UN APPROCCIO SISTEMICO ALLA RIFORMA DEL … DS/N. Insegnamento e... · E lo stesso accade per i...

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1 1 UN APPROCCIO SISTEMICO ALLA RIFORMA DEL CURRICOLO 1 di Umberto Margiotta 1. In che senso è opportuno tornare a parlare di riforma educativa. I modelli di spiegazione dell'apprendimento che sono dietro alle riforme dell'i- struzione avviate negli ultimi cinque anni dai Paesi industrializzati sostituisco- no all'equazione piagetiana(logica = psicologia) una centrata invece sulla multi- lateralità dell'intelligenza e sul carattere strategico dell'apprendimento (seman- tica = cultura). Ma di ciò forse solo il 10% degli insegnanti, degli allievi, dei ge- nitori e degli amministratori se ne è reso conto. Lo scarto tra innovazione e normalità rimane perciò alto, e le riforme dell'istruzione tendono sempre a co- stare più di quanto sia possibile preventivare per ciascuna di esse. Se gli inse- gnanti per primi non riescono ad apprezzare l'effettivo valore dell'innovazione introdotta, ancor meno lo potranno fare i genitori e gli allievi. In questo modo si spreca gran parte del quoziente di utilità sociale dell'innovazione proposta : i problemi applicativi acuiscono la sensazione di spreco, e il rigore ragionieristico ed economico dei controllori si abbatte sull'innovazione, obbligandola a volare basso. La conclusione è che l'innovazione introdotta, nel migliore dei casi, s'ag- giunge - come strato superficiale- agli altri che la precedono. Da qui l'eternità apparente del riformare insegnamento e formazione; da qui una delle cause di marginalità della scuola allo sviluppo sociale ed economico. Per riforma educativa intendiamo lo studio e lo sviluppo dei processi fonda- mentalissimi di intellezione e di comprensione dei paradigmi culturali, tecnolo- gici e psicopedagogici che ispirano e accompagnano le riforme scolastiche, quando si decida di avviarle e durante la loro attuazione. In questo senso non è più accettabile né viene più accettato che si mettano in campo innovazioni di ordinamento, di struttura e di programmi senza intervenire sulla riforma della cultura formativa di base degli attori ai quali si chiede di operare con e per l'in- novazione. La riforma educativa è dunque un processo complesso di sviluppo non solo istituzionale, ma prima ancora personale, oserei dire deontologico, di cambiamento di 1 Le riflessioni e le proposte contenute in questo documento riflettono i lavori di ricerca e gli studi condotti collaborando con il Gruppo internazionale di ricerca su “ Curriculum Redefined and Basic Schooling” promosso e coordinato dal CERI/OCSE. Pur dichiarando un profondo debito di riconoscenza nei confronti dei colleghi del gruppo, quanto di seguito affermato non impegna in alcun modo né essi, né l’OCSE.

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UN APPROCCIO SISTEMICO ALLA RIFORMA DEL CURRICOLO1 di Umberto Margiotta 1. In che senso è opportuno tornare a parlare di riforma educativa. I modelli di spiegazione dell'apprendimento che sono dietro alle riforme dell'i-struzione avviate negli ultimi cinque anni dai Paesi industrializzati sostituisco-no all'equazione piagetiana(logica = psicologia) una centrata invece sulla multi-lateralità dell'intelligenza e sul carattere strategico dell'apprendimento (seman-tica = cultura). Ma di ciò forse solo il 10% degli insegnanti, degli allievi, dei ge-nitori e degli amministratori se ne è reso conto. Lo scarto tra innovazione e normalità rimane perciò alto, e le riforme dell'istruzione tendono sempre a co-stare più di quanto sia possibile preventivare per ciascuna di esse. Se gli inse-gnanti per primi non riescono ad apprezzare l'effettivo valore dell'innovazione introdotta, ancor meno lo potranno fare i genitori e gli allievi. In questo modo si spreca gran parte del quoziente di utilità sociale dell'innovazione proposta : i problemi applicativi acuiscono la sensazione di spreco, e il rigore ragionieristico ed economico dei controllori si abbatte sull'innovazione, obbligandola a volare basso. La conclusione è che l'innovazione introdotta, nel migliore dei casi, s'ag-giunge - come strato superficiale- agli altri che la precedono. Da qui l'eternità apparente del riformare insegnamento e formazione; da qui una delle cause di marginalità della scuola allo sviluppo sociale ed economico. Per riforma educativa intendiamo lo studio e lo sviluppo dei processi fonda-mentalissimi di intellezione e di comprensione dei paradigmi culturali, tecnolo-gici e psicopedagogici che ispirano e accompagnano le riforme scolastiche, quando si decida di avviarle e durante la loro attuazione. In questo senso non è più accettabile né viene più accettato che si mettano in campo innovazioni di ordinamento, di struttura e di programmi senza intervenire sulla riforma della cultura formativa di base degli attori ai quali si chiede di operare con e per l'in-novazione. La riforma educativa è dunque un processo complesso di sviluppo non solo istituzionale, ma prima ancora personale, oserei dire deontologico, di cambiamento di 1 Le riflessioni e le proposte contenute in questo documento riflettono i lavori di ricerca e gli studi condotti collaborando con il Gruppo internazionale di ricerca su “ Curriculum Redefined and Basic Schooling” promosso e coordinato dal CERI/OCSE. Pur dichiarando un profondo debito di riconoscenza nei confronti dei colleghi del gruppo, quanto di seguito affermato non impegna in alcun modo né essi, né l’OCSE.

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mentalità negli attori sociali del sistema scolastico. Essa è un processo evolutivo che coinvolge sempre nuovi settori di ricerca, l'esperienza degli operatori, le analisi e le decisioni dei pubblici poteri e altre forze ancora. Questa immagine dinami-ca e relazionale di ricerca chiama in causa sia i ricercatori che gli insegnanti, sia le istituzioni scolastiche che quelle politiche, in una comunità di ricerca in cui tutti sono allo stesso tempo allievi e produttori del processo. Le riforme scolastiche sono ormai da intendersi come parte di una riforma edu-cativa: numerose indagini internazionali sull'innovazione educativa conferma-no che per poter sviluppare una visione produttiva di riforma educativa è ne-cessario che insegnanti e allievi divengano strumenti di nuove conoscenze e di cambiamento. E la stessa idea delle scuole come parte di una comunità di ricer-ca cambia la tradizionale visione di come la ricerca possa contribuire a verifica-re l'efficacia comparativa dei risultati dell'istruzione e della formazione. Ma per quali motivi, e con quali evidenze, matura oggi questa coscienza plane-taria della necessità di assicurare un continuo movimento di ritorno tra riforme scolastiche e ricerca educativa? E' noto che gli Stati industrializzati hanno proceduto a riforme scolastiche, negli ultimi trent'anni, più per rispondere a immani sfide sociali che per un bisogno autoreferenziale di rinnovamento.2 Ma oggi l'accento non batte più sul signifi-cato sociale dei cambiamenti dell'istruzione. L'imperativo riformatore di-scende invece dall'incremento esponenziale di una domanda di lavoro intel-lettuale e di padronanze metacognitive sul posto di lavoro cui corrisponde una situazione drammatica contrassegnata dal basso livello di standard for-mativi in significative porzioni di giovani e dall'impossibilità di abbattere strutturalmente la disoccupazione in tutti i paesi dell'area OCSE.3

2 Se si guarda ai problemi che hanno sollecitato questi Stati a riorganizzare scuola, cultura sco-lastica e formazione professionale occorre riconoscere che la prima generazione postbellica delle riforme scolastiche ha fatto delle scuole un canale di assimilazione sociale dei migranti: fossero essi migranti geografici o migranti sociali. Le scuole insomma sono state prevalente-mente utilizzate per introdurre tutti ai privilegi della cultura e ai diritti della cittadinanza e della democrazia. Successivamente, dalla seconda metà degli anni '60 fino agli anni '80 il mo-vimento di riforma venne esteso all'obiettivo di assicurare uguali opportunità alle minoranze( di censo, di razza, o di cultura, poveri, handicappato, donne) che erano state fino a quel mo-mento marginalizzate dalle riforme sociali, nonostante le riforme economiche. V'è insomma da riscontrare più somiglianza che dissomiglianza di motivazioni sociali per le riforme educative da una parte e dall'altra dell'Atlantico. 3 Tra il 1900 e il 1990 la categoria lavorativa degli operai scende dal 30% al 6% del totale della forza lavoro nei Paesi industrializzati, mentre quella dei lavoratori "professionali"( qualificati o specializzati" sale dal 10% al 26%. Negli ultimi dieci anni, i lavori richiedenti alti livelli di com-petenza e di formazione crescono tre volte più di quelli che richiedono bassi livelli di formazio-ne e di competenza. Le proiezioni per il prossimo decennio indicano che più della metà dio tutti i tipi di lavoro richiederà una formazione di livello superiore. Tutti concordano infine sul fatto che in futuro più e più lavorio richiederanno l'esercizio di competenze logiche di tipo modale,

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Molte innovazioni scolastiche intraprese in vari Paesi hanno ottenuto, inoltre, modesti successi nel riuscire a modificare ciò che realmente accade ogni giorno nelle classi. Alcune erano partite potendo contare su una esplicita impostazione pedagogica ovvero su una chiara definizione degli obiettivi formativi del cur-ricolo ; altre si sono caratterizzate per l’adozione di nuovi approcci al manage-ment scolastico. Ma sempre il punto di attacco e l'implementazione di tali ri-forme si è rivelato difficile. Inoltre la riforma di un particolare segmento del sistema scolastico ha interessato altri aspetti in momenti inattesi o per vie ina-spettate. Si è registrata spesso una mancanza di coesione rispetto alla meta fissa-ta e un progressivo appiattirsi negli aspetti regolamentari, burocratici dei piani di lavoro intrapresi . Qualche volta il problema non è consistito tanto in una mancanza di coordinazione ma in un vero e proprio fallimento nel rendere visi-bili le implicazioni dei cambiamenti per la pratica; nel rendere tangibile ad e-sempio come l’innovazione del curricolo richieda cambiamenti concomitanti, ed altrettanto ben progettati e seguiti, nella valutazione degli apprendimenti scola-stici o nelle strategie di sensibilizzazione e di consenso tra gli insegnanti, per avere successo. Infine uno scoglio sistematico è consistito nella distonia, e co-munque nella divaricazione di lettura, che i responsabili amministrativi locali davano delle riforme scolastiche rispetto all'approccio mentale e alle priorità perseguite invece dei Capi d'Istituto o dagli insegnanti. Il problema più serio è apparso consistere ancora una volta non solo e non tanto nella diversità di cul-ture presenti all'interno di ogni sistema scolastico e comunque concorrenti alla riforma, ma nella carenza di una diffusiva capacità di rappresentarsi mete, o-biettivi e implicazioni su scala generale delle riforme avviate. C’è , a livello internazionale, unanime riconoscimento del fatto che le riforme calate dall’alto, e cioè quelle concepite e avviate dalle Amministrazioni centrali non sono state generalmente accompagnate da successo. I politici possono esse-re immemori della complessità che di solito è associata alla realizzazione del cambiamento, e più spesso di quanto non sembri tendono ad assumere che il vero problema delle riforme scolastiche sia nella loro concertazione e decisione preventiva, più che nella loro attuazione. Al contrario, proprio quest'ultimo a-spetto è di vitale importanza per gli insegnanti e i Capi d'Istituto che sono gli agenti-chiave per il successo delle innovazioni scolastiche. Gli insegnanti hanno bisogno di essere convinti che la Riforma è sia necessaria che fattibile, nonché di problem solving, di autoregolazione. Se poi si guardano le statistiche OCSE in materia di istruzione ci si accorge che tra il 1970 e il 1986 la percentuale dei minori in povertà cresce dal 15 al 20% in media in tutti i Paesi industrializzati. Naturalmente si estende la frequenza alla scuola materna in modo crescente e uniforme in tutti i Paesi. Ma altri segnali si sviluppano in modo preoccupante: tra il 1980 e il 1991 aumenta del 25% il numero tra i 19 e i 20 anni che non com-pletano l'istruzione secondaria superiore. E lo stesso accade per i giovani tra i 24 e i 25 anni che non completano gli studi universitari. In breve oggi disponiamo si circa un terzo della forza lavoro giovanile incapace di assicurare una partecipazione autonoma, produttiva e competitiva alla soluzione dei problemi delle società postindustriali tecnologicamente avanzate.

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associata ad approcci nuovi . Essi vengono così coinvolti in un cambiamento dal basso, il quale comincia - come è testimoniato dal caso della Finlandia - al livello locale e rapidamente produce cambiamenti significativi nelle pratiche didatti-che e formative. Comunque, a meno che questi risultati non vengano poi assun-ti e disseminati in ambiti territoriali più ampi ovvero a livello nazionale, essi rischiano di essere persi quando i loro iniziatori vanno avanti. 2.Formazione dei talenti ed educazione per tutta la vita. A dispetto dei rilevanti progressi ottenuti dalla scolarizzazione di massa, quali l’incremento dei quozienti di partecipazione sociale all’istruzione e alla cultura, la diversificazione della popolazione scolastica, curricoli a crescente rilevanza didattica, l’uso delle nuove tecnologie nell’insegnamento, ed altri, l’istruzione contemporanea fronteggia problemi formidabili e difficili. Le culture delle no-stre società e le forme delle loro economie cambiano rapidamente, nel momento stesso in cui risultano condizionate e controllate da pressioni diverse e multiple. Così alle scuole viene affidato un compito spesso impossibile allorché si chiede loro di adeguarsi ai bisogni prodotti nei giovani e nelle famiglie dal le forme globali del cambiamento contemporaneo e alle mutevoli attese di una società le cui popolazioni non sempre hanno chiaro cosa realmente vogliono dalla scuola. Per esempio molti lottano per risolvere la tensione esistente tra il bisogno di unità nazionale ( che proprio in un contesto di competizione globale si fa bene prezioso) ed il desiderio di maggiore autonomia per ciascuna delle comunità che insieme formano lo stato. Spesso a ciò si aggiunge il fatto che la società civi-le tende a erodere i poteri del controllo centrale e i cittadini ad esigere più dele-ghe e più potere, così che un numero crescente di cittadini si trova a dover af-frontare situazioni che richiedono l’esercizio di nuove e complesse forme di scelta e di decisione politica a livello locale. A questi livelli ed in tali contesti aumentano le sollecitazioni sulle nuove generazioni a riconoscersi come respon-sabili del proprio particolarissimo futuro. Così, mentre si continuano ad aggior-nare e a ridefinire le finalità dell’istruzione e dell’educazione, le nazioni incon-trano crescenti difficoltà nel definire i valori e le finalità essenziali - conoscenza, abilità, atteggiamenti, valori - a cui le scuole dovrebbero promuovere la propria competitiva offerta formativa e i cittadini futuri.

