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Tesi di fine Corso “Il Counselling sistemico a scuola” Utilizzare le abilità di counselling in un contesto complesso Edoardo Carnevale Schianca Centro Milanese di Terapia della Famiglia Corso Triennale di Counselling Sistemico Professionale Anno 2010/2011

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Tesi di fine Corso

“Il Counselling sistemico a scuola”

Utilizzare le abilità di counselling in un contesto complesso

Edoardo Carnevale Schianca

Centro Milanese di Terapia della Famiglia Corso Triennale di Counselling Sistemico Professionale

Anno 2010/2011

Il Counselling sistemico a scuola

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INTRODUZIONE

La fine di un percorso di formazione in Counselling Sistemico Relazionale deve

necessariamente segnare l’inizio di qualcos’altro.

Quella sensazione, che in più di un’occasione, viene definita come vertigine sistemica,

lascia dietro di sé una scia che determina un’esigenza forte di saperne di più, di

formarsi ancora, di confrontarsi, di vedere altri punti di vista.

L’elaborato che segue è un tentativo di dare un’idea vaga di che cosa abbiano lasciato

nel mio percorso formativo questi tre anni.

Ma non è possibile spiegare che livello di “cambiamento” essi abbiano rappresentato.

Un cambiamento che è dovuto a molti fattori.

Certamente alla Scuola che ha saputo “suggerire” dei modi nuovi di vedere le cose,

senza imporli, senza pretendere che passassero come dogmi.

Certamente ai formatori, che sono stati dei compagni di viaggio competenti e discreti e

che hanno messo in atto una delle più importanti caratteristiche specifiche del

“maestro” e cioè la capacità di sé-durre, non tanto in riferimento alla propria persona,

quanto piuttosto alla bellezza di un metodo, all’efficacia di un approccio.

Certamente alla forza del modello. Non c’è ombra di dubbio che l’approccio del CMTF

rappresenti un modello di un fascino infinito e che una figura come quella di Luigi

Boscolo rappresenti un valore aggiunto per chi desidera imparare ad imparare.

Certamente ai miei compagni di Corso: Lorenza, Franca, Antonella, Francesca,

Michela, Sabrina, Victoria, Cristina. Senza di loro il mio percorso avrebbe certamente

perso moltissimo.

Ma anche Laura, Consuelo, Maria, Alessandra e Lorenzo che, anche se non sono stati

presenti dall’inizio alla fine, certamente hanno contribuito al mio cambiamento, in

qualche modo.

Il Counselling sistemico a scuola

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PARTE PRIMA: L’approccio sistemico nel lavoro a scuola

Da diversi anni lavoro presso un Centro di formazione in cui inizialmente svolgevo

soprattutto il ruolo di Tutor all’interno di corsi professionalizzanti e successivamente,

anno dopo anno, mi sono occupato di formazione. Attualmente, grazie al corso di

Counselling e alle ore di Tirocinio svolte, mi occupo sempre più di colloqui di aiuto.

L’esperienza che riporto in questo lavoro di tesi è stata svolta principalmente

all’interno del mondo della scuola. In realtà, molti tutoraggi che ho svolto si sono

realizzati all’interno di una Casa Circondariale dove il Centro di formazione per cui

lavoro ha attivato corsi di formazione e dove il ruolo del Tutor è fondamentale in

quanto funge da tramite tra la struttura carceraria, i detenuti e l’Ente che eroga servizi

di formazione.

In quel contesto la Comunicazione è realmente un processo difficile che richiede

grande competenza e professionalità.

Ad oggi però quel contesto mi appartiene in misura minore, in quanto le scelte che ho

fatto, insieme ad una naturale predisposizione, mi hanno orientato verso il mondo

della scuola. In tale settore infatti ho svolto e svolgerò, anche grazie alla formazione

ricevuta al Centro Milanese, sempre di più la mia attività.

Una prima riflessione che vorrei fare è che il mondo del Carcere e quello della Scuola,

per la mia esperienza professionale, hanno molte cose in comune.

La concretezza dell’esperienza a Scuola, mi ha fatto spesso incontrare studenti che si

sentivano “chiusi e obbligati” a passare così tante ore dentro ad un Istituto, talvolta

definendosi loro stessi dei detenuti.

Questo capita certamente quando la motivazione si è spenta o quando i risultati

didattici o relazionali sono lontani dalle aspettative, ma non è così raro.

E che dire degli insegnanti? Non poche volte mi è capitato di sentire dentro di me una

dinamica di sovrapposizione tra la figura degli insegnanti e quella delle guardie

carcerarie.

Non è un caso che queste due figure professionali siano , secondo i dati della Medicina

del Lavoro, quelle attualmente più a rischio di burn-out.1

1 “Scuola di follia”. V .Lodolo D’Oria. Armando Editore. 2005

Il Counselling sistemico a scuola

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Insegnanti e Agenti hanno molte cose in comune: quotidianamente a contatto con gli

“utenti” del loro servizio, che quasi sempre sono poco motivati, con le famiglie di

questi utenti, che sicuramente nella maggior parte dei casi non li vivono come figure

positive e di aiuto; il tutto dentro ad un contesto istituzionale fatto di regole imposte,

di restrizioni economiche e di scarso riconoscimento del merito.

Insomma, riflettendo sulla mia esperienza di lavoro, mi trovo sempre più convinto nel

sostenere che purtroppo sono moltissimi i punti in comune tra questi due mondi.

Ho scritto “purtroppo” perché è chiaro che, nel mondo che tutti noi vorremmo, l’idea di

scuola dovrebbe essere quella di un luogo in cui adulti (dirigenti, docenti, operatori

scolastici,genitori) e giovani creano un clima adatto per l’apprendimento, co-

costruiscono regole, ruoli, metodi ed obiettivi del loro stare insieme e monitorano

periodicamente l’efficacia di quanto stanno facendo.

Purtroppo così non è. Almeno in moltissime scuole.

E’ proprio quest’ultima affermazione che mi ha dato lo spunto per ragionare rispetto

ad uno degli apporti più utili ed efficaci che mi ha offerto l’approccio sistemico, il Milan

Approach.

Trovarsi in un contesto simile, in cui il sogno di scuola appena descritto sopra è così

lontano ed appare così irraggiungibile, può portare ciascuno di noi, persone che ci

lavorano, ad iniziare un’estenuante caccia al colpevole.

Di chi è la colpa? Chi sta sbagliando? Chi deve pagare?

Appare subito evidente che queste domande rappresentano un clamoroso invito a

nozze per chi cerca di risolvere una questione così complessa con soluzioni “usa e

getta”, decidendo chi è il colpevole e, una volta trovato, appendendo ai corridoi della

nostra società dei volti con scritto “WANTED”.

Ed è del tutto indifferente quale sia il volto su quel manifesto. Dipende dal momento

e, in genere, da quanto consenso porti in termini di voti. A volte il volto rappresenta gli

insegnanti, altre volte il Ministro di turno, altre ancora gli studenti di oggi, oppure gli

immigrati, oppure la famiglia.

Insomma la cosa che viene più semplice a tutti è la ricerca del colpevole.

Ad un certo punto mi è capitato di fare “pensieri nuovi”.

Lezione dopo lezione, argomento dopo argomento, formatore dopo formatore, le mie

giornate in via Leopardi hanno iniziato a suggerirmi domande nuove.

Il Counselling sistemico a scuola

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Che cosa si può fare? Che cosa funziona? Chi sta facendo bene?

Pian piano, ho iniziato a vedere quante energie e quanti sforzi si mettano in campo

per seguire un percorso che ha origine da quello che non va.

Un percorso che ha come linee guida il giusto e lo sbagliato.

L’approccio di Milano mi ha insegnato ad iniziare ad eliminare questi due aggettivi.

Non me l’ha imposto, me l’ha suggerito e, dopo averlo verificato nel quotidiano, mi

sono accorto che questo approccio funziona.

E quello che funziona, in genere, lo si custodisce gelosamente.

Non si va più alla ricerca del colpevole, ma si inizia a pensare di valorizzare quello che

funziona e si fa tesoro delle risorse di chi sta già lavorando.

Il sistema scuola è un sistema molto complesso e chi decide di lavorarci deve

principalmente tenere conto di questa caratteristica.

“ Più un ambiente è complesso, più spesso la comunicazione fra le sue parti si

presenta come una serie di esperienze di interfaccia, cioè di situazioni in cui le stesse

cose, gli stessi eventi, hanno significati diversi e incompatibili tra loro. Quindi più un

ambiente è complesso e più è necessario che gli attori che ne fanno parte abbiano

acquisito il savoir faire della riflessività sistemica, si siano familiarizzati con una

epistemologia in cui hanno un ruolo centrale i paradossi, la circolarità della

comunicazione […] l’arte di ascoltare […] un ambiente complesso in cui mancano

queste competenze di base diventa manicomiale”2

Insegnanti, alunni, bidelli, operatori scolastici, vivono una realtà quotidiana in cui si

percepisce che ogni cambiamento può essere vissuto come “pericoloso”.

La scuola viene continuamente criticata.

I mass media non perdono occasione di parlarne, soprattutto in riferimento ai suoi

aspetti di fragilità.

Questo crea opinione comune nella società e tutti si sentono autorizzati ad affermare

che tutto all’interno della scuola italiana è insufficiente o, nella migliore delle ipotesi,

scarso.

2 “Arte di ascoltare e mondi possibili” M. Sclavi p.16

Il Counselling sistemico a scuola

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I professionisti che vi lavorano in prima persona, soprattutto gli insegnanti, tendono

ad identificarsi con quel tipo di critiche e, generalmente, pongono un muro invalicabile

tra loro e chi viene da fuori.

Chi entra a lavorare nella scuola sbatte contro quel muro.

Il savoir faire di cui parla la Sclavi, in un contesto simile, è indispensabile se si vuole

provare ad incidere in qualche misura.

L’equilibrio omeostatico (orientato a mantenere tutto com’è) non va giudicato. Quello

è il modo più efficace per “sopravvivere”.

Il modo in cui un numero consistente di adulti (alcuni decisamente brillanti) hanno

deciso di organizzarsi per riuscire a gestire classi di ragazzi difficilmente controllabili

non può e non deve essere visto con uno sguardo di giudizio.

Un giorno un Dirigente, in un colloquio molto appassionato sui problemi della sua

scuola, mi ha illuminato con un’immagine, che certamente era figlia di un momento di

sconforto, ma che descrive bene quanto ho cercato di dire sopra.

“Sa… mi dice …in alcuni momenti guardo la mia scuola, colpita da Decreti Legge,

restrizioni economiche, genitori che invadono, comuni che ci tolgono gli scuolabus,

insegnanti che avrebbero fatto meglio a fare altro… e sa cosa vedo? Ha presente quei

film dei pirati con le navi che si sparano cannonate? Ecco, quando finiscono gli spari,

l’immagine che si vede spesso è quella dei resti delle navi che galleggiano ed è il

momento in cui bisogna fare i conti con le perdite e con quello che rimane…ecco…a

volte, guardo la mia scuola e mi sembra di vedere quell’immagine. E glielo dice uno

che nella scuola ci lavora da 40 anni…che ci crede e che ha cercato di cambiarla...”

