Rivista Incontri mese di Aprile 2011

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Fondato nel 1948 Anno 63° n. 2 - Aprile 2011 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. DON PALEARI... PRESTO “BEATO” COMUNITÀ “ I GIRASOLI” VOLO… CON LA POESIA E L’UNCINETTO DIVENTARE INFERMIERA AL COTTOLENGO Perla nera... Mi siedo sul greto del lago e osservo l’acqua che scorre. I miei pensieri veloci seguono le correnti che, incessanti e fugaci, portano lontano, oltre il filo spinato del tempo e dei ricordi. Non è colpa dell’acqua se pian piano si infiltra nella roccia e la spacca. L’ombra di un baobab mi protegge, mentre un volo di fenicotteri risveglia in me questa voglia di fuggire per salvarmi. Le acque del lago si tingono di rosa e si accende il contrasto con il blu del cielo, che nasconde le stelle, pur se presenti, sono nascoste e nessuno potrà vederle fino a notte. Le mie dita raccolgono terra rossa che stringo, chiudendo il pugno, mentre piedi scalzi sconosciuti si avvicinano per regalarmi un sorriso, che si confonde con la bellezza del lago. In un solo istante quella perla nera, raccolta precocemente, mostra l’immensità dell’amore e riesce ad accendere tutte le stelle nascoste. Mentre un flebile vento caldo accarezza i nostri corpi, tutto intorno si ferma; persino i fenicotteri smettono di volare e tornano a posarsi sulle acque del lago. Chiudo gli occhi e odo il pianto stridulo di bimbi e il suono di un tonfo sordo: è l’impatto di un corpicino con la nuda terra uguale a quella che sto stringendo tra le dita. Apro il pugno, la terra rossa cade disperdendosi come polvere cosmica, residuo della coda di una cometa che nella notte di Natale non ha mai dimenticato di sovrastare la sua Africa. E l’Africa non tradirà mai quella terra rossa, né tutte le perle nere che essa contiene. Nadia Monari DON PALEARI... PRESTO “BEATO” COMUNITÀ “ I GIRASOLI” VOLO… CON LA POESIA E L’UNCINETTO DIVENTARE INFERMIERA AL COTTOLENGO

Transcript of Rivista Incontri mese di Aprile 2011

Fondato nel 1948Anno 63°

n. 2 - Aprile 2011

Sped. in abb. postalecomma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P.

• DON PALEARI... PRESTO “BEATO”

• COMUNITÀ “ I GIRASOLI”

• VOLO… CON LA POESIA E L’UNCINETTO

• DIVENTARE INFERMIERA AL COTTOLENGO

Perla nera...Mi siedo sul greto del lago e osservo l’acqua che scorre. I miei pensieri veloci seguono le correnti che, incessanti e fugaci,portano lontano, oltre il filo spinato del tempo e dei ricordi.Non è colpa dell’acqua se pian piano si infiltra nella roccia e laspacca. L’ombra di un baobab mi protegge, mentre un volo difenicotteri risveglia in me questa voglia di fuggire per salvarmi.Le acque del lago si tingono di rosa e si accende il contrasto con il blu del cielo, che nasconde le stelle, pur se presenti, sono nascoste e nessuno potrà vederle fino a notte.Le mie dita raccolgono terra rossa che stringo, chiudendo il pugno, mentre piedi scalzi sconosciuti si avvicinano per regalarmi un sorriso, che si confonde con la bellezza del lago.In un solo istante quella perla nera, raccolta precocemente,mostra l’immensità dell’amore e riesce ad accendere tutte le stelle nascoste. Mentre un flebile vento caldo accarezza i nostri corpi, tutto intorno si ferma; persino i fenicotteri smettono di volare e tornano a posarsi sulle acque del lago.Chiudo gli occhi e odo il pianto stridulo di bimbi e il suono di un tonfo sordo: è l’impatto di un corpicino con la nuda terrauguale a quella che sto stringendo tra le dita.Apro il pugno, la terra rossa cade disperdendosi come polverecosmica, residuo della coda di una cometa che nella notte diNatale non ha mai dimenticato di sovrastare la sua Africa.E l’Africa non tradirà mai quella terra rossa, né tutte le perle nere che essa contiene.

Nadia Monari

• DON PALEARI... PRESTO “BEATO”

• COMUNITÀ “ I GIRASOLI”

• VOLO… CON LA POESIA E L’UNCINETTO

• DIVENTARE INFERMIERA AL COTTOLENGO

Periodico della Famiglia Cottolenghina e degliex Allievi e Amicidella Piccola Casa

n. 2 aprile 2011

Periodico quadrimestraleSped. in abb. postaleComma 20 lett. C art. 2Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71

Indirizzo: Via Cottolengo 1410152 Torino - Tel. 011 52.25.111C.C. post. N. 19331107Direzione IncontriCottolengo Torino

Direttore OnorarioDon Carlo Carlevaris

Direttore responsabileDon Roberto Provera

AmministrazioneAvv. Dante Notaristefano

Segreteria di [email protected]

redazioneSalvatore AcquasMario Carissoni

collaboratoriPaola BettellaMauro CarossoFr. Beppe Gaido

Progetto graficoSalvatore Acquas

Prove digitaliLEM Stampa digitale Via Bologna 220 - TorinoTel. 011 247.55.46

StampaTipografia Gravinese Corso Vigevano 46 - TorinoTel. 011 28.07.88

I l p u n t o

SOMMARIO

3 Il puntoMauro Carosso

4-5 Don Paleari Pier Giuseppe Accornero

6-7 Volo... con la poesia e l’uncinettoRita Corsi

8-9 Comunità “I Girasoli” Suor Clara Cigna

10-11 Diventare infermiera Claudia Romano

12-13 D’ora in avanti starò lontano dal fuoco Redazione

14 Altri aspetti magici Monica Corallo

15 Perché Redazione

16-17 Dolore e difficoltà A. S.

18-19 Una storia da Cottolengo Fratel Maurizio

20-21 Sapeste quanto mi mancate Redazione

22-23 Africa per la prima volta Don Franco Piano

24-25 Il Cottolengo all’ospedale San Giovanni BoscoDon Antonio, Sr Flaminia, Don Massimo

26 Fratelli in IndiaFratel Sandro

27 Convegno ex allievi / Don Gianni CossaiRedazione

28-29 Ritrovarsi tra amici Don Aldo Issoglio

30-31 Briciole di carità Redazione

32 Perla Nera Nadia Monari

INCONTRI è consultabile su http://chaariahospital.blogspot.com/

Questa rivista è ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo

Gentili lettori di “Incontri”,vorrei farvi partecipi di un’intensa emozione, quel-la che ho provato di fronte al volto di Cristo introno, raffigurato in un’affresco rimasto coperto dacalce e pesanti decorazioni barocche per diversisecoli.Inaspettato, il sereno volto del Salvatore – dipintoverso l’anno 1000 – è apparso durante i lavori direstauro nella chiesa di S. Maria in San MauroTorinese. Trovandomi di fronteall’immagine ho avu-to un attimo di com-mozione che mi hafatto riflettere. Per quanto nella vitaognuno di noi si illu-da di coprire o didimenticare che vive-re il proprio impegnocristiano è cosa seria

e faticosa, Lui non si stanca di aspettarci e di con-solarci. Ci aiuta a liberarci del superfluo e dell’inutile, per-ché attraverso la nostra vita il suo volto risplenda.È un’ invito a risorgere, lo stimolo a togliere tuttoquello che impedisce di essere veramente liberi,per poter contemplare il suo volto, a volte inutil-mente o malamente cercato.È un augurio per vivere la prossima Pasqua nel suo

significato più pro-fondo, illuminati dal-la luce del volto delRisorto che tutti in-vita a vivere la nostrafede con entusiasmo,e noi cottolenghininella più autentica egenerosa carità.

Mauro Carosso

Nella semplicità, ma con gioia,la Redazione augura una Buona Pasqua.

Il volto del Risorto

In attesa della beatificazione,ripercorriamo alcuni episodi dellavita di don Paleari definito, da chil’ha conosciuto personalmente,“ilsacerdote del sorriso, straordinarioin tutte le cose più ordinarie”. Daparte sua amava suscitare il sorrisonegli altri raccontando, soprattuttoa qualche giovane seminarista o aqualche novizia, un particolareepisodio del suo seminario.Giunto assai giovane al seminariodella Piccola Casa, soffriva per ildistacco dalla famiglia, ma non siaccontentò di piangere comefacevano i suoi compagni.Avendo adocchiato un muricciolodi facile scalata, si trovò nel cuordella notte proprio a cavalcioni diquel muro: aveva iniziata la suafuga e con piccolo salto il suoritorno a casa era ormai sicuro…ma ecco proprio in quell’istanteuna folla di pensieri che eranoassieme un misto di paura, rimor-so e salutari inviti a offrire alSignore le sue pene, lo fecerorientrare in sé… con un sospirodi sollievo si incamminò di nuovoal suo reparto e tutto finì lì. Inrealtà tutto iniziava: un camminodi instancabile fedeltà al Signoree di grandi fatiche al suo servizio.Nella sua vita si è realizzato ilproverbio che dice: “Se vuoi unlavoro fatto presto e bene, dallo achi è già molto occupato”. Svolse

cesi di Torino il servizio di vicarioper la vita religiosa e di provicariogenerale. Per molti anni fu confes-sore dei più piccoli nella PiccolaCasa, la comunità dei “Fratini” iquali andavano più che volentieri aconfidarsi con quel piccolo prete,non troppo più alto di loro, che li

capiva così bene. “Discorrere condon Paleari voleva dire sentirsiamati”, ricordava da adulto unodi questi suoi piccoli amici. Un debito di riconoscenza spe-ciale lega la nostra comunità alministero di don Paleari visto cheper 30 anni egli fu confessoreordinario del monastero e per 15cappellano. In questa veste tra-smise con passione alle nostreSorelle quel gusto per la celebra-zione liturgica che il Concilioavrebbe sollecitato per tutti ifedeli. Fu lui a educarle alla par-tecipazione “dialogata” dellasanta Messa procurando anche imessalini adatti allo scopo.Dedicò tempo anche alla forma-zione biblica della comunità, so-prattutto sugli scritti di s. Paolo etrasmise il suo spirito di santitàcon brevi e incisive frasi, che nonsono state più dimenticate, comequeste: “Chi ha pazienza in ogniloco, non fa poco, non fa poco”,“Facciamoci furbi, il Paradiso èeterno”. Perché potesse farsi tutto a tutti il

infatti un ministero molto ampio invari campi: quello dell’insegnamen-to, anche nel seminario diocesanooltre che in quello della PiccolaCasa, quello della predicazione,della confessione e della direzionespirituale. Inoltre svolse nella dio-

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Don FranceschinoPaleari maestrodello Spirito

Particolare della lapide commemorativa e busto marmoreo diMons. Francesco Paleari posti nella casa natìa.