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La cultura scolastica media, però, risulta ancora oggi prevalentemente focalizza-ta - nella stragrande maggioranza dei Paesi industrializzati - intorno ad un mo-dello di società statica, in cui le conoscenze ritenute necessarie, le competenze e i valori vengono predefiniti e immagazzinati in appositi curricoli, prove e ma-nuali accreditati. Peraltro è noto come la scuola continui ad alimentarsi e ad a-limentare nel profondo una visione dell'organizzazione sociale del lavoro che tiene in scarso conto le radicali crescenti trasformazioni prodottesi nelle società postindustriali: la struttura del lavoro continua ad essere percepita in modo im-proprio o "lontano". Un tempo essa era sostanzialmente stabile, e l’offerta di lavoro nei servizi rela-tivamente invariante. Solo per alcune ben definite figure e posizioni di ruolo in precisi settori occupazionali (cultura, politica, economia e forze sociali) vi era la richiesta di qualità dinamiche quali pensiero creativo, autonomia di pensiero, abilità a cooperare, disponibilità ad assumersi responsabilità, flessibilità nell’identificare e risolvere problemi, pensiero riflessivo. E dalla scuola ovvia-mente ci si aspettava che preparasse i giovani ad eseguire in modo soddisfacen-te i compiti affidati loro da altri, nella certezza che gli stili di apprendimento da formare dovessero corrispondere agli stili di lavoro promossi dalla domanda sociale imperante : diligenza, senso di dovere e disciplina. La cultura, peraltro, risultava caratterizzata dal predominio della conoscenza sistematica e dallo specialismo ; da un approccio prevalentemente trasmissivo nell’insegnamento ; dalla dominanza della comunicazione gerarchica nella stragrande maggioranza dei comportamenti organizzativi. Oggi il quadro è cambiato al di là di ogni possibile descrizione: nel senso che qualunque tentativo di analisi rischia di risultare inadeguato non appena lo si confronti su scala globale. E’ sufficiente richiamare i radicali cambiamenti che sono intervenuti nella percezione e nella cultura del lavoro solo per sottolineare il fatto inedito e radicale che è in aumento esponenziale il numero di studenti che trova difficile collegare la propria esperienza scolastica ad una visione posi-tiva del futuro; e che sostanzialmente per questo motivo abbandona ogni moti-vazione reale a riuscire a scuola. Il successo accademico, definito in termini di padronanza dei contenuti disciplinari tipici della scuola tradizionale non as-sicurerà più ancora per molto tempo alcuna garanzia di successo sul mercato del lavoro. E di questo i giovani sono drammaticamente consapevoli. Si fa sem-pre più improbabile, per un numero ogni giorno crescente di cittadini, la possi-bilità di conservare in modo permanente il proprio posto di lavoro. Piuttosto essi si acconceranno a trasformarsi nel futuro in una categoria allargata di per-sone che sempre più si configurerà come “portfolio-people”, e cioè gente abile a vendere le proprie competenze su basi contrattuali provvisorie. Insomma essi dovranno continuamente cambiare e ricostruire il proprio corredo di competen-ze vendibili (“portfolios”) attraverso processi di riqualificazione di volta in vol-ta mirata e non sequenziale, perché le abilità invecchiano rapidamente. E’ inol-tre diventata più difficile la transizione dalla scuola all’istruzione superiore o alla formazione professionale, e ancor più al lavoro. Ulteriori problemi si incon-

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trano poi in molti Paesi, laddove tali difficoltà si associano in particolare alla disoccupazione giovanile, come ha ben documentato il Rapporto OECD Job Study(1993). Così la sfida per insegnanti e scuole comincia a farsi sempre più visibile specie quando si voglia formare studenti autonomi, capaci di autorego-larsi e di autovalutarsi ; ovvero quando si vogliano sviluppare rapporti signifi-cativi tra casa e scuola, tra scuola e mondo del lavoro, tra scolarizzazione ed educazione degli adulti. Tre caratteristiche dell’educazione sembrano essenziali per il futuro della co-esione e della stabilità delle società contemporanee: • un appropriato bilanciamento di conoscenze ed abilità, adeguatamente perso-nalizzato dai singoli e in forma tale da consentire loro di sentirsi realizzati nei loro personali talenti e, indirettamente, veder riconosciuto a livello generale il personale contributo alla crescita della conoscenza e dell'equilibrio sociale; • l’individuazione dei modi migliori per utilizzare tali sistemi di padronanza in situazioni topiche della vita ; • la promozione di un diffuso senso di solidarietà per gli altri, sensibilità, corag-gio, ed altri valori sociali e morali. Equità e giustizia restano le priorità essenziali, sia per promuovere armonia in una società multiculturale e multietnica sia per incoraggiare lo sviluppo dei ta-lenti, e la collaborazione di tutti nella lotta contro l’ingiustizia ed i pericoli socia-li che corrono gli strati più a rischio della popolazione sociale e disoccupata. 3. La riforma di sistema come concetto politico utilizzabile Molti Paesi stanno valutando con crescente attenzione la possibilità di evolvere verso approcci sempre più sistemici nelle politiche scolastiche e nelle relative riforme ; considerando ciò una via per assicurare il raggiungimento di alti livelli di efficienza per tutte le scuole. Un orientamento siffatto appare suggestivo ma difficile da mantenere : lo è per l’apparato legiferativo dal quale dipendono le decisioni di scenario e di inqua-dramento ; ma più di tutti lo è per il livello attuale delle percezioni, degli atteg-giamenti e delle competenze presenti nel sistema amministrativo e tra il perso-nale scolastico. Un alto grado di flessibilità e di interconnessione tra le istituzioni e la focalizza-zione degli sforzi di tutti, rappresenta ancor oggi, per la complessità e la vi-schiosità delle relazioni tra nicchie, specie negli apparati pubblici, un ideale dif-ficile persino da enunciare. Certe uscite formative sono essenziali per l’ideale sistemico, così come lo è una sistematica, concentrata attenzione al monitorag-

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gio dei progressi ottenuti con gli aggiustamenti decisi e attuati in corso d’opera. Sono, queste, caratteristiche che riflettono un convincimento diffuso in ordine al governo della complessità, le cui radici politiche sono nella insoddisfazione ma-turata nei confronti delle “riforme arlecchino”, frammentarie e contraddittorie, dei decenni passati e nell’aspirazione a promuovere un profilo alto nel dibattito politico sui problemi dell’istruzione e della formazione. Il concetto ovvero l’ideale di una riforma sistemica della formazione ha la pos-sibilità di risultare effettivo solo nel medio periodo. Approcci sempre più inclu-sivi alle politiche dello sviluppo riducono la probabilità che le innovazioni ven-gano frustrate da improvvisi, terremoti politici successivi al loro avvio, o da impreviste difficoltà nell’allocazione delle risorse. Essi anzi massimizzano le sinergie tra le diverse opportunità in vista dello scopo di assicurare un supporto non caduco ai cambiamenti desiderati. • L’approccio sistemico incoraggia politici e amministratori a pianificare e a controllare valore ed efficacia del cambiamento entro una scala temporale più larga, e a confrontarsi realistica-mente con il “ciclo di produzione” dei sistemi educativi che richiede un periodo di almeno 10-12 anni per produrre benefici. Ciò risulta peraltro coerente con le conclusioni di molti osserva-tori internazionali circa le condizioni di efficacia necessarie per una riforma graduale del curri-colo, in cui ordine, continuità e sistematicità possano davvero sostenere il cambiamento nell’apprendimento scolastico e nella riconversione culturale e professionale degli insegnanti. • L’approccio sistemico enfatizza la stretta interdipendenza che c’è tra la formazione e gli altri servizi sociali ; ciò può rinsaldare la logica di equità sociale cui dovrebbero ispirarsi le decisioni in materia fiscale ovvero di allocazione delle risorse nello stato sociale, assicurando che le risor-se vadano a quegli elementi del sistema che più richiedono un sostegno aggiuntivo. • Tuttavia la riforma sistemica non è una panacea. Essa rappresenta piuttosto un orientamento che una particolare strategia. E però siamo ormai sempre più convinti che abbiamo piuttosto bisogno di un orientamento che assicuri più senso, profondità e sostanza ai nostri sforzi che non di ulteriori analisi sommative, per quanto rigorose, di particolari aspetti del cambiamento interveniente in settori particolari del sistema scolastico. Tutti questi tratti impongono compiti ben precisi alle scuole : ai loro scopi, ai loro curricoli, forme di organizzazione interna, pedagogia e didattica, alle loro stesse relazioni con le comunità territoriali. In breve ne consegue un fardello pesante per le scuole e gli insegnanti : essi de-vono ormai focalizzare il loro lavoro nel costruire personalità e fiducia del sé in ogni allievo ; devono in particolare sviluppare in senso interpersonale e collabo-rativo le loro abilità e i loro talenti ; devono motivarli a svilupparli e ad impara-re a riflettere sulla giustezza e sulla bontà degli scopi o degli interessi al cui ser-vizio ogni allievo decide di porre il patrimonio delle proprie competenze. Gli insegnanti e i Capi d’Istituto giuocano un ruolo cruciale tanto nel cambia-mento dei processi curricolari e delle riforme prima esaminate, quanto nelle possibilità stesse di successo per un ampio programma di rinnovamento della valutazione scolastica :

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situazioni pratiche complesse hanno bisogno di soluzioni specifiche : infatti quanto più esse risultano caratterizzate da scopi e obiettivi ambigui e parzialmente contraddittori, tanto più esse esigono che si proceda a definire e ad isolare i problemi da risolvere, prima che ne possa essere trovata la soluzione opportuna ; • la identificazione dei problemi da risolvere e le strategie necessarie ad applicarne le soluzio-ni alle situazioni pratiche devono essere elaborate e prodotte nel vivo della pratica dagli stessi attori delle situazioni; e valutate in cooperazione con le expertise professionali interessabili e coinvolgibili nei diversi contesti locali ; • l’intelligenza della situazione e la relativa padronanza guadagnate dall’operatore riflettendo sull’azione può essere resa accessibile (più che trasmessa) ad altri operatori per essere testata ed ulteriormente sviluppata da loro) ; • il cambiamento educativo è fluido e pervasivo, e gli insegnanti e i Capi d’Istituto debbono operare in condizioni di incertezza, dove i valori vengono continuamente ridislocati, e gli obiet-tivi e i propositi sono soggetti ad interpretazioni multiple. Se a questo è riconducibile il paradigma della “razionalità riflessiva”, è però da ricordare che una costante del cambiamento educativo consiste nel fatto che ogni nuovo scopo, metodo o argomento di studio passa per la mediazione della pratica professionale degli insegnanti. Nell’ambito di questo processo l’innovazione prenderà le vie che gli insegnanti di fatto le faranno assumere in dipendenza di come essi decidono di interpretarla e di sviluppare nelle situa-zioni e per i problemi che il lavoro impone loro. Ogni strategia di riforma e ogni teoria della valutazione non può ignorare il fat-to che per essere applicata essa deve misurarsi con ciò che accade realmente dentro la classe, al di fuori di ogni controllo diretto da parte di agenzie esterne alla scuola ; e che la sua efficacia dipende in radice dalla particolare visione che di essa, dei suoi contenuti e dei suoi scopi, gli insegnanti sviluppano. 4. Le funzioni, i ruoli e le responsabilità : urge una diversa organizzazione del lavoro scolastico. Tutte le caratteristiche sopra richiamate obbligano a richiedere scuole migliori, e i loro insegnanti a ripensare profondamente il proprio lavoro. A causa infatti del senso diffuso di incertezza generale, le comunità sociali hanno bisogno più che mai delle loro scuole. Alcuni Paesi si preoccupano di prescrivere e control-lare l’istruzione, nella convinzione che al di fuori di un contesto di imperativi e di vincoli le scuole non potranno mai avere la volontà o la capacità di risponde-

