SETTERFOTO MAGAZINE ANNO I NUMERO 0

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SETTERFOTO MAGAZINE CINOFILIA, CACCIA E GESTIONE

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La passione per la natura, la fauna, la cinofilia venatoria e di conseguenza la caccia con il cane da ferma, soprattutto col Setter Inglese, ci ha spinto a realizzare prima un sito internet e ora questo nuovo magazine on-line. Consapevoli del fatto che non sarà compito facile, ma che comunque, grazie all’esperienza maturata con il nostro sito www.setterfoto.com, e al supporto di tanti amici cacciatori, cinofili, studiosi e fotografi, abbiamo deciso di incominciare questa nuova avventura. Il nostro scopo è di diffondere le più possibile informazione di carattere cinofilo-venatorio, non tralasciando altri aspetti che circondano il mondo della caccia, della gestione faunistico-venatoria, e della fotografia naturalistica, con la speranza di soddisfare tutte le curiosità e le esigenze degli appassionati. Cercheremo di affrontare ogni argomento in maniera neutra ed esaustiva, parlando in modo semplice e utile, trasmettendo il più possibile il nostro credo verso la più alta concezione morale della caccia nel rispetto delle leggi della natura. Sicuramente, non trattando ad ampio raggio tutto il mondo venatorio, ma limitandoci a forme di caccia che prevedono l’ausilio del cane da ferma, saremo un magazine di nicchia, e proprio per questo cercheremo, sentendo sin d’ora l’obbligo, di essere il più possibile precisi ed esaurienti. Ma non basta, convinti che la pubblicazione delle proprie foto o articoli, sia un’emozione senza pari per un appassionato, il nostro magazine sarà aperto a tutti voi che siete disposti a collaborare, inviando appunto, foto dei vostri cani, di selvaggina, di ambiente e articoli legati alla nostra comune passione. Intanto per questo primo numero ci siamo rivolti, certi di far cosa gradita, a firme di grande rilievo per ogni argomento trattato. Infine alcune note tecniche : il nostro magazine on-line avrà una periodicità trimestrale, e non essendo legato a un numero di pagine predefinito, la sua consistenza varierà di numero in numero secondo gli argomenti trattati. Questo, sarà legato indissolubilmente al sito www.setterfoto.com, diventandone organo ufficiale d’informazione, dal quale potrà essere sfogliato e scaricato in maniera completamente gratuita. Resta inteso che vista la periodicità trimestrale, gli argomenti d’importanza immediata saranno comunque trattati direttamente nel sito, e magari ripresi in maniera più esauriente nel magazine successivo al verificarsi dell’evento. Nella speranza di diventare punto di riferimento per cinofili e appassionati, non vi vogliamo rubare altro tempo e vi lasciamo alla lettura di questo primo numero del vostro nuovo magazine-online, il magazine della tua passione.....

Cordialmente David Stocchi, Marco Frattini e Fabio Nicol Camino

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I libri di ornitologia usano preferibil-mente il termine “Fagiano di monte” ad indicare il Tetrao tetrix che i cac-ciatori definiscono per lo più Gallo forcello o semplicemente “forcello”, il Tetras-lyre dei francesi (appunto “tetraonide con coda a lira”) piut-tosto che il loro equivalente “Petit coq de bruyère” (ossia “piccolo gal-lo di brughiera”), che comunque, è più vicino al termine inglese “Black grouse” (grouse nera) per la tipo-logia vegetazionale condivisa con la regina dei moors scozzesi. In realtà il forcello appartiene alla sottofamiglia dei Fasianidi, i Tetraonidi, che nel Vecchio Continente comprende anche le Pernici bianche, il Gallo cedrone e il Francolino di monte. La specie è diffusa dalla Gran Bretagna alla Corea settentrionale, attraverso l’Eurasia, con 5 sottospecie: quella “tipica” (la “nostra”) Tetrao tetrix tetrix che colonizza parte dell’Europa spingendosi a oriente lungo una fascia a nord, dalle altre tre asiatiche (viridanus, mongolicus, ussuriensis), e dal Tetrao tetrix britannicus che è la sottospecie endemica inglese. Le Alpi costituiscono un’area relitta ove la specie è rimasta, a seguito della fine delle glaciazioni, in quanto la compensazione dell’altitudine sulla latidudine ha permesso il mantenimento di condizioni climatico-vegetazionali ancora idonee. Qui il forcello abita la fascia superiore della vegetazione arborea, che sfuma in quella degli “arbusti-contorti”, tra 1400 e 2300 me s.l.m., con conifere rade e chiare, a volte miste a latifoglie e sottobosco ben sviluppato, tipicamente a rodoro-vaccinieto (rododendri e mirtilli dominanti).Il forcello è un uccello massiccio, ma stranamente aggraziato e

slanciato, con una potenza e agilità di volo incredibili, rispetto ai cugini Fasianini: l’ampia superficie alare agevola l’involo senza sforzo e con pochi battiti, pertanto affatto fragoroso come scrivono alcuni trattati venatori. Mi sono sovente meravigliato della falcata felpata, seppur potente, accompagnata da un rumore piuttosto ovattato (un po’ più “secco nelle femmine”), che mi piace definire “uno svolattone”. A conferma di questa levità in aria stanno le ripetute personali osservazione di galli, anche a gruppetti, che trasvolando vallate a buona quota, hanno dato stura a manifestazioni/giochi aerei, inseguimenti e virate, dando prova di una sorprendente padronanza del volo! Il forcello presenta un accentuato dimorfismo sessuale. Il maschio adulto, che mediamente pesa 1300 g, ha una colorazione nera, con riflessi bluastri sul collo e groppone cui contrasta una fascia bianca sulle copritrici alari e il sottocoda pure bianco, messo in particolare evidenza con l’estensione della coda a ruota, bianca pure la superficie interna dell’ala, che sporge appena all’esterno a mo’di spallina ad ala chiusa. Le timoniere esterne,

assai più lunghe di quelle centrali, sono elegantemente ripiegate verso l’esterno contribuendo a dare alla coda il tipico aspetto forcuta e a “lira”, onde alcuni nomi (anche il sorpassato nome scientifico “Lyrurus” aveva la stessa motivazione). Una sorta di sopracciglio rosso vivo

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(caruncola) diventa particolarmente irrorato ed evidente nel periodo degli amori. La femmina adulta di circa 950 g di peso, nettamente più piccola del maschio, appare anche più”corta” in quanto le timoniere sono tutte piuttosto brevi e la coda appare

appena incisa per essere quelle centrali un poco più corte delle laterali. La colorazione è assai mimetica col sottobosco: dorsalmente bruno- grigiastra con barrature e tacche nere; le barrature sono più regolari e fitte sulle parti laterali e ventrali.

L’adattamento all’ambiente si rileva dalle le zampe coperte di piume fino alle dita (escluse) le quali presentano su ogni lato una serie di escrescenze cornee, più lunghe in inverno, con funzione di “racchette da neve”; dalla copertura protettiva delle narici con fitte e corte penne; dalla grande lunghezza dei ciechi intestinali che contengono una ricca fauna batterica in grado di spezzare le lunghe molecole della cellulosa in quelle più corte, assimilabili, di zuccheri (infatti nell’inverno gran parte degli alimenti ha un’alta componente legnosa). Nei giovani la colorazione è simile in entrambi i sessi; i maschi cominciano ad evidenziare le prime chiazze scure sul dorso e sul collo a circa 8 settimane di vita. Una stima dell’età può esser fatta osservando la II remigante primaria, che nei giovani è più appuntita ed ha una punteggiatura bruno chiara più evidente della III remigante. Negli adulti queste penne hanno forma più omogenea e meno punteggiature. In primavera i maschi si riuniscono su arene di canto aperte, costanti negli anni, sui margini sommitali del bosco ove con rugolii, soffi, parate e scontri fisici stabiliscono superiorità gerarchiche che offrono maggiori chances d’essere scelti dalle femmine per l’accoppiamento. Esiste in pratica una forma di poligamia. La nidificazione, a fine maggio - precoce, ma possibile fino a inizio agosto-tardiva, avviene al suolo tra la vegetazione erbacea/arbustiva in zone boschive con aree aperte, spesso a ridosso di un albero, e raccoglie 3-10 uova (in media 7), incubate per 26-27 giorni; le schiuse si scaglionano pertanto fra fine giugno e inizio agosto, con picco tra il 5 ed il 20 luglio. A fine agosto meno della metà delle

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femmine è seguita da 3,4 giovani (con un indice riproduttivo medio, rispetto al n.totale di femmine, pari a 1,4), numero variabile negli anni a seconda del clima e dell’impatto predatorio (volpi e martore, cui si sono recentemente aggiunti i cinghiali, possono distruggere oltre metà delle nidiate prima della schiusa;

i pulcini subiscono il massimo delle perdite nelle prime tre settimane di vita). La predazione da uccelli rapaci (in particolare aquila e astore) è una delle principali cause di morte anche negli adulti, che hanno un limite massimo di sperana di vita (raggiunto da pochi individui) di 10 anni. L’alimentazione varia con la stagione e l’età: nell’adulto è prevalentemente vegetale, con grande proporzione di bacche tardo-estivo-autunnali (soprattutto lamponi, mirtilli, sorbi) e, in inverno, gemme, ramuscoli e aghi di conifere (larice), per passare in primavera a

bottoni fiorali e parti vegetative con qualche artropodo.I pulcini abbisognano invece di alta percentuale di cibi proteici, su base animale.Ai suddetti fattori limitanti naturali si aggiungono i fattori antropici (pascolo, turismo, impianti di risalita) e altri ambientali (evoluzione della

vegetazione in senso sfavorevole alla capacità portante dell’ambiente) e climatici.I forcelli, sostanzialmente stanziali, rispondono ai diversi momenti del ciclo annuale con spostamenti stagionali, diversi da soggetto a soggetto e a seconda del sesso e dell’età, che a volte possono far pensare a piccole migrazioni locali e che portano all’individuazione di aree tra loro distanti fino ad una trentina di km, cui possono restare fedeli per tutta la vita.Le femmine tendono a spostamenti più ampi che i maschi. Quanto sopra

non esclude che alcuni individui rimangano per tutta la vita dove sono nati. Una gestione ottimale deve prevedere la conservazione e la ricostituzione, se il caso, dei biotopi idonei, la limitazione del disturbo (soprattutto nei momenti e nelle località, delicati, della riproduzione e dello svernamento), ed una

possibilità di prelievi commisurati con l’entità della popolazione presente e l’andamento riproduttivo annuale.Pertanto mentre in piccole popolazioni isolate la caccia non dovrebbe essere permessa, in altri casi si consiglia una indicizzazione del prelievo (limitato al sesso maschile) a seconda del numero dei giovani per femmina adulta, che va da zero a 5% con una produzione di un giovane /femmina adulta, dal 5 al 15% con 1-1,8 giovane / femmina adulta, dal 15 al 20% con più di 1,8 giovani / femmina adulta.

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PREMESSA: Nel 2008 mi è stata data l’opportunità di poter partecipare al progetto biennale del Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia “Grandi Carnivori sulle Orobie” (Meriggi A., Milanesi P.) in collaborazione con il Parco delle Orobie Bergamasche con l’obiettivo di monitorare le specie (lupo, orso e lince) e definire linee guida per la gestione e risoluzione dei conflitti; durante la raccolta dati inerenti al

progetto, parallelamente ai segni di presenza dei grandi predatori mi si sono imbattuta in una realtà poco conosciuta: quella dei cani vaganti, per far capire come sono entrata a contatto con questa realtà devo fare una piccola digressione parlando della parte operativa del progetto “Grandi Carnivori sulle Orobie” e di due analisi in particolare: l’analisi genetica e l’analisi della dieta.

RACCOLTA CAMPIONI:

Per ottenere informazioni sulla distribuzione dei grandi predatori (lupo, orso e lince) è stata sovrapposta al Parco delle Orobie Bergamasche una griglia a maglie spaziate di 5 km e all’interno di ogni cella di 25 km2 definita dalla griglia è stato scelto un transetto, ovvero un sentiero percorribile a piedi; sono stati così selezionati 25 transetti, tali da risultare rappresentativi delle variabili ambientali (esposizione, pendenza, altitudine e uso del suolo)

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presenti nel Parco. Ogni transetto è percorso stagionalmente rilevando tutti i segni di presenza di prede, predatori e competitori (peli e feci, impronte, resti di predazioni, vocalizzazioni….).Per ogni segno di presenza sono rilevati posizione, altitudine, topografia e ambiente del luogo di ritrovamento. I dati raccolti sono digitalizzati e georeferenziati (identificati da una coppia di coordinate cartesiane X,Y nel sistema di riferimento U.T.M.) utilizzando il software arCMAP (E.S.R.I.), che permette la realizzazione di un database completo e georeferenziato.

STOCCAGGIO CAMPIONI:

Le feci, una volta raccolte sono state messe in sacchetti di PVC e conservate per un periodo di almeno 30 giorni in freezer a – 20°, per eliminare i microorganismi patogeni (es. Echinococcus granulosus).

ANALISI GENETICA:Negli escrementi freschi (< 3 giorni) si trovano le cellule di sfaldamento dell’endotelio intestinale che, attraverso procedura PCR, permettono l’identificazione della specie, del sesso dell’animale, del profilo genetico. Le analisi genetiche sono state condotte presso il Laboratorio di Genetica dell’I.S.P.R.A. (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) di Ozzano

dell’Emilia (BO).

ANALISI DELLA DIETA: Le feci vengono lavate con acqua corrente, e le varie componenti (materiale amorfo, peli, frammenti ossei, denti, semi….) vengono separate attraverso l’utilizzo di 2 setacci a maglie differenti (1,5 mm e 0,1 mm). In seguito si procede alla loro attribuzione: i peli, dopo essere stati lavati e sgrassati in alcol etilico, vengono osservati al microscopio ottico a 10X, 25X e 40X ingrandimenti. Attraverso l’osservazione dei peli al microscopio e il confronto con una raccolta appositamente realizzata (proprietà dell’Università di Pavia, Dipartimento di Biologia Animale) e con atlanti di identificazione (Brunner e Coman, 1974; Debrot et al., 1982; Teerink, 1991) si effettua il riconoscimento delle prede a livello specifico, in quanto il pelo di ogni specie presenta dei caratteri peculiari e diagnostici a livello della cuticola, lo strato più esterno, e della medulla, la parte più interna.