La casa dove nacque Francesco Paleari, come si presentaoggi, con lapide e busto messi a ricordo

Due foto di Francesco Paleari, giovane e in età matura

Signore non mancò di colmare donPaleari di alcuni doni particolari,come traspare da alcuni episodi.Una suora della Piccola Casa erastata chiesta per assistere un’am-malata. Quando la sera essa arrivòalla casa indicata s’accorse benpresto che non c’era nessun infer-ma ma che le si era tesa una trap-pola. Non si perdé d’animo eminacciò i malintenzionati di de-nunciarli. Essi la lasciarono sola inuna stanza per due ore, durante lequali essa pregò continuamente.Uscita libera verso le ventitré lasuora se ne tornò alla Piccola Casaringraziando Dio dello scampatopericolo e pensando di raccontarel’accaduto il giorno dopo a don Pa-leari. Entrando nel cortile delCottolengo se lo vide venire incon-tro, mentre teneva con la sinistraun lumicino ad olio e lo riparavacon la destra. Senza che lei dicessealcunché dell’accaduto egli col suoeterno sorriso le disse: “Bello esse-re in mezzo al fuoco e non brucia-re. Ora vada a riposare tranquilla”.Dio le aveva mandato incontro unangelo consolatore al quale avevarivelato quanto accadeva lontano,nell’oscurità della notte.

Il quadro raffigura San Giuseppe BenedettoCottolengo, alla sua destra il Venerabile

Francesco Paleari e alla sua sinistra padreLudovico Chiesa, settimo successore del Santo

e nipote del Venerabile.

medici. Don Paleari le suggerì dilavarsi tutti i giorni gli occhi conacqua fresca facendo un’aspirazio-ne al Signore. Il rimedio avrebbepotuto sembrare all’interessata unpo’ troppo semplice, quasi unoscherzo, ma la suora obbedì e pre-stò fede e con meraviglia sua edella comunità ritornò a vederebene. Don Francesco aveva impa-rato dal santo Cottolengo ad averefede “di quella”!Il sorriso di don Paleari ci accom-pagni nel cammino verso la Pasquae ci aiuti a trarre dalla nostra fedela serenità per le difficoltà di ognigiorno. Con il nostro cordiale ri-cordo nella preghiera

Vostre Sorelle Adoratrici del Preziosissimo Sangue di Gesù

Pralormo

LA PRIMA BEATIFICAZIONE DI UN PRETE DELLA PICCOLA CASA

È appena giunta la notiziache Don Franceschino sarà proclamato beato

sabato 17 settembre 2011.

Deo Gratias

Ci accompagna col suo sorriso

Nel 1931 don Paleari fu nominatoProvicario della diocesi di Torinoe in quella veste ebbe modo difarsi apprezzare per la sua dolcez-za, per il suo amore alla verità eper la sua determinazione nell’af-frontare le situazioni più difficili.Si presentò un giorno a parlargli dialcune questioni una persona chenon era stata soddisfatta della ri-sposta ricevuta dal Vicario genera-le. Don Paleari l’ascoltò poi chiesese fosse già stata dal Vicario delladiocesi. L’interessata dovette direla verità: c’era già stata! Allora donPaleari con molta calma rispose:“Io sono provicario e non contro-vicario”. Egli riassumeva il suomodo di agire con questa frase:“Starei senza mangiare, piuttostoche tradire la verità”.Anche in campo medico donFrancesco se la cavava bene e sononoti alcuni episodi di guarigione.Una suora della Visitazione soffri-va da tempo male agli occhi e nontrovava rimedio nelle cure dei

Sarajevo era andata distrutta daibombardamenti. Volevano rico-struirla e per questo avevano biso-gno di fondi. Io ho raccolto il loroappello e l’ho fatto pubblicare sullarivista “Italia Missionaria”; moltibenefattori hanno risposto e in treanni la loro casa, l’Istituto Egipal, èstata di nuovo pronta per ospitarebimbi orfani e giovani vittime dellaguerra sino all’età di 18 anni, inse-gnando loro l’arte del vivere. Il 12giugno 1999 vengo invitata all’inau-gurazione; mai avrei pensato diandare a Sarajevo, ma la Provvi-denza, che fa bene tutte le cose, mel’ha reso possibile. L’istituto è statofondato dal primo Arcivescovo diSarajevo, Josip Stadler, che l’haassegnato alle Ancelle del BambinoGesù, per farne un orfanatrofio perbimbi di ogni nazionalità. La deno-minazione di Egipal è richiamo alpasso evangelico della fuga inEgitto della Sacra Famiglia. Co-nosco molti dei benefattori che mifanno anche visita in Torino. Cosìcome conosco due fratelli, entram-bi adottati da una famiglia italiana,con cui sono sempre in relazione.Volevano solo un figlio, ma quandoc’è una coppia l’Istituto non lavuole separare; gli adottati sonodiventati due. La Provvidenza fasempre bene tutte le cose!

Rita Corsi

“Parlare di figure cottolenghine è un compito che mette in crisi profonda. Ogni incontro è una storia, un’anima, che parlae testimonia la ricchezza dei doniche la Provvidenza ha profuso inquesti suoi figli.”

Nella Piccola Casa, in alcuni pe-riodi dell’anno passano molti

visitatori: persone laiche o religiose,che vengono per conoscere il SantoCottolengo e la sua opera, e tanti

anno. Ero quanto la volontà delSignore le aveva posto tra le brac-cia. Ma i problemi di un’assistenzaadeguata, avendo altri tre figli,erano ben oltre le sue possibilità,così la famiglia decise di mettermiin un luogo dove poter crescere econtinuare la mia vita, in un modocosiddetto “normale”. Con l’aiutodi frati francescani della parroc-chia, il 27 febbraio 1962 sonoaccolta nella Piccola Casa dellaDivina Provvidenza in Torino, dovevengo inserita nel gruppo delle pic-cole bimbe di Santa Teresa. Lirimarrò fino a sei anni, quandoverrò spostata nella famiglia SantaElisabetta, dove mi trovo tuttora.Nella Piccola Casa frequento lascuola dell’obbligo; avrei voluto poistudiare lingue per poter diventare“assistente di volo”, una hostess!Uno dei miei fratelli era aviatore e ilsogno della mia vita era realizzarenel volo un futuro tutto mio, nellanormalità. Nell’esuberanza della

giovani che desiderano avere con-tatto e conoscenza con realtà un po’diverse da quelle della loro etàspensierata. In questi momenti disolito sono chiamata a renderetestimonianza del mio vissuto quinella Piccola Casa, ed io lo facciomolto volentieri, presentando ver-balmente le mie giornate e rispon-dendo alle tante domande che mivengono rivolte. Parlando a vivavoce, dico sempre semplicementedelle verità e questo mi viene spon-taneo e facile, anche perché amo

stare con i giovani. Orache invece mi è statochiesto di metterlo periscritto, faccio fatica, maci proverò. Mi chiamoRita e sono nata il 14novembre 1960 a CampiSalentina, in provincia diLecce. Sono nata foco-melica, ultima di quattrofigli. La mamma mi haaccudita per più di un

giovinezza, non vedevo limiti oimpedimenti a causa del mio handi-cap. Non potendo proseguire e rea-lizzare la mia scelta di vita, ecco cheanche per me arriva un periodo ditristezza, scoraggiamento e disani-mo per il non senso della mia vita.In questa triste solitudine trovoconforto nello scrivere su un picco-lo quaderno, giorno dopo giorno,pensieri alla rinfusa, sgorgati dalmio cuore, desidero di essere an-ch’io “qualcuno” in questa societàimpietosa che vuole sempre e solo ilperfetto. Ed ecco che quasi permagia pian piano nascono piccolepoesie che nel 2008, con il contri-buto di una classe di amici liceali,vengono stampate e raccolte in unprimo libretto. Terminate le scuolemedie sono inserita nel laboratoriooccupazionale, comincio a lavorareall’uncinetto e a produrre, insiemecon le mie compagne, tanti beilavoretti che saranno poi esposti emessi in vendita, durante la mostraannuale della famiglia Santa Eli-sabetta; il ricavato andrà poi allemissioni cottolenghine nel mondo.La salute mi consente ancora di tor-nare in visita alla famiglia, viaggian-do in aereo; ricordo il mio primovolo e quanto è stato importanteper me. Una giornata di pioggia, tri-ste proprio come me, io che rimugi-navo sulla mia impotenza a coglierele opportunità della vita. L’aereoparte, si stacca dal suolo e cominciaa salire, vola in alto, sempre più su,attraversa le nuvole e, sorpresa...oltre le nubi c’è il sole e tanta luce!Colpita da questo cambiamento michiedo: Come è possibile il brutto eil bello nello stesso tempo? “Ho

cominciato allora a confrontarmicon la mia situazione di vita;anch’io posso tornare ad essereserena e infondere serenità attornoa me. Sono nata così (ne avrei giàabbastanza), sono lontana dallafamiglia (ne avrei già abbastanza),ma non posso essere sola. Così

volto la medaglia della mia vita.Tutto è così bello quando il cuoreè libero e vuole essere ciò che puòessere! Mi alzo e dico: Sono felice!Cercherò di vedere la vita con otti-mismo!” Partecipo per dieci anniall’Associazione Volontari dellaSofferenza, dividendo con loroogni anno gli esercizi spirituali inlocalità Re, nell’alto Novarese. Neltempo libero mi esercito al compu-ter e frequento corsi di perfeziona-mento. Creo biglietti d’auguri, sca-rico foto o altro, leggo libri, insom-ma non ho tempo per annoiarmi,anzi, ventiquattro ore a volte nonmi bastano. Vivere nella PiccolaCasa è vivere come in una grandefamiglia, nella fiducia illimitata inDio Padre buono. Mio punto diriferimento è il Santo Cottolengo eora che non ho più il mio papà,Lui, che sempre lo è stato, sarà ilmio Papà. Lo vado a trovaresovente nella cappellina e gli hodedicato una poesia che ha vinto ilconcorso “il Cottolengo… in arte”nel 2003. Seguendo l’esempio delSanto, anche noi della Piccola Casasiamo e possiamo essere strumentidi aiuto; non mancano le occasio-ni. Io, per esempio, nel 1966 versola fine della sanguinosa guerra traBosnia e Serbia, ho conosciuto duesuore iugoslave, ospiti dellaPiccola Casa, perché la loro casa in

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“sono natacosì: e misento felice”.

