Michelle Magazine n°0

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Periodico mensile di informazione e cultura cinematografica FOCUS ON Piccola patria Special Need La sedia della felicità I grandi esordi RUBRICHE I mestieri del cinema Recensioni Vite da film INTERVISTE Carlo Merlo Lorenzo Renzi Andrea De Rosa Valentina Ghetti Bruno Poli

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Michelle Magazine: rivista di informazione e cultura cinematografica

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Periodico mensile di informazione e cultura cinematografica

FOCUS ONPiccola patriaSpecial NeedLa sedia della felicitàI grandi esordi

RUBRICHEI mestieri del cinemaRecensioniVite da film

INTERVISTECarlo MerloLorenzo RenziAndrea De RosaValentina GhettiBruno Poli

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Michelle. Nomen Omen. Quando si è trattato di dare un nome alla società non ho avuto dubbi. Una società giovane (praticamente neo-nata) non pote-va che avere il nome di una bellissima bambina. Una di quelle bambine intelligenti, curiose, vivaci, e con un sorriso in grado di illuminare il mondo.Così nasce la Michelle Production Group. Così nasce una struttura in grado di coniugare la produzione cinematografica, televisiva e teatrale con il management, l’editoria e l’adverti-sing. Nomen omen, dicevo. Ovvero il destino è scritto nel nome.

Sensibile, coraggiosa, leale, originale, dalle energie illi-mitate, dai molteplici inte-ressi. Caratteristiche che si rispecchiano nella bambina che vedete in questa pagi-na (ispiratrice e mascotte ufficiale) e nell’intero staff della Michelle Production Group.Chi è la Michelle Produc-tion Group lo potete vedere

in questa pagina. Quello che non potete vedere - ma cerchia-mo di trasmettere - è l’impegno che lo staff mette nel proprio lavoro. Lavoro che è, in primis, anche passione. Passione, quella per il cinema, che dimostriamo varando que-sta nuova pubblicazione che del cinema vuole essere riflesso ed emanazione. Cinema (ma non solo!) in tutte le sue forme e in tutti i suoi generi, dal blockbuster all’indie, dalla commedia al dramma, dall’attore del momento all’esordiente. Se il cinema è sogno, io e i miei collaboratori tutti siamo gli (umili) fabbricanti - e cronisti - di quel sogno.Benvenuti a bordo.

Angelo Di Stasio

Giovanni LemboFilm preferito: In the mood for love Wong Kar-waiCitazione: “Non si voltano le spalle ad una bella avventura”

Val YellnikoffFilm preferito: Annie Hall Woody AllenCitazione: “Il cinema non è un pezzo di vita, è un pezzo di torta”

Serena MarconFilm preferito: Ferro 3 La casa vuota Kim Ki-dukCitazione: “La vita è beffarda”

Fabiana LupoFilm preferito: Mulholland Drive David LynchCitazione: “L’essenziale è invisibile agli occhi”

in questo numero.

staff.

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Anno I - Numero 0 - Maggio 2014 In attesa di registrazione presso il Tribunale di Roma

Edito da: Michelle Production Group s.r.l.C.F. e P.iva.:12800101003

Direzione, Redazione: 00159 Roma (Studios ex De Paolis)Via Tiburtina, 521 - www.michelleproductiongroup.it

Per la pubblicità: 00159 Roma (Studios ex De Paolis)Via Tiburtina, 521 - [email protected]

Direttore responsabile: Giovanni Lembo

Hanno collaborato a questo numero: Andrea Cesaretti, Sebastiana Montagno Bozzone,

Vanessa Apolito, Paola Sini.

Progetto grafico, impaginazione e stampa: Studio K•Print00172 Roma Via delle Sequoie 18

Si autorizza la riproduzione parziale degli articoli, purché ne venga citata la fonte. La Direzione non si assume responsabilità per le opinioni espresse degli autori dei testi redazionali e pubblicitari. Tutti i diritti di riproduzione sono riservati. Manoscritti, disegni e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

Magazine

Rivista mensile di informazione e cultura

cinematografica

Ed i t o r i a l e

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raro incon-trare un uomo che, pur di poter

incontrare saltuariamente sua figlia, mette più volte a repentaglio la propria sa-lute, sacrifica quarant’anni di vita passata e ne investe altri dieci in lunghi processi giudiziari. Noi l’abbiamo conosciuto: Bruno Poli.Il 1987 è stato per lui un anno determinante: la sua ex compagna danese si tra-sferisce in Danimarca con sua figlia Stella privandolo per sempre del diritto di essere padre, quest’ultimo da nessun’istituzione mai restituito. La sua sembra una lotta contro dei mulini mossi da un vento invisibile che non ha un volto. Bruno oggi ha tre figli: Lele, il primogenito, che era già un adolescente che lo so-steneva nella sua dura lotta contro le istituzioni danesi; Ailiin, nata nel 1995, quan-do ormai Bruno aveva quasi perso le speranze; e Stella.La sua storia ha dell’incredi-bile e, a tratti, dell’impossi-bile. Eppure è tutta vera. Ed

è questo che rende la sua vicenda un perfetto raccon-to cinematografico.

La Michelle Production ha deciso di realizzare un film sulla singolare storia della sua vita. La sceneggiatura è già in fase di stesura e sarà firmata da Fabiana Lupo e Francesca Scanu, con la supervisione di Giovanni Lembo.Bruno, durante la tua lotta di volti ne hai visti tanti, tra burocrati inefficienti e giudici incapaci di far rispettare le poche sentenze emesse a tuo favore. Con il senno di poi, qual è il volto che dai al tuo avversario di allora? Contro chi o cosa lottavi?

Stella aveva due anni e mezzo. Non ero preparato ad una separazione defini-tiva. Non l’accettavo e mai l’avrei accettata. Per questo obbedii ad ogni loro atroce prescrizione. Le truffaldine e barbare sentenze dei di-versi giudici danesi investiti rivelarono il volto dei miei nemici. Razzisti, ipocriti,

insensibili; ecco i protettori di Susanne: i prepotenti, gli intolleranti. Il dolore e la rabbia mi fortificarono. Non avrei ceduto. Infatti, per anni e anni feci loro guerriglia e processi, coin-volsi tutto il mondo sino a quando riuscii ad ottenere sentenze positive ma che mai applicarono; l’ultima nel 97. Persi tutto! Il razzi-smo e la discriminazione vinsero tutte le battaglie. Ma Stella cresceva.

Quanto e come il “rapi-mento” di Stella ha influen-zato il tuo essere padre e, eventualmente, ridefinito i rapporti con gli altri due figli?Raffaele è un grande figlio. Quanto orgoglio ho per lui. Mi è stato accanto negli anni più duri e anche lui ha duramente sofferto. Nella nostra intimità mi ha visto piangere. Mi ha sempre dato

forza. Ora ha una famiglia splendida e due bellissime e brave bambine; da molti anni vive felice in Olan-da, stimato modellista di scarpe. Tutti vorrebbero un figlio così. Ailiin mi ha ridonato giovinezza e vitalità. Ho riscoperto la tenerezza, la delicatezza e la mia mortificata qualità di uomo e padre, seppur mutilato. Manuela è stato un dono di Dio; i miei rap-porti famigliari da oltre 22 anni trasudano di amore, di rispetto e di serenità.