ANALISI DEI DATI: L’analisi qualitativa della dieta è integrata da un’analisi quantitativa volta a determinare la frequenza di comparsa e il volume medio percentuale delle diverse categorie alimentari. Le categorie alimentari rinvenute nelle feci sono state suddivise in vegetali, ungulati domestici, ungulati selvatici, altri animali e invertebrati.

• La frequenza di comparsapercentuale è calcolata secondo la formula:

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dove n è il numero di feci in cui compare la categoria i-esima e N è il numero totale di feci. • Il volume percentualedelle categorie alimentari presenti all’interno dello stesso campione è calcolato secondo il metodo proposto da Kruuk e Parish (1981). É poi calcolato il volume medio percentuale con la seguente formula:

dove vi è il volume percentuale della categoria i-esima in ogni escremento e N è il numero totale di feci.

FOTOTRAPPOLAGGIO:L’impiego di fototrappole, documenta in modo inconfutabile, attraverso fotografie o riprese video, la presenza di una specie. Le fototrappole scattano al passaggio di un animale davanti al sensore, il quale percepisce il movimento e le variazioni luminose o termiche.

RISULTATI: Una parte degli escrementi raccolti nei transetti, dopo analisi genetica, è risultata appartenente a cani nonostante la dieta e l’aspetto apparentemente “lupesco”.

Sono stati analizzati complessivamente 11 escrementi appartenenti a cani vaganti. Considerando le frequenze di comparsa delle diverse categorie, la dieta è risultata principalmente composta da vegetali, altri animali, invertebrati, ungulati selvatici e ungulati domestici.

Considerando i volumi medi percentuali, la dieta dei cani vaganti è risultata costituita principalmente

da vegetali seguiti da altri animali, ungulati selvatici, ungulati domestici e invertebrati.Le fototrappole (fotografie di Silvano Sonzogni) hanno ripreso

in diverse occasioni il passaggio di cani vaganti, in orario notturno, in aree remote con presenza stabile di ungulati selvatici come caprioli, cervi e camosci.

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CONCLUSIONI: La realtà dei cani vaganti è attuale e risolvibile solo con la corretta informazione e sensibilizzazione della popolazione, spesso infatti nelle realtà alpine e prealpine i cani vengono lasciati girovagare da soli nei boschi, il padrone non sa però che questa ingenua azione può portare al disturbo della fauna in quanto il cane, per gioco o per istinto, rincorre spaventando e nei

casi estremi sfinendo, ferendo o uccidendo caprioli, camosci, lepri, galliformi e altri animali selvatici.I cani vaganti possono essere responsabili di attacchi al bestiame

che, erroneamente attribuiti al lupo, concorrono all’idea di “bestia feroce” causando atti di bracconaggio, una delle principali cause di morte del lupo. Cani e lupi inoltre possono dare origine a ibridi, accoppiandosi tra di loro e inquinando la genetica del lupo.Gli stessi cani sono esposti a molteplici problemi quali incidenti stradali, intossicazione o avvelenamento (accidentale o doloso), maltrattamento o ferite da

arma da fuoco.Nonostante il fenomeno dei cani vaganti è diffuso in tutta Italia, non viene avvertito dalla popolazione come un possibile problema.

La collaborazione tra diversi enti e associazioni è fondamentale, dal mondo venatorio alle associazioni animaliste: lavorare insieme per salvaguardare la fauna e i cani stessi; la sensibilizzazione della popolazione sul disturbo arrecato alla fauna attraverso cani mal gestiti, sci fuoripista, fucile usato impropriamente o rumore eccessivo è il primo passo per una corretta salvaguardia e conservazione di molte specie selvatiche.

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Brescia 20 luglio 1996 suona il telefono, rispondo, una voce profonda e rassicurante, dal tono paterno mi dice “ ciao Enrico sono Luciano Pezzi ti disturbo?” per chi non conoscesse questo nome vi posso dire che era l’uomo più importante di Marco Pantani, ex gregario di Fausto Coppi, direttore sportivo di Felice Gimondi, un secondo padre per Marco Pantani, un uomo carismatico come pochi, sapeva toccare le corde giuste nell’animo di Marco Pantani, l’unico

di cui il Panta si fidasse ciecamente.. “ciao Luciano tu non disturbi mai, come stai ?” e lui “bene Enrico, volevo farti i complimenti per il 2° posto al giro d’Italia e ringraziarti per l’emozione che mi hai dato con la stupenda vittoria nella tappa del Pordoi”.Questa per molti potrebbe sembrare una banale conversazione tra amici, ma vi assicuro che con quella chiacchierata la mia vita professionale ebbe una svolta radicale, Luciano chiuse quella

telefonata così “Enrico, io e Marco abbiamo bisogno di te, abbiamo un progetto ambizioso uno sponsor importante che si chiama Mercatone UNO e tu fai parte di questo progetto, ho valutato con Marco tutti i minimi dettagli ma per far combaciare il tutto abbiamo bisogno di uomini sicuri di uomini che hanno una sola parola, uomini di sacrificio e di indubbio valore, per questo sono a chiederti quali siano le possibilità per sederci davanti ad un contratto biennale e capire la tua richiesta per un tuo

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eventuale passaggio alla Mercatone UNO”.Dovetti dire di no! E non so quanti al mio posto l’avrebbero fatto, ma avevo già promesso con una stretta di mano a Davide Boifava team menager della Carrera jeans il mio rinnovo di contratto per l’anno successivo e non potevo rimangiarmi la promessa, corsi per Boifava che da Carrera jeans divenne ASICS una stagione disastrosa unico risultato un 4° posto in classifica generale al giro di Spagna. Pezzi si rifece vivo, e mi ripropose dopo un anno le stesse condizioni dell’anno precedente, questa volta accettai firmando per la Mercatone UNO un contratto biennale. Ecco come mi conquistai la stima di Marco Pantani, e come un rapporto professionale si trasformo in una amicizia profonda e leale.

Marco Pantani era personaggio, aveva nel DNA la stoffa del fuoriclasse, non era belloccio come CIpollini anzi era piccolo pelato con le orecchie a sventola ma con tanta classe, tanta da cancellare tutto il resto. Con il Panta ho vissuto momenti indimenticabili, sofferto fianco a fianco nello sport e nella vita, percorso migliaia di km al suo servizio e con immenso piacere lo pilotavo su quelle salite al Giro e al Tour soffrendo e gioendo ogni momento, una parte di vita che mi ha cambiato, mi ha esaltato con le sue vittorie, e mi a distrutto più di mille salite con la sua morte. Si, Marco Pantani era un cacciatore, amava la caccia, la natura, riusciva ad estraniarsi da tutto quel mondo sportivo che pretendeva sempre troppo, e alle volte lo soffocava. Ho condiviso con Marco giornate di

caccia memorabili, in quei momenti Pantani era disponibile, sereno, allegro e questo con il fucile in spalla a seguire i suoi cani a cacciar fagiani e starne. La morte di Marco Pantani ha lasciato un vuoto incolmabile in molti di noi, in primis a Paolo e Tonina i genitori, ma anche a chi l’ha conosciuto e amato, vorrei ricordare Marco col sorriso vestito da cacciatore e con il fucile in spalla, vorrei ricordare a tutti noi come la vita possa cambiare e come ci possa scappare di mano, come la cattiveria umana non abbia limiti nel distruggere ed annientare anche

brave persone, si perché Marco Pantani era un ragazzo come tanti, aveva pregi e difetti, aveva anche un sogno, diventare un campione, ed esser rispettato. Ciao Marco, io sono ancora qui, non pedalo più per te, ma per te e per il tuo sogno lotterò sempre.

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“Non venite a caccia in Lapponia svedese! Vi ammalerete di nostalgia!!” A noi è capitato così sedici anni fa, quando per la prima volta, cacciando coi nostri cani le Pernici Artiche, le Pernici Bianche, i galli Forcelli e Cedroni, abbiamo

esplorato quei territori di boschi selvaggi con aperture immense di tundra coperta da salici nani, licheni, mirtilli, more artiche e soffice mischio. Le betulle con quei tronchi bianchissimi e le foglie che già a fine agosto ingialliscono, sembrano pennellate di un pittore impressionista. L’acqua dei ruscelli è così limpida e pura da poterla bere a volontà e i ghiacciai perenni sulle montagne alte poco più di mille metri, sono nelle zone a nord,

lì a ricordarci che in quei luoghi l’inverno è durissimo e solo animali particolarmente robusti e temprati possono sopravvivere alla rigidità di temperature che si abbassano fino a meno trenta gradi. La caccia inizia il 25 agosto di ogni anno ed è bella

fino a tutto settembre. In quei giorni si utilizza un abbigliamento ancora poco pesante (io vado col gilet e la camicia), ma è buona regola usare uno zaino da venticinque litri dove tenerci una giacca impermeabile ed altri accessori; se capita poi di prendere un cedrone maschio bisogna avere il posto dove metterlo (può arrivare ai 5 kg.!). Quella mattina partimmo in quattro con l’elicottero (di solito però si arriva nel territorio in macchina) e quattro

cani. Andavamo al lago di Romano (Romano lake per Peter, l’amico elicotterista) chiamato così perché dieci anni fa Romano si perse con la nebbia e senza GPS e per non agghiacciarsi troppo, girò tutta la notte intorno a quel lago rotondo,

di 500 metri di diametro. Fu trovato da Peter con l’elicottero alle sette del mattino, giusto per la colazione. Da allora il lago ha preso il suo nome e Romano ha sempre nello zaino due GPS! Avevo deciso di portare i miei tre amici (Cesare, Lucio e Vito) a cercare galli (Forcelli e Cedroni), ma in quella zona si può trovare anche un paio di voli di Pernici Artiche e, proprio all’inizio della stagione, è frequente incontrare anche la beccaccia. Il lago sta ai piedi di una grande montagna

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che ha un versante di roccia a picco su un bosco di betulle e conifere. Andarci in quattro è una buona idea e la strategia è di dividersi in coppie e fare il giro intorno alla montagna. Ci si impiegano sei-otto ore per poterlo fare, a seconda di quanto si sta in alto o più bassi rispetto alla montagna. Facendo in questo modo e partendo da sopra al lago, inizialmente si esplora il terreno a nord e poi, piano, piano ci si sposta verso il versante al sole ed è probabile incontrare lì i forcelli che amano “pascolare “ al sole, ingozzandosi di mirtilli già maturi. Quel giorno ho deciso di prendere con me Anita la spinona, mentre i miei amici avevano tre setter. Mi piace cacciare in quei luoghi con Anita, perché lei è abbastanza corta nel bosco, ma soprattutto è bravissima a guidare sui galli che tentano la fuga di pedina. Lei è roana e per poterla vedere meglio, le metto una pettorina arancio, niente beeper o

campano: silenzio assoluto! Mi avvio con Vito che come al solito, dopo appena cinque minuti sparisce senza lasciare traccia. Lui è così, ama la compagnia, ma soprattutto ama cacciare da solo e segue il suo istinto che spesso lo ripaga di soddisfazioni. Vito è un bravissimo cacciatore e per i Galli ha preso proprio un scuffia

tosta! Questo innamoramento l’ha colto indifeso, quando il primo anno in Lapponia riusciva a vedere solo i galli presi dagli amici e lui rimaneva sempre a “becco asciutto”. Cacciava con soddisfazione le pernici artiche, ma i galli li credeva fantasmi. Pagava naturalmente il noviziato, ma dal secondo anno anche per lui le cose si sono messe per il verso giusto e un giorno ne prese tre esemplari bellissimi! Dopo un paio d’ore, ero riuscito a mettere sotto tiro un vecchio gallo forcello che Anita aveva guidato sopra di me per almeno ottanta metri ed io, anticipando la cagna da sotto, lo avevo colto con la mia doppietta calibro 16 appena aveva cercato di eludere la spinona che lo incalzava alla giusta distanza senza concedergli un metro di vantaggio. Avevo fatto caccia ed ero felicissimo. A metà giornata ci eravamo ritrovati, grazie alle radio che ci portiamo sempre dietro, tutti e quattro. Vito aveva preso due nordiche , Lucio e Cesare un forcello a testa e una nordica. Tutti e tre avevano fatto l’incontro anche sul cedrone che come aerei a reazione, se ne erano andati senza farsi vedere con quel

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tipico rumore cupo del frullo potente delle grandi ali. A Vito era successo da poco meno di mezzora ed ancora aveva nelle orecchie quel battito d’ali impetuoso che gli si allontanava beffandolo. Aveva il dente avvelenato! Dopo aver mangiato un boccone in fretta come se la terra ci scottasse sotto ai piedi, riprendiamo la caccia e Vito mi invita seguirlo dove ha trovato quel cedrone, ormai un’ora prima. “Dove ce ne è uno, ce ne può stare un altro!” Iniziamo a risalire un crinale di bosco con conifere e betulle. Il crinale prosegue, ed io lo so bene, per qualche centinaio di metri per poi congiungersi con un territorio aperto e ondulato. Questo crinale bellissimo è largo settanta, ottanta metri e sulla destra scende ripido per due o trecento metri, trasformandosi in una vallata immensa con il bosco che diventa solo di abeti secolari. A sinistra invece è meno ripido e profondo e gradualmente s’innalza contro un

laghetto che pare un diamante tra il bosco quanto brilla al sole. Diana, la setter di Vito, va in ferma sotto ad un abete, io ce l’ho sopra alla mia destra e se partisse qualcosa da lì sarei piazzato benissimo. Mi accorgo che più avanti Anita, senza aver visto Diana, è in ferma ed inizia subito risoluta a guidare. Lascio la posizione sulla setter e seguo dal basso la mia spinona, cercando di sopravanzarla almeno di trenta metri. Mi pare di scorgere Vito che sta arrivando sulla sua setter in ferma, ma se il selvatico ce l’ha nel naso la mia cagna, lui sarà tagliato fuori. Anche Vito si rende conto di ciò che sta succedendo, vedendomi andare velocemente di sfondata, cerca di recuperare terreno andando alla destra di Anita che, nel frattempo, dalla prima ferma ha guidato per almeno cento metri ed ora è là immobile a testa alta. Probabilmente il sopraggiungere di Vito, provoca l’involo del cedrone che, per eludere il cacciatore che sopraggiunge e la spinona che lo

pressa da molto tempo, si butta dalla parte dove pensa di trovare via libera. Ma lì nella sua via di fuga c’è un vecchio cacciatore che, silenzioso come un grosso gatto, lo aspetta con la fidata doppietta calibro 16! Non sparo subito, perché ce l’ho a dieci metri e rischierei di spaccarlo a metà. Mollo la prima botta che mi ha passato e lo vedo di trequarti in mezzo alle due canne parallele. Probabilmente lo guardo troppo e la botta mi va bassa, così lo colpisco senza provocarne la caduta, anzi il vecchio cedrone s’impenna a tutta velocità, ma ormai l’ho rimesso in mira e la rosata dei pallini del sei lo coglie in pieno a venticinque metri da me. Cade ad oltre quaranta metri, sfrascando rumorosamente per l’energia residua, ma Anita gli è subito addosso e, senza apparente sforzo, me lo riporta decisa. Le urla di gioia si alzano in cielo ed ancora una volta non riesco a capire chi reprime una gioia così grande, giustificandosi con teorie deontologiche che giudico anacronistiche! Fare un cedrone vecchio col proprio cane e, ancora di più, insieme ad un amico è una soddisfazione immensa. Gli altri, a più di un km da noi, ci hanno poi raccontato che le grida di Vito erano ancora più forti delle mie. Quel cedrone pesava cinque kg e cinquanta grammi, pulito degli intestini. Un vecchio di almeno otto, nove anni che a breve troneggerà imbalsamato a casa mia, ma soprattutto quel momento magico si anniderà per sempre nel mio cuore!