FIGURE COTTOLENGHINE

volo... con la poesiae l’uncinetto «…io mi sento molto

fortunata e non ho nessuna intenzione di passare la mia vita a disperarmi: voglio esse-re libera di portare nellavita di ogni giorno lecose meravigliose chepossiedo nel mio cuore

perché mi sento come tutti

capace di amare e aprirmi agli

altri».

volo... con la poesiae l’uncinetto

“sono natacosì: e misento felice”.

vive l’impegno condiviso nellagestione quotidiana della casa.Le giornate trascorrono ricche diimpegni all’interno della comuni-tà e all’esterno, infatti tutte lesignore sono inserite in attività

lavorative esterne allacomunità, adeguata-mente valutate e pro-gettate per ciascuna diloro. Anche le attivitàriabilitative (piscina,palestra), come puremomenti di scuola,riempiono le giornatedi queste persone.La comunità è a condu-zione familiare e tutto ègestito in proprio. Imembri della comuni-tà, infatti, sono coinvol-ti a turno, insieme con

Vivono con noi, per alcune oredella giornata, due operatricidipendenti della Piccola Casa. Attraverso l’esperienza della vitadi ogni giorno ciascuna personamatura le proprie autonomie e

le operatrici, nel fare la spesa,nella preparazione dei pasti, nelriordino degli ambienti comuni ein molte altre piccole attività spe-cifiche di una casa.Inutile dire che tra i momenti piùbelli e attesi, quello della tavolaoccupa un posto privilegiato especiale, perché a tavola si mangiabene e si gode di quanto ciascunaè riuscita a realizzare; a tavola siparla, si raccontano e si condivi-dono le piccole esperienze quoti-diane, si comunicano incontriavvenuti, amici incontrati, diffi-coltà vissute magari al lavoro eanche momenti di tristezza, di

va il profumo di cose familiari anoi care, si è liberi di muoversi ne-gli ambienti che ci appartengono,di bere un bicchiere d’acquaquando abbiamo sete e di riposa-re quando siamo stanchi. A casa ci sentiamo liberi di pian-gere, quando siamo tristi e di ride-re e scherzare, quando siamo con-tenti, di litigare e di fare la pace; acasa conosciamo e condividiamoanche le gioie e i dolori di quelliche vivono con noi, impariamoogni giorno a volerci bene, perchécon lo sguardo e il cuore rivolto alSole comprendiamo che tutti rice-viamo lo stesso calore e siamo illu-minati dalla stessa luce.

Suor Clara Cigna

scuna personaporta nel pro-prio cuore. Non sempre,però, tutto pro-cede serena-mente e senzafatiche e quan-do si presenta-no difficoltà va-rie o si affaccia-no problemati-che di saluteimportanti, lacomunità fa ri-ferimento ai servizi di competenzache si trovano sul territorio. Si è

creata, infatti, unarete importante, acui la comunità sirivolge nella quoti-dianità e nell’emer-genza. Ogni persona inse-rita in comunitàporta con sé il pre-zioso bagaglio dilegami e relazionifamiliari, di amici-zia, di lavoro, diconoscenze che si

mantengono e a volte si intensifi-cano tanto da coinvolgere anchetutti i membri della comunità, chescoprono nuoveamicizie e crea-no nuovi legami. Coltiviamo il de-siderio che al-l’interno dellanostra piccolagrande famigliaogni personapossa stare benee sentirsi a casa,perché “a casa”si sta bene, sisente un calorespeciale, si ritro-

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Chi non ha mai visto, viaggiandotra campi e prati, distese luminosedi fiori alti e dorati che se ne stan-no con il naso rivolto all’insù,verso il sole?Così i girasoli trascorrono il lorotempo a saziarsi diluce e di calore sem-pre rivolti alla sor-gente della vita. La nostra comunità“I Girasoli” ospita“fiori speciali”, don-ne portatrici di di-sabilità lievi, chehanno la possibilitàdi vivere un’espe-rienza vicina allanormalità e di sco-prire ed esplicare leloro caratteristiche ecapacità personali.

“…io trascorro i miei giorni guardando il Sole, lo seguo ovunque vada,mi sazio della sua luce e mi riscaldo al suo calore…”

I GirasoliI Girasoligioia, di sofferenza… La comunità ascolta e accoglie i vis-suti, in modo semplice, ma con ilcuore, perché ciascuna personasenta di non essere sola, faccia espe-rienza di appartenere ad una fa-miglia e di essere importante perqualcuno.All’interno della comunità si offrela possibilità di esprimere e viverela propria fede nel rispetto reci-proco e nell’accoglienza incondi-zionata di ciascuna persona. Sivivono i tempi liturgici forti conl’impegno della catechesi specialeall’interno del gruppo di vita ed èveramente un’esperienza di Dioaccogliere il dono di grazia che cia-

Settembre 2007. Ricordo benequel giorno, perché ero piena diansia, ma anche di speranza,quando mi misi a cercare su inter-net il mio nome nell’elenco degliammessi alla facoltà di Medicina eChirurgia dell’Università Catto-lica del Sacro Cuore, Corso diLaurea in Infermieristica presso laPiccola Casa della Divina Prov-videnza di Torino.Dopo due anni di Scienzedell’Educazione, la mia “chiama-ta” era arrivata. Quell’estate hosostenuto tests d’ingresso, tanto alCottolengo che presso le altre sediUniversitarie di Torino.Sapevo che presso l’ospedaleSan Luigi di Orbassano ero ingraduatoria, però nel mio cuoredesideravo intraprendere il per-corso formativo alla PiccolaCasa, dove sin dal principio miero sentita accolta, come in unagrande famiglia.Finalmente l’ammissione era

di quanti si accingono a compierequesto percorso di studi. Da subi-to è reso visibile il valore dell’at-tenzione all’altro nella vita perso-nale, prima ancora che in quellaprofessionale. La persona è il cen-tro dell’assistenza, l’ascolto e larelazione componenti fondamen-tali di chi si accinge a svolgere lanostra professione. I tre anni distudio sono stati intensi e carichidi momenti difficili: il tirocinio,quando per la prima volta mi sonotrovata con persone malate, l’an-sia e la fatica nel preparare gliesami, le difficoltà nel capire con-cetti difficili durante le lezioni, laprima esperienza quando ho assi-stito alla morte di un paziente.Non è facile vedere morire qual-cuno, ma ancora più difficile èfarsi carico di chi resta vivo apiangere il defunto. Ma in tuttiquesti momenti di difficoltà misono sempre sentita accompa-gnata, sostenuta, dai tutors clinici

arrivata e così, con l’euforia di unbambino davanti a un negozio digiocattoli, comincio il mio percor-so formativo al Cottolengo!Il primo giorno di Università, ilbenvenuto degli studenti dei corsidi anni successivi e il gruppo diformatori e tutors, che ci accolgo-no in aula magna con canti e paro-le di benvenuto; capii subito chestudiare al Cottolengo, avrebbe sìsignificato diventare infermiera,ma con il titolo di studio, lì c’eraanche un punto di riferimentofatto di persone che mettono pro-fessionalità e umanità, al servizio

e d’area che si fanno carico deglistudenti e li aiutano a rielaborareciò che accade in reparto perapprendere e formare la loro pro-fessionalità.In questi tre anni ho imparatomoltissime nozioni teoriche, tec-niche e modalità di approccio allapersona assistita. Mi è stata tra-smessa una metodologia di lavoroe una forma mentis basata sulpensiero critico; mi è statotrasmesso l’entusiasmo di svi-luppare la nostra professione.Infermieri sempre più moti-vati nel migliorare, che simettono in discussione perperfezionare la propria abili-tà professionale, per garanti-re sempre più assistenza diqualità. Ho imparato chel’età anagrafica non conta,quando c’è motivazione,quando quel che orienta ilnostro agire professionale è lavoglia di dare la migliore assisten-za possibile all’assistito. In questitre anni ho imparato davveromolto e il mio arricchimento nonè stato solo mentale; nel mio cam-mino ho incontrato persone concui ho condiviso momenti impor-tanti: la gioia di un esame andatobene e il rammarico di altri andatimeno bene, degli amici con cuiprogettare un futuro, persone con

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abbiamo imparato a conoscerci, iltanto atteso momento dell’Esamedi Stato e la discussione della tesi diLaurea è arrivato. Tanta gioia peraver terminato un percorso intensoe faticoso, però ora alla felicità diquesto momento fa capolino anchela nostalgia, il rammarico di unperiodo importante e bello dellamia vita che volge al termine.

Nuove pagine, tutte ancorabianche, sono lì ad aspet-tarmi, il libro della vita nonattende altro che esserescritto.Il ricordo dei tempi passatitra i banchi di scuola, le ami-cizie che sono nate in questitre anni e la stima per quantimi hanno accompagnata,passo dopo passo nel percor-so verso l’autonomia profes-sionale, rimarranno sempresigillati in me. Nella vita

tutto passa, ma non i rapporti chesi fondano sull’affetto e sullastima, questi rimangono come fariche illuminano e guidano verso lastrada di casa. Questa è la miaesperienza nella Piccola Casa, cheio considero mia seconda casa,luogo di nutrimento per la mentee per il cuore, dove, se uno è di-sposto a mettersi in gioco per cre-scere, troverà sempre porte aperteper essere accompagnato nel suocammino, di vita e di crescita.