Hai mai pensato che ci fosse della finzione nella tua storia? Hai mai pen-sato che quello che stavi vivendo non fosse davvero tutto reale?Sì, è tutta vera, seppur assurda, medioevale. Uno Stato che protegge la madre nel separare il padre straniero dalla figlia. Puro razzismo. Battersi contro un intero Stato è disumano, non ci sono speranze. Ma mia figlia era al di sopra di ogni cosa. Niente lamentele, testa alta e avanti. Mia madre mi disse: “I soldi si rifanno.”, e continuai a fare processi su processi, ben 37 e a fare interviste sui media di tutto il mondo. Stella cresceva, qualcuno l’avrebbe infor-mata e così avrebbe saputo che suo padre non l’aveva mai abbandonata.

Bruno Po l i ,una v i ta per Ste l l a

Una v i ta da f i lm

E'di Fabiana Lupo

I nostri Sponsor

Via Anagnina, 385/387 - Roma

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Ha avuto uno straordinario successo la prima di Karol Wojtyla La vera storia. The opera musical al Brancaccio. Una rappresentazione intensa e commovente, dalle sceneggiatu-re imponenti e dal respiro internazionale che farà rivivere in palcoscenico la storia di un Papa entrato nel cuore di tutti. Un’opera che ripercorre la vita di Karol Wojtyla, un grande comunicatore che ha cambiato il mondo.Co-prodotto dalla Michelle Production Group, per la regia di Duccio Forzano, coreografie di Tuccio Rigano, musiche di Noa, l’opera musical è un imponente ed epico viaggio che consente al pubblico di scoprire i valori salienti appartenuti sia all’uomo che al pontefice. Per consentire una maggiore immedesimazio-

ne la tecnologia 3D e gli ologrammi usati come tunnel emozio-nale e sensoriale.Il sipario si apre sulla città natia Wadowice perchè, come ha scritto lo stesso papa Giovanni Paolo II, da qui è cominciato tutto.Ci sono storie che meritano di essere raccontate perchè cambia-no le nostre vite, questa è una di quelle storie.

La vita di Karol

“Sognando insieme, il sogno diventa realtà”

in musical

Al 25esimo anno di fruttuoso operato Bianca Maria Ca-ringi Lucibelli, che ha appena concluso l’ultimo evento per la raccolta fondi destinati ai più bisognosi, ci racconta da quando e da dove nasce questa vocazione di portare speranza a chi è meno fortunato.L’amore per gli altri parte dal cuore di una famiglia da sempre votata verso il prossimo: pronipote di Monsignor Caringi, già a 16 anni assisteva il trasporto dei malati nei luoghi di pellegrinaggio nei Treni Bianchi. Il suo sogno era quello di prendere i voti nell’ordine delle suore di Madre Teresa di Calcutta, sua grande fonte d’ispirazione, ma la vita l’ha poi portata a sposarsi e ad avere due figli, anch’essi molto attivi nel sociale. Da Madre Teresa eredita la devozione verso il prossimo, e 25 anni fa realizza il pri-mo Gala delle Margherite, nel Palazzo della Fonte di Fiug-gi, in Ciociaria, la sua terra. La Margherita è il fiore della semplicità, qualità che caratterizza il suo animo e operato da sempre. Da quella felice inaugurazione, ogni anno nel

mese di Aprile (mese delle margherite) l’Hotel Excelsior di Roma ospita e contribuisce alla riuscita di uno degli eventi di beneficenza più importanti, che nel 2014 ha vantato la presenza di Franca Valeri ed Erminia Manfredi, teso alla conquista di fondi utilizzati per realizzare obiettivi concre-ti senza mediazioni speculative, con particolare attenzione ai bimbi e agli anziani.Negli anni sono stati raggiunti innumerevoli obiettivi in Italia e nel mondo (strutture ospedaliere, ristrutturazioni di case per anziani, pullman per trasporto disabili, case di accoglienza, acquisto di ecografi per malati terminali) che le hanno valso importanti premi e riconoscimenti fra cui la Lupa dal Comune di Roma, la Medaglia d’Oro dal Presi-dente della Repubblica (2014) per i 25 anni di operato nel sociale e il Premio Donna Impresa. Quest’ultimo, voluto dall’editrice della rivista Valeriana Mariani, ha messo in luce l’importanza delle sue attività sociali e l’eccellen-za delle cause scelte in una rivista dedicata soprattutto

all’imprenditoria femminile e che ha scelto per la prima volta di destinarle il premio al merito nel sociale. Nel 2015 i fondi andranno a Telefono Azzurro e nel 2016 ad ANTE (associazione malati oncolo-gici terminali)

• Nella foto: Anna Fendi, Fioretta Mari, Nino Graziano Luca, Valeria Mangani, Anna Maria Benedetti, Valeriana Mariani

I n scena

redazionaledi Paola Sini

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I mest i e r i de l c inema

Marco

L'arte di suscitare emozioni

Werba

Il ruolo del compositore è vitale nell’economia di un film. Lo sa bene Marco Wer-ba, talentuoso compositore che fa della simbiosi tra im-magine e musica il suo pun-to di forza.

Ci racconti dei tuoi esordi?Ho seguito un percorso in-solito. Il mio primo amore è il cinema, da ragazzino ho anche girato film in super 8 come regista. La folgorazio-ne l’ho avuta quando sono andato con mio padre a vedere un film del 1966 La fuga di Logan. Mi piacque talmente tanto che andai a vederlo tre volte. La musica spesso viene assorbita a li-vello inconscio, specie se sei un ragazzino, ma la musica di quel film è straordinaria, realizzata dal premio Oscar Jerry Goldman (Il presagio, tra i tanti suoi capolavori), geniale perchè nelle scene nella città del futuro ha com-posto musica elettronica all’avanguardia, per le scene all’esterno musiche di orche-

stra sinfonica. Trovai a New York l’lp e inizia a collezio-nare colonne sonore. Quale fu il tuo primo lavoro?Il primo film a cui partecipai e a cui sono molto legato è Zoo di Cristina Comencini. Era l’88, mandai una com-posizione che avevo inciso a tre registi che seppi stavano cercando musica originale per i propri film. Mi rispose la Comencini, le era piaciuta molto la mia composizione. Aveva le idee chiare ed un ottimo gusto. Per questo film ho vinto il mio primo premio impor-tante, “Colonna sonora” dell’Ente dello Spettacolo. Lo stesso anno vinsero an-che Ennio Morricone, Fran-cis Lai (con il quale ho poi lavorato) e Claudio Mattone. Nel film aveva una parte una giovanissima Asia Argento. Il destino ha voluto poi che lavorassi con il padre per Giallo.Quel è il film che ti ha dato maggiori soddisfazioni?Sicuramente Giallo, film che

nonostante non abbia avuto successo di critica è stato venduto in diversi paesi. Ho avuto buoni riscontri a livel-lo di diritti d’autore, ho rila-sciato molte interviste e ho ricevuto molti complimenti.Prossimi lavori?Ho dei lavori per le mani, quello che vorrei è non rima-nere imprigionato nel genere thriller. Per esempio mi pia-cerebbe molto fare un film in costume. Come si svolge il tuo lavoro?Se il film è ancora in fase di sviluppo chiedo di leggere la sceneggiatura, se invece è in post-produzione aspetto di avere un montaggio da poter visionare. A quel punto scri-vo uno o più temi, li incido con suoni ‘campionati’ di qualità e li faccio ascoltare al regista. Se lui condivide e accetta i miei temi vado avanti con lo sviluppo delle musiche.Come definiresti il tuo lavo-ro?Un lavoro “strano”. Scrivi per un’azione, per un mo-

mento che non è accom-pagnato da musica, nei film realistici non c’è bisogno di musica, i film lontani dalla realtà proprio attraverso la musica diventano più real-tistici, la musica aggiunge pathos. E’ anche un lavoro un po’ frustrante perchè la gente in genere non presta attenzione.C’è un film che avresti vo-luto musicare?Ce ne sono tanti... potrei dirti L’ultimo imperatore. ma anche Die hard, per esempio: amo i film d’azio-ne.Quando vedi un film ti la-sci appassionare dalla sto-ria o lo vedi sempre con orecchio critico?In genere me lo godo se ha una bella storia, ma poi presto sempre attenzione alla musica. Ho un orec-chio più attento all’univer-so sonoro ma anche occhio attento ai movimenti di maccina. Non è detto che in futuro non diventi un produttore.