Avere a che fare con un’immagine come questa nel proprio lavoro significa avere

necessariamente l’ottimismo di chi, in quei resti di battaglia, ci vuole andare perché è

convinto di poter trovare qualche pezzo che gli sarà utile per ricostruire una nave

potente e leggera.

Un’immagine di questo tipo può anche aiutare a comprendere come sia difficile

accettare di buon grado una persona esterna che entra in una scuola con l’etichetta

“dell’esperto” che viene a dirci che cosa dobbiamo fare.

Quell’etichetta è un ostacolo enorme.

Il Counselling sistemico a scuola

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Lavorare nella scuola diventa un’avventura affascinante nel momento in cui si è

profondamente convinti che già oggi, dentro a quella scuola ci sono le persone che

possono contribuire a farla diventare un luogo migliore.

Entrare con un approccio sistemico in una scuola è un’esperienza bellissima.

Molto spesso si sente dire “ se non ci fosse quel Preside…se non ci fosse quella

professoressa…se non ci fosse quell’allievo… le cose funzionerebbero bene!”

Questo modo di pensare, di ragionare, di guardare le vicende che accadono, funziona

poco (non dico che è sbagliato perché sarebbe una contraddizione), ma difficilmente

fa raggiungere nuovi e buoni obiettivi.

Mi è capitato invece di fare esperienza dell’efficacia di uno sguardo nuovo che è

maggiormente orientato a trovare le risorse, siano esse persone o metodi. Partire da

quelle risorse è importante. La scuola di oggi, quella che ho conosciuto io, è piena di

risorse, di persone che ci credono in quello che fanno e che desiderano migliorare.

Da qui occorre partire per costruire insieme quella nave potente e leggera che sogna

quel Preside.

Il Counselling sistemico a scuola

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PARTE SECONDA: ESEMPI DI COLLOQUI

Questa parte della tesi (la più corposa) vuole andare a definire più chiaramente che

cosa significhi utilizzare l’approccio sistemico in uno sportello di counselling. Il

tentativo che faccio è quello di descrivere alcuni colloqui e di commentarne alcune

parti con l’obiettivo di descrivere la specificità del counselling sistemico.

SIG. ROSSI

L’anno precedente lo sportello era gestito da una psicologa che lavorava presso il mio

Centro di Formazione. Mi si pone però la necessità di chiarire che cosa sia uno

sportello di counselling e quali siano le differenze con quello che può essere lo

sportello gestito da uno psicologo. Questo non è assolutamente un dettaglio.

Svolgere delle ore di sportello d’ascolto nella scuola, dove per anni aveva lavorato una

psicologa, non è affatto una situazione semplice.

Occorre chiarire a tutti, continuamente, che si tratta di approcci, competenze e

metodologie differenti.

Dal momento poi che “il messaggio non è tanto nella bocca di chi parla, ma nelle

orecchie di chi ascolta”, è sempre necessario riformulare periodicamente

l’informazione e ribadire le differenze.

Il sig. Rossi è un papà di un alunno che frequenta la I° superiore (quinta ginnasio).

Trovo il suo nome tra gli appuntamenti. Quando arriva mi sembra un uomo un po’

intimorito o comunque leggermente a disagio.

Lo accolgo e gli chiedo come mai avesse sentito il desiderio di venire allo sportello.

Mi dice che la Prof.ssa XXX, durante un colloquio, gli ha suggerito di venire a

confrontarsi con me per un problema del figlio.

Allora chiedo di che cosa si tratta.

Mi dice che la Prof.ssa è preoccupata per il fatto che Paolo, questo è il nome del figlio,

abbia deciso di non andare in gita con la classe. Così ha consigliato loro di insistere, e

lui ci ha provato … “Ma cosa faccio? Non posso obbligarlo!” aggiunge.

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E’ fondamentale, nella prima fase di un colloquio, sapersi mettere in ascolto. L’ascolto

deve riguardare certamente i contenuti del cliente, ma anche le sue emozioni, i

significati che lui attribuisce a quello che racconta.

Costruire una storia possibile con il cliente significa essere consapevoli del fatto che c’è

lui, ma che ci sono anche io con le mie premesse, i miei modelli. Il rischio di “non

capire” la richiesta del cliente è sempre presente. Le domande sono lo strumento più

efficace che il counsellor possieda per evitare questo rischio.

“Lei è preoccupato per questa situazione?” gli chiedo.

Ma come? Che domanda è? Viene allo sportello. Certo che sarà preoccupato!

Questo è un pensiero che può abitare il counsellor. Ma io non posso dare per scontato

che questo signore sia preoccupato per il fatto che il figlio non vada in gita. Ci

potrebbero essere decine di motivi per cui viene allo sportello ma la storia che mi

racconta non lo preoccupa.

Inoltre faccio questa domanda perché il suo linguaggio analogico, il suo non verbale,

mi sembra che vada in una direzione opposta rispetto a quanto racconta. Però posso

sbagliarmi. Quindi chiedo.

Lui mi risponde che in realtà ne hanno parlato, ma lui non si sente di insistere.

“Che cosa le ha detto?”

“Mi ha detto che in gita c’è sempre confusione, che le visite sono caotiche e che vanno

tutti per farsi le canne di notte. Dice che tornerebbe senza aver visto niente e stravolto

per non aver mai dormito”.

“Lei che cosa ne pensa?”

“La famiglia è un sistema autocorrettivo, che si autogoverna mediante regole

costituitesi nel tempo. L’idea centrale di questa ipotesi è che ogni gruppo naturale

con storia […] si costituisce nel tempo attraverso una serie di tentativi, di transazioni,

di retroazioni correttive che sperimentano ciò che è permesso e ciò che non è

Il Counselling sistemico a scuola

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permesso nella relazione, fino a diventare una unità sistemica originale tenuta in piedi

da regole peculiari solo a quel sistema”.3

Sottolineo questo aspetto per riflettere sulla domanda che ha come obiettivo di

comprendere quali siano le regole ed i valori condivisi dal papà e dalla famiglia di

Paolo. La professoressa ha posto una questione circa l’opportunità di partecipare alla

gita, ma per me è fondamentale capire che cosa si pensa di questo dentro al sistema

più significativo di Paolo.

“Sinceramente un po’ mi dispiace, ma se lui ha deciso così, io e mia moglie non ci

sentiamo di obbligarlo!”

A questo punto inizio ad avere un’ipotesi. L’ipotizzazione è una delle basi del pensiero

sistemico e del modo di condurre il colloquio. Dalla storia che il cliente mi porta inizio a

formulare una “possibile” spiegazione di come si è potuta costruire una situazione di

disagio. L’ipotesi però ha bisogno di essere validata e cioè ho bisogno di un feedback

del cliente. Ho bisogno che lui mi confermi o mi disconfermi quell’idea che sto

seguendo.

Ecco dunque il lavoro che farò nel colloquio:

ipotesi domande feedback

ipotesi domande feedback

ipotesi domande feedback

Questo movimento mi guida nel colloquio. Se il feedback va nella direzione della mia

ipotesi, so che direzione devo seguire. Se invece il feedback disconferma la mia

ipotesi, dovrò lavorare per farmene un’altra e vedere se funziona.

Per tornare al Sig. Rossi, l’ipotesi che mi sono fatto è che a lui non preoccupa molto il

fatto che Paolo non vada in gita, forse lo preoccupa il fatto che l’insegnante ci tenga

così tanto.

3 “ Paradosso e controparadosso” Selvini Palazzoli M. e coll. 1975.

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“Come mai, secondo lei, la Professoressa vi ha chiesto di insistere?”

“Mi ha detto che è strano che un ragazzo di quella età non desideri partire per la gita

e che gli farebbe bene stare con i compagni. Sarebbe uno sforzo positivo”.

La professoressa sta chiedendo a Paolo e alla sua famiglia uno sforzo. Questa è una

bella informazione che devo trattenere. Ed è uno sforzo positivo, cioè orientato al

bene del ragazzo. Ora bisogna capire se il papà e la mamma di Paolo condividono il

fatto che andare in gita sia una cosa positiva (e questo mi pare che lo condividano),

ma soprattutto se è così negativo il fatto di non andarci.

Per la professoressa il positivo sta nel fatto che la gita è un momento di aggregazione,

quindi il negativo potrebbe essere il fatto di isolarsi un po’. Paolo avrà atteggiamenti

un pò associali? Seguono delle domande per comprendere questo.

Allora gli chiedo se, secondo lui, Paolo si isola un po’ dai suoi compagni, dai suoi

coetanei.

Lui mi risponde che non è così. Che ha i suoi amici con cui esce, il sabato pomeriggio

e la domenica. Certo non è mai stato uno da “comitiva”; è un po’ particolare, originale.

“Cosa intende per particolare?”

“Che per esempio ha dei gusti che difficilmente riesce a condividere. Per esempio gli

piace moltissimo il cinema ed ora si è innamorato dei film degli anni ’50, il

Neorealismo, e ne vede moltissimi”.

Allora gli chiedo che cosa ne pensano lui e sua moglie di questi gusti e lui mi risponde

che anche lui da ragazzo era un po’ così.

“Non le piaceva andare in gita?”

“Mah…non mi piaceva “intrupparmi”… sono un po’ allergico. Però sto attento al fatto

che Paolo abbia amici, faccia delle cose fuori da casa”.

“Per esempio?”

“Per esempio quand’era più piccolo ho voluto che iniziasse a fare uno sport di squadra

e l’ho iscritto a calcio. Lui non era molto felice, ma per farci contenti l’ha fatto. Però

dopo un paio di anni sono stato io a dirgli di lasciar perdere. Non gli piaceva”.

“Però lei mi dice che lui ha amicizie?”

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Allora il padre mi risponde che ne ha… anzi ultimamente è un po’ preoccupato perché

gli chiede di raggiungere i suoi amici del mare che si trovano a Milano il sabato

pomeriggio e lui ha il dubbio che in quella compagnia giri anche qualche spinello.

Lui ne ha parlato a Paolo, ma è stato molto deciso nel negare.

A questo punto ho la sensazione che si stiano aprendo un po’ troppe finestre e che,

nonostante siano informazioni su Paolo, non tutte le informazioni sono importanti.

Per esempio il fatto che il Sig. Rossi mi parli della sua preoccupazione circa la

compagnia che Paolo ha iniziato a frequentare, mi porta lontano dal focus del

colloquio. Vedo che è un tema che preoccupa il papà molto di più della gita, ma

adesso stiamo cercando di capire come muoverci rispetto alla gita.

Mi interessano tre obiettivi:

1. Che il papà e la mamma si sentano legittimati a non vedere come una tragedia

il fatto che Paolo possa non andare in gita.

2. Che veda l’intervento della Prof.sa come gesto di “cura”

3. Che pensi a cosa accadrà a Paolo quando gli altri saranno in gita.

Allora decido di espormi:”Se posso dirle una impressione, non mi sembra che lei sia

preoccupato del fatto che Paolo non vada a Roma”.

Il padre annuisce e dice che non gli sembra una cosa grave.

Allora subito replico: “e chi dice che è grave?”

“Mah…da come me l’ha presentata la Prof.sa ho avuto questa impressione”.

“ Le ha detto che è grave?”.

“No…però mi ha chiesto di insistere! Se non la vedesse come una cosa grave perché

me l’avrebbe chiesto?”