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PREMESSAQuando David Stocchi mi ha proposto di occuparmi della rubrica sul setter inglese per questa rivista, non nascondo il sorgere, dentro di me, di due diversi stati d’animo: la gioia di poter scrivere senza eventuali censure sulla razza di cani da ferma che più amo e il timore di non riuscire a corrispondere efficacemente al compito richiestomi.Dopo, quindi, un attimo di riflessione ho deciso di intraprendere questa nuova avventura; avventura che desidero possa essere vissuta insieme a tutti Voi, non solo virtualmente ma in modo concreto.Come? Scrivendo a

ramses_cinofi [email protected] potrete, di volta in volta, contribuire con vostre critiche, domande o idee da sviluppare.La Cinofilia è Condivisione: non dobbiamo mai dimenticarlo ed è nostro compito ricordarlo…sempre!Inizierò, qui di seguito, il nostro viaggio parlando delle origini del setter inglese per continuare, nei numeri successivi, con approfondimenti su precise tematiche o su soggetti che hanno scritto la storia della razza (dettagli ancora maggiori potrete a breve leggerli su una nota rivista cartacea del settore dove già da qualche anno mi occupo di tale argomento).

IL SETTER INGLESE

Il Setter Inglese è una razza canina selezionata in Inghilterra e che potremmo definire un épagneul “migliorato” in quanto dotato di una cerca più veloce ed estesa rispetto all’origine. Il suo nome deriva dal verbo to set (puntare) e non to sit (sedersi) come molti credono.Il setter era impiegato come ausiliario della falconeria per cercare e fermare “gli uccelli”, ed era pure chiamato cane da rete in quanto quando fermava, flettendosi massimamente, il cacciatore gli si avvicinava e lanciava su di lui una

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rete in cui rimanevano impigliati quaglie, grouse e....cane.Il primo appassionato inglese che adoperò i setter a caccia fu Robert Dudley, I Conte di Leicester e Duca di Northumberland, nato nel 1532 e conosciuto, tralaltro, per essere stato il “favorito” di Elisabetta I. Il Duca di Northumberland possedeva nel 1555 degli épagneul o setter che fermavano accucciati.Nel 1576 Abrahan Flemming tradusse l’opera “English Dogs” del dott. John Caius in inglese moderno dove si legge la definizione che egli dava del setter inglese: “…che rimaneva immobile quando trovava le starne, distendendosi a terra e strisciando come una serpe”.Il più grande allevatore di setter inglese in ordine di tempo ma anche perché ne fissò le caratteristiche fu Sir Edward Laverack, nato in Westmoreland il 19 giugno 1798 e morto il 4 aprile 1877, all’età di 79 anni.Rimasto orfano a 14 anni, venne adottato da uno zio, ricco industriale di Manchester che, morendo quattro anni dopo, gli lasciò in eredità un ingente patrimonio. Il giovane decise di abbandonare la carriera industriale, per la quale non si sentiva affatto portato, e si

trasferì in campagna cominciando ad allevare cani. Nel 1825 acquistò dal reverendo Harrison una coppia di setter: Ponto e Old Moll.Da questi due riproduttori nacquero tutti i setter allevati da lui e che vinsero in esposizioni e field trials per parecchi anni.Nel 1874 si costituisce il Kennel Club con il suo Stud Book (Libro d’Origine) che organizza esposizioni e field trials. Gli amatori del cane da ferma avevano,

però organizzato, esposizioni già dal 1859 e field trials già dal 1865.Laverack commise l’errore di ricorrere esageratamente alla consanguineità e, negli ultimi anni, molti dei suoi “purosangue” risultarono sterili ed eccessivamente nevrili.Un altro grande allevatore, al quale Laverack dedicò il trattato sui Setter, fu Mr. Purcell Llevellin, suo intimo amico ed ammiratore.Questi al pari di Sir William Humphrey (Bondhu e Wind’Em) furono coloro che permisero la diffusione di questa razza di cani da ferma.Tra i più noti proprietari di Setter inglesi, che parteciparono dal 1865 al 1875 ai field trials, figurano Hayward Lonsdale (Ightfield Kennel) e Barclay Field con cani di mezzo sangue Laverack, il Rev. J.C. Macdona con il famoso campione di field trials Ranger III, Sir Richard Garth e Purcell Llewellin con numerosi purosangue Laverack.Rinomati allevamenti di setter inglesi da lavoro dell’epoca erano: il Canile

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Lingfield di Mittchel, il Canile West Down di Blaine, il Canile Stylish di Sharpe, i Rhinefield di J. Frost e il Canile of Bobbings di Bishops.Verso la fine del XIX secolo, i setter inglesi apparvero anche in Italia.Tra i primi Allevamenti ricordo: i “della Spia” di Tonolini, i “dell’Ambra” di Malesci, i “d’Ausonia” di Sansoni, i “Vigodarziere” di Tiozzo, i “di Varese” di Colombo, i “Lamon” di Zacchini; questi ultimi, sicuramente belli ma non certo da “Grande Cerca”.Quei soggetti che partecipavano a prove di Lavoro non erano per nulla paragonabili ai Trialler del ventennio successivo; un po’ come se volessimo confrontare la performance atletica di un Mazzola con quella di un odierno Totti .....I primissimi Setter importati, infatti, erano soggetti morfologicamente molto belli (ad esempio, la Ch.ssa It.

B. EGLANTINE du Carrat [KCI 480] di L. Beretta) e ....tanto basta!Un impulso verso il cambiamento giunse negli anni venti quando cominciarono le importazioni di “field-Triallers” dalla Francia e dall’Inghilterra ..... essi possedevano una marcia in più ... come mai?Un cinofilo francese dell’epoca (Leon Cherol), parlando, con un po’ di nostalgia frammista ad amarezza, del Setter Inglese “locale”, affermava che venne importato “dalla Terra degli Angeli” per aumentarne la velocità e poter, finalmente, farlo gareggiare col pointer .... ma come mai?Lo stesso Autore continua affermando che gli Allevatori inglesi avessero immesso sangue pointer ... a ciascuno “trarre le opportune considerazioni” ... Certo è che alcuni Allevatori “d’oltre manica” tenevano, nei loro recinti,

soggetti di entrambe le razze ...Tra le importazioni dei primi anni venti ricordo: Albert’s DOC (KCI 4294), Count Blue CAP (KCI 5115), UDE’E de Fleurs (KCI 4907) e poi ancora Drean XELLA (KCI 7938) ...Ma è nel decennio 1925 - 1935, che si hanno, a mio giudizio, quelle che maggiormente fissarono i caratteri del Trialler nella linfa vitale dei nostri odierni setter.Segnatamente, si distinse un cinofilo: il Commendatore Ettore Nasturzio.Come dimenticare i Lingfield: FELIX (importato, nel 1925, all’età di 7 anni), MARSHALL, IDRIS o i Rhinefield: RUFF, MAVIS, GLORY e FLY o Curate’s EGG o, at last but not least, i West Down: RED CAPS, VANE e TURVY .....?Era titolare dell’Affisso “di San Patrick”.In questo periodo venne importato dalla Francia da Giovanni Pastrone TEDDY de Nogent (KCI 9846).

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Dobbiamo, inoltre, ricordare il dottor Rossi di Genova che acquistò Verdict of Bobbing e Stylish Switcher, anche lui vincitore del Derby e l’avvocato Enrico Oddo che importò West Down Gnome e Bodril de la Croix Blanche.All’epoca succedeva che quasi tutti i vincitori di gare inglesi venivano importati in Italia, tanto che Ciro Matteucci (primo presidente del Setter Club Italiano) pronosticò l’Italia come futura patria del Setter inglese. Altri due grandi cinofili, allevatori non di professione ma per passione, furono Giulio Colombo e Fausto Cavalli ..... riportati in ordine non casuale ...Infatti, Colombo che importò anche qualche soggetto, Lingfield ILA (KCI 14498) e il grande Lingfield MYSTIC (KCI 14496) – vincitore del Derby in Inghilterra - ad esempio, era già proprietario della Ch.ssa It. di Lavoro DAISY 2° e del Ch. It. di Lavoro Nice Style GIULIO (nato il 31 Gennaio 1925), fratello uterino della precedente.Per quel poco che mi è sembrato di capire, la fortuna di Cavalli fu quella

di divenire proprietario della Ch.ssa It. L. Nice Style STAR (KCI 7670), nipote diretta di Lingfield FELIX .....E fu, facendola accoppiare con West Down TURVY che, il 22 Aprile 1933, ottenne una cucciolata di 9 soggetti da cui sortirono i Ch. It. L. FRAM, FELIX e FLY del Rovere; i primi due vincitori, rispettivamente, nel 1935 e nel 1936 del campionato di Caccia Pratica per cani a Grande Cerca.FRAM del Rovere venne fatto accoppiare con un altro soggetto, che “correva a velocità trialler”, di Cavalli e nacque la bravissima e sfortunata NEDDA del Rovere; quest’ultima, a sua volta, venne unita con FELIX del Rovere e nacque LEO della Zara, un soggetto discreto

a caccia e presentato, con qualche successo, in Expo.Tale setter accoppiato, una prima volta, con Lamon MIRCA produsse cani belli ma timidi o poco utili ... ; il fatto, forse, avrebbe dovuto far pensare .....Invece, ecco che il Sig. Danilo Boschetti, cinofilo ed Allevatore (non so se amatoriale o professionista) gli “presenta” ALA 28°, setter dal gran sangue e vincitrice di prove a beccaccini.Nasce, così, il 7 Settembre 1947 “la cucciolata del secolo”: tra gli altri ricordo, QUERCIA, QUES, QUEROS, QUEKE; tutti sotto l’Affisso “delle Morene”. A questo sangue hanno attinto soprattutto Cavalli (TELL 68° x QUERCIA), Crismani (TELL 68° x QUES), Boscato “delle Vallate” (QUEROS x TOSCA 3°) e l’Allevamento “del Cansiglio” (KLINGSOR di Castel Musella [QUEROS x CYNTHIA] x QUEKE) ...Non credo, anche se non ho i dati alla mano, che Oggi vi sia, in Italia, un setter inglese Ch. di Lavoro che non discenda dalla suddetta cucciolata.Tra i vincitori delle massime manifestazioni a Grande Cerca dal 1960 in poi, solo il grande ARNO 2° di Val d’Idice, per quel che è dato sapere, non possedeva questa Ascendenza ....Il pronostico del Cav. Matteucci si è avverato!

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Sabato 14 marzo a Prestine (BS) si è tenuta la prima adunata degli amici di setterfoto.com; ottima l’accoglienza dell’equipe dell’Hotel Oasi Verde, disponibile per ogni esigenza e in grado di soddisfare il più fine dei palati.Inoltre per essere la prima volta, sicuramente è stata ottima anche la partecipazione degli amici convenuti, infatti, una quarantina di cacciatori-cinofili che condividono la stessa passione, hanno dato vita ad una memorabile serata all’insegna dell’amicizia, quella vera, che ha

avuto modo così di concretizzarsi, dopo quella virtuale, ad un anno della creazione del gruppo facebook

“setterfoto.com”, filo conduttore dell’omonimo sito internet.Il momento più atteso della serata

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è stato senza dubbio quello della premiazione del concorso fotografico indetto dal sito e denominato “Uno scatto per la regina”, che, ha visto come partecipanti una settantina di utenti del nostro gruppo. Le fotografie finaliste, quindici, selezionate dopo una scrematura di circa centocinquanta, sono state prese in esame dal Sig. Antonio De Santis amico e tecnico fotografico, il quale ha valutato soprattutto l’aspetto tecnico dell’ immagine decretando come vincitore il Sig. Giovanni Medea, al quale, oltre al premio che gli spettava, abbiamo dedicato la copertina del 1° numero del nostro Setterfoto magazine.Ci piace poi ricordare lo scopo del concorso, che, è stato quello di raccogliere immagini relative a scene di caccia alla beccaccia, le quali serviranno alla realizzazione di un libro fotografico promosso dalla “Fondazione Rosa Gallo” in collaborazione con il “Club della Beccaccia”, al fine di raccogliere fondi da devolvere a favore della Fondazione stessa. Prezioso

l’intervento del Prof. Gian Gaetano Delaini, responsabile della Fondazione, il quale ha brevemente illustrato gli obiettivi preposti per far fronte alla rarissima patologia di cui questa si occupa. Durante la serata, abbiamo dato vita ad una piccola lotteria, con in palio diversi numeri della seconda edizione del libro fotografico “Cinofilia e Caccia d’alta quota” (realizzata dalla Fondazione Rosa Gallo), con la quale ci è stato possibile raccogliere la modesta cifra

di 370,00 €, ovviamente devoluta per la sopraccitata Fondazione.Un sentito e doveroso ringraziamento va a tutti coloro che hanno contribuito con la loro presenza all’ ottima riuscita di quest’incontro, e, anche agli amici che per diversi motivi non hanno potuto presenziare fisicamente ma che col cuore erano tra noi, certi che non mancheranno al prossimo appuntamento.GrazieLo staff di setterfoto.com

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AGLI AMICI DI

SETTER FOTO.COM

Cari Amici,

A nome mio personale e dell’Associazione Rosa Gallo, giungano i più sentiti e

sinceri ringraziamenti per la sensibilità e generosità dimostrata nei confronti della

ricerca scientifica nel campo delle malattie infiammatorie intestinali, ricerca che

continuerà anche grazie a Voi tutti.