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re alle necessità delle popolazioni. Il tutto produce forti attese nei confronti dell’azione degli insegnanti, non sempre invero accompagnate da adeguati supporti e dal riconoscimento del bisogno che hanno gli stessi insegnanti di ve-der certificati i compiti di cui vengono incaricati. Contemporaneamente un’educazione per tutta la vita assume una importanza crescente, anzi sempre più centrale, nelle politiche scolastiche e formative dei vari Paesi, ed il bisogno di perfezionarne le azioni e gli effetti sul lungo periodo è stato sottolineato dall’OECD, nell’incontro dei Ministri dell’educazione tenu-tosi a Parigi nel Gennaio del 1996 (OECD 1996). L’apprendimento comincia cer-to nell’esperienza prescolastica, e non può dirsi dominio esclusivo della scuola ; piuttosto l’istruzione formale è, e diverrà più che mai, solo un periodo, una pa-rentesi nello scenario più ampio e complesso dell’educazione per tutta la vita. I rapidi cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro chiedono piuttosto una formazione sempre più significativa e capace di assicurare risposte credibili alla domanda multipla di istruzione, di educazione, di formazione. L’alfabetizzazione tecnologica, la flessibilità negli apprendimenti, abilità rifles-sive, l’imparare ad imparare : sono queste le fondamentali mete formative che oggi si impongono senza alternativa di sorta. L’apprendimento ha da essere percepito come un abito mentale dalle nuove generazioni, per le quali la scuola deve giuocare un ruolo di costituzione, di conferma e di certificazione degli ap-prendimenti di base, piuttosto che aspirare ad assicurare una formazione com-pleta. Alla scuola quindi resta il compito di equipaggiare l’individuo con abilità e motivazioni idonee a sostenere apprendimenti sempre più difficili, autonomi e personalizzati. Il curricolo non potrà che essere ridefinito e riorientato in rela-zione alla necessità di preparare gli studenti ad una educazione per tutta la vita. Le conseguenze per la stessa riforma del curricolo non sono affatto lievi. Ad esempio l’istruzione di base viene ad occupare, così, una collocazione del tutto diversa rispetto al passato, per la presa diretta che le si impone di avere su un contesto sociale che influenza la natura stessa dei contenuti di conoscenza e di insegnamento. In breve più storiografia che storia, più analisi matematica che calcolo algebrico; più logica dei relativi e della probabilità che logica dei predi-cati nell'impostazione paradigmatica dei programmi e dei corsi, e nella stessa definizione delle abilità in uscita da verificare. E rispetto alle attese di istruzione formale: non più un'istruzione di base come piedistallo( leggere, scrivere, far di conto) su cui innestare, per aggiunte progressive e ripetute, allargamenti di no-zioni e di informazioni ; ma un apprendimento intendo che sia tale da prepara-re gli allievi alle forme e ai livelli successivi di “apprendistato ricorsivo” fuori del-la scuola nel corso della loro vita da adulti. La scuola del futuro non potrà più permettersi di conservarsi, in nessun senso, come un’istituzione autosufficiente e autoreferente ; e l’istruzione dovrà essere identificata in modo sempre più vi-sibile e coerente come parte di un processo di sviluppo continuo e per tutti di formazione multialfabeta.

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Ma se un'organizzazione modifica le sue funzioni, le scelte possono essere due: o si recluta nuovo personale dall'esterno e lo si incamera all'interno, oppure si provvede con il personale esistente con interventi che innalzino ed amplino le soglie professionali. Scartata la prima ipotesi, rimane la seconda. Ma anche in questo caso, l’unica sostanziale differenza rispetto a tempi anche recenti in cui si parlava nel nostro sistema scolastico delle cosiddette “nuove figure professiona-li” consiste nel fatto che non si tratta più di pensare ad aggiungere nuove figure professionali a quella del docente, perché le coordinate della nuova forma della scuola sono non solo cambiate, ma esigono una diversa dislocazione dei ruoli e delle responsabilità di tutti gli operatori, dirigenti, amministrativi e ispettori compresi. Ciò significa por mano ad una riforma preliminare ma ormai indifferibile che consiste nella abolizione della unicità della funzione docente, per un verso, e nella adozione di un sistema di valutazione delle prestazioni del personale scolastico di tipo “goal setting”. Le funzioni che ogni comunità scolastica dovrebbe assicurare o cui dovrebbe partecipare sono presto dette : • La diagnosi educativa come paradigma indiziario. Se questa scuola annoia e demotiva è perché non diagnostica per tempo i talenti degli allievi, ma contemporaneamente perché ai vari livelli di gestione dell’offerta formativa non manifesta alcuna disponibilità reale né competenza a preventivare gli effetti per la pratica e per l’interesse generale dell’azione dei suoi singoli seg-menti e dei suoi singoli attori. La dimensione strategica della diagnosi è quasi del tutto assente dalla cultura scolastica degli insegnanti e della quasi totalità dei dirigenti scolastici, dei respon-sabili amministrativi e degli ispettori. • La prognosi educativa come produzione collaborativa di senso e non come mero piano didattico o tec-nica di gestione. La cultura scolastica media degli operatori della scuola ha privilegiato il piano tecnico-tecnologico della cultura piano in quanto quest’ultima risultava intrinseca e garantita dalla condizione dominante di Mercato del lavoro protetto della condizione professionale degli operatori. Per questa strada si è ottenuto soltanto di tenere agganciato il valore del salario all’inflazione. Si è invece ottenuto di perdere prestigio, ruolo sociale e soprattutto identità cul-turale. La prognosi educativa è invece lavoro collaborativo in team, e sviluppo cooperativo di una cultura d’Istituto. Tutto ciò è gravemente assente dalla scuola italiana contemporanea. Deficit di cultura e di identità non significano deficit di intelligenza, ma mancanza cronica di disponibilità al cambiamento per caduta verticale della fiducia degli operatori nell’Amministrazione e in chi li rappresenta. • La valutazione di sistema come servizio multipurpose e multilevel di pilotaggio di un percorso colle-giale orientato al raggiungimento e alla visibilizzazione, per istituto, per aree regionali e nel sistema na-zionale, di standard formativi di livello europeo. • L’azione educativa come responsabilità collaborativa centrata sulla personalizzazione dei risultati di apprendimento, in classe.( ad esempio : a) organizzazione e gestione dei documenti b) acquisizio-ne di documenti per la didattica c) collegamenti col sistema informativo locale e nazionale d) circolazione delle informazioni dentro la scuola e) consulenza sulle fonti documentarie ai do-centi f) salvaguardia della memoria storica della didattica dell'istituto g) educazione alla capaci-tà di integrare nei curricoli le fonti documentar1e h) educazione alla capacità di leggere i) capa-cità di gestire la biblioteca in tutti i suoi aspetti: • L’azione formativa come orientamento al lavoro e alle pratiche di esperienza e di vita.

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5.Curricolo, cambiamento e rinnovamento della “forma” scuola In molti Paesi il processo di riforma dei curricoli ha invero cercato di sintoniz-zarsi in modo crescente con i segnali economici provenienti dal mercato del la-voro. Allo stesso tempo va detto che l’influenza che il rinnovamento dei currico-li universitari ha su quelli scolastici può esercitare pressioni contraddittorie. Una visione “accademica” delle discipline spesso rischia di trascinare rigidità ed esclusioni non giustificabili semplicemente alla luce delle logiche interne de-gli aggiornamenti scientifici proprie dell’area disciplinare in quanto tale. Oc-corre a questo proposito che la scuola ( attraverso la dipartimentalizzazione di aree disciplinare, adottata non solo come espediente metodologico di flessibiliz-zazione del curricolo, ma anche come modulo organizzativo istituzionale) ri-conquisti la propria specificità di contribuzione alla critica e alla crescita delle conoscenze esplicitando e operazionalizzando, in forme e livelli adeguati. il passaggio dalla disciplina-ricerca alla disciplina insegnamento come proprium dell’insegnare e del formare. In alcuni Paesi, ad esempio, la preoccupazione di definire standard per l’istruzione ha prodotto una rinnovata focalizzazione ora sulle discipline di base ora sul “core curriculum”. In altri invece, sui costi dell’innovazione necessari ad adattare il curricolo ai bisogni del cambiamento socioeconomico. Ne è conse-guita una crescente attenzione al ruolo cruciale della scuola per il mantenimen-to della coesione sociale ; e perciò un profondo cambiamento in molti assunti circa l’identità di ruolo e le funzioni degli insegnanti e dei Capi d’Istituto. L’associarli - in tale ripensamento di ruolo - ad altri attori decisivi del sistema significa però, al tempo stesso, che essi diventano insieme meno autonomi e più responsabili rispetto ad un ventaglio di gruppi sociali, così come rispetto ai go-verni locali e nazionali. Questi fattori costituiscono gli ingredienti essenziali del-la formazione degli insegnanti, e rendono il loro professionismo e la loro for-mazione continua più importanti che per il passato. Per questa via, in particolare, si conferma l’idea che l’innovazione si origina a livelli differenti dei sistemi educativi e che questi ultimi si sviluppano in virtù di un’alta varietà di strategie. Gli stessi cambiamenti nell’organizzazione dei saperi, come effetto riconoscibile delle pressioni accademiche per un verso e del costante, dialettico rapporto del mercato globale della cultura con esse, formano un forte impeto all’innovazione dentro la scuola. Cambiamenti radicali negli apprendimenti scolastici sono dunque da considerarsi una norma e non una eccezione nella cultura scolastica comune a diversi paesi. Ciò rende ancor più evidente il fatto che ambedue questi movimenti si offrano come sfide importan-ti tanto agli insegnanti che ai Capi d’Istituto, in quanto richiedono ad entrambi di modificare tanto la percezione che la comprensione dei loro ruoli e delle loro abitudini di lavoro.

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Il curricolo, insomma, rappresenta la totalità dell’esperienza formativa che una scuola offre, e deve perciò risultare il più aderente possibile ai bisogni di ogni allievo. E’ questo un convincimento diffuso in tutti i Paesi, dovunque si riconosca che il curricolo equipaggia i giovani di un ampio e diversificato cor-redo di abilità e di conoscenze, non in quanto importanti per sé ma in quanto coa-diutrici, ordinative e formative dello sviluppo personale dei talenti e dei sistemi di padronanze di ciascuno. Ove non si comprenda che è soprattutto in questo il si-gillo della nuova stagione riformatrice che, a livello internazionale, sta interes-sando tutti i Paesi industrializzati, ed a questo si commisura la portata delle riforme strutturali e organizzative della gestione scolastica, nulla cambierà o di fatto potrà cambiare nella mentalità formalista, centralista e gerarchica della cultura scolastica attuale. Formalismo, specialismo e rigidità vengono ripudiati con insolita convergenza dalle politiche scolastiche (anche se non mancano le eccezioni, come nel caso degli esami). Gli aspetti di formazione morale e di educazione civica del curri-colo vengono riguardati come importanti dal momento in cui la società con-temporanea si è riconosciuta intessuta di nuove relazioni interpersonali, nuove strutture e organizzazioni sociali, nuovi modi di applicare e di usare le cono-scenze nel mondo del lavoro. Inevitabilmente il disegno dell’istruzione scolasti-ca si è ridotto a rappresentare solo un tassello, e non certo la totalità, del proces-so di formazione rappresentato dal curricolo. Compito essenziale di una riforma dell’istruzione diviene allora quello di assi-curare che un ampio e diversificato scenario di opportunità desiderabili di formazione e di apprendimento possano essere pianificate dentro e fuori la scuola. Nella maggior parte dei Paesi, una struttura di base o un inquadramento por-tante del curricolo (core curriculum) viene definito e promulgato a livello na-zionale o centrale, e talvolta completato o integrato in dimensione locale o re-gionale : è il caso ad esempio dei linguaggi o dialetti regionali. In Norvegia, ad esempio, tale sistema risulta applicato in modo estensivo : a livello centrale vengono definiti obiettivi e indirizzi validi per tutte le scuole ; ma si provvede anche a fornire un quadro unitario delle aree di conoscenza e di esperienza che ogni scuola utilizza come “nocciolo duro” del curricolo poi sviluppato ; come base cioè su cui impostare programmi e azioni di formazione continua per gli allievi ; gli insegnanti vengono quindi invitati ad assumere numerose e diversi-ficate decisioni in ordine al modo più giusto e appropriato per sviluppare sia gli indirizzi nazionali sia programmi specifici( non integrativi né applicativi delle linee nazionali, ma tutt’affatto originali) delle loro scuole. In altri Paesi, ogni scuola sviluppa invece la sua specifica proposta di curricolo, sotto il controllo del rispettivo Dirigente o del Consiglio della scuola,

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nell’ambito di direttive fissate a livello nazionale o regionale. In questo caso il singolo insegnante è responsabile a livello individuale delle decisioni assunte in materia curricolare, in quanto le sviluppa direttamente con i suoi allievi. Dunque nessun Paese al mondo adotta un approccio lassista in materia currico-lare. Le specifiche strutturali del curricolo vengono decise e definite sempre, e ovunque, a livello centrale o nazionale, anche se poi varia il grado di dettaglio o di controllo a livello locale o regionale. Le innovazioni curricolari, infatti, pos-sono essere assunte solo alla luce di una equilibrata comprensione delle conse-guenze e delle opportunità che si determinano per tutti gli “attori” coinvolti, a diversi livelli, dal processo di innovazione. Non è dunque un caso che i cambiamenti profondi intervenuti nella società del-le conoscenze, l’enfasi su abilità trasferibili e a marcato orientamento al lavoro, le nuove opportunità di controllo e di verifica delle qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento ; i sempre più espliciti orientamenti sociali a favore dell’equità e della coesione sociale, nonché i più recenti sforzi tesi a favorire una internazionalizzazione dei processi formativi ; insomma non è un caso che tutto ciò abbia indotto numerosi Paesi a ritrovarvi con enfasi diversa ragioni sostan-ziali per favorire un profondo cambiamento nell’idea, nella struttura, nell’organizzazione del curricolo ; e per questa via la necessità di ripensare ra-dicalmente la stessa “forma scuola”. Certo le pressioni sociali possono determinare e di fatto impongono scelte diffi-cili : tra il bisogno di occupazione nel quadro di un’economia globale e la neces-sità di proteggere le culture delle minoranze ; tra la spinta travolgente verso forme inedite di individualizzazione dei consumi, degli orientamenti, delle cre-denze e la necessità - per la società - di ancorarsi a valori condivisi ; tra le istan-ze strumentali dell’economia e i bisogni personali degli allievi, che si fanno sempre più incerti rispetto alle previsioni di occupazione e di qualità della vita. In condizioni siffatte il compito della scuola evolve e si specifica : essa dovrà orientare, dirigere e governare il curricolo come un percorso che aiuti il giovane a creare un modello di comunità in cui il dialogo critico e il lavoro cooperativo divengano le coordinate ordinarie e abituali, capaci di sostenere uno scenario di equità e di coesione sociale e di formare al suo senso e alla promozione del suo valore. Su altro versante, e contestualmente, il mondo dei bambini e degli adolescenti va cambiando. Le modificazioni intervenute nella stabilità delle famiglie signifi-cano minore sicurezza e sempre maggiore solitudine per le nuove generazioni : e questo si riflette sia nel loro rapportarsi al mondo degli adulti che alla loro cultura, fin dentro le proprie case. Peraltro il crescente potere dei media produ-ce bambini e adolescenti più ricchi di informazioni, persino più appropriati nel parlare, ma abituati ad una ricezione esperienziale ; insomma poco o nulla au-tonomi nell’organizzare esperienze personali di apprendimento attivo. Infine non è da sottovalutare quanto di minaccioso essi intuiscono nei tratti di incer-