di Giovanni Lembo

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Focus On

PiccolaPatria

resentato al 70° Festival di Venezia nella sezione Oriz-zonti, Piccola Pa-

tria, primo lungometraggio di finzione del documentarista padovano Alessandro Rosset-to ha suscitato entusiasmi da parte della critica.Lo sguardo antropologico del regista restituisce il lato oscu-ro che si cela dietro il miraco-lo economico del Nord Est, racconta lo squallore di una provincia veneta imprecisata, attraversata da sentimenti xe-nofobi e da velleità secessio-niste.Su questo scenario si snodano le vicende di Luisa e Renata, due teenager vissute in un am-biente dominato da chi pensa che solo i “schei” possano es-sere risolutivi; le due escogita-no così un piano di fuga che prevede un ricatto a sfondo sessuale.La questione dell’indipenden-tismo veneto è raccontata con realismo. La sua è una rifles-sione critica su certa propa-ganda politica?I maschi del gruppo sono in-soddisfatti, un po’ cialtroni e preoccupati, senza timone li definirei. Nella scena del co-mizio emerge che la loro è

“Il dialetto delimita una classe sociale e un’atmosfera, automaticamente è diventata la lingua del film”

di Serena Marcon

P una frequentazione casuale della politica, in un quadro popolare, da festa di paese. Ciò è significativo di alcune pulsioni del territorio, che sono poi pulsioni odierne tipi-

che di molte provincie.L’uso del dialetto è una scel-ta coraggiosa e interessante: che valore aggiunto ha dato al tuo film? Partivamo da piccole storie e profili di personaggio raccol-ti sul territorio, “dal vero”. Quella era la lingua delle

storie, delimitava una classe sociale e un’atmosfera, auto-maticamente è diventata la lingua del film. E’ sorprenden-te perché molto sincera, senti-ta e legata ai personaggi. Nel

cinema italiano sono rari i film immersi in realtà linguistiche del nord, ma la considerazio-ne va ampliata. Pensiamo al cinema anglosassone, che noi sfortunatamente vediamo/sen-tiamo quasi sempre doppiato: è fatto di accenti, lingue, in-flessioni sempre molto legati

al territorio dei film.Negli ultimi tempi diversi film girati nel nord est italiano pongono un’attenzione parti-colare verso il tema dell’inte-grazione degli immigrati....Quando un film racconta dell’umanità deve parlare del-la polis. Credo che la nuova natura della società trivene-ta spinga a trattare di questi temi, i grandi cambiamenti demografici sono stati repen-tini e i nuovi scenari hanno ri-voluzionato il passato. Questo porta instabilità, insicurezze reciproche, anche scontro e il cinema cerca il conflitto per raccontare.La scelta di due attrici esor-dienti così giovani?Maria Roveran e Roberta Da Soller sono delle professioni-ste con un’ottima formazio-ne attoriale, al loro esordio in un lungometraggio. Sono state scelte tra molte e natu-ralmente parlare il dialetto veneto era condicio sine qua non. Hanno affrontato la lin-gua e ciò che implicava in maniera coscienziosa e pro-fessionale, portando ai perso-naggi la ricchezza della loro appartenenza.

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on c’è niente da fare: Lorenzo Ren-zi è un “cattivo”

nato. Con una faccia un po’ così, con un fisico possen-te ed una fisicità esplosiva, sembra nato per le parti da bad boy. E infatti il successo, dopo gli esordi nel cinema di Bruno Mattei, l’ha rag-giunto con Romanzo Crimi-nale, dove interpretava uno dei fratelli Buffoni. Da lì non si è più fermato, partecipan-do a serie tv e progetti cine-matografici, finché i tempi sono maturi per esordire come autore e regista.“Romanzo criminale è stato un trampolino incredibile, oltre che riempirmi d’orgo-glio il fatto che sia stata clas-sificata come la serie tv più bella mai prodotta nelle tele-visioni italiane. In realtà tut-to il cast, nonché il regista, aveva “fame” di affermarsi, e questa “fame” l’ha messa nel film, realizzando un prodot-

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to di qualità eccellente”.Come sei finito nel cinema?Per caso. In realtà fuggivo da Siena, dove studiavo antro-pologia, e con il mio cam-per sono arrivato a Roma per amore. Mi sono detto “perchè non fare l’attore?”. E senza agente e preparazione ho fatto due set tv importan-ti, e poi cinema con Bruno Mattei, in La terra dei can-nibali. Non sapevo niente e Mattei, un Maestro, ha avuto la pazienza di insegnarmi molto, come l’umiltà sul set, le gerarchie, i tempi di que-sto mestiere.

Ricordi come Sollima ti scel-se?Dopo questi esordi ho segui-to molti corsi che mi hanno insegnato che l’attore non recita per sé, ma per la mac-china. E ovviamente a fare una ricerca sul personaggio: per Sergio Buffoni ho studia-to ad esempio atteggiamen-

ti, modi di parlare, tic della realtà romana di quegli anni, arricchendo il tutto con espe-rienza sensoriale: ho scelto di non lavarmi per giorni, perché il mio personaggio non era pulito. Ho anche fat-to delle buche in giardino e ho sepolto dei sacchi, come la scena prevedeva, per ave-re un bagaglio di movimenti e sensazioni. Sollima ancora fa questa battuta: “Renzi è venuto talmente preparato che puzzava”.

Un altro aneddoto simpati-co da casting?Per il corto The call, prodot-to da Pirelli, arrivo al casting con la mia forma fisica de-corosa e mi trovo davanti un ragazzone di colore gigante-sco, con una massa musco-lare impressionante. Creden-dolo il mio rivale gli chiedo se è lì per la guardia svizzera (il mio ruolo) e mi risponde seccato di no. Cinque minuti

dopo entro al provino e sco-pro che è il regista, Antoine Fuqua. Per fortuna la mia gaffe lo ha convinto a pren-dermi.

Quale ruolo vorresti che ti proponessero?Quello che sognano tut-ti gli attori, un ruolo in cui il personaggio subisce una trasformazione fisica, come Bale in L’uomo senza son-no o McConeghy in Dallas Buyers Club”. Ho muscoli e tatuaggi, ma se mi dai il tem-po necessario per preparare un ruolo di una difficoltà e di una delicatezza tale come può essere un malato di AIDS, io arrivo a pesare 67 chili.

Pensi che la tua fisicità ti precluda alcuni ruoli?E’ quello che succede per la maggiore in Italia, dove si fa la chiamata “oggi per doma-ni”.