Cordialmente

Professor GianGaetano Delaini

Struttura operativa e Scientifica:

STRUTTURA SEMPLICE ORGANIZZATIVA DI CHIRURGIA COLO-PROCTOLOGICA DIPARTIMENTO DI SCIENZE CHIRURGICHE E

GASTROENTEROLOGICHE

Policlinico Universitario G.B.Rossi • P.zzale L.A.Scuro,10 • 37134 Verona • T 045 8124635 • F 045 8126344

www.rosagallo.it – [email protected] - Segreteria cell. 345/4833139

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1° Classificata “Emozioni d’autunno” di Giovanni Medea Emozioni d’autunno L’autore ha dimostrato di possedere un’ ottima padronanza del mezzo fotografico, traducendosi ciò nella realizzazione di una fotografia che si distingue per bontà dell’esecuzione tecnica e nel buon gusto per la composizione della scena. L’attore principale posa per il fotografo con i frutti del lavoro svolto e appare fiero e austero, espressione immortalata con ottimo tempismo dall’autore. A completare il positivo quadro troviamo l’ottima ambientazione della scena e la sapiente gestione della luce.

L’autore ha saputo cogliere con ottimo tempismo coniugato ad una ottima realizzazione tecnica un momento importante della battuta di caccia, in cui l’attore principale della scena assume una posizione da cui traspare con evidenza lo stato di tensione presente al momento. Intelligente la scelta di un basso punto di ripresa e la collocazione del soggetto nella parte destra del fotogramma, lasciando spazio e respiro nella direzione dello sguardo e della successiva probabile azione dell’attore

2° Classificata “Primo di rimessa” di Mirco Peli

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3° Classificata “Sparta e la magia della prima neve di Moreno Amalberti

L’autore ha costruito molto bene la scena, sfruttando a dovere la presenza della neve sullo sfondo come contrasto cromatico con il piano intermedio e come trait d’union con il soggetto, realizzando una foto che ha un buon valore anche dal punto di vista tecnico. I frutti del lavoro svolto sono lasciati forse troppo all’immaginazione del lettore e lo strumento utilizzato per la caccia poteva essere messo maggiormente in evidenza.

4° Classificata “Bruma e la beccaccia” di Gianni Marcucci

5° Classificata “Panorama d’autunno” di Luigi Longo

6° Classificata “Ipnosi nel bosco” di Alessio Mascia

7° Classificata “La cerca di Tango” di Roberto Venturini

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8° Classificata “Hill la prende lunga”di Giacomo Giorgi

9° Classificata“Magico autunno” di Andrea Mariani

10° Classificata “E’ andata.....”di Paolo Binda

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13° Classificata“L’essenza di una grande passione”di Emanuela Balz

11° Classificata“York e Glen con stile”

di Nari Cekodhima

12° Classificata“Fantastica esperienza”di Roberto Gadaldi

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14° Classificata “Red e i frutti d’autunno”di Dario Arzaroli

15° Classificata“L’eleganza di Rey”

di Loris Rigamonti

LE FOTO FINALISTE DEL CONCORSO SONO DISPONIBILI SUL SITO SETTERFOTO.COM NELLA SEZIONE “CONCORSI SETTERFOTO”

LO STAFF RINGRAZIA TUTTI I PARTECIPANTI!ARRIVEDERCI AL PROSSIMO CONCORSO!!!!

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Da circa un ventennio Burgio rappresenta un’insostituibile location per un’importante attività di ricerca,studio e censimento, effettuata da un gruppo di appassionati di una delle più misteriose e poco conosciute specie della fauna selvatica, la baccaccia (scolopax rusticola), che l’essere umano non ha saputo ancora intaccare con la riproduzione in cattività. In questo piccolo comuni di poco più di 3000 abitanti, incastonato nel cuore dei monti di Palazzo Adriano e valle del Sosio, di origini antiche risalenti alla civiltà sicana e preellenica dove cultura rurale ed artistica magicamente si fondono che la beccaccia ha scelto il suo naturale sito di sverno all’interno del bosco che si incunea ed inoltra all’interno de3i boschi dei monti di Sant’Adriano che sovrastano il comune di Burgio.Impensabile non ammirare le caratteristiche ceramiche dipinte a mano con i colori tipici del giallo e verde, le campane di bronzo della fonderia Virgadamo, gli oggetti in legno e i ricami, i cento portali in pietra lavorati in epoca ottocentesca, oppure le chiese normanne ricchissime di statue lignee di pregevole fattura, vetrate artistiche,

strutture in ferro battuto e maioliche di antichissima creazione, vicoli arabi e medioevali; questo il biglietto da visita agli occhi di un interessato ed attento turista.Inimmaginabile per colui il quale adora immergersi e ritrovarsi a contatto con la natura non inoltrarsi in questi luoghi fantastici caratterizzati da un ambiente naturale variegato e biodiversificato e da una moltitudine di biotipi ed ambienti naturali quali boschi di alto fusto, molto ampi e larghi e di bassa vegetazione, boschi secolari per lo piu naturali, querceti immensi, boschetti cedui di roverelle al di sotto dei quali la caratteristica “disa” (Ampelodesma

Mauritani) cresce copiosa.Questo è l’ambiente naturale rigoglioso dei boschi di Burgio che la beccaccia evidentemente predilige per il suo lungo sostare. Da circa un ventennio l’associazione Beccacciai e Perniciai coordinata dal suo presidente Antonio La Barbera e dal duo gruppo di collaboratori esperti censitori si adopera per portare avanti l’attività di censimento e monitoraggio dello scolopacide.Grazie al Prezioso ausilio di Francesco Messana, curatore dell’aspetto logistico e dei rapporti con le amministrazioni locali, l’Associazione Beccacciai e Perniciai svolge ogni anno per alcuni giorni nel mese di dicembre (quest’anno dal 15 al 18) dei censimenti effettuati grazie l’ausilio del cane da ferma di razza. Importantissimo per la veridicità nonché per le argomentazioni trattate il convegno che ogni anno viene svolto a consuntivo dalla manifestazione da un paio di anni tenuto presso la struttura Hotel Feudo in contrada Campello.Ha aperto il convegno Francesco Messana attraverso un excursus storico dell’attività del gruppo dell’Associazione Beccacciai e Perniciai, sottolineando anche

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l’importante funzione che hanno sul territorie le guardie forestali per la salvaguardia dell’intero patrimonio faunistico e boschivo. Ha preso successivamente parola

il sindaco del comune di Burgio prof. Vito Ferrantelli anche per conto di tutta l’amministrazione comunale sottolineando la rilevanza sociale-scientifica dell’attivita svolta dall’Associazione Beccacciai e Perniciai e come questa sia stata inserita all’interno della guida turistica comunale di Burgio ad oggi anche disponibile online. Altrettanto importante l’intervento del dott. Mario Candore dirigente del Dipartimento Regionale Azienda delle Foreste che ha illustrato come nell’ottica di una gestione faunistica moderna attività come quelle del monitoraggio della fauna siano oggi indispensabili all’interno delle aree protette quali parchi e riserve e zone demaniali anche per la tutela della

biodiversità.Ha chiuso il convegno il presidente dell’Associazione Antonino La Barbera auspicando sempre una maggiore sinergia tra enti locali e

regionali per un incremento di tutte le attività correlate alla scienza con l’utilizzo del cane da ferma di razza e riportando al pubblico in sala la relazione annuale redatta dal prof.

Silvio Spanò presidente del Club della Beccaccia nonché illusre ordinario della cattedra dell’Università di Genova. Il presidente della cooperativa “Arcobaleno” di

Villafranca Sicula, prof. Calogero Girgenti, ha offerto agli ospiti la degustazione delle pregiate arance brasiliane della valle del Sosio-Verdura.

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INIZIATIVE UFFICIALI RECENTI, GESTIONALMENTE UTILI(inviato ad Antonino La Barbera in occasione del convegno di Burgio)

I beccacciai francesi sono molto attivi (e numerosi) pertanto hanno uffici pubblici sensibili alle istanze.Il Club francese è stato il primo e, nel suo ambito, sono maturate le premesse per iniziare ricerche serie sulla beccaccia: lo stesso Fadat è emerso in seno a quel Club e in seguito fece parte dell’Office National de la Chasse (ONC) dove fondò e diresse la Section Bécasse, la prima organizzazione pubblica che si interessasse a tutto campo allo studio e gestione della beccaccia, dove ebbe grande impulso lo studio dell’age-ratio dall’esame delle ali, finalmente messo definitivamente a punto dal Danese Ib Clausager (primi anni ’70) e in seguito applicato da molti ricercatori in molti Paesi (il Club della Beccaccia italiano dal 1976)L’ ONC (oggi Office National de la Chasse et de la Fauna Sauvage –ONCFS-……anche in Francia cambiamento di acronimi nel corrispettivo del nostro Laboratorio di Zoologia Applicato alla Caccia, poi Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina –INBS -, poi Istituto Nazionale della Fauna Selvatica –INFS- e oggi Istituto Superiore per la protezione e la Ricerca Ambientale –ISPRA) ampliato e arricchito anche nella sua sezione di ricerche sulla beccaccia, ha dato un grandissimo impulso agli inanellamenti specialistici (oltre 70.000 beccacce inanellate grossomodo nell’ultimi ventennio) e ai rapporti internazionale, con la Russia in particolare (Madre di tutte le beccacce, ricordiamolo) per seguire l’andamento del passo dalle aree di nidificazione (monitoraggio dei maschi riproduttori in croule) e

quindi per seguire (inanellando) i primi spostamenti migratori autunnali nella stessa Russia, controllandone la % dei giovani (precoci e tardivi) indice importante dell’andamento riproduttivo annuale.Grazie a questa rete di informazioni nelle ultime annate abbiamo avuto tempestiva comunicazione di cosa dovevamo aspettarci nell’inverno (l’anno scorso, con i pesanti influssi degli incendi e della siccità, la % di giovani in partenza era intorno al 45%, la metà della norma, che ha avuto un oggettivo riscontro negativo sulle svernanti, del tutto trascurato dai nostri responsabili venatori…sperando di non portarne ancora le conseguenze). Fortunatamente la stagione di nidificazione 2011 è stata migliore e il successo riproduttivo ha fornito una percentuale di giovani in partenza del 70-80%, normale quindi…..Staremo a vedere.Ancora in Francia, terra di maggior svernamento e “mattanza “ di beccacce, un po’ per senso di colpa e molto per il rischio di veder diminuire troppo il capitale di beccacce,

esposto ad una caccia poco sportiva in occasione di gelo intenso e prolungato, è stato messo a punto ed applicato un “Protocollo ondate di gelo” in base al quale monitorare le concentrazioni da freddo e quindi predisporre un sistema di allerta per sospendere tempestivamente la caccia a cura delle Prefetture. In queste ultime stagioni, quasi ogni anno il protocollo è stato applicato da alcuni Dipartimenti diminuendo l’impatto eccessivo e incivile della caccia su uccelli defedati dalla mancanza di cibo.Ma un punto dolente risulta che dal 1974 il CNB francese andava proponendo un limite dei prelievi, ma fino al 31 maggio 2011 l’iniziativa restava demandata ai prefetti che potevano instaurare un PMA (prelievo massimo autorizzato) solo a livello Dipartimentale. Infatti in Bretagna da qualche anno era stato instaurato un sistema di tesserini obbligatori per i beccacciai su cui marcare le catture, applicando su di esse una contrassegno staccato dal tesserino stesso.

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Inoltre si prevedevano tetti massimi giornalieri, settimanali e annuali. Da quest’anno, superate le divergenze con la Federation National des Chasseurs il ministro competente ha istituito per la beccaccia un PMA nazionale, con tesserino unificato, con tetto individuale annuo massimo di 30 beccacce e la possibilità dipartimentale di modulare le limitazioni giornaliere e settimanali.E’ stato osannato come un grande successo gestionale, e forse lo è, ma possono esser avanzate alcune considerazioni critiche.In Italia abbiamo da decenni l’obbligo del tesserino su cui marcare giornate e prede; i tetti sono demandati alle regioni, che per lo più dimenticano quello annuale e si limitano a quello giornaliero, purtroppo tuttavia poco rispettato e per nulla fatto rispettare. Carente è poi l’elaborazione dei risultati. Comunque c’eravamo arrivati prima!L’utilità di un tetto annuale resta tuttavia illusoria in quanto non abbiamo un riferimento sui quantitativi da non superare; eppoi 30 beccacce/anno sono realmente troppe, tanto più che non sappiamo quanti sono i beccacciai che ne possono usufruire (in Italia se ne potessero usufruire tutti i potenziali uccisori di beccacce daremmo licenza di uccidere circa 2.000.000 di esemplari all’anno!). Meglio i limiti settimanali che in Francia per lo più parlano di 3 beccacce, che in definitiva, diminuiscono il rischio di eccedere nella permissività assai di più che le classiche 2-3 beccacce /giorno…basta fare i conti).Quello che voglio sottolineare è che molto si muove, seppur lentamente, e speriamo di raggiungere regolamentazioni efficaci prima che le beccacce facciano la fine di

tante altre specie “troppo” amate e studiate!Altri Paesi che hanno portato avanti iniziative interessanti sono la Gran Bretagna e la Spagna, che tra l’altro hanno realizzato ripetuti radio tracciamenti satellitari di successo confermando e ampliando alcune conoscenze che ci provenivano dall’inanellamento, (abbiamo già parlato della Russia che offre un ottimo contributo); la Danimarca monitora costantemente i prelievi e le age-ratios; l’Italia, con le sue tre associazioni beccacciare, porta avanti programmi decorosi, ma purtroppo frammentati e in parziale competizione (sulle age-ratio, sui monitoraggi, sul radio tracciamento ecc.).Non dimentichiamo tuttavia che il nostro ISPRA ha recentemente preso a cuore la ricerca sulla beccaccia.Nel dicembre 2009 è stato elaborato e distribuito alle Regioni un documento molto articolato, a cura di Valter Trocchi e Silvano Toso, sulla gestione della beccaccia in inverno che, oltre ad un approfondito inquadramento delle problematiche comprendeva un adattamento alla situazione italiana del Protocollo francese “Ondate di gelo” e il Protocollo, tutto italiano, per il monitoraggio delle beccacce svernante nelle aree protette con l’uso del cane da ferma, messo a punto in collaborazione con l’Università di Genova e il Club della Beccaccia, ben visto anche dal mondo della cinofilia quale prima apertura e contatto con il “chiuso” mondo dei Parchi.