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tezza e di degrado che accompagnano sia il futuro dell’occupazione che la qua-lità dell’ambiente. Tutti questi tratti impongono compiti precisi alle scuole : ai loro scopi, ai loro curricoli, alle loro strutture di organizzazione interna, alla pedagogia e alla di-dattica, alle stesse relazioni degli Istituti scolastici con le comunità territoriali. In breve ne consegue un fardello pesante per le scuole, per i Capi d'Istituto e gli insegnanti : essi devono ormai focalizzare il loro lavoro nel costruire personalità e fiducia del sé in ogni allievo ; devono in particolare sviluppare in senso interper-sonale e collaborativo le loro abilità e i loro talenti ; devono motivarli a svilup-parli e ad imparare a riflettere sulla giustezza e sulla bontà degli scopi o degli interes-si al cui servizio ogni allievo decide di porre il patrimonio delle proprie competenze. Non è casuale che in molti Paesi la riforma dei curricoli scolastici finalizzi questi ultimi a far maturare il rispetto del concetto di cittadinanza, dei diritti, dei valo-ri morali e spirituali, nonché allo sviluppo personale dell’individuo in quanto com-ponente intersoggettiva originaria dello sviluppo della comunità sociale. I fatti, più che i dibattiti, portano ormai la cultura scolastica internazionale ad individuare nel-lo sviluppo della dimensione valoriale intersoggettiva e nella formazione del multialfa-beta molto più che la mera sommatoria di retaggi illuministici e ottocenteschi : la formazione integrale della persona è risorsa umana essenziale all’equilibrio del sistema globale, perciò risorsa economica e sociale. La formazione va dunque istituzionalmente riorientata secondo tale priorità. Tuttavia questi programmi risultano spesso sviluppati e realizzati in modo frammentario, soprattutto perché curricoli particolarmente forti e coerenti non sono ben accetti in società così pluralistiche quali quelle contemporanee. Il cur-ricolo come contenitore unitario di riferimento formativo deve invece servire un ventaglio ampio di bisogni evolutivi dell’allievo nella società contemporanea. Sicché la sua pianificazione deve insieme corrispondere alle priorità suddette nel mentre tenta di guadagnare in coerenza nei suoi vari contenuti. E’ certo qui la difficoltà del fare educazione come anche dell’assumere decisione politica, oggi, in materie educative. 6. Coerenza verticale o coerenza orizzontale per un curricolo flessibile ? Ora una dimensione di coerenza, per un siffatto curricolo, può essere concepita come verticale, ed esplicitarsi come enfasi a favore di una struttura scolastica insieme consecutiva e continuativa. Si propugnerebbe cioè una connessione ver-ticale dalla scuola materna fino all’Università, configurando ogni fase formativa in base al convincimento che l’apprendimento è o dovrebbe essere “lungo tutta la vita”. Un criterio siffatto richiede però che sovrapposizioni, deficit, o disper-sioni e disfunzioni vengano drasticamente ed in breve tempo eliminate.

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Ma si può anche pensare ad una coerenza orizzontale, che attraversi i differenti contenuti di conoscenza e di esperienza e le diverse aree di apprendimento of-ferte per ogni livello di istruzione e per ogni anno di studio. Ciò ha significato tuttavia una interpretazione degenere, pasticciona e sostanzialmente burocrati-ca di modularità : ha di fatto contribuito a confermare l’idea che la scolarizza-zione nelle nostre società sia un luogo di “parcheggio”, e in quanto tale come un nuovo problema sociale ; così che agli insegnanti - e non a caso - si è chiesto di confrontarsi con nuove, impalpabili, materie quali : “AIDS”, “ambiente”, “raz-zismo”, “intercultura”, “diversità religiosa”, “droga” ; materie che vengono ag-giunte al curricolo una dopo l’altra, e in modo indipendente da qualsiasi strate-gia formativa in senso proprio. Appare invece ormai evidente che gli sforzi di rinnovamento hanno successo solo se i Paesi riescono a produrre un disegno integrato del curricolo complessivo, con cui catturare lo scenario delle nuove sfide poste dalla domanda sociale, i modi attuali di insegnamento e gli “obietti-vi in vista” dell’apprendimento scolastico. E’ altresì ormai evidente che i ragazzi possono sviluppare apprendimenti signi-ficativi molto più efficaci di quanto riescano a rendersene conto. Anzi le soglie reali di apprendimento significativo vengono padroneggiate quanto più gli al-lievi vengono attivamente coinvolti nei relativi processi. Di conseguenza una ricostruzione dei programmi di studio che consenta agli allievi di modificare i propri saperi e i propri atteggiamenti naturali in saperi e atteggiamenti sempre più esperti costituisce un reale investimento educativo solo se si traduce in compiti di apprendimento più realistici, più rilevanti per le singole personalità e perciò più coinvolgenti i loro sforzi. Solo per questa via la riforma dei pro-grammi scolastici può aspirare a produrre modi più produttivi di apprendi-mento. In breve, la sfida dell’apprendimento, oggi, è essenzialmente in questo : che ogni percorso di apprendimento deve comprendere e ottenere più azione, più indipendenza di giudizio, più responsabilità, crescente riflessività se intende davvero risultare formativa. La forza crescente delle conclusioni sperimentali relative alla necessità di privi-legiare modi e strategie di studio e di apprendimento, nonché l’enfasi che sem-pre più si va ponendo sul lavoro intellettuale cooperativo, sul lavoro in team, sulla conoscenza pratica nei luoghi di lavoro e la domanda sempre più spinta di personalizzare il più possibile i guadagni di apprendimento, ebbene tutto ciò obbliga sempre più l’insegnamento e l’apprendimento scolastico a caratteriz-zarsi come aree che richiedono riforma e cambiamento. Ma realizzare ciò ri-chiede nuove pedagogie. Ora il punto focale su cui si concentra - nei suoi effetti - ogni riforma è ancor oggi la classe. Ma l’azione in classe è complessa, difficile da controllare o da influenzare in modo prescrittivo o diretto. Allora, paradossalmente, finisce che molti pro-getti di riforma hanno poco da dire proprio su quei cambiamenti dell’azione scolastica che invece sono cruciali per il loro successo. Un tipico esempio al ri-

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guardo è il dibattito e la marea di carta inutile che si è prodotta a proposito dell’autonomia scolastica, in Italia. Ad una osservazione rigorosa sembra, infatti, che i processi di riforma scolastica si scontrino con una sostanziale impermeabilità dell’azione didattica in classe ; ovvero - ove si adotti un approccio critico - si preferisce rilevare il carattere im-pervio di ogni cambiamento nell’azione didattica in classe. Per sfuggire ai limiti suddetti molti Paesi hanno cercato di focalizzare la riforma del curricolo su uno sviluppo dell’apprendimento individuale degli allievi per-seguito abbassando l’età di ingresso (formale o semi-formale) a scuola. Ciò ha suscitato un grande dibattito, soprattutto intorno ai seguenti problemi : • se esistano degli effettivi guadagni nella formazione dei bambini della scuola materna anti-cipando a 5 anni il loro ingresso nella scuola elementare ; come supplire alla carenza di esperienze significative sui vantaggi formativi connessi all’anticipo che di fatto ancora purtroppo accompagna ogni decisione politica che vada invece in tal senso ; • per quale motivo ogni decisione politica a favore dell’anticipo dell’obbligo scolastico non si accompagna mai ad un sistema che consenta di informare insegnanti e genitori sulle reali soglie di apprendimento maturate dai singoli allievi, anno dopo anno. Di solito le decisioni politiche a favore dell’anticipo dell’obbligo scolastico sono condizionate dalla necessità di assicurare sia una coerenza verticale al corso di studi sia di assicurare la massima mobilità fisica e professionale nella ricerca del lavoro, dai 18 anni di età in poi. Ma la coerenza verticale richiede una chiara articolazione degli obiettivi per ciascuno dei gradi del corso di studi. E la necessità di assicurare piena mobilità ai giovani in cerca di lavoro è assicurata eminentemente, starei per dire unica-mente, dalla qualità intrinseca degli studi e dal gradiente di personalizzazione degli apprendimenti guadagnati. Non è certo un caso, allora, che le esperienze di quei Paesi che hanno realizzato l’anticipo dell’obbligo scolastico abbiano bi-sogno di un riesame internazionale, come dai medesimi richiesto all’OCSE. 7.Apprendere a pensare ovvero apprendere come imparare Un punto rimane in ogni caso fermo : le strategie adattive e diversificate di in-segnamento e di apprendimento devono risultare più comuni a tutti i livelli di scolarizzazione. Le tecnologie dell’informazione possono rendere ciò possibile ad un grado che non possiamo oggi immaginare. Tuttavia l’enfasi sulla indivi-dualizzazione dell’insegnamento o sulla personalizzazione degli apprendi-menti, che ne rappresentano certo una conseguenza, non devono porre a rischio il perseguimento da parte della scuola del suo compito principale che consiste nell’assicurare lo sviluppo di un linguaggio e di una cultura comuni, né devono sovrapporsi ai benefici fin qui ottenuti con lo studio e il lavoro cooperativo e

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con l’insegnamento rivolto a tutta la classe. In molti Paesi apprendere come imparare è considerato più essenziale dell’acquisizione di contenuti disciplinari specifici ; ma tale linea di tendenza non ha successo in condizioni di libera conoscenza e comunicazione. Nella no-stra società in costante evoluzione è più importante diventare abili nell’accedere alle fonti della conoscenza che contenerle tutte nella nostra testa ; sebbene anche in questo vi sono delle conoscenze di base che abbiamo bisogno di padro-neggiare. Se la scuola ha da essere una comunità “inclusiva”, l’opportunità decisiva può consistere nel fornire a tutti gli allievi la possibilità di apprendere a come impa-rare (cfr. OECD, Apprendere a pensare, pensare ad apprendere, 1989). Lo sviluppo effettivo, però, di strategie per apprendere a come imparare richiede una preci-sa definizione degli obiettivi per ciascuno dei livelli di istruzione in cui si inten-de promuoverle ; specie se il sistema scolastico intende realizzare una coerenza verticale al proprio interno. Un esempio può ben illustrare come l’abilità degli allievi a raccogliere e assimi-lare informazione può essere specificata in rapporto a due differenti livelli del curricolo scolastico, tenendo conto delle complessità relative : • al termine della scuola elementare gli allievi dovrebbero diventare capaci di consultare un centro di documentazione onde acquisire informazioni utili ad eseguire un compito concreto, accedendo - con supervisione appropriata - a ca-taloghi e basi di dati, selezionando le informazioni utili e redigendo brevi note . Dovrebbero diventare capaci di dare un’idea dei contenuti di un testo presenta-to loro per la prima volta, esaminando il titolo, le illustrazioni, i disegni, i grafici e le tabelle, e riuscire a riconoscere gli elementi strutturali delle diverse sezioni, paragrafi o capitoli del testo in esame. • al termine della scuola media, a fronte di un compito adeguato, gli alunni dovrebbero dimostrare autonomia nel cercare e nel trovare le fonti appropriate di informazione presso un centro di documentazione. Essi dovrebbero mostrar-si capaci di usare titoli, sottotitoli, simboli grafici, tabelle e disegni per produrre testi o informazioni complesse in termini argomentativi soddisfacenti e appro-priati. Se confrontiamo con tale esempio i modelli tradizionali del curricolo scolastico, cogliamo di certo alcune differenze significative. Questi ultimi infatti - specie nell’istruzione secondaria - erano prevalentemente centrati su una collezione di materie ben definite, ciascuna fondata su una tradizione intellettuale che disci-plinava il modo più corretto per esaminare i problemi specifici e limitati che ciascuna materia indica come proprio dominio. Conseguentemente la scuola si

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mostrava organizzata in rigide divisioni di funzioni e alti gradi di specializza-zione. Oggi la domanda sociale e quella economica richiedono invece un model-lo radicalmente diverso. Si chiede una scuola che contribuisca alla equità e alla coesione sociale, trasformandosi in una comunità pienamente “inclusiva”, con un “core curriculum” che sia comune ed accessibile a tutti, e allo sviluppo del quale tutti gli insegnanti contribuiscono lavorando insieme. 8. Verso una scuola modulare. Dal punto di vista strutturale ciò vale ad indicare una scuola che sappia modula-re la propria offerta culturale secondo le aree di apprendimento scelte come prioritarie per assicurare formazione dei talenti in un multialfabeta. Ma svilup-pare un curricolo a struttura modulare non è cosa facile. Comprendere e precisare i nessi di relazione tra ambiti disciplinari diversi, in modo che in ciascun modulo risultino esplicitate analogie e differenze tra le discipline e i relativi linguaggi di merito è un processo assai delicato per l'insegnante (a cui forse egli stesso è impreparato); ma è anche un passaggio fondamentale per l'allievo. Per questa via infatti egli riguadagna un'immagine significativa della cultura; si rimotiva continuamente alla conoscenza; esplorandola vi sco-pre motivi di utilità e vie di personalizzazione abilitativa. Per ottenere la costruzione di un modulo, perché esso venga organizzato e usa-to come mappa attrezzata di conoscenze e di esperienze, occorre un di-mensionamento dei contenuti e dei metodi assai sottile. Il modulo dovreb-be infatti sempre consentire all'allievo di coniugare in modo sistematico lo specifico e il generale; il soggettivo e il sociale, l'esperienza e i sistemi inter-pretativi della medesima; essere una finestra angolata sul mondo e al tempo stesso risultargli utile per quello che gli serve. Come fare? Quali criteri costruttivi perseguire? Sicuramente, rispetto ad una visione gerarchico-naturalistica della cultura e delle discipline, il paradigma di riferimento che può accomunare quanti si accingano all'opera non può che es-sere la convinzione della coesistenza di un pluralismo metodologico e disci-plinare.4 Una scienza è tanto più vera quanto più ampio risulta il suo potere