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Bad Boy

Lorenzo Renzi

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Bad

Valentina GhettiAt t r i ce a 360°

Perchè rimanere intrappolata in un ruolo? Semplicemente eclet-tica, così si può definire Valentina Ghetti, giovane attrice (ma la defini-zione può essere riduttiva) originaria di Forlì. Eclettica e curiosa, come si definisce lei stessa. “Diciamo che ho un “problema“ con la curiosità: credo che essere spugna di ciò che ci circonda sia una delle principali caratteristiche che un ar-tista debba avere. Per questo amo tutto ciò che fa parte dell arte, dalla musica classica all‘hip hop, dall’arte contemporanea a quella classica e la danza.. Sono un “epicureista” per antonomasia: amo mangiare e bere bene, viaggiare, conoscere perso-ne... c è un solo problema: il tempo che stringe! Vorrei avere più vite per riuscire a fare tutto!”.Quanto è importante per te essere poliedrici?“Essere poliedrici è fondamentale per combattere la concorrenza e rendersi attori a 360 gradi. In Italia però non esistono degli standard formativi e tutti riescono a fare tutto malgrado una scarsa preparazione”.Dovessi scegliere cosa fare per tutta la vita cosa sceglieresti?“Sicuramente la mia grande passione è interpretare , entrare dentro le vesti del perso-naggio e indossarle, cercare di amare il mio ruolo, anche se sto interpretando qualco-sa che, a primo impatto, non mi conquista. Per questo vorrei continuare a fare l’attrice sperando di trovare sempre ruoli e personaggi interessanti. Amo il teatro ma avere la possibilità di interpretare un grande ruolo al cinema è il mio sogno!”.Qual è il progetto al quale hai partecipato che più ti ha coinvolto?“”La gabbia di carne”. È assolutamente il progetto che, in tutta la mia vita, sento più mio e parte di me. Questo monologo d’attrice, parte da un esigenza di comunicazio-ne, da una mia personale faccenda biografica, è uno spettacolo emozionale e molto forte in collaborazione con un grande drammaturgo e regista, Luca Gaeta e la video pittura di Mirco Marcacci. Grazie a questo progetto sarò finalista al Fringe festival 2014 e per me si tratta di una enorme soddisfazione!”.Raccontaci la tua prima volta davanti ad una macchina da presa.“La prima volta davanti una Macchina da presa è stata a 17 anni, all’interno del film “Amatemi” di Renato de Maria che girava a San Marino. Feci il provino e mi presero per una piccolissima parte (che in fase di montaggio venne pure tagliata). Ricordo la gioia e la paura di essere microfonata oltre che la soddisfazione per i soldini che mi diedero. Ero con mia madre ed acquistai una maglietta per ricordo dell’esperienza, che ancora giace nel mio armadio!”

di Giovanni Lembo

C’è una mancanza di fanta-sia nel fare i casting, ormai mi riconoscono come un at-tore romano, e mi chiamano per fare il cattivo, lo spaccia-tore, antagonisti vari.Essendo molto orgoglioso tante cose le ho rifiutate, cercando invece di dedicar-mi ad una mia carriera di autore.

e arriviamo al tuo imminen-te esordio alla regia...Il progetto che mi sta più a cuore ora è proprio quello di Maremmamara, la storia di due fratelli che vivono nel paesino di Manciano. E’ una storia ispirata alla real-tà, emozionante, che unisce dramma e commedia. Ma non voglio svelare di più, la sceneggiatura è quasi pron-ta, abbiamo iniziato a con-tattare alcuni attori, e stiamo facendo un lavoro di ricerca quotidiano per arrivare pre-parati sul set.

Boydi Val Yellnikoff

Lorenzo Renzi

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AndreaDe Rosa

"Non sono piu'Massi il cazzaro"E’ il 2004 quando Andrea De Rosa, classe 1986, inizia a muoversi tra le scene di teatro, cinema e tv. Diventato famoso al grande pubblico per la parte di Massi in Notte prima degli esami di Fausto Brizzi (2006), dopo 10 anni è ora di scrollarsi di dosso il personaggio che lo ha reso celebre. “Resta comunque il mio preferito tra i vari che ho interpretato” ammette lo stesso Andrea “ma c’è anche altro”. Ad esempio le riprese del lungometraggio Califano l’ultimo concerto di Stefano Calvagna, film per il cinema sul popolare cantautore al quale De Rosa ha da poco preso parte. Che ruolo hai interpretato in questo film?

Vesto i panni di Massimo, un fan che diventa amico fidato di Califano e lo accompa-gna ovunque. Il film parla della ‘terza vita’ di Franco, con molti aneddoti sulla sua “rinascita” e sulla sua filosofia di vita.Un accenno ai tuoi esordi.Dopo gli studi di recitazione, per vincere la timidezza, ho iniziato a solcare i palchi dei teatri off e cercare locali di cabaret in cui esibirmi, scrivendo i miei testi. Anche ora che mi dedico soprattut-to al cinema, ogni 2-3 anni torno a teatro con monologhi divertenti e dissacranti.Poi il grande schermo: come ti ha scelto Brizzi?Avevo già inviato il mio materiale e fatto un provino su parte. Fausto si è con-vinto dopo avermi visto nel mio spettacolo di cabaret:

rispecchiavo esattamente il carattere del personaggio di Massi il cazzaro.I tuoi ruoli per cinema e tv sono quasi sempre brillanti...4 volte su 5 lo sono. L’im-portante è non esagerare, diventando una macchietta: per quello è fondamentale il lavoro fatto a monte con il regista. Capita a volte di lasciarsi prendere la mano, il ruolo del regista è quello di riportarmi tra le righe.negli ultimi due corti però hai ruoli drammatici.In Disturbi di frequenza di Massimo Montinaro sono un ragazzo demotivato dalla vita, che vive l’incubo nell’incubo; nel medio Cani rabbiosi, di Luca Papa, sono uno psicopa-tico rancoroso che si vendica del bullismo subìto.Quali ruoli preferisci inter-pretare?

Ho una predisposizione caratteriale per parti comi-che, ma ultimamente trovo interessante recitare in ruoli introspettivi, più stimolanti professionalmente.Quale ruolo vivresti come una sfida?Ho in mente un personaggio preciso: un comico di me-stiere, visto nella sua quoti-dianità, nel dietro le quinte. Da sempre mi attrae la figura del clown triste, mi piace la dualità che si crea tra attore uomo e personaggio.Ultima domanda: questo taglio di capelli?Ancora il tema del doppio...mi piace la doppia lunghez-za, rispecchia le due anime che ho. Non parlo di doppia personalità, ma sono molto lunatico, non a caso sono del segno dei pesci...

di Val Yellnikoff

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che hanno

Il primo film è sempre il più difficile. Almeno così si dice. E for-se, a ben vedere, è proprio così.Esordire nel panorama ci-nematografico come regi-sta o, peggio ancora, come autore, è un’ambizione a cui molti mirano ma che pochi riescono a mettere a segno al primo colpo. E questo per svariate ragioni.Prima fra tutte, l’incognita economica. Anche se spes-so ci scagliamo contro chi investe nel sicuro, bisogna pur sempre ricordarsi che il cinema è un’industria e, come tale, deve poter fruttare. Ora, mettetevi nei panni di un produttore a cui capita tra le mani una sceneggiatura alla “Era-serhead”: quell’uomo non ha forse i suoi sacrosanti diritti per dubitare della buona riuscita del film? Immagino di si. Seconda ragione, e forse

ancora più importante della prima: il desiderio di raccontare una storia, prima ancora della storia stessa.Non basta avere tra le mani un’idea geniale per debuttare al cinema. Bisogna essere vogliosi di raccontare quella storia, libidinosi di trovarsi dietro la cinepresa e guardare le proprie immagini concre-tizzarsi in corpo e materia. L’autore è prima di tutto voyeur di se stesso che, affacciato allo spioncino del proprio mondo, riversa sulla scena segmenti di vita vissuta, immaginata o allucinata creando un universo filmico tutto pro-prio. Questa è autorialità. Questo è esordire come si deve. E allora elenchiamo assie-me i 25 esordi cinemato-grafici che, a vostro avviso, hanno lanciato dei grandi autori.

