa hanno vissuto altri, per trasmettere que-ste esperienze ad altri compagni o compagne che potrebbero essere arrestati, avere almeno una idea, che siano minimamente prepara-ti su cosa potrebbe succedere. In effetti molto importante impa-rare dalle esperienze altrui anche se ognuno far poi delle altre esperienze, ne potr aggiungere di nuove purtroppo. Successiva-mente mi sono resa conto che grazie a informazioni, cose lette e sentite soprattutto da altri ex de-tenl:lti, io qualcosa sapevo e quin-di un po' di carica e di difesa gi l'avevo. O. - Diciamo a/lora che questa dovrebbe es sere un 'esperienza di riflesso? R. - Si. Altrimenti non vedrei il motivo per cui comunicarle. O.- Una volta che hai avuto la netta sensazione dell'isolamento di cui coniinciavi a vivere, come l'ha combattuto dai punto di vi-sta fisico, cio come sei ri us cita a mantenere la tua integrit dai momento che l'isolamento porta dei dan ni fis ici? R.- Cercher di essere schemati-ca; io ho vissuto l'isolamento di 28 mesi in quattro fasi: la prima fase di una settimana con un tota-le scombussolamento; un totale esproprio del tempo, dello spa-zio, del corpo e anche del cervel-lo, con fortissima allucinazione. Una seconda fase fino al quarto mese in cui piano piano si co-mincia a realizzare che si isolati con determinati danni fisici, an-che molto forti, e secondo me in quel periodo per quel che riguar-da me, ancora non psichici. Una terza fase, dai quarto al diciaset-tesimo mese, c' un vero e pro-prio decadimento fisico con ini-ziale confusione mentale e poi una quarta fase dai diciassettesi-mo al ventottesimo mese, una cosa non pi misurabile (logica-mente questo vale per il mio caso e non per tutti). Da momento a momento diversit di umore -alti e bassi, euforia e depressione;

  • anarchismo

    precipitare ne! dolore o far salti di gioia - ma fuori da ogni con-trollo, se ci dovesse essere giudi-cato da persone in condizioni co-siddette (

  • repressione

    isolamento mi sono decisa a met-termi in lista d'attesa per vedere il medico del carcere, il quale poi mi ha vista; io non mi sono fatta visitare, gli ho soltanto chiesto per gentilezza di farmi avere della vitamina e di pesarmi e lui ha detto che per quanta riguardava le vitamine si prendono solo quando uno alla fine delle pro-prie forze e per quanta riguarda-va la bilancia mi chiedeva perch volevo farmi pesare. Gli ho rispo-sto che avevo l'impressione di aver perso almeno dieci chili e lui diceva che normale che nei pri-mi 5-6 mesi si perdano 10 chili. Quindi non c'era bisogno di pe-sarmi. Questa stata la prima ed ultima visita incarcere.

    Quando non ho avuto le vita-mine ho cominciato ad usare mezzi clandestini che anche nel-l'isolamento si possono usare, mi sono fatta portare' dentro, ed inutile dire come. delle vitamine. E' stata la mia prima azione clan-destina ne! carcere svizzero, le ho prese ma non mi sono servite gran ch, perch ero gi molto in-taccata in tutto il sistema. Se io avessi saputo prima che cadono i denti, i capelli, il peso va gi e poi vengono intaccati i muscoli, le ossa, probabilmente avrei fatto un gran casino democratico, non so, o quel che sia, per non finire in una certa situazione fisica che tuttora pago, ma purtroppo non lo sapevo. Anche perch io . ero sempre concentrata maggiormen-te a controllare la mia mente (na-turalmente continuavano gli in-terrogatori). Non che una volta che hai deciso di non parlare, per 2 o 3 mesi questa decisione rima-ne sempre ferma, bisogna ricon-quistarsela giorno per giorno, in-terrogatorio dopa interrogatorio, bisogna ripetersi continuamente: io con questa gente non ho nien-te a che vedere, anche perch pi si comincia a soffrire, o avere l'aspetto di apparente sofferenza e pi ti deridono. Per esempio nell'ascensore ti costringono a guardarti nello specchio e tu na-turalmente ti vedi bruttissimo, ti spaventi. Allora ti dicono: Ti conviene uscire da questo isola-mento, sai l'isola