“Forse perché per lei è importante che Paolo vada”.

“Eh, appunto!”

“Qual è la differenza tra il fatto che sia importante che Paolo vada e che sia grave il

fatto che non vada?”

Il papà resta in silenzio e riflette sulla domanda. Rimane in silenzio.

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“ Il silenzio del cliente di fronte ad una domanda, o in un qualsiasi momento del

colloquio è una delle esperienze che i professionisti temono di più…”4

Soprattutto quando si è alle prime armi, il silenzio può mettere un po’ a disagio, ma in

molti casi è un’informazione molto importante, oltre ad essere un momento molto

importante. Quante cose può significare un silenzio?

- Non voglio rispondere

- Non te lo posso dire

- Mi vergogno di rispondere

- Ci sto pensando

- Questa sì che è una bella domanda

Mi fermo solo a qualche possibilità in generale per riflettere sul fatto che sta poi al

professionista usare le sue competenze per decidere che cosa farsene di quel silenzio.

A volte può essere un bene interromperlo, se si vede che il cliente è in difficoltà; altre

volte forse è opportuno attendere; altre ancora fare una domanda su quel silenzio.

In questo caso però l’aspetto non verbale di quel comportamento mi ha indotto a

pensare che quella domanda aveva mosso qualcosa, che stava entrando una novità

nella storia che stavamo costruendo.

“Quando lei vuole che Paolo faccia qualcosa di bello preferisce dire “è importante che

tu lo faccia” o “è grave se non lo fai!” ?

“La prima sicuramente!” risponde.

“E come mai?”

“Perché la seconda sembra più una minaccia, mentre la prima dà più l’idea del valore

di quelle cose”.

“Non è possibile che la Prof.sa volesse sottolineare il valore della gita per Paolo?”

“Ah sicuramente sì! Probabilmente la Prof.sa ci tiene solamente che Paolo faccia una

bella esperienza!”

4 “Il Colloquio di Counselling” S. Quadrino 2009

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In questo momento ho la sensazione di aver “forzato” un po’, ma va anche detto che

lo sguardo e l’atteggiamento del papà si è molto rasserenato.

E’ altrettanto vero che ho cercato di fare delle domande orientate a far sì che fosse lui

a trovare un nuovo modo di vedere le cose.

Dopo qualche istante di confronto, il papà si è rasserenato rispetto al mandato della

Prof.sa. Allora sposto su Paolo. Il primo e secondo obiettivo che mi ero posto sono

andati, direi, naturalmente nella direzione che speravo.

Ora però resta da affrontare il terzo: provare a pensare se Paolo, decidendo di non

andare, corre qualche piccolo rischio. Provare ad esplorare col padre se lui e la madre

e Paolo hanno guardato insieme tutti gli aspetti di questa decisione. Credo che questo

terzo obiettivo sia importante per me perché conosco quell’insegnante e so che ha una

bella attenzione per i ragazzi. Per cui, dopo aver messo in primo piano la storia del sig.

Rossi e le sue esigenze, adesso provo a mettere in primo piano la positività di fare una

gita con i suoi compagni.

“Che cosa potrebbe ancora dire a Paolo per fargli prendere una decisione più

consapevole?”

“Mah…non saprei. Di certo non voglio obbligarlo a fare qualcosa che non vuole”.

“Non voglio obbligarlo” è una frase che in quaranta minuti mi avrà ripetuto venti volte.

Quindi è un’informazione importantissima. Quella famiglia non funziona su regole di

imposizione.

“E su questo siamo proprio d’accordo. Ma vediamola in questo modo: potrebbe

esserci, secondo lei, qualcosa di cui Paolo potrebbe pentirsi per non essere stato in

gita?”

“Non credo proprio…beh forse il fatto che quando tornano a scuola, lui è l’unico a non

aver vissuto quell’esperienza. Magari i compagni si raccontano le cose e lui si sente

escluso. Sa, le foto, i ricordi…”

“Benissimo se le è venuto in mente questo, provi a vedere se lui ha già pensato a

questa cosa”.

Il Counselling sistemico a scuola

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Alla fine il papà va, confortato dal fatto che “forse” sarebbe importante per Paolo

andare, ma deve essere lui a decidere con qualche spunto in più.

E se non dovesse andare, non sarà poi così grave.

Che cosa è successo? Un intervento di counselling. Il colloquio descritto mette in luce

in modo chiaro che cosa dovrebbe capitare durante un colloquio.

Arriva il cliente con una storia da raccontare:

STORIA 1: “ Mio figlio non vuole andare in gita e, a CAUSA di questo, la professoressa

mi ha consigliato di venire al colloquio perché secondo lei è grave. Il fatto che Paolo

non vada in gita produrrà degli EFFETTI su di lui (diventa associale) e su di noi

genitori (la professoressa se la prenderà con noi). Sono con le spalle al muro. NON

POSSO MICA OBBLIGARLO”

L’utilizzo dell’approccio sistemico, le domande e quindi l’intervento di counselling

permettono di co-costruire una storia differente.

STORIA 2:” Mio figlio non vuole andare a questa gita; non sembra essere interessato a

questa iniziativa. Il motivo per cui oggi sono a colloquio è che mi pare che per la sua

insegnante ci siano dei motivi per cui è importante che Paolo rifletta ancora un po’ su

questa decisione per valutare i pro e i contro.

Il fatto che la professoressa insista su questo aspetto è dovuto al suo interesse per

Paolo e al desiderio di condividere con noi genitori queste scelte. Paolo potrà anche

scegliere di non andare ma è molto positiva la collaborazione che c’è tra noi genitori e

la professoressa.”

La grossa differenza tra le due storie sta nella relazione tra il genitore e la

professoressa. Dopo la STORIA 1, i genitori si sentono con le spalle al muro, giudicati

e forse inadeguati perché non riescono a far fare a loro figlio quello che viene loro

chiesto. Probabilmente eviteranno l’insegnante il più possibile e, se la vedranno, si

sentiranno comunque in difetto.

Nella STORIA 2 invece si può notare come la relazione genitore/insegnante regga. Si

può quasi sostenere che il legame si è irrobustito. I genitori adesso possono provare a

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parlare con Paolo più serenamente perché non sarà un dialogo orientato al

convincimento, ma ad una scelta tra due possibilità ugualmente lecite. Si sentiranno

anche autorizzati (probabilmente) a riferire alla professoressa del loro colloquio e della

decisione del figlio.

Vorrei qui spendere due righe rispetto all’importanza di concordare degli obiettivi con

le persone per le quali si lavora. In questo caso, per esempio, è la Prof.sa che mi ha

inviato il papà e forse aveva delle aspettative “diverse”. La migliore delle soluzioni

possibili sarebbe quella di trovare un obiettivo concreto e raggiungibile che sia di aiuto

al cliente ed anche all’istituzione per cui si lavora. Esiste una grande importanza della

riservatezza, ma è altrettanto vero che può essere efficace e professionale, in alcuni

casi, il fatto di concordare con la scuola che tipo di obiettivo dare ad un colloquio.

Questo per due motivi:

- Il primo è che molto spesso le aspettative degli insegnanti sono obiettivi

irraggiungibili e quindi occorre “negoziare” degli obiettivi raggiungibili.

- Il secondo è che, se ho concordato un obiettivo raggiungibile in un colloquio,

anche l’insegnante può vedere la concreta efficacia del lavoro.

Gli incontri di Counselling svolti all’interno delle ore di tirocinio, devono per forza

adattarsi a delle regole che la scuola stabilisce. Una di queste è il fatto che un alunno

può accedere allo sportello per un tempo di 20 minuti massimo. Questo comporta una

riduzione dei tempi e delle modalità. La struttura di un colloquio deve per forza

rimodellarsi sulle esigenze della scuola.

Un alunno non può assentarsi dalle lezioni per un’ora o 45 minuti. E allora va

considerato che tutto va fatto con tempi più accelerati. Capita, a volte, che questo non

sia possibile e allora vale la pena provare a fare in modo che tre colloqui diventino il

1°/2°/3° tempo di quello che normalmente sarebbe un colloquio. Le modalità adottate

dunque, sono state due:

- strutturare i 20 minuti in tre micro parti

- Pensare a tre colloqui (successivi) come 1 solo

Il Counselling sistemico a scuola

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Queste riflessioni mi hanno portato a pensare che, una volta terminata la scuola di

Counselling e se il Dirigente fosse soddisfatto del servizio di sportello e intenzionato a

continuare la collaborazione, sarà utile rinegoziare le modalità.

Una possibile idea sarebbe quella di fare colloquio di 45 minuti, mettendo però un

limite ad essi. Ad oggi i ragazzi possono venire sempre, anche tutte le settimane, però

per un tempo di 20 minuti. Sarebbe forse possibile venire al massimo 2 volte al mese

per un tempo più lungo.

Questo potrebbe essere accolto anche dagli insegnanti che non vedrebbero entrare e

uscire gli alunni durante la lezione, il che risulta più di disturbo rispetto al non esserci

proprio per tutta l’ora.

In coda a questo esempio di colloquio vorrei utilizzare le parole di Luigi Boscolo per

spiegare meglio l’idea di ipotesi che ho descritto sopra, affinchè il concetto di

ipotizzazione, non venga confuso con una ricerca della causa di un disagio.

“ Dobbiamo flirtare con l’ipotesi, ma mai sposarla perché se la sposiamo, non solo la

facciamo diventare una verità, ma tendiamo ad adattare la persona alla verità che

abbiamo scoperto.”5

LUISA

E’ una delle collaboratrici della scuola. Una mattina vedo il suo nome nell’elenco degli appuntamenti. Arriva e si siede anche lei nell’ufficio dello sportello.

Luisa è sposata ed ha due figli attorno ai 30 anni. Cerca di raccontare il suo rapporto

con Angelo, il figlio maschio e mi dice in tutti i modi che il figlio è meraviglioso, si

vogliono bene ed in generale la loro famiglia è molto unita. Però lei ha questo cruccio

per cui Angelo si dimostra sempre duro e severo con la zia (sorella di Luisa) e la sua

famiglia.

Le chiedo che cosa lo abbia portato ad avere quell’atteggiamento e mi risponde che la

famiglia della zia è molto particolare.

5 Luigi Boscolo 2006

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“Loro ci vogliono bene, ma… diciamo… che in alcuni momenti di sofferenza forte mia o

di mio marito, si sono limitati a delle telefonate, senza venirci a trovare”.

Allora chiedo che tipo di momenti di sofferenza e scopro che il marito ha avuto delle

terapie intensive per uno strano problema dell’epidermide che lo ha portato a continui

ricoveri. Hanno passato due anni di inferno, dice lei.

“E in questi due anni loro hanno sempre e solo telefonato?”

“Ma no. Qualche volta venivano, ma Angelo pensa che siano tutti come noi, ma non è

così!”

Vorrei utilizzare questo colloquio per sottolineare un’altra caratteristica, un altro

elemento fondante l’approccio sistemico: la circolarità.

In questo colloquio emergerà moltissimo il fatto che un approccio lineare

(causa/effetto) nelle relazioni umane funziona poco, è poco efficace. Nelle relazioni

umane si istaurano dei processi di cui è molto difficile, direi impossibile, stabilire

l’origine, l’incipit, la causa. Ciascuno dei membri del sistema tenderà a “punteggiare”

gli eventi da una diversa prospettiva, finendo con l’attribuire la responsabilità di un

disagio a qualcuno. La bellezza dell’approccio circolare invece permette di cercare

insieme uno sguardo “altro”. Di vedere tutto da una prospettiva d’insieme.