Claudia Romano

Diventare infermieraDiventare infermiera

competenze in crescita, un tassel-lo dopo l’altro, fino a prenderelentamente forma sì da percepireun disegno dentro ad un mosaico.Ora il disegno di base è prontoma non finito, dobbiamo viverloattente, migliorarlo e ampliarlo,con l’umiltà di sentire che non si èmai arrivati, perché per essere deibuoni infermieri bisognacontinuare la formazione el’aggiornamento. Per que-sto, il centro formazionedel Cottolengo, per noisarà sempre la realtà forma-tiva di qualità, dove trovarestimoli per migliorare lanostra competenza.E dopo tre anni, in cui, comedirebbe il piccolo Principe,ci siamo “addomesticati” e

un bagaglio di esperienza da cuipoter attingere e crescere sempredi più.Incontrando queste persone eincrociando i loro sguardi, ho sen-tito che mi hanno donato qualco-sa, ed è merito di questi incontriche ora… sono infermiera!! Un tirocinio dopo l’altro, lezioniteoriche, esami e pian piano le

«Insomma noi siamo un punto di riferimento per tutti in un reparto. Certo è vero che nonostante lefatiche se si riesce a rendere felici più persone durante la giornata oppure se si riesce a gestire tuttele situazioni nuove e improvvise si torna a casa molto contenti e con un bagaglio culturale ingrandito».

“Il centro formazione del Cottolengoresterà sempre una realtà formativadi qualità in cui poter trovare glistimoli necessari a far progredire lapropria competenza”.

La mia esperienza formativa alla Piccola Casa della Divina Provvidenza

Mi chiamo Polly, ed hoappena 6 mesi. Dormo tranquil-lamente nel letto della mammache nel frattempo é andata alfiume a raccogliere l’acqua. Lamamma ha già preparato il ciboper la cena, e lo ha posto sultavolo vicino al mio giaciglio. Ilpapà é fuori sin dal mat-tino presto, in cerca dilavoro a giornata.Sono rimasta sola con ilmio fratellino più gran-de, che ha rifiutato diseguire nostra madre altorrente, infatti lui avevaun piano preciso: volevarubare un chapati caldo efumante prima del suoarrivo. La nostra casupo-la non ha finestre, e lalampada a petrolio giàarde sul tavolo, dandoci

gambe cede. Lui tenta di evitarela caduta aggrappandosi allatovaglia, ma inutilmente. Quelloche ottiene è un bel ruzzoloneper terra, ed insieme un verodisastro: il piatto con i chapatirotto sul pavimento di terra bat-tuta, e la lampada a petrolio

rovesciata sul lettone. Laparaffina liquida si versae impregna le coperte,dando così la possibilitàalle fiamme di dilagarerapidamente. Io mi sve-glio, ma alla mia età nonriesco a scappare.Pierino la peste grida, magira a vuoto: non fa asso-lutamente nulla di utileper aiutarmi. Piange e sela fa sotto... se almenocorresse a chiamare lamamma! Invece niente.

una luminosità soffusa e ondu-lante che mi culla dolcemente.Pierino la peste, cioè mio fratel-lo, ad un certo punto, e sale suuno sgabello per arrivare al piat-to dei chapati. Purtroppo, però,le termiti ne hanno indebolitomolto il legno ed una delle tre

Fa casino e basta.Anche io strillo apiù non posso.Fortunatamente ilfiume non é lonta-no e la mia mammaci sente. Corre quindi comeuna gazzella, e rie-sce a tirarmi fuoridalle fiamme, pri-ma che sia troppotardi. Mi deponesotto una pianta delcortile. Io non capi-sco perché mi ha dinuovo abbandonata: ho un dolo-re terribile alla faccia e al brac-cio. Ho bisogno di coccole, einvece lei se ne va... che siaimpazzita anche lei, come miofratello?Invece poi la vedo tornare con ungrande contenitore di plasticasulla schiena. Grida forte e chie-de aiuto. Poi entra in casa e versatutta quell’acqua sul letto: menomale! Ora si vedesolo fumo. Non cisono più fiamme.Pierino la pesteintanto è riappar-so. Si sente eviden-temente in colpa, eha paura di pren-dersele. La mam-ma però non sacosa sia successoed io non sonoancora capace diparlare, per cui luié in una botte diferro. Sono io adavere un malecane. Mi sembra diessere ancora nel

dolorosissimo tagliodel cordone ombeli-cale e poi quelle pac-che sulla schiena perfarmi piangere; queltubo nelle mie nariciattaccato ad un aspi-ratore; le gocce dicollirio negli occhi,la puntura nel sede-rino.Sono proprio frega-ta. Se mi ricoveranoin quel posto, saran-no di nuovo iniezio-ni da tutte le parti:

nelle vene, nel fondoschiena. Iopiangerò, ma so che la miamamma sarà complice di queidisgraziati con il camice biancoche si divertono a far strillare ibimbi. La mamma è partitasenza soldi, ma dice che, se ha lafortuna di vedere il “DagitariMzungu”, non sarà mandata via,e sarò ricoverata lo stesso.So che avremo problemi a paga-

re le medicine,perché mio papàtorna sempre allasera dicendo: “Og-gi nessuno mi hapreso a lavorare agiornata!”.Comunque adessol’unica cosa a cuipensare è cercaredi fermare questodolore urgente chemi tormenta.

Ciao, Polly

(da ora nemica dichiarata del

fuoco e dell’acquacalda).

fuoco e continuo a piangere. Lamamma mi prende sulla schienae mi copre con un foulard. Poi simette a correre. La sento dire cheva a Chaaria all’ospedale...Chaaria? Mi sembra di aver giàsentito quel nome! Ah, adessoricordo: è quel posto terribiledove sono nata! Ricordo le faccepreoccupate che mi guardavanoappena dopo il parto; ripenso al

E s p e r i e n z e12 I n c o n t r i 13

...Stasera il desiderio di condi-videre alcuni lati della magia diChaaria si è accessa più grandedel solito…Ho acceso il compu-ter e mi sono collegata al blog…ho iniziato la lettura del nuovopost e la rilettura degli altri (nonmi accontento mai di gustarliuna volta sola, scovo sempreemozioni diverse...) e per unmomento mi son detta che forsetutto ciò che stavo per scriveresarebbe stato in confronto picco-lo, forse fuori luogo, i miei pen-sieri della serata in confronto allavita a Chaaria sono frammenti difortunata realtà che poco posso-no interessare e poco hanno ache fare con la dura quotidianitàafricana e i forti sentimenti di

creato, e nell’eterogeneità deidiscorsi la serata è trascorsa sere-na e piacevole come un incontrotra vecchi amici…Anche con l’occhio stanco e l’av-

versità della neve cheavrebbe reso il ritornonei luoghi dispersidella geografia piemon-tese assai arduo, la ten-tazione di una sfogliataalle foto ha vinto e ilpensiero di ognuno alricordo di quei momen-ti è volato in terrekeniote.

Ho la certezza che per tutti ilpensiero del ritorno a Chaariasia un chiodo fisso (temo si trat-ti di seria patologia, dicesi chaa-rite, forma di dipendenza croni-ca senza nota terapia) e lavoglia di sostenere la missioneun obiettivo comune… che nellacondivisione è reso ancor piùimportante.Anche questa è Chaaria….

Monica Carello

contrasto… Ma fermandomi hodeciso di annoiare il lettoreugualmente perché Chaaria amigliaia di chilometri di distanzaè anche questo…

…Stasera ci siamo ritrovati, noi,piccola truppa di volontari diChaaria di dicembre/gennaio, inuna “rimpatriata” italiana e lesensazioni sono esplose.. Infondo non ci conosciamo, abbia-mo trascorso insieme tre settima-ne della nostra vita che possonosembrare un nulla in confrontoagli anni di ognuno di noi…Eppure, e mi arrogo il diritto diparlare per tutti, c’è qualcosa dimagico nel rapporto che si è

Mi guardava come se volesseinterrogarmi, o forse sono io avederlo così. Lui è seduto suquella panchina in mezzo alparco, tra la gente. Mi aspetta esorride; appare sereno. Eppurenon posso allontanare dalla miamente quelle domande che sem-bra pormi col solo sguardo.

Perché?

Mi siedo accanto a lui.

Perché tu hai una casa, una fami-glia, e io no?

Ci mettiamo a parlare. Mi rac-conta di suo padre e dei suoi fra-telli. Della casa in cui è cresciu-

ha dato ciò che gli altri nonhanno saputo dargli: l’ha amato.L’ha voluto.

La giornata è finita. Ho lasciatoil mio amico sulla sua panchina,a casa. Io sono nel mio comodoletto e non riesco a dormire. Ledomande risuonano martellantinella mia testa. Non riesco a tro-vare delle risposte, ma non èquesto che mi turba. La realtà èche io cerco invano quello cheun barbone ha già trovato sullapanchina di un parco, e questomi riporta alla mia prima do-manda:

Perché?

La Redazione

to, ma in cui non può più torna-re. Non lo vogliono.

Perché devo soffrire così tanto,cos’ho fatto?

Della gente che lo evita come seavesse la peste. Di chi gli passaaccanto, che affretta il passosenza rispondere se tenta di salu-tarlo. Non lo vogliono.

Perché la malattia ha scelto pro-prio me? Perché me, e non te?

Dei dottori che non lo capisco-no. Degli ospedali che, a volte,lo tengono per una notte, madopo lo ributtano in strada. Nonlo vogliono.

Perché Dio, se un Dio c’è, permet-te che ad un suo figlio accada que-sto?

Il suo tono è cambiato. Nonparla più con tristezza, ma congioia. Parla della natura che locirconda. Dei bimbi che giocanolì vicino. Del calore del sole sullesue gambe stanche. Del profu-mo del vento. Di chi gli ha datotutto questo, ma soprattuttoquella panchina: casa sua. Lui gli

T e s t i m o n i a n z e14 I n c o n t r i 15

Altri aspetti magici... a distanza Perché?Perché?

Altri aspetti magici... a distanza

Sola…

Le analisi sono lì sul tavolo. Lefisso in silenzio. Vorrei afferrar-le, leggerle e rileggerle come hogià fatto mille volte, invece nonriesco a muovermi. Mio marito éuscito. Aveva bisogno diun po’ d’aria, hadetto, di stare so-lo, di pensare...Ed io?Dannazione, ionon ho bisogno diqualcuno che mistia accanto, chemi consigli, che midica cosa fare? Sì,ma non è lui chepuò darmi questo.È stato con mefino ad ora. Haascoltato il dottorementre spiegava lasituazione, mi haconsolata finchéha potuto, ma larealtà è che anchelui é smarrito co-

no sugli occhi bagnati dal pian-to. Dicono che piangere sia unaliberazione, ma per me non ècosì. Il suono dei miei singhiozziserve solo a rammentarmi latristezza del destino che ci hacolpito.