Nella primavera 2011 è infine stato avviato un “Progetto di ricerca: ruolo dell’Italia nel sistema migratorio

della beccaccia Scolopax rusticola”, a cura di Arianna Aradis e Fernando Spina, che ha come obiettivo lo studio delle strategie di migrazione pre e postriproduttiva della specie, di descrivere le rotte migratorie, di localizzare i siti di sosta lungo tali rotte e di conoscere le aree di origine delle popolazioni di beccacce che svernano o transitano in Italia. Il progetto si basa sulla creazione di una rete di stazioni di inanellamento in diverse realtà geografiche italiane, con uno sviluppo ulteriore, vincolato al reperimento di adeguate risorse economiche di utilizzare la tecnica del radio-tracking satellitare.La realizzazione del progetto potrà

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permetterci di ottemperare al monitoraggio delle specie migratrici imposto al nostro Paese dalla

Direttiva 2009/147/CE e dalla Convenzione di Bonn.Questo progetto è stato stimolato anche da recenti dati ottenuti da due progetti sviluppati in accordo con la Tenuta di Castelporziano che hanno contribuito a definire alcuni aspetti dell’ecologia dello svernamento, migrazione e sopravvivenza invernale. A questi s’è affiancata una ricerca di genetica molecolare, nel tentativo di individuare le popolazioni che interessano l’Italia (proseguendo quanto già iniziato nel 2000 dall’Università di Genova).Il progetto si propone il coinvolgimento e la collaborazione di tutti gli Enti Pubblici interessati

alla conservazione e gestione della specie.Con la speranza che, finalmente,

si possa coinvolgere anche una sia pur selezionata porzione di cacciatori specialisti, che possano così contribuire a potenziare, anche fisicamente, alla realizzazione pratica del programma. La strada è lunga e in salita, ma già possiamo considerare “virtuosa” questa ufficiale presa di posizione del nostro glorioso Istituto, nel quale dobbiamo riporre la nostre speranze per una corretta gestione faunistica al fine di una caccia cosciente e durevole.Noi del Club della Beccaccia abbiamo già offerto la collaborazione, anche economica, per iniziare tangibilmente l’avvio del progetto.In chiusura, comunque, voglio fare

una constatazione, una domanda ed una esortazione/augurio:1-Constatazione: -La caccia alla beccaccia è diventata una “persecuzione” vera e propria. Nessuno la lascia in pace né a parole (nei bar, su Sky), né sulla carta stampata, né sul web né……ovviamente nel bosco!Sta diventando un’assurda gara, un agonismo feroce, un accanimento che porta ad una evoluzione negativa dello spirito beccacciaio (“hai preso la prima?”, “quante ne hai fatte?”….e giù confronti con gli amici-competitori in una spirale perversa!), cui ha ampiamente influito l’evoluzione della tecnologia (facilità di spostamento, sia aereo che terrestre, telefonini con scambio in tempo reale di notizie e rapidi cambiamenti di programma verso le aree di buttata, cani a enorme cerca, di ferma solidissima e possibilità di esser reperiti tramite beeper e gps, cartucce dispersanti, fucili a canne raggiate in volata ecc.). Le regole non bastano e per lo più non vengono rispettate.2- Domanda: In definitiva dobbiamo chiederci se in pratica vogliamo studiare per conservarla, oppure saperne di più per “eradicare” la specie.3- Esortazione/augurio: Diamoci una calmata, cerchiamo di essere più gelosi di questo fantastico dono della Natura, senza sputtanarlo ai quattro venti, rispettandolo, riduciamo la nostra “foia” di numeri e di abbattimenti…godiamocelo nel nostro intimo e basta, con parsimonia ….con l’augurio che possa durare a lungo!

Silvio Spanò

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Gli acidi grassi polinsaturi omega-3 sono contenuti soprattutto negli olii di pesce (quindi anche nel pesce) ed anche in alcuni oli vegetali come riassunto nella tabella.

La loro importanza in campo nutrizionale deriva dalla scoperta che la loro assunzione costante nella dieta riduce notevolmente il rischio di patologie cardiovascolari perché sostanzialmente aumentano la fluidità del sangue riducendo la formazione di placche aterosclerotiche e quindi di trombi.In ambito veterinario l’interesse nei confronti di questi acidi grassi è rivolto soprattutto per la prevenzione e il trattamento delle dermatiti allergiche. In effetti è stato visto che la loro ottimale integrazione nella dieta riduce notevolmente le manifestazioni di allergia a carico della pelle (desquamazione, prurito, dermatiti). Cerchiamo brevemente di capire come agiscono e come utilizzarli nell’alimentazione del cane. Sia i grassi omega-3 che quelli omega-6 presenti nella maggior parte degli oli vegetali servono all’organismo per produrre alcune sostanze dal nome un po’ complesso e chiamate in generale eicosanoidi (prostaglandine, trombossani e leucotrieni) che tra le varie funzioni svolgono il ruolo di scatenare un processo infiammatorio, che è un normale

meccanismo di difesa e riparazione dell’animale. Tuttavia in alcune situazioni, come le allergie, l’infiammazione è sostanzialmente inutile ed anzi si rivela dannosa in

quanto produce degli effetti nocivi all’organismo. Le molecole responsabili delle manifestazioni dell’allergia qualora derivino dagli acidi grassi omega-6 risultano sostanzialmente nocive mentre quelle derivate dagli acidi grassi omega-3 non lo sono ed anzi sono in grado di contrastare gli effetti delle prime, riducendo così le manifestazioni allergiche. Per questo motivo è importante che gli omega-3 siano presenti in quantità sufficienti nella dieta. In realtà è stato scoperto che più della quantità assoluta presente nell’alimento è importante la proporzione che c’è tra gli omega-6 e gli omega-3; il rapporto ottimale

dovrebbe essere compreso tra 5 a 1 e 10 a 1, cioè tra 5 e 10 parti di omega-6 e una parte di omega-3. Non tutti i mangimi industriali riportano queste informazioni; nei

casi in cui troviamo riportata solo la composizione dei grassi del mangime dovremmo calcolare la percentuale totale degli omega-6 (acido linoleico) e quella degli omega-3 (acido linolenico, eicosapentaenoico e docosaesaenoico) e dividere il primo per il secondo. Se il risultato finale è compreso tra 5 e 10 vuol dire che la composizione degli acidi grassi polinsaturi è quella ottimale per garantire gli effetti benefici degli omega- per il nostro cane.Per maggiori [email protected]

(foto di David Stocchi)

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INTRODUZIONE

Ci sono molte maniere per entrare in contatto con la natura e credo che la caccia possa essere una di queste, purchè vengano rispettati regole e principi etici, magari auto imposti.Quante volte un cacciatore si diverte al solo ammirare il proprio cane intento nella ricerca e nella punta, senza necessariamente avere un fucile in mano.Chi scrive è un naturalista convinto ma vengo da una famiglia in cui tutti erano o sono stati cacciatori e di grosso livello. Sono cresciuto tra i cani di mio nonno e le cartucce che mio padre la sera si preparava in salotto. Ho vissuto quindi e respirato quell’aria e ho pure preso il fucile in mano diverse volte. Ho sparato e qualcosa ho colto pure io, da ragazzino, 12 – 13 anni. Ma erano altri tempi, primi anni ’70. Poi mio

nonno se n’è andato e mio padre ha smesso, tanto, diceva, non c’è più nulla a cui sparare.Oggi mi ritrovo a 50 anni con lo stesso amore per la natura che poi si manifesta con la voglia di esserci, in mezzo alla natura intendo, ma in altri termini che non siano quelli di avere un fucile in mano. Uso altre armi: una macchina fotografia; non premo un grilletto ma un bottone di scatto; il rumore che faccio, quello di un click, è ben poca cosa in confronto ad uno sparo. Ma mi diverto ugualmente e lo scopo di questo articolo vuole proprio essere quello di proporvi un diverso approccio nei confronti degli animali che siete soliti cacciare, senza assolutamente volervi convincere ad appendere il fucile al chiodo, sarebbe un tentativo inutile. Un modo, magari, per riempire il tempo in cui la caccia è chiusa.In questo primo appuntamento non

mi addentrerò in argomenti troppo tecnici, non è questo lo scopo che mi sono prefisso. Quello che voglio fare è una chiacchierata con voi, in cui cercherò di darvi alcune informazioni minime per poter incominciare, se lo vorrete, a praticare la caccia fotografica. Quindi una carrellata sulle attrezzature e sulle strategie, in sostanza dei consigli che mi auguro possano esservi utili. Poi, nelle prossime puntate, affronteremo anche gli aspetti tecnici ma sempre in una misura “soft”, lo stretto necessario per tirare fuori il meglio dai nostri strumenti.

L’ATTREZZATURA

La fotografia naturalistica rivolta a uccelli o ai mammiferi non è affatto facile, comunque la si voglia vedere. Il problema principale è riuscire ad avvicinarsi ai soggetti alla minima

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distanza necessaria e senza spaventarli e vi assicuro che non è cosa da poco. Se è vero che, ad esempio, alcune specie di anatidi, in determinate situazioni, sono abbastanza confidenti nei confronti dell’uomo, è altrettanto vero che altre specie sono assolutamente sfuggenti. Arrivano sempre prima loro a vederci rispetto a noi, in una lotta impari per i semplici strumenti di cui la natura ha dotato l’uomo.

Partiamo dagli obiettivi.

Non c’è bisogno di essere esperti fotografi per avere acquisito alcuni concetti base della fotografia. Tutti voi, immagino, sappiate che un obiettivo e quel sistema di lenti che ci consente di catturare i raggi luminosi che partono da un soggetto e di convertirli su un sensore digitale (o su una pellicola) formando l’immagine ripresa. Gli obiettivi sono caratterizzati soprattutto da due parametri: la lunghezza focale e l’apertura massima. La prima si misura in millimetri e, semplificando di molto le cose e assumendo che un obiettivo sia composto da una sola lente, possiamo definirla

come la distanza tra la lente e il sensore. Maggiore è la lunghezza focale e maggiore sarà la capacità del nostro obiettivo di avvicinare (cioè ingrandire) i soggetti ripresi. L’apertura massima di un obiettivo è, in sostanza, la sua capacità di catturare il più possibile i raggi luminosi che partono dalla scena che stiamo riprendendo. Viene generata da un rapporto in cui è coinvolta anche la lunghezza focale, non ha una unità di misura ma viene identificata da un numero preceduto da una “f”. Sentirete parlare di apertura focale (o semplicemente apertura) di f2.8 , f4, f8, ecc….. Minore è il numero che segue la “f” e maggiore sarà la quantità di luce che entra nel nostro obiettivo o, come si dice in gergo, maggiore sarà la luminosità dell’obiettivo.Come tradurre in pratica questi concetti e, quindi, come scegliere il nostro obiettivo? Vediamolo.Premetto, prima di tutto, che non parlerò di marche per non fare della pubblicità a nessuno. Non è questo il luogo opportuno e tanto meno rientra nei nostri scopi.Come già detto, maggiore è la lunghezza focale dell’obiettivo

e maggiore sarà la capacità di avvicinare i soggetti ripresi. La lunghezza focale è un parametro che varia dagli 8 mm fino a 600 mm. Nell’intervallo compreso tra gli 8 e i 200 mm si tratta di obiettivi utilizzabili prettamente per, foto paesaggistiche, architettoniche, ritratti, manifestazioni sportive ma del tutto inutili per riprendere l’avifauna. Al limite un 200 mm potrebbe essere utile in un safari fotografico, quindi parliamo di soggetti molto grandi quali elefanti o cose simili. Cominciamo a ragionare dai 300 mm in su.In commercio si trovano ottimi obiettivi per la foto naturalistica tra i 300 e i 600 mm. A dire il vero ci sono anche focali più spinte, 800mm o addirittura 1200 mm ma non ve li consiglio affatto, sia per la mole – veramente enorme per un 1200,

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ingestibile se si deve fare un lungo percorso a piedi per giungere nel luogo prestabilito a meno che non siate Rambo - , sia per la qualità di queste ottiche che spesso non è pari a quella delle focali minori. Anche il costo non scherza affatto, ma questo può essere un discorso generale, legato a qualsiasi obiettivo di qualità. Faremo anche un breve accenno ai costi.

Quale obiettivo scegliere?

Per me le focali migliori sono quelle comprese tra i 300 e i 600 mm. Hanno il vantaggio di una relativa versatilità, unita ad un buon fattore di ingrandimento. Il resto dovete farlo voi ma di questo ne parleremo nella parte dedica all’approccio e alle strategie di ripresa.In questo ambito la scelta è molto

vasta e, oltre tutto, non ho ancora chiarito un aspetto, quello relativo alle ottiche fisse e agli zoom. Intanto diciamo che genericamente i termini “ottica” e “obiettivo” sono sinonimi. Le ottiche fisse sono tutti quegli obiettivi che hanno un lunghezza focale fissa. Mentre gli zoom sono tutti quegli obiettivi che hanno la capacità di variare, meccanicamente, la loro lunghezza focale. Generalmente le ottiche fisse hanno una resa maggiore rispetto agli zoom a parità di lunghezza focale selezionata, nel senso che le immagini prodotte risultano migliori in termini di nitidezza e risoluzione dell’immagine. Non è semplice, comunque, progettare uno zoom che abbia un rendimento costante e di buon livello su tutte le lunghezze focali per le quali è stato ideato. D’altro canto, la versatilità di uno

zoom è superiore a quella di un obiettivo fisso; infatti possono fornire una serie di utilizzi che vanno anche oltre gli scopi della foto naturalistica nel senso in cui la stiamo trattando. Ad es. uno zoom 100-400 mm può essere usato tranquillamente per riprendere volatili a 400 mm, ma anche utile per ritratti o particolari di un contesto paesaggistico a 100 mm.Altro fattore di cui tenere conto nella scelta di un obiettivo è la sua apertura massima di cui abbiamo già fatto cenno. Avere una buona apertura massima è fondamentale in tutte quelle situazioni in cui la luce non è molta o quando occorrono tempi di scatto molto brevi per riprendere soggetti in movimento. Generalmente ogni obiettivo viene catalogato proprio in base alla sua lunghezza focale e alla sua apertura massima. Così troverete le diciture 300/2.8 per un obiettivo di lunghezza focale pari a 300 mm e di apertura massima pari a f2.8; oppure 600/f4 per un 600 mm con apertura massima di f4. A parità di lunghezza focale, più l’obiettivo è luminoso e maggiore è la sua versatilità,ma maggiore è il suo costo. Per un 300/f4 di buona qualità ci avviciniamo a cifre intorno a 1500 euro, mentre per un 300/2.8 possiamo andare ben oltre il triplo.Personalmente utilizzo solo ottiche fisse, in due soluzioni: un 300/2.8 e un 600/5.6 a seconda delle situazioni.Una cosa accomuna tutti gli obiettivi di cui abbiamo parlato prima: la capacità di essere intercambiabili, cioè possono essere installati su una fotocamera e cambiati con altri a seconda delle esigenze del fotografo. Questo tipo di fotocamere sono definite reflex e una delle loro caratteristiche principale è

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proprio il fatto di poterle utilizzare in ogni situazione, basta cambiare obiettivo, cosa non realizzabile con una semplice compatta.