“Quando comunichiamo qualcosa non ci limitiamo ad elencare asetticamente una o più

serie di eventi in ordine alfabetico o cronologico, ma li organizziamo in sequenze

dotate di senso che evidenziano cause ed effetti.”6

Li organizziamo insomma per attribuire loro un significato. Non un significato generico,

ma il “mio significato”. L’approccio circolare permette di accogliere e legittimare quel

significato e, nello stesso tempo, di esplorare se vi sia la possibilità anche di un

significato altro.

Le domande circolari sono uno strumento utilissimo proprio per rinforzare questo tipo

di approccio. Esse infatti danno voce, attraverso le risposte del cliente, anche ad un

possibile altro significato, senza svalutare in alcun modo quello del cliente.

6 “ Counselling Sistemico” S. Piroli. p.51

Il Counselling sistemico a scuola

18

Il pregiudizio positivo nei confronti del cliente agevola questo tipo di lavoro. Sarà lui

infatti a cogliere le differenze, le connessioni, tra le differenti punteggiature e ad

introdurre delle novità nella storia che racconta.

In questo caso, la storia di Luisa, si trovano tanti protagonisti. Ci sono Luisa e il

marito, il figlio Angelo e la figlia. Poi ci sono la sorella di Luisa con tutta la sua

famiglia.

Insomma si intrecciano una serie di significati che varrà la pena tenere in

considerazione.

“Perché? Voi che tipo di atteggiamento avreste avuto?”

“Mah, io come minimo avrei fatto molte notti, se mio cognato fosse stato malato. Ma

anche Angelo o sua sorella…e mio marito…ma perché noi siamo così…sono i valori che

abbiamo dato alla famiglia.”

“E Angelo non accetta che la zia non abbia fatto lo stesso?”

“No!” (piange)

Le riflessioni che ho fatto circa il silenzio del cliente sono pertinenti anche al pianto. Il

pianto del cliente infatti è una reazione che, soprattutto se avviene all’improvviso, può

mettere a disagio il professionista. In realtà, se ci si pensa bene, è abbastanza

naturale che una persona che vive un momento di difficoltà possa avere, durante il

colloquio questo comportamento. Quindi è un aspetto che occorre essere preparati ad

affrontare. Nel pianto, come nel silenzio, è possibile cogliere molte informazioni e può

essere uno strumento di lavoro se gestito in modo costruttivo.

In questo caso, oltre a vedere la sofferenza di Luisa, è possibile avere delle

informazioni importanti rispetto a due famiglie che, pur avendo in comune Luisa,

hanno regole differenti. Queste regole differenti sono accettabili per Luisa (poi

vedremo anche per la figlia e il marito) ma inaccettabili per Angelo.

“E tutte le volte che arrivano lui, se può, se ne va, oppure resta col muso”.

“E lei invece?”

“Ma è mia sorella! Io la conosco e lo so che lei mi vuole bene, un bene

dell’anima….ma non ha il nostro modo di dimostrarlo…”

Il Counselling sistemico a scuola

19

“Ma a lei sembra che questa idea non aiuti Angelo a stare meglio, o a vivere più

serenamente?”

“No! Lui è come se volesse fare il paladino della famiglia e farla pagare ai miei

famigliari.”

A proposito di circolarità, inizio a dare il benvenuto, attraverso le domande, agli altri

componenti della famiglia. Insieme a loro faranno ingresso anche diversi punti di vista.

“E sua figlia?”

“Ma no. Lei, certo, si accorge di questo loro atteggiamento, ma li sopporta. Lei ha

capito che loro sono diversi da noi.”

“E suo marito?”

“Lui ha sofferto così tanto che non ha nemmeno dato peso a questa cosa …c’era

sempre uno di noi con lui, di noi 4 intendo. La sofferenza ci ha molto uniti”

Come ho già sottolineato, a parte Angelo, tutti sembrano aver accolto le differenti

modalità e regole dell’altra famiglia. Tutti a casa di Luisa sembrano condividere una

regola molto importante: l’accettazione della diversità. Eccetto Angelo. Lui è diverso.

Ma stranamente questa sua diversità non è molto accettata da Luisa.

“Ma adesso che cosa la farebbe stare meglio? Che cosa dovrebbe succedere per farla

stare meglio?”

“Ma insomma, Angelo dovrebbe essere un po’ più gentile ….mi fa soffrire vedere che li

tratta così!”

“Quindi dovrebbe cambiare!?” aggiungo.

Capita spesso, durante un colloquio di counselling, di avere a che fare con persone

che avrebbero come obiettivo di cambiare gli altri. “Se lui non fosse così, io starei

meglio!”

“Se lei non si comportasse così sarebbe tutto più facile!”

Lo spazio di movimento, in questi casi, riguarda il costruire insieme al cliente la

possibilità di stare meglio, nonostante il non cambiamento dell’altro.

Il Counselling sistemico a scuola

20

E’ un lavoro molto difficile, ma occorre provare ad andare in quella direzione ponendo

delle domande, o costruendo delle storie in cui il cliente vede, magari per la prima

volta, il comportamento dell’altro come legittimo.

Molto importante, in questo senso, avere la capacità di non costruire “alleanze” con il

cliente, ma nemmeno con la persona di cui si sta parlando. Questo lavoro comporta

una grande professionalità perché è facilissimo scivolare in una direzione o nell’altra.

In questo caso però ho una risorsa molto importante da utilizzare e cioè il fatto che la

mamma parla sempre molto bene del figlio, ne parla come di una persona

meravigliosa e, pur vivendo una sofferenza, non è in conflitto aperto con lui.

“Ma sì… lui è meraviglioso, però questa cosa non la capisce …non capisce che mi fa

soffrire.”

“E secondo lei perché lui, nonostante lei glielo abbia chiesto, non cambia?”

“Ma perché lui è convinto che lo facciano perché non ci vogliono bene, ma non è così!”

Introduco un altro punto di vista, quello della zia in riferimento ad Angelo.

Le domande circolari, in questo colloquio soprattutto, sono molto efficaci. Esse infatti

permettono di far emergere delle differenze che hanno un significato nella conduzione

del colloquio.

“E sua sorella (di Luisa) come reagisce al comportamento di Angelo? Che cosa fa

quando Angelo è scontroso?”

“Ma niente! Lei è così… non è molto sensibile. Quasi non se ne accorge…o dice che ha

la luna storta e sorride….e così, non gli dà peso. Ma a me dispiace!”

“E lei cosa dice ad Angelo quando torna o rimanete da soli?”

“Che deve smetterla; che gli zii sono così, che mi fa soffrire e che è inutile il suo

comportamento”

“E lui?”

“Lui mi fa notare tutte le cose che dicono o fanno che, secondo lui, sono sbagliate.”

Sempre di più mi viene in mente che una possibile ipotesi da provare a seguire: quella

di far vedere a Luisa quanto sia disposta a sopportate la diversità di sua sorella e non

Il Counselling sistemico a scuola

21

la diversità di Angelo. Lui deve cambiare, la zia no. Forse è questo che porta Angelo a

rimanere così duro.

Potrebbe pensare: ”Perché la zia può non cambiare e io devo cambiare?”

“Luisa, da come parla, nonostante alcuni atteggiamenti, mi sembra di capire che lei

voglia davvero molto bene a sua sorella e alla sua famiglia…”

“Ma certo! E’ mia sorella. Certo in alcune cose siamo diverse….non la capisco, ma sono

sicura che anche lei mi vuole bene!”

“Forse una delle forma più alte di bene che lei regala a sua sorella è il volerle bene,

nonostante siate così diverse. E’ così?”

In questo caso, attraverso una domanda, provo a passare dal valore dell’accettazione

della diversità al sentimento del volere bene, perché voglio vedere se Luisa segue

questa direzione. Il mio obiettivo è chiaro: vedere se a Luisa è possibile vedere quello

che vedo io. Se così non fosse, cambierei ipotesi.

“Sicuramente sì! Lei sa che, qualsiasi cosa lei faccia o dica, io ci sono per lei e la sua

famiglia.”

“Credo che sia una forma di affetto altissima ….incondizionata.”

“Già!”

“E non vuole che sua sorella cambi?”

“Ma no. Che cosa vuole che cambi? Lei è fatta così.”

A questo punto provo a fare una riformulazione un po’ particolare. Invece di proporre

a Luisa le informazioni che mi ha dato e chiederle se sono corrette, se si ritrova in

quello che dico, mi metto nei panni del figlio e provo a riformulare quelle informazioni,

vestendo i panni di Angelo e chiedendo sempre se Luisa si ritrova.

“Adesso le propongo una specie di gioco. Io faccio Angelo e le dico un po’ di cose che

vedo. Ok?”

Annuisce

Il Counselling sistemico a scuola

22

“Vedo mio papà, mia mamma e mia sorella che insieme a me formano una famiglia

unita e affiatata….che la sofferenza ha unito moltissimo. Vedo giusto?”

Annuisce

“Poi vedo il nostro modo di voler bene che è molto legato all’esserci. Ad essere

disponibile con il tempo quando qualcuno a cui voglio bene non sta bene. Il nostro

modo di voler bene è quello; ok?”

Annuisce

“Ho visto anche che mia zia e la sua famiglia non usano questo modo per voler bene e

questo mi dà fastidio. Quando abbiamo avuto bisogno lei/loro non sono stati

presenti… Ho visto mia madre, mio padre, mia sorella soffrire e loro limitarsi a qualche

telefonata. Giusto?”

Luisa sembra molto convinta della ristrutturazione che sto facendo

“A partire da lì ho provato rabbia e fastidio per la zia e la sua famiglia, ma mia madre

mi dice che non devo provare quella rabbia, quel fastidio. Lei vuole che io cambi. Che

diventi gentile con loro. Si ritrova?”

Annuisce

“ Lei mi dice che vuole bene a sua sorella e che, anche se si comporta così, se è

diversa, le vorrà sempre bene. Non le chiede di cambiare. E’ così e le vuole bene così.

Giusto?”

Annuisce

Questo lavoro di restituzione a Luisa di tutta la storia che mi ha raccontato sembra

spalancare a lei una visione diversa. Ma dove sta la novità? Le informazioni che ho

preso sono quelle che mi ha dato lei, ma attraverso un approccio circolare, abbiamo

provato insieme ad introdurre nella storia anche quello che vedono gli altri, in

particolare Angelo.

Sono sicuro che Luisa, nel caso avessi raccontato una storia non coerente con la sua,

mi avrebbe fermato, mi avrebbe fatto capire che non era un racconto in cui si

riconosceva. Invece, utilizzando quello che lei ha portato, ho provato ad offrirle delle

lenti diverse con cui vedere la situazione. Lei le ha prese al volo.

Il Counselling sistemico a scuola

23

“E allora Luisa, le faccio una domanda che le farei se io fossi davvero Angelo …. e

allora perché da me vuoi un cambiamento? Se il bene che provi per tua sorella è così

grande da accettarla così, quanto è grande il bene che vuoi a me?”