Aspettavamo congioia ed un po’ dipaura questo mo-mento, com’è nor-male, ma alla finela gioia se n’èandata tutta ed èrimasta solo lapaura, tanta paura.Fuori c’è il sole;stamattina primadi uscire pensavofosse di buon au-spicio, ma ora...ora sembra soloche rida del mio,del nostro dolore.

“…Down”La parola riecheg-gia nel vuoto deimiei pensieri, rim-balza sul freddo di

me me, anzi, più di me. Non puòfare nulla, e lo sa.Tento di alzarmi, ma non ci rie-sco. Le ginocchia non rispondo-no più, il peso della mia pancia ègià eccessivo. La testa mi ricadetra le mani e i capelli si rovescia-

quelle pareti che una volta senti-vo amiche. Questo bambinodoveva essere il coronamentodel nostro sogno d’amore e inve-ce ora rischia di esserne latomba.Se io, a fatica, riesco a pensare diconvivere con me stessa, comeposso pretendere che lo facciamio marito?

Abortire...

Non ne ha parlato nessuno, matutti lo abbiamo pensato. Potrei farlo, ma il fatto è che nonsono sicura di volerlo. Posso giàimmaginare cosa succederebbese decidessi di lasciarlo nascere:dolore e difficoltà.

E se invece abortissi?Dolore e difficoltà.

Non potrei mai dimenticarlo,non potrei mai evitare di pensa-re a quello che sarebbe potuto

Dov’è Dio ora?

«Bussate e vi sarà aperto», stascritto, ma per quanto io bussi,fino a farmi sanguinare le mani,fino a lacerarmi il cuore, non c’ènessuno ad aprire quella porta.So già cosa obietterebbe qualcu-no, ma io non ho più la forza disperare, di credere. Ho persotutta la mia fiducia, tutta la miaanima. Stringo i pugni e mi obbligo asollevare la testa, a guardarmiintorno, a reagire... ma perchédovrei?

Sento la porta aprirsi: è lui, è tor-nato. Impossibile, mi ripeto, im-possibile. Non credevo tornasse.Forse... forse qualcuno in ascol-to dietro quella porta c’è, dopo-tutto. Sorrido, per un attimo. Lo sento venire verso di me. Mivolto per guardarlo e dal miocuore sorge spontanea una pre-ghiera: «Fa che faccia la cosagiusta!»

Così sembra che le scelte sonoequivalenti agli occhi di Dio.

a.s.

essere... e non è detto che luirimarrebbe con me: qualunquescelta io faccia, qualunque deci-sione io prenda sono sola erimarrò sola. Anche se ultima-mente non vado più a messa, hosempre conservato la mia fede,ma adesso mi chiedo che sensoabbia.

T e s t i m o n i a n z e16 I n c o n t r i 17

DOLORE E DIFFICOLTÀDue genitori di fronte a una diagnosi di “sindrome di Down”

DOLORE E DIFFICOLTÀ

sponsabili Caritas della parroc-chia, arriva il 14 marzo con unfagotto sotto il braccio e... senzadocumenti!Si guarda attorno, ci saluta, parlacorrettamente, sembra se-rena. E poi vede un veroletto tutto per lei e anchedel cibo in un vero piatto.Per ogni piccolo servizioche riceve, sia questo unbicchiere d’acqua o unaiuto per camminare, di-ce:” Dios te pague! Dios tepague!” Ringrazia sempre!Ottimi gli esami del san-gue, non necessitano tera-pie. Mangia, dorme, parla,saluta e ringrazia.Solo un paio di volte, unpo’ confusa, la vediamoavviarsi verso il cancelloprincipale portando con séuna sedia e... il vaso danotte in testa! “Devo anda-

ci venne segnalata dalle suore diuna parrocchia del centro. Nonci avevano nascosto le difficoltàche avremmo incontrato.Sembrava davvero un caso di-sperato: completamente sola,costretta in tutti i modi a chiede-re un po’ di cibo qua e là. E poi – disorientata com’è – eraormai diventata lo zimbello di

tutti. Derisa dai passanti emaltrattata dai vicini.È stato sufficiente chie-derci: che avrebbe fatto ilsanto Cottolengo? A noi seguire le orme delpadre e... eccola qui,Maria, all’hogar, con noi.Accompagnata dai re-

Vescovo una ventina d’anni fa,per accogliere nella tranquillitàdi questo posto anziani poveri esoli, di modo che possano tra-scorrere in pace e con l’assisten-za necessaria gli ultimi anni dellaloro vita. E se ora iniziamo ad accogliere imatti... beh, è finita!”Questa nonnetta di nome Maria

C’era un’atmosfera stranaquella sera del 13 Marzo.Come tutte le sere in comunità sicondivideva la buona cenettapreparata da fratel Pietro.Però, quella sera, poche parolefra noi: quasi come una tensionenell’aria.Sul volto d’ognuno di noi sipoteva leggere: “Abbiamoproprio detto sì? Accettiamoall’hogar quella vecchiettache gira nuda – e quandodico nuda vuol dire proprionuda! – per le strade diEsmeraldas? È pazza, è unamalata psichiatrica. Questacasa è stata voluta dal

attenzioni, di tenerezze, cometutti noi.I giorni passano e Maria siambienta, sempre più simpaticae sempre serena.Insomma, quella pazza che gira-va nuda per Esmeraldas, alla finesi rivela un dono straordinario.

C’era un’atmosfera strana quellasera del 13 Aprile in comunità, aun mese dall’arrivo di Maria,mentre come tutte le sere si con-divideva la buona cenetta prepa-rata da fr. Pietro: si parlava franoi con allegria. Sul volto d’ognuno di noi sipoteva leggere: “Conviene sem-pre seguire l’esempio lasciatocidal nostro Fondatore!”

Esmeraldas

Fratel Maurizio

re a casa”, dice “perché’ miomarito mi sta aspettando”. Ma èsufficiente chiamarla per nomeche ritorna sui suoi passi.Ha bisogno di compagnia, di

Una storia da...

Cottolengo

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Una storia da...

Cottolengo

Mia cara, mi dispiace scaricare su dite le mie preoccupazioni. Scusami, non rie-sco a tenermi tutto dentro e non ho nessu-no con cui potermi sfogare. Forse alla finedeciderò di non mandarti questa lettera,non lo so, ma almeno avrò l’illusione diaverti parlato.

Quando sono arrivato ero pieno di spe-ranze; lasciare te, i nostri figli, la mia terrami era costato molto, ma ero sempre fidu-cioso che qui avrei trovato un lavoro, degliamici, una casa. Avrei potuto mandarti deisoldi in modo che i nostri figli potesserocrescere come abbiamo sempre sognato.

Tu sai che io non avrei mai voluto parti-re, ma che altra scelta avevamo? Non c’eranessuna opportunità per noi e io lo dovevoa te, che hai scelto di dividere la tua vitacon me e, ai nostri bambini. Non c’era nes-sun’altra possibilità e Dio solo sa quanto hopregato perché non fosse così.

Sin da quando sono arrivato, le cose mi

sono sembrate molto meno rosee di quantoce le avevano dipinte. La gente mi guardasempre con sospetto, crea il vuoto intorno ame. Sembra che le basti un’occhiata, percapire chi sono e da dove vengo. Hannopaura, questo lo capisco semplicemente fis-sandoli, ma di cosa?

È questo che mi sfugge, che non com-prendo ...

Non sono come loro? Solo perché sononato in un luogo invece che in un altro?

Talvolta mi fermo ad interrogare la miacoscienza, a chiedermi se anch’io al loroposto mi comporterei così e spero, supplicoche ciò non accada mai: non voglio chequalcuno debba mai soffrire per causa miacome sta capitando a me.

Il lavoro non si trova, o meglio, quelpoco che c’è è solo un miraggio irraggiungi-bile. Mi trovo costretto a fare delle cose chenon mi sarei mai sognato, se voglio soprav-vivere e nel frattempo mandare qualcosa a

voi. Devo mettere da partequel poco d’orgoglio che miè rimasto e adattarmi a farequalsiasi cosa. Certe voltesono anche stato costretto achiedere l’elemosina e tu,moglie mia, puoi immagi-nare come sia stato difficile,ma mi rincuoro, pensandoche è sempre meglio questoche tradire la fiducia ditutti voi, procurandomi isoldi in maniera disonesta.

Purtroppo pare che la si-tuazione possa peggiorare;si sono creati ultimamentedei gruppi di attivisti che ce l’hanno espres-samente con noi: dicono che noi rubiamo illavoro alla gente del posto (mi piacerebbetanto sapere quale lavoro!), che siamo peri-colosi, criminali...

La cosa preoccupante èche sembrano ricevere molticonsensi.

Ormai ho finito, scusamiper questo mio sfogo e so-prattutto perdonami, secerte mie frasi ti possonoessere sembrate sconnesse osenza senso. Ho solo seguitoil corso dei miei pensieri,avevo bisogno di farli parla-re, di farli urlare... è così dif-ficile tenere tutto questodentro.

Spero con tutto il cuore dipoter al più presto ritornare nella nostracasa e riabbracciare te e i nostri figli.

Sapeste quanto mi mancate tutti voi e lanostra bella terra.

Un bacio. Ti amo.Tuo, Karim

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Sapeste quanto mi mancate...Sapeste quanto mi mancate...