4 Ogni disciplina, infatti, è costituita di fatti, di concetti, di procedure e di principi. La sua logica ordinativa interna coincide con la sua storia. La sua fecondità esplicativa( ossia la potenza esplicativa dei suoi assunti e il tasso tendenziale di egemonia culturale che esprime) coincide invece con la sua storia esterna e istituzionale. Ora fatti, concetti, principi e procedu-re si dislocano fra loro nel tempo( la storia della disciplina) e nello spazio( la rete dei saperi, dei lavori, dei poteri con cui la disciplina stessa dialoga di necessità) sviluppando trame di teorie, quasi-teorie, paradigmi, prestiti e scambi. Sono queste a formare le trame concettuali che

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esplicativo rispetto agli oggetti di indagine e di conoscenza. E poichè tali og-getti non appartengono per diritto divino ad una sola disciplina, ma vengono spiegati da molte discipline contemporaneamente, ne consegue che muta ra-dicalmente, anzi tende a scomparire ogni presupposto di legittimazione della gerarchia disciplinare. E la scienza si presenta sempre più come una rete di ana-logie.5 E poichè i metodi del lavoro scientifico altro non sono che i suoi lin-guaggi, nessuna disciplina può insegnarsi se non spiegando i nessi e le relazio-ni che collegano, differenziano le sue strutture conoscitive da quelle di altre discipline. E' qui il core problem del valore formativo delle discipline. Una pro-spettiva siffatta ribalta l'ottica isolazionista, gerarchica, logicista e tassonomica nell'organizzazione dei saperi e nell'organizzazione degli apprendimenti: non a caso Prigogine chiama "nuova alleanza" la prospettiva relazionale e semantica su cui poggia lo stesso modo di concepire l'enciclopedia: una rete, cioè, non chiusa e dai bordi sfrangiati, di modelli e di paradigmi attraverso cui ogni soggetto conoscente naviga obliquamente. L'organizzazione degli insegnamenti - per risultare formativa - diventa allora qualcosa di profondamente diverso da quello che è oggi; diventa cioè un na-vigare tra mondi di conoscenze e di esperienze, utilizzando modelli esperti e codici di comunicazione che consentono di utilizzare una rotta più esperta ed

identificano e specificano ogni disciplina nella sua regione conoscitiva. La trama è configurabi-le come una rete: ed ogni rete ha i suoi nodi. I nodi delle trame concettuali sono i punti in cui ogni disciplina si dichiara esperta nella conoscenza o nella trasformazione dei fenomeni e dei fatti che indaga o che tratta. Poichè nel far questo la disciplina deve adottare modelli, i nodi della trama concettuale saranno appunto i suoi modelli esperti, scoperti, assunti ed utilizzati dalla disciplina come strumenti economici, efficaci e fecondi di analisi e/o di tra-sformazione della realtà. Particolarità interessante è che tali modelli esperti non sono quasi mai autoctoni: più spesso di quanto non si creda essi risultano generati in altri campi disciplinari e per altri scopi; vengono quindi scoperti, riplasmati e resi esperti dalla disciplina in esame in virtù della sua evoluzione storica, istituzionale, tecnologica. Ne consegue, tra l'altro, che la specificità del lavoro scientifico, quindi i paradigmi sui quali si accredita la comunità dei sape-ri rispetto a quella del lavoro e delle professioni, non è più identificabile solo nei principi di confermabilità e di falsificazione. 5 Se però ciò che distingue una disciplina da un'altra risulta fondato sulla fecondità esplicativa dei suoi modelli e dei suoi paradigmi, in questo modo la comunicazione tra le discipline viene nei fatti a risultare obbligata da qualcosa che è insieme comune e più cogente tanto alla logica interna delle discipline quanto alla loro storia esterna o istituzionale. Questo qualcosa è il metodo o i metodi adottati da ogni disciplina per criticare e accrescere le proprie conoscenze e i propri linguaggi sul mondo. Ed è ancora il metodo che presiede alla critica e alla cresci-ta delle conoscenze e dei saperi, a renderli linguaggi: ogni disciplina infatti regionalizza la conoscenza del mondo attribuendo " conferimenti di senso", ovvero significati, ai fenomeni sui quali ritiene di poter asserire qualcosa di non banale. Ma per questa via non può che comu-nicare con altre regioni disciplinari, e così reciprocamente. Nessuna disciplina infatti può svi-lupparsi senza insegnarsi. Ma nessuna disciplina può insegnarsi astraendo dai metodi di lavo-ro che le hanno consentito di criticarsi, di accrescersi e di strutturare le proprie conoscenze.

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economica tra un mondo e l'altro. Se tutto ciò corrisponde al pluralismo meto-dologico e disciplinare dominante, e gli sta dietro, è evidente che lo sviluppo di un curricolo a struttura modulare deve far corrispondere i moduli a quei nodi di comunicazione disciplinare di cui si diceva. Compito di ogni modulo formativo diviene quello di promuovere, controllare ed estendere apprendimenti significativi, negli allievi; ma apprendimenti si-gnificativi funzionali ai comportamenti esperti richiesti dall'indirizzo profes-sionale di riferimento. Si tratterà dunque di apprendimenti significativi in qualche misura eterocentrati sia rispetto al docente che all'allievo; e invece centrati sui compiti richiesti all'allievo dal presumibile esercizio professionale dei sistemi di padronanza appresi. Ora, ammesso che docenti e cultori disciplinari accettino di riorganizzare i contenuti di insegnamento/apprendimento, e dunque anche i libri di testo, in vista di tale obiettivo come dovrebbero trattare lo sviluppo degli argomenti di-sciplinari? Essi hanno due strade percorribili. La prima è quella di tradizione razionalistica o classica, più nota oggi come strutturalista, legata alla preoccupazione di for-nire una informazione completa il più possibile dell'argomento e di confe-zionare l'informazione in modo da facilitarne memorizzazione e riproduzione logica. Ovviamente il modo con cui si organizza l'informazione e la si confe-ziona didatticamente prende a suo criterio di riferimento la logica interna della disciplina e il modo con cui essa si è consolidata. L'approccio strutturalista, fin qui seguito nell'analisi disciplinare non si disco-sta fondamentalmente da tale assunto. 6 Il problema e il limite però di tale prospettiva si sono evidenziati proprio nel concetto di informazione che essa ha utilizzato. Si è cioè via via preso con-

6 E' noto infatti che Bruner oppose all'apprendimento inteso come semplice ricezione e memo-rizzazione di stimoli l'immagine di una attività cognitiva come elaborazione dell'informazione, del pensiero e della cultura come uso di strategie, della stessa concettualizzazione scientifica e professionale come verifica di ipotesi, in breve della tendenza dell'individuo a superare i propri limiti cognitivi utilizzando quella sua spinta continua (l'intuizione) ad andare "oltre l'informazione data". Pregio di tale impostazione è la possibilità di dar conto non solo in modo completo ma anche processuale e storico dello sviluppo "ordinato" di un sapere; se sviluppa-ta coerentemente essa assicurerebbe l'acquisizione delle strutture logiche fondamentali della disciplina stessa. L'istruzione deve quindi sviluppare e potenziare le capacità di elaborazione, immagazzinamento e recupero dell' informazione, che consentano all'allievo di imparare ad imparare e di controllare il proprio apprendimento. Donde lo sviluppo delle metodologie di-dattiche e delle tecnologie educative che hanno soprattutto puntato, in questi ultimi due decen-ni, ad assicurare appunto tali qualità agli apprendimenti scolastici: essere insieme responsabili e consapevoli oltre che strutturalmente generativi di nuovi contenuti e nuove abilità.

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sapevolezza che quanto più complesso si fa il sistema delle informazioni scien-tificamente strutturate tanto più in esso appaiono delle proposizioni di cui non è possibile stabilire se siano vere oppure false; tanto più cioè quel sistema si rivela sterile e impotente ad orientare l'allievo rispetto alla complessità e alla ridondanza del linguaggio ordinario. Dunque il limite oggettivo di ogni impostazione strutturalista nell'analisi disci-plinare è nel fatto che essa, al crescere della complessità del sistema culturale e disciplinare di riferimento, rende l'allievo indifeso di fronte alla complessità e all'ambiguità, in una parola alla ridondanza, che invece caratterizzano oggi sia l'esercizio professionale sia qualunque forma di comprensione scientifica e culturale, dunque qualsiasi situazione di comunicazione. La seconda via tende piuttosto a partire da ciò che la prima tralasciava: e cioè dall'analizzare gli elementi fondamentali di informazione in cui si articolano i processi di concettualizzazione, di ragionamento, di soluzione dei problemi i cui prodotti si caratterizzano come nuovi o originali. A partire cioè dalla task-analysis di un risultato (che dovrebbe apparire come nuovo e originale per l'al-lievo in apprendimento) si individuano le sue componenti di base, permetten-do così di cogliere non solo le strutture concettuali o disciplinari di base ma anche le relazioni che ne consentono la combinazione originale e "creativa". La seconda via si distingue così dalla prima per due motivi: a) perché mediante il recupero della " novità" come conseguenza dell'elabo-razione dell'informazione soggiacente a tutti i processi cognitivi, ha significati-vamente contribuito a togliere il carattere di eccezionalità ai procedimenti intuitivi ed euristici e ad ipotizzare un continuum piuttosto che un'opposizione tra modalità creative e non creative di apprendimento; b) perché ha condotto lo studio dei comportamenti cognitivi- in particolare lo studio delle analogie in relazione al transfer- ad individuare precise modali-tà di interesse psicopedagogico che consentono di superare l'impasse dell'ap-proccio strutturalista nell'analisi disciplinare. In primo luogo mostrano l'utilità del ricorso all'analogia in campi disciplinari diversi come procedimento per consentire all'allievo di "andare oltre l'informazione data" senza bisogno che l'informazione data sia completa ed esauriente. In secondo luogo pongono l'ac-cento sul fatto che compito dei momenti istruzionali è di indurre schemi( o schemi di "ragionamento in base a un caso analogo" ovvero " ragionamenti in base ad uno schema"); e dunque le informazioni disciplinari debbono sempre tendere a mettere in evidenza le somiglianze tra problemi, o eventi o somi-glianze. In terzo luogo esse sottolineano come la guida dell'insegnante sia fondamentale nel rendere gli allievi consapevoli delle analogie, dal momento che ricerche sperimentali mostrano che soggetti indirizzati a cogliere analogie apprendono meglio(75%) di quanti non lo siano stati(30%). Potremmo definire la seconda via come centrata sul transfer, e cioè convinta che compito dell'istruzione sia soprattutto quello di favorire con ogni mezzo

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la produzione e lo sviluppo di apprendimenti "esperti" negli allievi. Una impo-stazione siffatta ovviamente richiede una metodologia congruente, a carattere processuale-sperimentale, che persegua lo scopo esplicito di porre gli allievi nella condizione di assumere una struttura formativa di base a carattere dina-mico, che li renda soprattutto capaci di " autoadattamento". 9. La riforma del curricolo non si riduce alla riscrittura dei Programmi di in-segnamento. Questo approccio, tuttavia, produce nuove sfide all'insegnamento delle materie tradizionali. Ciascuna disciplina di insegnamento viene, infatti, sollecitata ad esplicitare il contributo effettivo che essa assicura all'acquisizione degli appren-dimenti di base, da parte degli allievi; come anche il reale aiuto (metodologico, esperto e significativo) che essa fornisce a ciascun allievo nel maturare espe-rienza e padronanza nel dominio di conoscenza che esplora. Tutto ciò spinge allora, piuttosto, verso una più rigorosa coerenza orizzontale del curricolo, in quanto richiede più lavoro cooperativo tra gli insegnanti, proprio a partire dalle diverse materie insegnate. Certo, per le abilità del saper leggere scrivere e far di conto tale istanza suonerà familiare, in considerazione dei ricor-renti movimenti di innovazione didattica che hanno promosso approcci multi-disciplinari o integrati allo sviluppo dell'apprendimento scolastico. Ma quando le medesime abilità più generali e tuttavia non rinnovabili, quali l'alfabetizza-zione tecnologica, ovvero la capacità interpersonale di lavorare in gruppo, risul-tano - nonostante gli sforzi profusi - così miserevolmente presenti in quantità e in qualità nella popolazione scolastica globale, allora insegnanti e Capi d’Istituto sanno che si richiedono trasformazioni profonde e difficili non solo nel modo di insegnare e nei contenuti disciplinari dell’insegnamento, ma nella stessa struttura organizzativa della scuola, nel modo di dirigerla e di alimentar-la culturalmente e socialmente. Non bisogna, comunque, cadere nella trappola di rendere troppo stretta l'analisi delle discipline e dei contenuti di insegnamento. Ogni disciplina si è evoluta negli anni e continuerà a svilupparsi in modo autonomo. I saperi non sono si-stemi chiusi o statici, né presentano confini rigidi e immutabili. Essi dialogano e si sintonizzano reciprocamente, anche se con difficoltà; e spesso anzi dimostra-no di poter assicurare un'offerta culturale coerente con la domanda sociale e adeguata ai tempi. Va però anche registrato il fatto che questa loro evoluzione li porta sovente ad individuare, nell’organizzazione dei contenuti del curricolo, aree di apprendimento completamente nuove, che non trovano la loro origine in nessuna disciplina tradizionale. Fonti di tali aree sono piuttosto sviluppi so-ciali e argomenti di attualità. E’ ovvio che, per essere adeguatamente sviluppa-te, tali aree vengono riempite con elementi presi a prestito dalle discipline tra-