Luisa inizia a piangere e sorridere insieme e non risponde alle domande, ma mi fa

capire che le si è acceso qualcosa di nuovo.

Mi dice che non aveva mai visto le cose da questo punto di vista, ma ora che

l’abbiamo visto insieme, le è venuto in mente che lui spesso le rimprovera di volere più

bene a sua sorella che a suo figlio. E lei si arrabbia e litigano.

A fine colloquio dice che ci sarà un pranzo di Pasqua da loro e che inviterà la famiglia

della sorella.

In genere Angelo resta a pranzo, sempre con il muso e, quando tutti se ne sono

andati, litigano.

Questa volta, a differenza delle altre, non gli chiederà nulla circa il suo

comportamento, anzi gli dirà di comportarsi come si sente e che per lei è già tanto che

resti al pranzo.

Dopo le vacanze mi dice che Angelo è stato a pranzo ed ha avuto anche alcuni

momenti di “strana” cortesia.

GIULIANO

Il colloquio con Giuliano avviene in modo strano, nel senso che non è uno studente

della scuola dove lavoro, ma un ex allievo che ora frequenta l’università. Il Preside mi

chiede se posso riceverlo comunque, durante lo sportello. Si è rivolto a lui e lui gli ha

consigliato di venire a parlare con me.

Nella descrizione di questo incontro cercherò di mettere in evidenza un altro elemento

fondamentale del Milan Approach. Dopo aver preso in considerazione l’ipotizzazione e

la circolarità, di seguito farò riferimento alla neutralità/curiosità.

“Nei primi anni Ottanta l’accento è stato posto sulla necessità di mantenere una

posizione di neutralità, intendendo con questo termine un preciso effetto

Il Counselling sistemico a scuola

24

pragmatico…alla fine del colloquio i membri del sistema siano impossibilitati a decidere

la posizione personale dell’operatore circa il problema presentato…”7

L’idea di fondo è che durante il colloquio occorre avere la competenza di non fare

alleanze con nessuno. Ma la parola “neutralità” non sembrava descrivere in modo

efficace il concetto. Così, dopo qualche anno, si passò ad un termine più appropriato.

“La curiosità, intesa come vera attenzione alle persone e alle loro vicissitudini, viste

come intersezioni di idee, comportamenti ed eventi, si traduce operativamente

nell’interpellare tutti i punti di vista e nel cercare più descrizioni possibili per lo stesso

evento, fino a co-costruire con le persone una visione sistemica del problema.”8

Giuliano è un ragazzo di 21 anni, vive a Milano ed è regolarmente iscritto al 2°anno in

una prestigiosa Università. Mi viene presentato come un ragazzo brillante che però da

qualche tempo vive una grossa difficoltà emotiva per sostenere gli esami orali.

La cosa mi fa pensare che posso vederlo una prima volta e, se mi accorgo che si tratta

di un blocco per il quale non ho competenze, lo invio.

Trovo molto stimolante questo colloquio soprattutto per il fatto che Giuliano è un

ragazzo molto brillante.

Come prima cosa, al primo colloquio, lo accolgo e gli spiego che cosa è il counselling.

Lui sembra molto sollevato quando mi sente e mi dà come feedback che è proprio

quello che cercava e che non vuole fare terapie o incontri troppo prolungati.

Lo colpisce soprattutto il fatto di poter mettere a fuoco un obiettivo ed eventualmente

individuare delle strategie insieme.

Dopo questa prima fase, gli faccio qualche domanda per capire.

“ Mi racconti che cosa ti preoccupa in questo periodo?”

7 “Counselling Sistemico” S.Piroli p.79

8 ibidem

Il Counselling sistemico a scuola

25

A questa domanda inizia a rispondere presentandomi tutta la sua preoccupazione per

il fatto che, da più di un anno si sente bloccato all’orale e, nell’ultimo esame è proprio

andato in palla e non si ricordava più delle cose che, poco prima, aveva spiegato ad

alcuni suoi compagni.

In questa spiegazione il suo non verbale mi fa pensare davvero ad una

preoccupazione molto seria che lo angoscia.

Mi parla per circa 5 minuti di questo ultimo esame.

“Quindi ti hanno mandato via?”

“No! Ho preso 23, ma è stata un’esperienza terribile.”

Rimango spiazzato da questa risposta. E’ quello spiazzamento tipico che deriva da

premesse implicite differenti. Per me un blocco all’orale significa non dire nulla ed

essere bocciati, ma per lui significa un 23. Anche in questo caso l’approccio sistemico

non si occupa di andare ad indagare che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato.

Quale sia l’atteggiamento migliore. Non interessa e soprattutto non serve.

L’unica cosa che però vado a trattenere per me è lo spiazzamento che ho provato,

perché indica una differenza che potrebbe “fare la differenza”.

Già in questa prima fase mi accorgo che l’elemento della curiosità deve essere molto

presente nella conduzione del colloquio. Sento che Giuliano è lontano dal mio modo di

vedere le cose, ma devo cercare di essere professionale e di rimanere curioso del suo

sguardo rispetto a quello che gli sta capitando.

“ Che cosa ti preoccupa maggiormente?”

“ Il fatto che prendere 23 per me è come non aver passato l’esame. E poi questa cosa

di avere un’agitazione incredibile”

“ Quali sono i voti che ti farebbero sentire di aver passato l’esame?”

“ Ma non lo so…dal 27 in su.”

E’ chiaro che a questo punto mi vengono in mente delle ipotesi, ma non lavoro ancora

in quella direzione perché voglio aprire sulle sue motivazioni e capire che cosa lo

mette a disagio. Nella sua comunicazione mi arriva una richiesta di aiuto che però non

coincide con quella verbalizzata da lui.

Il Counselling sistemico a scuola

26

“Ti piace la tua Facoltà?”

Mi risponde che gli piace tantissimo e che, negli ultimi anni del Liceo, si era

appassionato moltissimo a quel settore.

In realtà una cosa sicura è che ha scelto l’indirizzo giusto per lui. Solo che non gli

piace farla come la sta facendo.

“ E come la stai facendo?”

Da questo momento in poi (circa dopo 10 minuti di colloquio) non mi parla più

dell’orale o di blocchi. Si apre infatti tutto un altro campo da perlustrare. Mi dice che la

facoltà è bellissima ma il problema è che sono tutti dei cervelloni nella sua classe e

che, non prendono mai un voto al di sotto del 27.

Questo è capitato per tutto l’anno precedente (il suo primo) e sta continuando ancora

adesso. Quelli che erano nel suo gruppo e che erano simili a lui, se ne sono andati in

un’altra Università più abbordabile.

Pensava che quest’anno sarebbe andata meglio, ma invece niente. Anche al Liceo

infatti il primo anno non gli era piaciuto, ma dopo un po’, qualche mese, aveva

ingranato la marcia giusta ed a rendere al suo livello.

Ora questo non sta capitando e lui è stufo.

Lascio che Giuliano mi descriva, con i tempi che desidera, il suo approccio con quella

Università, il suo disagio e quello che, secondo lui, lo ha portato fino a questo punto.

Sono realmente curioso di vedere le cose, il più possibile, con il suo sguardo. Gli lascio

più tempo di quello a cui sono abituato proprio perché, sentendolo diverso da me,

voglio provare a vedere il più possibile. Per farlo meglio, apro alla famiglia.

“Che cosa dicono a casa?” ed approfitto per chiedere come è formata la sua famiglia.

Mi risponde che sono in 6. Papà, mamma, un fratello (26 laureato), una sorella (18

liceo) e Giulia (13 in affido).

Il Counselling sistemico a scuola

27

Mi dice che loro sono un po’ preoccupati, ma che comunque non lo sgridano o fanno

sentire incapace, anche perché lui è sempre stato bravo a scuola. Sempre il migliore

della classe.

Certo, non sono felici della situazione, ma soprattutto per il fatto che lo vedono molto

stressato e preoccupato. Più di una volta gli hanno detto che per vivere così, allora

conviene che faccia un cambio di Ateneo.

“ E tu che cosa ne pensi di questa possibilità?”

Mi dice che è d’accordo, anzi in realtà i genitori gli han detto così perché era stato lui,

per primo, a parlarne in casa. Ormai sta pensando decisamente di cambiare Ateneo.

“ Qui è vietato fallire!” dice riferendosi all’attuale Università.

Dice che non gli piace affatto e che non fa la vita che si era immaginato come

universitario.

“ Qui è vietato fallire!” ha una forte intensità, per come viene pronunciato e per come

lo sento io. Mi pare che questo sia un punto importante della storia che mi sta

raccontando.

“ E che vita ti eri immaginato?”

Racconta che la cosa che gli scoccia di più è la sensazione di essere ancora al Liceo.

Prende il motorino, va a scuola, ha la sua classe, si studia moltissimo e non ha tempo

per nient’altro. Un suo amico invece, che non è stato ammesso nella sua Università e

che studia la stessa facoltà da un’altra parte, si diverte anche… vive un po’. Certo

studia, ma riesce anche ad avere momenti per altro…qui invece tutti hanno la fissa

degli esami, dei voti. Un insegnante una volta gli ha detto che per avere una media del

23 poteva andare in un’altra Università. Ed è vero.

Tutti hanno una media più alta della sua.

Gli insegnanti li vede anche nelle trasmissioni alla televisione, sono tutti prestigiosi e

hanno attese molto alte anche dagli studenti.

Il Counselling sistemico a scuola

28

Mi sembra di capire che Giuliano sia in una situazione in cui è come se volesse

cambiare Ateneo per una serie di ragioni molto personali che si possono riassumere

sotto il termine che lui usa di “qualità della vita” , ma qualcosa lo frena, qualcosa gli

impedisce di fare il passo.

La sensazione che ho è che il discorso del blocco all’orale sia una piccola cosa rispetto

a quella del cambiamento e questo mi rasserena in quanto, se per un blocco emotivo,

sarei stato orientato a fare un buon invio, lo stesso non vale per un momento di

empasse dovuto ad un cambiamento importante.

Quello è un terreno decisamente adatto al counselling.

Certo adesso occorre far emergere una narrazione significativa e decido di partire dal

momento della decisione di frequentare l’attuale Università.

Giuliano mi dice che ha fatto il test d’ingresso, senza crederci, quasi per gioco.

Quando però è andato a vedere i risultati, si è visto ammesso. Dal momento

dell’ammissione restava un breve tempo per decidere se iscriversi o no.

Lui incredulo, non sapeva che fare, ma tutto attorno a lui lo spingeva ad accettare.

Allora gli chiedo: perché incredulo?

Mi risponde che non si era preparato e impegnato per quel test. Aveva fatto un’estate

in giro per l’Europa senza minimamente pensare all’università.

E allora come mai sei stato ammesso?

Dice che certamente lui a scuola è sempre stato il primo della classe e che forse il tipo

di test si avvicinava alle sue attitudini. Aggiunge che perfino all’esame della patente

non ha studiato nulla fino a 3 giorni prima. Poi si è impegnato qualche giorno e l’ha

passato bene.

Gli chiedo anche che cosa intendesse quando ha detto che tutto attorno a lui lo

spingeva ad accettare.

Mi dice che i suoi erano felicissimi perché è un’università prestigiosa e che apre le

strade al mondo del lavoro e anche i suoi amici lo invidiavano per aver passato il test.