di Fabiana Lupo

1. Quarto potere, regia di Orson Welles (1941) 2. Eraserhead, regia di David Lynch (1977) 3. L’age d’or, regia di Luis Bunuel (1930) 4. I quattrocento colpi, regia di François Truffaut (1959) 5. Fino all’ultimo respiro, regia di J.L.Godard (1960) 6. La casa, regia di Sam Raimi (1981) 7. Gummo, regia di Harmony Korine (1997) 8. Hiroshima mon amour, regia di Alain Resnais (1959) 9. Poison, regia di Todd Haynes (1991)10. La rabbia giovane, regia di Terrence Malick (1973) 11. Lo sceicco bianco, regia di Federico Fellini (1952)12. Buffalo 66, regia di Vincent Gallo (1998)13. Miriam si sveglia a mezzanotte, regia di Tony Scott (1983)14. American beauty, regia di Sam Mendes (1999)15. II, regia di Darren Aronofsky (1998)16. Stranger than paradise, regia di Jim Jarmusch (1984)17. I duellanti, regia di Ridley Scott18. Le iene, regia di Quentin Tarantino (1992) 19. Essere John Malkovich, regia di Spike Jonze (1999)20. Hunger, regia di Steve McQueen (2008) 21. Lola Darling, regia di Spike Lee (1986)22. Ti ricordi di Dolly Bell?, regia di Emir Kusturica (1981)23. Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, regia di Pedro Almodovar (1980)24. Go fish, regia di Rose Troche (1994)25. Orgoglio e pregiudizio, regia di Joe Wright (2005)

i 25 Esordi

lasciato il segno

Focus On

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arlo Merlo sem-bra provenire da un’altra epoca; la

sua professionalità, i suoi modi gentili, la sua autore-volezza, il suo carisma, lo consacrano come il Maestro delle star. Nella sua scuola è passata la maggior parte degli atto-ri italiani di oggi e di ieri, tra cui Tony Servillo, Raoul Bova, Luigi Lo Cascio, Clau-dia Koll, Sergio Castellitto, Margherita Buy, Ennio Fanta-stichini, Sergio Rubini. Autore di prosa e musi-cal; Merlo ha seguito oltre 30.000 allievi, tra artisti e professionisti dello spettaco-lo; nel 1980, nel Campido-glio ha ricevuto il “Premio Personalità Europea” per il contributo dato al mondo artistico-culturale; nel 1985 è stato l’unico acting coach italiano contattato per pre-parare tecnicamente per la tragedia greca Robert De Niro, nel ruolo da protago-nista dell’Edipo Re di Sofo-cle. La chiacchierata è stata l’occasione per riflettere sul ruolo dell’attore nel cinema italiano.

Quali sono le doti che deve avere un buon attore?Per prima cosa deve con-

siderare l’attore come una vera professione, quindi ci deve essere serietà, e poi bisogna avere un minimo di talento. Senza un minimo di talento nessuno al mondo gli dà niente. Però se c’è un minimo di talento, con una buona guida, una buona tecnica, senz’altro può intra-prendere la carriera. Penso che il problema sia proprio questo: i ragazzi che voglio-no diventare attori sono tan-tissimi, ma, come mi dicono i grandi agenti, non sono preparati. Molti credono che per fare questo mestiere bi-sogna avere un bell’aspetto, occhi belli, bel fisico. Non basta. Prendiamo ad esem-pio l’attore americano Den-ny De Vito, alto 1.50, che nella recitazione è un genio, in Italia non potrebbe fare carriera o gli avrebbero fatto fare la parte di Pierino.Quand’è che un attore può dire “Ce l’ho fatta, sono un attore”?Quando si prende questa strada artistica si cerca sem-pre la perfezione. Paul New-man, poco prima di morire, diceva che adesso stava ca-pendo cosa voleva dire esse-re un attore.Quanto è lunga e tortuosa la strada per diventare attore?

Quando si fa quello che pia-ce, non pesa. La vita di un attore è fatta di una continua ricerca per arrivare a quello che io chiamo “la sincerità nella finzione”.Un film italiano vince l’O-scar, Servillo è stato suo al-lievo, cosa ricorda di lui? Eravamo nel 1988. Allo-ra giravo, come sempre, con stages sul mio Metodo V.D.A.M. e rappresentazioni di Spettacoli d’Autore sia in Italia che all’estero, fino in India. Mi aveva chiamato il Regista Mario Martone per insegnare la Tecnica della Voce e la Recitazione nel loro gruppo d’avanguardia “Falso Movimento”, che dopo si è trasformato in “Te-atri Uniti”. Toni Servillo vi faceva parte, aveva 24/25 anni circa. Una persona stu-penda. Tutto l’ambiente lo conosce e sa quanto lui sia veramente genuino, speria-mo continui così. Secondo lei questo Oscar cambierà qualcosa nel pa-norama cinematografico? Anche nel passato abbiamo avuto altri Oscar, però l’ef-fetto non è stato in salita per il cinema italiano, purtrop-po, salvo qualche sporadico esempio. I film americani premiati con l’Oscar sono

diversi da quelli premiati come “Miglior Film Stranie-ro”. Speriamo di recuperare ed essere alla loro altezza. Ci parli dello spettacolo “Il Metropolitano” che andrà in scena il 28 e 29 Maggio.Questo testo Novità sulle Scene di Ettore Petrolini, at-tore e drammaturgo, “Il Me-tropolitano (Il Vigile Urbano Romano)” Commedia in III Atti, dimostrerà quello che molti studiosi e critici auto-revoli hanno intuito anche allora e nell’epoca attuale, ovvero la creatività di Atto-re e l’originalità di Autore. Petrolini aveva fiducia che la letteratura potesse gover-nare un’anima e viceversa che una grande anima potes-se interamente riversare se stessa in un’opera d’arte. Il testo incompiuto iniziato nel 1935, con la mia elabora-zione drammaturgica, adat-tamento e messa in scena, finalmente sarà rappresenta-to per la prima volta a Roma dalla Compagnia Italiana S.T.C.M. (Studio Teatro Car-lo Merlo) in collaborazione con la Michelle Production Group, in Prima Assoluta Nazionale e Internazionale presso gli STUDIOS ex De Paolis di Via Tiburtina.

Car l o Mer l o

di Giovanni Lembo i l Maest ro de l l e Star

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di Serena Marcon

The Special Need è un road movie ori-ginale, un documentario schietto che vede il debutto alla regia del friulano Carlo Zoratti. L’idea del film nasce da un incontro casuale con Enea, ragazzo autistico di 29 anni, conosciuto dal re-gista 15 anni prima. Durante la loro co-noscenza Zoratti si domanda: come vive i propri desideri di adulto un individuo che dalla società viene considerato alla stregua di un eterno bambino?Quanto già sapevi del sistema dell’as-sistenza sessuale italiana e quanto hai scoperto durante le riprese?C’erano alcune cose che in parte sape-vamo già, e in parte abbiamo scoperto quando siamo arrivati. Prima di iniziare a girare abbiamo cercato delle risposte e lasciato che fosse Enea a decidere la cosa migliore per lui. In Italia Enea è considerato incapace di intendere e di volere, alla stregua di un minore. Quin-di chi volesse avere un rapporto sessuale con lui sarebbe accusato di circonven-zione di incapace. Ho fatto quindi una ricerca delle opzioni all’estero. In un bordello, anche se offrono determinati servizi per avere un rapporto con una persona disabile, non vuol dire che si-ano preparati ad averlo. Invece esistono