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dizionali di insegnamento. Si produce però di fatto, così, una dicotomia tra disci-plina e area di apprendimento che, in assenza di una cooperativa sorveglianza cri-tica da parte degli insegnanti, finisce per risultare non significativa e sterile agli occhi dell’allievo. Tale dicotomia non deve dunque tradursi in antagonismo : discipline e aree di apprendimento sono complementari, nel senso che lo diventano nel corso delle pratiche conoscitive e abilitative in cui viene impegnato l’allievo. I contenuti di insegnamento assicurano il contesto significativo ad ogni processo di appren-dimento e di formazione. In ogni caso, indipendentemente dal significato che si attribuisce a tale incontro (discipline - aree di apprendimento) unanime è il consenso sul fatto che il curri-colo trascende, comprende e sinergizza i saperi e le discipline che lo compon-gono. Piuttosto si avverte il bisogno di enfatizzarne lo scopo, consistente ap-punto nel far sì che il curricolo assicuri formazione del ragionamento pratico ed abilità sociali e civiche. Lo sviluppo peraltro di conoscenze fortemente con-testualizzate è necessità complementare. Quest’ultima a sua volta richiede itine-rari di apprendimento attivo esplicitamente collegati a situazioni ed esperienze del mondo reale. Ne consegue che il disegno e l’architettura medesima del curricolo scolastico vanno modificati per introdurre nuove tipologie di compiti curricolari. Le di-scipline tradizionali cioè non vengono abbandonate : piuttosto esse vengono riutilizzate e ripensate per servire come risorsa vitale nell’attrezzare gli allievi ad affrontare problemi complessi. Problemi - si noti - che nessuna disciplina (da sola o in condizione di egemonia sulle altre) può permettersi di sognare di ri-solvere in modo appropriato. Certo, in passato, alcune innovazioni e alcune proposte didattiche hanno inteso rispondere a questa esigenza, cambiando il carattere e il modo di rappresentare lo statuto delle discipline medesime. Così è stato per la matematica, le scienze o la storia che hanno introdotto nell’apprendimento scolastico un lavoro per pro-getti, con il quale gli allievi vengono chiamati ad applicare le abilità e i concetti da essi appresi in ambito rigorosamente disciplinare alla soluzione di problemi più vasti e complessi ; ovvero sono stati indotti ad apprendere abilità e concetti inediti, ma a partire dal contesto disciplinare studiato, necessari per risolvere i problemi individuali. In questi casi l’insegnamento ha prodotto una feconda interazione tra gli ele-menti strutturali della conoscenza disciplinare e lo studio e la soluzione realisti-ci dei problemi a cui quelle conoscenze venivano applicate. Casi esemplari al riguardo possono essere tratti dall’educazione ambientale, in molti Paesi : gli allievi affrontano i problemi dell’ambiente loro prossimo non più come un eser-cizio, ma come un reale contributo alle controversie e al dibattito locali, racco-gliendo, valutando e proponendo nuovi dati e nuove idee ; partecipando così ad

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un dibattito delle comunità locali in modo non estemporaneo. 10. Le riforme scolastiche hanno successo solo in classe. Al postutto, però, lo sviluppo scolastico delle abitudini ad apprendere non ri-sulterà essere una preparazione effettiva all’apprendimento per tutta la vita, se i metodi usati saranno profondamente diversi da quelli utilizzati sul lavoro e nel tempo libero dalla popolazione adulta. I sempre più complessi e realistici conte-sti di vissuto e di apprendimento dalla vita dei loro allievi esigono che le scuole finalmente decollino in un impegno siffatto, e che utilizzino ogni giorno e si-stematicamente esempi di contestualizzazione, situazioni e problemi tratti dalle loro comunità locali. Si otterranno così nuove risorse per l’insegnamento e per l’apprendimento, anche se ciò produrrà l’incontro con nuovi vincoli o problemi. Ma quel che più importa è che le scuole, i Capi d’Istituto e gli insegnanti non siano più soli. Il livello della decisione politica comprende, altrettanto bene, che ogni riforma del curricolo comporta rilevanti cambiamenti nella struttura e nell’assetto del sistema scolastico nazionale. Ma deve essergli ben chiaro che tale cambiamento esige interventi contemporanei a diversi livelli del sistema. In ogni livello sco-lastico, infatti, risultano coinvolti attori diversi : dirigenti, genitori, amministra-tori, collegi docenti. Ed è bene che i politici sappiano che, in teoria, le scuole e gli insegnanti possono essere chiamati ad essere responsabili della realizzazione di innovazioni decise a livello centrale, ma in pratica scuole ed insegnanti non realizzano effettivamente nulla che sia stato deciso da altri. Perché ciò avvenga essi devono essere convinti del merito e della desiderabilità degli obiettivi di innovazione : e questo può avvenire solo se essi - in quanto comunità professio-nali - si sentono liberamente e responsabilmente coinvolti nello sviluppo e nell’attuazione dei programmi di innovazione proposti, a partire dal significato e dal senso che a tale innovazione essi ritengono e decidono di assicurare. Dovrebbe essere ormai chiaro, dopo decenni di innovazioni avviate e di spe-rimentazioni mai concluse, che l’effettivo cambiamento dipende, in ultima istanza, da quello che il singolo insegnante fa in classe. E’ questo il livello in cui realisticamente ed effettualmente ogni innovazione si compie o si perde. E qualunque controllo o prescrizione si decida, è in classe che l’insegnante decide, perché qui è il suo regno di reale autonomia e libertà intellettuale. E’ evidente che fintantoché le proposte di innovazione educativa non riusciran-no a coinvolgere scuole e insegnanti in quanto comunità di professionisti, l’innovazione sarà superficiale, e il divario tra scuola e realtà è destinato ad ac-crescersi.

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11. Valutazione scolastica e controllo del profilo formativo. La valutazione scolastica e il controllo del profilo formativo servono tre scopi principali : - ad assistere i processi di insegnamento e di apprendimento ; - a certificare i risultati individuali degli alunni ; - a produrre informazioni rigorose e significative sull’efficacia del lavoro didat-tico, sul funzionamento delle scuole e dei sistemi scolastici. Va subito detto, al riguardo, che - come confermato dall’esperienza - spesso le attività di controllo del profitto entrano in conflitto con il primo obiettivo, pur risultando congruenti con il terzo e coerenti con il secondo. Per esempio un Pre-side potrebbe legittimamente ritenere che una batteria di prove a scelta multipla accompagnata da un Sillabus costituisca un metodo economico e rapido di con-trollo dell’apprendimento poiché evita molti problemi di deviazione dalla me-dia dei risultati e soprattutto risulta affidabile nella sua gestione. Insegnanti e pedagogisti potrebbero, dal canto loro, convenire sulla bontà e sulla utilizzabili-tà della batteria di test. E tuttavia il Preside sarebbe ugualmente consapevole del fatto che, tutto ciò posto, gli insegnanti farebbero ogni sforzo per esercitare gli studenti a riuscire bene in “quei” test. Laddove si punta a standardizzare prove di profitto nazionali, lì si registra una tensione analoga tra affidabilità generale delle prove e significatività effettiva degli esiti censiti. Ne consegui-rebbe una situazione paradossale : gli studenti verrebbero sollecitati a privile-giare un approccio parcellizzato allo studio, e di fatto si impedirebbe così che si dedichi invece il tempo necessario a sviluppare le attività necessarie ad una comprensione approfondita delle materie di studio . In particolare verrebbero meno la discussione e la riflessione necessarie a far sì che gli alunni si impegni-no ad esprimere un apprendimento più lungo e comprensivo. Molti Paesi hanno ritenuto che tale problema meritasse di divenire oggetto di decisione politica. In Finlandia, ad esempio, la riforma dei programmi di inse-gnamento ha posto - tra le sue priorità - lo scopo di incoraggiare la responsabili-tà e la maturità degli studenti facendo in modo che gli studenti scelgano percor-si di apprendimento e modalità di verifica in ragione degli obiettivi di risultato che essi scelgono per se stessi. Si è dunque ritenuto di sciogliere in questo modo la divaricazione esistente tra un modello di lavoro didattico che viene deciso in ogni singola classe e le pressioni verso la standardizzazione dei risultati che de-rivano dagli esami nazionali. In Norvegia, invece, i test e le prove nazionali so-no state eliminate, proprio per la considerazione che test e prove nazionali eser-citano una interferenza e una distorsione della qualità degli effettivi risultati di apprendimento inaccettabili ; comunque conflittuale ed inibitoria dell’esercizio di responsabilità propria di ogni scuola, che deve invece essere invitata in ogni modo a sviluppare azioni di integrazione sociale. Entrambi questi Paesi hanno

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preferito, conseguentemente, sviluppare strumenti e percorsi di autonomia e di autoformazione nell’apprendimento degli allievi, in quanto si ritiene che il mo-do migliore per controllare il profitto e mettere a prova l’apprendimento è di verificare il modo in cui quest’ultimo ha prodotto un più esplicito grado di re-sponsabilità degli alunni rispetto alle proprie scelte di apprendimento. L’auto-valutazione, peraltro, si configura sempre più come una delle abilità più impor-tanti nella prospettiva dell’ ”apprendimento lungo tutta la vita” , specie per quegli adulti che non possono contare su frequenti feed-back da parte degli al-tri. Il Belgio Fiammingo e il Queensland hanno abbandonato ogni tipo di valuta-zione e di esami esterni alla singola scuola. Altri Paesi hanno invece ritenuto di dover introdurre metodologie particolari nella valutazione di livello nazionale (come la “peer review” e l’”audit”), ma altre tensioni sono esplose, come in Germania : in alcuni Lander si continua ad utilizzare una verifica esterna alla scuola, come nel caso dell’habitur ; ma in altri la valutazione finale viene inte-ramente affidata agli insegnanti. Il problema si fa invero acuto quando vengono fissati esiti di risultato particolarmente elevati, laddove per esempio i requisiti di ingresso alle Facoltà di Medicina vengono decisi a livello nazionale. La pratica del controllo del profitto può in effetti svalutare ogni scopo di ap-prendimento che risulti difficile da apprezzare con gli strumenti correnti. Sicché è importante, allorquando si procede a pianificare lo sviluppo di un nuovo cur-ricolo, esplorare gli assunti o le azioni relative alla valutazione e al controllo del profitto che possono condizionarne lo sviluppo. Molto spesso accade invece che le politiche di riforma del curricolo procedano nella convinzione che prima vanno decisi I contenuti del curricolo, e che la valutazione seguirà dopo. In real-tà I criteri di valutazione vanno sviluppati in contemporanea e parallelamente alle innovazioni di contenuto, di metodo e di processo decise per il curricolo. Si tratta infatti di due piani che vanno mantenuti rigorosamente complementari. Solo a questa condizione e su questa base programmatica la valutazione scola-stica riuscirà davvero a portare contributi significativi alla valutazione dell’innovazione e al suo sviluppo successivo. E’ di tutta evidenza, infatti, che gli studenti - specialmente quelli degli ultimi anni della secondaria - sono capaci di verificare e di apprezzare i loro personali progressi nell’apprendimento, adottando strumenti e modalità che li aiutano a prendere coscienza e a sentirsi responsabili dei loro progressi o risultati d’apprendimento. Tutto ciò a sua volta può aiutare gli insegnanti ad intercettare meglio i loro personali bisogni, e a meglio corrispondere alla domanda formati-va dell’intera classe. 12. Valutazione esterna e valutazione interna: una difficile combinazione.