E tu?

Dice che anche lui era in qualche modo orgoglioso di essere stato ammesso.

Il Counselling sistemico a scuola

29

A questo punto è passata quasi un’ora e gli faccio una restituzione. Sono esplicito nel

dirgli che la preoccupazione principale che lui mi ha presentato non mi sembra quella

del blocco all’orale, quanto piuttosto quella dell’eventuale cambiamento di università.

Gli faccio notare lo sbilanciamento di tempo dedicato da lui stesso nel narrare l’una e

l’altra cosa.

Lui è molto in sintonia rispetto a questa lettura.

A motivo di questo gli dico che, se lui è d’accordo, la volta successiva avremmo potuto

lavorare su questo aspetto in particolare, vedendo i pro e i contro di una decisione o

dell’altra, magari cercando di capire le motivazioni di fondo.

L’obiettivo nostro può essere quello di arrivare ad una scelta consapevole e serena.

Ci diamo un appuntamento per quindici giorni dopo.

Ho deciso di citare questo esempio perché credo sia molto importante sottolineare

che, tra le competenze di un counsellor sistemico, vi è senza dubbio quella di riuscire

in poco tempo a comprendere se il cliente che ha davanti possa essere coinvolto in un

percorso di counselling o necessiti di altro.

Giuliano arriva con una storia che descrive un blocco emotivo agli esami

dell’Università. Le domande e l’ascolto ci portano a definire una storia leggermente

diversa, che è quella di un momento di empasse in cui lui non riesce a decidere se

lasciare o meno l’Università che sta frequentando.

La differenza tra la storia con cui arriva e quella che costruiamo insieme nel primo

incontro è fondamentale. Infatti con la prima storia, come counsellor, non ho spazi per

lavorare, in quanto non ho competenze per farlo. Ma la seconda storia invece mi offre

un ampio margine per lavorare. Quello è esattamente lo spazio in cui si muove il

counselling.

La proposta relazionale che faccio a Giuliano, nel primo colloquio, definisce bene il

limite entro il quale posso muovermi e fuori dal quale non posso andare. E’ chiaro che

tale proposta deve essere accolta e validata da lui. Giuliano avrebbe potuto dirmi che

lui voleva lavorare sul blocco emotivo. A quel punto avrei dovuto fare un buon invio.

Il Counselling sistemico a scuola

30

Problematiche Descrizione

Problemi informativi:

il cliente non sa come reperire informazioni necessarie alla sua decisione; dispone di poche informazioni (non sufficienti per decidere) oppure di troppe informazioni (difficili da organizzare)

Problemi evolutivi:

Il cliente deve affrontare una tappa evolutiva

(cambiamento di un ciclo di vita, un

cambiamento di ruolo, autonomizzazione) e

avverte l’esigenza di definire il percorso migliore

per sé e per le persone del suo sistema.

Fronteggiamento di eventi:

il cliente si trova a fronteggiare un evento

interno al suo sistema (malattia, morte di un

familiare, separazione,trasferimento) e avverte

l’esigenza di mettere a punto modalità

sostenibili per sé e per il suo sistema famigliare

Fronteggiamento di momenti

critici:

Il cliente si trova di fronte ad una situazione di

crisi e di sofferenza prodotta da azioni esterne

ed è alla ricerca di modalità per superarne le

conseguenze. 9

9 “Le parole del Counselling”- Ed. Change- Bert,Quadrino, Doglio

Il Counselling sistemico a scuola

31

LUIGI

Il caso di Luigi mi viene presentato da due insegnanti della Scuola Primaria che

chiedono di poter accedere allo sportello di ascolto. Sono due donne che insegnano

già da circa quindici anni e che mi appaiono molto motivate.

Appena le vedo entrare, dopo averle accolte, chiedo loro il motivo per cui hanno

chiesto di accedere allo sportello.

Mi dicono che si tratta di un bambino che hanno in terza elementare e che non

riescono più a gestire perché qualsiasi cosa facciano non sembra avere successo. In

realtà è tutta la classe che è molto particolare e molto difficile da gestire.

Faccio loro un po’ di domande lineari per farmi un’idea della classe: quanti allievi

formano il gruppo, quanti maschi, quante femmine, che tipo di problemi danno, ecc

Ad un certo punto una delle due insegnanti sostiene che loro si sono accorte da subito

che sarebbe stata una classe problematica. Il primo anno infatti hanno organizzato la

solita riunione per conoscere i genitori dei loro nuovi allievi e, su venti bambini, sono

arrivati otto genitori.

Chiedo loro se è una cosa insolita (dal momento che lavoro di più con le scuole medie

dove è la regola) e mi rispondono che è assolutamente insolita.

Alle primarie, mi spiegano, i genitori si interessano ancora dei loro figli.

Ma quei genitori no.

Chiedo allora che spiegazione si sono date e mi spiegano, nei minimi particolari, che

gli è capitata una classe di bambini con delle famiglie molto particolari alle spalle.

Sottolineano subito che ormai è frequente avere in classe figli di separati o stranieri,

ma non con una tale concentrazione.

Devo sottolineare che l’impressione che ho avuto di queste due insegnanti è stata di

due ottime professioniste che si stavano mettendo in discussione perché quello che

aveva funzionato fino a tre anni fa, ora sembrava non dare più risultati. Nella loro

descrizione delle famiglie dei loro allievi non ho sentito toni di pregiudizio o etichette

varie. No. Cercavano di descrivere il motivo per cui non ce la stavano facendo.

L’insegnante che collabora con me allo sportello, prendendo gli appuntamenti, mi

aveva mandato una mail con questo testo:

Il Counselling sistemico a scuola

32

“ il giorno xxx alle ore xxx arriveranno due insegnanti della scuola primaria che hanno

problemi con un bambino e con la classe…sono scoppiate!”

La mail e la prima parte del colloquio mi convincono che la scelta migliore, all’inizio, sia

quella di accogliere quella frustrazione e legittimarla. Così le ascolto e decido di dare

loro uno spazio per esprimere la loro fatica.

Chiedo loro se anche le colleghe di altre classi attraversano situazioni simili alla loro e

si affrettano a dirmi che la loro è la classe peggiore e che quando alle colleghe capita

di sostituirle per qualche ora, si chiedono come facciano a stare in quella gabbia di

matti.

Quindi, aggiungo, è una classe famosa ormai.

Le due si mettono a ridere (è la prima volta) e annuiscono. Dicono di essere le

Cenerentola della scuola.

A questo punto faccio una breve riformulazione, sottolineando soprattutto il fatto che

la fatica che stanno portando avanti è veramente tantissima e che devono avere delle

grandi risorse per “non aver ancora smesso di credere in quella classe”.

Ho messo tra virgolette non aver ancora smesso di credere in quella classe perché

sono convinto che sia stata la frase che ha dato la svolta al colloquio.

Tutte e due infatti, nel sentire quelle parole, hanno avuto come uno scatto di orgoglio

e ci hanno tenuto a dire che veramente, se erano lì con me in quel momento, era

dovuto al fatto che loro non volevano arrendersi al fatto che non si potesse fare nulla

con quella terza.

Allora prendo la palla al balzo e chiedo loro se hanno pensato di fare qualcosa di

nuovo, qualcosa che non avevano ancora provato a fare.

Vorrei sottolineare il fatto che, durante tutto il colloquio, le domande che ho riportato

sono state fatte quasi tutte ad entrambe le insegnanti. Prima ad una e poi all’altra, per

Il Counselling sistemico a scuola

33

capire se avevano delle differenze nel percepire la situazione. Fino a qui nessuna

differenza.

Mi rispondono che l’ostacolo grosso sono le famiglie e che per loro sarebbe il momento

di provare a coinvolgerle di più. Ma sanno già che sarà un fallimento, come lo è stato

sempre.

A questo punto una della due insegnanti, che chiameremo A, mi porge le fotocopie di

un diario. Il diario è di Luigi, il bambino per cui, in teoria, hanno preso l’appuntamento

con me. La maestra A me lo fa vedere per dimostrarmi il livello di collaborazione delle

famiglie.

Nota dell’insegnante: “ Mi farebbe piacere poterLa vedere all’incontro dei genitori di

sabato”

Risposta della mamma: “ Sono nel lavoro!”

Nota dell’insegnante: “Oggi Luigi è venuto a scuola senza zaino.”

Risposta della mamma:” E’ matto!”

Nota dell’insegnante:” Luigi si è presentato senza compiti dicendo che non li ha potuti

fare perché eravate ad un funerale.”

Risposta della mamma:” Luigi dice solo bugie!”

La maestra A mi guarda e mi interroga con lo sguardo.

Allora chiedo alla maestra B che cosa ne pensa e lei mi dice che non sanno più che

fare con Luigi.

Questo mi sembra uno spunto interessante perché il fatto che non sappiano più che

cosa fare accomuna il caso di Luigi con quello della classe. A me sembra più facile

stare su Luigi e chissà che poi succeda qualcosa anche con la classe.

La maestra B aggiunge che Luigi è uno dei più agitati e che ci sono dei giorni in cui

non sanno davvero come gestirlo.

Il Counselling sistemico a scuola

34

Allora immediatamente chiedo se ci sono anche dei giorni in cui è più tranquillo e mi

rispondono che sono pochi, ma ci sono.

Come già detto molte volte, le domande rappresentano lo strumento più potente del

colloquio di counselling. Esse hanno la forza di mettere in movimento pensieri nuovi e

quindi, risorse nuove. La domanda rispetto al fatto che ci siano o meno giorni in cui

Luigi sia tranquillo, mette in primo piano ciò che sembra rimanere sempre sullo

sfondo. Nei momenti di crisi, infatti, le cose negative assorbono anche il poco positivo

che c’è. Tutto diventa parte di una matassa dentro alla quale il cliente (ma vale anche

per ciascuno di noi) smette di pensare di poter mettere ordine.

In una tale confusione, saper mettere in primo piano le cose positive, oltre ad avere

un effetto rigenerante per il cliente, (“allora non sono così male!”) consente di iniziare

a vedere che cosa funziona quando le cose funzionano.

Chiedo alle due insegnanti che cosa Luigi sappia fare bene. Restano a lungo in

silenzio. Poi la maestra B racconta che, quando è tranquillo e si mette a disegnare, è

davvero bravo.

La maestra A aggiunge subito che però se gli si fa un complimento, lui si schernisce e

sembra quasi che gli dia fastidio.

Chiedo a tutte e due come se lo spiegano e mi rispondono che sicuramente ha dei

problemi, con una mamma del genere.

Chiedo se il diario di Luigi è ben rappresentato da quelle tre pagine che mi han fatto

vedere e loro mi dicono di sì, che più o meno è tutto così.

La maestra B aggiunge che quelle fotocopiate sono l’esempio più eclatante delle

risposte. Le hanno fotocopiate perché potessi farmi un’idea.

L’ipotesi che inizio ad avere è che Luigi sia molto abituato ad avere comunicazioni

negative e poco abituato a quelle positive. Forse è una normale modalità di relazione

dentro alla sua famiglia.

Che cosa vi colpisce dello scambio di comunicazioni che avete sul diario con questa

mamma? Chiedo.

Il Counselling sistemico a scuola

35

Rispondono che forse la signora non si rende conto di quanto sia importante che

collabori con noi.