Africa: per la prima volta

La Provvidenza ha voluto che perla prima volta andassi a vedere dipersona la terra africana dove datempo operano i nostri Sacerdoti,Suore e Fratelli cottolenghini.Quando Padre Sarotto mi ha telefo-nato per comunicarmi che avevapensato a me come accompagnato-re nel viaggio africano, sono casca-to un po’ dalle nuvole, perché nonmi aspettavo che mi facesse unregalo così grande.Siamo arrivati a Dar Es Salaamsenza grosse difficoltà, dove ci atten-devano Don Filippo e Don Kirimo.L’impatto con la realtà africana èstato notevole, anche se imme-diatamente mi venivano inmente certe immagini che portoancora nella mente, quando 14anni orsono andai in Ecuador.Uno scopo del viaggio a Kisa-rawe è stato quello di partecipa-re alla consacrazione della chie-sa parrocchiale, ultimata dapoco tempo. La chiesa già dedi-cata a Santo Stefano diacono emartire, ha accolto la reliquia

canti liturgici italiani. Durante il soggiorno a Kisarawe ab-biamo avuto modo di recarci a farevisita alla comunità delle Suore pre-senti a Vingunguti. È stato l’incontrocon la povertà, ma nonostante tutto,l’espressione dei volti dei bambinisorridenti e curiosi nel vederci èidentica a quella dei bambini italiani.Cambia il contesto, ma la semplicitàdei bambini è sempre la stessa.Memorabile è stato il viaggio di tra-sferimento da Kisarawe a Nairobiavvenuto su un fuoristrada: 13 oredi viaggio. Partiti alle 4 del mattinoora locale, con puntualità svizzera,don Giusto ci ha accompagnatocon l’aiuto dell’autista, fino alla

casa di Nairobi. Attraversare lasavana deserta è una esperienzada fare nella vita almeno per unavolta: trovi il senso del silenzio, ilpanorama stupendo marcatodalle forti connotazioni di origi-ne vulcanica, il senso di impoten-za di fronte alla natura in cui seiimmerso, hai la sensazione dipercepirti una nullità come ungranello di sabbia nel deserto.Il primo soggiorno a Nairobi mi

del nostro santo Cottolengo; essa èstata collocata in modo appropriatonella mensa dell’altare. La presenzadel Cardinale Policarpo Pengo, conla presenza anche di un Vescovoausiliare, ha dato lustro al rito reli-gioso. La Messa, durante la quale èstato conferito il Sacramento dellaCresima ad una quarantina di per-sone, è durata, nella consueta tradi-zione africana, tre ore; personal-mente non mi sono sentito affatica-to, anche perché la novità ha supe-rato tutte le altre motivazioni distanchezza; ciò che mi ha affascina-to è stata l’esecuzione dei canti, lamelodia raggiungeva livelli moltoalti non facilmente riscontrabili nei

è servito per capire un po’ la realtàcottolenghina presente nella capita-le: il seminario, il centro che ospitai bambini, le comunità delle Suore edei Sacerdoti.Un’importanza particolare va rico-nosciuta all’ordinazione sacerdotaledi Don Nicholas Mukembu: essa èun dono per la Piccola Casa, per laChiesa, è un dono anche per la dio-cesi di Meru, avvenimento grandeper il paese di Gatunga.Il rito dell’ordinazione si è svolto inKiswahili in una giornata di sole;ciò nonostante è indimenticabile ilsudore che colava dalla fronte didon Nicholas Mukembu durante lapreghiera di invocazione dei Santi.La coreografia liturgica, entro laquale è stata inserita la consacrazio-ne sacerdotale di Don Nicholas, eratipicamente africana: danze, balli,canti hanno arricchito la celebra-zione della S.Messa.Al momento dell’offertorio i genitoridi D. Nicholas hanno portato all’alta-re il calice per la celebrazionedell’Eucarestia. È stato un gesto sem-plice, ma molto significativo: all’in-terno di quel calice quante cose sonostate offerte: la vita del figlio, pre-ghiere, sofferenze, sacrifici, ma anchetanta fede. Il Signore della vita bene-dica i genitori dei sacerdoti.Il clima di festa è stato arricchitoanche dalla presenza di diverse

ore: balli, danze hanno animato comeal consueto la celebrazione liturgica.Mi è stata offerta la possibilità di anda-re due volte a Mukululu, dove vive Fr.Argese nello “Chalet dell’Orso”. Daciò che ho visto ho capito come ognipersona, animata da una forte carica dicarità cristiana, possa essere uno stru-mento umano della Divina Prov-videnza. Penso di non dire una cosanuova, ma già ampiamente risaputa:Fr. Argese è stato la lunga mano dellaProvvidenza per lo sviluppo del Cot-tolengo di Tuuru. C’è bisogno diacqua per le persone, per coltivareprodotti agricoli, ma c’è bisognosoprattutto della Grazia di Dio, cheapre il nostro cuore e la nostra menteverso le povertà che continuamente siaffacciano alle nostre case.Un pensiero in particolare mi toccal’animo: ho visto tante povertà, honotato le difficoltà di chi lavora per ilSignore, la salute è sempre messa allaprova, la malaria è in agguato, matutto ciò mi porta a convincermi chemaggiori sono le difficoltà che si in-contrano in Missione, maggiore do-vrebbe essere la volontà di collabo-rare fra di noi come Piccola Casa.La Provvidenza ci aiuta là dove noicottolenghini ci impegniamo a testi-moniare il Carisma del Santo Fon-datore, questa responsabilità è per-sonale e comunitaria. Su queste re-sponsabilità dobbiamo continua-mente interrogarci per poter corri-spondervi con tutte le nostre forze.Una caratteristica di Tuuru è quelladi poter ammirare un cielo stellatodifficilmente visibile in Italia, sem-bra quasi di poter cogliere con lamano una manciata di stelle pervedere in esse un frammento dellabellezza di Dio.

Don Franco Piano

Suore e Sacerdoti provenienti dallacomunità di Tuuru. Un tocco tipi-camente cottolenghino lo hannodato alcuni ospiti che i Fratellihanno portato da Chaaria.Per poter partecipare all’ordinazio-ne di Don Mukembu, siamo statiospitati dalle Suore della Comunitàdi Mukotima, dove ho potuto vede-re il Dispensario gestito da Sr.Mercy. In realtà il clima atmosfericotrovato a Mukotima è più fresco diquello di Gatunga.A Chaaria Padre Sarotto dopo la S.Messa ha benedetto la prima pietradella costruenda Sala Operatoriache da 10 anni Fr. Beppe desideravaavere, per poter svolgere più facil-mente la sua missione di medico. Lacommozione ha accompagnato Fr.Beppe per tutta la celebrazione dellaMessa e soprattutto durante il ritovero e proprio della benedizione delterreno sul quale sarà costruita lanuova Sala Operatoria. Mi ha fattopiacere rivedere a distanza di tantianni Fr. Lodovico e conoscere lacomunità delle Suore a Chaaria.A Tuuru ho trovato una realtà bella,polivalente, ricca di esperienze di-verse: parrocchia, Monastero, Ma-ternità, il Centro per i disabili, laScuola primaria. C’è l’imbarazzodella scelta per trovare l’ambito incui impegnarsi a favore della gente.Girando per i vari ambienti diTuuru, trovo sempre tanta acco-glienza e disponibilità.Un momento importante del soggior-no a Tuuru è stata la prima Professio-ne religiosa di due Novizie del Mo-nastero: la Messa presieduta dal Vi-cario del Vescovo è durata circa tre

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AfricaAfrica

FOR THE FIRST TIMEFOR THE FIRST TIME

Per la storia della Piccola Casail 9 novembre 2009 è stata unadata significativa: quel giornoinfatti due sacerdoti cottolenghi-ni, don Antonio Nora e donEmanuele Lampugnani, hannoiniziato il servizio di cappellanipresso l’ospedale dell’A.S.L.TO2 “San Giovanni Bosco”.Altresì significativo è stato ilgiorno 14 dicembre 2009, nelquale ai due preti si è aggiuntauna suora del Cottolengo, suorFlaminia Baldoni.Questa nuova presenza cottolen-ghina in un importante ospedaledi Torino è stata richiestadirettamente dal Car-dinale Severino Poletto,che rivolgendosi ai Su-periori generali della Pic-cola Casa ha esplicita-mente chiesto un aiuto ditipo pastorale nell’ambi-to degli ospedali torinesi,anche per valorizzare ul-teriormente la presenzadel carisma del Cotto-lengo nella cura degli am-malati.E così, dopo vari incontri

esempio chiamate dal ProntoSoccorso, chiamate dai repartiper l’aggravarsi dei pazienti ecc.).Proprio per i tanti impegni (inparticolare quello della reperibi-lità continua) il Superiore deipreti cottolenghini ha incaricatoprima don Jobin ed attualmentedon Massimo Zanatta quali col-laboratori nel servizio pastorale.Con l’ospedale S. Giovanni Bo-sco è stata loro affidata anche lacura pastorale della R.S.A. di viaBotticelli 130, dove gli ospiti ditale struttura vengono visitatisettimanalmente da suor Flami-

nia, che propone anchedei momenti di riflessio-ne e di preghiera. La do-menica poi, vi è la ce-lebrazione della S. Mes-sa, con la possibilità, serichiesto, di ricevereanche i Sacramenti dellaRiconciliazione e del-l’Unzione degli infermi.In questi mesi si è giàavuta la possibilità diincontrare molte personemalate: ad alcune si èofferto semplicemente un

preparatori, di presentazione epassaggi di consegne si è inizia-to…Il lavoro che si sta svolgendoormai da più di un anno consistein varie attività pastorali: la visi-ta ai malati nei vari reparti (circa400 posti letto), la benedizionedelle salme nella camera mortua-ria dell’ospedale, la preparazio-ne e celebrazione delle Messe edi altri momenti di preghiera, icolloqui con i parenti dei ricove-rati e con gli operatori sanitari,la reperibilità nelle 24 ore quan-do si verificano casi urgenti (per

saluto, con altre si è creato undialogo, ad altre ancora, rispon-dendo a una loro richiesta, si èofferto il Sacramento della Ri-conciliazione, dell’Unzione degliinfermi e l’accompagnamento nelpassaggio alla Casa del Padre.La presenza di una suora si è ri-velata molto preziosa; la spiritua-lità e sensibilità femminile, aiutain certe situazioni l’aprirsi dellepersone malate.Anche in questa nuova esperien-za di servizio nell’ospedale SanGiovanni Bosco, sperimentiamola preziosità di una assistenzaspirituale per i malati: il vivere lasofferenza può infatti condurrepiù spontaneamente la persona ariflettere sulla propria vita, sulsenso dell’esistere, su ciò checonta veramente e l’incontro conun assistente spirituale può esse-re motivo di confronto e magaridi riscoperta della fede.Sinteticamente è possibile affer-mare che ci siano almeno tre ele-menti importanti per svolgerebene questo ministero.Anzitutto “la presenza”: la per-sona malata deve sapere che c’èun assistente spirituale e che, se

lo desidera, può incontrarlo indeterminati momenti della gior-nata. Poi, “la discrezione”: l’assi-stente spirituale deve proporsi,non imporsi (deve essere delica-to e rispettoso nei confrontidelle sofferenze fisiche e moralidella persona malata). Infine,deve essere “consapevole dellagrandezza di ciò che offre”: èinfatti portatore della presenza edel conforto di Dio; deve quindisentirsi uno strumento nelle suemani, un canale privilegiatoattraverso cui il Signore Gesù sirende concretamentevicino alla personasofferente, con il SuoAmore e la Sua Spe-ranza.Tante volte è capitatodi sentire dei malatiesclamare: “Meno ma-le che ho la fede”; difronte infatti alla sof-ferenza estrema ed al-la morte sono pro-prio alcuni di essi adinsegnarci l’illusorietà dei beni edelle ricchezze terrene ed il veroconforto che deriva invece dallaBuona Novella di Gesù.L’annuncio di un Dio che ci è