dei centri in cui ci sono assistenti ses-suali che hanno una preparazione per avvicinarsi a persone disabili. La naturalezza con cui enea dice “Io voglio la mia ragazza” ci catapulta in un’intimità ancora più profonda: è’ questo che lo rende uguale o diverso ai suoi coetanei?In realtà lo rende superiore, quasi. La semplicità con cui esprime così chia-ramente ciò che vuole ci sorprende. Durante il viaggio ci ha detto: “Io non voglio avere solo un rapporto con questa persona, voglio che stia con me per tut-ta la mia vita!”. Ho pensato che alcuni miei compagni non sarebbero mai stati in grado di prendere questa decisione con così tanta determinazione.Locarno, Lipsia, Amsterdam, Zagabria e infine Texas. Un piccolo progetto che ha ottenuto grandissimi risultati anche all’estero: ti chiedi come mai?Si, me lo chiedo, ma non so darmi una risposta precisa. Forse la cosa che più colpisce è l’autenticità del rapporto che c’è tra me e Enea...penso che proprio questo abbia aiutato ad ottenere tali risultati. Poi dall’andare bene all’anda-re super bene non so proprio come sia successo.

L'hAndICAP PIù GrAndEL’handicap più grande è un corto no bud-get che ha avuto più di 6300 visualizza-zioni youTube, ha vinto il contest Rainbow Advertising Art, e ottenuto diversi articoli ed interviste in radio. Il tutto in poche set-timane, solo con il passaparola. Enzo Bos-sio, il regista, affronta in maniera inusua-le il tema della disabilità in 9 minuti: un cieco e una sorda che combattono l’uno contro l’altra in un ring. Due pugili disabili, una situazione surre-ale... Tempo fa ho aiutato ad attraversare un ra-gazzo cieco, che tutti avevano ignorato: ho realizzato in quel momento quanta forza di volontà serva per muoversi in autono-mia in una città poco a misura di disabile come Roma. L’ho visto come un vero lot-tatore e da li è nata l’idea dell’incontro di boxe.

Come sono riusciti gli attori ad immedesi-marsi in ruoli così particolari?Ho avuto la fortuna di trovare Andrea e Be-atrice, due veri professionisti, che hanno approfondito gli aspetti della loro disabi-lità incontrando associazioni di portatori d’handicap e studiato con gli stessi ragazzi disabili.ll corto ha subìto qualche limite tecnico dovuto alla mancanza di budget?Purtroppo lavorare con poche risorse ti costringe a limitare le scelte registiche, quindi ho preferito lavorare al meglio con quello che avevo a disposizione, gli attori.Il futuro del tuo corto?Stiamo percorrendo la strada dei festival. Inoltre una professoressa di Chieti lo ha proiettato nella sua scuola: che al nostro lavoro venga affidato il compito di sensibi-lizzare i giovani sul tema disabilità per me è un onore.

di Val Yellnikoff

Shor t & Ind ipendent

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quando donna fa rimacon impresa redazionale

Un nuovo modello di femminilità, che indaga se stessa traendo forza anche dai propri limiti e dalle proprie debolezze. Valeria-na Mariani ha sempre seguito un percorso originale ed una pro-pria filosofia che l’ha portata ad eccellere. Inizia a collaborare sin da giovane con testate locali, per poi distaccarsi una volta maturato uno stile più barocco rispetto a quello della semplice cronaca; manifestando da sempre il suo interesse per lo studio di fatti e fenomeni di tipo antropologico-culturale, ed è con il periodico Donna Impresa che dal 2006 corona finalmente il suo sogno editoriale: DI rappresenta l’unico punto di riferimento nel dibattito italiano sui modelli organizzativi dell’impresa al fem-minile.Qual è l’obiettivo della tua rivista?Guardare la società nella sua interezza, e mettere in discussione un modello femminile superato. Vogliamo, in sintesi, far luce sul soggetto nascosto della nostra ricerca: il femminile. Di Magazi-ne è unica nel panorama dell’editoria: patinata, accattivante e di ottimo spessore culturale. Per parlare di imprese al femminile: un universo che esiste, si muove ed in continua evoluzione.Storie di donne che fanno la differenza... che donne sono?Hanno caratteri ed esperienze spesso agli antipodi, ma sono unite nel voler fare, nel perseguire con determinazione un obiet-tivo. Partendo chi da condizioni agiate, chi dal nulla, spesso to-gliendo spazio alla quotidianità, alla famiglia, alla vita privata, ma sempre con il coraggio di rischiare. E la grinta per ottenere risultati.E’ donna il vostro potenziale lettore?Assolutamente no: oltre agli abbonati, Di Magazine arriva sulle scrivanie di Presidenti, Amministratori Delegati, Direttori Gene-rali all’interno di aziende, enti pubblici, istituzioni, nazionali ed internazionali. I nostri lettori sono di alto livello socio-eco-nomico ad alto potere d’acquisto, consumatori attenti ai grandi marchi internazionali, agli status symbol, incuriositi dalle nuove tendenze di consumo e dalle tecnologie.Qual è l’atteggiamento delle donne con la tecnologia?Le imprenditrici hanno colto questo elemento strategico: il van-taggio di “arrivare ovunque” attraverso il canale informatico e tecnologico, e stanno affinando la destrezza e la competenza per estendere collegamenti e rapporti fin dove la Rete lo con-sente.Alla rivista Donna Impresa sono collegate una serie di iniziative parallele, puoi parlarci dei tuoi progetti?

Conscia che i legami non sono solo una somma di conoscenze ma un insie-me di relazioni che gene-ra idee ed opportunità, ho immaginato un progetto internazionale in cui l’inte-razione tra le diverse parti rende possibile lo sviluppo di innovazione e creatività. Un progetto che prende il nome di Di. Donna In-ternational (International Association Women En-trepreneurs and Business Leaders- Employment So-cial Affaire & Equal Op-portunities), rete che si sostanzia di una solida co-operazione con i Governi di tutto il mondo. Ad esso è anche legato un Premio Internazionale che indaga la donna attraverso tutte le sue attività e ne premia l’eccellenza. In paral-lelo si snoda un altro ambizioso progetto cosmopolita in cui si contempli l’imprenditoria al femminile: IBIT.Srl (Italian Branch International Trade) la neo-nata società che si occupa della pro-mozione e commercializzazione dell’eccellenza Made in Italy e della valorizzazione del nostro patrimonio territoriale e cultu-rale, anche e soprattutto in collaborazione con la “Only Italia”, l’Accademia delle Belle Arti “Fidia” e la “Camera della Moda Calabria” delle quali sono Ambasciatore nel mondo.A quale donna ti ispiri nella tua quotidianità e nel tuo lavoro?Mi ispiro ad una donna autentica. Le donne che amo racconta-re e/o con le quali intraprendo un percorso professionale, sono donne autenticamente fragili, come me. Quella fragilità che na-sce dalla percezione del proprio limite. Se uno l’avverte, cerca di sanarlo con l’altro, e lo ricerca e lo guarda come la propria forza, senza immaginare che egli si dona perché si sente debo-le e trova anch’egli nella fragilità dell’altro la propria forza. E’ bellissima l’idea dello scambio di fragilità visto come scambio di forza di vivere: così la fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.