Sottolineo subito che è una bella osservazione, ma aggiungo di non concentrarsi solo

sulle risposte, ma su tutta la comunicazione, anche la loro.

La maestra A dice che loro provano a dare informazioni sul figlio e che lei non sembra

interessata a quella informazione.

E lei che cosa dice? Chiedo rivolto alla maestra B.

Dice di essere d’accordo. Nel senso che loro cercano di tenere aggiornata la mamma

su quanto accade a scuola, ma non sembra che le interessi.

Avete figli? Chiedo

Tutte e due hanno figli.

Come reagireste ad un’informazione di questo tipo da parte delle insegnanti di un

vostro figlio? Chiedo.

La maestra A dice che rimarrebbe meravigliata, chiederebbe spiegazione al figlio e poi

parlerebbe con la maestra.

Anche la maestra B sostiene la stessa cosa, soprattutto la meraviglia.

In che senso “meraviglia”? Meraviglia può essere letto con connotazione positiva

oppure negativa.

Certamente negativa, rispondono. Una delusione, aggiunge la B.

E voi potete immaginare di rispondere frasi simili a quelle di questa mamma?

Assolutamente no! All’unisono.

Allora commento: “siete delle mamme diverse!”

Vedo che iniziano, soprattutto la Maestra B, a riflettere e a farsi delle domande

interne, o almeno questa è l’idea che mi faccio. La mia ipotesi è che questo bambino

sia considerato solo con connotazioni negative e mai con una positiva. Tant’è vero che

quando le insegnanti cercano di fargli un complimento, lui si schernisce…forse perché

non è abituato e non sa come si fa in quelle circostanze. Non so se è un’ipotesi

accettabile per loro, ma la Maestra B mi sembra cogliere l’idea (che peraltro io non ho

esplicitato)

Il Counselling sistemico a scuola

36

Come mai, chiedo loro, non vi sognereste nemmeno per idea di scrivere delle risposte

del genere sul diario di un vostro figlio?

La maestra A mi risponde che prima di tutto le sembrerebbe poco rispettoso per

l’insegnante e poi perché non sono cose che pensa di suo figlio…e anche se le

pensasse, non le scriverebbe o direbbe sapendo che lui può leggerle o sentirle.

E come mai? Aggiungo

Beh, mi scusi, non immagina come può sentirsi un bambino che legge che la sua

mamma non ha tempo per lui, che pensa che lui è bugiardo e matto?

La maestra B interviene e sottolinea che è terribile.

Che cosa, secondo voi, potrebbe essere di aiuto a questa mamma e a questo figlio?

Da questo momento la maestra B diventa di grande intraprendenza e la Maestra A la

segue convinta.

La maestra B inizia a dire che le è venuto in mente che forse non è molto efficace

quello che stanno facendo con mamma e figlio. Nel senso che, se quelle sono le cose

che scrive sul diario la madre, chissà cosa gli dice a voce.

Molto bello per me che qui la maestra non abbia più parlato di Luigi ma di mamma e

figlio (della relazione)

Le due maestre iniziano a condividere tra loro il fatto che forse varrebbe la pena

provare a mettere qualcosa di nuovo dentro ai loro interventi. Qualcosa che valorizzi i

successi di Luigi.

Allora intervengo e chiedo se, per esempio, hanno mai scritto una comunicazione sul

diario di Luigi, che fosse sul positivo. Dal momento che disegna bene, magari una

valutazione molto positiva di un bel disegno, fatta sul diario e da riportare firmata.

Chissà che la mamma risponda?

A questo punto il colloquio è tutto in discesa a motivo del fatto che le due insegnanti

sono molto in gamba e gli basta un minimo stimolo per attivarsi in modo davvero

positivo.

Il Counselling sistemico a scuola

37

La cosa davvero interessante di questo colloquio è il fatto che mostra in modo

evidente l’efficacia di un intervento di counselling sistemico, attraverso un movimento

che parte da un’immagine di sabbie mobili, di empasse, ad una di circolo virtuoso.

A questo punto le due insegnanti iniziano ad immaginare di poter provare ad usare le

connotazioni positive con Luigi, ma anche con il resto della classe.

Iniziano a dire che forse avevano smesso di puntare sulle potenzialità e vedevano solo

il negativo. Si dicono che possono andare a testa alta di fronte alle colleghe ed iniziare

a parlare anche degli aspetti positivi della loro Terza.

Mi rendo conto, mentre scrivo queste parole, che può apparire impossibile che tutto

questo sia avvenuto in un solo incontro, ma così è.

Sono state due clienti “modello” nel senso che mi è quasi parso che aspettassero solo

un buon motivo per ricominciare a lavorare con passione ed entusiasmo.

Il Counselling sistemico a scuola

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PARTE TERZA: Un caso di conflitto nella scuola

Come terza parte di questo lavoro, vorrei descrivere una situazione fortemente

conflittuale in cui mi sono trovato a lavorare e che ha messo alla prova la competenza

sistemica di non decidere chi ha torto e chi ha ragione, o meglio, di decidere che

nessuno ha torto o ha ragione.

Desidero scrivere questo caso che chiamerò “Caso George”.

Il metodo che seguirò sarà quello di descrivere la situazione che ha originato tutto e,

successivamente, di entrare nei panni delle persone maggiormente coinvolte in questo

conflitto.

George è un ragazzo di 12 anni che viene dall’Africa. E’ arrivato in Italia perché nel suo

Paese si stava consumando una faida tribale che ha visto morire il padre a colpi di

machete.

Il prossimo a finire la stessa fine sarebbe stato lui, in quanto maschio primogenito.

La madre, impossibilitata a lasciare il Paese, chiede a suo fratello, che vive in Italia, di

accogliere suo figlio e lo mette sul primo aereo disponibile.

George, senza poter scegliere altro, viene caricato su un aereo diretto in Europa e

parte per raggiungere uno zio di cui non ha nemmeno memoria.

Arrivato, inizia a vivere con lo zio che lo iscrive in prima Media nella scuola del paese

in cui vive. Paese di circa mille abitanti.

Da qui iniziano i problemi. Dopo un breve periodo di calma apparente, George inizia a

far impazzire tutti gli insegnanti: non segue le lezioni, continua a disturbare, attacca i

compagni, ha un atteggiamento di sfida con tutti e, con lui in classe, diventa

impossibile fare lezione.

Le note diventano tantissime e così pure le sospensioni. Lo zio viene più volte

convocato, ma sembra non riuscire ad arginare il nipote.

Ormai a scuola tutti i genitori si lamentano di lui perché non lascia svolgere le lezioni,

ma anche perché picchia i compagni, offende gli insegnanti e genera timore in tutti.

Ma non finisce qui. Negli orari extrascolastici George diventa il “problema” del Paese:

fa atti di vandalismo, lancia sassi alla macchina dei vigili, rovina panchine e parchetti.

Il Counselling sistemico a scuola

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I servizi Sociali sono stati contattati, ma i tempi per una presa in carico sono ancora

molto lunghi.

Mancano due mesi alla fine della scuola, ormai la tensione è altissima e gli adulti che

ruotano attorno a George e alla sua vita sono tutti in conflitto tra loro.

Vorrei tentare ora, dopo avere sinteticamente descritto il caso, a far emergere il punto

di vista dei protagonisti di questa vicenda.

George:

Ha nel cuore e nella mente l’assassinio del padre e non riesce a dimenticarlo. Conosce

tutta la tristezza per aver perso il padre, ma anche la madre che, seppur viva, è

lontana in un momento per lui terribile.

Ha 12 anni e sta entrando come tutti i ragazzi nella preadolescenza, fase in cui si

sperimenta la ribellione e la sfida.

Non conosce bene la lingua e nemmeno lo zio con cui deve vivere. Non ha alcun punto

di riferimento eccetto la scuola. Sembrerà strano ma, pur non avendo nessuno che lo

controlla, George non perde un giorno di lezione.

Lo zio:

Ha 38 anni,vive con una compagna ed è l’unico parente di George in Italia.

Fa il camionista ed esce alle 4,00 del mattino per rientrare verso le 21,00 di sera.

Viene continuamente convocato da insegnanti, Preside e Sindaco, ma non riesce a

gestire i tempi e il comportamento del nipote, soprattutto per il fatto che è sempre

lontano da casa.

Continua a dire a tutti che sta cercando e cercherà di fare del suo meglio per

contenerlo.

In realtà si sente deluso e sconfitto e non vede soluzioni a questa cosa che gli è

capitata addosso e lo sta travolgendo.

La sua compagna non lo aiuta e, pur avendo le giornate più libere di lui, non ne vuole

sapere di questo nipote strafottente e provocatore.

Il Counselling sistemico a scuola

40

I Professori:

Sono esausti. Hanno provato, col passare dei mesi, ogni tipo di strategia. Niente

sembra funzionare. Le buone maniere, le cattive maniere, la fantasia, la creatività, la

disciplina, il terrore: nulla sembra avere effetto su George.

Lui risponde loro con strafottenza, con un comportamento provocatorio. Più loro

cercano di comprenderlo e più lui li fa impazzire. E George non è il solo problema.

Occorre anche contenere le lamentele degli altri genitori che sono molto turbati per il

comportamento che il ragazzo ha con i loro figli. I genitori sono preoccupati al punto

che, dopo l’ennesimo litigio di George con un compagno, il padre di questi si è

introdotto a scuola e in classe cercando di farsi giustizia con un atteggiamento

aggressivo. Carabinieri a scuola,oltre a Preside e Sindaco.

Inoltre, professionalmente, sono molto preoccupati per il gruppo classe che è

decisamente condizionato da George: passare tutto il tempo a cercare di contenerlo

significa non avere tempo ed energie per favorire l’apprendimento degli altri.

Addio programmi!

Il Sindaco: è al limite della sopportazione. Si è trovato a gestire, nel suo piccolo

comune, un ragazzino che lui definisce “una scheggia impazzita”. I Vigili continuano a

portarglielo per prendere dei provvedimenti. Lui, inizialmente, ha cercato di capirlo, di

interessarsi a lui e allo zio, ma adesso ha gettato la spugna e vuole liberarsi di questo

problema.

Le insegnanti che, come capita in un piccolo paese, sono state anche le sue, gli fanno

pressione per intervenire di forza con una segnalazione ai Servizi Sociali. Lui ha fatto

questo passaggio, ma l’iter prevede dei mesi che, né gli insegnanti, né la popolazione

sono disposti ad aspettare.

In più, dal momento che George è residente nel suo Comune, in caso di invio in

Comunità, il Sindaco ha realizzato che sarà la sua amministrazione a “mantenere”

George. Costo indicativo: 35.000 euro all’anno. Saputo questo George ha deriso il

Sindaco:”Mi mantieni fino a 18 anni!!!”

Il Counselling sistemico a scuola

41

Oltre a questo è scattata un’escalation di conflitto tra il Sindaco e il Dirigente della

Scuola.

Il Dirigente Scolastico: è il responsabile di tutto quello che avviene a scuola. La sua

posizione è quella di “tenere duro” rispetto alle lamentele di tutti e di cercare di tenere

George a scuola.

Non smette di far notare a tutti che non perde un giorno di scuola e che,

probabilmente, significa che essa è l’unico riferimento che gli è rimasto.