STRATEGIE

Come fare, ora, per utilizzare la nostra attrezzatura? Non dovete pensare che un 600 mm ci consenta di riprendere bene un soggetto come una cincia a 50 metri. Non è un telescopio e nella migliore delle ipotesi riuscireste a distinguerlo appena in un intrico di rami e foglie. Occorre avvicinarsi molto di più e qui occorre prendere tutta una serie di provvedimenti e precauzioni per arrivare alla distanza giusta senza spaventare il soggetto. Ma andiamo per ordine.Una cosa fondamentale per ottenere delle buone foto è il punto di ripresa. Un errore che spesso i principianti fanno è quello di riprendere il soggetto da una posizione troppo alta, con un angolo di incidenza tra superficie di appoggio del soggetto e quota della fotocamera troppo grande (fig.1), una situazione tipica di chi fotografa stando in piedi. La posizione ottimale è quella più in linea possibile con la superficie di appoggio del soggetto, con un angolo di incidenza il più piccolo possibile (fig.2), compatibilmente con le condizioni a contorno. La prima situazione si presenta spesso, ad esempio, riprendendo degli anatidi in posa su una superficie acquatica da uno dei tanti capanni presenti nelle Oasi. Infatti i capanni sono delle strutture dedicate principalmente al bird-watching piuttosto che alla fotografia. Rimanendo nell’ambito dell’esempio fatto, una buona situazione la si incontra stendendosi sulla riva in prossimità

dell’acqua, adeguatamente nascosti, oppure stando sdraiati su un pontile abbastanza basso sulla superficie dell’acqua. Vi mostro alcune foto che, penso, possano rendere bene l’idea di quanto detto.Nella prima foto abbiamo un tuffetto ripreso da un capanno (EXIF). Tra la linea di galleggiamento e il posizionamento dell’attrezzatura c’è una quota di circa 1,5 m, decisamente troppo anche in considerazione del fatto che il soggetto era a circa 4 m dal fotografo, quindi molto vicino. Si nota come il soggetto sia ripreso un po’ troppo dall’alto.Nella foto 2 abbiamo una folaga ripresa da un pontile posto a circa 40 cm dalla superficie dell’acqua. Per riprenderlo mi sono disteso sul pontile, ad una distanza di circa 6 m dal soggetto. Il punto di ripresa, molto basso sull’acqua, rende lo scatto più realistico, migliora l’effetto dei riflessi sull’acqua e dello sfondo costituito da un fronte di canne palustri.Nella foto 3 abbiamo una cincia in ambiente invernale. Il soggetto è posato su un ramo a circa 70 cm dal suolo e la mia posizione era seduto nella neve con l’attrezzatura in linea con il soggetto, quindi con un angolo di incidenza praticamente nullo, una situazione pressoché perfetta.Nel quarto scatto vi propongo un fagiano (EXIF) ripreso in una situazione forse insolita ma spesso fruttuosa: dall’automobile. Il volatile era su una spalletta lungo il ciglio di una strada interpoderale, esattamente alla stessa altezza del

finestrino dell’auto quindi anche lui in linea con la fotocamera.Occorre quindi cercare e/o costruire la situazione ideale per ottenere degli scatti che abbiano quel

qualcosa in più, ma non possiamo certo rimanere allo scoperto, con la speranza che qualcosa si avvicini e si posi a qualche metro da noi. Occorre nascondersi e per questo ci sono diversi sistemi che passo rapidamente ad elencare.La presenza di un capanno attrezzato facilità enormemente le cose ma non sempre ce ne sono di disponibili e, come già detto, spesso non sono idonei alla fotografia.Un’ottima soluzione sono i capanni portatili, proprio quelli a volte utilizzati per la caccia. Facili da portare e montare, è opportuno piazzarli sul luogo prescelto dopo un attento studio della situazione. (foto capanno). Di solito, avendo aperture

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basse, offrono un posizionamento sufficientemente in linea con il soggetto.Altra soluzione possono essere i teli fogliari. Sono quei teli formati da una

rete su cui vengono attaccate delle strisce di stoffa o materiale sintetico a imitazione di foglie e che hanno un utilizzo prettamente militare. Sicuramente li avrete visti molte volte in foto d’epoca o recenti mentre coprivano installazioni militari quali batterie di cannoni, carri armati o aerei. Hanno però l’inconveniente, se sono di buona qualità, di essere piuttosto grandi e pesanti. Occorre quindi una preparazione ben studiata e curata del luogo di utilizzo.Un altro utile strumento sono le sciarpe retate. Sono delle reti di dimensioni approssimativamente 200cm X 90cm a colorazione mimetica che vengono utilizzate dai militari sia come sciarpe ma anche,

all’occorrenza, per avere un minimo di mimetizzazione. Non offrono un grande riparo viste le ridotte dimensioni ma possono essere utili per integrare altra mimetizzazione,

magari naturale. Oppure per nascondere il fotografo mentre opera dal finestrino dell’auto.Tutto molto semplice ? Beh, mica tanto perché avere gli strumenti non vuol dire garanzia di successo, bisogna saperli usare.Qualunque tipo di mimetizzazione si utilizzi occorre prima studiare il posto e le occasioni che questo può darci oppure cercare un luogo che possa consentirci di fare qualche bell’incontro. Il consiglio che mi

sento di dare è di prendere un po’ di pratica in situazioni molto semplici quali quelle che ci offrono molte specie di anatidi. E’ piuttosto facile trovare un lago o comunque uno specchio d’acqua con un pontile e qualche anatra nei dintorni. Anche un parco pubblico può andare bene. Gli anatidi poi sono soggetti facilmente avvicinabili, a maggior ragione se in ambiente controllato. Vi propongo la foto di un’anatra mandarina eseguita nell’oasi di Racconigi. E’ un anatide originario della Cina e che a volte è possibile incontrare in parchi pubblici o zone protette e che è molto spettacolare per i colori del maschio nel periodo degli accoppiamenti. La foto è realizzata stando distesi

lungo la riva dello stagno senza alcuna mimetizzazione (foto anatra mandarina)

Fatta così un po’ di esperienza, si può passare a qualcosa di più impegnativo.

L’utilizzo di una postazione fissa, realizzata con una qualunque delle attrezzature sopra descritte, prevede una serie di accorgimenti di base. Innanzi tutto occorre scegliere il posto opportuno e questo non è facile in quanto dovremmo conoscerlo bene. Questo vuol dire sapere quali specie lo frequentano, le loro abitudini cioè i posti dove sono soliti posarsi e le eventuali posizioni di caccia, gli orari e così via. A volte questo studio può richiedere molto tempo ma è tempo speso bene e va fatto sempre con molta discrezione per non spaventare i soggetti. Le prime volte vi consiglio di lasciare a casa l’attrezzatura e di dotarsi solamente di un binocolo con il quale osservare i soggetti e le loro abitudini. Molte specie, rapaci soprattutto, hanno un loro territorio che non abbandonano se non in casi particolari. Osservare quindi il loro comportamento è fondamentale per capire le loro abitudini, per osservare quali sono i posatoi preferiti e posizionare i capanni o le coperture idonee a ridosso di questi ultimi.

Bene, siamo arrivati al termine di questo primo appuntamento in cui ho cercato di darvi qualche informazione di massima. Dalla prossima puntata cominceremo ad affrontare qualche aspetto più tecnico circa la conoscenza degli strumenti a nostra disposizione. Vi aspetto, a presto.

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Dal nome tutto un programma potreste pensare, e, in effetti, la mia storia con Show è stata davvero singolare. Campo Felice (AQ), ho un appuntamento con un certo Zaina, qualcosa mi ricordava questo nome ma non riuscivo a collegarlo al ciclismo, solo dopo capii chi fosse Enrico Zaina, il quale mi fu presentato da un amico dicendomi di trattarlo bene e che forse era interessato a un giovane setter, uno promettente.Enrico arrivò nella piana di Campo felice, scese, si presentò e con un suo amico mi chiese se poteva vedere i cani, sciolsi diversi cuccioloni e uno in particolare colpi Enrico, un figlio di Radentis Giuda. Poi toccò a Enrico sganciare i suoi cani, fece scendere un bianco fegato, mi guardò dritto negli occhi e mi disse Umberto guarda questo setter, guardalo bene. Io quasi snobbando dissi ok vediamolo, fu amore a prima vista, Show fece due aperture da grande cane, ruppe un lacet e risalì un’emanazione come a pochi avevo visto fare, risolse spontaneamente e ripartì percorrendo la piana di Campo Felice come un trialer.Gran cane Show.Arrivò l’ora di pranzo e con Enrico ci sedemmo a tavola, mentre stavamomangiando Enrico mi disse, Umberto ti piace Show vero? Io risposi di sì manon volevo esagerare nell’esternare troppo entusiasmo, Enrico mi disse, lo vuoi? Incredulo lo guardai e chiesi, il cane è un gran setter ma ho paura a chiederti quanto sia la tua richiesta. Enrico mi disse, non è una questione

di soldi, è una questione di cuore, di passione, e di principio, voglio talmente bene a Show che sono disposto a privarmene, in mano mianon ha le possibilità di emergere, io non ho tempo, e a Show bisognadedicarne tanto, tu Umberto sei la persona giusta, mi sono informato e se vuoi facciamo un patto, io ti do show e tu in cambio mi dai la possibilità, poiché lo puoi fare, di scegliere qualche tuo cucciolone che eventualmente mi possa interessare.Come non accettare ci stringemmo la mano e iniziò la mia avventura con

Show. Enrico mi raccontò che si era innamorato di Show quando tre anni fa lo vide in Croazia in allenamento, era di proprietà di Dusan un giudice croato, che lo aveva preso da un suo cliente italiano in cambio di un cane da beccacce. Lo vide il tempo di un turno e gli entrò in testa, poi Dusan si ammalò e poco dopo morì. La moglie del giudice croato, chiamò il vecchio proprietario dicendo che il cane era suo e che doveva venire a prenderlo, dato che Dusan non era riuscito a dargli quel famoso beccacciaio. Il suo vecchio proprietario non volle più tenere Show, ed Enrico, venendolo asapere tramite un suo amico lo acquistò. Andarono in Croazia a

ritirare Show il quale era malconcio, magro pieno di zecche era irriconoscibile tanto che Enrico si commosse al ricordo di quel puledro che l’aveva stregato con la sua classe. Dusan ammalato grave aveva abbandonato al loro destino quasi tutti i cani dell’allevamento, e la famiglia di fronte a quel dramma non era del morale giusto per accudirli.Lo portarono in Italia e lo strapparono da morte certa, con sacrificio lo rimisero in piedi, riprese tono, lo curarono da una grave dermatite e lo riportarono l’atleta che era, un

trialer. Show caccia per un periodo con Enrico sui calanchi Piacentini, e in Svezia, a Galli e Pernici Nordiche, il cane era veramente un trialer, Enrico mi ha confidato delle cose che non voglio raccontare per non sembrare un presuntuoso ma vi assicuro che quei racconti li ho poi rivissuti in prima persona.Ho faticato con Show, ma ho tenuto duro e sono

riuscito a entrare insimbiosi con lui, ora è il mio cane, e, quando lo chiamo mi fissa negli occhi fiero, fiero di essere condotto da me, e questa è la cosa che più mi gratifica.

Ringrazio Enrico per aver creduto in me, ringrazio Show per darmi e farmivivere queste emozioni, e i risultati di questi giorni ne sono la ––––dimostrazione. Ringrazio l’amicizia quella vera, che esiste, ed Enrico conShow ne sono la riprova.

Umberto D’Alessandris

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David Stocchi : Umberto, il tuo Show ha incanalato una serie di risultati dal ritmo impressionante, dimostrando che quando un cane ha qualità, queste emergono anche nel bosco e in montagna. Vorremmo una tua considerazione in merito.

Umberto D’Alessandris : La passione, lo standard del setter nella mente, la selezione genetica, pongono questo setter Mansis Show in una posizione privilegiata. Nel suo sangue scorrono geni che hanno fatto la storia….Del Meschio per citarne alcuni, la sua buona morfologia, il suo inconfondibile stile lo portano a scrutare il terreno con grande facilità, la sua psiche e la passione sono marchi di fabbrica che fanno accapponare la pelle, la sua predazione un dono divino. Mansis Show è un cane che si è distinto in grande cerca, nelle classiche a quaglie, in prove di bellezza, a beccacce, a cotorne e soprattutto nelle normali sedute di allenamento.

“UNA CHIACCHIERATA CON UMBERTO D’ALESSANDRIS” di David StocchiI molteplici c.a.c.i.t. conquistati, sono la testimonianza del suo valore.

David Stocchi : Assodato che Show ha tutte le doti del grande cane, secondo te, quali sono le qualità che riesce a dimostrare meglio nel bosco e in montagna?