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di Fabiana Lupo & Serena Marcon

’ultimo film del regista Carlo Mazzacurati ha

la carica vitale di una fa-vola yiddish in cui la giu-stapposizione di ironia e catastrofe regala momenti di grande comicità e legge-rezza.Il cineasta ritorna nella pro-vincia della sua terra nata-le, in un Veneto in cui tutto va in panne, per raccontare la storia di due personaggi qualunque, animati, come accadeva ne La lingua del santo, da un profondo desiderio di riscatto.Il ricco cast include i grandi interpreti, alcuni dei quali da lui scoperti, che hanno collaborato in più occasioni con il regista e dei quali nutriva una grande stima: Roberto Citran, Mirko Artuso, Roberto Abbiati, Antonio Albanese, Giuseppe Batti-ston, Fabrizio Bentivoglio, Silvio Orlando e Natalino Balasso.I protagonisti sono interpretati da Isabella Ragonese e Vale-

LA SEdIA dELLA FELICITA’

L’IrOnIA dELL’OrSOPadovano, classe '56, Carlo Mazzacurati ci saluta lasciando in dote all'Italia un cinema puro, pulito, fatto di sorrisi di malinconia e di lacrime di gioia. Lo sguardo di Mazzacurati non vola né tanto lontano né tanto vicino ai personaggi che racconta: i suoi occhi si man-tengono sempre ad una giusta distanza dalle cose, posizionandosi sul confine esatto che separa il coinvolgimento dal distacco, il dentro dal fuori. Quel punto preciso è l'ironia. Che sia nel suo Veneto o fuori da esso, Mazzacurati sa esattamente dove piazzare la macchina da presa per inquadrare l'anima più intima delle tipologie umane dei suoi film. Tipologie che, a mo' di maschere della Commedia dell'Arte, sotto il loro abito intessuto di umorismo nascondono il più tragico sentimento umano. Sempre alla ricerca di qualcosa, i protagonisti dei suoi film manifestano un'inquietudine di vivere costante che non si esaurisce con la fine del film. Probabilmente personaggi come Loris e Franco (Il toro), Gianni Dubois (La passione), Willy e Antonio (La lingua del santo) sono ancora lì fuori, in altre vesti e con altre storie, a ricercare la loro sedia della felicità. Ci piace pensare che, da qualche parte, Carlo Mazzacurati li osservi ancora, seppur da un'altra distanza, sempre nella giusta prospettiva. La sua.

rio Mastrandrea, nei panni ri-spettivamente di un’estetista e di un tatuatore, due “forestie-ri” approdati in Veneto alla ricerca del tesoro custodito nell’imbottitura di una sedia. Allo stralunato duo si unisce un eccentrico prete (Battiston) che li seguirà nelle loro bizzar-re avventure dal lido di Jesolo alle Dolomiti.

Meno amante del cinema europeo e più rivolto ai film d’ol-treoceano e d’animazione, per costruire i suoi protagonisti Mazzacurati si ispira ai personaggi rocamboleschi e fiabeschi di Miyazaki e riversa su di loro un’ironia simile a quella usata dai fratelli Coen e da Wes Anderson. L’orso, tanto voluto dal regista, che sul finale spaventa il prete facendolo precipitare nel dirupo è forse la rappresentazione più esatta della leg-gerezza che i personaggi di Mazzacurati si trascinano nella tragicità delle loro avventure

LA SEDIA DELLA FELICITàIT, 2014 - Com.Regia Carlo MazzacuratiDurata 98’Interpreti: Valerio Mastrandrea, Isabella Ragonese,Giuseppe Battiston, Katia Ricciarelli, Raul Cremona

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Carlo Mazzacurati, conosciuto come “L’Orso Veneto”

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Alabama Monroe

Una Stor i a d’AmoreAlabama Monroe è uno di quei film che si affaccia sull'oceano e guarda aldilà di esso senza perdere le sue fattezze europee. Pur ispirandosi al grande classi-co dell'inseguimento del sogno americano, il regista Felix van Groeningen riprende il modello per distorcerlo nel suo opposto: la “grande disillusione”. Didier, amante del bluegrass, ha una band con cui si esibisce in pieno stile country. Elise è una tatuatrice che usa il proprio cor-po come un foglio bianco su cui scrivere e cancellare i nomi dei suoi fidanzati. Entrambi guar-dano oltreoceano rincorrendo i propri fuochi fatui. Ma proprio quando sembra andare tutto per il meglio, quando la picco-la Maybelle sembra fare i primi passi verso la giovane coppia, alle spalle di Didier il TG tra-smette le immagini del crollo delle Torri Gemelle e il discorso di Bush. E' l'11 settembre 2001. Il sogno americano è distrutto, gli USA non sono più al sicuro e, con loro, anche la vita di Maybelle che, come un uccello che non capisce di non poter passare at-traverso la veranda di vetro, si schianta contro la morte. Come due corpi che credono di poter superare la vita senza morire, i due protagonisti si scontrano

con le proprie certezze fino a mettere in discussione la pro-pria identità, il proprio nome. Se Didier, deluso da un'America che proibisce la ricerca scienti-fica, perde ogni credo e ogni speranza di resurrezione, Elise riesce a trovare una soluzione, seppur palliativa, alla morte de-gli uccelli applicando sul vetro degli adesivi a forma di falchi.In un finale che ricorda “Enter the void”, solo Elise saprà dare un altro nome ad entrambi, scri-verlo sulla propria pelle e sbat-tere contro il vetro senza paura di morire.

Alabama Monroe Belgio, 2012 Dram. Durata 111’Regia Felix Van Groeningen

The Zero Theorem In una metropoli futuristica dai colori sgargianti tappezzata da schermi televisivi al posto di manifesti pubblicitari, Qohen sembra essere l’unico a non sopportare il mondo in cui vive. Il personaggio orwelliano, interpretato da Christoph Waltz, genio infor-matico sprecato, prova una profonda repulsione verso il proprio lavoro: il suo unico compito, infatti, proprio come in Black Mirror episodio 1x02 (15 Millions of Merits), è pedalare davanti ad uno schermo. Qohen ha vissuto finora aspettando la fami-gerata telefonata da Management, capo del-la società per cui lavora, senza alcun risulta-to. Per accelerare i tempi, decide dunque di sottoporsi ad una sorta di “visita fiscale” per fingersi malato terminale. Finalmente il col-loquio arriva, finalmente può tornare a casa, una chiesa abbandonata e adornata manie-risticamente alla meno peggio, ad occuparsi di qualcosa di più vicino al suo campo di studi: il teorema zero.

L’enigma in cui si imbatte Qohen riguarda molto più che la risoluzione di un assioma assurdo. Riguarda in primo luogo l’esplicazione del più grande dubbio esistenziale, della domanda le cui risposte sono solo altre incognite da aggiungere alla formula. Se il mondo è uguale a zero, anche la vita è uguale a zero e, con essa, l’uomo. Chi deve trarne il risultato

sarà paradossalmente Qohen, uomo e figlio del suo tempo che, immerso in una realtà multipla e ramificata come quella del web, si definisce al plurale maiestatis (“we”). Qohen accetterà di ridefinire, o di annullare per sempre, la propria identità solo attraver-so l’amore, seppur virtuale, con la giovane Bainsley, attraverso la ricerca dell’autentico in un mare di finzione.