T e s t i m o n i a n z e24 I n c o n t r i 25

IL COTTOLENGO ALL’OSPEDALE

SAN GIOVANNI BOSCO

sempre vicino, che ci ama e checi promette la vita eterna, è digrande conforto per chi vive lasofferenza, anche se questa avolte rimane incomprensibile; ilpotersi affidare a Colui che,nella resurrezione del Suo FiglioGesù, si è dimostrato più fortedel male e della morte, permetteinfatti di relativizzare la soffe-renza (considerandola un pas-saggio) e di volgere lo sguardoverso il cielo, dove non ci saràpiù né lutto né lamento.È infine importante sottolineare

la cordiale accoglienza da partedei dirigenti e del personale del-l’ospedale; anche in questo sipuò cogliere la preziosità dell’as-sistenza spirituale, che rientratra i servizi della tanto auspicabi-le “cura globale” della persona.L’impegno è ora quello di cerca-re di svolgere al meglio questoservizio, avendo un’attenzioneparticolare per le persone piùsole e bisognose, ispirati ed inco-raggiati dal grande esempio delsanto Cottolengo il quale sem-pre ci ricorda che “I poveri sono Gesù” e proprioper questo “è bello dare la vitaper loro”.

Don Antonio, sr Flaminia, don Emanuele, don Massimo

IL COTTOLENGO ALL’OSPEDALE

SAN GIOVANNI BOSCO

“Presenza, discrezione,consapevolezza della grandezza

di ciò che si offre”

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CONVEGNO ANNUALEdell’Associazione ex allievi

e amici del Cottolengo

12 giugno 2011

PROGRAMMA

Ore 10,00: ritrovo, ricevimento e saluto(cortile davanti alla chiesetta “Casa di Dio”,via S. Pietro in Vincoli 9)

Ore 10,45: SANTA MESSA celebrata da Padre Aldo Sarotto

Ore 11,30: ASSEMBLEA, relazione del Presidente e conseguente discussione

Ore 13,00: PRANZO SOCIALE

Attenzione: È assolutamente necessario che gli ex allievi edamici intenzionati a partecipare al pranzo facciano pervenirela loro prenotazione entro il 9 giugno alternativamente a:

DANTE NOTARISTEFANO via Crimea 6, 10133, Torinotel. 011/6608499

ANNA TERESA GRASSO COSTAMAGNA via Garibaldi 48/A, 12068 Narzole - tel. 0173/77092

FRANCO ROSSO via Castelgomberto 40, 10136 Torino tel. 011/3115581

La conoscenza anticipata del numero dei partecipanti consentirà una migliore organizzazione ed un risparmio di spesa.

La quota pranzo è stabilita in Euro 20,00

APPELLO DEL PRESIDENTE

Anche quest’anno voglio aggiungere alla convocazione il mioappello, come ho fatto più volte in precedenza. Il Convegno èsenza dubbio l’appuntamento più importante nella vita dellanostra Associazione, perchè è forse l’unica vera occasione diriflessione e di confronto sul nostro impegno e sulle prospetti-ve future. È necessario che ci ritroviamo in molti, per cercare didare, tutti insieme, un nuovo impulso al sodalizio che ci vedeaccomunati nel nome e nello spirito del Santo fondatore dellaPiccola Casa.Sono certo che risponderete numerosi al mio appello e, in atte-sa di ritrovarvi, invio a tutti il più affettuoso saluto.

DANTE NOTARISTEFANO

Verrà intitolata aDON GIANNI COSSAIla piazzetta antistante il

Palazzo Comunale diCastellazzo Bormida

L’Amministrazione Comunale di Castellazzo Bormida,guidata dal sindaco Domenico Ravetti, con deliberazionedi Giunta n. 8 del 27/01/2011, ha avviato l’iter istruttorioper l’intitolazione della piazzetta antistante il PalazzoComunale a Don Giovanni Cossai, per tutti i castellazze-si e per tutti coloro che lo hanno conosciuto, apprezzatoed amato, semplicemente “Don Gianni”. Nato a Cara-magna Piemonte (CN) il 02/01/1947 e ordinato Sacer-dote il 24/06/1972, Don Gianni Cossai è scomparso il 18giugno dello scorso anno. Ha prestato la propria attivitàsacerdotale nel Comune di Castellazzo Bormida dal 1975al 1977 quale Vice Parroco della parrocchia di S. Maria edal 1995 al 2008 quale Parroco delle tre chiese parroc-chiali (S. Martino, S. Carlo e S. Maria).Grande figura di Sacerdote si è distinto per avere svoltoun ruolo attivo ed importante per tutta la comunità loca-le, fornendo ausilio spirituale, conforto e sostegno mora-le alla popolazione castellazzese, sempre vicinissimo aipiù poveri, ai bisognosi, agli emarginati, con sensibilità espirito di carità. Le Sue doti umane hanno costituito pertutti, in modo particolare per i giovani, un esempio con-creto cui ispirare il proprio comportamento. Il messaggioche attraverso il Suo operato sacerdotale è riuscito a tra-smettere, costituisce patrimonio morale di tutti i castellaz-zesi. È stato promotore per la sede autonoma diCastellazzo Bormida dell’Università delle Tre Età ‘Uni-trè’. Il 31 agosto 2009 è stato insignito della CittadinanzaOnoraria del Comune di Castellazzo Bormida. Alunnodella Famiglia Tommasini (seminario interno dellaPiccola Casa della Divina Provvidenza dal 9/10/1958 al30/0671959.) La Redazione

La Piccola Casa della Divina Provvidenza ha iniziato la sua opera in India negli anniSettanta. Attualmente è presente in tre Stati: Kerala, Tamilnadu e Karnataka.Nel Kerala i Fratelli cottolenghini hanno le loro comunità aPalluruthy-Cochin e a Paravur, località cittadine, densamen-

te abitate, immerse in una natu-ra rigogliosa. Qui la popolazione(in prevalenza di religione indu,ma anche con alte percentuali dimusulmani e cristiani), vantauna storia e cultura millenaria egode di uno sviluppo economicocrescente, che favorisce la scola-rizzazione e l’occupazione dei giovani; molti tuttavia vivonosoprattutto di agricoltura, pesca e di lavori precari.I Fratelli dedicano il loro servizio alle persone disabili adulte, agiovani con disturbi comportamentali e agli anziani, indipenden-

temente dall’appartenenza sociale e religiosa. Nella casa di Palluruthy gli ospiti sono unaquarantina, mentre a Paravur una ventina. Creature spessoabbandonate o con famiglie d’origine impossibilitate ad accu-dirle trovano qui un ambiente che li accoglie, per offrire lorouna vita dignitosa. Accanto alla cura quotidiana dei bisognielementari, avvalendosi del prezioso apporto delle Suore cot-

tolenghine, si organizzano attività, perconsentire a ciascuno di esprimere il me-glio o almeno qualcosa delle sue possibi-lità: la cura della casa, il lavoro nel campo(con la coltivazione di ortaggi, frutta,fiori) e in casa (con la creazione di manu-fatti vari: candele, statuette in gesso, lavori a maglia, sacchetti di carta,cartoline augurali, borse intrecciate ecc... ) Anche chi ha poche capaci-tà manuali e intellettive è aiutato a socializzare con gli altri e a sentirsiamato, per valorizzare anche le minime risposte.Nuovi tasselli, dove il Cottolengo vuole offrire una testimonianza dicarità molto concreta, prendendosi cura con amore di chi ha poche pos-sibilità per realizzarsi.

Fr. Sandro

Fratelli in IndiaFratelli in India

Nuovi tasselli ... prendendosi cura con amore di chi ha poche possibilità per realizzarsi.Nuovi tasselli ... prendendosi cura con amore di chi ha poche possibilità per realizzarsi.