Umberto D’Alessandris : Mansis Show è un cane che si è fatto apprezzare per le sue grandi doti venatorie, prima dagli amici chiamati a servirlo tra le innumerevoli peripezie di caccia e poi tra i molteplici appassionati che seguono le prove specialistiche d’alta montagna e a beccacce. Sicuramente si è distinto per il suo coraggio, il metodo di cerca e la voglia esasperata di incontrare, infatti, quando Show sta per incontrare una beccaccia lo capisco dieci minuti prima, la cerca si accorcia, si alternano fasi di accertamento e poi finalmente la filata che prepara la ferma, i muscoli s’irrigidiscono e la struttura si adagia a terra, con gli occhi e il

volto espressivi come se volessero servire su un piatto d’argento la mal capitata regina. Voglio raccontarti

una bellissima giornata sui monti d’Abruzzo al cospetto di un mio caro amico, il 15 ottobre era giunto, le prime piogge avevano preparato il bosco e la frescura autunnale contornava il paesaggio composto di boschi di faggio e montagne ricche di pietraie. La mattinata si è dimostrata sin da subito proficua, il beep di Show in ferma, sull’orlo di una faggeta, la regina ci aveva beffato, nemmeno il tempo di alzare lo sguardo con il cuore in gola e si

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riprende a salire, la coda bianca del mansis spuntava da un groviglio di vegetazione, questa volta l’azione è conclusa nel migliore dei modi. Dopo varie ferme la mezza era giunta, e noi appassionati camminatori, arrivati in una parete impegnativa

consona per le cotorne, stavamo per gettare la spugna quando nel mezzo di quei crepacci musica per le nostre orecchie e spettacolo per gli occhi, Show di nuovo in ferma. Dopo qualche sguardo liberatorio con il sorriso in faccia e i brividi sulla schiena via giù a servirlo, i minuti passavano accrescendo l’attesa, il sudore colava a fiumi, finalmente il frullo liberatorio interrotto dalle nostre fucilate, e grazie a lui

anche la regina delle rocce è stata incernierata. Questo per dirti che, con il suo grande senso di adattamento, per lui non c’è differenza, e, bosco o montagna che sia riesce sempre a far emergere e a dimostrare le sue qualità di setter.

David Stocchi : Sempre in riferimento alle qualità venatorie di Show, a tuo parere, dove si evidenziano meglio nel bosco o in montagna ?

Umberto D’Alessandris : Come prima descritto la sua versatilità e il suo senso di adattamento ad ogni tipo di terreno, lo rendono un cane molto duttile, e, dai forcelli del

nord alle cotorne d’Abruzzo, alle beccacce di tutto il mondo, per lui non c’è differenza, grazie alla sua intelligenza e alla sua prudenza, riesce sempre a confrontarsi nel migliore dei modi con selvatici veri e molto schivi.

David Stocchi :Suo figlio Big, che hai già presentato in prova, dimostra di essere un buon prodotto di Show, quindi quest’ultimo butta bene anche in riproduzione?

Umberto D’Alessandris : Big nasce da Show per una setter figlia di Big Gim, da subito si è distinto per coraggio e voglia di andare. Dopo una breve esperienza all’estero con buoni risultati quest’anno l’ho affiancato a Show durante la caccia, ed è stato amore a prima vista, predatore intelligente abbina la corsa alla cerca, la voglia di incontrare predomina su tutto. Big è un cane molto giovane che ha incominciato l’iter delle prove di montagna con delle ottime prestazioni e molte pacche sulle spalle. Certo è che il successo riproduttivo di un setter con particolari geni non può vedersi con un solo soggetto, ma posso comunque dirti che, con cagne diverse ha dato il suo valido contributo sia in termini morfologici che in termini venatici, aggiungendo precocità e intelligenza ai nuovi nati. Da allevatore vorrei fare un’ultima riflessione, i cani devono essere al servizio del padrone, la corsa deve essere utile alla caccia, l’intelligenza e la passione marchio di fabbrica, ognuno di noi dovrebbe ricercare questo nei propri cani per innalzare quel senso di soddisfazione e appagatezza, che questo mio compagno di avventure Show ha innalzato in me.

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Prima fu il Club National des Bécassiers in Francia; poi, nel 1975, venne il Club della Beccaccia e poi ancora, un quarto di secolo dopo, sono sorte in casa nostra altre due associazioni di beccacciai: Amici di Scolopax (2001) e Beccacciai d’Italia (2004). Ma vediamo come precisamente è andata la storia di queste cose nel nostro paese.

Partiamo da una data lontana, l’anno 1952. Fu in quel tempo che Ettore Garavini, sviscerato amante del lungobeccuto uccello e autore del libro “La beccaccia” (uscito nel 1938 e ristampato nel 1948, divenuto poi “Beccacce e beccacciai” nelle diverse edizioni successive), allora unico socio italiano del club francese nato l’anno prima, dietro suggerimento di M.Georges Briol che del sodalizio d’oltralpe era presidente, fece il tentativo di chiamare a raccolta i devoti a sua maestà la beccaccia per fondare da noi analoga associazione.

Ma l’associazione dei beccacciai italiani, quella volta, non si fece perché le adesioni furono pochissime. Fra coloro che risposero alla chiamata non mancava il consenso caloroso di un appassionato che rispondeva al nome di Giorgio Gramignani e che, suo malgrado, dovette arrendersi all’evidenza dei numeri.

Era passato più di un ventennio, e correva l’anno 1974, quando un altro illustre cacciatore cinofilo, Enrico Benedetti Roncalli, sorprendente e irriducibile novantaduenne, rincorrendo la vecchia e mai sopita idea dell’associazione dei beccacciai d’Italia, riesumò dalla polvere degli archivi l’appello dello scettico e ormai rassegnato Garavini e l’adesione ottimistica di Gramignani, scritti

entrambi comparsi sulle colonne del numero 4 del 1952 di “Andando a caccia”, la rivista di Franco Ceroni Giacometti (in arte “Il Cedrone”), e pensò di passare il testimone a Vincenzo Celano, firma assai seguita del giornalismo cinegetico e autore di un testo di successo uscito qualche anno prima,“Il libro della beccaccia”, che doveva poi conoscere 6 edizioni.

Quando, quello stesso anno 1974, Celano lanciò dalle pagine di “Diana” (n.15 / 1974, pag.30) il messaggio che comparve col titolo “Appello numero due ai beccacciai italiani: questo Club si deve fare”,

un’associazione di beccacciai italiani sembrava un’idea destinata a rimanere un’idea alla stregua di un amore irrisolto. Ma la fortuna fu amica all’autore dell’appello (v. “Diana n.22/1974, pag.37; n.1/1975, pag.38; n.6/1975, pag. 14; n.7, pag.14) perché gli pervenne un elevato numero di consensi.

Il conte Roncalli, spirito navigato che conosceva uomini e cose, aveva previsto tutto: non solo la buona messe di adesioni all’appello di Celano, ma anche il puntuale “pessimismo oltranzista” di Ettore

Garavini (“…in Italia si legge poco e ci si associa alle diverse organizzazioni venatorie unicamente per questioni di assicurazione e di politica” per cui “la formazione del Club non potrà trovare molti aderenti”) e il consenso incondizionato del pointerman Gramignani, sempre pronto a dare il necessario contributo all’impresa.

Il Club della Beccaccia fu fondato il 5 luglio 1975 a Ravenna, in una nutrita e indimenticabile assemblea, tenuta nell’aula magna della Casa dello Studente in via Mariani, alla quale presero parte i personaggi storici della caccia e della cinofilia e

tanta gente per certi versi originale.

Per unanime decisione degli intervenuti, la presidenza venne affidata a Ettore Garavini, che rivolse loro un commosso saluto di ringraziamento, nel quale ebbe a sottolineare: “Il merito di questa riuscita è certamente da attribuire nella quasi totalità all’amico dott. Celano che, con i suoi articoli pubblicati sulla più importante e diffusa rivista di caccia, “Diana”, ha saputo attirare l’attenzione e l’adesione della categoria più genuina e nobile dei cacciatori,

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quella dei beccacciai” (v. “Diana n.19/1975, pag. 52).

Garavini mantenne la presidenza fino alla morte, avvenuta nel 1983, quando fu sostituito nella carica da Giorgio Gramignani, venuto poi a mancare nel 2001.

Il Club della Beccaccia, presieduto successivamente dal prof. Silvio Spanò, pubblica, sin dal suo sorgere, il notiziario periodico “La regina del bosco”.

A norma di statuto, il Club persegue scopi culturali scientifici di studio e di informazione sui costumi, abitudini, migrazione, consistenza faunistica e su quanto altro interessi la beccaccia, nonché di tutela nell’ambito di un esercizio venatorio sportivo, equilibrato alle possibilità biologiche della specie, curando fra l’altro i rapporti con enti, autorità locali e nazionali e associazioni naturalistiche italiane e straniere.

Ha il merito di aver organizzato in Italia le prime prove di lavoro su beccaccia per cani da ferma e di essersi fatto carico di far introdurre nella legge il divieto di cacciare la stessa alla posta. Il C. d. B. vanta, fra l’altro, anche la primogenitura della raccolta delle ali, ai fini di studiare l’andamento della riproduzione e della migrazione delle popolazioni di beccacce.

Negli anni che vanno dal 1984 al 1989, anni di forte contestazione dell’attività venatoria, su iniziativa e a cura del vicepresidente Vincenzo Celano, il sodalizio, avvalendosi di una prestigiosa giuria, composta da nomi illustri del mondo letterario e di quello venatorio (Antonio Altomonte,

Giorgio Barberi Squarotti, Vincenzo Celano, Piero Chiara, Gian Antonio Cibotto, Fausto Gianfranceschi, Cesare Marchi, Bruno Modugno, Franco Nobile, Enrico Vallecchi), organizzò il Premio letterario “L’Arcera” (dal nome antico della beccaccia in Lucania chiamata appunto arcera, per la sua somiglianza che la sua sagoma in volo ha con l’arco e la freccia) per un racconto o un elzeviro ispirato alla caccia, pubblicato su quotidiani o periodici non del settore.

Le trasformazioni socio-economiche nel frattempo sopravvenute e l’equilibrio degli habitat naturali resosi assai precario dettavano al cacciatore del terzo millennio l’esigenza di riposizionare la conservazione del capitale beccaccia e un prelievo a carico

della specie stessa entro i canoni etici di una pratica sostenibile.

Nacque con questa coscienza, il 19 maggio 2001, l’associazione “Amici di Scolopax”, promossa da Alessandro Tedeschi, già titolare di un sito tematico su internet acquisito allo scopo precipuo di fronteggiare la caccia alla posta. L’assemblea di A. d. S., tenutasi a Pontecorvo, elesse presidente dell’associazione Tedeschi, conferendo la presidenza onoraria del nuovo sodalizio a Vincenzo Celano, sostenitore in occasione del precedente convegno romano (settembre 2000) dell’assoluta necessità di rompere con un certo immobilismo per portarsi ben oltre gli stretti confini locali e nazionali e approdare a una gestione delle popolazioni di beccacce e degli habitat concordata

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su base internazionale, a livello cioè di paleartico occidentale, che è notoriamente il vasto areale biogeografico, che si estende dalle terre artiche sino alle regioni mediterranee, arabica e siberiana, entro cui l’uccello nidifica, transita, sverna e viene cacciato.

L’associazione“Amici di Scolopax”, costituitasi sotto la denominazione giuridica di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (onlus), nacque con l’intento di perseguire, come d’altra parte le altre due associazioni italiane consorelle, l’obiettivo di razionalizzare e contenere i prelievi in misura compatibile; contrastare la posta alla beccaccia e il commercio della stessa; attuare studi sulla migrazione della beccaccia e ricerche sull’andamento delle sue popolazioni; sollecitare

la crescita del cacciatore moderno anche mediante l’istituzione di un regime di maggiore libertà per l’attività cinofila nel corso del mese di febbraio a caccia chiusa e il monitoraggio della beccaccia e dell’ambiente all’interno delle aree protette; ricercare le sinergie e il confronto propositivo in ambiti internazionali.

Anche con questi intenti, il sodalizio in discorso, per iniziativa del presidente Tedeschi, promosse e organizzò, in collaborazione con l’Assessorato alle Attività Faunistico-Venatorie della Provincia di Salerno, retto da Carmine Rinaldi, il simposio internazionale “Gestione della Beccaccia: interazioni e sinergie tra mondo venatorio, scientifico e istituzionale”, tenutosi nel maggio 2004.

L’importante incontro consentì a valenti esperti e studiosi italiani e stranieri di confrontarsi sull’attualissimo e delicato problema della gestione e conservazione della beccaccia europea. Relatori i presidenti delle associazioni di beccacciai aderenti alla neonata FANBPO (Federazione delle Associazioni Nazionali dei Beccacciai del Paleartico Occidentale), sodalizio europeo per la gestione conservativa della beccaccia: Jean Pierre Campana, Club Nazionale dei Beccacciai di Francia; Fluck Denis, Club dei Beccacciai di Ungheria; Philippe Leresche, Associazione dei Beccacciai di Svizzera; Pep Ullastre, Club dei Beccacciai di Spagna; Silvio Spanò, Club della Beccaccia, Italia; Alessandro Tedeschi, Amici di Scolopax, Italia. Relazionarono inoltre: Yves Ferrand, coordinatore di Recherche Bécasse, Office

National Chasse Faune Sauvage, Francia; Nöel Fremine, Commissione scientifica del CNB, Francia; Sergei Fokin, presidente Russian Woodcock Reserch Group, Russia; Petr Zevrev, Senior Manager Russian Woodcock’s Hunter, Russia; Vincenzo Celano, saggista cinegetico, Italia; Anna Aradis, ricercatrice dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, Italia; Paolo Pennacchini, allora vicepresidente A. d. S. e lettore delle ali col metodo Boidot, Italia; Domenico Vigliotti, coordinatore Commissione Biologia A. d. S. Italia.

Con l’intento di conferire maggiore slancio e forza progettuale e, quindi, far compiere passi decisivi al nuovo modo di concepire la conservazione e la caccia della beccaccia, si è costituita a inizio luglio 2004 l’associazione “Beccacciai d’Italia”, che ha per scopi statutari: la realizzazione e la promozione di studi e ricerche scientifiche sulla specie cacciabile Beccaccia; lo sviluppo dell’attività di documentazione sulla migrazione e sul comportamento della beccaccia in territorio italiano e europeo; il monitoraggio della presenza della beccaccia ai fini dell’elaborazione di tecniche di gestione faunistica che assicurino la conservazione della specie; l’affermazione dei principi di un’attività venatoria sostenibile che realizzi l’equilibrio tra prelievo e conservazione della specie; la partecipazione a iniziative europee di gestione integrata della specie Beccaccia su tutto il Paleartico Occidentale; la salvaguardia dell’integrità e della qualità degli habitat naturali e il risanamento di quelli compromessi; l’elaborazione di proposte normative agli enti di gestione e amministrazione della caccia e della protezione della

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natura; la collaborazione con Istituti di ricerca, Università, Enti e Associazioni, nazionali e esteri; la collaborazione con le associazioni venatorie e con le associazioni ambientaliste per il superamento della figura del cacciatore predatore e l’affermazione del cacciatore di beccacce con l’uso esclusivo del cane da ferma e da cerca, meglio definibile come operatore della gestione integrata della beccaccia, inteso quindi come figura di raccordo fra mondo venatorio e ambientalista, i cui comportamenti altamente rispettosi della natura insieme alle nuove modalità di prelievo venatorio, forniscono i dati della ricerca scientifica applicata alla caccia e alla conservazione della specie; la diffusione dell’uso del cane da ferma iscritto ai libri genealogici e altamente selezionato affinché la soddisfazione fornita dalla qualità dell’incontro con la beccaccia sostituisca la soddisfazione ricercata nella quantità dei prelievi; la diffusione delle attività cinofile riconosciute dall’Ente Nazionale della Cinofilia con specifico riferimento alla beccaccia e ai fini della selezione.