The zero theorem USA/GB, 2013 Dram. Durata 107’Regia Terry Gilliam Durata 100’Interpreti Christopher Waltz, Tilda Swinton, Matt Damon, Ben Whishaw, Peter Stormare

di Fabiana Lupo

“Alabama Monroe - Una storia d’amore (The Broken Circle Breakdown) nasce dall’adattamento di un opera teatrale di Johan Heldenbergh. Johan è un amico e ho lavorato con lui come attore in due dei miei film precedenti. Quando ho visto la sua opera sono rimasto completamente sbalordi-to. La combinazione di storia personale, musica e del tema ragione verso religione mi ha impressionato. Mi rendevo conto che tutto ciò era sublime ma impossibile da filmare. Era troppo stratificato. Sentivo di non poter essere capace di tradurli in un film. Sono tornato a rivedere lo spettacolo e ho accantonato l’idea per sei mesi. Poi, un giorno, con il mio produttore Dirk Impens abbiamo riletto l’opera. Pensavamo che fosse assolutamente troppo bella per lasciarla su uno scaffale. Così, abbiamo deciso di unire le forze e fare di tutto per creare qualcosa con essa. Ho iniziato così a lavorare sulla sceneggiatura, insieme con lo sceneggiatore Carl Joos. Per la complessità della storia abbiamo dovuto cominciare da capo un paio di volte, ma alla fine siamo riusciti a raccontarla.”“La storia tocca molte emozioni ed è narrata a più livelli. Parla dell’amore tra due persone che sono estremamente differenti, e di una perdita. Ovvero narra di come sia diffi-cile per entrambi i nostri protagonisti accettare la malattia della figlia. Didier maschera il suo dolore dietro grandi principi e teorie, Elise si rifugia nel simbolismo, nella religione e nella super-stizione. Finché le cose vanno per il meglio, questi opposti punti di vista sulla vita sono fonte di divertimento per Elise e Didier, e, al massimo, li conducono ad accese discussioni. Ma, una volta toccati nel profondo e sconvolti dagli eventi, Elise e Didier vedono sfociare in un drammatico conflitto le loro diametralmente opposte visioni sulla vita.Posso solo essere profondamente grato e felice che la stra-ordinaria combinazione di questa storia così particolare, nonché il talento e la passione degli attori e di una squadra tecnica motivatissima, hanno portato alla realizzazione di un film che tre anni fa avrei potuto solo sognare.”

Felix Van Groeningen

F i lm cons ig l i a t i

Amore e Perdita

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t o rna ne i c inema i l capo lavoro

d i POLAnSKY

di Fabiana Lupo

di Sebastiana Montagno Bozzone

Lunedì 26 Maggio esce nelle sale, 40 anni dopo, uno dei capolavo-ri di Roman Polansky: Chinatown è sicuramente il più importante film americano di Polanski, sia per l’apprezzamento del pubblico che della critica. Inganni ed intrighi sorprendenti permeano questa pellicola, che valse al regista 11 nomination agli Oscar.Ingaggiato per una questione di infedeltà coniugale, il detective Gittes si accorge di essere in realtà lo strumento di una macchina-zione sul traffico illecito di acqua pubblica in una Los Angeles di fine anni ‘30.La storia è un crescendo di emozioni e colpi di scena, ibridando al meglio la componente introspettiva a quella d’azione, che esplode in scene madri di grande impatto emotivo; un racconto in cui demoni umanizzati sfruttano il potere per i propri scopi. I capisaldi del noir sono mantenuti dall’investigatore privato, qui con il ghigno di Nicholson, dalla dark lady nelle vesti di una fascinosa Dunaway, ai cattivi spesso intoccabili su cui spicca un immenso John Huston.Roman Polansky conosce i caratteri tipici del noir-poliziesco, ma in Chinatown non li rispetta. Il film ne prende in prestito luoghi e personaggi, ma approfondisce il pessimismo, superando i limiti “di genere”: il palco di una città corrotta diventa una metafora univer-sale del lato oscuro dell’uomo.

Chinatown USA, 1974 - noir Durata 124’Regia Roman Polanski Interpreti Jack nicholson, Faye Dunaway, John Huston, John Hillerman

Premio Oscar 1975 come Miglior sceneggiatura origina-le (Robert Towne) 4 Golden Globe.Il finale così crudele è stato imposto dallo stesso regista, mentre quello originale era più soft.La pellicola costituisce un omaggio al giallo-noir califor-niano di Raymond Chandler e del suo detective Philip Marlowe.Nel 1991 viene scelto per la conservazione nel National Film Registry (Biblioteca Del Congresso degli Stati Uniti).Doveva essere primo film di una pianificata trilogia, per questo Nicholson rifiutò sempre altri ruoli da detective, per essere ricordato solo per l'interpretazione di Jake Gittes.Il ruolo di Evelyn Mulwray era stato pensato per la moglie del produttore Ali Mac Graw, ma a causa del suo divorzio fu dato alla Dunaway.Entertainment Weekly l'ha votato come il 4° miglior film di tutti i tempi.Il grande Inganno è il sequel del 1990, diretto e inter-pretato da Jack Nicholson. Ha avuto scarso successo al botteghino.

Nonostante le polemiche che da qualche anno ruotano attorno alla figura di Lars Von Trier, è impossibile negare che il nuovo percorso artistico da lui intrapreso, iniziato con Antichrist nel 2009, sia un assottigliamento sempre più intimo della sua poetica cine-matografica.Il binomio donna/natura raggiunge in Nymphomaniac un legame più primordiale, più istintivo. Joe adulta (Charlotte Gainsbourg) esorcizza la pro-pria dipendenza dal sesso nella stanza dell’eclettico Seligman (Stellan Skarsgård), la cui aria è spesso viziata dal suo fare da “tuttologo”. La suddivisione della narrazione in otto capito-li, i cui titoli prendono spunto, forzatamente, da otto elementi pescati all’interno della stanza, vede l’evolversi dell’erotismo della protagonista a mò’ di un romanzo di formazione sessuale.L’immersione profonda nel ses-

nYMPh()MAnIAC vol. I e IIso femminile, a volte estatica, a volte dolorosa e sanguinante, diventa nell’ultima pellicola di Lars Von Trier l’emblema più dissacrante della solitudine umana, del vuoto da riempire. “Riempi tutti i miei buchi” - dice a Jerôme la giovane Joe, interpretata dall’esordiente Stacy Martin, alla fine del primo volume, poco prima di perdere completamente il piacere dell’orgasmo. Il secondo volume si apre infatti con una ricerca più sistematica dell’estasi sessuale. L’ “orgasmo spontaneo” di Joe dodicenne,

accompagnato dalla visione di Valeria Messalina e della pro-stituta più famosa di Babilonia, apre le porte verso le frontiere sessuali del masochismo e del sadismo, la cui derivazione let-teraria, come ricorda Seligman, si stigmatizza nelle opere da cui Pasolini ha tratto ispirazione per la sua “trilogia della vita”.“Forse l’unica differenza tra me e le altre persone è che ho sem-pre chiesto di più al tramonto. I colori più spettacolari quando il sole incontra il tramonto. Forse è questo il mio unico peccato”. Joe avrebbe voluto impedire al

sole di morire alla fine del gior-no senza per questo rendere il cielo meno luminoso; avrebbe voluto impedire all’orgasmo di morire senza oscurare l’energia intensa dell’intero rapporto sessuale. Oltrepassare i limiti del natura-le, del fisiologico, del femmi-neo attraverso l’esasperazione della propria sessualità. La donna di nuovo al centro di un universo maschilista in cui deve essere l’esatto opposto della sua raffigurazione sociale per distruggere il senso di colpa e di oppressione che pesa da millenni sul suo sesso. Lars Von Trier mostra ancora una volta di non essere così misogino come in tanti dicono che sia.

Nymphomaniac Dan., 2013 - Dram. Durata 240’Regia e sceneggiatura Lars Von Trier Interpreti Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgard, Stacy Martin, Shia LaBeouf, Christian Slater

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Periodico mensile di informazione e cultura cinematografica

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