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Ogni sistema scolastico esprime una visione diversa rispetto al ruolo da asse-gnare all’insegnante nella pratica della valutazione scolastica. Una prospettiva abbastanza diffusa in Europa è quella che fa dell’insegnante il paladino della valutazione formativa. Ma ciò produce un’enfasi così forte e distintiva rispetto alla valutazione sommativa, da rendere inconciliabili le due prospettive, nell’opinione dei più. In alcuni casi si sottolinea peraltro come solo una valuta-zione condotta con strumentazione docimologica oggettiva, al limite anche in-dipendentemente dal lavoro svolto dal singolo insegnante in classe, può assicu-rare quell’affidabilità e quella rispondenza che è propria della valutazione sommativa. Sicché si conclude che bisogna di necessità far attraversare agli in-segnanti il “deserto docimologico” della valutazione sommativa per liberarli dai “rischi di intuizionismo” diffusi nella valutazione scolastica tradizionale. Solo dopo tale lavoro mentale essi potranno realmente produrre valutazione formativa coerente. La conseguenza è che l’insegnante impegnato nel mettere a prova il lavoro formativo degli alunni finisce per ritenere il suo stesso lavoro di valutazione formativa come una mera risposta alle pressioni e alle interferenze create dalla valutazione razionale. E’ invece di tutta evidenza che in numerosi Paesi gli insegnanti non sono prepa-rati a valutare l’apprendimento: organizzano poche situazioni di Valutazione Formativa, e pur chiacchierando di verifiche, di fatto preferiscono avvalersi di strumenti valutativi da somministrare a fine ciclo; strumenti invero di dubbia qualità e che non hanno alcun effetto formativo per gli allievi. Una effettiva valutazione formativa esige, invece, cambiamenti profondi nella pedagogia e nella didattica; richiede metodi certificati di raccolta e di interpre-tazione delle informazioni prodotte dalla valutazione stessa; e sollecita cambia-menti nello stesso atteggiamento rispetto ai bisogni diversi che gli allievi rap-presentano. Laddove, poi, gli insegnanti privilegiano una valutazione scolastica di tipo som-mativo, anche in questo caso il loro lavoro viene a trovarsi tra due fuochi, coin-cidenti con i due compiti essenziali che essi debbono comunque esercitare: quel-lo di aiutare e quello di valutare. Sicché ogni divaricazione tra valutazione formativa e valutazione sommativa appare sostanzialmente ideologica: entrambe sono richieste all’insegnante come aspetti complementari di un delicato lavoro compiuto in rapporto alla conte-stuale evoluzione di personalità, di cultura e di competenza dell’allievo. Diversi sistemi scolastici optano per una combinazione eclettica di diversi gene-ri e tipologie di valutazione, in particolare fra valutazione esterna (realizzata prevalentemente attraverso un servizio nazionale di Testing), valutazione inter-na (condotta dagli insegnanti e concludentesi in un giudizio da loro espresso sul

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profilo formativo raggiunto dai singoli allievi) e certificazione finale del profilo scolastico raggiunto. L’insegnante viene in questo caso invitato ad usare test o questionari prodotti a livello nazionale in aggiunta alle proprie specifiche attivi-tà di valutazione condotte in classe (siano esse di tipo sommativo o formativo). In questo caso è importante che egli conosca e sia partecipe delle strategie na-zionali che presiedono - anche da un punto di vista tecnico - alla costruzione degli strumenti di valutazione esterna. Va detto che tutto ciò vale più in teoria che in pratica. Capita sovente infatti che i metodi e le procedure di valutazione interna adottati dagli insegnanti finisco-no per non essere tenuti in alcun conto dalle strategie nazionali di valutazione esterna. Il che ha fatto nascere e mantiene irrisolto per la maggior parte dei Pae-si che hanno adottato strategie sistematiche nazionali di valutazione esterna il problema di sapere quali competenze e abilità debbano avere gli insegnanti in materia di ricerca valutativa; quale affidabilità e validità abbia il lavoro di valu-tazione interna da essi comunque svolto; in che modo ottenere il loro consenso e la loro partecipazione allo sviluppo delle strategie nazionali di valutazione e-sterna. Non va infatti dimenticato che gli insegnanti sono, e si ritengono, priori-tariamente responsabili dei risultati dell’ apprendimento scolastico rispetto agli alunni e ai genitori piuttosto che agli standard nazionali di apprendimento. Tuttavia il mix tra valutazione interna e valutazione esterna resta l’unica strate-gia verso cui si orientano in maggioranza i diversi sistemi scolastici. In questi casi, però, non ci si limita a promuovere un semplice addestramento aggiuntivo degli insegnanti circa le tecniche docimologiche di valutazione scolastica. Lo si ritiene anzi insufficiente e culturalmente pericoloso . Si considera invece che la padronanza in materia di valutazione scolastica degli insegnanti, oltre alla co-noscenza esperta delle tecniche di osservazione, analisi valutativa e di elabora-zione delle informazioni sia fondata su una solida padronanza delle strutture logiche e metodologiche delle materie di studio, nonché sia manifestamente capace di accedere ad un largo ventaglio di soluzioni didattiche e metodologi-che. Inoltre essi hanno bisogno di poter contare su una Agenzia nazionale in cui sia prioritaria e costante la preoccupazione di tenere unite tanto le azioni a favo-re dell’innovazione curricolare quanto le procedure di valutazione esterna, sì che ricerca del curricolo e ricerca valutativa trovino un esplicito equilibrio nel coordinare reciprocamente le pratiche di Valutazione Formativa degli insegnan-ti con le campagne nazionali di valutazione sommativa o comunque di valuta-zione esterna promosse dalla medesima Agenzia. Poiché, poi, nonostante tutto, la pratica corrente della valutazione formativa resterà debole, occorre sapere in anticipo e tener ben presente che il raggiungi-mento dell’equilibrio auspicato tra valutazione interna e valutazione esterna incontrerà difficoltà di ogni tipo, richiederà numerosi cambiamenti nelle abitu-dini di lavoro e impiegherà molti più anni di quanto si abbia oggi il coraggio di numerare, per attuarsi. Laddove, infatti, gli insegnanti sono stati coinvolti nelle

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pratiche di valutazione esterna di livello nazionale, il mix ottimale tra il lavoro delle agenzie esterne e le aree di responsabilità interna e diretta degli insegnanti risulta ancora difficile da raggiungere. Insomma l’attivazione di sistemi nazionali di valutazione richiede cambiamenti significativi nell’azione, nelle abitudini di lavoro, nelle competenze e nelle inte-razioni vigenti all’interno dei relativi sistemi scolastici. Il principale cambiamento, intanto, consiste nel fatto che ogni nuova politica scolastica dovrà caratterizzarsi come azione di sistema. E si intende per tale, adottando la fattispecie in questione, una politica che induca azioni significative in aree collegate. La prima ovviamente consisterà nell’aiutare gli insegnanti a riflettere sulla per-sonale logica della valutazione che esplicano nel loro lavoro; nell’aiutarli ad i-dentificare il loro bisogno reale di cambiamento; ad interiorizzare i cambiamen-ti accolti con l’intelligenza trasferendoli nella loro pedagogia, nel loro esercizio di ruoli, nelle loro funzioni scolastiche. E’ altrettanto ovvio che occorre provve-dere ad inondare il sistema scolastico di nuovi e raffinati strumenti di valuta-zione, in modo che gli insegnanti possano scegliere, e scegliendo usarli, e utiliz-zandoli partecipare e comprendere la logica reale degli standard formativi fissa-ti a livello nazionale. Infine il diffondersi di uno stile sempre più professionale di utilizzo collegiale delle procedure e delle pratiche di valutazione formativa, obbligherà la valutazione esterna a configurarsi come ponderazione esterna dell’efficacia del lavoro degli insegnanti e delle scuole, non svalutando anzi priorizzando il ruolo della Valutazione Formativa interna come azione essenzia-le ad una scuola per la coesione sociale. Una seconda correlata azione di sistema consisterà nell’aiutare politici e genitori dell’importanza di tener distinte valutazione formativa e valutazione sommati-va, valutazione interna e valutazione esterna. Tale distribuzione è condizione di chiarezza, di libertà e di autonomia per gli attori del sistema scolastico. I politici in particolare tendono a ritrarsi da ogni coinvolgimento nel lavoro formativo degli insegnanti e delle scuole, in parte per mancanza di effettiva comprensione, in parte per il convincimento di poter promuovere standard nazionali più eleva-ti sviluppando pressioni indirette ed esterne sulle scuole e sugli insegnanti. In questo modo, e contemporaneamente, essi evitano di “interferire” con il lavoro svolto in classe, ma rendendo pubblici i risultati delle campagne nazionali di valutazione dell’apprendimento essi possono informare l’opinione pubblica circa la produttività delle singole scuole e orientare le scelte scolastiche dei geni-tori. Il risultato di comportamenti siffatti ha però provocato (come testimoniato da numerosi esempi, il più illustre dei quali è quello della Gran Bretagna) una separazione insanabile tra le politiche di valutazione formativa o interna e quel-le di valutazione sommativa o esterna, a detrimento di entrambe.

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Una valutazione criteriale è essenziale ad ogni lavoro formativo. Un approccio norma-dipendente nella valutazione formativa porta gli stessi allievi a distin-guere le proporzioni di successo raggiunte nella realizzazione di compiti comu-ni. Questo produce effetti positivi anche su coloro che vi riescono meno, perché li spinge ad impegnarsi nel realizzare la maggior quota di successo possibile. Un approccio criteriale si presenta, poi, di solito articolato secondo un set gra-duato di compiti, così che quanti, tra gli allievi, registrano minori guadagni nell’apprendimento raggiunto, si confrontano non rispetto alla totalità assoluta dei compiti assegnati, ma rispetto al livello di complessità dei compiti che sono riusciti a realizzare. Ne consegue che la formazione del curricolo deve delineare una sequenza di risultati di apprendimento, attraversando i quali lo studente viene condotto a raggiungere i migliori risultati possibili (E’ questo un punto già trattato a pro-posito di “coerenza verticale” del curricolo). A partire da ciò potranno essere stabiliti obiettivi e livelli personalizzati di studio e di apprendimento per ogni singolo studente, in relazione cioè al livello di successo che lo studente mostra di riuscire ad attingere; e ciò indipendentemente dal fatto che il suo lavoro e i suoi risultati scolastici si collochino al livello più alto della scala percentuale, o al più basso o in mezzo. Certo il dover formulare per ogni curricolo la sequenza dei risultati di appren-dimento obbliga a conciliare due registri diversi di ipotesi: quello relativo alla struttura concettuale e al valore formativo della singola disciplina, e quello rela-tivo alla natura dell’apprendimento scolastico e della pedagogia. Il compito in sé è arduo, e richiede lo sviluppo continuo di aggiornamenti epistemologici e scientifici tanto sui contenuti di studio che sull’apprendimento; un continuo lavoro di ricerca sperimentale e applicata per testare gli strumenti valutativi e le tesi in discussione; la diffusione allargata di contributi originali. La maggioranza dei Paesi che hanno adottato nuove politiche di riforma del curricolo e di valutazione scolastica hanno seguito questa strada. Adottando questo approccio, infatti, il sistema di valutazione nazionale (o di valutazione esterna) deve risultare altamente differenziato. Deve cioè essere in grado di dire non quanti o quali studenti abbiano raggiunto il 10% o il 90% dei risultati scola-stici attesi, ma a partire da quali livelli ed in che modo essi sono riusciti a rag-giungere l’80% (per esempio) dei risultati di apprendimento stabiliti. In questo modo si evitano facili esclusioni di scuole e di studenti, marcandole altrimenti come fallimentari. Se riguardati, poi, dal punto di vista della necessità di assicu-rare che ogni risorsa umana possa prepararli ad un apprendimento lungo tutta la vita, tanto il controllo del profitto scolastico quanto ogni forma di certifica-zione hanno senso e valore solo e solo se producono informazioni utilizzabili direttamente dall’individuo come base di successo o di competenza su cui un apprendimento successivo può costruire ciò che torna davvero utile per lui.

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Al contrario, ogni informazione sui risultati di apprendimento di uno studente che lo esclude da una “corsa per la vita” si traduce in “nessuna informazione significativa” per lui, ovvero in demotivazione. I tassi di dispersione scolastica sono lì a confermarlo. Certo il mix ottimale di combinazione tra valutazione nazionale esterna e valutazione formativa realizzata dalla scuola, nel determi-nare standard di qualità, è duro da trovare. Esso di solito rappresenta il risulta-to di un incontro di tradizioni culturali, della pubblica stima guadagnata nel Paese dalle scuole e dagli insegnanti, come anche di meri fattori tecnici o ammi-nistrativi. E’ evidente che al prevalere o al mancare di qualcuno di essi, la com-binazione risulterà sbilanciata per un verso o per l’altro. Le strategie di valutazione esterna possono, inoltre, acquisire validità adeguata rispetto agli scopi dichiarati solo se possono contare su molto tempo e se svi-luppano un ventaglio sufficientemente ampio e articolato di metodi di analisi e di tecniche di rilevazione. A questo riguardo buoni esempi possono ritrovarsi nei nuovi metodi esplorati negli USA, denominati “valutazione delle perfor-mance”, come anche il largo ventaglio di tipi di esame o di indagini sull’apprendimento sviluppate in Gran Bretagna. Va ricordato tuttavia che al-cuni di essi sono risultati troppo costosi, si da sollevare la questione circa quale risorsa valutativa sia più opportuno utilizzare. Non va infine sottovalutato il fatto che la maggior sfida che viene posta alle analisi valutative consiste nel ri-solvere problemi di affidabilità e di generalizzabilità per l’area delle cosiddette valutazioni di “performance” o “autentiche”, specialmente lì dove le strategie di valutazione esterna cercano di utilizzare le valutazioni prodotte dagli insegnan-ti in classe a scopi sommativi. Metodi di valutazione esterna possono essere usati in vari modi per promuove-re la comparabilità degli standard formativi tra scuole diverse. In Nuova Zelan-da vengono somministrati test ai bambini fin dal loro primo ingresso a scuola, e comunque ad ogni passaggio da un livello scolastico a quello successivo. Ana-logamente si opera in Scozia, dove sono state create banche di items a cui gli insegnanti possono liberamente attingere per testare e calibrare I propri giudizi di merito sull’apprendimento in classe dei loro allievi. La Francia ha introdotto, per tre aree di apprendimento, test diagnostici cui vengono sottoposti tutti gli alunni all’età di 8, 11 e 15 anni all’inizio dei rispettivi anni scolastici : le infor-mazioni prodotte da queste “campagne nazionali di valutazione” vengono inte-se e utilizzate come stimolo e come guida agli insegnanti nell’adattarsi alla nuova classe che incontrano, sebbene la ricerca mostri che molti insegnanti in-contrano grande difficoltà nel lavorare con la vasta massa di dati, di problemi e di dubbi che i test rivelano. In Germania l’incombere del passaggio alla scuola media o al Ginnasio provoca spesso un grande stress psicologico negli allievi delle ultime classi, ed è in atto un acceso dibattito sulla utilità effettiva del Te-sting applicato ad alunni minori di 16 anni. Gli studi empirici, infine, fin qui condotti sull’impatto sociale della valutazione esterna revocano in dubbio l’affidabilità e l’accuratezza delle decisioni che poggiano sulle sue analisi, sti-