Lo scorso 7 marzo presso ilSeminario cottolenghino, circacinquanta ex, preti e laici, si sonoritrovati per l’annuale festa. Purnella diversità di età e provenien-za, e di alcuni presenti per laprima volta, si è subito creato unbel clima di cordialità e genuinaaccoglienza.Come sempre il momento forteè stata la celebrazione dellaSanta Messa, con il ricordo e lapreghiera per i tommasinidefunti; particolarmente perl’ultimo, don Roberto Molinar,che per primo aveva subito ade-

togli dal parroco: “Ti piacerebbeandare a studiare a Torino?”, spe-rando che nel frattempo, sorges-se in lui la vocazione… Il ragazzi-no Enrico accettò subito, perchéa Torino l’aveva preceduto daiSalesiani, l’amico AngiolettoLazzaroni. Ma la Provvidenza decise inveceche trovasse posto nel seminariodel Cottolengo, dove pure stu-diava un altro Angioletto diPogliano, il Molteni. Don En-rico, sarà ordinato prete nel1961. Nel 1969, viene mandatoda Padre Borsarelli a Cerro (Mi),

rito all’incontro, appena ricevu-to l’invito di don Carmine. IlSignore aveva in progetto unaltro incontro: L’ha chiamato asè, solo pochi giorni dopo.L’Eucaristia è stata presiedutada don Enrico Chiesa (che que-st’anno ricorda il 50° di sacerdo-zio), originario di PoglianoMilanese, paese natale di Mons.Francesco Paleari, il nostro pre-sto Beato.Nella sua omelia don Enrico, halasciato parlare il cuore e raccon-tato i passi salienti della sua voca-zione, partendo dall’invito rivol-

cappellano nella casadi riposo per suoreanziane. Qui rimaneedificato dalla sempli-cità e dalla fedeautentica di quellereligiose, consumatenei tanti servizi umilie spesso faticosi. Nel 1982 Padre Ge-mello lo chiama aTorino e gli affida laDirezione dell’Uf-ficio Tecnico, dove sitrova tutt’ora. Nelsuo vivace intervento don Chiesaha ribadito di aver sempre cerca-to di lasciarsi condurre dallavolontà di Dio e dalla fiducia nelCristo che ogni giorno ci ripete ilsuo “vieni!” e ci sostiene con ilSuo Spirito. Dopo la Messa, ci siamo riuniti insala incontri. Qui DonRoberto Provera, chesostituiva Padre Sarottoimpegnato in un “viag-gio pastorale”, ci ha rag-guagliati sulla beatifica-zione di mons. Paleari;ha raccontato del mira-colo, accertato dallecompetenti autoritàscientifiche ed ecclesia-stiche, che ha spianatola strada al riconosci-mento ufficiale dellasantità del più insigneex tommasino. La storia di un ragazzi-no dodicenne che nel1946, affetto da unagrave forma di meningi-te, guariva rapidamentee totalmente, dopo che ifamiliari erano ricorsi

dicatore, insegnante, colla-boratore del vescovo diTorino. Di seguito Dante Nota-ristefano ha informato,soddisfatto, che “Incon-tri” sta attraversando unastagione favorevole e haringraziato don Carlo Car-levaris per il grande e com-petente impegno profusoper molti anni come diret-tore del nostro periodico.L’incarico è ora svolto dadon Provera.

Superate le ore 13 con un certolanguor di stomaco, abbiamo ter-minato l’incontro. È seguito unottimo pranzo, dove alla convi-vialità della mensa si è accompa-gnato un dialogo fraterno, che haaccomunato compagni di untempo, divenuti anche grazie a

questi appuntamenti an-nuali, amici per sempre.A nome di tutti i parteci-panti esprimo viva e pro-fonda gratitudine alla Pic-cola Casa e in particolarealla famiglia dei Tomma-sini, per l’ospitalità riser-vataci, che ci ha fatti sentirenon ospiti, ma amici e fra-telli dalle comuni radici,nate dalla fede granitica edalla carità smisurata di sanGiuseppe Cottolengo. Proprio 200 anni fa era con-sacrato prete, e dava inizioal cammino di maturazioneumana e cristiana, che sa-rebbe sfociato nel “miraco-lo” della Piccola Casa.

Don Aldo Issoglio

all’intercessione del Paleari,morto solo sette anni prima. Don Carmine Arice, ha richiama-to e commentato, che la santitàdel Paleari si è espressa in modostraordinario nell’ordinarietà delsuo ministero sacerdotale, comeconfessore, padre spirituale, pre-

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Ritrovarsi

tra Amici

Ritrovarsi

tra Amici

“La scuola delle carezze”. La ca-rezza è molto di più di un sempli-ce gesto d’affetto, è un contattoche dice molto. È un passaggio inquattro fasi: interno/esterno –esterno/interno. Cioè l’interioritàdi chi vuole dare se stesso all’altroattraverso il gesto esterno (lacarezza) che raggiunge, attraversol’esteriorità, l’interiorità dell’altro.È gesto gratuito, che non preten-de, che si dà senza chiedere incambio, il gesto più semplice perdire: “Eccomi, ci sono, sono quiper te”. Questo essere presenza per gli altriè stato il regalo più grande.Imparare ad essere dono nella solapresenza. Ed ecco la ricchezzagrande che ho trovato tra le muradella Piccola Casa: tante esistenzeche hanno il loro senso più profon-do nella presenza, nel loro essercinella semplicità. E mi passanodavanti in questo momento tantivolti, sorrisi, silenzi pieni e sguardicristallini che mi fanno esclamare:“Quale grande amore ci ha dato ilPadre per essere chiamati figli diDio, e lo siamo veramente!” (1Gv3,1). E allora veramente DeoGratias perché Egli ogni giorno ciammaestra nella carità e Deo

siamo senza maschere. E poi sen-tirsi accolti pone le condizionimigliori affinché il proprio cuorerifiorisca...

Cristina di Cuneo

HO SCOPERTO IL VALOREDELLE PICCOLE COSE

Ho scelto di fare l’anno di volon-tariato sociale per fermarmi edandare alla scuola dei poveri, persmetterla di chiudermi nel miopiccolo mondo ed allargare gliorizzonti del mio cuore.Ho camminato con le mie grandiamiche, le Ospiti... con loro horiscoperto quanto è bella la vita,ho riscoperto il valore delle picco-le cose, ho capito che veramente“l’essenziale è invisibile agli oc-chi”!

Lorena

MI GIUDICAVOINUTILE

...un anno fa mi giudicavo inutile;ora sono radicalmente convintoche il mio sorriso può dare gioia earricchire il cuore a certe persone,senza impoverire me, anzi!

Vito di Caserta

Gratias per l’accoglienza familiareche riservate a noi, vostri fratelli efigli di questo stesso misericordio-so Padre.

Beatrice di Roma

GIOIANEL CUORE

Non so proprio da dove partire,per raccontarvi l’esperienza diquest’estate, vissuta alla “PiccolaCasa della Divina Provvidenza” diTorino. È stata così intensa, cheora faccio molta confusione nelrimettere insieme tutte le idee...Nella Piccola Casa si sperimentauna gioia condivisa e contagiosache arriva a toccare il cuore, unagioia che nessuna menomazione

può fermare. All’interno delCottolengo non vi sono personein lacrime o disperate, ma ospitisereni, fiori tra le rocce pesantidell’umanità ferita. Non è certosuperficialità ma è l’evidenza diuna grande speranza. Non è che lamalattia, l’handicap, il limitescompaiano improvvisamente.Assistendo queste persone piagatenel corpo, possiamo fare l’espe-rienza di un incontro con ilSignore risorto. I poveri, i sofferenti, gli ammalatiche vivono qui, non sono arrogan-ti e prepotenti, ma dolci e capacidi accogliere una persona senzagiudicarla e di farlo sentire a casa.Quando ci si sente accolti così,non c’è bisogno di mostrarsi piùbelli o più simpatici di quel che siè; basta essere semplicemente sestessi. La loro mitezza ci aiuta afare verità in noi, ad essere ciò che

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M’ILLUMINOD’IMMENSO

“M’illumino d’immenso”, così co-me Ungaretti, tutte le volte checon la mente ritorno a queglisguardi che mi sono rimasti scol-piti nel cuore.Sul quadro che è quello dellamente mia, ogni ospite dellaPiccola Casa ha lasciato il suotocco di luce, l’impronta dellasua dolce armonia. Come riu-scire a comunicare un’espe-rienza talmente profonda eintensa da risultare ineffabile?Nessuna parola potrà maiesprimere le vive emozioni chesi provano nell’essere volonta-ri al Cottolengo.Impressa nel quadro della mentemia, vi è ora una dolce assonanzadi luci e di colori, che tanti picco-li sorrisi hanno lasciato. Eranoquelli degli ospiti della PiccolaCasa, contenti di avermi fra loro.Essi mi hanno accolta a bracciaaperte e con gioia mi hanno inse-gnato ad apprezzare la vita e aridare valore ai piccoli gesti. Avolte basta un solo sguardo, unacarezza, un sorriso per illuminareun’esistenza; e poi, come in ungioco di specchi, ti accorgi chequella stessa luce ti abbaglia e titravolge di rimando.Questo sole, che dà luce e gioia,brilla nei cuori degli ospiti delCottolengo e si diffonde in tuttiquelli che sono pronti ad acco-glierlo. Questo il grande dono che

viene fatto ai volontari, perchéanche in mezzo a mille difficoltàquesta gente fantastica non perdemai la gioia di vivere e la trasmet-te con entusiasmo a quanti sonopronti a lasciarsi rapire da unabbraccio di luce.

Difficile spiegare le emozioni diun istante; ci sono cose che non siriescono a raccontare, se non permezzo di vaghe impressioni. Cosìvi affido la mia testimonianza che,come in un quadro di Monet,affianca e unisce tanti sprazzi diluce. Spetta ora a ciascuno di voiscoprire il valore di ogni singolotocco che sta sulla tela. Perchéanche il più insignificante puògenerare armonia ed è parte diquell’immenso capolavoro cheillumina d’immenso.

Una giovane

LA SCUOLADELLE CAREZZE

Nei 40 giorni passati alla PiccolaCasa della Divina Provvidenza(To), nella famiglia dei SS. In-

nocenti ho imparato a dire: “DeoGratias!”. Mentre preparavo l’ulti-mo esame prima della tesi, pensa-vo ad alcuni miei amici che parti-vano per stages e corsi di specializ-zazione all’estero e mi domandavoseriamente perché io avessi rispo-

sto ‘no’ a quelle proposte perdire ‘sì’ a questa. Ora, al ricordodi quell’estate, con un sorrisosulle labbra, realizzo cheanch’io ho fatto uno stage, econ che maestro! Ricordo cheuna domenica, mentre stavo lìin giardino, una ragazza dopoaver portato una cosa a suorMaria, mi si sedette accanto emi disse: “Io quando me lochiedono faccio sempre la cari-

tà, io ho la carta di credito!”. Iosorridendo in un primo momentonon capii e cercai di farmi spiega-re, e lei mi disse con tanta sempli-cità: “Certo, la carta di credito!“(indicando in alto) “Io faccio delbene, ecco io posso fare sempre lacarità quando me lo chiedono!”.Cosa poter aggiungere?!? Ricordopoi Sebastien, un seminarista delBurundi, con il quale ho condivisoil servizio la prima settimana. Di-ceva sempre: “Io mi sento così pic-colo davanti a loro”. Era sempresorridente e quando uscivamo dalreparto mi diceva che se avessescritto un libro sul Cottolengol’avrebbe intitolato “Alla scuoladelle buone figlie”. Sorridendo,pensavo che aveva proprio ra-gione, ma personalmente se scri-vessi un libro, sarebbe intitolato

BRICIOLE DI CARITÀBRICIOLE DI CARITÀ