E’ entrato in conflitto con gli insegnanti che ormai, in modo palese, lo invitano ad

essere presente in aula al posto loro.

E’ entrato in conflitto con il Sindaco perché, a suo dire, George è un problema da

eliminare e siccome il Sindaco è della Lega, si tirano in ballo anche le ideologie

politiche.

La sua preoccupazione è che, nel caso in cui George fosse espulso dalla scuola,

resterebbe tutto il giorno in giro a fare danni.

Il Dirigente si è scontrato con il Sindaco ed ormai tra i due non c’è più comunicazione.

Che cosa significa entrare e lavorare in una situazione del genere? Che cosa possono

rappresentare le abilità di counselling sistemico, dentro un contesto di questo tipo?

Sottolineo “abilità di counselling” e non counselling, perché nella maggior parte dei

casi questa situazione non ha previsto il setting di un colloquio vero e proprio.

Che cosa è capitato?

Il Dirigente della Scuola si rivolge a me in quanto, col passare dei mesi, si è venuta a

creare una relazione significativa per cui si sentiva di chiedere una consulenza rispetto

a tutto quello che stava succedendo.

In realtà è molto più che una consulenza, in quanto desiderava organizzare un

incontro in cui fossero presenti tutti i protagonisti citati sopra.

Ora, se c’è un caso in cui può essere utile spendere le abilità acquisite grazie

all’approccio sistemico è quello del conflitto.

Il pretesto della mia presenza era che George ha quasi sempre aderito allo sportello

d’ascolto, anche perché gli insegnanti lo vivevano come un momento in cui si

liberavano di lui.

Il Counselling sistemico a scuola

42

Col trascorrere delle settimane, George non ha mai avuto nei miei confronti

comportamenti aggressivi o privi di rispetto o simili a quelli che tutti mi raccontavano.

Arrivava e si raccontava rispetto a preoccupazioni molto concrete ( la verifica/ la nota /

la sospensione, ecc); mai aveva ritenuto opportuno dire o raccontare qualcosa rispetto

alla sua storia. Io ho sempre accolto quello che mi raccontava.

Credo che si sia sentito accolto e non giudicato, ma non posso dire di essermi sentito

molto efficace in quei brevi incontri.

La cosa che ho sempre notato è che mi parlava sempre in modo squalificante degli

insegnanti, eccetto nel caso del docente di sostegno che lui stimava.

Le ore di formazione condotte dal Dott. Enrico Euli, al Centro Milanese, proprio sulla

gestione del conflitto mi hanno aiutato molto, in questo caso, a cercare di pensare in

modo diverso.

Partiamo dal presupposto che, laddove ci sono persone, sistemi,gruppi, il conflitto è

inevitabile e quindi occorre imparare a viverlo come una risorsa e non tanto

esclusivamente come rischio.

Esiste una gestione “violenta” del conflitto che ne determina una connotazione

negativa, ed una visione complessiva di rischio; ma esiste anche una gestione “non

violenta” che permette a tutti i protagonisti di farlo diventare una risorsa ed un

apprendimento.

I modelli a rischio delle relazioni umane, in cui un buon counsellor può cercare di dare

il suo contributo oscillano tra questi due estremi:

a) Modelli di equilibrio stabile: sistemi cioè in cui le regole del gioco hanno portato

a delegare il potere nelle mani di una persona o di un gruppo. Non si litiga mai.

Non c’è spazio per obiezioni o idee diverse (pensiamo ai regimi, alle famiglie

dove non c’è mai discussione su nulla, oppure a quelle classi in cui nessuno

fiata)

b) Modelli di squilibrio stabile: sistemi cioè in cui non si è riusciti a definire regole

o ruoli e quindi ogni cosa diventa motivo di discussione. Il caos è protagonista

di un sistema decisamente a rischio e altamente stressante. Si litiga sempre su

tutto. Pensiamo, per fare un esempio molto chiarificatore, alla situazione tra

Palestina e Israele.

Il Counselling sistemico a scuola

43

Il modello invece più rappresentativo, quello in cui anche il counsellor può lavorare

con un certo margine di operatività, è il terzo:

c) Modelli di equilibrio instabile: sistemi cioè dove il conflitto, che nasce

naturalmente, viene visto, gestito, affrontato e risolto creativamente. Diventa

così occasione di apprendimento e di crescita.

Nei primi due modelli il livello di violenza è molto alto, mentre nel terzo vi è una sorta

di organizzazione tra l’ordine ed il disordine.

In tutti i modelli sopra descritti, esistono delle soglie di passaggio che possono essere

prese in considerazione e, per farlo, prenderò a prestito il caso di George.

La soglia più bassa è quella indicata con la casella PERSONA.

E’ quella in cui la gestione del conflitto viene affidata prioritariamente alla ricerca del

colpevole. Una persona è responsabile di quella situazione.

Senza quella persona le cose andrebbero bene.

Nel caso di George è il livello più utilizzato. Tutti, nella loro versione, hanno trovato un

colpevole.

Per il Dirigente i colpevoli sono gli insegnanti e il Sindaco; per il Sindaco, i colpevoli

sono George e il Dirigente; per gli insegnanti,invece sono George e il Dirigente, ecc.

Tutti i protagonisti di questa vicenda si trovano collocati in una sorta di dinamica del

“capro espiatorio” per cui il fatto di individuare un colpevole rasserena gli altri.

Lo zio e George, in questa fase, non hanno alcuna chance di spostare il peso della

responsabilità verso qualcun altro. Sono i colpevoli “designati”.

PERSONA

CONTESTO

RELAZIONE

CONTENUTO

OPPORTUNITA’

RISCHIO

Il Counselling sistemico a scuola

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Il Dirigente è l’unico che cerca di schierarsi con loro, ma anche questo significa

comunque muoversi dentro la stessa ottica, perché il suo modo per schierarsi con loro

è indicare un altro o degli altri colpevoli.

Il lavoro che potrebbe essere svolto dal counsellor, in questo contesto, è quello di

cercare di facilitare il passaggio di soglia dal livello PERSONA a quello CONTENUTO,

per cui, per esempio, nel caso George non è efficace cercare la colpa di uno o

dell’altro.

Occorre piuttosto analizzare i singoli episodi che si sono venuti a creare, cercando di

capire, per ciascuno di essi, come si sono succeduti e che cosa è possibile fare.

In molti casi, riuscire a facilitare il passaggio dal livello della PERSONA a quello del

CONTENUTO può rappresentare un notevole successo.

Il grafico rappresentato sopra indica, attraverso le caselle e le relative frecce, un

concetto di base con il quale è possibile confrontarsi nel momento in cui ci si trova ad

operare in contesti conflittuali: se il movimento prevalente è quello dall’alto verso il

basso, il conflitto rappresenta un rischio e si tenderà ad andare verso una gestione

violenta.

Se invece il movimento va dal basso verso l’alto, il conflitto può rappresentare una

opportunità e si andrà verso una gestione non violenta.

Una volta che ci si trova al livello del CONTENUTO è possibile ulteriormente “alzare

l’asticella” nel senso di provare a definire la dinamica della RELAZIONE.

Cerco di spiegare il movimento verso l’alto con un esempio facile e concreto.

A e B si trovano in una situazione di forte conflitto. A pensa che la colpa sia di B e B

pensa che la colpa sia di A. Sia A che B hanno un pensiero dominante: “ se non ci

fosse lui/lei, non ci sarebbe il problema”.

A questo livello dunque si identifica il problema con una PERSONA.

Orientarsi verso il livello CONTENUTO significa che A e B iniziano ad identificare il

problema, non più con l’altra persona, quanto piuttosto con il “motivo del contendere”

e cioè con l’argomento o la situazione che li mette uno contro l’altro. E’ un movimento

importante in quanto sposta il fuoco della colpevolezza da una persona ad una

situazione.

Se però capita che A e B, su contenuti diversi entrano in conflitto, allora è possibile

salire di un ulteriore livello.

Il Counselling sistemico a scuola

45

A e B iniziano a pensare che il problema non coincide con la persona, né con i

contenuti, ma che probabilmente occorre provare a lavorare sulla RELAZIONE.

A e B vivono una relazione in cui si trovano a confliggere spesso e per diversi motivi.

Forse può essere utile cercare che cosa potrebbe migliorare a livello di dinamiche

interpersonali. Che cosa può aiutarli a migliorare la loro relazione.

L’ultimo livello possibile infine è determinato dal CONTESTO. Può essere infatti che la

relazione soffra di ripetute fragilità, a motivo di alcune condizioni esterne. A titolo di

esempio tali condizioni possono essere la famiglia, il posto di lavoro, la situazione

economica del momento, ecc.

Appare abbastanza evidente che, nel momento in cui si è riusciti a salire fino alla

soglia del contesto, si è già “depatologizzato” l’altro/a, sè stessi ed anche la relazione.

A e B non si accusano più reciprocamente, ma vanno alla ricerca di quegli elementi

contestuali che non li aiutano a vivere serenamente la loro relazione.

Devo certamente confessare che, nel caso George, la situazione era molto

compromessa e nessuno dimostrava di volere abbandonare la soglia della persona.

Dopo molti colloqui, sostenuti con le singole parti di questo conflitto, si è arrivati a

definire una soluzione possibile. Questo è avvenuto dopo aver definito, insieme a loro,

gli interessi di ciascuno.

ATTORE INTERESSE

GEORGE Essere accolto nel suo momento di difficoltà

ZIO

Permettere a George di essere accudito, pur mantenendo il

suo lavoro

SINDACO

Mettere fine alle lamentele di cittadini ed insegnanti e

mantenere l’ordine in paese

INSEGNANTI

Poter svolgere regolarmente le lezioni senza dover correre

dietro alle “mattane” di George. Proteggere gli altri allievi

dalle sue aggressività

DIRIGENTE

Permettere a George di continuare a frequentare la scuola e

attivare i servizi sociali per spostarlo dal nucleo famigliare che

lo accoglie

Il Counselling sistemico a scuola

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La decisione co-costruita, insieme a tutti è stata quella di spostare George in un plesso

scolastico diverso, sempre dello stesso Istituto, ma con insegnanti e compagni

differenti.

Mancando un paio di mesi, George non ha avuto il tempo e nemmeno il desiderio di

mettere in atto le dinamiche che erano scattate nell’ultima scuola.

Oltretutto il Docente, che George aveva preso come figura positiva, lo visitava

periodicamente nella nuova scuola.

Ho voluto inserire questo caso, all’interno della tesi, perché credo che rappresenti in

modo concreto qual è il contesto in cui è possibile trovarsi a lavorare, nel momento in

cui si decide di operare come counsellor nel mondo della scuola.

La situazione descritta sopra non ha certamente nulla a che vedere con un colloquio di

“counselling puro”. Manca il setting, un obiettivo deciso insieme, un contratto chiaro, i

tempi. Insomma è molto diverso.

Eppure il risultato finale è stato possibile solo grazie alle abilità di counselling acquisite

durante la formazione al Centro Milanese.

Il tentativo di mettere in connessione tutti gli attori di questa scena, di valorizzare le

risorse presenti e di vedere ciascuna di esse come una piccola parte di soluzione, sono

certamente il frutto di una visione sistemica, di un approccio che ha un nome preciso:

”Milan Approach”.