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mando anzi che i risultati dei test riflettono piuttosto una frazione delle abilità realmente richieste dalla scuola. Per quanto si voglia ritenere responsabili gli insegnanti e le scuole dell’apprendimento dei loro allievi, tale responsabilità si estenderà solo a ciò che viene offerto nelle circostanze che essi possono controllare. Se allora un’indagine nazionale mostra che le prestazioni di una certa classe difettano oltre una certa soglia, allora di ciò dovrebbe essere ritenuto responsabile il livel-lo centrale delle politiche scolastiche, piuttosto che la singola scuola. Un argo-mento simile potrebbe essere applicato anche alla formazione iniziale e all’aggiornamento degli insegnanti. Gli esempi invero dimostrano la difficoltà e in fondo l’opinabilità di argomenti che puntano a dimostrare o che gli insegnan-ti sono i veri responsabili dei fallimenti dei loro allievi (perché avrebbero potuto lavorare di più o con maggiore coscienza), ovvero che responsabili sono le poli-tiche scolastiche centrali per l’inadeguatezza della formazione assicurata agli insegnanti. La verità è che i dati sulle prestazioni degli allievi non forniscono alcuna soluzione reale ai vari dibattiti sull’argomento. Ciò che invece appare essenziale è di non scaricare sui risultati delle analisi il peso di decisioni che invece resta tutto politico e sociale. E poiché non si può né discutere né decidere senza disporre di basi di cono-scenza, è urgente organizzare una raccolta accurata di dati e informazioni tra loro complementari, attuate sia attraverso l’investigazione e l’uso di indicatori e di analisi statistiche, sia attraverso lo sviluppo congiunto di analisi qualitative e di casi di studio per illuminare meccanismi e processi in modo differenziato. E’ soprattutto necessario riuscire a fornire un senso alla complessità delle azioni e delle relative interdipendenze, sviluppando in tutti gli attori il desiderio di di-stillare dalle analisi autentici “insight”. C’è bisogno dunque di effettive strategie per lo sviluppo di un programma comprensivo di valutazione. Esso richiede studi sistematici per realizzare un’architettura integrata delle metodologie di analisi in grado di coniugare tan-to la raccolta di dati quantitativi - in particolare sulle prestazioni degli allievi - quanto di dati qualitativi sulle reazioni e sulle opinioni di insegnanti, genitori e ragazzi. Certo i governi privilegiano la valutazione sommativa e quantitativa dei risultati, e in alcuni casi un più ampio programma di valutazione : per avere certezze sulla qualità della loro offerta formativa, sull’efficacia dei loro sforzi per migliorare gli standard di efficienza dei loro sistemi, nonché sulla rilevanza di questi ultimi rispetto al panorama dei bisogni locali e nazionali dei cittadini. Tuttavia è proprio il significato attribuito ad alcuni temi come qualità, standard e rilevanza ad essere ambiguo e soggetto a cambiamento continuo. 13. Gli Insegnanti

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Gli insegnanti giuocano un ruolo cruciale tanto nel cambiamento dei processi curricolari e delle riforme prima esaminate, tanto nelle possibilità stesse di suc-cessi per un ampio programma di rinnovamento della valutazione scolastica. I più recenti pronunciamenti di molti Paesi in materia di politica scolastica ten-dono ad assegnare particolare importanza alla scuola come focus centrale delle innovazioni proposte, più che alla formazione iniziale degli insegnanti. Questi ultimi sono considerati come gruppo, guidati da un capo, con responsabilità collettive nello sviluppo del curricolo e della valutazione scolastica, in dialogo continuo con la comunità locale. In tale prospettiva, lo sviluppo professionale degli insegnanti non è considerato come una questione isolata e contingente, ma come parte di un organico processo di cambiamento e di adeguamento dell’intero sistema nazionale di offerta formativa. Sempre più compiti e crescenti responsabilità saranno in futuro delegati agli insegnanti e alle scuole, poiché a fronte della complessità e della variabilità del-la domanda formativa, i relativi problemi non possono essere risolti “per conto” degli operatori ; debbono invece esserlo da loro stessi alla luce del sapere e del giudizio pratico che di ogni specifica situazione essi hanno appreso a gestire. E dato che una professione non consiste mai solo in quello che fa, è compito degli insegnanti e delle comunità scolastiche sviluppare un interesse intrinseco ai continui sviluppi del curricolo, delle strategie di valutazione, delle politiche sco-lastiche. Considerato infine che di ogni problema o sviluppo gli insegnanti, in quanto operatori, tendono a privilegiare interpretazioni e visioni “ex parte su-biecti”, è essenziale che le politiche ad indirizzo e di interesse nazionale distin-guano bene e decidano quale compito o scopo o obiettivo va salvaguardato per-ché giudicato di interesse pubblico nazionale, e quali invece i compiti e le fun-zioni che, perseguiti e realizzati in area locale, concorrono al miglioramento ge-nerale del sistema. Accrescere l’autonomia delle scuole non è possibile senza una seria politica di valutazione di qualità, e dunque senza realizzare controlli nazionali di efficienza e di efficacia dell’offerta formativa. Ma tale strategia non produrrà mai una diffusiva cultura della valutazione se toglierà senso alle ini-ziative locali. La soluzione di molti problemi va dunque delegata alle scuole e agli insegnanti, per ogni questione la cui soluzione istituzionale non può essere governata e controllata con facilità dall’Amministrazione Centrale. La promozione e lo svi-luppo di consorzi tra scuole o di consorzi dedicati a servizi specialistici a sup-porto dell’innovazione è forse la via principale per accelerare lo sviluppo di consapevolezza negli insegnanti del fatto di essere innanzitutto “una comunità di professionisti” - conseguentemente gli interventi delle autorità centrali risul-teranno tanto più strategici quanto meno regolamenteranno in modo dettagliato I loro indirizzi.

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Autonomia, sviluppo professionale esperto entro uno scenario di costituzione di “comunità di professionisti”, riflessività sull’azione in quanto depositari di un sapere esperto di situazioni pratiche, gli insegnanti dovranno rapidamente modificare le strutture e le rappresentazioni del loro lavoro, perché sempre più eterogenea si farà la composizione delle loro classi. 14. Adottare un approccio sistemico Le unità scolastiche, oggi organizzate secondo una rigida manifesta divisione di funzioni e gradi ancora alti di specializzazione degli indirizzi, sono invece pres-sate da una domanda sociale crescente per profili formativi inclusivi, con enfasi particolare sul ragionamento pratico e sulle attività civili e sociali. La produzione autonoma, però, di saperi e conoscenze densamente contestua-lizzati, da parte delle scuole, richiede strategie didattiche e un apprendimento attivo a forte personalizzazione con posizionamento privilegiato nelle situazioni reali di vita e di lavoro. Ne consegue che l’intera ottica pedagogica, formativa e di politica scolastica sposti il suo baricentro d’attenzione verso il lavoro pratico che si svolge a scuola e in classe. Per quanto, tuttavia, ciò risulti accolto nel dibattito scolastico internazionale e tali cambiamenti siano ritenuti necessari per adeguare gli stili di insegnamento e di apprendimento alla domanda sociale, tutto ciò rischia di risultare mero movimento d’opinione qualora non intercetti la struttura e la pratica di gestione del curricolo come campo privilegiato di intervento e di azione. Sono infatti I contenuti del curricolo lo spazio in cui di fatto prende corpo concreto e si ridi-slocano le nuove gerarchie di valori emergenti delle concertazioni locali e forme di conoscenza e di sapere fortemente contestualizzate. E’ nella trama curricolare (contenuti, metodi, obiettivi, scopi, risultati formativi attesi) che le nuove, con-crete forme di conoscenza filtrano gli universali astratti dei saperi e dell’esperienza per rigenerarsi attraverso personalissime vie di riproduzione e di diffusione. Lavorando su problemi reali in riferimento a scenari concreti di scelte e di decisioni, l’allievo sviluppa naturalmente il bisogno di scegliere o di decidere secondo convenienza, efficacia e responsabilità. Ma per ciò stesso egli scopre la dimensione concreta e per lui significativa entro cui orientare le sue scelte morali, le implicazioni sociali delle sue assunzioni di responsabilità per-sonale e collegiale. Per quanto - va detto - tale approccio risulta poco usato fino-ra dai vari Paesi nell’ispirare le proprie politiche di rinnovamento scolastico (non essendo riuscita la più parte di essi a liberarsi dalla dipendenza dal para-digma della razionalità tecnologica), pure l’insieme delle istanze, delle aspira-zioni e degli scopi posti a fondamento di alcune tempestive riforme del currico-lo, in questi ultimi anni, trovano nella prospettiva appena delineata la forma logica conseguente alle alternative avviate.

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Ne consegue pertanto che non basta più sostenere - nonostante che sia tale l’opinione generale - che il fondamento del rinnovamento scolastico consista nel trasferire tutto o parte delle responsabilità di politica scolastica dalle autorità nazionali a quelle regionali o locali. La riforma del curricolo deve generare e garantirsi affidamenti espliciti e con-senso diretto da parte degli insegnanti e delle scuole. Se l’argomento principale è che la scuola sia l’unità centrale a cui affidare il compito di sviluppare ogni innovazione, allora la stessa valutazione scolastica e le strategie di assistenza tecnica, di indirizzo e di controllo andranno formulate nel rispetto rigoroso di questo ruolo centrale affidato alle scuole, così che le scuole possano godere del peso e dell’autorità di cui hanno bisogno. Se l’innovazione sviluppata a livello locale e l’autovalutazione hanno da essere le chiavi di volta di ogni rinnovamento, allora occorre rendere esplicito che la riforma del curricolo è molto più importante di ogni ingegneria o alchimia di palazzo in materia di valutazione, perché essa riforma costituisce una questione civile e politica radicale, già solo il fatto di dover decidere a quale livello (cen-trale o locale) collocare la gestione del curricolo. E’ infatti evidente che, da que-sto punto di vista, è necessario ed urgente identificare un delicato bilanciamen-to tra due regni : quello dell’autonomia culturale e professionale degli insegnan-ti e delle istituzioni da una parte, e quello del pubblico interesse nel supportare il cambiamento economico e sociale, nel definire gli standard necessari per la preparazione del futuro cittadino, nell’assicurare un controllo rigoroso della spesa pubblica, dall’altra. Non si può ignorare il fatto che come cambia l’educazione così I suoi metodi e I suoi linguaggi si fanno sempre meno familiari agli adulti rispetto alla scuola che essi ricordano. Invece il pubblico adulto deve farsi una ragione dei cambiamen-ti, e cerca invero di farsela osservando e partecipando, molto più che in passato, al lavoro dei figli. Cosicché le due maggiori priorità nell’approccio sistemico alla Riforma del cur-ricolo sono costituite appunto dalle seguenti : - sviluppare una diffusa, pubblica comprensione del cambiamento educativo ; - allargare ma localizzare la responsabilità attraverso la partecipazione ad ogni cambiamento. Ma il focus di ogni riforma rimane il lavoro formativo dentro la classe, ed il primo passo della riforma è rappresentato dal collegamento reciproco delle classi in una scuola. Ciò non toglie che, ad un’osservazione diretta delle innova-zioni in passato, l’apparente impermeabilità della scuola al cambiamento e le impervie difficoltà spesso frapposte dagli insegnanti a qualunque modifica dell’organizzazione del loro lavoro, inducono molti osservatori e politici a ma-nifestare scetticismo al riguardo. La crescente attenzione sociale e la domanda

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delle famiglie di toccare con mano I reali benefici promessi dall’apprendimento attivo, unitamente all’enfasi organizzativa posta sul lavoro cooperativo, sulla collegialità e sulla necessità di orientare ogni insegnamento verso lo sviluppo di conseguenze pratiche, ebbene tutto ciò lascia senza dubbio gli insegnanti le scuole prive di alibi. Ma da ciò deriva un imperativo per la ricerca educativa e la cultura scolastica : che le implicazioni della riforma del curricolo per I contenuti del medesimo, per l’organizzazione del lavoro docente, per la riforma organizzativa delle isti-tuzioni scolastiche, per la definizione degli standard formativi e loro valutazio-ne siano considerate in rapporto ai compiti assegnati ad ogni insegnante e ad ogni scuola. Ciò significa, anche, portare una rigorosa attenzione all’ampiezza e al grado di cambiamento che si propone, Poiché i sistemi formativi sono complessi, inter-connessi a livelli multipli, la pianificazione di ogni innovazione va condotta con anticipazione dei risultati o delle conseguenze non prevedibili e non desiderabi-li. Infine il consenso alla riforma del curricolo è materia di lungo e ostinato lavoro, non affidabile alle esternazioni o agli annunci della stampa. Il consenso dei vari pubblici e, soprattutto, il consenso degli insegnanti sono i fattori determinanti il successo. Ne è corollario la considerazione che un processo radicale di innovazione pro-duce demotivazione verso l’innovazione medesima, e spesso porta proprio I loro attori principali, a disertare lo sviluppo delle abilità necessarie a realizzarla. Lo sviluppo di nuovi scenari e paradigmi di apprendimento, quali quelli fin qui descritti esige una stretta e sistematica coordinazione tra valutazione, pedago-gia e sviluppo professionale degli insegnanti. E’ qui, non nel tipo di valutazione effettuata, il criterio di verità dell’innovazione perseguita. Gli insegnanti sono soprattutto studenti in apprendimento continuo. Ma il loro sviluppo professionale non può essere eterodiretto dal centro. La qualità e la dignità della scuola ne soffrirebbe fino a morirne. Dunque occorre confrontarsi con loro e, piuttosto, far sì che, in ogni modo, essi diventino “comunità di pro-fessionisti in formazione”. 15. Riferimenti bibliografici ABBOTT-CHAPMAN, HUGHES and WYLD (1991), Improving Access of Disadvantaged Youth to Higher Education, Department of Employment, Education and Training, Canberra

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