L’associazione Beccacciai d’Italia, presieduta da Paolo Pennacchini, ha concluso accordi importanti con enti pubblici, associazioni venatorie e ambientaliste in merito al progetto di raccolta e lettura delle ali, alla costituzione dell’Osservatorio Nazionale per la Gestione Faunistica e al monitoraggio del ripasso primaverile con l’ausilio del cane da ferma. Il sodalizio, nel maggio 2007, ha tenuto a Lecce il convegno internazionale “Beccaccia, Cinofilia e Ricerca Scientifica”, con interventi di: Jean Paul Boidot, Francia; Pep Ullastre, Spagna; Felipe Diez Carriles, Spagna; Colin Troutman, Inghilterra; Fluck Denes, Ungheria; Roberto Ghenga, Spagna; Dusco Sormaz, Serbia; Mantis Athanassios, Grecia; Francesco Balducci, Italia; Paolo Berlingozzi Italia; Vincenzo Celano, Italia e altri.

…E DELLE PROVE A BECCACCE

Le prove a beccacce, da noi, si tengono dall’ormai lontano novembre 1976, epoca della prima manifestazione del genere organizzata in Italia per iniziativa del

Club della Beccaccia e corsa in via sperimentale in provincia di Salerno, alla Cerreta di Montesano. Ne furono giudici Giorgio Gramignani e Saro Pantò, che a beccacce erano andati veramente e ne conoscevano vita e miracoli.

Quel giorno di inizio novembre, con passo in ritardo, giove pluvio aveva aperto tutte le cateratte del cielo, ma Gramignani, allevatore utilizzatore di pointer e beccacciaio di comprovato ardore, incurante del diluvio che ormai gli veniva addosso, godeva a seguire l’esplorazione brillante di un giovanissimo setter di Celano, soggetto non ancora all’anno di vita, che si chiamava Perri delle Vallate e che a lui ricordava il “favoloso Nobel” degli anni suoi verdi, felice in cuor suo di essere, ancora una volta, lontano dal suo studio di medico odontoiatra per seguire una nuova emozionante esperienza su un selvatico a lui più che familiare ma che mai prima di allora, in Italia, era stato oggetto di prova.

E’ d’obbligo qui ricordare almeno un cane storico nelle prove a

beccacce, la Zara di Lorenzo Fanti. Questa tipica setter bianco arancio, valorosa a caccia e in prove, prima nella vicenda di questi concorsi a conquistare la qualifica di Cac, aveva il senso della beccaccia e, fra l’altro, era maestra nel negoziarla. A giusta ragione il giudice Sorichetti la definì “una setter che è un otter”.

Altri cani dopo di lei e in tempi più vicini a noi hanno fatto bene in prove a beccacce. Cito unicamente

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Faloo di Giancarlo Bravaccini perché è stato il primo cane a essere laureato campione italiano di lavoro esclusivamente con i titoli conquistati nelle prove a beccacce. Gli altri che si sono imposti in queste prove appartengono alla cronaca dei nostri giorni, peraltro puntualmente registrata dalla stampa del settore.

Le prove di bosco, da quegli esordi di oltre un quarto di secolo fa, sono per numero e anche per qualità cresciute. Si sono individuate altre e più idonee palestre, cosicché, in questi nostri tempi di penuria di selvatici degni del nome, ne organizzano e ne giudicano anche coloro che si stracciarono le vesti quando uno dei massimi conoscitori della beccaccia e del setter inglese, che risponde al nome di Vincenzo Celano, sulla rivista “Diana” ne lanciava l’idea e discuteva dell’opportunità di correrle pure nel nostro paese, visto che in Francia erano di ordinaria amministrazione sotto l’egida del Club National des Bécassiers.

Solo per completezza di storia, ricorderò che, inizialmente, sul conto delle stesse nicchiava anche l’ENCI, a cui il Club aveva proposto una bozza di regolamento elaborata dallo stesso Celano anche sulla base delle informazioni fornitegli da Maurice Le Peck, giudice francese specializzato di prove a beccacce, e dal resoconto fatto da Armando Diaz (il nipote del “Generale della Vittoria”), socio del neonato Club della Beccaccia, appositamente inviato in Francia in occasione di alcune importanti prove.

Fu Alberto Chelini a interporre i suoi buoni uffici presso l’ente cinofilo

che, alla fine, dopo averlo in qualche punto inopportunamente cambiato, approvò il regolamento tuttora in vigore, che sarebbe il caso di riformare finalmente per adeguarlo alla particolare importanza che le prove a beccacce hanno assunto attualmente, prove che in ogni caso dovrebbero rimanere vicenda specialistica, sia dal punto di vista organizzativo che da quello del giudizio.

La ragione dell’importanza di dette prove non è solamente di natura sportiva, ma persegue una finalità zootecnica e, in più, una di natura faunistico-ambientale, ora che si va registrando in una parte del mondo venatorio una maggiore coscienza ecologica. Attualmente, infatti, più di una prova di questo tipo si svolge in aree protette, come parchi regionali e anche nazionali. Per la storia, ricorderò che la prima prova a beccacce tenutasi in un parco nazionale del nostro paese fu quella organizzata da Amici di Scolopax, il 22 dicembre 2002, nel suggestivo scenario lucano del Parco del Pollino, in agro di Castelluccio.

Ai nostri giorni, nella mente di chi regge e governa le aree protette, si va facendo strada, sia pure con non poche e ingiustificate resistenze, la consapevolezza della utilità, e meglio ancora della necessità, di un monitoraggio attento delle condizioni ambientali e faunistiche delle aree sottoposte a tutela, monitoraggio che deve essere condotto da chi, come certa parte evoluta del mondo cinegetico, ha effettiva conoscenza del territorio e dei problemi connessi.

Svolgendosi, queste prove, su un selvatico così autentico,

assumono particolare valore sotto il profilo zootecnico in quanto utili a individuare indizi e, per meglio dire, tracce affidabili di qualche linea di sangue interessante, che dà cioè cani veramente cacciatori, discendano essi da soggetti a loro volta trionfatori in prove a beccaccia o semplicemente da campioni accreditatisi in prove di montagna, su coturnici, su starne buone, beccaccini e pernici.

Le prove di bosco sono confronti impegnativi, soprattutto sincere come poche altre, proprio come quelle a beccaccini e a galli e coturnici in montagna, quando accortamente organizzate e quando con competenza e correttezza giudicate.

Nel tempo tiranno del turno, fatto di minuti e non di ore, l’arbitro deve poter stabilire chi precisamente è quel cane che muove per il bosco. Appurare a rapida cottura se ha cervello e naso oltre alle gambe, e metodo di cerca e senso del selvatico, e capacità di negoziarla, la beccaccia e, inoltre, se esibisce in buona dose le caratteristiche della razza a cui appartiene, perché un bracco deve cacciare da bracco e un setter da setter, sempre. Diversamente che gusto c’è e che selezione si fa a metterle in cantiere, ’ste prove, e a prendervi parte? Il giudizio è il filtro più importante e delicato per la tutela delle razze. Tutto il resto può rimanere in subordine. Perciò qui ci viene fatto di raccomandare: eviti di assumersi certe responsabilità chi non ha il fisico del ruolo.

Il Controcanto del Cuculo

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Viviamo gli anni in cui la tecnologia e l’elettronica influenzano tutti i settori, anche quelli che affondano le radici in una tradizione antica quale è quella della caccia. All’invadenza tecnologica oppone una tenace resistenza il buon vecchio campanaccio che, al contrario, intercetta sempre nuovi estimatori nell’attività venatoria e, in particolare, nella caccia alla beccaccia. Nell’ambito di discussioni sempre più frequenti riguardanti etica, caccia e prelievo sostenibile, il campanaccio trova la collocazione naturale, in compagnia dei fucili di calibro e numero di colpi ridotti nonché di cartucce con grammature sempre più leggere. I suoi nuovi proseliti sono coloro che amano cacciare nel modo tradizionale e trovano nel campanaccio, più che un suono, una musica che, ad una attenta lettura, descrive ogni fase del lavoro dell’ausiliare. Tra questi sono particolarmente apprezzati i campanacci sardi, costruiti a Tonara, un paese della Barbagia, da solo due artigiani (Floris e Sulis), che si tramandano questa vera e propria arte di padre in figlio da diverse generazioni.

“IS PITIOLOS FUNTI COMENTE EI SA GENTE: ONNIUNU TENE’ SA OGE SUA”

“I CAMPANACCI SONO COME LE PERSONE: OGNUNO HA LA SUA VOCE”

Vengono costruiti con lo stesso metodo da più di un secolo, manualmente, con rarissimo apporto di macchinari, conservando le stesse forme e caratteristiche. Nati per il bestiame da pascolo, che ne fanno un uso fondamentale, sono poi diventati anche strumento utilissimo per l’attività venatoria sia per i cani da ferma che per quelli da seguita. Si trovano fondamentalmente di 4 tipi : serie tonda, quadrata, lunga, semitonda. Ogni tipo ha da 4 a 18 dimensioni diverse, dal più piccolo (cm 3,1 x 3,9) al più grande ( cm 29 x 31,5). Si diversificano anche nello spessore delle lamiere che, unito al cambiare della forma e delle dimensioni, produce sonorità molto diverse, dallo squillante al cupo passando per tutta una gamma di tonalità. Le fasi più

delicate della lavorazione sono quelle finali, che sono poi quelle che racchiudono il segreto ed il fascino misterioso che viene gelosamente custodito così come promesso agli

antenati. Si tratta della fusione e ottonatura negli antichi crogiuoli e dell’accordatura dei campani, la più difficile e importante, che l’artigiano esegue con colpi sapienti e precisi al millimetro, seduto su un tronco di legna (“su bancheddu”). In particolare quest’ultima lavorazione permette di dare al campanaccio una vera e propria personalità e sonorità. Si tratta della “post’in sonu” ovvero, letteralmente, “messa in suono”, eseguita la quale il campano è pronto per la commercializzazione che avviene su vari canali, quali negozi di pellami, ferramenta, armerie, sagre e fiere paesane, ecc.. Si trovano con il battacchio in acciaio oppure senza quest’ultimo affinchè (soprattutto) i pastori possano montarci il tradizionale battacchio in osso utilizzando la tibia di pecora o capra fissata tramite una striscia di pelle

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all’arco interno. In questa versione, più caratteristico, il campanaccio (in particolare quello con dimensioni più generose) produce dei suoni più cupi e meno squillanti, molto graditi

soprattutto nell’esercizio dell’ars venandi. Ovviamente nel tempo la fantasia si è sbizzarrita: si trovano campanacci antichi persi dal bestiame con battacchi in ferro battuto, con forme tra le più disparate, altri completati con il recupero di fondelli di proiettili militari, ecc.. Inoltre, per mero esercizio estetico, l’osso-battacchio si può lavorare, incidere e personalizzare. Al campanaccio vengono applicati, talvolta, dei fregi in peltro raffiguranti beccacce, coturnici, pernici, ecc.. Ovviamente nessuna di queste varianti e/o aggiunte modifica le caratteristiche essenziali del campanaccio.

Per chi non li avesse mai utilizzati forse è bene elencare quelle che sono le peculiarità del campanaccio nell’utilizzo a caccia ed in particolare nel folto del bosco. Innanzi tutto

bisogna precisare che nella fase di cerca ravvicinata ha il vantaggio di non essere fastidioso o invadente, ma allo stesso tempo di sentirsi anche a grandi distanze ed indicare con precisione tutto il terreno esplorato dall’ausiliario. Nel caso di due o più soggetti sarà sufficiente diversificare le forme dei campanacci per distinguerli senza possibilità di errore.

Ma è nel momento in cui il nostro compagno a quattro zampe entra in contatto con il selvatico che il campanaccio diventa un vero e proprio strumento musicale. Ad un orecchio attento ed allenato esso descriverà tutte le fasi: ferma iniziale, accosto, guidata e, in ultimo, la ferma decisiva. Saprà segnalare con chiarezza un accertamento, un dettaglio su una emanazione, una calda risolta brevemente. Quando poi, dopo l’interminabile ed irreale silenzio, diviene assordante anche il solo battito del cuore o il respiro pesante causato dall’impegno fisico dell’ultima rampa affrontata, infine, irrompe un battere d’ali..... lo sparo ...... lo scampanellio

dell’inseguimento che infrangono il fermo immagine e la quiete antecedente. Sono queste le fasi più emozionanti che diventano le pagine di uno spartito scritto e composto sempre in maniera diversa da due interpreti, il selvatico ed il nostro impagabile ausiliario, il quale ultimo interpreta il ruolo del musicista con il campanaccio come suo strumento. Alla fine della giornata, durante il ritorno a casa, ripercorrendo con la memoria le varie azioni della giornata, ricorderemo una buona fucilata o una sacrosanta padella, ma indubbiamente a rimanere bene impressi nella nostra mente saranno quegli attimi, interminabili, che precedono l’azione conclusiva.

“Dae su ferru nn’essiat s’armoniaCudd’armonia chi ancora est un ispantuE unu secretu de epocas lontanas”

“Dal ferro esce l’armoniaQuell’armonia che è ancora una meravigliaE un segreto di epoche

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lontane”

Grazie Sulis. Grazie Floris. Vi siamo riconoscenti ma non lo saremo mai abbastanza. Voi, con le Vostre mani, la Vostra arte e la Vostra dedizione ci consentite di godere di tutte queste emozioni. Ed inoltre Vi ringraziamo per aver già trasmesso ai Vostri figli questo inestimabile tesoro.

Per maggiori informazioni sui campani sardi potete contanttare l’autore all’indirizzo [email protected]

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